Illustration by Mia Carnevale
The “Cool” Temptation of Organized Crime B Y - D I G I A N N A PA T R I A R C A
Il “fascino” del crimine organizzato
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re we glorifying mafia and organized crime in movies and on television? ‘Yes’ seems like the obvious answer. A more provoking analysis might be how this glorification has affected the response and behaviour of society. This topic needs more than a thousand words, but that’s all I have. From the first talking pictures, we have been hypnotized by the genius of early directors like Cecil B. DeMille, D.W. Griffith, Frank Capra, John Ford, Billy Wilder and others, leading us to the generation of Martin Scorsese, Francis Ford Coppola and Quentin Tarantino. We’ve come a long way. Some of it great, some of it not. Our need to escape the monotony of our ordinary lives has led us to live vicariously through the fantasy actions of others. This exploded with the invention of filmmaking and the creation of Hollywood: an invented world of makebelieve captured by the lens of a movie camera meant we didn’t have to be alone in our rooms, dreaming, reading or masturbating. There was a new toy we could share while having an optical orgasm in a theater crowded with strangers in a collective euphoric experience. Then we could catch the bus home, on to our banal lives once again. Those early days of movie making seemed geared to light entertainment, comedies, romances, biblical stories and the spectacles of Busby Berkley musicals. As technology improved and developed, the growing popularity of film began to mirror the narratives of the social, political and cultural construct of the country. The 20th century was a revolutionary time in North America. Immigrants, industrial growth, the booming of cities like New York, Chicago, Philadelphia, Boston, Montreal, and the flourishing dream of California brought to the screen
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tiamo assistendo a una glorificazione della mafia e del crimine organizzato in televisione? La risposta più ovvia sembra essere “sì”. In modo provocatorio, si potrebbe analizzare l’effetto di tale glorificazione sul modo in cui la società risponde e agisce. Per un argomento del genere servono più di mille parole, ma ho solo queste a disposizione. Sin dalle prime pellicole sonore siamo rimasti ipnotizzati dal genio dei primi registi, quali Cecil B. DeMille, D.W. Griffith, Frank Capra, John Ford, Billy Wilder ed altri, che ci hanno poi portati alla generazione di Martin Scorsese, Francis Ford Coppola e Quentin Tarantino. Ne abbiamo fatta di strada. Alcuni alla grande, alcuni no. Il nostro bisogno di fuggire dalla monotonia quotidiana ci ha portati a vivere di riflesso le storie di fantasia altrui. Situazione esplosa con l’avvento della cinematografia e della creazione di Hollywood: un mondo immaginario di finzione catturato attraverso le lenti di una videocamera ci consentiva di non dover più starcene in camera a sognare, a leggere o a masturbarci. C’era un nuovo giocattolo da condividere in un orgasmo ottico all’interno di una sala piena di estranei, dove condividere l’euforia di un’esperienza collettiva. Poi, riprendevamo l’autobus per tornarcene a casa, ancora una volta alla banalità delle nostre vite. Quei primi film sembravano essere concepiti per offrire un intrattenimento leggero, commedie, storie d’amore, racconti biblici e i musical di Busby Berkley. Con l’avanzare e lo sviluppo della tecnologia, la popolarità crescente dei film cominciò a riflettere le storie del costrutto sociale, politico e culturale del paese. Il XX secolo in Nord America fu rivoluzionario. Immigrati, sviluppo industriale, il boom di città come New York, Chicago, Philadelphia, Boston, Montreal, nonché il sogno fiorente della California portarono sullo schermo una riserva infinita di storie. Molti di questi racconti provenienti da culture diverse costituivano
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