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Filippo Focardi
Filippo Focardi
La sfida del patriottismo repubblicano: la “guerra della memoria” del Presidente Ciampi*
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La presidenza Ciampi, dopo quella di Einaudi, è stata probabilmente la più autorevole, prestigiosa ed efficace della storia repubblicana. Ha rappresentato l’elemento unificante, l’unico riconosciuto e riconoscibile, di una nazione solcata da fratture politiche profonde. Ha preservato il tessuto connettivo del paese da lacerazioni altrimenti irreparabili, esercitando un ruolo di mediazione istituzionale e culturale insostituibile, anche se, suo malgrado, insufficiente. Massimo Giannini
La valutazione sul settennato di Carlo Azeglio Ciampi al Quirinale (1999-2006) espressa dall’ex vicedirettore di “Repubblica”, Massimo Giannini1, può ritenersi largamente condivisibile. Non c’è dubbio infatti che il Presidente Ciampi abbia rappresentato se non «l’unico», certo il principale fattore di coesione nazionale per un paese lacerato in quegli anni da una virulenta contrapposizione fra schieramenti politici antagonisti – la Casa delle libertà e l’Ulivo – restii a riconoscersi l’un l’altro una piena legittimità democratica, espressione e motore, ad un tempo, di divisioni socio-culturali altrettanto radicate e diffuse. Volendo precisare il giudizio, si può affermare che il successo, almeno temporaneo, dell’azione svolta da Ciampi per preservare il «tessuto connettivo» del paese sia stato il frutto di un impegno costante e mirato, che si è svolto sul terreno privilegiato di una politica della memoria assai dinamica, giocata in chiave di pedagogia civile nazionale.
È su questo terreno infatti che Ciampi ha agito con maggior vigore e tenacia, investendo tutte le «risorse culturali e simbolico-rituali della sua carica»2, conseguendo una popolarità crescente rilevata dagli indici di gradimento dei sondaggi d’opinione3. Il ruolo svolto dal Presidente della Repubblica risulta dunque strettamente legato a quella che è stata efficacemente definita la sua «guerra della memoria»4. Un’espressione con cui si intende l’energica azione intrapresa fin dai giorni successivi all’elezione al Quirinale nel maggio 1999 per elaborare e promuovere contenuti, simboli e forme di una memoria nazionale inclusiva che fosse in grado di superare gli strappi prodotti dallo scontro politico bipolare.
* Presentiamo qui il testo dell’articolo Präsident Ciampis “Krieg um die Erinnerung”, pubblicato in tedesco sulla rivista “Neue Politische Literatur”, n. 52 2007, pp. 11-24. L’autore ha provveduto ad un aggiornamento bibliografico e ad alcune modifiche nel testo. 1 Massimo Giannini, Ciampi. Sette anni di un tecnico al Quirinale, Einaudi, Torino 2006, p. 256. 2 Cfr. Maurizio Ridolfi, Storia politica dell’Italia repubblicana, Bruno Mondadori, Milano 2010, p. 103. 3 Vedi Rosario Forlenza, La Repubblica del Presidente. Gli anni di Carlo Azeglio Ciampi, 19992006, Diabasis, Reggio Emilia 2011, pp. 126 e 136. 4 Cfr. C. Romano, La “guerra della memoria” del presidente Ciampi, “l’Unità”, 6 giugno 2000.
L’operazione di Ciampi si è inserita in un quadro caratterizzato da un profondo sovvertimento delle tradizionali basi di legittimazione del sistema politico italiano e di riformulazione delle coordinate dell’identità nazionale. Fino all’inizio degli anni Novanta era stato l’ancoraggio ai valori dell’antifascismo e all’esperienza della Resistenza a costituire, pur attraverso fasi diverse e contrastate, il fondamentale fattore di legittimazione politica nel paese e il principale, ancorché non esclusivo, patrimonio di riferimento identitario5. La Costituzione “nata dalla Resistenza” aveva rappresentato l’indiscusso patto fondativo dello Stato, generato dall’intesa fra le forze che avevano animato la lotta di liberazione e partecipato alla Costituente. Quel patto aveva, dunque, definito il perimetro della legittimazione politica, il cosiddetto “arco costituzionale”, che andava dal PCI alla DC, con l’esclusione del Movimento Sociale Italiano, erede del partito fascista, tollerato ma confinato ai margini del sistema. Gli anni Novanta hanno visto il radicale mutamento di questa cornice. L’Italia, dopo la Germania della riunificazione, è stato probabilmente il paese dell’Europa occidentale in cui si sono avute le ripercussioni maggiori per il crollo dell’Unione Sovietica e lo sgretolamento del sistema internazionale legato alla Guerra fredda6. Alla traumatica trasformazione nel 1991 del PCI in un nuovo soggetto politico7, è infatti seguita fra il 1992 e il 1994 una crisi radicale dell’intero sistema, imploso dopo l’emersione del gigantesco fenomeno di corruzione, la cosiddetta Tangentopoli, rivelato e combattuto dalla magistratura. Come conseguenza, nei primi anni Novanta sono usciti di scena o sono risultati fortemente ridimensionati tutti i partiti che avevano dato vita al patto costituzionale: la DC e il PCI segnati da scissioni e cambiamenti del nome, quindi il PSI, il PLI, il PSDI, il PRI. Contemporaneamente, sono venuti alla ribalta nuovi attori politici privi di radici nella tradizione antifascista come la Lega Nord di Umberto Bossi e Forza Italia di Silvio Berlusconi, o vecchie forze come il MSI, poi Alleanza Nazionale, con radici storiche e culturali antagoniste rispetto al patrimonio dell’antifascismo e della Resistenza8 .
