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La seconda guerra mondiale nei film di Roberto Rossellini di Pietro Cavallo Qualcuno forse se lo chiederà: perché, in un volume sulla guerra, affrontare l’argomento da una prospettiva così particolare come quella rappresentata dal cinema di Roberto Rossellini? La risposta è semplice e, ovviamente, prescinde dalla validità e dalle innovazioni formali del cinema rosselliniano: il regista romano realizzò, durante il conflitto, tre film (La nave bianca, Un pilota ritorna, L’uomo dalla croce), una vera e propria trilogia, seguita, nel dopoguerra, da una seconda (Roma città aperta, Paisà, Germania anno zero), nella quale molti hanno visto un drastico passaggio di campo, da atteggiamenti molto vicini al regime a posizioni fortemente antifasciste. Così, in un volume pubblicato dieci anni fa, Rossellini diventava uno dei rappresentanti più conosciuti di quegli intellettuali che «vissero due volte», un opportunista che avrebbe saputo cogliere l’evoluzione dei tempi, secondo la battuta un po’ maliziosa di Sergio Amidei: «Era in fondo un realista che sapeva stare nella realtà politica»1. Insomma, la cosiddetta «trilogia della guerra» può costituire, per lo storico, un interessante terreno da esplorare per chiedersi quanto e come modelli e parole d’ordine della propaganda fascista in guerra passassero e fossero filtrate da una persona di grande cultura, sensibilità e genialità quale fu Roberto Rossellini. Iniziamo dal primo film, La nave bianca, pellicola, premiata alla Mostra di Venezia del ’41, che riscosse un buon successo di pubblico e soprattutto di critica. Il soggetto del film era opera di De Robertis, la sceneggiatura di De Robertis e Rossellini, la regia di Rossellini con la supervisione di De Robertis. Questo è quanto dicono i titoli di testa, perché la questione di chi fosse realmente la regia si pose fin dal primo momento: Filippo Sacchi, sul 1 Mirella Serri, I Redenti. Gli intellettuali che vissero due volte. 1938-1948, Milano, Corbaccio, 2005, pp. 224-233. La battuta di Amidei è a p. 233.