IVA ZANICCHI
DIVA, DONNA… SEMPLICEMENTE IVA A cura di SANDRO NOBILI
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essant’anni di carriera, unica donna a vincere tre volte il Festival di Sanremo, nel 1967 con “Non pensare a me”, nel 1969 con “Zingara” e nel 1974 con “Ciao cara come stai”. Quest’anno dopo aver festeggiato il suo ottantaduesimo compleanno è tornata all’Ariston portandosi a casa il riconoscimento più bello che un’artista possa desiderare: la standing ovation del suo pubblico e un applauso che è sembrato non finire, dalla prima all’ultima esibizione. A sorprendere di lei è la verve, l’intelligenza e una dialettica che le permette di essere a proprio agio in qualunque salotto televisivo. Un successo, il suo, che tuttavia non l’ha allontanata dalle cose semplici che ama: la cura del giardino, i suoi amati cani, la spesa al mercato rionale. Con Iva si può chiacchierare di qualunque cosa. Attenta e critica, divertente e sagace, ha stregato intere generazioni ma piace anche ai giovani. Ottantadue anni compiuti il 18 di gennaio, ha ancora lo sguardo di quella bambina dalla voce straordinaria che nel suo paesello, Ligonchio, sognava di andare a Sanremo e forse è proprio questo il suo segreto, il suo “super potere” che la rende straordinaria.
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Se potessi sussurrare qualcosa a Iva bambina, cosa le diresti? La rassicurerei, dicendole di non essere così complessata e di non avere paura “del lupo”: questo va affrontato. Iva - le direi - non perderti in timori inutili, fregatene, sei più forte! Ora lo so, oggi ho dimostrato ampiamente di che stoffa fossi, ma allora ero davvero un maschiaccio: giocavo con mio fratello ed i suoi amici, mi arrampicavo ovunque a cercare nidi, giocavo a pallone e pensare che mia mamma mi chiedeva di badare al mio fratellino… Racconti di essere stata un “brutto anatroccolo”: è stato difficile diventare cigno? Assolutamente sì, ma lottare mi ha resa più forte e ho sviluppato qualità che probabilmente non avrei scoperto di avere. Quando i ragazzi hanno cominciato a corteggiarmi, la simpatia era la mia arma, quella che mi rendeva speciale. Poi, lasciamelo dire, dopo l’adolescenza, avevo un gran fisico e quella magrezza che mi aveva complessata, era diventata un pregio. Poi alla lunga, secondo me, vincono quelle meno appariscenti. Mia mamma diceva che a vent’anni si ha la bellezza dell’asino, ma poi il fascino, l’intelligenza la simpatia, fanno la loro parte. Quando hai cominciato a so-
gnare il palcoscenico? Ho avuto una grande fortuna, perché nonostante Ligonchio fosse un paesino sconosciuto, una volta all’anno venivano degli attori che regalavano una rappresentazione. Tra loro c’era un giovane Ermanno Olmi, che non era ancora nessuno, ma era già bravissimo. Io avevo solo sette, otto anni e grazie a lui cominciai a sognare: è stato il mio primo amore platonico. Ho trovato la strada, una strada tortuosa, complicata, fatta di salite incredibili, ma se ci credi davvero, la trovi. Anche dopo la vittoria di Castrocaro, in realtà, ho rischiato di perdere tutto. Da bambina, ascoltando per radio il Festival, dicevi a tutti che un giorno ci saresti stata te su quel palco. Com’ è stato il primo Sanremo? Se mi guardo, mi faccio un po’ di pena, di tenerezza. Arrivavo a Sanremo dopo un grande successo, pompata e gasata al punto che non ho cantato come avrei dovuto e potuto. Non è stata l’eliminazione, la vera sconfitta, ma il fatto che il mio discografico dicesse che forse non ero in grado di reggere un palco