L'UMBRIA E LA GUERRA DI LIBIA (1911-1912)

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Marcello Marcellini

"L'Umb ria e la Guerra di Libia (1911 -1912)"

Proprietà letteraria riservata

© Marcello Marcellini

© Kion Editrice, Terni Prima Edizione ott0bre 2016

ISBN: 978 -88 -97355 -99 -1

Immagine di copertina: Achille Be/trame: ''Lo sbarco a Tripoli del poderoso corpo mi/itare di occupazione'~ da La Domenica del Corriere del 22-23 Ottobre 1911

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Marcello Marcellini

L'Umbria e la Guerra di Libia (1911-1912)

in appendi ce:

Gerarchia di potenza, navi, colonie e mezzi aerei

di Basilio Di Martino

SOMMARIO Prefazione 7 L'UMBRIA E LA GUERRA DI LIBIA Tripoli, bel suol d'amore? 13 La battaglia di Salvemini 20 I moti di piazza e lo sciopero generale del 27 settembre 23 Alle armi! 26 In trincea con il colera 29 Sciara Scia t 32 La reazione della s t ampa umbra 37 La Tripolitania e la Cirenaica annesse per decreto 40 La seconda ondata del corpo di spedizione 43 Si combatte per la conquista delle oasi 46 Gli ascari eritrei a Terni 52 Gu adagni e tormenti di una grande industria 55 Sottoscrizioni e iniziative per la guerra 59 Ritorni e partenze 64 L'occupazione del Dodecaneso e i primi negoziati 72 Sidi Bi la! e il morale dei soldati italiani 76 Una pace con traversa 80 IMM AGINI 87 APPENDICE 103 Gerarchia di potenza, navi, colonie e mezzi aerei (Gen . Isp. Basilio Di Martino) 105 52° Reggimento "Alpi", quadri, caduti e ricompense 114 Poesia di Riccardo Gradassi Luzi 126 INDICE DEI NOMI 129

Il mio interesse per la Libia risale al 1991 quando nel maggio di quell'anno ci andai per turismo con la mia moto passando per la Tunisia lungo l'antica strada costiera romana che univa le Colonne d'Ercole a Alessandria. La mia meta era Luxor, in Egitto, che raggiunsi dopo aver percorso oltre quattromila chilometri di cui circa milleottocento in Libia. Si trattò di un viaggio un po' rischioso; era appena terminata la Guerra del Golfo e non sapevo quale accoglienza avrei ricevuto in questi paesi. Ma l'anno prima con la mia moto ero stato in Algeria ed ero rimasto affascinato dal deserto e dai costumi dei popoli che avevo conosciuto e così decisi di partire ugualmente dopo averne parlato con il direttore di "Motociclismo", Guido Re, mio caro amico, che mi assi curò il suo interessamento. 1

In Tripolitania la polizia libica, nonostante avessi tutti i documenti in regola, tra cui il richiesto carnet de passages en douane, mi trattò con una certa arroganza: perquisizione delle borse e molte domande in arabo da parte di poliziotti che con una mano sfogliavano il passaporto e con l'altra mi puntavano contro il mitra. A Tripoli dalla finestra del mio albergo vidi ancorata nel porto una nave italiana di un bel colore bianco e giallo. Era la Dora Riparia. Mi sentii rassicurato nel vedere a poche centinaia

I Il raccon to di questo viaggio è stato pubblicato sul numero specia le de l luglio 1992 d i "Motoc icl ismo", Ed ispo r t Editoriale SpA, Milano 1992, con il t i tolo Solo contro il deserto.

PREFAZIONE
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di metri una nave italiana, ma quando mi recai al consolato, dove avrei dovuto segnalare il mio passaggio (così era previsto nel mio visto), seppi che la Dora Riparia era stata sequestrata dai libici perché dai documenti risultava che era passata per Haifa. Gli italiani che incontrai nel consolato erano una piccola comunità molto affiatata e solidale. In quel momento si stavano dando da fare non solo per far dissequestrare la nave ma anche per far restituire ad uno di loro l'appartamento che una famiglia di libici aveva occupato mentre quello era andato in Italia per una vacanza di alcuni giorni. Un fatto, mi dissero, che accadeva molto spesso .

Per uscire da Tripoli mi guidò l'istinto e il mio senso di orientamento. Non vi erano cartelli bilingue e comunque sarebbe stato impossibile decifrarli perché le scritte arabe erano state ricoperte con una spessa vernice verde. In un piccolo ristorante di Sirte dove mi fermai per una sosta conobbi un marchigiano, un rappresentante di commercio che faceva la spola tra Tripoli e Bengasi, il quale mi riferì che le scritte dei cartelli stradali erano state rese incomprensibili per disorientare i commandos israeliani di cui si temeva un attacco imminente. Visitai Leptis Magna e conobbi gli archeologi italiani che avevano tirato fuori dalla sabbia il grande arco di trionfo di Settimio Severo. Erano orgogliosi del loro lavoro e vivevano senza dare nell'occhio (e senza ostentare le abitudini occidentali) in alcuni edifici scalcinati nei pressi delle rovine che stavano in piedi dai tempi di Balbo.

Dicevano che Gheddafi era imprevedibile e che sarebbe bastato poco per essere cacciati via dalla Libia e perdere il lavoro.

In quel momento capii quanto fosse difficile essere italiani in un paese retto da un dittatore che, tra l'altro, pretendeva ancora il risarcimento per le vittime e i danni

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provocati dal nostro esercito nella guerra del 1911-1912.

Mi stavo facendo una pessima idea della Libia ma in Cirenaica, passata Bengasi, dovetti ricredermi. La gente si dimostrò così ospitale che né gli addetti ai distributori né i proprietari dei rari ristoranti , una volta saputo che ero italiano, volevano accettare i miei soldi. La cosa mi meravigliò e mi incuriosì molto anche perché sapevo che proprio in Cirenaica le truppe di Graziani non avevano certo lasciato un buon ricordo.

Arrivato a Soloum, al confine con l'Egitto, non trovai nessun posto di dogana né di polizia . Era accaduto che, mentre ero in viaggio, Gheddafi, come mi spiegarono poi i poliziotti egiziani, aveva avuto la stravagante idea di pensare di unire la Libia all'Egitto eliminando i controlli alla frontiera. Naturalmente gli egiziani si guardarono bene dal fare altrettanto.

Più volte durante l'attraversamento della Libia mi venne da pensare ai soldati italiani, per gran parte contadini (c'era anche il fratello di mio nonno, Marsilio Marcellini, di Massa Martana, bersagliere, classe 1888) mandati un secolo prima a conquistare quello che, secondo Gaetano Salvemini, non era altro che uno "scatolone di sabbia".

Dall'Umbria ne partirono alcuni migliaia, molti dei quali appartenevano ai reggimenti 51 ° e 52° acquartierati a Perugia e Spoleto. Non sapevano nulla del paese dove andavano a combattere e non avevano mai visto il deserto. Si erano sentiti dire che sarebbe stata una passeggiata ma non fu così perché i turchi e gli insorti arabi, sebbene inferiori di numero e male armati, diedero loro del filo da torcere.

La guerra di Libia provocò un'ondata di antimilitarismo che durò a lungo e trovò la sua massima espressione a ridosso della Grande Guerra, nella c. d. "Settimana Rossa" del giugno 1914, durante la quale anarchici, sindacalisti rivoluzionari, repubblicani intransigenti e socialisti mas-

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simalisti tentarono di sovvertire le istituzioni. Per due anni l'antimilitarismo fu la loro bandiera e il gesto dell' anarchico Masetti, il coscritto che, in procinto di partire per la Libia, sparò al suo colonnello, fu talmente esaltato da convincere Errico Malatesta a lasciare Londra e a tornare in Italia per mettersi alla guida di una rivoluzione che sembrava imminente.

Q}iesto studio ha lo scopo di raccontare come reagì l'Umbria quando Giolitti decise di organizzare la spedizione tripolina e quali furono le reazioni delle forze politiche e della stampa locale alle notizie che mano a mano giungevano dalla Libia durante i dodici mesi della durata del conflitto.

Le mie ricerche presso gli Archivi di Stato di Perugia, Temi, Viterbo e, in particolare, presso la Sezione di Archivio di Stato di Spoleto e la Biblioteca Comunale di Temi, sono state agevolate e, vorrei aggiungere, rese anche piacevoli dalla professionalità e dalla cortesia dei funzionari di questi uffici. Pertanto, nel licenziare questo volume sento il dovere di ringraziarli sentitamente.

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2 Sarebbe stato più corretto definire quel conflitto Guerra Italo - Turca e non Guerra di Libia, poiché all' epoca non esisteva nelle carte geografiche la Libia (come venne successivamente chiamato dagli italian i il territorio costituito dalle regioni della Tripolitania, del Fezzan e della Cirenaica), ma poiché è invalso nel lingu aggio corrente definirlo Guerra di Libia, ho ritenu to opportuno adottare quest'ultima espressione.

L'UMBRIA E LA GUERRA DI LIBIA ( 1911-1912 ) 2

Il 2 ottobre 1911 una squadra della flotta italiana al comando del vice ammiraglio Luigi Faravelli, composta da dodici navi da battaglia, per gran parte dotate di corazze e cannoni costruiti nelle Acciaierie di Temi, gettò le ancore davanti al porto di Tripoli. Ad un ufficiale della torpediniera Albatros fu dato incarico dal vice ammiraglio Thaon di Revel di sbarcare e di consegnare alle autorità turche una intimazione di resa che fu di fatto respinta. Pertanto alle 15,30 del giorno successivo le navi italiane cominciarono a bombardare i forti Sultaniè e Hamidiè, la batteria del Faro e il forte del Molo posti a difesa della città. Fu una battaglia impari perché, come ricorda Sergio Romano, le nostre navi sparavano da 7.000 metri e raggiungevano il bersaglio mentre i proiettili dei cannoni turchi cadevano in acqua a 4.000 metri dalla riva.3

Nel primo pomeriggio del 5 ottobre circa 1. 700 marinai al comando del capitano di vascello Umberto Cagni, il compagno del duca degli Abruzzi nella avventurosa spedizione polare del 1899, sbarcarono a Tripoli che i turchi nel frattempo avevano abbandonato .

Cagni, in attesa dell'arrivo del corpo di spedizione, predispose, con le scarse forze disponibili, una sottile linea di difesa lunga 5 chilometri intorno alla città e per ingannare gli arabi e i turchi circa la reale consistenza delle sue forze diede ordine ai marinai di sfilare in continuazione per le vie di Tripoli. Contemporaneamente fece diffondere

TRIPOLI,
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3 Cfr. S. Romano, La Qµarta Sponda, Longanesi, Milano 2005, p. 78.

la voce tra la popolazione che il comandante italiano avrebbe pagato due talleri a chiunque gli avesse consegnato entro la mezzanotte un fucile. Gli arabi ne consegnarono circa 1.400. In quel primo giorno, grazie anche all'intraprendenza e all'astuzia di Cagni, tutto filò liscio e Tripoli fu occupata dai marinai italiani senza spargimento di sangue. Contemporaneamente, in Cirenaica, anche T obruk e Derna venivano occupate dai marinai italiani senza dover combattere. La facilità con cui avv ennero questi sbarchi fece pensare che effettivamente, come alcuni avevano sostenuto, gli arabi avrebbero accolto il nostro corpo di spedizione in modo amichevole e che l'Italia si sarebbe impadronita della Tripolitania e della Cirenaica senza colpo ferire ma, come vedremo, le cose andarono diversamente. Tra l'altro, gli arabi, qualche giorno prima dell 'arrivo di Cagni, avevano ricevuto via mare da Costantinopoli un importante carico di armi (20 mila fucili Mauser e 2 milioni di cartucce) e, sotto la guida di ufficiali turchi , si stavano organizzando per attaccare gli invasori.

L'edizione di Perugia de "L'Unione Liberale" del 7 ottobre pubblicò in prima pagina un lungo articolo dal titolo: Il tricolore è sulla città bianca con cui si dava la notizia dello sbarco a Tripoli dei nostri marinai con queste solenni parole:

"Q!iello che era il diritto e il dovere d'Italia è compiuto. Da ieri il tricolore nostro sventola su un'altra sponda del Mediterraneo affermando al cospetto del mondo la riconquista alla civiltà, al progresso, alla luce, all'indefinito divenire delle Nazioni e dei Popoli, di questo lembo di terra africana che aveva conosciuto le glorie di Roma e ancora ne serbava le testimonianze vive, conservate attraverso i lunghi secoli di barbarie, di ignoranza, di miserie senza nome".

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Ad eccezione di pochi giornali di diffusione nazionale come l' "Avanti!", socialista, "L'Internazionale", sindacalista rivoluzionario e "Il Secolo", radicale, tutti gli altri, sia laici che cattolici, come "La Stampa", il "Corriere della Sera", "Il Messaggero", "Il Giorn ale d'Italia", "L'Avvenire d'Italia", il " Corriere di Sicilia", "Il Resto del Carlino" ecc. avevano incoraggiato la spedizione. I nazionalisti, per sollecitare "la ripresa dell'espansionismo coloniale" avevano anche fondato a Roma, il 1 marzo 1911, anniversario della sconfitta di Adua, un giornale, "L'Idea Nazionale" e si battevano contro l'internazionalismo, il pacifismo e il socialismo .4

In Umbria uno dei periodici che aveva manifestato il più grande entusiasmo era stata l'edizione ternana de "L'Unione Liberale" con l'articolo di Steno dal titolo Ciò che incombe in quest'ora pubblicato a Terni domenica 1° ottobre 1911, mentre la flotta italiana navigava verso T ripoli dopo la scadenza dell'ultimatum dell'Italia alla Turchi a.s Secondo il giornalista, la flotta che "ardita e sicura" solcava il Mediterraneo avrebbe dovuto "vendicare le atroci offese" recate dai turchi alla "nazione italiana" e "difendere la vita minacciata dei fratelli" residenti in Libia. 6

4 Cfr. A. De l Boca, Gli italiani in Libia, Mondadori, Milano 2015, pp. 51-52. (Pr i ma Edizione: Mondadori Oscar Storia 1993).

5 Steno era lo pseudon im o dell'avvocato Stefano Lazzari, direttore dell'edizione ternana del giornale che ven iva pubbl icato ogni domenica anche a Perugia. " L'Unione Liberale" si definiva Gazzetta politica, settimanale, letteraria e commerciale dell'Umbria. In iz iò le pubblicazioni nel 1880 e le cessò nel 1925. Con l'ultima t um del 27 settembre l' I talia comunicava al governo im periale turco che aveva deciso di occupare militarmente la Tripoli tania e la Cirenaica e che entro 24 ore detto governo avrebbe dovuto emanare ordini per consentire l'occupaz ione "senza opposizione".

6 Probabilmente Lazzari si r iferiva alla uccisione di un frate france-

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La spedizione tripo lina ve ni va giustificata anche con i l fatto che quei territori una volta facevano parte dell'Impero Romano; che Settimio Severo er a na to in Tripolitania; che la Cirenaica era stata una colonia romana con il nome di Flavia ecc ...

Forse l'editoriale di Steno voleva anche essere una risposta a quello di Alessandro Romagnoli , che i l 16 settembre, sul giornale ternano da lui diretto, "Il Grido degli Oppressi", organo dei Sindacalisti e dei Giovani Socialisti Umbri, aveva ammonito il re e il governo Giolitti con queste parole:

"Tripoli, come l'Eritr ea, costerà sacr ifici all'Italia che di utile non ricave r à altro che fumo. Il primo esperimento africano avrebbe dovuto insegnar e qualcosa . Il sogno imperialistico del buon Um berto I è costato milioni, vite umane e ... beffe. La grandezza d'Italia e il suo va lor e militare ne uscirono rimpic cioliti e il raggiungimento dell'imperiale sogno costò la vita al re Sabaudo... " 7

In Umbria i socialisti d i Perugi a e di Terni av evano condannato unanimemente l' imminente decis ion e del governo di dichiarare guerra alla Turchi a . "La Battaglia", l'organo della sezion e socia lista di Perugia, in u n editoriale del 23 settemb re l' aveva definita "un quarto d ' ora di follia che passa sull'Italia." E dopo aver affermato che l'impr esa sarebbe costata almeno 400 milioni, aveva rivolto al governo questa domanda: "Ora, quando si pensi che nel Mezzogiorno c'è tanta T ri politani a che ha bisogno di vie, di

scano, pad re G iustino, per mano di fanatici arab i avvenuta a D erna nel ma rzo del 1908 e di quella di un giovane residente italiano, di Tr ipo l i, Gastone Terreni, ucciso a giugno dello stesso anno alle porte della città, per motivi restati sconosc i ut i.

7 Alessandro Romagnoli, classe 1881, farmacista, esponente ternano dei sindacalisti rivoluzionari, era all'epoca direttore de "Il Grido degli Oppressi".

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ferrovie, di acqua, di scuole, di risanamento, di rimboschimento, di una coltura più razionale, viene spontanea la domanda: ma vale proprio la pena di andare a profondere tanti milioni in Africa quando noi abbiamo tanta parte di Africa proprio in Italia?"S

Effettivamente era illusorio pensare che quelle terre avrebbero potuto rappresentare una grande opportunità per i nostri contadini del sud e che inoltre gli arabi, come veniva da più parti sostenuto, ci avrebbero accolto a braccia aperte. Uno dei quadri più esatti di quello che ci aspettava in T ripolitania e in Cirenaica lo tratteggiò un anonimo giornalista in un articolo pubblicato su "La Scintilla", il giornale socialista di Ferrara, e riportato il 30 settembre su "Il Grido degli Oppressi":

"Quand'anche ci impossessassimo delle terre della Tripolitania, per nove decimi infeconde, aride, tristi, che cosa avremmo conquistato? Dove invieremo i nostri emigranti? Nelle sabbie forse? Che cosa ne ricaveremmo? [... ]

I migliori terreni sono già occupati. Gli arabi sono i legittimi possessori delle parti coltivate della T ripolitania, parti divise in piccoli numerosissimi poderi. Se solo si tentasse di cacciarli via scoppierebbe una rivolta terribile e generale. Gli arabi vengono giudicati [... ] un pericoloso avversario [.. .] e lo possono dire gli Spagnoli e i Francesi che sanno quanto costa di vite e di denaro una guerra di imboscate e di estenuanti sorprese. [.. .]. Terra fertile e libera da distribuire non esiste più in Tripolitania. La terra coltivabile è proprietà privata e noi abbiamo visto come gli arabi saprebbero difenderla." 9

8 Secondo gli storici S. Cilibrizzi e A. D'Alessandro, citati da S. Romano nel vo lume La Qµarta Sponda (cfr . pp. 254 e 265 ) la guerra costò non meno di un miliardo.

9 L'articolo fu probabi l mente scritto da Michele Bianch i, classe 1882,

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Anche "Il Popolo", il settimanale repubblicano che si stampava a Perugia, in un polemico editoriale del 30 settembre aveva preso posizione contro la spedizione con questi argomenti: "Ma poniamoci il quesito: quanto ci costerà quest'impresa? Abbiamo noi tale esuberanza di capitali da andarli a profondere in Africa? Andare a Tripoli solo per piantarvi una bandiera nazionale [... ] ed avere la soddisfazione di dire che abbiamo una colonia, sarebbe un programma da bambini. [...] Mezzo miliardo sottratto ai bisogni di un paese povero come il nostro non costituisce già un delitto? Ma, ci rispondono i nazionalisti guerrafondai, l'Italia troverà uno sbocco ai suoi lavoratori e le crisi di disoccupazione saranno risolte. In che modo? Distribuendo la terra alle famiglie degli agricoltori? Ma quelle terre sono proprietà degli Arabi: l'Italia non potrà, come i barbari di Attila, spogliarne i legittimi possessori."

Timidamente a favore della guerra si era dichiarato "La Democrazia", quotidiano della provincia dell'Umbria, che comunque aveva previsto una facile vittoria dell'Italia considerando che "la Turchia, non potendo fare assegnamento sull'aiuto di altri Stati, non può non considerare una follia cimentarsi con un nemico incomparabilmente più forte" ,10

"La Turbina", l'organo della sezione socialista di Terni "Luigi Riccardi" e della federazione socialista umbra, aveva preso decisamente posizione contro la spedizione: "Una seconda sciagura eritrea si sta preparando dai briganti della banca: l'Impresa Tripolina. Un gruppo di finanzieri clerico-

che nel 191 1 era socialista e antimi litarista. Successivamente con lo scoppi o della Prima guerra Mondiale divenne interventista e partì volontario. Al ritorno aderì al Fascismo e fu uno dei quadrunviri alla Marcia su Roma. Durante il Ventennio rivestì la carica di se gretario nazionale del PNF e nel 1929 fu ministro dei Lavori Pubblici.

IO Cfr. "La Democrazia" del 3 otrobre 19 11.

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liberali e di affaristi monta l'opin ione pubblica per spingere la nazione ad una impresa che sarà fonte di nuove speculazioni per i trust e di nuove spese e di nuovi sacrifici per il proletariato. Operai! È tempo di insorgere contro queste PATRIOTTICHE PIRATERIE. [... ] Se l'Italia militarista dei trust vi sospinge a Tripoli voi scendete nelle piazze! La logica delle parole ceda a quella più persuasiva dei fatti." 11

Il leader di opinione di questa campagna di opposizione alla guerra era Gaetano Salvemini al quale i giornali umbri come "Il Grido degli Oppressi", "La Turbina" , " La Battaglia" e "Il Popolo" facevano spesso riferimento.

Il Cfr. "La Turbina" del 23 settembre 1911.

