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«Questa è davvero una battaglia?» Considerazioni sulla rappresentazione cinematografica della guerra di Giaime Alonge
1. Matuszewski e noi Nel 1898, tra marzo e ottobre, a meno di tre anni di distanza dalla leggendaria proiezione dei fratelli Lumière del 28 dicembre 1895, il fotografo polacco Bolesław Matuszewski, a Parigi (suddito dell’impero russo, e forse fotografo dello Zar, Matuszewski vive tra la capitale francese, Varsavia, e Pietroburgo), dà alle stampe due brevi saggi, grazie ai quali si ricaverà un posto nel canone del dibattito sul rapporto tra cinema e storia: “Une nouvelle source de l’histoire (Création d’un dépôt de cinématographie historique)” e “La photographie animée. Ce qu’elle est, ce qu’elle doit être”1. Per Matuszewski il cinema non è un’arte, neppure in potenza, bensì un semplice dispositivo meccanico di riproduzione del reale. Al massimo, cinema e fotografia possono servire a documentare arti ontologicamente effimere, come il teatro. Ma proprio grazie alla sua natura nonartistica, l’occhio “imparziale” dell’obiettivo non può mentire. Secondo Matuszewski, quelli che oggi definiamo film di non-fiction, e che nei primi anni della storia del cinema si chiamano “attualità” o film “dal vero”, offrono agli studiosi – del presente e del futuro – un patrimonio immenso, un nuova “fonte”. L’oggettività della macchina da presa – scrive Matuszewski nel primo saggio – è tale che potrebbe addirittura liberare il ricercatore dalla fatica della ricerca: «Da semplice passatempo la fotografia animata diverrà allora un agevole strumento per lo studio del passato, o meglio, dandone la visione diretta, farà sì che almeno su certi punti
1 Per la traduzione italiana dei due saggi, corredata da un’ampia introduzione, vedi Giovanni Grazzini, La memoria negli occhi. Bolesław Matuszewski: un pioniere del cinema, Roma, Carocci, 1999.