Il passaggio – a seguito della nuova legge elettorale dell’agosto 1993 – dal sistema proporzionale incentrato sui partiti dell’arco costituzionale a quello maggioritario basato sul bipolarismo, con un polo egemonizzato da forze estranee all’antifascismo o ad esso contrapposte, innescava un confronto serrato basato su un uso politico della storia senza precedenti9. Uno dei fattori propulsivi principali della lotta per la memoria divampata nel
5 Cfr. Filippo Focardi, La guerra della memoria. La Resistenza nel dibattito politico italiano dal 1945 a oggi, Laterza, Roma-Bari 2005. 6 Cfr. Paul Ginsborg, L’Italia del tempo presente. Famiglia, società civile, Stato, 1980-1996, Einaudi, Torino 1998; Giovanni Orsina, Il berlusconismo nella storia d’Italia, Marsilio, Venezia 2013; Guido Crainz, Storia della Repubblica, Donzelli, Roma 2016, pp. 291-363; Agostino Giovagnoli, La Repubblica degli italiani, 1946-2016, Laterza, Roma-Bari 2016, pp. 198-302. 7 Ricordiamo che il PCI al Congresso di Rimini nel gennaio 1991 ha preso il nome di PDS – Partito Democratico della Sinistra. In quell’occasione una parte dei delegati ha dato vita a un secondo partito: Rifondazione Comunista. Successivamente il PDS ha preso il nome di DS – Democratici di Sinistra – mentre un’ulteriore scissione all’interno di Rifondazione Comunista ha portato alla nascita d’una terza formazione post-comunista: il Partito dei Comunisti Italiani. 8 Cfr. Marco Tarchi, Le destre, l’eredità del fascismo e la demonizzazione dell’avversario, ne L’ossessione del nemico. Memorie divise nella storia della Repubblica, a cura di Angelo Ventrone, Donzelli, Roma 2006, pp. 115-135. 9 Cfr. Luca Baldissara, Auf dem weg zu einer bipolaren Geschitsschreibung? Der öffentliche Grbrauch der Resistenza in einer geschictslosen Gegenwart, “Quellen und Forschungen aus Italie-
paese, era l’esigenza da parte dello schieramento di centro-destra di legittimare come forza di governo il MSI-AN di Gianfranco Fini dopo la vittoria elettorale del centro-destra guidato da Silvio Berlusconi alle elezioni dell’aprile 1994. Tutti i partiti della coalizione – da Forza Italia alla Lega, dal Centro Cristiano Democratico (CCD) allo stesso MSI – convergevano, pur con impegno diverso, su una linea d’azione volta a neutralizzare definitivamente l’antifascismo come fattore di legittimazione/delegittimazione politica, assumendo come nuovo punto di riferimento l’antitotalitarismo10. L’antifascismo e la memoria della Resistenza erano presentati come fattori politicamente obsoleti e anzi dannosi per la “nuova Repubblica” italiana perché viziati al loro interno dalla tara di una presunta egemonia culturale comunista, antiliberale e antidemocratica, e ritenuti per ciò divisivi, non più capaci di unire il paese, bisognoso piuttosto d’un rinnovato patriottismo. La critica alla Resistenza – mai scomparsa nel dibattito pubblico fin dal primo dopoguerra – si trasformava rapidamente nella richiesta di una memoria pubblica e istituzionale alternativa. A questo scopo da destra era sollevata una richiesta di “pacificazione” tra fascisti e antifascisti con l’obiettivo di creare una “memoria condivisa”. Tradizionale rivendicazione della destra missina, la “pacificazione” era invocata con enfasi retorica vuoi in nome del riconoscimento della «buona fede» e del «patriottismo etico»11 di quei giovani italiani – benevolmente chiamati “i ragazzi di Salò” – che dopo l’8 settembre 1943 si erano schierati con Mussolini per la “difesa dell’onore nazionale”, vuoi in nome dell’eguale rispetto dovuto alla memoria di tutti i caduti italiani nella seconda guerra mondiale al di là delle bandiere di appartenenza.