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LA BATTAGLIA DI SALVEMINI

In una serie di articoli pubblicati a settembre sulla rivista culturale "La Voce" di Prezzolini e Papini, Salvemini demolì in modo sistematico tutte le falsificazioni e le esagerazioni di coloro che erano favorevoli alla spedizione. Al corrispondente de "La Stampa" Giuseppe Bevione il qua le aveva scritto, tra l'altro, che in Tripolitania c'era un territorio montano ricco d'acqua, fertile e più grande dell'Italia dove i gelsi erano "grandi come faggi e gli olivi più colossali delle querce", pronto ad accogliere "milioni di italiani", Salvemini replicò seccamente con queste parole: "Basta guardare una carta geografica un po' particolareggiata [...] per vedere che il Bevione dice una corbelleria."12 Sempre a Bevione e ali' on. Andrea Terre i quali sul "Corriere della Sera" sostenevano che in Tripolitania vi erano giacimenti di zolfo (il petrolio non era ancora stato scoperto) che si estendevano "per migliaia di chilometri" e che se l'Italia non se ne fosse impadronita l'avrebbe fatto qualche altra potenza europea mettendo così in crisi la produzione di zolfo siciliana, rispose nel modo seguente: "Per eccitare gli animi degli italiani all'impresa presentano il miraggio di una immensa ricchezza zolfifera messa lì a portata di mano ... E nello stesso tempo affermano che dobbiamo andare a Tripoli a impedire che le miniere tripoline rovinino con la loro concorrenza le miniere della Sicilia, cioè dovremmo andare a Tripoli non per arricchirci sfruttando

Feltrinelli,

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12 G. Salvemini, Come siamo andati in Libia (a cura di Augusto Torre), Milano 1963, p. 103.

le mm1ere, ma a rimanere poveri impedendone lo sfruttamento ."13

A proposito delle ripetute richieste di intervento da parte del Banco di Roma che da qualche anno aveva aperto delle succursali in Libia e che affermava di sentirsi minacciato dai Turchi, così replicò: "Noi abbiamo il dovere di tutelare gli interessi di tutti i nostri concittadini all'estero, a qualunque partito appartengano, anche se sono andati all'estero senza l'intesa del governo. Ma questo non vuol dire che per ogni incidente che succeda a un nostro concittadino in qualunque parte del mondo, noi si debba andare a conquistare quella parte del mondo."1 4

Salvemini attribuì al "Corriere della Sera" "un grado altissimo di responsabilità nella guerra di Libia" e volle svelare impietosamente le bugie che pubblicava. Su una si soffermò in particolare: quella secondo cui in Cirenaica da un chicco di grano potevano nascere "340 spighe" .

Qyesta "frottola", scrisse Salvemini, "pubblicata su 600 mila copie proprio la sera del 27 settembre (il giorno dell'ultimatum alla Turchia, ndr) è stata riprodotta da migliaia di giornali e giornaletti locali e ha contribuito, certo fortemente, a creare quella frenesia di cui tutta l'Italia era presa negli ultimi di settembre; frenesia fatta 1) di ingordigia per le ricchezze favolose da conquistare; 2) di sicurezza leggerona per la nessuna difficoltà dell'impresa ('gli arabi ci aspettano a braccia aperte', 'avevano preparato le bandierine,' ' i Turchi, vile razza dannata, si sarebbero subito sbandati'); 3) di furore bestiale contro chi si rifiutava di abdicare all'uso della ragione nella stoltezza universale; frenesia contra la quale nessun governo poteva ormai più lottare. E la guerra venne ... "15

13 Ibidem , p . 105.

14 Ibidem, p. 115.

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Salvemini era uno stimato professore di lettere che, tra l'altro, aveva insegnato storia e geografia n e i licei classici di Faenza e di Lodi. Conosceva bene la storia di Roma e così, quando il "Corriere della Sera", il 12 gennaio 1912, definì la Libia "l'antico granaio di Roma" confutò l'asserzione con un articolo che è una dotta lezione di storia spiegando che "l'ufficio di fornire il grano alla plebe di Roma toccava, sotto il dominio romano, alle province così dette frumentarie e queste erano : l'Egitto, l'Algeria, la Tunisia, la Sicilia e la Sardegna", e non la Libia.1 6 Qyando Prezzolini, a guerra iniziata lo invitò a tacere per amor patrio e ad occuparsi d'altro, Salvemini per coerenza lasciò "La Voce" e a d ic embre fondò il settimanale "L'Unità" dove continuò a dimostrare la falsità di tutte "le corbellerie giornalistiche" che continuavano ad essere pubblicate sull'impresa libica.

Anche Giolitti, che per lo storico inglese Whittam disprezzava l'antimilitarismo quanto il militarismo ("disliked anti-militarism, as much as militarism") I7 , inizialmente fu contrario perché riteneva che l'integrità dello impero ottomano fosse una condizione di equilibrio per l'Europa, 18 ma poi, quando si rese conto che la conquista della Tripolitania e della Cirenaica "suscitava consensi nella borghesia settentrionale e fra i contadini meridionali, nell'Italia laica e in quella cattolica, [...] si limitò a registrare, probabilmente controvoglia, questo dato di fatto, e [...] preparò la guerra." 19

15 Ibidem, p. 139.

16 Ibidem, p. 14 1.

17 John Whittam, The Politics ofltaliam Army 1861-1918, LondonHamdem, Croom Helm Arcor Books, 1977, p. 7.

18 S. Romano, La Quarta Sponda, cit. p. 47

19 Ibidem, p. 11.

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I MOTI DI PIAZZA E LO SCIOPERO GENERALE DEL 27 SETTEMBRE

Ma la guerra, eccetto gli anarchici, unanimi nel condannarla , la vollero in molti. E non soltanto i nazionalisti, ai quali bruciava ancora il ricordo della sconfitta di Adua del 1896, ma anche i cattolici, parte dei repubblicani, alcuni sindacalisti rivoluzionari e molti socialisti. Per questi ultimi l'argomento convincente era la possibilità che la colonizzazione di quelle terre avrebbe potuto porre un freno alla forte emigrazione che dall'inizio del '900 aveva costretto sei milioni di contadini italiani a lasciare il paese per recarsi all'estero.

Ma c'era anche chi, come G . Ugo Nazzari, il direttore de "L'Unione Liberale" di Perugia, esaltava la guerra tout court considerandola anche un'occasione di "redenzione spirituale e morale" per il popolo italiano. In un editoriale pubblicato il 25 settembre dal titolo La virtù delie armi, volle ricordare che quando gli ufficiali del 51 ° reggimento di fanteria del deposito di Perugia, non appena fu disposta la mobilitazione, chiesero ai loro soldati se fossero disposti a partire per la Libia tutti, eccetto quattro con famiglie numerose, avrebbero fatto "il loro bravo passo avanti, pronti a fare lo zaino e a mettersi in marcia, pronti anche a farsi ammazzare." Per Nazzari questo episodio, simile, d'altronde, a quelli avvenuti "in tutte le sedi reggimentali", avrebbe rivelato il vero stato d'animo del popolo italiano perché, "nonostante la scuola della vigliaccheria pacifista, eunuca e bottegaia", la guerra esercitava ancora "un prodigioso fascino di entusiasmo, una mirabile forza di ecci-

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tamento e di elevazione". Ess a, tra le tante "virtù", era anche "scuola della redenzione spirituale e morale del popolo, strumento di elevazione e di dignità, scuola di sacrificio e perciò di affratellamento e di generosità, scuola di educazione e perciò di civiltà".

La Cgdl, in una riunione tenutasi a Bologna il 25 settembre alla quale parteciparono anche i vertici del partito socialista, indisse per il 27 uno sciopero generale di protesta in tutto il paese contro la guerra. La decisione fu ado ttat a anche a seguito dei moti scoppiati a Forlì il 24 settembre ai quali avevano preso parte Mussolini e Nenni che all'epoca militavano rispettivamente nel partito socialista e in quello repubblicano .20 Ma il 27, giorno fissato per lo sciopero (che coincideva con quello dell'invio dell'ultimatum alla Turchia), pochi si astennero dal lavoro. L'Umbria non fece eccezione: a Perugia, ad esempio , come riportò "La Battaglia", dopo un incontro "tra tutti i rappresentanti delle organizzazioni operaie e di tutti i partiti sovversivi" si decise "concordemente di non scioperare, ma di organizzare una protesta operaia sia con manifesti sia con comizi" affidandosi ad una "apposita commissione".2 1

20 Per i moti d i Forlì, Mussolini e Nenni furono arrestati e condannati a sette mesi d i reclusione (ridotti poi a cinque) che scontarono assieme nel carcere di Bologna.

21 Cfr. "La Battaglia" del 30 settembre 19 11. A ll'epoca il te rmine "sovve rs ivo" non aveva generalmente un significa to spregiativo. Gli stessi ana rc hic i, i socialisti massimalisti e i sindacalis t i rivoluzionari si definivano "sovvers ivi". In un documen t o dell'Ufficio Riservato di P.S. del Ministero de ll'Int erno , conservato nell'ACS, risulta che il governo italiano considerava "sovversive" le seguenti associaz ioni: le "anarchic he", le "repubb licane", le "socialiste" comprese le riformiste, le "sindacaliste", i "ci rcoli giovanili socialisti" e persino quelli "clerica li" (cfr. L. Lotti, La Settimana Rossa, Le Monnier, Firenze, 1965, p. 283).

24

Secondo Ugucc ione Ranieri di Sorbello, quando a Perugia si diffuse "la notizia pubblicata il 25 settembre che le navi italiane facevano rotta su Tripoli", ci fu una certa eccitazione. Ma i fogli perugini, eccetto "L'Unione Liberale", restarono piuttosto indifferenti. "Quasi che una spedizione in Africa fosse solo un altro aspetto della mondanità" che in quei giorni caratterizzava il clima della bella città umbra dove affluivano tanti rappresentanti del "bel mondo". 22

La partenza dei richiamati non fu sempre accompagnata da saluti festosi. "A Terni", ricorda Dario Ottaviani, "l'impresa in terra libica fu accolta con indifferenza e anche con ostilità tanto che la forza pubblica non fu in grado di prevenire il tentativo dei socialisti di impedire dalla locale stazione ferroviaria la partenza di un treno di richiamati diretto a Spoleto." 23 A Poggibonsi, come riportò "L'Unione Liberale" del 29 settembre, "la popolazione si era riversata alla stazione per impedire la partenza dei richiamati," e donne, ragazzi e operai, dopo aver sopraffatto i carabinieri, "si erano distesi sui binari e dinanzi alla macchina erano state ammucchiate alla rinfusa, a guisa di piccole barricate, casse, bagagli, val igie, ecc. [...] Solo quando i quattrocento richiamati ebbero fatto ritorno in paese, la folla lasciò la stazione e il tr eno poté ripartire giungendo a Siena con tre ore di ritardo. "Tutta la popolazione di Poggibonsi", secondo l'autore dell'articolo, era "assai ecci tata!"

22 Cfr. Uguccione Ranieri di Sorbello, Perugia della bell'Epoca, Volumnia Edi t rice in Perugia, 2005, pp. 539-540.

23 D. Ottaviani, Il Novecento a Terni - cronistoria dal 1910 al 1920. Tip. Visconti, Terni 1991. p . 39.

25

Per costituire il corpo di spedizione fu emanato, su proposta del ministro della Guerra, il gen. Paolo Spingardi, previa delibera del consiglio dei ministri, il regio decreto 23 settembre 1911 n. 1011, con cui furono chiamati alle armi i militari appartenenti alla classe 1888, in congedo illimitato. Il giorno successivo fu emanato un altro regio decreto, il n. 1023, con cui venne indetta " la mobilitazione di un corpo di spedizione oltremare" a capo del quale fu posto il generale Carlo Caneva di anni 66, un uomo di salute precaria che "non soffriva né di facili entusiasmi né di pruriti bellicosi. "24

Il corpo di spedizione era composto da due divisioni di fanteria, formate da 4 brigate con i reggimenti 82°, 84°, 6°, 40°, 22°, 42°, 4° e 63°, due reggimenti di bersaglieri, 1'8° e l' 11 °, alcuni reggimenti di artiglieria, due squadroni di cavalleria, una compagnia di telegrafisti e un battaglione di zappatori del genio, per un totale di 34 .000 uomini.

Per la partenza di un primo scaglione vennero requisite varie decine di navi e nel pomeriggio dell'8 ottobre i primi dodici piroscafi, gremiti di soldati, armi, muli, cavalli

salparono per Tripoli dal porto di Napoli alla presenza del re, accompagnati dalle grida di saluto di una folla festante. Dopo alcune ore altri no ve piroscafi partivano dal porto di Palermo e la mattina dell ' 11 arrivarono a Tripoli assieme alla squadra di Napoli. Nella notte tr a il 10 e 11 altre diciannove navi partirono da Augusta e, scor-

ALLEARMI!
24 Cfr. S.
86
26
Roma no, La Quarta Sponda, ... cit., p.
.

tate da sette navi da battaglia, giunsero a destinazione la mattina del 12.25 In totale con questa prima parte del corpo di spedizione sbarcarono a Tripoli circa 22.000 soldati.

Alcune compagnie inquadrate nell ' 11 ° bersaglieri erano in prevalenza composte, come risulta dai fogli matricolari del distretto di Spoleto e Perugia, da richiamati umbri.

Si trattava per gran parte di contadini, scarsamente addestrati e in buona percen t uale analfabeti. Parlavano dialetti diversi, anche nella stessa compagnia, perché i reggimenti erano formati da soldati provenienti da più regioni al fine, si diceva, di agevolare l'unificazione e creare comunanza di idee. Dai fogli matricolari risulta che l'altezza media era di c ir ca un metro e sessanta e molti aveva no i denti "guasti".

I fanti, in divisa grigio verde e casco coloniale, erano dotati del fucile Mannlicher-Carcano mod. 1891, in produzione anche presso la Fabbrica d'Armi di Temi. Con la prima ondata del corpo di spedizione fu inviata una flottiglia di 9 aeroplani e di 3 dirigibili. A Tripoli il comando del reparto dirigibili fu affidato al capitano Giulio Valli, narnese, classe 1875, il quale con i l suo P3 partecipò a 55 missioni per effettuare rilievi fotografici e bombardamenti sulle carovane e sugli accampamenti nemici.26 Furono spediti anche hangar "smontabili e trasportabili, in gran parte costruiti nelle officine Bosco e sotto la direzione di Felice Bosco e Felice Donatelli" dei quali nei giorni seguenti, "fu pubblicata una fotografia che li ritraeva su un aereo in Tripolitania."27

25 Ibidem, pp. 89 -90.

26 Valli raccontò le sue esper ienze nella guerra di Libia in un diario postumo dal titolo Tra mare e cielo, pubblicato dalla Fondaz i one della Cassa di Ris parm io di Terni e Narni nel 2004. Per aver comandato "in modo encomiabile il reparto dirigibili di Tripoli" fu insign ito de l titolo di Cavaliere dell'Ordine di Savoia.

27

Non appena la prima ondata del corpo di spedizione sbarcò a Tripoli, i marin ai di Cagni lasciarono la città e tornarono sulle navi. Per alcuni giorni erano riusciti a garantire l'ordine e ad evitare incidenti in una città di 36.000 arabi che li guardavano con un misto di sospetto e di timore. Ma con l'arrivo dell'esercito furono commessi degli errori che ebbero conseguenze fatali. Uno dei più gravi fu di sequestrare 300 arabi e costringerli con la forza a sbarcare sulle banchine del porto i carichi di 12 vapori. Un comportamento in netto contrasto con il proclama del contrammiraglio Borea Ricci, autoproclamatosi governatore della Tripolitania, il quale aveva annunciato che gli Italiani erano venuti a "liberare le popolazioni dal giogo dei turchi."28 Il lavoro di sbarco fu svolto in modo "abbastanza ordinato" poiché, come ha ricordato Del Boca, se qualcuno degli arabi si foss e ribellato sarebbe stato fucilato sul posto. Alla sera questi forzati venivano rinchiusi in un fondaco e nutriti "con gallette e acqua ."29

27 Cfr. D. Ottaviani, Il Novecento a Terni, ...c it. , p. 38. 28 S. Romano, La Quarta Sponda, cit., p. 112. 29 A. Del Boca, Gli Italiani in Libia, ...cit., p . 104. 28

Ma Caneva, secondo l'opinione di molti storici militari, commise anche un grave errore di strategia. All'esercito, appena sbarcato, diede ordine di mettersi sulla difensiva invece di inseguire i turchi che si erano ritirati all'interno, a pochi chilometri da Tripoli, e annientarli. In questo modo il nemico ebbe mo do di organizzarsi e di resistere a lungo. In effetti il capo del corpo di spedizione sembrò fin dall'inizio non avere alcuna fretta di far muovere l'esercito. Anche la sua abitudine di tornare a dormire tutte le sere sulla nave che lo aveva portato a Tripoli, lasciando il vecchio castello turco sul porto dove aveva fissato la sede del comando, faceva ritenere che non amasse troppo le guerre lampo. Per questi e altri motivi gli inviati dei giornali italiani lo criticarono duramente considerandolo più un burocrate che un militare.

Tra l'altro, fin dai primi giorni, l'a nziano generale dovette affrontare un grave e imprevisto problem a causato dal colera "presente da qualche mese nei pozzi delle oasi e nei datteri."30 Molti militari del corpo di spedizione cominciarono ad ammalarsi e a morire. I colpiti venivano portati in ospedali da campo o presso l'orfanotrofio della missione francescana dove però non vi erano mezzi per la cura. In tre mesi il colera uccise 7 ufficiali e 369 soldati. Tr a questi ultimi, come risulta dai fogli matricolari del dis tretto di Spoleto, vi furono: Giuseppè Brunotti di Narni, un bersagliere dell'l 1° reggimento, di professione falegna-

IN TRINCEA CON IL COLERA
30 Ibidem. 29

me, che morì il 1 novembre 1911, appena venti giorni dopo essere sbarcato, Orlando Ridolfi, un folignate del 1° reggimento granatieri, di professione stalliere, stroncato dal colera il 1 novembre 1911 , appena cinque giorni dopo lo sbarco a Tripoli e il caporale Romolo Pucciatti, bevagnese, anch ' egli del 1° granatieri, di professione calzolaio, che arrivò a Tripoli il 27 ottobre e vi morì il 18 novembre.

Nella rada di Tripoli erano ancorate anche navi ospedale, come la Memph1~ dove si era imbarcata in qualità di c rocerossina la bellissima Hélène di Francia, duchessa d'Aosta che volle andare a Tripoli nonostante la volontà contraria del re e di Giolitti. 31 Ma i malati di colera per il divieto dei comandanti non venivano curati su queste navt.

Probabilmente, per arginare la diffusione del morbo, fu anche spedita dall'Italia dell'acqua potabile e pers ino dell'acqua minerale. La circostanza risulterebbe da una lettera inviata da Derna dal soldato ternano Odoardo Lelli il quale, a dicembre, scrisse che "in Tripolitania si beve l'acqua S. Faustino". 32

Non sappiamo se la cautela con cui si mosse Caneva derivò anche dal problema del colera, comunque la sua prima iniziativa fu quella di trincerarsi tracciando una linea difensiva intorno alla città a partire dal forte Hamidiè, posto a est vicino al villaggio di Sciara Sciat, fino al forte Sultaniè passando all'interno per il villaggio di Henni e i pozzi di Sidi Messri e Bu Meliana. Forse alla base di questa decisione non vi furono soltanto ragioni strategiche ma anche psicologiche e culturali. Franco Cardini e Sergio

Valzania, nel loro interessante studio sulla guerra di Libia, sostengono che Caneva "era ossessionato dal ricordo di

32 D. Ottaviani, Il N o vecen to a Temi, ...

31 Ib id e m , p. 129.
c it., p. 3 8. 30

Baratieri e del disastro di Adua" e che, d'altronde, "fermarsi e affondare nel terreno costituiva la soluzione tattica privilegiata per una generazione di ufficia li formatasi studiando i giganteschi assedi nella storia della guerra moderna di Sebastopoli e di Richmond" .33

Ma la linea difensiva ideata da Caneva presentava dei punti deboli. La città di T ripoli, infatti, era situata ad occidente di una lunga oasi e mentre la parte a sud ovest dello schieramento di trincee era facilmente difendibile, dato che si trovava in terreno aperto al limitare del deserto, quella a est si estendeva all'in terno di un fitto palmeto attraversato da viottoli delimitati da muretti di sabbia e fichi d'india. "Q}iesta enorme città di palme e di orti", scrive Romano, "era densamente abitata. Vi erano case, villaggi, ville, marabutti, cimiteri o più semplicemente gruppi di tombe nel mezzo di una radura."34

33 F. Cardini e S. Valzania, La Scintilla, Mondadori, Milano 2014, p. 112.

34 S. Roman o, La Quarta Sponda, ...cit., p. 98.

31

L'll O bersaglieri con tre battaglioni e nove compagnie, in cui erano presenti molti umbri, si era trincerato al margine estremo dell'oasi tra il villaggi o di Henni e Sciara Sciat. In una posizione ché, dato lo stato dei luoghi, non consentiva di avvistare per tempo il nemico se fosse sopraggiunto alle spalle.

Dal giorno dello sbarco del corpo di spedizione a Tripoli le truppe italiane erano state attaccate alcune volte da gruppi di turchi e di arabi nei pressi dei pozzi di Bu Meliana e di Sidi Messri, tenuti dall'84° fanteria, nella parte sud dello schieramento. Si era trattato di scaramucce durante le quali gli italiani avevano usato anche l'artiglieria per respingere gli assalitori che si erano ritirati con qualche perdita.

Ma qualcosa stava cambiando nell'atteggiamento del nemico e il segnale (che, probabilmente, non fu ben compreso), venne da Bengasi, la capitale della Cirenaica dove gli Italiani il 19 ottobre, non appena sbarcati, furono affrontati dai turchi e dalla cavalleria araba e dovettero combattere a lungo e con gravi perdite (circa 30 morti e 100 feriti) prima di avere la meglio e respingerli.

A Tripoli, la mattina del 23 ottobre, gli arabo-turchi andarono nuovamente all'assalto delle trincee italiane sempre nella zona di Bu Meliana e Sidi Messri, e anche più a ovest tra forte Sultaniè e Gargaresch. Ma si trattò di un diversivo per tenere impegnati gli italiani di quel settore . Il vero attacco fu sferrato a est, tra Henni e Sciara Sciat, contro le postazioni tenute dall'l l O bersaglieri.

