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Nota del Curatore
C’è una contraddizione su come si vive o come si deve o dovrebbe vivere. Lev Tolstoj, Guerra e rivoluzione
Doveva essere migliore degli altri il nostro ventesimo secolo Non farà più in tempo a dimostrarlo [...] Sono ormai successe troppo cose Che non dovevano succedere E quel che doveva arrivare Non è arrivato. Wisława Szymborska, Vista con granello di sabbia. Poesie 1957-1993
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Già prima della crisi epocale 1989-1992 “l’eroico Ottobre bolscevico” aveva perduto il fascino con il quale la rivoluzione si era diffusa nell’immaginario collettivo europeo, prima che la propaganda ne alimentasse la retorica. A farglielo perdere aveva contribuito la letteratura assai prima e meglio dell’interpretazione storica. I poeti avevano assunto la rivoluzione d’Ottobre a materia della propria arte, ma erano naufragati sugli scogli del mare della vita – sopraffatti dal compito di trasfondere in un nuovo linguaggio il mito del progresso lineare e collettivo annunciato e promesso a tutti. I grandi scrittori continuavano ad essere dominati dal problema dell’uomo, a rispondere alle domande individuali della condizione umana.
Tuttavia, chi scriveva – anche se non tutti – prima della crisi epocale del 1989-1992 doveva tener conto del fatto che la rivoluzione d’Ottobre – pur con tutti i costi umani, errori e crimini compresi – dimostrava che «il socialismo non era più un sogno» (Eric Hobsbawm). E anche chi, come Norberto Bobbio, invitava negli anni della “guerra fredda” i comunisti al dialogo, concedeva alla rivoluzione d’Ottobre il merito d’aver operato la trasformazione di un mondo feudale, socialmente ed economicamente arretrato, e riconosceva al mondo comunista, da essa creato, di essere l’erede e quindi la continuazione della rivoluzione tecnico-scientifica che caratterizza il pensiero moderno.
Se, come è giusto, il presente pone i suoi quesiti alla storia, la crisi epocale del 19891992 ha liberato la storiografia dagli impacci legati a fini politici contingenti per rispondere alla domanda di cui qui interessa conoscere la risposta: quale è stato l’impatto della rivoluzione d’Ottobre in Italia? Nel titolo della sezione l’Italia ha la precedenza, essendo stata essa ad essere colpita dall’ondata rivoluzionaria.
È bene precisare che per impatto qui si intende l’insieme delle reazioni immediate, di breve periodo, comprese tra guerra e immediato dopoguerra. Le domande a cui la sezione intende rispondere sono diverse dal tema dell’influenza politica esercitata dalla rivoluzione d’Ottobre nel lungo periodo, la cui rilevanza è vissuta fino alla crisi epocale del 1989-1992. Il termine ad quo della periodizzazione adottata non può che essere il 1917, il termine ad quem è lasciato indeterminato. E ne spiegherò le ragioni.
Ma, giunti a questo punto, è bene presentare come sia strutturata la sezione. Essa si compone di due sezioni distinte. La sezione dal titolo L’Italia e la rivoluzione d’Ottobre ospita una serie di contributi affidati ad Autori che sono specialisti nel loro settore di studi. Alcuni saggi sono vere e proprie ricerche condotte su fonti archivistiche, altri fanno il punto sul dibattito storico-critico nel campo della storia delle idee. Tutti i contributi presentano caratteri di originalità e novità interpretative.
La sezione dal titolo La rivoluzione d’Ottobre in prospettiva storica ospita le riflessioni di alcuni studiosi sulle categorie d’analisi che si erano dimostrate sbagliate, o avevano dato luogo a rimozioni pregiudicandone la comprensione, prima di essere sconfitte dalla storia, tenuto conto che tutto ciò avviene sotto gli occhi dell’Occidente. E queste riflessioni sono svolte alla luce della crisi epocale del 1989-1992, richiamata insieme alla coeva interpretazione della nuova storiografia russa.
L’articolo che apre la sezione si deve intendere come un’introduzione generale al tema. Ciò ne giustifica la lunghezza. Esso serve a dare continuità all’impatto prodotto dal 1917 russo in Italia. L’ondata della rivoluzione di Febbraio, eminentemente politica, si abbatté sulla condotta della guerra e sulla politica estera del governo italiano; l’ondata della rivoluzione d’Ottobre, prevalentemente sociale, investì masse e classi dirigenti in cerchi concentrici sempre più ampi, suscitò ideologie e miti politici. In ciò sta l’universalità della rivoluzione d’Ottobre.