Dietro l’appello reiterato alla costruzione d’una “memoria condivisa”, d’una “memoria riconciliata” svincolata dalla contrapposizione fascismo/antifascismo, ha agito in realtà il tentativo delle destre di giungere ad una “parificazione” fra le parti. Ne sono prova sia alcuni disegni di legge volti ad “equiparare” i combattenti di Salò ai partigiani, sia la richiesta esplicita, avanzata anche in sede parlamentare, di abolire come festa nazionale il 25 aprile, giorno della Liberazione12. La manovra non ha avuto successo. Tuttavia la maggioranza di centro-destra, soprattutto dopo la seconda affermazione elettorale di Silvio Berlusconi nel 2001, è riuscita ad introdurre sue commemorazioni “competitive” rispetto al 25 aprile, come ad esempio il Giorno del ricordo dedicato alle vittime italiane delle foibe e agli espulsi dai territori dell’Istria e della Dalmazia (10 febbraio), cui è seguita l’istituzione del cosiddetto “giorno della libertà”, una commemorazione dal forte significato anticomunista, celebrata in occasione della ricorrenza della caduta del muro di Berlino (9 novembre)13. A questo si è accompagnata una solerte politica toponomastica condotta in tutto il paese dalle amministrazioni locali di centro-destra, che non hanno
nischen Archiven und Bibliotheken”, n. 82 2002, pp. 599-604. 10 Cfr. Filippo Focardi, Il passato conteso. Transizione politica e guerra della memoria in Italia dalla crisi della prima Repubblica ad oggi, ne L’Europa e le sue memorie. Politiche e culture del ricordo dopo il 1989, a cura di Filippo Focardi e Bruno Groppo, Viella, Roma 2013, pp. 59 sg. 11 Per l’espressione cfr. Stuart Woolf, Introduzione. La storiografia e la Repubblica italiana, ne L’Italia repubblicana vista da fuori (1945-2000), a cura di Stuart Woolf, il Mulino, Bologna 2007, p. 45. 12 Cfr. Filippo Focardi, Il passato conteso… cit., pp. 61 e 67. 13 Vedi ibid., pp. 69-70.
esitato a dedicare strade, monumenti ed edifici pubblici a esponenti del regime fascista, fra cui anche personaggi di spicco14 .
La nuova politica della memoria del centro-destra, perorata soprattutto da Alleanza Nazionale, ha interagito – e spesso sfruttato ai propri fini – il lavoro storiografico e l’impegno profusi nel dibattito culturale da storici autorevoli come Renzo De Felice ed Ernesto Galli della Loggia, considerati fra le figure più accreditate della corrente revisionista. Entrambi si sono messi in mostra come fustigatori della cosiddetta “vulgata antifascista”. De Felice, nel volume-intervista Rosso e nero15, aveva criticato l’immagine tradizionale della Resistenza come lotta di liberazione nazionale contro i tedeschi e i fascisti condotta dall’intero popolo italiano, sostenendo invece che fascisti e antifascisti fossero stati solo due “minoranze attive” che avevano agito circondate dall’indifferenza della stragrande maggioranza della popolazione, un’immensa “zona grigia” attendista, interessata principalmente a uscire indenne dal conflitto.
Galli della Loggia, dal canto suo, nel fortunato pamphlet La morte della patria16, aveva vigorosamente contestato l’immagine di matrice antifascista dell’8 settembre – giorno dell’annuncio dell’armistizio – quale inizio della Resistenza e del riscatto nazionale, leggendo piuttosto quel giorno come una tragica disfatta per l’intero paese. Secondo l’autore, il sentimento della patria, allora travolto, non sarebbe risorto mai più a causa dell’inadeguatezza delle forze antifasciste, dominate dall’egemonia della DC e del PCI, ovvero due partiti legati a poteri extranazionali, il Vaticano e l’Unione Sovietica.
Di segno opposto rispetto alla nostalgia neopatriottica di Galli della Loggia, ma ugualmente eversiva della memoria pubblica consolidata, era poi la polemica antiunitaria e antirisorgimentale promossa dalla Lega Nord di Umberto Bossi, espressione delle istanze federaliste diffuse nell’Italia settentrionale, approdate in una certa fase all’aperto secessionismo17. Anche in questo caso, la polemica antirisorgimentale della Lega cadeva in un humus culturale fertile, caratterizzato dalla riemersione non solo nell’Italia del nord ma anche nell’Italia del sud di vecchi temi tipici della polemica contro il Risorgimento, fra cui ad esempio l’esaltazione delle “insorgenze” antigiacobine e antinapoleoniche delle plebi cattolico-reazionarie italiane avvenute nel Mezzogiorno, in Toscana, in Piemonte18 .