SCIARA SCIAT

Si trattò di un attacco preparato e studiato nei minimi particolari. La sorpresa fu completa anche se alcuni aerei italiani, tra cui il Blériot pilotato dal capitano Carlo Piazza, avevano effettuato un giro di ricognizione. Piazza, secondo Romano, non avrebbe avvistato lo schieramento nemico perché troppo impegnato a "controllare i motori".35

Alle 7,45 alcune migliaia di turchi e di cavalieri arabi affrontarono i bersaglieri frontalmente e, contemporaneamente, mentre infuriava il combattimento, una massa di qualche migliaio di arabi composta da giovani, vecchi, donne e ragazzi armati di fucili da guerra e da caccia, bastoni e coltelli, irruppe dall'oasi e li attaccò alle spalle. Lo scontro durissimo si protrasse per otto ore e alla fine i bersaglieri della 4a e della s a compagnia cedettero. Alcuni tentarono di fuggire ma vennero tutti uccisi. Altri si arresero sperando di avere salva la vita, ma furono trascinati nel vicino cimitero arabo e massacrati in modo orribile. 36 Secondo i dati riportati molto tempo dopo dal ministero della Guerra, a Sciara Sciat morirono 21 ufficiali e 482 uomini di truppa.37

Dai ruoli matricolari conservati presso l'Archivio di Stato di Perugia, risulta che a Sciara Sciat perse la vita anche Emilio Commodi di Gubbio , colono, classe 1888, bersagliere dell'l1° reggimento , sbarcato a Tripoli, prove-

35 Ibidem, p. 99. Q!ianto rip ortat o da $. Romano sul vo lo del capitano Piazza (il primo vo lo di guerra al mondo) non corrisponde esattamente a quanto avvenne quel giorno. Dal resoconto del capitano Piazza risulterebbe, infatti, che il 23 ottobre, quando con il suo Blériot effettuò il giro di ricognizione, la battaglia di Sciara Sciat era terminata. Ino ltre Piazza si diresse con il suo monoplano (dotato di un solo motore) sull'oas i di Zanzur situa t a a ovest di Tripoli, mentre Sciara Sciat s i trovava a est.

36 Cfr. A. D el Bo ca, Gli Italiani in Libia, pp. 108-112.

37 $. Romano, La Quarta Sponda, cit., p. 100.

33

niente da Napoli, appena quindici giorni prima. Tra i dispersi vi fu un altro bersagliere umbro dell' 11 °, Angelo Contessa, di Stroncone, classe 1888, di mestiere vetturino.

Gli arabi dopo lo scontro avrebbero potuto dirigersi su Tripoli e mettere in seria difficoltà gli italiani, ma preferirono depredare i morti, trucidare i superstiti e disperdersi nell'oasi.

La reazione da parte italiana non si fece attendere. Nel pomeriggio del 23 cominciò in Tripoli e nell'oasi una vera e propria caccia all'arabo che si protrasse per vari giorni. Q!ielli trovati in possesso di armi, compresi i coltelli, furono fucilati sul posto. Altri venivano legati con le mani dietro il dorso e condotti in città dove molti di loro furono giustiziati. Fu anche annunciato il coprifuoco e la fucilazione per coloro che non avessero consegnato le armi. Migliaia di arabi nei mesi successivi furono deportati e spediti alle Tremiti, Ustica, Ponza, Caserta, Gaeta, e Favignana. 38

All'alba del 26 ottobre gli arabo -turchi attaccarono nuovamente in forza le linee difensive italiane tenute dall'82° e dall'84° tra Bu Meliana, Sidi Messri e Henni. Il combattimento si protrasse per circa tre ore con perdite da entrambe le parti e alla fine gli attaccanti vennero respinti.

A questo punto Caneva ritenne di abbandonare queste linee, troppo vulnerabili, e di portarle indietro di tre chilometri.

Pertanto dalla fine di ottobre le trincee italiane si vennero a trovare vicino alle case di Tripoli che divenne così una città assediata e sottoposta alle cannonate turche .

Da parte italiana si parlò subito di "tradimento arabo." Nessuno volle accettare il fatto che la popolazione della Tripolitania si era ribellata ad un esercito invasore. Ci si

38 Cfr. A. Del Boca, Gli Italiani in Libia, ...cit. p. 115. 34

aspettava riconoscenza per aver riportato in quei luoghi la civiltà di Roma e non si considerò che gli arabi avevano una terra e dei valori da difendere e che inoltre erano legati ai turchi da una comune religione. Questa errata convinzione negli italiani era così forte che nessuno aveva dato importanza al fatto che nell ' oasi, alcuni giorni prima, i marabutti incitavano alla guerra santa. Anche i giornalisti presenti a Tunisi accreditarono la tesi del tradimento. Soltanto Luigi Barzini, tra gli inviati speciali, ebbe il coraggio di ammettere che il nostro esercito aveva invaso la Tripolitania senza conoscere il paese che andava ad occupare. In una lettera al suo direttore scrisse: "Così arrivò Sciara Sciat. Arrivò senza che i numerosi indizi che l'annunziavano fossero compresi e ci mettessero in guardia, tanto profonda era la nostra illusione."39

Per Gualtiero Castellini, il corrispondente della "Gazzetta di Venezia", l'errore commesso dagli italiani era stato quello "di aver trascurato i capi" e di aver cercato di "cattivarsi l'animo degli arabi con una politica proletaria" come si faceva in Italia. "Se ci fosse stata una Camera del Lavoro" ha scritto, "l'avremmo subito sovvenzionata. Non essendoci abbiamo fatto grandi promesse al popolo, abbiamo distribuito grano e barracani al popolo. Ci siamo dimenticati di essere in Oriente e abbiamo parlato al popolo come se si trattasse veramente di masse proletarie rivendicatrici di diritti. In compenso abbiamo trascurato . . " 40 1 capi ...

Racconta Romano che Lord Kitchener, commentando con un diplomatico francese le vicende belliche in T ripo-

39 La lettera, scritta al direttore Albertini, è stata parzia lmen t e ri po rtata da A. Del Boca in Gli Italiani in Libia, ...cit., p. 112.

40 Gualtiero Castellini, Nelle trincee di Tripoli, Zanic helli , Bo logn a 1912, pp. 206-207.

35

litania, fece un'osservazione che ancora oggi ha una certa importanza: "Non potremmo ammettere, né noi, né voi, né l'Europa, uno scacco definitivo dell'Italia . Tutto il mondo musulmano ne sarebbe galvanizzato; le ripercussioni nell'Islam sarebbero immense... " 4 1

41
S. Romano , La Quarta Sponda , cit., p. 158.

LA REAZIONE DELLA STAMPA UMBRA

In Italia i giornali per alcuni giorni furono lasciati all' oscuro delle gravi perdite subite dal corpo di spedizione a Sciara Sciat. In Umbria "La Democrazia" il 25 ottobre diede notizia dello scontro in poche righe: "Stamattina si è pronunziato un attacco su diversi punti da parte di nuclei di cavalleria araba , con qualche regolare turco. L'attacco era già stato respinto ovunque alle 9,30. Nella stessa ora, però, alcuni arabi dell'oasi cominciarono a sparare alle s palle delle truppe sugli avamposti. Sono stati presi rigorosissimi provvedimenti anche per la consegna delle armi nelle oasi e si sono operati numerosi arresti."

Nessun accenno a perdite subite dalle nostre truppe. Ma il fatto non deve sorprendere: oltre alla censura militare le notizie venivano filtrate dall'agenzia Stefani di Torino che riceveva i comunicati e i dati dai comandi e dal governo italiano e li diramava ai giornali. D'altronde, lo stesso Caneva per alcuni giorni fu restio a dare le giuste informazioni . Da "L' Unione Liberale" del 26 ottobre risulta, infatti, che due giorni prima aveva inviato all'agenzia Stefani un telegramma con cui, dopo aver elogiato il contegno delle truppe nello scontro del 23, aveva riferito che da parte italiana vi erano stati soltanto sei morti e alcune decine di feriti e che "il nemico" era stato "completamente respinto con gravi perdite." Aggiungeva che si era proceduto alla "fucilazione di parecchi rivoltosi e a numerosi arresti", nonché ad "imbarcare parecchie centinaia" di arabi.

"L'Unione Liberale", sempre il 26 ottobre, commentò il telegramma di Caneva che minimizzava il numero delle

37

perdite italiane, con un articolo dal titolo in lettere cubitali LA BELLA MORTE in cui, tra l'altro, con forti accenti di retorica patriottica, si sosteneva questa tesi: "Il paese sappia, dunque, sempre la verità, magari brutalmente, senza indugi come la gravità del momento storico esige; del resto esso è ben atto a comprendere, a tutto osare [... ] vincere, dunque, anche a costo della morte, 'vivere non necesse, necesse . '" est navigare .

"Il Popolo" accentuò, invece, la sua opposizione alla guerra e il 28 ottobre, quando dalla T ripolitania cominciarono a pervenire notizie sulla reale entità delle perdite italiane, pubblicò un articolo fortemente polemico contro la Monarchia: "I morti che hanno raggiunto il centinaio, e che aumentano sempre, saranno dimenticati da coloro che esaltano l'impresa, e se la preda di una nuova terra verrà ad allargare i confini d'Italia, si griderà che tutto è gloria monarchica della Casa Savoia". Nell'articolo ce n'era anche per i socialisti e i sindacalisti rivoluzionari che sulla guerra di Libia si erano divisi tra favorevoli e contrari: "Intanto, però, il risultato politico odierno dell'impresa tripolina è la dimostrazione della bancarotta del sovversivismo."

Qyando la dimensione dei fatti di Sciara Sciat cominciò ad apparire in tutta la sua gravità, in Italia l'opposizione alla guerra si fece più dura.

Gli anarchici incitavano alla diserzione e il 30 ottobre nella caserma Cialdini si verificò un estremo atto di ribellione allorché Augusto Masetti, una giovane recluta del 35° fanteria, in procinto di essere inviato in Libia, al grido: "Viva l'anarchia, abbasso la guerra!" sparò un colpo di fucile al suo comandante, il tenente colonnello Stroppa, ferendolo ad una spalla . In sostegno di Masetti che fu internato in un manicomio militare sorsero comitati di antimilitaristi in Italia e all'estero che misero in serio imbarazzo il governo Giolitti.

A Perugia coloro che si opponevano alla guerra sembravano essere una minoranza. Uguccione Ranieri di Sorbello ha scritto che il 2 novembre, quando i "soldati della guarnigione" si recarono alla stazione per partire per la Libia vennero accompagnati "con canti e musica". Tuttavia tra la gente c'era una certa preoccupazione per i fatti di Sciara Sciat e per la notizie riguardanti la morte di un marinaio perugino, tale Lando Albi Bochini, e il ferimento del conte Pompeo di Campello. 42 In città si raccoglievano offerte in "denaro per le famiglie dei caduti" mentre, ad imprecare contro la guerra, secondo i ricordi di questo scrittore, erano i socialisti con il loro giornale, "La Battaglia", che subì anche un processo "per istigazione alla diserzione" .43

Probabilmente l'articolo incriminato era quello del 7 novembre dal titolo Il soldatino di piombo in cui si criticavano i giovani che esaltav ano e giustificavano l'impresa tripolina "in nome della patria" e li si invitava a dare più importanza alla loro "esistenza" invece di "spenderla nel falso orgoglio di una falsa grandezza di patria".

A Terni "La Turbina" del 4 e dell'll novembre pubblicò articoli di forte opposizione alla guerra con titoli drammatici come Guerra al regno della morte e Capitale di sangue. In uno di questi articoli, con riferimento all'infortunio mortale di un operaio delle Acciaierie verificatosi in un reparto dove si fabbricavano proiettili per cannoni, si incitarono le madri dei richiamati ad insorgere perché "gli stessi proiettili, la cui fabbricazione è costata la vita ad uno dei figli, domani a Tripoli ne uccideranno un secondo".

42 Il co nte Pompe o d i Campello, uffic ia le di cav a ll er ia e fotogr afo de lla s ped izi one, a rrivò a Tr i poli il 14 o tt obre e fu ferito il 24 ottobre.

43 U . Ranieri d i $o rbe ll o, Perugia della bell'Epoca, ... c it., p. 540.

39

LA TRIPOLITANIA E LA CIREN AICA

ANNESSE PER D E CRET O

Ai primi di novembre il nostro esercito aveva occupato cinque porti : Tripoli, Homs, Derna, Bengasi e Tobruk, mentre il vastissimo entroterra era ancora in mano degli arabo-turchi. Ma il governo italiano, contrariamente a Can eva che preferiva difen der si piuttosto ch e avanzar e, aveva fretta di concludere una guerra che, dopo la rappresaglia iniziata il 23 ottobre e ancora in corso, stava diventa n do impopolare. Pertanto, il 5 novembre, per decr et o reale fu proclamata l'annessione della Tripolitania e della Ci renaica.

Il minis t ro degli Affari Est eri Sa n Giuliano inviò u n telegramma di spiegazione agli ambasciatori all ' estero in cui affermava che l'annessione si era resa necessaria per " por re fine ad un in utile spa rgi mento di sangue" toglie nd o "dall'animo di quelle popolazioni ogni pericolosa incertezza". Aggiungeva, t ra l'altro, che "la soluzione adottata è l'unica che tute li definitiva m ente gli interessi dell'Italia, dell'Europa e della Turchia stessa".

Giolitti nelle sue memorie giustificò la decisione con la n ecessità di prevenire l'in t ervento di altre potenze.

Ma dichiarare italiano un territorio ancora da conquistare suscitò la riprovazione e il sarcasmo della comunità internazionale. E anche l'od i o degli arabi che si videro consegnare un manifestino con il proclama dell'annessione sovrastato dalla croce dello stemma di Casa Savoia.

Il commento dei repubb li cani perugini su "Il Popolo" fu caustico: "Ora noi abbiamo un bel dichiarare per de-

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creto l'annessione di quelle regioni, ma i fatti dimostrano che dopo 50 giorni di guerra noi siamo ancora sulle coste, non abbiamo potuto fare un passo avanti verso l'interno e nelle nostre trincee dobbiamo quotidianamente sostenere attacchi e cannoneggiamenti. L'atto diplomatico non altera e non muta la situazione: moralmente noi ci proclamiamo padroni, ma materialmente abbiamo ancora un bel tratto da fare ."

A Terni "Il Grido degli Oppressi" uscì il 18 novembre con un editoriale dal titolo La pelle dell'orso. "Dal principio della guerra ad oggi" scrisse l'anonimo giornalista, "abbiamo assistito ad un rincorrersi continuo di frottole patriottico-nazionaliste date con gusto di solennità dalla stampa militaresca italiana la quale non ha fatto altro che registrare continui trionfi delle 'armi nostre' , quando compagnie intere di bersaglieri pagavano con la vita l'insipienza degli Stati Maggiori, anche quando si era costretti ad abbandonare posizioni trincerate per ripararsi in un raggio di territorio protetto dalle batterie delle navi . Ma tutto il patriottismo è un bluff Ed ora il decreto di annessione di un territorio vasto tre volte l'Italia di cui si è appena, e malamente, presa la costa, completa il quadro del magnifico inganno di cui è vittima il popolo italiano."

Ma erano in molti ad essere d'accordo con l'iniziativa del governo. "L'Unione Liberale", il 7 novembre, scrisse che il decreto d'annessione "giunge opportunamente per troncare ogni equivoco di fronte alla Turchia, e per definire una situazione che a causa delle mene turche poteva anche inutilmente complicarsi e ci permette di considerare la resistenza delle superstiti forze turche alla stregua di un'azione di brigantaggio".

Insomma per questo giornale il decreto d'annessione equivaleva ad una vittoria militare e toglieva addirittura ai turchi la qualità di combattenti.

41

"La Democrazia" non fu da meno e lo stesso giorno ebbe parole di esultanza: "Finalmente il governo si è deciso

[... ) Era tempo. Le Potenze non possono che prendere atto della notizia e la Turchia meglio sarebbe consigliata a fare buon viso a cattivo gioco."

Giolitti si rendeva conto che il tempo gli era nemico e sollecitava continuamente Caneva a rompere gli indugi e ad affrontare gli arabo-turchi andandoli a snidare nelle oasi del deserto da dove, a pochi chilometri da Tripoli, organizzavano gli attacchi. Ma il capo del corpo di spedizione non si sentiva ancora forte abbastanza per dare battaglia. Tra l'altro occorrevano rincalzi per compensare le perdite subite a Sciara Sciate quelle causate dal colera.

42

LA SEC ONDA ONDATA DEL CORPO DI SPEDIZIONE

In questo clima di febbrile attesa di una nostra offensiva partì la seconda ondata del corpo di spedizione nella quale vi erano anche molti richiamati umbri. Dai ruoli matricolari conservati negli Archivi di Stato di Spoleto, Perugia e Viterbo risulta che i soldati umbri della classe 1888 appartenenti a questi reparti giunsero ai distretti di Orvieto, Perugia e Spoleto alla fine di se ttembre e che entro la prima decade di novembre si imbarcarono per la Tripolitania e la Cirenaica.44

Il 2 novembre furono mobilitati anche i soldati della classe 1889 dei quali molti furono imbarcati a marzo-aprile 1912.

All'epoca il distretto di Orvieto comprendeva anche il circondario di Viterbo dove era acquartierato il 60° reggimento fanteria che fu mobilitato. Pertanto i richiamati che si presentarono al distretto di Orvieto vennero per gran parte aggregati al 60°che partì a marzo.

Il distretto di Perugia e il distretto di Spoleto erano rispettivamente sede del 51 ° reggimento di fanteria "Alpi"

44 Nel 1911 i distretti militari dell'Umbria erano Perugia, Spoleto e Orvieto. Il distretto di Orvieto comprendeva il circondario di Orvieto e di Viterbo. Successivamente, il distretto di Orvieto fu soppresso e fu istituito il distretto di Viterbo che incamerò il ci rcondario di Orvie to. Attualmente, a segu i to delle numerose modifiche apportate negli anni alle circoscrizion i militari italiane, i fogli matricolari dei militari umbri che tra il 1911 e il 19 12 partirono per la guerra sono cust0diti negli arch ivi di Stato di Perugia, Spoleto e Viterbo.

43

e del 52° reggimento fanteria "Alpi", ognuno della forza di 2.500 uomini suddivisi in tre battaglioni. Entrambi traevano origine dalla brigata "Cacciatori delle Alpi", costituita nel 1859 a Cuneo con tre reggimenti di volontari agli ordini di Garibaldi per combattere nella seconda guerra di indipendenza. Avevano come motto "Obbedisco", l'unica parola del telegramma che Garibaldi inviò il 10 agosto 1866 a La Marmora, durante la terza guerra di indipendenza, in risposta all'ordine ricevuto di arrestare la sua avanzata verso Trento.

Il 51 ° reggimento non fu mobilitato per la Libia ma con 24 ufficiali e 1.270 soldati concorse alla formazione di altri reggimenti, come il 60°, 1'89° e, in particolare, del 52° comandato dal colonnello Giuseppe Amari, che invece ebbero l'ordine di partire.

Mentre i richiamati umbri partivano per Napoli dove si sarebbero imbarcati per la Tripolitania , il Consiglio Provinciale dell'Umbria, composto per gran parte di liberali possidenti, volle dimostrare il suo incondizionato plauso alla spedizione e nella seduta del 4 novembre 1911 il presidente, l'avvocato Francesco Fratellini, pronunciò, fra gli applausi dei consiglieri, levatisi tutti in piedi, il seguente discorso:

"Signori consiglieri, sulle coste settentrionali, in questa ora trepida, i nostri prodi soldati combattono per l'onore e la grandezza d'Italia.

A loro vada il saluto e l'augurio nostro.

Sia il saluto traboccante di tenerezza - esp re ssione ardente di fede e amore all'esercito - ammirazione per le sue eroiche virtù - sia testimonianza della sua gloria

- benedizione della Patria.

Sia l'augurio dell a vittoria - presagio di fortuna e di trionfo della civiltà contro superstizione e barbarie

- sia speranza nella pronta fecondità della pace, quan-

44

do all'azione cruenta delle vendici spade succederà l'azione dell'aratro pio che, sui rinnovati solchi dell'inospitale terra, ricanterà le glorie immortali dell'antica Roma!

Vivano l'Esercito e la Marina generosi e forti, orgoglio purissimo della Nazione - che trionfatori invitti, disperdano il tradimento di falsi amici e il vaticinio infausto di supposti alleati!

Vivano i fratelli nostri che laggiù, nella luce della gloria sul campo, nobili e plebei, in santa armonia congiunti combattano per l'onore e a grandezza d'Italia."45

In questo clima di entusiasmo patriottico che contagiava tutta l'Umbria, i socialisti perugini erano sempre più isolati, ma attraverso "La Battaglia", continuavano a dichiararsi fermamente contrari alla guerra. Gli altri socialisti umbri non furono da meno e, il 6 novembre, contrariamente a quanto accadeva in altre regioni italiane, diedero dimostrazione di una certa compattezza quando il Consiglio Federale Socialista Umbro, riunitosi in Assisi sotto la presidenza di Angelica Balabanoff, votò all'unanimità un ordine del giorno di protesta "contro la guerra in cui pazzescamente si è impegnata l'Italia."

45
45 Archivio di Stato di Perugia, atti del Consiglio Provinciale, anno 1911.

Secondo Del Boca, la seconda ondata del corpo di spedizione venne inviata dopo i tragici fatti di Sciara Sciat al fine di "galvanizzare" Caneva e convincerlo a passare all'offens iva. Furono sp edi ti in Libia, in poco più di due mesi, "55 mila uomini, 8 . 300 quadrupedi, 1.500 carri, 84 cannoni da campagna, 42 da montagna, 28 da assedio e nuove squadriglie di aerei"46

Finalmente il 26 novembre Caneva si decise ad avanzare.

Cir ca 20.000 uomini lasciarono le trincee e affrontarono il nemico con le baionette inastate per riconquistare forte Messri e Henni. L'inizio dell'avanzata fu preceduto da un intenso fuoco di artiglieria che Castellini ha descritto così: "Fa freddo. Il cielo non è ancora rotto dai bagliori antelucani. Un grave sonno mi t en ta e quasi mi assopisce. Ma ecco, tra le cinque e le sei il cannone. L'artiglieria di marina, l'artiglieria di montagna e l'artiglieria di campagna si desta. Ci siamo! I colpi si succedono ai colpi, metodici e frequentissimi: le granate di marina scoppiano rintronando nell'Oasi. Lo spettacolo mirabile è cominciato. Il piano di guerra ha tutta la bellezza e la nobile architettura di una sinfonia eroica."47

All'azione parteciparono anche alcuni dirigibili, di cui uno al comando di Valli, i quali precedevano i nostri reparti gettando dall'alto dei messaggi con l'i ndicazione della posizione delle truppe nemiche. 48 46 A. Del Boca, Gli Italiani in Libia, ...cit., p . 126. 47 G. Castellini, Nelle trincee di Tripoli, ... cit., p. 143.