I contributi che si sviluppano su questa traccia per così dire “assiale” contribuiscono a creare – metaforicamente – le diramazioni dell’albero frondoso che abbiamo voluto piantare, in altri termini a rendere conto della complessità del fenomeno che abbiamo voluto rappresentare. Il bolscevismo alimentò tanto le identificazioni – il bocci-bocci, o “bolscevismo all’italiana” – quanto le contrapposizioni, cioè l’antibolscevismo militante, anteriore al fascismo. Sviluppò tanto la lotta per fondare in Italia l’immagine della nuova Russia, quanto stimolò la produzione letteraria degli emigrati russi. Si innestò nel dibattito politico italiano, costringendo le diverse culture politiche dell’Italia prefascista a fare i conti con il nuovo pensiero: i liberali nelle loro varie articolazioni, la sinistra non marxista – anarchica e repubblicana – quindi i cattolici e la stessa Santa Sede. Mussolini per primo ne subì il fascino e la repulsione. E soprattutto il bolscevismo piegò alla sua cifra le varie anime del partito socialista. La polemica sviluppata sull’esistenza delle condizioni rivoluzionarie in Italia si rispecchia sullo sfondo dello scontro – allora ignorato in Italia – che tra il febbraio e l’ottobre 1917 impegnò le correnti del marxismo russo sugli sbocchi della loro rivoluzione. La varietà dei contributi della sezione monografica non deve essere scambiata per eterogeneità. Tutti concorrono ad un unico centro: a dimostrare l’impatto determinante giocato dalla rivoluzione d’Ottobre sul corso della politica italiana nel primo dopoguerra. Non solo in virtù d’un gioco di specchi e della pedagogia dimostrativa. I bolscevichi non erano dei socialisti filosofici, ma uomini d’azione acquisiti al leninismo. I loro agenti diffusero in Italia la prassi scientifica della politica del proletariato tesa con tutti i mezzi a conseguire il fine – la conquista del potere – incuranti della gradualità delle conquiste. Ciò segnò la rottura storica con il riformismo.
I riformisti, gli allora dileggiati “Turati e soci”, capirono che la posta in gioco in Italia, a prescindere da come si presentava in Russia, era tra la democratizzazione dello Stato liberale e la restaurazione autoritaria. Le incertezze dei riformisti, il nullismo dei massima-
listi e la scissione dei comunisti fecero fallire l’unica prospettiva possibile ed auspicabile presente nella coscienza politica dell’epoca.
Per questo ho consapevolmente evitato il riferimento ad quem, al 1921: avrebbe comportato trattare diffusamente il problema della scissione di Livorno. La sezione ne contiene la premessa concettuale – il mito della rivoluzione d’Ottobre crea il partito comunista, non è il partito comunista a creare il mito della rivoluzione d’Ottobre. La scissione di Livorno esorbita da questa indagine: proviene da una storia in parte interna al partito socialista, che non si risolve senza residui nella sola rivoluzione d’Ottobre. E avrebbe avuto bisogno di essere completata nei suoi effetti. I comunisti rompendo l’unità del movimento operaio, con l’illusione di forzare i rapporti di forza tra le classi, non avrebbero poi fatto la rivoluzione, ma inconsapevolmente fecero da levatrice ad un fenomeno nuovo, fondato sul rifiuto del liberalismo come dell’esperienza sovietica, con un seguito di massa, passivo o meno, alla edificazione di un nuovo totalitarismo. Tutto ciò aspetta il prossimo centenario per essere trattato compiutamente – ammesso che interessi a qualche storico ricostruire la guerra civile all’interno della sinistra italiana, che infiniti addusse lutti agli italiani.
Lo scheletro, o meglio lo schedario dei temi della sezione, qui anticipato, non ha certo la pretesa di abbracciare tutto il fenomeno e presenta alcune lacune. Di una in particolare mi sono reso conto e riguarda la “rivoluzione e le false notizie” – tanto per parafrasare Marc Bloch – su cui si costruirono i miti e gli anti-miti sovietici. Per questa parte non ho trovato l’interprete.
Chiudendo questa nota, non mi resta che ringraziare ciascuno degli Autori, il Direttore degli Annali della Fondazione Ugo La Malfa, la Redazione, per il contributo da loro dato alla realizzazione della sezione.
Giorgio Petracchi Pistoia, aprile 2017