Quando Carlo Azeglio Ciampi nel maggio 1999 viene eletto al primo scrutinio Presidente della Repubblica, è questo il panorama in cui si trova ad operare: dunque, una fase ancora di transizione dopo la crisi del sistema dei partiti dei primi anni Novanta, segnata da un’aspra contrapposizione politica e culturale che ha investito le basi stesse del patto di cittadinanza, scosso dalla contestazione della Resistenza come mito di fondazione dello
14 Possiamo ricordare in proposito il busto in bronzo dedicato sul lungomare di Bari al podestà e ministro di Mussolini Araldo di Crollalanza, o la piscina comunale che a L’Aquila era stata intitolata al Segretario del Partito Nazionale Fascista, Adelchi Serena. Cfr. Filippo Focardi, La guerra della memoria… cit., pp. 69-70. 15 Edito a Milano da Baldini e Castoldi nel 1995, a cura di Pasquale Chessa. 16 Cfr. Ernesto Galli della Loggia, La morte della patria. La crisi dell’idea di nazione tra Resistenza, antifascismo e Repubblica, Laterza, Roma-Bari 1996. 17 Si veda Roberto Biorcio, La rivincita del Nord. La Lega dalla contestazione al governo, Laterza, Roma-Bari 2010. 18 Cfr. Mario Isnenghi, I passati risorgono. Memorie irriconciliate dell’unificazione nazionale, ne La storia negata. Il revisionismo e il suo uso politico, a cura di Angelo Del Boca, Neri Pozza, Vicenza 2009, pp. 39-68.
Stato repubblicano, dalla critica sempre più aperta della Costituzione “nata dalla Resistenza”, dall’aperta sfida leghista nei confronti dello Stato nazionale. Al momento dell’elezione, Ciampi ha 79 anni ed è una figura di grande prestigio in Italia. Di formazione umanistica – si è laureato in lettere alla Scuola Normale Superiore di Pisa e, dopo, anche in giurisprudenza – ha lavorato per quasi cinquant’anni alla Banca d’Italia di cui è stato governatore dal 1979 al 1993. Nel 1993 è diventato il primo Presidente del Consiglio di provenienza non parlamentare. Come capo del governo è restato in carica fino al 1994, contribuendo a risolvere i gravi problemi del paese scosso dagli effetti di Tangentopoli e dalla speculazione finanziaria del 1992, che aveva messo in seria difficoltà la lira portando l’Italia ad un passo dal crack finanziario. Nel 1996, come Ministro del Tesoro del governo Prodi, è stato l’artefice principale del successo italiano nell’adesione alla moneta unica europea. Un tecnico dunque, che ha diretto per anni la Banca d’Italia ma anche un uomo di Stato che ha saputo guidare il paese in alcuni passaggi particolarmente difficili19 .
Le modalità della sua elezione al Quirinale – frutto d’un accordo politico fra l’allora maggioranza di centro-sinistra guidata da Massimo D’Alema con la minoranza parlamentare guidata da Berlusconi – hanno condizionato senza dubbio l’azione di Ciampi, eletto al primo scrutinio con i voti d’un vasto schieramento politico, compresi quelli di AN20 . Egli non ha infatti interpretato il proprio ruolo come il predecessore, Oscar Luigi Scalfaro, schieratosi in più occasioni apertamente contro il centro-destra, ma ha cercato di rimanere neutrale per tentare di regolare il conflitto politico, superare la delegittimazione reciproca dei poli, salvaguardare il tessuto istituzionale21. Obiettivo di fondo del neo-Presidente è stato fin dall’inizio quello di favorire e cementare uno «spirito di concordia» nel Paese attraverso un’intensa opera di «pedagogia civile» finalizzata ad un progetto di «rifonda-
19 Sulla figura di Ciampi esiste ormai una ricca bibliografia. Si vedano almeno, in ordine cronologico: Carlo Azeglio Ciampi, Dizionario della Democrazia, a cura di Dino Pesole, San Paolo, Torino 2005; Massimo Giannini, Ciampi... cit.; Paolo Peluffo, Carlo Azeglio Ciampi. L’uomo e il presidente, Rizzoli, Milano 2007; Id., La riscoperta della Patria, Rizzoli, Milano 2008; Carlo Azeglio Ciampi, Da Livorno al Quirinale. Storia di un italiano, conversazione con Arrigo Levi, il Mulino, Bologna 2010; Id., Non è il paese che sognavo. Taccuino laico per i 150 anni dell’Unità d’Italia, colloquio con Alberto Orioli, il Saggiatore, Milano 2010; Rosario Forlenza, La Repubblica del Presidente… cit.; Bjørn Thomassen-Rosario Forlenza, Re-narrating Italy, reinventing the Nation: assessing the Presidency of Ciampi, “Journal of Modern Italian Studies”, n. 16 2011, pp. 705-725; Giuseppe Mammarella-Paolo Cacace, Il Quirinale. Storia politica e istituzionale da De Nicola a Napolitano, Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 258-287; Antonio Puri Purini, Dal Colle più alto. Al Quirinale, con Ciampi negli anni in cui tutto cambiò, il Saggiatore, Milano 2012; Umberto Gentiloni Silveri, Contro scettici e disfattisti. Gli anni di Ciampi, 1992-2006, Laterza, Roma-Bari 2013; Maurizio Ridolfi (a cura di), Presidenti. Storia e costumi della Repubblica nell’Italia democratica, Viella, Roma 2014; Marco Gervasoni, Le armate del Presidente. La politica del Quirinale nell’Italia repubblicana, Marsilio, Venezia 2015. 20 Ciampi ebbe 707 voti su 1.010. Si astennero i deputati e senatori di Rifondazione Comunista e della Lega Nord. 21 Come ha osservato Rosario Forlenza, La Repubblica del Presidente… cit., p. 2, Ciampi «si fece interprete di una specie di presidenzialismo fondato sull’equidistanza dai poli e sul dialogo con i cittadini».