S I COMBATTE PER LA CONQU I STA DELLE OAS I

Il combattimento durò dodici ore e alla fine gli Italiani ebbero la meglio e riconquistarono le posizioni che avevano dovuto abbandonare un mese prima. Le perdite da parte nostra, secondo i dati comunicati da Caneva, furono di 21 morti e 110 feriti.

Alla riconquista di Messri partecipò anche il 52° reggimento fanteria "Alpi" che per il suo comportamento meritò "l'encomio del comando del corpo di spedizione."49

Il consiglio comunale di Spoleto volle esprimere il suo apprezzamento per il successo ottenuto dal reggimento di stanza nella sua città e il 29 novembre decise all'unanimità di inviare al colonnello Amari "un telegramma di felicitazioni per la eroica condotta degli ufficiali e dei soldati che indossano la camicia rossa" .

Anche il consiglio comunale di Temi nella seduta del 4 dicembre, "riaffermando i suoi vibranti sentimenti di umanità e patriottismo", decise all'unanimità di inviare "un tel egramma di saluto alle truppe combattenti in Tripolitania" esprimendo "voti" perché la guerra avesse "presto termine con onore e gloria per la Patria nostra".

Qiello stesso giorno Caneva, reso fiducioso dalla riconquista di Messri e Henni, decise di spingersi ancora più a sud e attaccare l'oasi di Ain Zara, situata ad una decina di chilometri da Messri, da dove partivano gli attacchi frontali contro la linea delle trincee italiane.

I comandi avevano avuto informazioni sulla consistenza del nemico dai nostri aviatori. Uno di questi, il tenente Gavotti, il 1° novembre, nel sorvolare l'oasi, aveva anche effettuato il primo bombardamento della storia dell'aviazione militare gettando sul campo turco delle bombe sfe-

48 G. Valli, Tra mare e cielo, cit., p. 153.

49 Cfr. 52° Reggimento fanteria ''Alpi ' ~ Tipografia dell'Umbria, Spoleto 1935, p. 74.

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riche Cipelli di due chilogrammi.SO Il resoconto dell'autore di questa impresa fu riportato sulla prima pagina de "La Democrazia" del 4 novembre: "Quando giunsi presso l'accampamento mi innalzai per portarmi fuori tiro da possibili fucilate; poi iniziai una serie di giri concentrici sull'oasi. L'apparecchio funzionava perfettamente: rallentai alquanto la velocità e quando mi parve di essere proprio sopra il centro dell'accampamento di Ain Zara lasciai cadere una granata. Il fragore dello scoppio e l'eco confusa di grida feroci giunsero fino a me. Contemporaneamente una scarica di fucileria crepitò senza però che le pallottole giungessero a colpire l' Etrich. Ritornai altre tre volte all' oasi e lanciai un'altra granata che gettò maggior scompiglio nel campo ottomano . Vidi fuggire altre torme di soldati in ogni direzione. Gettai altre due granate contro uno stormo di fuggiaschi. Anche gli armenti si sbandarono dal recinto dove erano rinchiusi".

Per l'azione su Ain Zara, Caneva impiegò un vas to schieramento di forze formato dai reggimenti 16°, 40°, 11 ° bersaglieri e il 52° . Quest'ultimo con due battaglioni ebbe il compito "di piombare sul fianco destro e sul tergo dello schieramento nemico" dove in una moschea e nelle case adiacenti erano asserragliati forti reparti di regolari turchi. "Ordinato l'assalto, i nostri fanti si lanciarono con la consueta foga verso l'avversario, ma superate le prime case, dopo una lotta accanita, dovettero fermarsi perché il fuoco era così intenso che non permetteva di proseguire."51

Alle tre del pomeriggio, dopo un combattimento iniziato alle sei del mattino, gli arabo-turchi si ritirarono lasciando molti cannoni in mano agli italiani.

50 S. Romano, La Quarta Sponda, ...cit., p. 181.

51 Cfr. 52° reggimento di fanteria, ... cit., p. 75.

In questa azione persero la vita 8 soldati e un sottotenente del 52°, men tr e il numero totale delle perdite di tutti i reparti fu di 23 morti e 107 feriti.

Il successo conseguito a Ain Zara venne offuscato dall'impiccagione eseguita 1'8 dicembre su una piazza di Tripoli di 14 arabi "traditori". La foto delle forche fece il giro del mondo procurando critiche al comportamento dell'esercito italiano. L' "Avanti!" commentò le immagini con le parole: "I barbari siamo noi!"

Il 19 dicembre venne organizzata una spedizione al comando del colonnello Gustavo Fara contro l'oasi di Bir T obras che si trovava a sud di Ain Zara. La colonna era composta da due battaglioni dell'l 1° bersaglieri, un battaglione del 2° granatieri, una sezione di artiglieria da montagna e uno squadrone del Lodi Cavalleria, per un totale di circa 3.000 uomini . 52 L'oasi distava circa 12 chilometri ma la colonna perse più volte l'orientamento e vagò per sette ore tra le dune prima di raggiungerl a . Una volta sull'obbiettivo Fara ordinò l'attacco contro la posizione nemica che aveva di fronte ma il grosso degli arabo -turchi, che era alle sue spalle, lo attaccò sul fianco destro. Fara credendosi accerchiato ordinò ai suoi di fare un quadrato scavando trincee e ripari con le baionette. Il combattimen to si protrasse per il resto del giorno e per tutta la notte con perdite da entrambe le parti. In questa azione sei militari italiani persero la vita . Tr a questi vi fu Guglielmo Vispi di Gubbio la cui fine, come vedremo più avanti, è stata raccontata da un altro bersagliere, Annibale Giombini, anche lui di Gubbio, che gli era accanto quando fu colpito a morte.

Tra la fine del 1911 e la primavera del 1912 vi furono altri combattimenti ingaggiati dagli italiani per imposses-

52 Cfr. $. Romano, La Quarta
188. 49
Sponda, ...cit., p.

sarsi della fascia di oasi intorno a Tripoli occupate dagli arabo-turchi. Ad uno di questi scontri, particolarmente cruento, partecipò anche il 52° al quale era stato dato l'ordine di occupare, assieme ad un battaglione di granatieri e due squadroni di cavalleggeri, l'oasi di Gargaresch, situata a ovest di Tripoli, e di costruirvi due ridotte in prossimità di una cava di pietra. Il 18 gennaio un distaccamento al comando del colonnello Amari si diresse verso Gargaresch ma ivi giunto fu fatto segno da scariche di fucileria . Ciononostante, i soldati italiani iniziarono i lavori per costruire le ridotte ma ad un certo punto furono attaccati da "colonne nemiche precedute da due stormi di cavalieri arabi".

Amari ordinò a tutti i reparti di indietreggiare e di posizionarsi sulla sinistra della torre di Gargaresch da dove poter allestire una più efficace linea difensiva. Gli araboturchi tentarono più volte, "con temeraria audacia", di so praffare gli italiani spingendosi "a meno di 200 metri dalle loro posizioni" ma furono sempre respinti anche con tiri di artiglieria ad alzo zero. Infine quattro compagnie del 52° sferrarono un "contrattacco alla baionetta" e dopo alcune ore di combattimento riuscirono definitivamente ad avere la meglio sugli attaccanti e a ricacciarli indietro.

Le perdite subite dal reggimento furono di dieci morti, tra cui il portaferiti ternano Pietro Bisogni, e trentanove feriti.53

53 Cfr. 52° reggimento di fànte ria... cit., pp. 75-78. Dal foglio matricolare conservato presso la Sezione di Archivio di Stato di Spoleto (d'ora in poi ASS) risulta che Pietro Bisogni fu insignito, con dec reto dell'8 novembre 1912, di medaglia d'argento alla memoria con questa motivazione: "Ment re con coraggio e abnegazione prestava l'ope ra sua d i portaferiti ad un caduto, cadeva anch'egli mortalmen te ferito" .

so

Qyando la notizia della morte di Bisogni giunse a Temi, il poeta ternano Fulgenzio Proietti, che gli era molto amico, gli dedicò queste strofe:

"Il caldo soffio del deserto immenso disseccherà le tue membra gloriose d'intorno a te non fioriranno rose e il tuo martirio non avrà compenso. Ma i freschi fiori avrai del mio pensiero, I mesti fiori avrai del mio cordoglio, Sorrideranno i vili intorno al Soglio, io per te piango, il pianto mio sincero."54

54 La poesia fu pub b licata su "Il Grido degli Oppressi" del 3 febbraio 1912 assieme ad un polemico articolo a firma dello stesso poeta contro coloro che avevano voluto la guerra di Libia.

51

A febbraio Caneva, ritenendo che per la guerra nel deserto gli eritrei potevano essere di grande aiuto agli italiani, meno abituati al clima arido, fece venire dalla nostra colonia un battaglione di ascari e un centinaio di meharisti. Erano soldati molto coraggiosi che avevano dato prova del loro valore a Adua dove mille di loro si erano fatti massacrare combattendo a fianco degli italiani.

Si trattò di un primo contingente che per l'ottimo comportamento in battaglia sarà ben presto seguito da altri arrivi. Romano scrive che "avevano pregi e difetti. Tra i pregi quello dì manovrare con grande rapidità; tra i difetti quello di elevare ulteriormente il tasso di crudeltà della guerra."55 Due settimane dopo l'arrivo, gli ascari vennero attaccati in forze dagli arabo-turchi a sud est di Tripoli ma riuscirono a sganciarsi, anche con l'aiuto di contingenti del 60° fanteria, e poi a contrattaccare assieme ai bersaglieri infliggendo al nemico notevoli perdite.

La mattina del 30 luglio un centinaio di ascari eritrei di ritorno dalla Tripolitania arrivarono alla stazione di Terni provenienti da Roma. Erano accompagnati da ufficiali italiani che avevano il compito di portarli a visitare i nostri stabilimenti metallurgici. Il loro arrivo era stato annunciato qualche giorno prima e pertanto un gran folla si era radunata per attenderli, incuriosita di vedere per la prima volta questi soldati africani con il loro alto copricapo a forma di fez, il camicione di tela bianca e i calzari

GLI ASCARI
ERITREI A TE RNI
52
55 S. Romano, La Qµarta Sponda, ...cit., p. 2 15.

di tela. Erano presenti anche le massime autorità cittadine a dimostrazione del rispetto guadagnato sui campi di battaglia da questi combattenti. Ecco come Ottaviani, basandosi sulle cronache di quel giorno, ha ricostruito l'evento: "Le strade erano gremite di gente accorsa a salutare i prodi figli d 'Africa, fucilieri e cammellieri, guidati dal tenente Chiapparotti del 5° battaglione indigeni, scelti in venti per ogni compagnia del battaglione stesso. Si trovarono a riceverli il sottoprefetto cav. Colli, il sindaco Vittorio Faustini con l'assessore Rossetti, il colonnello Gardini della R. Fabbrica d'Armi, il colonnello Alfonsi della R. Marina, il maggiore medico Rossi, il maggiore comandante il distaccamento 'Piemonte Reale', i capitani Romagnoli e Pesce, il capitano di artiglieria Saccani, i tenenti dei lancieri Marazzani Gualdi e Valiante, il giudice avvocato Gagliardi del tribunale di Spoleto e molte altre autorità. II gentil sesso era molto numeroso. II concerto comunale salutò l'arrivo col suono degli inni patriottici e gli ascari, tra una fitta folla, lancieri in testa, si diressero alla R. Fabbrica d'Armi . Qui si svolse la visita alla lavorazione dei proiettili e dei fucili e al poligono di tiro gli ascari provarono i fucili automatici a ripetizione mod. 1891. Poi, dopo il discorso del colonnello Gardini tradotto dall'interprete Kussum Aiulu, baluk basci di Aidi Ucri, venne loro offerto un rinfresco lautamente servito dalla ditta Jaeger. Qyindi, quasi tutti scalzi, si recarono alle Acciaierie per una visita che si protrasse oltre un'ora alla tempera delle corazze, alla fabbrica dei proiettili per la marina, alla pressa imponente e poderosa, alla fusione dei cannoni dove un operaio, certo Giacomo Spezzatini, riconobbe un fuciliere che aveva conosciuto ultimamente a Tripoli trovandosi nel 52° fanteria."

56 56 D. Ottaviani, Il Novecento a Terni, cit., p. 50. 53

Non poteva mancare una visita alla cascata delle Marmore, dove gli ascari furono portati con "quattro vetture tranviarie" . Qiindi, dopo un festoso incontro con la folla dei ternani in piazza Vittorio Emanuele, furono accompagnati alla stazione per fare ritorno a Roma.

Il 30 settembre altri cento ascari di un altro battaglione vennero in visita a Terni . Anch'essi furono condotti alla Fabbrica d'Armi a provare i fucili mod. 91. Durante il rinfresco offerto dalla direzione l'ascaro Gabrie Oullense volle donare alla moglie del vice pretore "un anello che teneva al dito come bottino di guerra, tolto ad un ufficiale turco, e che serbava come prezioso ricordo."57

A mezzogiorno gli ascari vennero portati alla Cascata delle Marmore "dove erano attesi per un banchetto popolare durante il quale parlarono il segretario Teofoli e il conte Solone di Campello . Qiindi risaliti sul tranvai giunsero alle ore 14 alle Acciaierie che visitarono ammirati per la grandiosità delle lavorazioni".58

57 Cfr. D. Ottaviani, Il Novecento a Terni~ ... cit. p . 52. 58 Ibidem. 54

G UADAGN I E TORMEN T I

D I UNA GRAND E IND USTRIA

La guerra procurò alla SAFFAT (Società degli Alti Forni Fonderie e Acciaierie di Temi) un incremento delle commesse da parte dello Stato, e quindi anche dei guadagni, ma anche molti e inaspettati tormenti.

Dalla riunione del CdA della Società del 22 maggio 1911, presieduta dall'ingegner Giuseppe Orlando, risulta che il ministero della Regia Marina, in previsione dell'imminente conflitto con la Turchia, aveva richiesto alla Terni con la massima urgenza di aumentare considerevolmente per il primo semestre dell'anno 1912 la fornitura di corazze navali portandola da 3.300, come contrattualmente stabilito, a 8.100 tonnellate. La Terni, di fronte a questa urgente ed imprevista richiesta si trovò in difficoltà perché non aveva sufficienti macchinari per produrre un tale quantitativo di corazze in così breve tempo. Inoltre bisognava fare i conti anche con gli operai ai qua li si sarebbe dovuto richiedere un eccessivo impegno sul lavoro per aumentare la produzione.

Tuttavia la Società si vide costretta ad accettare perché lo Stato era un cliente troppo importante e non si poteva scontentare. Ma essendo nell'impossibilità di fornire tutte le 8.100 tonnellate di corazze nel semestre del 1912, propose di procurarne essa stessa 3.000 tonnellate presso imprese straniere e di passarle poi alla Regia Marina , mentre il restante quantitativo avrebbe fatto carico alla Società. La proposta sembrò soddisfare il ministero che l'avrebbe

55

sottoposta con parere favorevole all'approvazione al consiglio dei ministri.

A questo punto la Terni, sicura che tutto sarebbe andato a buon fine, decise anche di acquistare altri macchinari per aumentare la produzione. Contemporaneamente l'ingegnere Giuseppe Orlando convocò una commissione di operai alla quale dichiarò che "nell'interesse della società e di loro stessi, era necessario che si aumentasse per un certo periodo la produzione, in modo da limitare al minimo la quantità da procurare all'est ero per formare il quantitativo, assai rilevante, che la Regia Marina richiedeva alla Terni. La Società avrebbe certamente compensato questo sforzo, da compiersi temporaneamente, mediante premi sulla maggior produzione."59

Nell'occasione Orlando si appellò anche al sentimento patriottico e al senso del dovere degli operai invitandoli a presenziare "con una loro rappresentanza, a prescindere da ogni idea politica", alla festa dello Statuto del 4 giugno "perché essa ha l'alto significato della consacrazione della nostra unità nazionale."60

Ma le cose non andarono nel senso voluto. Giolitti, in sede di consiglio dei ministri, si dichiarò fermamente contrario alla proposta della Temi di acquistare essa stessa le corazze presso imprese estere per poi passarle alla Regia Marina rilevando che "una volta ritenuto necessario l'acquisto di 3.000 T di corazze all'estero, era per il governo indispensabile(... ] che l'a cquisto medesimo venisse fatto direttamente dal governo stesso, senza l'intermediazione

59 Archivio Storico della Società T ern i (d'ora in poi ASST), II versamento, sedute del Consiglio di Amministrazione e del Comitato Esecutivo, registro 40, seduta del 22 maggio 19 11 , pp. 94-95.

60 Ibidem

56

della Temi, ma rivolgendosi solo a ditte estere, escludendo, cioè, la Temi stessa e la ditta Ansaldo ... " 61

Qyando a fine giugno Orlando riferì ai membri del Comitato Esecutivo della Terni la presa di posizione di Giolitti, adottata, secondo lui , "da ragioni politiche e forse anche da quelle economiche", la reazione fu di costernazione e di delusione. La Temi, fin dal 1886, sfornava corazze per la Regia Marina ed ora improvvisamente si vedeva infliggere un duro colpo al proprio prestigio. Di conseguenza il Comitato incaricò il presidente di recarsi da Giolitti per esporgli "ancora una volta la corretta condotta della Temi" e di scrivere una lettera al ministro della Marina, l'ammiraglio Pasquale Leo nardi Cattolica, per esprimergli il rincrescimento della Società per una decisione che, tra l'altro, dimostrava la volontà "di togliere lavoro all'industria nazionale per darlo all'estero senza viceversa alcun beneficio di prezzo, né di diminuzione dei termini di consegna"

Particolarmente deluso si dimostrò Attilio Odero il quale chiese che nella lettera si ricordasse al ministro che "la Terni, se fossero restati fermi i programmi per la costruzione delle navi, avrebbe certamente, ricorrendo anche a provvedimenti dispendiosi, effettuata la consegna delle corazze in tempo utile, ma data l'anticipazione oggi voluta nell'allestimento delle navi medesime e data la completa utilizzazione della propria potenzialità di fabbricazione, essa avrebbe dovuto, sia pure per una parte ridotta, ricorrere all'estero". 62

Orlando scrisse la lettera "in conformità delle deliberazioni prese" e si recò anche da Giolitti al quale ricordò "la corretta condotta della Temi nella incresciosa questi o-

61 Ibidem, p. 98.

62 Ibidem, p. 99.

57

ne" e "la massima buona volontà di soddisfare le esigenze della R. Marina" .

Ma non ottenne nulla perché il governo indisse una gara internazionale per la fornitura di 4.100 tonnellate di corazze (e quindi non soltanto di 3.000) a seguito della quale risultò vincitrice la Carnegie Steel Company americana che richiese per tonnellata un corrispettivo di lire 21 O inferiore a quello praticato dalla Temi. 63 Comunque, nei mesi seguenti, i rapporti con la Regia Marina tornarono normali e in ottobre, quando era già in corso la guerra con la Turchia, la Società ottenne una commessa per la fornitura di 4.800 tonnellate di corazze.64

Si trattava di un grosso quantitativo, da consegnare "nei tempi voluti dal Governo per indiscutibili ragioni della difesa del Paese", che richiese anche l'acquisto di nuovi macchinari per una spesa di lire 300.000.

A dicembre anche la richiesta di fornitura di proiettili di grosso calibro , da 190 a 305, subì un'impennata, e la Terni, anche in previsione dell'aggiudicazione di una gara per la fornitura di ulteriori 2 .000 proiettili da 305, ritenne opportuno acquistare tre nuovi torni con una spesa di circa 40 mila lire. 65 Sempre a dicembre, uno studio "sulla potenzialità indispensabile" per garantire la fornitura di "corazze, cannoni e proiettili", secondo le impellenti richieste della Regia Marina, convinse la Società ad acquistare a ltri macchinari con una spesa complessiva di 578 mila lire.66

63 Ibidem, p. 112.

64 Ibidem, p. 137.

65 Ibidem, rep. 41, verbale della seduta del CdA del 28 dicembre 1911, p. 1 e 2.

66 Ibidem, p. 4.

58

SOTTOSCRIZIONI E INIZIATIVE PER LA GUERRA

Dal racconto di Ranieri che ha dipinto con ironia ed efficacia la Perugia della "bell' epoca", risulta che quando giunse la notizia che l' Italia era in guerra con la Turchia la città era distratta da avvenimenti mondani e sportivi, come la manifestazione aeronautica organizzata il 3 ottobre dal ricco e giovane deputato liberale Romeo Gallenga Stuart durante la quale si videro per la prima volta tre velivoli, due monoplani Blériot e un biplano Farman, innalzatisi a Foligno, atterrare a piazza d'Armi a Perugia. Tuttavia, quando si venne a sapere dei tragici fatti di Sciara Sciat, la gente ne fu colpita e si cominciò a "raccogliere denaro per le famiglie dei caduti". 67

Anche tra gli operai e gli impiegati di Terni, come ha ricordato Ottaviani, furono promosse, fin dalla fine di ottobre, sottoscrizioni a favore delle famiglie dei soldati morti e feriti. Al 10 dicembre erano state raccolte lire 1.834,50 tra il personale della SAFFAT e lire 1.865 tra quello della R. Fabbrica d ' Armi. 68

Il 30 ottobre, durante una riunione del CdA della SAFFAT, Giuseppe Orlando, suggerì "di mettere a disposizione dei ministri della Marina e della Guerra la complessiva somma di lire diecimila per le famiglie povere dei soldati italiani combattenti in Tripolitania" . La proposta del presidente fu votata per acclamazione.69

67 U. Ran ier i di Sorbe ll o, Perugia della bell'Ep o ca, ...cit., p. 540. 68 Cfr. D. Ottav ia n i, il No vecento a Terni, ...cit., p. 38. 69 ASSI, Il ve rs amento, sedute d el CdA e del Comit ato Es ecut ivo , 59

A Terni, verso la fine di novembre, si tenne "un concerto pro Croce Rossa" il cui ricavato fu destinato anch'esso "alle famiglie dei soldati caduti e feriti" nella guerra di Libia. Vi parteciparono gli artisti: Adele Cousin, Fanne Anitua, la violinista Cleofe De Cupis, il tenore Francesco Marconi e i pianisti Piero Cimara e la ternana Grazia Benigni. Il coro era diretto da Furio Miselli.

