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presentazione al lettore

Non ho mai frequentato l’Asilo, l’unico asilo dei miei tempi, quello che ha portato le suore a Novate. Forse perchè la mia famiglia era essa stessa un piccolo asilo. Quella di mio padre, composta già da quattro figli e appena giunta a Novate dal Polesine alluvionato, oltre che povera era anche considerata “numerosa”, appellativo di cui papà andò fiero, elevando in seguito il numero dei propri figli fino a otto.

Forse sarà per questo che mi ha sempre incuriosito sapere cosa accadeva là dentro. Quando i miei amichetti di cortile tornavano dall’Asilo mi apparivano entusiasti per quanto sembravano divertirsi in quel luogo. E questo non faceva altro che aumentare la mia curiosità e la mia invidia nei loro confronti. Insomma, io li vedevo come dei privilegiati.

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Ecco perché, quando mi è stato offerto di occuparmi di questa pubblicazione, ho accettato di buon grado l’invito come se si trattasse di una piccola rivincita sulla mia storia personale.

Finalmente avrei potuto scrutare, attraverso il “buco della serratura” della storia passata, quello che accadeva fra quelle mura di via Bollate, mentre io ed i pochi “esuli” restavamo nel grande cortile, di via Portone 15, ad aspettare che tornassero dall’Asilo gli amichetti, per giocare con loro a nascondino.

Ma la cosa stupefacente è che, oltre a scoprire cosa accadeva senza di me all’interno delle mura dell’Asilo, ho potuto risalire, controcorrente, le rapide della sua storia giungendo fino alle persone che hanno vagheggiato prima, e realizzato poi, questa mirabile opera.

Nonostante il contesto povero - per non dire misero - di quei primi anni del ‘900, sono emerse mirabili figure di uomini e di donne avvedute ed animate da un incontenibile desiderio di bene e di progresso per i propri concittadini e per il proprio paese.

Si tratta di sindaci, parroci, notabili e industriali, di nobiluomini e nobildonne. Ma anche bottegai, contadini, bovari e lavoratori associati in cooperative di consumo o edilizie. Fazioni politiche mosse da finalità sociali e popolo di credenti mosso dalla ricerca del Regno dei Cieli su questa terra. Insomma un concorso generale di popolo che, sia pure con sfumature diverse, ha anelato caparbiamente e concretamente ad un unico desiderio: l’Asilo Infantile di Novate Milanese.

A tutti questi uomini e donne, a tutto questo popolo novatese che ci ha preceduto percorrendo le stesse strade che oggi percorriamo noi, a tutti costoro è dedicata questa mia piccola fatica.

La consegno ai novatesi di oggi e di domani perché quel fiume di ardore per i bambini – per troppi secoli sfruttati per ogni tipo di fatica e di lavoro malsano e malpagatoche spesso viaggia sotto traccia, possa tornare a splendere perennemente in superficie e mostrare alle generazioni future tutti i volti di quel popolo novatese che ha fatto l’Asilo.

benedizione del Cardinale Dionigi Tettamanzi

la parola del Parroco Mons. Vittorio Madè

Negli ultimi anni dell’Ottocento e nei primi del Novecento (più di un secolo fa), nelle botteghe dei falegnami, nelle case, nelle corti e nei cascinali di Novate si discuteva con insistenza sulla necessità di “fare qualcosa” per i tanti piccoli che animavano le aie e i cortili del paese.

Quel “fare qualcosa” per i bambini, prima che iniziassero il percorso scolastico, si tramutò in breve tempo nella determinazione di costruire l’Asilo Infantile.

Così tutto un popolo, animato da un unico intento, coinvolto spontaneamente nel reperimento delle necessarie risorse economiche e con l’apporto della propria prestazione di mano d’opera, costruì in poco tempo l’ “Asilo Infantile” per i propri bambini.

Ora siamo qui a fare memoria di quella bella avventura di popolo, di quella laboriosità generosa, di quella tenacia solida e fedele di una comunità che, da quegli inizi, ha saputo consegnarci uno splendido luogo educativo che oggi ha un nome “Scuola Primaria per l’infanzia Giovanni XXIII”.

Parroco, da pochi mesi, di questa comunità dei “Santi Gervaso e Protaso”, mi trovo a condividere la gioia e la festa dei cento anni di vita della “Giovanni XXIII”.

Gioia e festa che diventano opportunità per ripercorrere non solo le stagioni storiche di questa istituzione (altri lo faranno nelle pagine che seguono), ma anche per individuare e raccogliere – come tesoro in uno scrigno – il “soffio di vita” che spira nella nostra comunità e ci induce a percorsi che, attingendo a quei giorni, ci impegnano nella fedeltà e nella fecondità della progettualità.

Far festa per e con la “Giovanni XXIII” significa rinvigorire e rinsaldare quel “fare qualcosa” per i piccoli che evidenzia tutta l’attenzione e la responsabilità educativa che innervano l’intera comunità novatese.

Oggi in cui l’emergenza educativa si pone e viene indicata come problema acuto e severo, tutta la comunità cittadina, con i propri organismi, nel rispetto delle diverse responsa- bilità e specificità, deve volere e costruire – come lo fu cento anni fa – una “alleanza educativa” che non si risparmi in nulla nel mettersi in gioco e nel mettere in campo strumenti, luoghi, competenze, energie, risorse, passioni, “sogni” che offrano ai nostri piccoli (che diventeranno ragazzi, adolescenti, giovani) quei valori fondamentali che irrorano la vita di autentica maturità e responsabilità.

Così è tutta una comunità che “cammina insieme”. Cento anni fa il “fare qualcosa” per i piccoli ha suscitato e coagulato il sentire, l’ethos di tutto un popolo che ha saputo individuare ed affrontare – oltre e al di là delle diverse sensibilità e convinzioni religiose e politiche (siamo ad inizio Novecento!) – l’urgenza che interpellava e non poteva essere né sottaciuta né negata: insieme la si è guardata in faccia e si è condivisa la concretezza e l’appropriatezza della soluzione. Nel solco di questo cammino oramai centenario che ha fatto convergere in condivisione operosa di intenti il pulsare vivo della gente di Novate, la “Giovanni XXIII” prosegue i suoi passi e si protende verso la vivacità e la serietà di competenza e di preparazione educativa che l’oggi esige per “tirar su” i nostri bambini.

L’augurio è proprio questo: la preziosità del passato diventi alimento per le sfide dell’oggi e del domani, con rinnovate e fresche passione, dedizione, preparazione, generosità.

L’augurio diventa gratitudine che riconosce volti, sacrifici, entusiasmo, ingegnosità di chi ieri ed oggi continua l’avventura della “Giovanni XXIII” per il bene di ciascun e di tutti i bambini che la frequentano.

L’augurio, da parte mia, diventa anche preghiera al Signore perché nel cuore e nel volto della Giovanni XXIII risplenda la sua benedizione.

Vittorio Madè

la superiora del Cottolengo

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