zione del patriottismo repubblicano»22, capace di dare nuovo credito alle istituzioni dello Stato e di rafforzare l’unità e il senso d’appartenenza nazionale. Tale progetto ha avuto il suo centro propulsivo in una incalzante politica della memoria che Ciampi ha portato avanti attraverso tutte le risorse a sua disposizione, dai discorsi commemorativi, alle visite ufficiali volte a valorizzare determinati “luoghi della memoria” in Italia e all’estero, alla rivalorizzazione di feste, monumenti e onorificenze, all’introduzione di significative innovazioni nel cerimoniale.
Al centro di quella che Giannini ha chiamato la «scommessa neopatriottica» di Ciampi23, ha campeggiato lo sforzo di edificare una memoria nazionale «condivisa»24, in grado di unire tutti gli italiani, al di là delle contrapposizioni politiche forti e laceranti che dominavano il paese. La conoscenza da parte degli italiani della loro storia passata e la coscienza delle radici comuni che la tengono intrecciata a quella presente, sono state pensate da Ciampi come lo strumento principale per far rinascere e alimentare un patriottismo da anni sopito, se non – per molti – inesistente. Già un mese dopo la propria elezione al Quirinale, Ciampi affermava senza esitazioni: «Amo menzionare la parola ‘Patria’, per troppo tempo quasi bandita dai discorsi pubblici. Amo menzionarla perché ritengo che sia una parola che ci trova tutti uniti in questa comunità di sentimenti, in questo richiamarci a tradizioni che fanno del nostro popolo un popolo essenziale per l’Europa e per l’intera civiltà del mondo»25 .
Interpretando con grande dinamismo il ruolo riconosciutogli dalla Costituzione di rappresentante e garante dell’unità nazionale, Ciampi si è impegnato nel rilanciare innanzitutto i simboli dell’unità della nazione: l’inno di Mameli e il tricolore. Il Presidente della Repubblica ha sollecitato l’esecuzione dell’inno nazionale in tutte le occasioni pubbliche, a cominciare dai grandi eventi culturali e sportivi. La rilegittimazione del Canto degli italiani come inno nazionale ha avuto un autorevole e prestigioso “battesimo” nel novembre 2000 in occasione del centenario verdiano, quando, alla presenza di Ciampi, l’orchestra della Scala di Milano diretta dal maestro Riccardo Muti lo ha eseguito in modo coinvolgente invitando tutto il pubblico del teatro a cantarne le strofe26. Gli italiani, che mal conoscevano il testo dell’inno nazionale ascoltato soltanto in occasione delle Olimpiadi o dei mondiali di calcio, hanno cominciato a familiarizzare sempre più con esso, spronati dal loro Presidente. Lo stesso è successo per la bandiera nazionale, «la bandiera che abbiamo amato e che, fortemente, amiamo […], simbolo moderno di un popolo antico», come ha affermato Ciampi il 7 gennaio 2004 in occasione della Giornata nazionale della bandiera27 ,
22 Secondo l’espressione usata da Maurizio Ridolfi, Le feste nazionali, Il Mulino, Bologna 2003, p. 282. 23 Cfr. Massimo Giannini, Ciampi… cit., p. 192. 24 L’obiettivo di una «memoria condivisa» è stato esplicitato da Ciampi, ad esempio, nel discorso tenuto al Quirinale il 4 novembre 2002. Vedi Carlo Azeglio Ciampi, Dizionario della democrazia… cit., p. 218. 25 Dal discorso tenuto a Lecce il 29 giugno 1999, riportato ibid., pp. 236-237. 26 L’anno precedente, sempre alla Scala, il maestro Muti si era invece rifiutato di aprire la stagione lirica con le note di Fratelli d’Italia e Ciampi, presente in sala, non aveva celato la propria contrarietà. Cfr. Paolo Peluffo, Carlo Azeglio Ciampi… cit., pp. 295-298; nonché Rosario Forlenza, La Repubblica del Presidente… cit., pp. 63-64. 27 Commemorazione istituita nel 1997 in occasione del bicentenario della nascita del Tricolore.
in un discorso concluso con un invito appassionato rivolto ai concittadini: «Esponiamo il Tricolore nelle nostre case. Custodiamolo con cura. Regaliamolo ai nostri figli»28 .