Il 22 febbraio 1912 anche il consiglio comunale di Temi approvò la concessione di un sussidio "per le famiglie dei soldati morti e feriti". Ma si dovette superare l'opposizione del consigliere socialista Pietro Parini il quale sostenne che l'approvazione di questo sussidio avrebbe anche avuto il significato di approvare la guerra.70

Le notizie delle imprese dei nostri aviatori in Tripolitania avevano suscitato tanto interesse e entusiasmo negli umbri che tra aprile e maggio 1912, su iniziativa dell' onorevole Gallenga e de "L'Unione Liberale" di Perugia, di cui il primo era divenuto il "nuovo patrono", erano sorti vari comitati per la raccolta di denaro da offrire al Governo al fine di potenziare la flotta aerea.7 1

"L'Unione Liberale" del 2 maggio pubblicò un editoriale in cui nel sostenere queste sottoscrizioni inneggiava all'arma aerea con queste parole: "Un anno fa si pensava che gli aerei potessero servire soltanto per esplorazione. Oggi, dopo le prime bombe lanciate dal tenente Gavotti, abbiamo addirittura il tiro organizzato da bordo dei nostri P2 e P3. Oh! avessimo potuto immaginarlo, avessimo ora reg istro 40, p. 141.

70 Archivio di Stato di Terni, d'ora in poi AST, fondo Archivio Storico del Comune di Terni (d'ora in poi ASCT), II, sedute de l consig lio comunale del 1912, b. 32.

71 Cfr. U. Ranieri di $orbello, Perugia della bell'Epoca, ... cit., pp. 535 e 546.

60

in nostro possesso una vera flotta aerea potremmo mettere in esecuzione il piano di lanciare le nostre aeronavi sui Dardanelli e su Costantinopoli per bombardarli onde non compromettere le nostre unità di mare".

Il 12 maggio, ricorda Ottaviani, su iniziativa di uno di questi comitati, venne affisso a Terni un manifesto con un appello ai cittadini affinché aderissero ad una raccolta di denaro per offrire un aeroplano all'esercito con il nome "Terni".72

Anche a Perugia, sempre su iniziativa di Gallenga e de "L'Unione Liberale", era partita la sottoscrizione per una raccolta di soldi finalizzata a donare all'esercito un aereo l "P · "73 co nome erug1a .

Il 25 maggio la Deputazione Provinciale dell'Umbria, probabilmente al fine di evitare confusione e rivalità tra i vari comitati, decise di costituire un unico comitato umbro "con la fusione di quelli locali".

A questo supercomitato, il 3 giugno, decise di aderire il Comune di Spoleto con il modesto versamento di lire 300 "prelevando detta somma dal maggior reddito della tassa bestiame, prevista in lire 56 .000 e accertata in lire 58.758, 90". 74

Anche il Comune di Terni, il 31 maggio, decise di concorrere ali' acquisto di un velivolo per l'esercì to col nome "Terni". La somma stanziata fu generosa, lire 2.000, ma nell'aula consiliare, al momento della approvazione della delibera, ci fu contestazione da parte del pubblico presente e il sindaco, il repubblicano Vittorio Faustini, per fare cessare i commenti, fu costretto a minacci ar e di fare sgombrare l'aula. 7 5 Probabilmente i dissenzienti erano

72 Cfr. D. Ottaviani, Il Novecento a Terni, ...cit., p. 48.

73 Cfr. U . Ranieri D i Sorbello, Perugia della bell'Epoca, ...cit., p. 546.

74 ASS, sedute del consiglio comuna le del 191 1.

61

d'accordo con quanto aveva scritto Pietro Parini su "La Turbina" dell'll maggio a proposito della sottoscrizione per l'acquisto dell'aero pl ano. Ecco le parti più salienti dell'articolo:

"Nelle scuole, alla Fabbrica d'Armi , alla Acciaieria, è stato passato l'ordine di raccogliere fondi per l'aeroplano. Si fa correre la voce che un co mitato di signore si prepari a portare il proprio contributo di grazia, di adesione e di concorso all'impresa[ ] Noi abbiamo già detto il nostro pensiero, abbi amo detto, cioè, che non possiamo appoggiare e dare il voto ad una proposta che significa esaltazione del militarismo. [... ] Abbiamo senti t o ripetere da qualche repubblicano il motto 'Prima italiani e poi repubblicani', un motto che ci ha fa tto pietà. Costoro non conoscono l'anima del loro ideale da cui sorsero l'it a lianit à e la Patria, per cui la monarchia fu costretta, riluttante, a seguire fino a R oma Mazzini, cioè la ri voluzione. Non per i principi, dunque, l'amministrazione comunale ha proposto di concorrere alla spesa di un aeroplano, ma perché Terni è il paese dell'industria metallurgica sovvenzionata - è il paese della Temi - la quale ha aggiogato al proprio carro, e alla propria volontà, buona parte del Partito Repubblicano che in quasi tutte le regioni d'Italia è contrario alla guerra. Qui per questioni di interessi, qui per ragioni elettorali, qui per odio ai socialisti, anche i princìpi più alti si annebbiano, s'oscurano, si dimenticano, s'allontanano.

Qyi conviene che la Temi trionfi, che la Temi trionfi nelle officine, che la Temi trionfi nei propri e negli affari delle proprie clientele, che la Temi trionfi con una forma non nazionale ma nazionalista, che dica fuori di qui che essa ha in pugno il paese [... ]

75
AST, fondo ASCT, ...cit.

Anche noi ammiriamo i grandi trionfi della scienza. Il giorno in cui il 1° dirigibile militare, navigando pel cielo di Roma, passò sul Vaticano, salutammo la gloria del pensiero che spazza va finalmente l'ultimo sogno della Chiesa.

Ed il giorno in cui Blériot passò col suo aeroplano la Manica, sui nostri cuori irradiò con luce di vittoria l'idea socialista. Noi vedemmo con esso la distruzione dei confini e di tutte le b arriere . Ma l'aeroplano, il dirigibile , sono per noi le ali librate della fratellanza umana che andrà presto a raggiungere la sua culla e la sua meta nella umanità redenta e non già gli strumenti di oppressione, di distruzione e di morte."

Parini, nel 1908, era stato condannato nella sua qualità di direttore de "La Turbina", ad un anno di reclusione a seguito di una querela per diffamazione presentata nei suoi confronti dalla società Terni. In quei giorni la Camera del Lavoro, retta da repubblicani e socialisti rivoluzionari, si era accordata con la Temi ponendo fine ad uno sciopero che Parini con il suo giornale aveva fortemen t e sostenuto.

Q}iesti antefatti potrebbero spiegare il risentimento di Parini nei confronti della Temi e dei repubblicani ternani, ma non sminuiscono, a nostro avviso, il valore morale della sua denuncia contro l'uso degli aeroplani per scopi bellici.

Dopo circa due mesi di relativa calma la guerra ricominciò a est lungo la costa ad iniziativa degli arabo-turchi i quali cercavano di riprendersi i porti della Cirenaica occupati dagli italiani. Il 3 marzo toccò a D erna dove reparti del generale Capello vennero attaccati presso la ridotta Lombardia da forze nemiche a capo delle quali vi era Enver Bey, uno dei Gio vani Turchi che, coadiuvato da Mùstafa Kemàl, il futuro capo della Turchia, era al comando di quel settore . Dopo 12 ore di combattimenti gli italiani riuscirono a respingere l'attacco.

Episodi del tutto simili si ve rifi carono a Tobruk, 1'11 marzo, allorché i nostri fanti vennero assaliti mentre stavano costruendo una ridotta, e a Bengasi, il 12, dove gli uomini del comandante Ottavio Briccola furono impegnati in durissimi scontri riportando ingenti perdite, 38 morti e 144 fer iti, prima di respingere gli attaccanti tra i quali furono viste anche donne arabe.76

Qyesti scontri stavano a dimostrare che in aprile, a sette mesi dello s barco, g li italiani si trovava no ancora n ei porti occupati, nell'impossibilità di spingersi all'interno, mentre l 'iniziativa era in mano agli arabo-turchi che li accerchiavano potendo anche contare sull'appoggio della popolazione. A Tripoli gli uomini di Caneva, protetti dai cannoni delle navi, avevano il controllo della costa fino all'oasi di Zanzur ancora in mano al nemico dove arrivavano rifornimenti trasportati dalle carovane provenienti

RITORNI E PARTENZE
76
Cfr. A. Del Boca, Gli Italiani in Libia, ...cit., p . 166, nota.

dal confine tunisino. A sud est di Tripoli era stata occupata Ain Zara che distava una decina di chilometri, ma non il vasto entroterra desertico con le oasi del Fezzan.

Le notizie che provenivano dalla Libi a generalmente non occupavano più le prime pagine dei giornali umbri. Anche quelli che erano stati favorevoli alla spedizione tripolina relegarono in seconda o terza pagina gli scontri, anche se vittoriosi, sostenuti dal corpo di spedizione. Un certo risalto, ma sempre nelle pagine interne del giornale, venne dato da " L' Unione Liberale" al ritorno dei militari della classe 1888 che, come si ricorderà, erano partiti dall'Umbria tra ottobre e novembre con la prima e la seconda ondata del corpo di spedizione. D ai fogli matricolari risulta che costoro furono tutti rimpatriati e cong edati tra la fine di aprile e i primi di maggio del 1912, cioè, circa sei mesi dopo la partenza. Mol t i rientravano al proprio paese alla spicciolata come il bersagliere eugubino dell' 11 ° Annibale Giombini, il cui ritorno a casa è stato ricordato in questo modo su "L'Unione Liberale" del 2 maggio:

"Ieri, improvvisamente, giun se a Gubbio il bersagliere Annibale Giombin i, richiamato del 1888. Ha preso parte a tutte le campagne più cruente come quelle del 23 e 26 ottobre e 19 dicembre. In quest'ultima presso Bir-Tobras vide cadere fulminato ai suoi piedi il compagno e camerata Guglielmo Vispi al quale dette da sé stesso onorata sepoltura.

Sceso dal treno dirigevasi a casa quando, accortosene delle persone, vollero interrogarlo e saputolo un reduce lo portarono trionfalmente in città seguito da una fiumana di popolo che andava mano a mano accrescendo.

Essendo venuto di ciò a conoscenza il sindaco, cav. avvocato Giuseppe Gatti, che trovavasi in giunta, volle

che fosse il bravo giovane comparso subito dinanzi alla prima autorità del paese; dopo offerto un improvvisato rinfresco volle accompagnarlo egli stesso con il suo legno a casa che dista dalla città otto chilometri. Il povero giovane che appartiene ad una modesta famiglia di contadini era commosso da tanta dimostrazione di unanime consenso popolare. Oggi poi il sindaco lo ha voluto suo commensale. Del glorioso 11 ° bersaglieri facevano parte otto concittadini dei quali due morti sul campo di battaglia."

I reduci furono ovunque accolti con tutti gli onori dalla gente e dalle autorità dei loro paesi, con l'eccezione di qualche amministrazione comunale. Quando, il 27 aprile, Andrea Nappini, anche lui dell'l 1° bersaglieri, tornò al paese di Pozzuolo, "tutto il popolo" scrive il giornalista de "L'Unione Liberale", "si riversò sulla piazza acclamando all'eroico superstite di tanti combattimenti. Il caro giovane dall'occhio inumidito per l'emozio ne veniva baciato , abbracciato, sballottato da una folla delirante di compaesani che non finivano mai di salutarlo e di interrogarlo." Scene simili, riportate dallo stesso giornale, si verificarono in altri paesi dell'Umbria. II 28 aprile a Scheggia, quando giunse la notizia che il bersagliere dell'l 1° Salvatore Ceccarelli stava tornando a casa, una folla di persone con alla testa "la Rappresentanza municipale, i Sodalizi tutti con i rispettivi Gonfaloni, preceduti dal Concerto cittadino si recarono ad incontrarlo a oltre un chilometro dall'abitato".

A Monteleone di Spoleto per il ritorno dell'artigliere

Pietro Vannozzi e del se rgente Giuseppe Chimenti furono "imbandierate e pavesate tutte le vie" . I due reduci "abbronzati dal sole africano", in mezzo a "una fiumana di popolo" che gridava "Viva Tripoli Italiana", furono fatti sfilare per il paese accompagnati dalle scolaresche e dalla banda musicale che suonava "inni patriottici" . Al teatro

66

F. Cavallotti, dopo i discorsi delle Autorità, "fu servito un suntuoso rinfresco." Altre trionfali accoglienze vennero riservate ai reduci dai cittadini di Norcia, S. Venanzo, Cascia, Deruta e da altri paesi dell'alta Umbria. Anche a Gualdo Tadino quattro bersaglieri dell'11° reggimento percorsero la cittadina in mezzo ad una folla festante mentre dalle finestre si gettavano "fiori e stampe" al loro passaggio. Ma poiché "era assente la Rappresentanza Comunale, la folla emise delle grida ostili e invase il Municipio per offrire per proprio conto un vermuth d'onore ai Reduci nella sala maggiore".

A Città di Castello sette reduci furono accompagnati per le vie della città da un corteo improvvisato di cittadini dal quale si levavano grida inneggianti al re e all'esercito italiano. Al corteo non partecipò nessun rappresentante del Comune e questa "assenza fu severamente commentata".

"Un'onda di patrio entusiasmo" accolse tre reduci del 52° reggimento al loro arrivo a Sanfatucchio di Castiglion del Lago dove "le signorine spogliarono i loro giardini per presentare eleganti mazzi di fiori ai loro eroi". Anche il sacerdote don Italo Topini, dopo una solenne funzione religiosa, volle dare loro il benvenuto rievocando le "glorie del glorioso 52° fucilieri". A Torgiano, in occasione del ritorno di due fucilieri del 51 ° reggimento si formò "un imponente corteo" e i reduci furono portati a spalla dai giovani del paese fino al Municipio dove fu offerto un rinfresco.

A Todi, otto reduci appena arrivati "furono portati in trionfo in un lungo corteo di musiche, acclamazioni e bandiere" e fu offerto "in loro onore un rinfresco nella sede della società ginnastica "Marzia Todi": Anche questa vo lt a il cronista de "L'Unione Liberale" non registrò la presenza di rappresentanti del Comune.

Il 13 maggio, a Perugia, tornarono 87 reduci dalla Libia e "L'Unione Liberale" riservò all'avvenimento un'intera pagina. L'arrivo previsto per le 16, 30 fu annunciato con un manifesto della Sezione giovanile dell' "Associazione Liberale Monarchica" che invitava la cittadinanza ad accorrere per offrire una "indimenticabile dimostrazione" a questi Cacciatori delle Alpi che, "infiammati dai ricordi dell'epopea garibaldina combatterono gloriosamente a Henni, Ain Zara e a Gargaresch". Alle 16 una gran massa di gente rispose all'invito e accorse alla stazione. C'erano i rappresentanti di molte associazioni e istituzioni quali: "I Reduci delle patrie battaglie, L'Associazione Liberale Monarchica, il Circolo Giovanile V. E., il gruppo Nazionalista, Il Tiro a Segno, la Croce Rossa, la Croce Bianca, la Croce Verde, la Società Operaia, L'Istituto Agrario, L'Università, il Liceo, l'Istituto Tecnico, la scuola normale e il gruppo Liberi lavoratori." Tra le Autorità: il sindaco Luciano Valentini, un rappresentante del Prefetto e i l comandante del 51 ° reggimento di Perugia. I vagoni ferroviari, secondo la ricostruzione del cronista de "L'Unione Liberale", furono "presi d'assalto" da amici e parenti e i "bravi giovanotti, tutti neri come abissini, dalle maschie facce aperte, abbronzate dal sole africano", rimasero "come confusi dall'entusiastica dimostrazione". Poi, mentre le signore presenti li ricoprivano di fiori, si avviarono inquadrati verso il centro della città tra due ali plaudenti di folla. Il corteo giunse in piazza del Municipio gremita da così tanta gente che si era formata "una barriera insormontabile dalle gradinate del Duomo e del municipio giù, giù per tutto il corso Vannucci, via Marzia e corso Cavour."

In quel momento l'entusiasmo era tale che i reduci, "alleggeriti dagli zaini e dai fucili" , furono "issati sulle spalle da amici e parenti."

68

A Terni la notizia del ritorno di dodici reduci fu data soltanto da "La Turbina" del 4 maggio in questo modo: "Ieri sono tornati dalla Libia dodici nostri concittadini. Tutta Terni stava a riceverli. Sono stati arrestati alcuni giovanotti per il delitto di aver gridato 'Abbasso la Guerra!'. Roba da medioevo." Il giornalista evita di usare il termine "reduci" (evidentemente era troppo militaresco) e non fornisce nessun'altra informazione sul tipo di accoglienza ricevuta dai dodici "concittadini" (che, a nostro avviso, dovrebbe essere stata molto calorosa), né ci dice a quale partito o movimento politico appartenevano i giovani contestatori.

Per quanto riguarda lo spazio che "L'Unione Liberale" dava al ritorno dei soldati dalla Libia accadeva un fatto singolare: mentre l'edizione perugina del giornale riportava con dovizia di particolari le notizie del loro ritorno nei vari paesi del circondario del distretto militare di Perugia, inspiegabilmente, l'edizione ternana del giornale ignorava completamente il ritorno di reduci a Terni e dintorni. E questo accadeva anche se, è il caso di precisare, dai fogli matricolari risulta che i richiamati del distretto di Spoleto, nel cui circondario c'erano Temi, Spoleto e tutti i paesi della Valnerina, partirono da Napoli contemporaneamente a quelli di Perugia e tornarono via Siracusa negli stessi giorni . Qiesta diversa attenzione ai reduci dipese sicuramente da scelte dei redattori dei due giornali ma non è da escludere che queste scelte siano state determinate dal fatto che a Perugia la gente dimostrava di essere più favorevole che a Terni alla guerra, grazie anche agli articoli de "L'Unione Liberale" e ali' attivismo dell'onorevole Gallenga.

Il giovane deputato, infatti, fra una Lectura Dantis e l'altra, era sempre pronto ad esaltare i nostri combattenti e a battersi contro gli antimilitaristi. In aprile, con una interrogazione al ministro dell'Interno , sollevò il caso

dell ' Internazionale di Parma che aveva aperto una sottoscrizione a favore dei disertori, e tanto fece che rius cì ad ottenere non solo l'incriminazione dei giornalisti ma anche di coloro i quali avevano aderito alla sottoscrizione. 77 Mentre in Umbria molti soldati tornavano altri partivano come rincalzi per i vari reggimenti che altrimenti si sarebbero trovati a corto di uomini. Sembra che queste partenze in Umbria siano avvenute senza che vi siano state manifestazioni di dissenso dei partiti sovversivi. Ma altrove, come ad esempio nella zona di Ancona, dove la presenza degli anarchici era molto forte, la situazione era diversa.

"L'Unione Liberale" del 1 maggio riportò questo episodio accaduto a Fano tre giorni prima:

"Fano, 28 - Stamane, con un treno speciale, so no partiti pel teatro della guerra 90 soldati del nostro 94° fanteria, quasi tutti volontari. Per quanto l'ora fosse poco propizia, pure parecchia gente accorse alla stazione a salutarli.

La partenza fu però turbata da un incidente. Mentre al suono degli inni patriottici la folla applaudiva ai bravi fucilieri, un gruppo di sei o sette teppisti, noti come anarchici, cominciò a lanciare grida di 'Abbasso la guerra! Abbasso l'esercito!' ed altro. Alcuni cittadini e qualche ufficiale diede loro sulla voce energicamente. Ma quelli urlarono più for te. Ed allora cittad ini e qualche ufficiale diedero loro addosso e nacque un parapiglia."

Il 30 maggio a Perugia, quando 80 soldati del 51 ° fanteria partirono per la Libia i saluti da parte della gente furono calorosi. Fin dalle 7 di mattina, come riportò il giorno successivo "L'Unione Liberale", il cortile della

77
70
Cfr. "L'unione Liberale" dell'l 1 maggio 1912.

caserma Biordo Michelotti dove era acquartierato il reggimento, si animò dei "saluti cordiali e clamorosi" che i commilitoni riservarono ai "fratelli" in partenza. E mentre il comandante passava in rivista la schiera in assetto di guerra, in corso Cavour la gente si "pigiava sulle finestre adornate di grandi drappi tricolori" in attesa del passaggio dei soldati. In strada, "le associazioni, gli istituti e le rappresentanze di società patriottiche con le loro bandiere si ordinavano in corteo" per accompagnare i soldati alla stazione dietro la banda cittadina che suonava la marcia reale . "I bravi ragazzi, tutti sorridenti, con i fiori al moschetto, nello zaino, al berretto" passarono tra una folla che li applaudiva "in una commovente ed indimenticabile" dimostrazione di affetto.

Ne llo stesso numero "L'Unione Liberale" diede la notizia di un banchetto che si sarebbe dovuto tenere nella platea del teatro Pavone il prossimo 2 giugno in onore di 100 reduci dalla Libia. Secondo l'intento degli organizzatori, al grande simposio avrebbero preso parte, oltre ai reduci, almeno 500 persone e le massime autorità cittadine. Nell'occasione il sindaco di Perugia avrebbe dovuto consegnare ai soldati e ai militi della Croce Rossa, anch'essi reduci dalla Libia, una medaglia commemorativa fatta coniare dal Municipio.

Tre anni dopo tutti questi reduci umbri, come risulta dai fogli matricolari, se non esentati per motivi di salute, familiari o altro, furono nuovamente chiamati alle armi per combattere nella Grande Guerra.

71

Con i continui arrivi il corpo di spedizione aveva ormai raggiunto i centomila uomini i quali, come abbiamo visto, occupavano soltanto le città costiere trovando grandi difficoltà a spingersi all'interno, nonostant e che alcuni reparti fossero dotati di automezzi pesanti forniti da ll a FIAT. "I soli a staccarsi dalla costa" scrive Del Boca, "e ad inoltrarsi per qualche decina di chilometri nello 'scatolone di sabbia' sono i patetici monoposto di Moizo e Gavotti e, dal 5 marzo 1912, anche i dirigibili P2 e P3 sono usati principalmente nella ncog01z1one fotografica e topografica."78

"L'Unione Liberale" del 9 maggio diede risa lto all'impresa del dirigibile P3 comandato da l capitano Valli che, oltre alle ricognizioni, aveva bombardato in quei giorni l'accampamento arabo-turco di Aziziah lasciando cadere "una trentina di grosse e potenti bombe".

