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Proteggono noi, ma non l’ambiente
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Non si sa per quanto tempo dovremo ancora portarle e se davvero, grazie ai vaccini, riusciremo a sconfiggere ed arginare la pandemia. Ma c’è un fatto inequivocabile: tutte quelle che abbiamo consumato, per proteggere noi stessi, se finite accidentalmente in ambiente finiscono per aggravare lo stato di salute del Pianeta.
Il problema dell’inquinamento da mascherine e dispositivi di protezione (come i guanti) non è affatto da sottovalutare: sono un nuovo pesante tassello che si aggiunge alla già grave piaga dell’inquinamento da plastica, ma probabilmente con una aggravante in più. Di recente, infatti, un team di scienziati ha dimostrato che le mascherine disperse nell’ambiente e negli oceani non solo inquinano in quanto costituite principalmente da fibre di plastica, non solo con i loro lacci possono uccidere e intrappolare animali, ma rilasciano anche in natura una serie di metalli pesanti, piombo, antimonio, rame e altri inquinanti dannosi. Si tratta di piccole quantità ma se ci immaginiamo che soltanto lo scorso anno, stimano alcune Ong, sono finite in natura e in mare almeno 1,65 miliardi di mascherine, allora ecco che si delinea la portata del problema.
Se i dispositivi che usiamo per proteggerci dal coronavirus e l’infezione da Covid-19 sono fondamentali per la nostra salvezza, dovrebbe esserla anche la gestione di questi dispositivi e, va ricordato, una volta usati questi dispositivi dovrebbero sempre finire nell’indifferenziata e da lì in discariche e inceneritori, quando non sono programmati percorsi di riciclo.
Spesso però, anche per la natura usa e getta di questo prodotto, prendono un’altra strada: dai parchi ai mari, dai fiumi alle spiagge, le vediamo ovunque come nuova forma di inquinante. Si stima che a livello globale siano utilizzate quasi 130 miliardi di mascherine al mese, 3 milioni al minuto e oltre 3 miliardi gettate quotidianamente.
In una nuova ricerca l’Università di Swansea ha approfondito il problema spiegando che se per esempio vengono disperse in acqua, rilasciano non solo fibre di plastica ma anche metalli pesanti. Il dottor Sarper Sarp dell’ateneo di Swansea ci ricorda che «tutti noi dobbiamo continuare a indossare maschere poiché sono essenziali per porre fine alla pandemia. Ma abbiamo anche urgente bisogno di più ricerca e regolamentazione sulla produzione di maschere, in modo da ridurre i rischi per l’ambiente e la salute umana».
Dopo una serie di test i ricercatori hanno infatti accertato che nelle più comuni mascherine, disperse in acqua, si rilevano «livelli significativi di inquinanti in tutte le maschere testate» con la presenza di «micro/nano particelle e metalli pesanti rilasciati nell’acqua durante tutti i test».
Un allarme che potrebbe nel tempo portare a un impatto ambientale importante e «l’esposi-
PROTEGGONO NOI MA DANNEGGIANO L’AMBIENTE
Dai metalli pesanti alle microfibre di plastica ecco cosa rilasciano le mascherine disperse
di Giacomo Talignani
zione ripetuta potrebbe essere pericolosa poiché le sostanze trovate hanno legami noti con la morte cellulare, la genotossicità e la formazione del cancro». Inoltre, ricordano gli scienziati, «molti degli inquinanti tossici trovati nella nostra ricerca hanno proprietà bioaccumulative quando vengono rilasciati nell’ambiente e i nostri risultati mostrano che i dispositivi di protezione potrebbero essere una delle principali fonti di questi contaminanti ambientali durante e dopo la pandemia di Covid-19». Si parla di tracce di piombo, rame, antimonio, cadmio e diversi metalli pesanti che possono essere tossici anche a basse dosi. Motivo per il quale gli esperti indicano la necessità di un approfondimento a livello globale proprio sull’inquinamento da mascherine e il bisogno di normative più severe per produzione, smaltimento e riciclaggio per «ridurre al minimo l’impatto ambientale».
Un altro ricercatore coinvolto nello studio, il dottor Geraint Sullivan, parla di risultati “piuttosto scioccanti” soprattutto per il fatto che i metalli trovati essendo bioaccumulativi si accumulano nel tempo in ambiente. Se a questi dati si aggiungono poi quelli evidenziati da altre ricerche (oltre 40 quelle dedicate al tema) emerge un quadro sempre più allarmante. Uno studio italiano dell’Università di Milano-Bicocca pubblicato sulla rivista Environmental Advances racconta per esempio che una mascherina chirurgica rilascia fino a 173mila microfibre al giorno nell’ambiente marino. La ricerca ha approfondito il meccanismo di degradazione foto-ossidativa delle fibre di polipropilene presenti nei tre strati delle mascherine chirurgiche. Sono stati fatti test di invecchiamento artificiale, simulazioni di ciò che avviene per una mascherina dispersa in ambiente ed esposta ad eventi atmosferici e soprattutto alla radiazione solare, così come in mare sottoposta al moto ondoso. Gli esperimenti, per esempio, hanno sottolineato come una singola mascherina esposta alla luce UV-A per 180 ore possa rilasciare centinaia di migliaia di particelle del diametro di poche decine di micron.
«Speriamo che questo nostro lavoro - hanno commentato Francesco Saliu e Marina Lasagni, rispettivamente ricercatore e docente del dipartimento - possa sensibilizzare verso un corretto conferimento delle mascherine a fine utilizzo e promuovere l’implementazione di tecnologie più sostenibili». Comprendendo gli impatti delle mascherine usa e getta in ambiente, i ricercatori delle varie università che si stanno occupando del problema lanciano inoltre un appello per un ripensamento globale sulla natura di questi dispositivi: utilizzare in futuro - nel caso dovessimo ancora indossarle a lungo - dispositivi lavabili, riutilizzabili, oppure compostabili e biodegradabili (non composte da plastica) che molte start-up nel mondo stanno oggi provando a rilanciare.
Un team di scienziati ha dimostrato che le mascherine disperse nell’ambiente e negli oceani non solo inquinano in quanto costituite principalmente da fibre di plastica, non solo con i loro lacci possono uccidere e intrappolare animali, ma rilasciano anche in natura una serie di metalli pesanti, piombo, antimonio, rame e altri inquinanti dannosi.
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