Non meno importante è stata l’attenzione prestata da Ciampi ad altri aspetti simbolici. Ad esempio la scelta di andare a risiedere con la moglie al Quirinale29, ristrutturato e rifunzionalizzato come una sorta di Buckingham Palace italiano, sede di ricevimenti e concerti in occasione delle principali festività della Repubblica, e trasformato così «da palazzo del potere a casa degli italiani»30. Fortemente rivalorizzato quale simbolo dell’identità nazionale è stato anche il monumento dell’Altare della Patria, il cosiddetto Vittoriano, considerato da Ciampi non «come monumento a Vittorio Emanuele II, ma come monumento alla Patria»31. Chiusa nel 1969, l’imponente struttura in stile classicheggiante, che svetta a Roma fra Piazza Venezia e i Fori imperiali, è stata riaperta al pubblico per volere di Ciampi nel settembre 2000. Da allora il monumento non solo è stato utilizzato – come di consueto – per ospitare le manifestazioni ufficiali in occasione delle feste nazionali, ad esempio il 25 aprile o il 4 novembre Giorno dell’Unità nazionale e festa delle Forze Armate, ma è stato anche rilanciato come sede culturale e museale e valorizzato sempre più da Ciampi, ad esempio con la scelta di tenervi i suoi discorsi per l’inaugurazione dell’anno scolastico32 . La riconsacrazione patriottica del Vittoriano si è avuta infine nel novembre 2003 con l’esposizione delle bare dei soldati e dei civili italiani uccisi nell’attentato terroristico a Nassiriya in Iraq. In quell’occasione Ciampi ha assunto le vesti quasi del sacerdote laico protagonista d’una liturgia del lutto nazionale. Milioni di concittadini attraverso la televisione hanno seguito, emotivamente partecipi, il Presidente aprire la camera ardente e rendere omaggio alle salme, così come pochi giorni prima – al momento dell’arrivo dei feretri all’aeroporto militare di Ciampino – avevano seguito il suo gesto di alzare le braccia e appoggiare le mani sulle bare dei “caduti per la Patria”. Un gesto reiterato da Ciampi in occasione di altre perdite subite dal contingente italiano.
Accanto a simboli dell’unità nazionale come l’inno di Mameli, il Tricolore e l’Altare della Patria, un forte rilievo è stato dato da Ciampi alle forze armate, considerate simbolo per eccellenza dell’unità nazionale. Ex ufficiale dell’esercito italiano, il Presidente ha più volte manifestato i suoi sentimenti di attaccamento agli uomini e alle istituzioni militari. «Vestire l’uniforme dell’esercito italiano – egli ha detto – è sempre stata un’esperienza di grande responsabilità e dignità»33. In più occasioni, passando in rassegna le truppe, Ciampi ha indossato la sua antica “bustina” da sottotenente degli autieri o la cravatta del corpo. Si deve a lui la scelta di reintrodurre, dopo oltre dieci anni di assenza, la parata militare sui Fori imperiali per la festa della Repubblica il 2 giugno34. Una parata che, nelle intenzioni del Presidente, doveva sottolineare l’impegno delle forze armate italiane per la
28 Dal discorso tenuto a Reggio Emilia, dove il 7 gennaio 1797 i deputati della Repubblica Cispadana adottarono per la prima volta il Tricolore. Cfr. Carlo Azeglio Ciampi, Dizionario della democrazia… cit., pp. 239-240. 29 L’ultimo Presidente ad aver fatto tale scelta era stato Giovanni Leone negli anni Settanta. 30 Cfr. Maurizio Breda, Quirinale, da palazzo del potere a casa degli italiani, “Corriere della Sera”, 11 novembre 1999. Citato in Maurizio Ridolfi, Le feste nazionali… cit., p. 283. 31 Carlo Azeglio Ciampi, Da Livorno al Quirinale… cit., p. 168. 32 Cfr. Rosario Forlenza, La Repubblica del Presidente… cit., pp. 18-19. 33 Si veda Aldo Cazzullo, Nassiriya un anno dopo. Ciampi: la memoria delle vittime ha rafforzato l’unità del Paese, “Corriere della Sera”, 10 novembre 2004. 34 Cfr. Rosario Forlenza, La Repubblica del Presidente… cit., pp. 76-91.
pace internazionale attraverso le missioni all’estero e la collaborazione militare con gli altri Stati europei.