St ampa e opinione pubblica in Italia si int eressavano alle operazioni terrestri del nostro esercito ma non a quell o che accadeva sui mari. La Marina era pressoché ignorata perché i compiti di scorta ai convogli, la perlustrazion e delle coste e la lotta al contrabbando di armi, anche se per nulla secondari, non fac evano notizia. Ammiragli e vice ammiragli mordevano il freno affinché alla flotta italiana,

L '
O CCUPAZIO NE DEL DOD E CANESO E I PRIMI NE GO ZIATI
72
78 A. Del Boca, Gli Italiani in Libia, ...cit., p. 167. Sul punto va precisato che i "patetici monoposto" Blér iot e Nieuport erano all'epoca il meglio de lla tecnologia aeronautica.

una delle più potenti del mondo, fossero affidati ruoli più importanti. Probabilmente fu anche per i loro consigli e le loro pressioni che Giolitti decise di aprire un altro fronte, mandando la flotta con un corpo di spedizione a colpire la Turchia nei suoi possedimenti insulari del basso Egeo, a poche miglia da Smirne.

L'operazione venne condotta a termine celermente, e tra il 28 aprile e il 20 maggio vennero occupate Stampalia, Lisso, Calino, Calchi, Piscopi, Lero, Simi, Coo, Scarpanto, Caso, Patmo e Nisiro.

Soltanto a Rodi, dove vi era una guarnigione forte di 1.500 turchi, gli uomini del generale Giovanni Ameglio, il 16 maggio, incontrarono una forte resistenza e dovettero combattere tutto il giorno prima di ottenere la resa del nemico. I caduti italiani furono 11 e quelli turchi circa

100.79

Molti paesi europei, compresa l'Austria che aveva consentito soltanto l'occupazione di tre isole, reagirono negativamente e pertanto Giolitti dovette porre un freno ai suoi ammiragli che invece volevano continuare l'operazione e impadronirsi di altre isole.

Per rappresaglia ali ' occupazione del Dodecaneso la Turchia decise di espellere settantamila italiani presenti nell'impero ottomano . L'afflusso improvviso di questa massa di profughi bisognosi di assistenza causò in Italia non pochi problemi ai quali generalmente si fece fronte con raccolte di denaro. Il 28 giugno il sindaco di Terni, Vittorio Faustini, propose al consiglio comunale di deliberare a loro favore un contributo di mille lire. Ma anche questa volta Pietro Farini si oppose chiedendo che in alternativa venisse approvato il seguente ordine del giorno:

79 Cfr. S. Romano, La Quarta Sponda, ... ci t., p. 217. 73

"Il consiglio comunale di Terni esprime profondo e vivo sentimento di fratellanza per gli Italiani espulsi dalla Turchia, ma poiché spetta al governo la responsabilità della guerra e delle sue conseguenze, deve spettare anche a lui di pro vvedere direttamente agli espulsi." 80

Alla richiesta di Parini si associarono i consiglieri Giuseppe Amici e Romeo Magrelli, ma il consiglio comunale la respinse e approvò la proposta del sindaco . A luglio, in un albergo di Losanna, cominciarono le trattative di pace tra turchi e italiani. I primi erano disposti a riconoscere l'acquisizione da parte italiana delle città e delle coste della Libia già occupate e un'ampia autonomia della Tripolitania e della Cirenaica, sotto la sovranità nominale turca, mentre l'Italia pretendeva che le venisse riconosciuta la sovranità sull'intero paese in base al decreto di annessione del novembre dell'anno precedente. Ma dopo oltre un mese e mezzo le trattative erano a un punto morto perché, come ricorda Romano, "Giolitti non voleva rimangiarsi il decreto sulla sovranità e i turchi non volevano cedere una pro vincia che l'Italia non aveva ancora conquistato". 81

Per sbloccare la situazione e poter trattare da una posizione di forza Giolitti aveva bisogno che il nostro esercito ottenesse una vittoria significativa sul terreno. Ma la prudenza con cui Caneva comandava il corpo di spedizione era di impedimento a questa strategia. Così ai primi di settembre il capo del governo decise di sostituirlo con due generali: Ottavio Ragni a cui affidò il settore della T ri poli tani a e Ottavio Briccola a cui assegnò quello della Cire-

80 AST, ASCI, II, registro delle sedute del consig lio comunale del 1911.

81 Cfr. S. Romano, La Qµarta Sponda, ...cit. p. 247.

74

naica. Quest'ultimo il 17 sett embre, a Derna, mosse le truppe contro l e posizioni nemiche poste su un'altura dove Enve r Bey aveva il suo quartier generale e se ne impossessò dopo un aspro combattimento.8 2 Tre giorni dopo

R agni decise di occupare l'o asi di Zanzur da dove pas savano le carovane che dall a Tu n isia portavano i rifornimenti agli arabo-turchi che assediavano Tripo li .

In questa azione una parte determinante l'ebbe il 52° fanteria .

82 Su " L' Unione Libera l e" del 2 ottobre è stata r iportata la lettera di un tenente med ico, tale Verecondo Paole tti, de l 7° battaglione eritrei con il resoconto dello scontro durante i l quale gli ascari uccisero 1.200 a r abi . Tr a gli it a li an i rimase ucciso un cap itano mentre due ufficiali furono feriti. Gli ascari ebbe r o 2 1 morti e 59 fe r iti.

75

Ragni mosse contro l'oasi di Zanzur lungo la costa con quasi tutte le forze disponibili, circa 20.000 uomini, e con la copertura di tre navi da battaglia: l'Etna, la Partenope e la Solunto.

Zanzur, dove si trovavano 8.000 arabo-turchi, venne circondata ma molti nemici riuscirono a uscire dall'oasi e a trincerarsi sull'altura di Sidi Bila! a picco sul mare dove organizzarono una forte resistenza. Ne scaturì una accesa battaglia durante la quale si distinsero i fanti del II e il III battaglione del 52° reggimento che riuscirono ad avere la meglio sul nemico dopo ripetuti assal ti alla baionetta al grido di "Italia e Garibaldi!". Al loro comando vi era anche un capitano che sventolando un fazzoletto rosso li incitava così : "Avanti figlioli! In nome d'Italia e quello di G aribaldi: ecco lo l'emblema della nostra brigata. Avanti! Avanti!".83

La battaglia sembrava conclusa quando sopraggiunsero a piedi e a cavallo migliaia di arabo-turchi che, nonostante il fuoco di sbarramento degli ita liani, riuscirono a spingers i fino alle postazioni dei cannoni decimandone ufficiali e serventi. Si combatté per molte ore e soltanto alla sera, con l'impiego delle ris erve, gli ita l iani ri uscirono a respingere gli assalitori.

A Sidi Bila! gli arabo-turchi, secondo stim e italiane, lasciarono sul terreno oltre 2.000 morti mentre gli italiani ebbero 120 morti e 433 feriti. Gli ufficiali morti furono 11 e 33 i feriti. Si trattò della battaglia più sanguinosa

83 Cfr. "L'Unione Liberal e" del 27 settemb re 1912.

SIDI BI LAL E I L M O RALE D EI
ITALIANI
SOLDATI

dopo quella di Sciara Sciat, e anche l'ultima della guerra italo -turca perché neanche venti giorni dopo si arrivò al cessate il fuoco.

Il 52° perse 5 ufficiali, tra cui il capitano medico Giovanni T en toni, anni 38, di Spello, e 29 uomini di truppa . Tra i feriti del reggimento vi fu il capitano Ugo Gigliarelli di Spoleto.84

II 25 settembre il consiglio comunale di Spoleto commemorò i caduti del 52° reggimento e inviò un telegramma di cordoglio al giudice del tribunale Giovanni Battista Tentoni, fratello del capitano medico rimasto ucciso. Successivamente con il regio decreto 19 gennaio 1913 alla bandiera del reggimento venne concessa la medaglia d'oro "per la splendida condotta tenuta durante tutta la campagna di Libia 1911-1912 e in particolare per l'eroico valore spiegato nella battaglia di Sidi Bilal (20 settembre 1912)".

Nonostante il sangue versato non sembra che la battaglia per la presa di Zanzur, (annoverata ingenerosamente da Del Boca t ra "gli inconcludenti fatti d'arme libici") abb ia avuto una qualche influenza sulle trattative in corso. Inoltre (sempre secondo Del Boca) l'alta percentuale delle perdite tra gli ufficiali avrebbe dimostrato non tanto il loro valore, "quanto lo scarso slancio della truppa che era poco motivata."85

Enver Bey, il comandante turco che a detta di S. Romano sapeva "maneggiare le armi della propaganda", in

84 Ibidem. In un articolo dal titolo Il valore dei figlì dell'Umbrìa è stato scr i tto che durante la battaglia il capitano Ugo Gigliarelli fu fer ito ad una spalla e ad una coscia e che dopo aver riportato quest'ultima ferita s i sarebbe rivolto ad un soldato dicendogli sorridendo: "Ora puo i portarmi via, non valgo più niente. Con due pallotto le in corpo è difficile combattere".

85 A. Del Boca, Gli Italiani in Libia, ...cit., p. 190 (nota 103).

77

una conversazione con l'addetto militare francese a Costantinopoli, disse che, secondo lui, gli ufficiali italiani erano "intelligenti, coraggiosi, persino eroici" ma gli uomini di truppa erano "codardi" perché "troppo giovani", dei "coscritti" non in grado di competere con i beduini che combattevano per la loro terra.86 Dopo la guerra il tenente turco Regeb Negib confermò questo giudizio alle autorità italiane con la seguente affermazi one: "Se volete un giud izio imparziale e generale sulle vostre truppe, vi dirò che gli ufficiali italiani erano in complesso migliori di quelli turchi, ma non posso dire altrettanto dei soldati" .87

Effettivamente, contrariamente a quello che si cred eva (o si voleva far credere) in Italia, sembra che nel corpo di spedizione serpeggiasse un malumore che avrebbe potuto determinare questo comportamento. Gli uomini, a parere del viceconsole di Bengasi, erano "impreparati a sopportare le fatiche di una tale campagna", il caldo era tremendo e molti cadevano rapid amente ammalati"e dovevano essere "urgentemente rimpatriati" 88. Anche il cibo in scatola, che con il calore si avariava presto, era causa di frequenti malori. E poi, oltre al colera sempre presente nella zona di Tripoli, vi erano altri pericoli per la salu te dei soldati come i numerosi casi di tifo e di meningite cerebrospinale che il governo di Giolitti, secondo un diplomatico francese, cercava di tenere segreti all'opinione pubblica italiana.89

Il diffondersi tra la truppa di malattie dovute a questi fattori trova confe rma nei fogli matricolari dei distretti umbri dove risu lta che almeno il venti per cento dei soldati veniva rimpatriato "per malattia" dopo qualche mese di

86 S. Romano, La Quarta Sponda, cit., p., 222.

87 A. Del Boca, Gli Italiani in Libia, ... cit., p. 198 (nota 136).

88 Ibid em

Bi S. Romano, La Quarta Sponda, ...cit., p. 240 ( nuovo volume).

permanenza in zona di guerra. Da un'indagine statistica effettuata dall' "Avanti!" risultò che ben 23.921 soldati italiani furono rimpatriati per malattia durante i dodici mesi di guerra.9 0

Dopo la battaglia di Sidi Bilal non vi furono in Libia altri fatti d ' armi degni di nota eccetto un'avanzata di Briccola, senza incontrare resistenza, nella zona di Derna fino al litorale di Bomba.

Ad imprimere una accelerazione ai negoziati di pace che si stavano tenendo a Ouchy nei pressi di Losanna intervenne un fatto nuovo. Approfittando della guerra italoturca, Montenegro, Serbia, Bulgaria e Grecia il 30 settembre si coalizzarono e mobilitarono i loro eserciti contro l'impero ottomano per liberare definitivamente i territori ancora sotto la sua sovranità.

Giolitti comprese che questa era un'occasione da non perdere e il 2 ottobre fece pervenire al governo turco un ultimatum in cui comunicava che se entro il 10 ottobre non si fosse giunti alla firma di un accordo l'Italia avrebbe ripreso la guerra nell'Egeo. Con un successivo ultimatum fece slittare la data alle 21,30 del 15 ottobre ma con l'avvertimento che, nel caso in cui i turchi avessero ancora tergiversato, l'Italia avrebbe attaccato con le sue navi le fortificazioni di Smirne e tagliato il nodo ferroviario di Dodeagatch impedendo di fatto alle forze turche di intervenire in Macedonia contro l'avanzata degli eserciti greci e bulgari.

I turchi cedettero e la sera del 15 ottobre, nonostante l'opposizione dei capi arabi che temevano di essere lasciati a se stessi, si decisero a firmare un accordo di pace. Contemporaneamente il governo italiano ordinò a Ragni e a Briccola di cessare le ostilità.

90 La sta tistica è sta t a pubb licat a sul! ' "A va nti !" del 29 luglio 1913 e r iporta t a d a Del Boca in Gli Italiani in Libia, ...cit., p. 196.

79

Il trattato di pace venne firmato il 18 ottobre preceduto da un decreto ("firmano") del sultano Maometto V con il quale veniva concessa piena autonomia alle province ( vitalyet) della Tripolitania e della Cirenaica.

Con lo stesso atto il sultano nominava in Libia un suo rappresentante in funzione di console e si riservava il diritto di nominare un cadi che attraverso gli ulema avrebbe dovuto garantire il rispetto del culto musulmano e l'osservanza della legge islamica da parte delle popolazioni locali.

A sua volta l'Italia si impegnava a restituire le isole del Dodecaneso non appena i turchi avessero lasciato la Libia. Si impegnava inoltre a titolo di risarcimento a versare nelle casse del debito pubblico ottomano una somma corrispondente al mancato reddito derivante all'impero per la perdita delle due province.

In Italia, non appena fu diramato il testo del trattato, gran parte dell'opinione pubblica reagì positivamente ma non mancarono le critiche, specialmente da parte dei nazionalisti che con l'impegno di restituire alla Turchia le isole del Dodecaneso vedevano sfumare il sogno di un impero italiano del Levante. Si disse, tra l'altro, che concedendo al Sultano la facoltà di nominare un console e un cadi gli si lasciava anche il potere politico e religioso. Si parlò anche di una sovranità italiana incompleta o attenuata, esercitata in condominio con i turchi . Ma "nessuno s'accorse", scrive S. Romano "che per la terza volta nella sua storia recente l'Italia otteneva ciò che desiderava

UNA PACE CONTROVERSA
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nel modo peggiore. Nel 1859 e nel 1866 aveva avuto la Lombardia e il Veneto dalla Francia, non dall'Austria; nel 1912 la Tripolitania e la Cirenaica le erano state abbandonate, non cedute. In ciascuno dei tre casi l'Italia si vedeva privata dell'unico titolo che conferisca legittimità ad una conquista: il riconoscim en to dei vinti".91

I giornali filo governativi come "La Stampa" e "La Tr ibuna" esultarono e uscirono con titoli entusiastici. Il "Corriere della Sera" del 18 ottobre approvò anch'esso i termini del trattato di pace ma con toni molto più contenuti in vi tando i critici a non cercare nel protocollo e nel "firmano" del Sultano soltanto "i particolari che hanno apparenza contraddittoria" ma a guardare al risultato raggiunto, cioè la sovranità dell'Italia sulla Libia.

In Umbria "L'Unione Liberale" del 18 ottobre pubblicò il risultato di un sondaggio tra i perugini dal quale risultava che "la maggioranza" era contraria al trattato perché sminuiva il "prestigio conquistato dal Paese in un anno di guerra".92 La questione del prestigio che si reputava compromesso dai termini del trattato era ripresa e approfondita nell'editoriale pubblicato sullo stesso numero in questi termini: "Perché si è fatta la guerra? Non certamente per l'illusione che la Libia potesse fruttare ricchezze all'Italia - che anzi da tutti si sa come la conquista per un lungo periodo d'anni costerà moltissimo - ma per un ele m ento tutto morale: per il prestigio dell'Italia che evidentemente sarebbe scaduto se un'altra potenza si fosse impadronita del territorio sul quale vantavamo diritti ormai riconosciuti. [ ... ] Ma questa pace giunge essa davvero ad appagare l'amor proprio nazionale e a rafforzare il prestigio italiano davanti alle grandi Nazioni? Tutti sentiamo ben chiara-

91 Ibidem, p. 276 (nuovo volume).

92 Cfr. "L'unione Liberale" del 18 ottobre 1912.

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mente di no. Tutti sentiamo che se la guerra avrà rialza to nel mondo il concetto del popolo nostro, la pace fatta in questo modo non avrà elevato il prestigio dello Stato italiano".

Il 19 ottobre "La Turbina" rispondeva a "L'Unione Liberale" in questi termini: "Il Nazionalismo grida contro la 'pace ontosa'. E a ragione dal canto suo; poiché la sua logica in tutta questa vergogna libica fu al imentata di menzogne. E di menzogne esso nutrì l'opinione pubblica quando la ingannò sulla resistenza indigena, sulla decantata facilità dell'impresa. E che altro se non una serie di esagerazioni e di menzogne furono i reso conti delle operazioni militari? Arabi sventrati a migliaia, battaglie omeriche in cui anche i cani da guerra italiani erano più valorosi dei cani turchi!9 3 A gente così rimbambita che dettava ordini e accendeva entusiasmi nei caffè la pace è sembrata un'onta. E gridano a perdifiato anche perché, o forse solamente perché, le azioni dei fornitori di armi sono subito discese. All'annuncio della pace di Losanna, infatti, le azioni della patriottica società Temi sono discese".

Il 20 ottobre ''L'Unione Liberale" ritornava sull'argomento citando un editoriale de "L'Esercito", la rivista delle "sfere militari", dove si sosteneva che "i formalismi del trattato di pace, se non significano proprio uno stato di inferiorità da parte nostra, non possono rappresentare davvero quell'atto di imperio a cui davano giusto diritto le incomparabili prove di slancio e di eroismo del nostro soldato e le gloriose vittorie da esso strappate al nemi co .[.. .]

È il sentimento nazionale ferito quello che deprime gli animi e respinge l'accordo".

93 Durant e la guerra gli italiani usarono i dogo sardesch i e i pastori e mastini fonnesi.

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Il commento più lucido e ironico lo fece come al solito Salvemini che sulle pagine de "L'Unità" scrisse: "A chi sorride il trattato di Losanna: alla Turchia? all'Italia? ai maomettani della Libia? a tutti? a nessuno?

Noi abbiamo un'impressione generica, quasi istintiva, che il trattato di Losanna sia destinato a rimanere nella storia delle relazioni internazionali come una delle più raffinate corbellature diplomatiche. La corbellatura è così squisita e perfetta che sarà sempre estremamente difficile finanche il determinare chi precisamente è stato corbellato. Un capolavoro del genere."9 4

Inoltre per Salvemini una cosa era certa: l'Italia accettando in Libia un "luogotenente" del Sultano di Costantinopoli, si era rimangiata, sia pure formalmente, "il nefasto decreto di sovranità piena e intera del 5 novembre 1911".

In quei giorni l'attenzione dei giornalisti e dei politici era focalizzata sulle clausole del trattato e sui vantaggi, o svantaggi, morali e materiali che l'Italia ne avrebbe ricavato; ma nessuno evidenziò il fatto che la pace era stata conclusa soltanto con i turchi e non anche con gli arabi i quali per altri venti anni avrebbero continuato a dare del filo da torcere agli italiani.

Secondo i più autorevoli storici e economisti la guerra di Libia costò all'Italia oltre un miliardo di lire, una somma doppia di quella dichiarata dal governo Giolitti. In termini di vite umane, data la sua brevità, non fu particolarmente cruenta. Secondo le statistiche ufficiali vi perirono 3.431 italiani di cui 1.483 in combattimento e 1.949 per malattia; un dato quest'ultimo che confermerebbe le difficili condizioni ambientali in cui si vennero a trovare i nostri soldati.

94
G. Sa lvemini , Come siamo andati in Libia, ...cit., p. 25 1.

In Umbria la notizia della firma del trattato di pace fu accolta in generale con indifferenza come se il ritorno dei reduci a maggio avesse già decretato fin da allora la fine della guerra. U. Ranieri di Sorbello, sempre molto attento agli avvenimenti che riguardavano Perugia, non ne accennò affatto. In quei giorni, nella città, maggiore interesse destò un grande evento mondano al quale partecipò "tutta la società di Perugia": il concerto "pro flotta aerea" all'Hotel Palace organizzato dalla marchesa Danzetta durante il quale danzarono e cantarono vestiti da soubrettes Gigino Danzetta e Federico Marro . Non mancò un tocco di sensualità quando, al suono delle musica composta dalla marchesa Monaldi Nathan , la nobildonna Maria Faina eseguì la danza dei sette veli.

Un'altra guerra, quella iniziata nei Balcani, occupava l e prime pagine dei giornali assieme alla notizia della partenza per Patrasso dei volontari perugini che andavano a combattere i turchi agli ordini di Ricciotti Gariba ldi.95 Anche nell'edizione ternana de "L'Unione Liberale" alla pace appena conclusa con la Turchia furono dedicate poche righe. Maggiore interesse suscitò la partenza da Temi per la Grecia di Girolamo Bianchini Riccardi, che andrà, come gli altri volontari, a raggiungere il figlio di Garibaldi. E anche a Temi, come a Perugia, il desiderio di mondanità sembrò allontanare definitivamente le preoccupazioni per una guerra che si riteneva conclusa. A novembre al Politeama venne rappresentato Il Matrimonio Segreto di Domenico Cimarosa e si esibì la compagnia napoletana di operette Marietta Gaudiosi. La guerra di Libia era ormai un lontano ri cordo. Soltanto il poeta Riccardo Gradassi Luzi, nel gennaio del 1913, si rammentò

95 Cfr. U. Ranieri di Sorbello, Perugia della bell'Epoca, ...cit. p. 549.

dei reduci ternani e pubblicò in loro onore una poesia dal titolo Nel ritorno dalla Libia del 52° fucilieri. 96

A conferma che le guerre, anche se vittoriose, ben difficilmente realizzano i desideri di chi le ha volute, tra il 1912 e 1913 un milione e mezzo di italiani lasciarono il paese avendo come meta l'Europa e la lontana America e non la Libia. L'Italia restava con tutti i suoi problemi, aggravati dai debiti contratti per le spese di guerra. Inoltre il notevole consumo di materiale bellico e di equipaggiamento ebbe ripercussioni negative sulla preparazione del nostro esercito quando, meno di due anni dopo la fine della guerra con la Turchia, con l'ultimatum dell'Austria alla Serbia inizierà la Prima Guerra Mondiale.