Anche il rilancio della festa della Repubblica ha rappresentato un fattore simbolico importante nell’azione di Ciampi. Oltre alla reintroduzione della parata militare, il Presidente ha introdotto nel cerimoniale dei festeggiamenti un concerto celebrativo presso la sua residenza del Quirinale, aperta per la ricorrenza ai cittadini. E le sollecitazioni della più alta carica istituzionale hanno contribuito a spingere il Parlamento a ripristinare nel 2000 la festa del 2 giugno nel calendario ufficiale della Repubblica, dopo che una legge del 1977 ne aveva ridimensionato il valore spostandone la celebrazione alla prima domenica di giugno35 .
Volendo passare dal piano simbolico del neopatriottismo del Quirinale a quello dei suoi contenuti e del suo significato, occorre analizzare i principali pilastri della politica della memoria patrocinata dal Presidente della Repubblica: il Risorgimento e la Resistenza. Nei suoi discorsi e attraverso il programma delle sue visite ufficiali Ciampi ha mirato a costruire un «percorso della memoria», un vero e proprio «asse della memoria», imperniato sul patrimonio storico e morale del Risorgimento e della Resistenza, letti in chiave non solo nazionale ma anche europea36. Costante è stato il suo richiamo al Risorgimento, visto come processo di affermazione dell’unità nazionale e dei valori di libertà. Particolarmente forte nel pensiero di Ciampi è apparso l’influsso culturale della tradizione mazziniana. «Se riflettiamo sui caratteri costitutivi, sulle radici del patriottismo degli italiani – ha detto Ciampi nel settembre 2001 – la caratteristica più importante è che esso nacque fin dall’inizio aperto all’Europa». «La libertà del popolo italiano» egli ha continuato,
la sua unità e indipendenza, venivano da tutti i patrioti legate strettamente alla liberazione degli altri popoli d’Europa, in una prospettiva universale di conquista dei diritti civili. Mazzini fondò insieme Giovine Italia e Giovine Europa. Garibaldi fu pronto a combattere per ogni popolo d’America, d’Europa e d’Italia che volesse conquistare la propria libertà. Camillo di Cavour e Massimo d’Azeglio furono statisti e intellettuali con visione europea37 .
La raffigurazione del Risorgimento di Ciampi ha dunque contrastato decisamente con la polemica antirisorgimentale della Lega Nord, così come con le correnti revisioniste intese a condannare il processo d’unificazione nazionale come semplice “conquista piemontese” o come imposizione di un’egemonia laico-liberale ad un paese profondamente cattolico. Allo stesso tempo, la storia riscritta dal Quirinale ha omesso il carattere fortemente conflittuale del Risorgimento, segnato da numerose fratture politiche e sociali, privilegiando una visione edulcorata in cui i repubblicani mostrano di collaborare volenterosamente coi monarchici, Mazzini e Garibaldi stanno comodamente a fianco di Cavour e Vittorio Emanuele.
Se da Mazzini il Presidente Ciampi ha derivato la convinzione del nesso esistente fra il Risorgimento italiano e gli altri movimenti europei per l’indipendenza nazionale, da Benedetto Croce egli ha tratto invece l’idea del Risorgimento come espressione di quella
35 Sulla nascita e l’evoluzione della festa della Repubblica vedi Maurizio Ridolfi, Le feste nazionali… cit., pp. 235-270. 36 Cfr. Rosario Forlenza, La Repubblica del Presidente… cit., pp. 8-91. 37 Dal discorso tenuto a Roma il 22 settembre 2001 presso il Vittoriano, in occasione dell’apertura dell’anno scolastico 2001-2002. In Carlo Azeglio Ciampi, Dizionario della democrazia… cit., p. 237.
“religione della libertà” che ha segnato nel profondo la storia d’Italia38, una storia che, soltanto interrotta dalla “parentesi” fascista, avrebbe ripreso e compiuto il suo corso con la Resistenza e la Costituzione repubblicana del 1948. Quest’ultima è stata infatti considerata da Ciampi come «lo sviluppo pieno degli ideali dei patrioti del Risorgimento», avendo iscritto «i diritti fondamentali del cittadino quale fondamento giuridico della vita stessa della comunità nazionale»39. Attraverso i suoi discorsi, attraverso le visite a luoghi storici delle guerre d’indipendenza dell’Ottocento come Solferino e San Martino, il Presidente ha cercato dunque di stabilire un robusto filo di continuità fra il passato e il presente. Di questo sforzo di riattualizzazione del Risorgimento è stato segno evidente la sua “riscoperta” dell’Altare della Patria. In più occasioni Ciampi ha ricordato con convinta adesione ideale le due iscrizioni principali poste sulla sommità del monumento: “Alla unità della Patria” e “Alla libertà dei cittadini”.