96 Cfr. D . O t tavia ni, Il Novecento a Term; ...cit. , p. 57. 85

IMMAGINI

•, -·•. •·. ' .,. ·-IH. ··~;---~~ J.,.11.'t 111 1"WO , .....I TRIPOLITANI>. S.t"t"rEHTl'tlO~AU :;~'~':':.', ~:~Q ..,.: :.,;:
Mappa De Agostini della Tripolitania Settentrionale nel 1911 (Da "L'Illustrazione Italiana" del 7 aprile 1912')

Le Acciaierie di Terni al tempo della Guerra di Libia ( Cartolina dell'epoca)

La flottiglia degli aviatori volontari in Cirenaica ( Cartolina celebrativa dell'epoca)

90

Giovanni Giolitti, Presidente del Consiglio ali' epoca della Guerra di Libia

li generale Carlo Caneva comandante della spedizione italiana in Libia

91
92
li viceammiraglio Luigi Faravel li Comandante della squadra navale italiana Enver Bey Comandante delle forze turche Pietro Farini Consigliere Comunale socialista di Terni e Direttore de "La Turbina"
93
Giuseppe Orlando Presidente della società Terni

Pompeo di Campello, ufficiale e fotografo della spedizione, ferito in Libia (Fondo Pompeo di Campello -A. S. Spoleto)

Ribelli libic i impiccati dalle t rupp e italiane (Fondo Pompeo di Campello - A. S. Spoleto)

94

Ribelli libici impiccati dalle truppe italiane (Fondo Pompeo di Campello - A. S. Spoleto)

95

Veduta di Tripoli

(Fondo Pompeo di Campello -A. S. Spoleto)

Tripoli, il castello di Valì

(Fondo Pompeo di Campello - A. S Spoleto)

Hélène di Francia in divisa da crocerossina (Fondo Pompeo di Campello -A. S. Spoleto)

Hélène di Francia con un'altra crocerossina

(Fondo Pompeo di Campello - A. S. Spoleto)

97

Ascari eritrei in marcia

(Fondo Pompeo di Campello -A. S. Spoleto)

Artiglieria italiana in azione

(Fondo Pompeo di Campello -A. S. Spoleto)

Reparti italiani schierati in un'oasi (Fondo Pompeo di Campello - A . S. Spoleto)

Arabi prigionieri delle truppe italiane (Fondo Pompeo di Campello -A. S. Spoleto)

99

Il cap.

Piazza con il suo Blériot

(Archivio fotografico gen. Basilio Di Martino)

Un dirigibile tipo P in volo su Tripoli

(Archivio fotografico gen. Basilio D1' Martino)

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.

"In Libia dopo la pace"

(Da "L 'J!!ustrazione Italiana" del 20 ottobre 1912)

101
...., ____, __ .,._ ~''°"" lt SMVJZl~ntl-,.l--;- c ... ...,... _.....__ CAMPAGNE. AZIONI DI ME.RITO ,o........,.. .._.. I'......_ 1.-. '"'"-· M~:.-1 in,....,. .... •~ tn
102
Fogli~ rn~tricolare del portaferiti Pietro Bisogni Medaglia d Argento alla memoria al Valor Militare (A. S. Spoleto)

APPENDICE

GERARCHIA DI POT ENZA, NAVI , COLONIE E MEZZI AEREI

All'inizio del '900 l' ancor giovane Regno d'Italia si apprestava a celebrare i primi cinquant'anni dell'unità nazionale, un'unità peraltro non ancora compiuta, come non mancavano di sottolineare diversi esponenti del mondo politico e della cultura, dovendo suo malgrado confrontarsi con quel problema di rango internazionale che ne aveva da sempre condizionato la politica estera ed avrebbe continuato a farlo anche in futuro, fino ai giorni nostri. Le celebrazioni del 19 11, nel rafforzare la consapevolezza dei traguardi raggiunti, riportarono alla ribalta l'annosa questione della posizione dell'Italia nel concerto delle potenze europee, una questione che si poteva riassumere in una semplice domanda: era l'Italia l'ultima delle grandi potenze o la prima delle piccole? E nel secondo caso, aveva la possibilità di portarsi alla pari delle prime? In un periodo storico in cui la gerarchia delle potenze era visivamente delineata da fattori come la consistenza delle flotte e l' entità dei domini coloniali, due indicatori immediatamente percepibili ma che ne sottintendevano altri relativi alla dimensione economica e sociale di uno Stato, la via da percorrere sembrava obbligata. Mentre perseguiva un programma di costruzioni navali in linea con gli ultimi orientamenti della tecnica, con l'affermarsi della nave da battaglia monocalibro sul modello della britannica HMS. Dreadnought, l'Italia giolittiana riprese quindi in consi-

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derazione una politica di espansione in Africa, guardando in particolare a quelle provincie dell'impero ottomano che, anche per la relativa arretratezza e la scarsa appetibilità, non erano state oggetto delle mire di Francia e Gran Bretagna.

questa, in estrema sintesi, la genesi dell'impresa di Libia, che proprio per queste sue motivazioni, all'epoca celate dietro le presunte potenzialità economiche dei territori della T ripolitania e della Cirenaica, suscitò sentimenti contrastanti nell'opinione pubblica, portando ad accesi scontri di piazza. Il dibattito fu particolarmente vivace anche al di fuori dei contesti romani e milanesi investendo la cosiddetta "provincia", ivi inclusa un'area, come quella del ternano, dove la presenza di una significativa realtà industriale contribuiva ad alimentare il dibattito da posizioni di "sinistra", in aperta contrapposizione con i fautori della guerra.

Nell'ottobre del 1912 l'uscita di scena della Sublime Porta sembrò spianare la strada alla penetrazione italiana che in effetti riuscì senza eccessive difficoltà ad estendersi fino alle distese desertiche del Fezzan senza però potervi mettere salde radici. Il precipitare della situazione in Europa, ed il ritorno in campo della Turchia pronta a soffiare sul fuoco della ribellione, determinò così il rapido crollo di una impalcatura ancora fragile, riducendo la presenza italiana alle teste di ponte di Tripoli e Homs ed in Cirenaica ad una stretta fascia costiera imperniata su Bengasi . Tutto questo però apparteneva ancora ad un futuro lontano quando nell'ottobre del 1911 i l corpo di spedizione del generale Carlo Caneva occupava Tripoli e la sua oasi impiantandovi poco dopo un campo d'aviazione ed uno scalo dirigibili. La campagna di Libia, infatti, vede il primo impiego bellico del mezzo aereo, individuando un altro campo, quello dell'aviazione, destinato in futuro ad incidere sulla gerarchie internazionali introducendo come

È
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ulteriore parametro la consistenza delle rispettive flotte aeree, e più in generale la capacità di esercitare un effettivo potere aereo. A tal riguardo la campagna di Libia vede delinearsi l'affermazione del "più pesante dell'aria" senza peraltro azzerare le prospettive del dirigibile al quale autonomia e capacità di carico sembrano lasciare ancora spazio.

Il dibattito tra i sostenitori dell'aeroplano e quelli del dirigibile era già molto vivo quando la guerra di Libia diede modo di sperimentare sul campo le virtù sia del "più leggero" che del "più pesante" dell'aria. Nell'ottobre del 1911 con il primo scaglione del corpo di spedizione sbarcò a Tripoli una flottiglia aeroplani con nove velivoli di vari modelli, due monoposto Blériot IX, tre Nieuport biposto, due Farman biposto e due Etrich pure biposto, inquadrati nella 1a Flottiglia Aeroplani agli ordini del capitano di artiglieria Carlo Maria Piazza. Il 23 ottobre proprio Piazza, ai comandi di un Blériot IX, fu il primo aviatore al mondo a compiere un volo di guerra con una breve ricognizione sul terreno antistante gli avamposti italiani verso l'oasi di Zanzur. Il 1° novembre un altro ufficiale della squadriglia, il sottotenente Giulio Gavotti, decollato con un monoplano Etrich T aube di costruzione tedesca per una ricognizione sugli accampamenti turchi di Ain Zara e di Tagiura, fu invece il primo ad eseguire un'azione di bombardamento. Gli aviatori italiani furono protagonisti anche di altre azioni che anticipavano i tempi:

• nel gennaio 1912 iniziò il lancio di manifestini di propaganda che invitavano la popolazione araba a passare dalla parte italiana;

• nel gennaio 1912 iniziarono le ricognizioni topografiche per aggiornare la cartografia della Tripolitania;

• il 24 gennaio 1912 il capitano Piazza eseguì la prima ricognizione fotografica sugli accampamenti di Suani Beni Adem, con una macchina montata in posizione ventrale;

• il 4 marzo 1912 Pi azza con un Blériot e Gavotti con un Farman eseguirono un primo esperimento di volo notturno.

• sul finire del novembre 1911 la notizia che i turchi avrebbero a loro volta impiegato dei velivoli portò all'adozione di segni di riconoscimento ed all'emanazione delle p rime direttive per il combattimento aria-aria.

• il 25 agosto 1912 il sottotenente Piero Manzini, precipitato in mare decollando da T ripoli per una ricognizione fotografica, fu il primo aviatore a cadere in azione.

• il 10 settembre 1912 il capitano Moizo, costretto ad atterrare per panne motore durante un volo da Zuara a Tripoli, fu il primo aviatore prigioniero di guerra.

La Squadriglia Aeroplani di Bengasi iniziò ad operare il 28 novembre agli ordini del capitano d'artiglieria Alfredo Cuzzo-Crea potendo contare su un Blériot, un Farman ed un biplano Asteria, mentre vennero attivate in dicembre le squadriglie aviatori volontari di Derna e di Tobruk. Entrambe costituite da piloti civili, erano la prima, con quattro velivoli, agli ordini del capitano Mad d alena Marenco, la seconda, con cinque, del tenente Enrico Capuzzo. Qyesta peculiare soluzione, che rappres en tava in qualche modo una traccia delle origini "sportive" dell'aeroplano, e molto doveva allo spirito d'iniziativa dell'ingegner Carlo Montù, presidente dell'Aero Club d'Italia e deputato al Parlamento, ebbe però vita breve e venne accantonata nel marzo del 1912, quando i piloti volontari furono sostituiti

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da ufficiali brevettati collocando definitivamente il mezzo aereo in una dimensione militare.

La partecipazione dei dirigibili italiani alla campagna di Libia era iniziata con la costituzione a Brindisi, sotto la data del 1° ottobre 1911, di un Cantiere Diri gibili affidato al tenente di vascello Guido Scelsi, con i dirigibili tipo "piccolo" P2 e PJ. Le due aero navi furono trasferite a Tripoli via nave all 'ini zio di dicembre co n il personale ed il materiale di supporto. Le operazioni di sbarco furono rallentate dall'insufficienza delle installazioni portuali, saturate dalle molteplici esigenze del corpo di spedizione, ed a complicare le cose arrivò il violento fortunale che la sera del 16 dicembre investì gli hangar delle aeronavi danneggiandoli seriamente insieme ai due dirigibili in allestimento. L'acquisto di un nuovo hangar ad ar matura metallica tipo Miiller fu finalizzato in tempi molto brevi, e così pure la riparazione degli involucri e delle parti strutturali, nonostante per questo fosse stato necessario rimandarli in Italia. Così, malgrado gli ormai noti problemi per lo sbarco ed il trasporto dei m ater iali ed il perdurare di condizioni atmosferiche sfavorevoli, il mattino del giorno 5 marzo i due dirigibili mossero di conserva per la prima sortita di guerra, dirigendo su Zanzur. A questa prima ricognizione ne sarebbero seguite numerose altre con una regol ar ità limitata sol tanto dalle condizioni atmosferiche. Le due aeronavi operarono nei primi tempi sempre in coppia, in modo da potersi dare sostegno reciproco, ma in seguito avrebbero agito anche isolatamente, per fronteggiare la contrazione degli organici del cantiere e ridurre i consumi di idrog eno .

L'attività dei dirigibili P2 e PJ va inquadrata nel secondo e nel terzo tempo delle operazioni in Tripolitania. Con il dicembre del 1911 si era infatti ch ius a la prima fase della campagna che aveva visto il corpo di spedizione occupare

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sulla costa Tripoli ed Homs e difenderle contro l'inatteso ritorno offensivo dei turco-arabi, procedendo a partire da novembre all'allargamento verso sud e verso est della ristretta zona fino a quel momento controllata con un crescente ricorso al mezzo aereo per raccogliere le informazioni necessarie a costruire un quadro di situazione sufficientemente definito. In questo ruolo i dirigibili operarono sia a sostegno delle operazioni che tra il gennaio e l'aprile del 1912 si svilupparono ad ovest di Tripoli ed a sud -es t di Homs, portando al pieno co ntrollo dell'oasi tripolina, sia delle azioni che a partire da maggio permisero l'occupazione di Zuara e della costa occidentale della Tripolitania, tagliando al nemico le vie di comunicazione co n la Tunisia, e con la conquista di Misurata permisero poi di allargare l'occupazione a sud e ad est cacciando i turco-arabi da Zanzur, ultimo loro punto d'appoggio sulla costa.

Nella primavera del 1912, a supporto delle forze operanti in Cirenaica, venne inviato in Libia anche il primo dirigibile della serie P. Il Pi, agli ordini del tenente di vascello Agostino Penco, iniziò ad operare da Bengasi il 29 maggio. A questo punto della campagna la situazione in Ciren aica era relativamente stabilizzata e la stretta dei turco-arabi sulle località costiere si era allentata. Il dirigibile uscì di scena il 12 luglio, al termine di un breve ciclo operativo che lo vide impegnato in missioni di ricognizione, intervallate da occasionali azioni di bombardamento.

Più lunga e significativa fu l'attività del cantiere di Tripoli, passato il 18 aprile 1912 agli ordini del capitano di corvetta Denti di Pirajno e poi il 22 agosto del tenente di vascello Giulio Valli. Alla cessa zione delle ostilità con la Turchia, il 20 ottobre 1912, il P2 aveva effettuato 71 ascensioni e 56 il PJ. Nonostante il rilievo dato alle azioni di bombardamento, durante le quali erano state lanciate 330 bombe di vario tipo, l'impiego dei due dirigibili era

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stato primariamente orientato alla ricognizione ed in qu~ sto ruolo avrebbero continuato ad operare per il resto dell'anno. Nel gennaio del 1913 entrambe le aeronavi vennero sgonfiate e imbarcate per l'Italia.

Per quanto riguarda gli aerostieri, il 15 ottobre era stata attivata a Tripoli una sezione aerostatica da segnalazione, con quattro palloni sferici da 50 mc, ma poco dopo era arrivato dall'Italia anche un parco aerostatico da osservazione ed il primo drachen con due ufficiali in navicella fu alzato il 10 novembre per sorvegliare dall'alto il terreno verso Ain Zara e dirigere il tiro delle artiglierie dell ' incrociatore corazzato Carlo Alberto. Il 1° dicembre un secondo drachen cominciò ad opera re da l brigantin o Cavai Marino, appositamente privato dell'alberatura, per sostenere l'azione delle navi Re Umberto e Carlo Alberto impegnate a battere le posizioni turco-arabe nella zona di T agiura. Qyesto pallone da osservazione andò perduto il 16 dicembre a causa di una tempesta di vento, ma l'l 1 febbraio un terzo drachen venne alzato ad Homs ed un altro operò tra il 27 maggio ed il 17 giugno a el Machbez, nel corso del ciclo operativo inteso a tagliare le comunicazioni con la Tunisia.

In Libia nel corso del 1912 furono quindi impiegati simultaneamente per l'esplorazione i tre mezzi aerei, con compiti diversificati in funzione delle loro caratteristiche: al velivolo era affidata l'esplorazione lontana, al dirigibile il collegamento tra le diverse colonne e la sorveglianza degli accessi al campo di battaglia, al drachen l'osservazione diretta del terreno dello scontro e delle adiacenze degli accampam enti e degli schieramenti. Era poi emerso con chi arezza non solo l'impatto che le condiz ioni atmosferiche potevano avere sulla continuità delle operazioni di volo, ma anche l'effetto negativo di un supporto logistico inadeguato, su cui avevano pesato i tempi di trasporto dall'Italia, con i ritardi nella disponibilità di parti di ricambio

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per i motori. L'accertata vulnerabilità, la forte sensibilità alle condizioni atmosferiche e l'indubbia pesantezza dell'organizzazione logistica di supporto non portarono però all'accantonamento delle aeronavi come strumento di guerra ma piuttosto alla ricerca di soluzioni che permettessero di sfruttarne le doti di autonomia e di capacità di carico. Del resto, per quanto promettente, l'aeroplano era ancora uno strumento insicuro e dalle possibilità limitate. Era quindi ragionevole affiancargli un mezzo apparentemen te in grado di compensarne le carenze e mirare in prospettiva ad una divisione dei compiti, con il velivolo impegnato nell'esplorazione ed in via secondaria nel bombardamento, ed il dirigibile orientato verso l'azione offensiva, da condurre prevalentemente di notte.

Tutto questo anticipava un futuro destinato a diventare realtà nel volgere di pochi anni, e un'anticipazione del futuro fu anche la discussione sulla liceità morale del bombardamento aereo di centri abitati innescata dalle quattro bombe lanciate dal capitano Riccardo Moizo su Ain Zara il 10 novembre 1911. Il governo turco accusò l'Italia di aver deliberatamente attaccato un ospedale e diede il via ad una violenta campagna giornalistica, scatenando una reazione emotiva che non accompagnava le notizie relative ai ben più pesanti ma più "tradizionali" bombardamenti navali. Alla richiesta di chiarimenti arrivata da Roma, Caneva avrebbe risposto che il grosso accampamento localizzato in quella località non aveva alcun distintivo di neutralità, il che anche da questo punto di vista anticipava i termini di un dibattito destinato a rimanere sempre attuale.

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Bibliografia essenziale

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• Di Martino B., L'avventura del drachen. Gli aerostieri italiani nella Grande Guerra, Ufficio Storico Stato Maggiore Aeronautica, Roma, 2003.

• D i Martino B., I dirigibili italiani nella Grande Guerra, Ufficio Storico Stato Maggiore Aeronautica, R oma, 2005.

• Lodi A., Il periodo pionieristico dell'Aeronautica Militare Italiana 1884-1915, Rivista Aeronautica, Roma, 1961.

113

52° REGGIMENTO FANTERIA "ALPI"

ESTRATTO DAL VOLUME:

"STORIA DEL REGGIME NTO" l

D OCUME 1TAZI0NE REL'\TIVA .'\:

QUADRI, :\HLITARI CADCTI E RICOMPENSE

N E LLA CAi.vfPAG::--JA ITALO-TURCA 19 11-12

E LIBIC\ 19 12-13

1 Tip. De ll'Umbria - Spoleto, 1935 . 114

QUADRI DEL 52 REGGIMENTO FANT l-:RIA e ALPI •

ALI.' \TI'O DELLO SBARCO A 1'RJPOU

STATO MAGGIORE DEL REGGI!l!ENTO

Colonnello - Amari di S. Adriano Cav. Giuseppe - Comandante

Capitano - Fimru11nò Ermenegildo - Aiutante 1'0111!1;· in l' - Casriani Adolfo

- Uffi,·ialr di ,·,.ttov.

Capii. MeJ. - Tentoni Dott. Raffoell" Dirigente serv. 1uurit.

'ft>nentc - Marioui Gius,-ppe

- UtT. di :immini.tru.

Capitano - PaoleUi di lln,lorotto Giuseppe - u,nurnci. ~e1:. milragl.

Truppa uomini 70 - quaLrupr<li 38

l• BATIACLlONE

Ciotola cav. Ernesto

Ten. Aiut. mugg. in 2• Femi Aurdio

Tenente Me.ciioo Cucila dott. Dunte

S. Tenente Medico Piccoli dou. Cio\' Hni

1• COMPACNJA

Ovazza Michelanielo

Ricciotti Giovanni

S. Ten ente Capit11110 Ten.-nte

S. 'f.-ncmte Capitano

Robus ti Ginetto

2• ColllPACNlA

Libertini Roso lino

Giitlinelli Ugo

Barlozzari Urbano

De Giorgis Giovanni

3• CoKPACNIA

Palumba Antonio

Musetti Franco

AI.UCATCI N. 8.
15 2
Capitano Tenente
Tenente
115

S. Tenente

Capit8ll() Tenente

S. Tenente

Cicerchia Pietro

Rieci Stefano

4• Co1rrACNIA

]'osini Giiwanni

Brotumoli Anacleto

Venanr.i Sil\'e!llro

Mari11caleo Orazio

Truppa uomini 790 - quadrupodl 34 carri 8

fl• BA'f1'AGL!ON1;;

Maggfore

Ten. Aiut. 'ttiagg. in Tenente .M'edico

Capitano

Tent>nle

S. Tenenui compi.

Capitano Tenente

.M.aneini C:iv. Luc.a

2· Molina Angelo

Pilati d()tt. A,lolfo {dd 2• nrti1(1ie1:'iu d11 moutngua)

Forti <lott. Igino (dcl t)> euvall~gi-ri)

s• CQ1111•AcNL\

Liotti Lucillno

Simoni Simone

Francareggj Gin.~eppe {del.I' 89 ° fant.)

Tooiuj Ermanno

6• CoMPACJ'IM

Alessandrini Luigi

Aracri Guido

Gelmetti Cesare (<lei 37• fant.)

Pa lenzona Mario ( • )

7• COMPACNIA

Capitano Tenente:

S. Tenente

Capitano Tenente

Dramis dei Drami s Pietro

h1iglio Guido

Biagi Guido Vito (dt>I 44• fant.)

De Veccl1i Luigi ( • 90" • )

8• CoJoCPACNIA

Barettiu Antonio

Valtanooli Giulio (del.I' ss• fant.)

116
153

S. Tenente ..

Bccuzz.i E.m.Hio (dell' 88• fa.nt.)

Ricci Arturo

Truppa : uomini 806 - quadrupedi 33 - carri 8

Teo. Colonnello

Te 11 Aiut. nugg. in 2 • Tenente medico

Capita.n o TeneJlt<)

s. T e n e nte

Ca.pitano Tenente

s. Tenente

Capitano Tenente

s. T enen te

Capitano Ttmente

m• BAl'l' ACUONE

Bl oi~e Cav. Carlo

Marchese Fran cesco

Ro8Si dott. Fen:uecio (del 3° cavali.)

M ereu d o tt. Rosolin o (del S • art. coolà)

9• COMPAGNIA

Rancber Attilio

Roll,a Amedw

Montu<)ri Carfo (del 41' fant.)

llare hes i U mbe rto (del 41" faut.)

1 O• CO.Ml'AONIA

Oberti Viuorio

.Forti Tito

Col"Sanego Cel este (del

Reali Oscar (

11• CoM'PAGNIA

Broncbelli Giuseppe

Gamberini Alberto

42° fant.) ,. )

Rani eri Anuro (del 42° fant.)

Sioli Luigi ( • )

12• C0~1PAGNIA

Buasei Aldegardo

C..olini Gracco

Dè Romarùs Giovanni

Volpe Umberto (dell' 89" fant.)

Truppa: uomini 814 - quadrupedi 34, - cani 8

,.
,. /
>
1 54 117

ELENCO

UFflC I

Al.LECA'.fO N. 9.
NOMINATIVO E NUMERICO DEI MILlTARI DEL REGGI-
MENTO MORTI IN COMBATTIMENTO OD IN SEGUITO A FERITE
NELLA CAMPAGNA ITALO -TURCA 1911. 12 e LIBICA 1912 -13
ALJ
ten. D e Vecchi Luigi.
Zara 4 dicem. )911 Capitano Li,otti Luciano Sidi .Bila! 20 $etlem. 1912 Capit. med. Tentoni Raffuelc • • Tenente (;elmetti Cesare . " s. tcn. Di Maio Raffaele • » . De Giorgio Giovanni • •
Soldato Cclii Abramo Caserma cavaU. 11 novem. 1911 Zappatore Buçeiol Giovanni Henn.i 26 • • St-..J:g. alL ulf. FCrraJ:'3 F.ra.ncesoo Sidi Ru.'llln l. dicembr e ,,. Soldato Bravi À.l;ltouìo • • ,. Evangelisti A ntonio • . • Nardi Ugo . . . Velia Michele • • Caporale Perronc Vi tt orio Ain Zara 4 dicem. 1911 Soldato Capati Alfredo • " • Fahettì Luigi • ,. • Lastrone Calisto • • • Albem Pietro • ,. • Garaventa Anti>nio • • • Rizzo Pasquale .. • Zappatore Torchio Cesare .. • • Pcl'rinaei El'menegildo Gargaresch 18 gennaio 1912 155 118
s.
Ain
SOT'fUFFlCIAU E MI LITAR[ DI TRUPPA
••••••••••••••••• v .,....vvv, SoldJito Giarupaoli Giuseppe Garg(U"esch 18 ge nnaio 1912 . Bi~i Pi etro ,. > Moroni Ernesto • ,. • Corbe.Ili Dante . . VeUante Francesc o • • • D' Agnese Cannin e • • • Peppo101u Giuseppe ,. • Caporale Ballo Lorenio • • S<>ldato Diletti An t onio " • Maresciallo Proìetto Domenfoo Sidi Bilal 20 settem 1912 Cap. magg. Beretta Ambrog,i\l • • Cap. magg. Zuin Carmine • " Caporìlle Mit'ìlhella Giuseppe • ,. . Mugnari Piew . • • Salerno Isidoro ,. • ,. Zahoia Cesare . • Soldato Anda550 Luigi • . • Arrossa Domenico • ,. . Bellusci Giuseppe • . • Bossi Giovanni . . Calderone Salv-dtore • • • D' Alia Biagio • • • Di Mauro Luigi • • • Oonati Enrico ,. " ,. Falbo Rocco . • ,, Fioroni Giuseppe ,. • ,. Formica Giuseppe ,. • " Foschi Alessandro • " • Fusi Alessandro • " • Lant.a Salvatore .. " " l\faroli Benedetti • • ,. Rizzatto Benedetto • ,. • Sed1i Salvatore .. . . Sperduto Francesco • . Spinelli i'ilippo . • 156 119
Soldato .. v~ Elino Urbioi Roceo Vallollo Antonio Sidi Bila! 20 &ellem. 191:! .. ,. (dispen-0) PERDITE COMPLESSIVE DALLO SBAHCU DEL HF.GGIMENTO A TRIPOLI AL RITORNO JN ITALlA UFFICIALI TRUPPA 120 Morti in oombauimento o in seguito a ft.rite Feriti Morti io oombauiu,ento o in seguito a ferite Feriti Dispersi n. 6 10 • 53 • 202 157

RICOMPENSE CONFERff'E Al MILITARI DEL 52• REGGIMENTO

FANTERIA • ALPI • PER LA CAlfPAGNA ITAI,O. TIJUCA

1911 · 12 E LIBICA 1912 • 13

a) CAMPAGNA 11'ALO - TURCA:

PRO.MOZlONf l'ER MERITO DI GUERRA

A Afoware CeMrule; Colonnello AMARI Nob. dei Conti di S. Adriano ca". Giuseppe.

A Capita110 : Tenente VALTANCOLI GIULIO

ORDINE MlLlTARE DI SAVOIA

CrQCe di Corolùlre.

Maggior Generale Amari Nob. d ei conti di S. Adriano Cav. Giuseppe (Gargare6Clt 18 gennaio 1912 - Sidi Ililal 20 · 9 - 912)

Capitano Iosimi Giovanni (Gargarescli 18 -1 · 912 - Sidi Uilal 20 · 9 · 912)

M.EDAGLfA D' AilGEI'frO AL VALOR MILitAru; ('..olonneUo Bloiso Cav. Carlo (Gart;arC8Cb 18, l • 912)

Maggiore Ciotola Cav. Ernesto (Gargarcsch 18 • l · 912)

• Ciotola Cav. Ernè$to (Sidi. Bilal 20 • 9 • 912)

,. Mancini Cav. Luca (Bin Bu Sa.ad 4 -12 · 911)

,. Bronchielli Cav. Giuseppe (Sidi Bi!al 20. 9 • 912)

• B-o.ssci Cav. Aldogardo (Gargareseh 18 · 1 • 912 - Sidi llilal 20 · 9. 912)

Capitano Oberti Cav, Vitwrio (Garga:resdi 18 . l · 912)

• Ponu F..doardo Gargaresch (18 -1 • 912 e Sidi Bila! 20-9-912)

• Dramj! dei Dram.is Cav. Pietro (Bitt .Bu Srutd 4 · 12 • 911)

Palumho Anlor.tio (Ga:rgaresch 18 -1 • 912 e Sidi Bila} 20-9-912)

• Barettin Antonio (Sidì Bilal 20. 9 • 912)

r---· -· ·
158 121

Pale11zona M,mo (Sidi Bilul 20. 9 912)

Barlnu,ari Urbano (Sidi Bila! 20 · 9 · 912)

Ranieri Arturo (Sidi Bila! 20 · 9 • 912)

Col.'$ancgo Ce.leste (Gargare:;d1 18 • l • 912)

Miglio Guido (Bi Bu Saad 4 · 12 · 911)

Molin o Angelo (Bin Bu Saad 4 - 12 - 9) l)

Germin o d ott. Alfredo (SiJì Bila} 20 · 9 • 912)

Settanoi Giuseppe (Gargarcsch 18-1-912 e Sidi Bilal 20-9-912)

Barchiesi Umberto (Sidi BiJal 20 - 9 · 912)

Tonizzi Ermanno (Bin Bu Saud 4 · 12 · 911)

Fantino Fermando (Sidi Bila) 20 - 9 - 912)

Ouioo Luii;i (Sidi Bila) 20 - 9 - 912)

Veniero Gaetano (Sidi Bilal 20 · 9 · !112)

Gatti Vito (Sidi Hassan 1-12 - 911 eGargnrescb 1 8 - 1-912)

De Cesare Antonio (Gargaresch 18 - l - 912 )

Ghilardi Reginaldo (Sidi Bila! 20 - 9 - n2)

Bclloni Angelo (Sidi Bila! 20 • 9 · 912)

Orcggia Alfredo (Gargareseh 18 - 1 - 912)

Gilal'di Amato (Sidi Bila! 20 · 9 - 912)

Pastomerlo Carlo (Sidi Bi lal 20. 9. 912)

Bucci Aroldo (Messri 26 · 27 novembre 1911)

Pusiol Alewmdro (Sicli BiJal 20 - 9 - 912)

Reale Francesco (Sidi Bilal 20 9 - 912)

Vitale Antonio (Sidi Bilal 20. 9 • 912)

MEDAGLIA DI lnlON'"to AL VALOR l\ULITARB

Maggiore Leonett:i Lupar.ùù Nob. di Cascia Cav. Benedetto (Sidi Dilal 20 - 9 • 912)

Capitano Finunanò E:rn1enegildo (H enni 26. 11 • 911, Bin Bu Saad 4 · 12 • 911, Ga rgar esch 18. 1 . 912)

• Barettio Antonfo (Gaxga~ 18 -1- 912)

» Paolelli dei Coitti d.i Rodorello Giuseppe (Gargn.rr.ech 18-1-912)

• lw1che:r: Attilio (Sidi Bilal 20 - 9 . 912)

• O,fofil CamiUo (l\Ii!i.ucala 8 lu gUo 1912)

• }fa:rch«e Frn~ {Bln .Bu Saad 4-12-911, GargRro&eh 18-1-12)

Tenente • ,. Ten med. S. tcn.
Serg. Oi"¾,6·
magg. Caporale Soldato •
Maresciallo
Cap.
159 122

Tenente Dc- Roinau~ Giovarmi (Garga r cscb 18 · l • 912) " l\tasgetti Franet,CO (Gngareecb 18 • l • 912) " BrmporaJ Duili o (~ar~aresch 18 • l • 912)

• Baruffi Ernesto (Gargarw:b 18 . l - 912)

,. Bronzuoli Anacleto (GargarOfleh 18 · 1 · 912) " ?tforiotti Giw,eppc (Bin Bu Saad 4 - 12 · 911)

> Biagi Vit,, {Bin Du Saad 4 - 12 • 911)

,. Simoni Simone (Tripoli 26 • 11 • 911)

Ten. mcd. Forti Dott Igino (Bin Bu Saad 4- 12 · 911)

• Mcreu Ro1mlino (Sidi B i le.i 20 • 9 • 9) 2)

S. t e n. Ri cci Arturo (Gargareecb 18 · 1 · 912)

• Veoanzi Silvestro ( Gargarcsch 18 · 1 · 912)

• Marisealco Orazio (GurgaTesch 18 • 1 • 912)

• Becuzzi Emilio (Bin Du Saad 4 - 12 - 911)

• Bernardi Italo (Sidi Dilal 20 - 9 - 912)

,. Gerbino Giuseppe (Sidi Bilal 20 - 9 • 912)

• Cicerchia Pietro (Gargaresch 18 · l · 912)

• Ricci Stefono (Garg3J.'csch 18 • 1 • 912)

• Spairanì Giovanni (Gargareseb 18 · l · 912)

• Fiumara Rosario (Gorgora;ch 18. l · 912)

• Cipriani Sov erio (Gargorcsch 18 • 1 · 912)

Maresciallo Del V escovo Aquilino {Sid..i Bilal 20 · 9 • 912)

• Soccone Alfonso (Gargare&ch 18 · l • 912)

• Mau.autini Vittorio (Gargare;,cb 18 · l · 912)

Serg. Magg. Dc Angew Filippo (Ga rgaresch 18 · l • 912)

,. Pcnsuti Gi ovan ni (Gargarcsch 18 • 1 • 912)

Sergente Colacicchi Ranieri (Gargaresch 18 • 1 • 912)

,.

Fran cescon .Antonio (Bin Bu Saad 4 · 12 · 911 )

• Ca l vi Giovanni (Sidi Bilal 20 • 9 • 912)

,.

,.

,.

Vannelli Alesaandro (Sidi Bila! 20 • 9 • 912)

D' Ange lo Felice (Sidi Dilal 20 · 9 • 912}

De Veccl1i s Nello (Gargaresch 18 • l · 91 2)

» Do.l Bo E u genio (Gargaresch 18 • 1 • 912)

" La Vista Orasio (Gargareech 18 • 1 • 912}

Ilçenoo Awedèo (Gargareech 18 · 1 · 912)

,.

160 123

Sergcnle

C.r. Ma1t1t·

Urzt Allìo (Sidi Bilal 20 · 9 · 912)

Voce Raffaele (Gargaresch 18 -1 • 912)

Viale Giuseppe (Gari;arescli 18 · 1 • 912)

Luecioni Angutto (Garyueech 18 · 1 • 912)

Acquati Enrico (Sidi Bilal 20 • 9 · 912)

5f.j!ato Lui~ (Sidi Jlilal 20 • 9 · 912)

Caporafo Z11ppalnrc

SoldlltO

l\lrncgbio Giovanni (Gug-.u-escb 18 · 1 · 912)

Pugfisi FnnCCl!OO (Sidi Bit.I 20 · 9 • 912)

Botlomcuo Mario ($idi Bilal 20 · 9 · 912)

IAgna Pietro (Sidi IJilal 20 · 9 • 912)

Pintaldi Antonio (Gargareicli 18 • 1 · 912)

ZereUa Viooenw (Garga,reach 18 · 1 · 912)

I acobelli Alcide (Gargare&eh 18 · 1 · 912)

Nanni Diomede (Gargareecb 18 · 1 · 912)

P essina Antonio (Guga.n:seh 18 • 1 · 912)

Pamminti Carmelo (Gargarceeh 18 • l · 912)

Pu olueci Mancinclli Alberto (Gargarach 18 · l · 912)

Paladino Guido (Sidi Bilal 20 · 9 • 912)

ENCOMIO SOLENNE

Tcneule Monluori Cu-lo (Tripoli Nov. 1911 · geon. 1912)

Tcn. mcd. Roui Ferruccio )

S. ten. mcd. Piccoli Giovanni

(Bin Bu Saad 4 • 12 · 1911)

Marl'Sciallo Spcnnu Alfredo (Gargare8cli 18 · 1 · 912)

• Del Veacovo Aquilino (Gacgarosch 18 - 1 • 912)

Sergente Mi~iani Filippo (Gargare&eh 18 · l · 912)

Cap. Magg. Belm•ggio Luigi (Gargartl!Ch 18 · 1 · 912)

Caporale Fergna Evuisto (Gargareech 18 • 1 • 912)

Soldato Cabrielli Nicola (Sidi Bila! 20 · 9 · 912 )

Onorijicmze conee&e in comideraziooc di particolari benemerenze acqui· stato suJ teatro <le-~la guerra durante Ia campagna ltulo • Tu rca 1911 · 12.

ENCOMIO SOLENNE

Capitano De A.rc:ayne 1:'ranceaco

" • • •
: ~a~:::
161 124

h)

PER U~ OJ>EfUZTONI IN ClRb'NAICA:

MEDAGLIA D' AllG.E:NTO AL VALOR MILITARE

&rg. magg. Spano Antonio

ENCOMIO SOLENNE

Colonnello llloise Cav. Carlo

S. tenente Torelli Ma5i,imi Lelio

• Arpianesi Gaetano

Ma:rellCÙlfo .Maggio FrancefiCO

Carxirale G.rand e Domcnioo

Promozioni per merito dì gucyra (ufficiali) Ordine militare di Savofa u. 2 • 2 Meda.glié d'argento al valor militare (uff. u. 24-sottu!T. e truppa n. 12) • 36 • di bronzo > • ( • • 28 · • • 32) • 60 Encomi solenni ( " • 9 · • • • 8) • 17 162 125
TOTALE RlCOMPENSE 1ND1VIDUALI AL VALOR lrllLITARE

ESTRATTO DAL GIORNALE "L'UMBRIA LIBERALE"

DEL 18 / 19 GENNAIO 2013

"Mentre si celebra domani sull'altare della Patria l'eroismo dell'esercito italiano, di cui dette prova sui campi della Libia, siamo lieti di pubblicare nelle colonne del nostro giornale la seguente poesia, che il valente nostro amico Dott. Riccardo Gradassi Luzi ha dedicato in omaggio al 52. Reggimento da pochi giorni tornato nella sua sede di Spoleto e nella guarnigione anche di Terni .

È desso il nostro Reggimento, ed è la sua storica bandiera che intendiamo onorare per le memorie gloriose che evoca, e per l'ideale sacro dell'amore di Patria."

E tu pur, circonfuso di poesia, Torni a la Patria! Ai baci, al sol disserra

La tua bandiera; ell'è de l'Umbria mia Alato inno di guerra!

Semplice e fiero, del tuo ferro cinto, Che sgominava l' arabe falangi, Riedi a' tuoi cari, e, nel narrar ch'hai vinto, Fremi, sorridi e piangi!

Te non turbò il periglio e l'aspra insidia

De la notte desertica e stellata. Chi per l'Italia muor, degno è d'invidia Alta ed intaminata.

126
'}{e { ritorno aaffa Li6ia ae{ 52 ° Puci fieri

E la vigilia d ' armi sostentavi

Col fantasma gentil dei clivi ameni, De' verdi campi che fur sacri agli avi Invitti, ermi e sereni.

Roma, il tuo sogno! - Da le grigie tende

Vegliavi gli archi di trionfo, e l'arte Musiva de le terme, ove più splende L'industre opra di Marte.

Miravi i templi, le colonne infrante, I mesti de le tombe avvolgimenti; E le secrete nostalgie più sante Ardean in te possenti!

E nel pensar di quelle glorie avite, Alma vision di forza e di bellezza, Non ti fu duro consacrar più vite A la cruenta ebbrezza.

Qiante volte, ne l'ansie del cimento, Agli assalti corresti e a la vittoria?

Qianti, o superbo eroico Reggimento, Cantasti inni di gloria?

... Passi e sorridi! In file ampie e serrate

Scandisci le tue musiche festose; T'infiorano le terse armi inastate

Lauri, pervinche e rose.

Sorridi e passi; il Duce la tua via, L' Alfier tua stella! - Ai baci, al sol disserra

La tua bandiera: ell'è de l'Umbria mia

Alato inno di guerra!

Terni, 6 gennaio 1913

127
j
Albertini 35 Chimenti G . 66 Albi Bochini L. 39 Cilibrizzi S. 17 Alfonsi 53 Cimara P. 60 Amari G. 44, 47, 50 Cimarosa D. 84 Ameglio G. 73 Colli 53 Amici G. 74 Commodi E. 33 Anitua F. 60 Contessa A. 34 Balabanoff A. 45 Cousin A. 60 Balbo I. 8 Curami A. 113 Barzini L. 35 Cuzzo-Crea A. 108 Benigni G . 60 D'Alessandro A. 17 Bevione G. 20 Danzetta 84 Bianchi M . 17 Danzetta G. 84 Bianchini Riccardi G. 84 De Cupis C. 60 Bisogni P. 50-51 Del Boca A. 15, 28, 33Borea Ric ci 28 35, 46, 64, 72, 77-79 Bosco F. 27 Denti di Pirajno 110 Briccola O. 64, 74, 79 di Campello P. 39 Brunotti G. 29 di Campello S. 54 Cagni U. 13, 14, 28 Di Martino B. 113 Caneva C. 26, 29-31, 34, Donatelli F. 27 37, 40, 42, 46-48, 52, 64, Enver Bey I. 64, 75, 77, 74, 91, 106, 112 92 Capuzzo E. 108 Faina M. 84 Cardini F. 30, 31 Fara G. 49 Castellini G. 35,46 Parini P. 60, 62-63, 73, Ceccarelli S. 66 74, 93 Chiapparotti 53 Faustini V. 53, 61, 73 129
INDICE DEI NOMI
Ferrari P. 113 Marconi F. 60 Fratellini F. 44 Marenco M 108 Gagliardi 53 Marro F. 84 Gallenga R. 59-61, 69 Masetti A. 10, 38 Gardini 53 Mazzini G. 62 Garibaldi G. 44, 76 Miselli F. 60 Garibaldi R. 84 Moizo R. 72, 108, 112 Gatti G. 65 Monaldi Nathan 84 Gaudiosi M. 84 Montù C. 108 Gavotti G. 47, 60, 72, 107, Mussolini B. 24 108 Nappini A. 66 Gheddafi M. 8, 9 N azzari G .U. 23 Gigliarelli U. 77 Nenni P. 24 Giolitti G. 10, 16, 22, 30, Odero A. 57 38, 40, 42, 56, 57, 73, 74, Orlando G. 55-57, 59, 93 78, 79, 83, 91 Ottaviani D. 25, 28, 30, Giombini A. 49, 65 53-54, 59, 61, 85 Gradassi Luzi R. 84, 126, Oullense G. 54 127 Paoletti V. 75 Graziani R. 9 Papini G. 20 Hélène di Francia 30, 97 Penco A. 110 Kemàl M. 64 Pesce 53 Kitchener 36 Piazza C. 33, 100, 107, 108 Kussum Aiulu 53 Prezzolini G . 20, 22 La Marmora A. 44 Proietti F. 51 Lazzari S. 15 Pucciatti R. 30 Lelli O. 30 Ragni O. 74-76, 79 Leonardi Cattolica P. 57 Ranieri di Sorbello U. 25, Lodi A. 113 39, 59, 60, 61, 84 Magrelli R. 74 Re G . 7 Manzini P. 108 Regeb Negib 78 Maometto V 80 Ridolfi O . 30 Marazzani Gualdi 53 Romagnoli A. 16 Marcellini M. 9 Romagnoli 53 130
Romano S. 13, 16, 17, 26, 28, 31, 33, 36, 48, 49, 52, 73, 74, 77, 78, 80 Rossetti Rossi 53 53 Saccani 53 Salvemini G. 9, 19-22, 83 San Giuliano A. 40 Scelsi G . 109 Settimio Severo 8, 16 Spezzatini G. 53 Spingardi P. 26 Steno 15, 16 Stroppa 38 Tentoni G. 77 Tentoni G.B. 77 Teofoli 54 Terreni G. 16 Topini I. 67 Valentini L. 68 Valiante 53 Valli G. 27, 46, 47, 72, 110 Valzania S. 30, 31 Vannozzi P. 66 Vispi G. 49, 65 Whittam J. 22 131

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