Nel cammino che unisce il Risorgimento alla Resistenza, Ciampi ha dedicato grande attenzione a un altro evento che ha segnato a fondo la storia nazionale: la prima guerra mondiale. Anche di questo evento il Presidente ha smorzato, fin quasi ad annullarlo, il ricordo delle lacerazioni subite dal paese, aspramente diviso prima durante e dopo il conflitto fra interventisti e neutralisti, per rievocare piuttosto il significato positivo della Grande Guerra come «ultima guerra del Risorgimento, quella che compì l’unità d’Italia»40, grazie alla conquista di Trento e Trieste, le cosiddette “terre irredente”. Ciampi, presentandosi come esponente della generazione dei figli di coloro che avevano combattuto «per la Patria» sul Piave e sul Monte Grappa41, luoghi storici della memoria nazionale della Grande Guerra, si è voluto pertanto riallacciare alla tradizione dell’interventismo democratico, di quanti cioè – come ad esempio Salvemini o Bissolati – avevano caldeggiato la partecipazione dell’Italia alla guerra contro gli Imperi centrali considerandola non un conflitto imperialistico, bensì l’ultima tappa del Risorgimento, l’ultima delle guerre di indipendenza per completare l’unità nazionale. Anche dalla Grande Guerra, Ciampi ha tratto un insegnamento in chiave europeistica. A suo giudizio, infatti, da quell’immane massacro di popoli della vecchia Europa è sorta la linfa di «un appassionato europeismo, che è in primo luogo spirito di pace»42 .
Se sicuramente importante è stata l’azione del Presidente della Repubblica nel recuperare il retaggio di un “lungo Risorgimento”, dalle lotte per l’unità d’Italia alla prima guerra mondiale, il terreno però su cui egli ha condotto con più incisività la sua “guerra della memoria” è stato senz’altro quello della Resistenza, che egli ha considerato come il fondamentale patrimonio di ideali e di valori da recuperare e tramandare alle giovani generazioni43 .
38 Lo stesso Presidente Ciampi ha sottolineato l’importanza dei volumi di Croce per la sua formazione civile e intellettuale, con riferimento soprattutto alla Storia d’Europa nel secolo decimonono e alla Storia d’Italia. Al pari di Mazzini, anche Croce è stata una fonte fondamentale per l’europeismo di Ciampi: cfr. Carlo Azeglio Ciampi, Da Livorno al Quirinale… cit., pp. 73 e 81-83; quindi Umberto Gentiloni Silveri, Contro scettici e disfattisti… cit., p. 144. 39 Dal discorso tenuto a Torino il 20 novembre 2001, in occasione della cerimonia per i 140 anni dell’Unità d’Italia. Vedi Carlo Azeglio Ciampi, Dizionario della democrazia… cit., p. 238. 40 Dal discorso tenuto da Ciampi a Belluno l’8 ottobre 2003, ibid., pp. 209-210. 41 Ivi. 42 Ibid., p. 210. 43 Cfr. Filippo Focardi, La guerra della memoria… cit., pp. 94-107.
La prima preoccupazione di Ciampi è stata la difesa del significato patriottico della Resistenza contro i revisionisti come Galli della Loggia, assertori della “morte della patria”. La polemica è emersa esplicitamente in occasione del discorso tenuto a Piombino nell’ottobre 2000, in ricordo della lotta antitedesca di cui fu protagonista la città toscana all’indomani dell’armistizio. «L’8 settembre – ha affermato Ciampi – non è stato come qualcuno ha scritto, la morte della patria»: nonostante la «dissoluzione dello Stato» e il venir meno di «tutti i punti di riferimento», «fu in quelle drammatiche giornate che la Patria si è riaffermata nella coscienza di ciascuno di noi». Nel richiamare il carattere patriottico della Resistenza, il Presidente della Repubblica ha sottolineato il valore della scelta compiuta da quei militari italiani, ufficiali e soldati, che dopo il «trauma spaventoso» dell’8 settembre rifiutarono di arrendersi ai tedeschi e restarono fedeli al giuramento di fedeltà al sovrano44 .
Il punto è stato ribadito con determinazione dal Presidente della Repubblica nel marzo 2001 in occasione dell’importante visita compiuta presso l’isola greca di Cefalonia, teatro della strage più cruenta perpetrata da mano tedesca all’indomani dell’armistizio contro reparti militari italiani45. Per Ciampi la decisione della Divisione Acqui di opporsi all’ordine di resa dei tedeschi e di affrontarli militarmente, aveva costituito «il primo atto della Resistenza, di un’Italia libera dal fascismo»46. «Decisero di non cedere le armi. Preferirono combattere e morire per la patria. Tennero fede al giuramento», così ha affermato il Presidente della Repubblica, che ha poi elogiato negli eroi di Cefalonia «la fedeltà ai valori nazionali e risorgimentali». Gli stessi valori che, a suo giudizio, dopo l’8 settembre guidarono tanti militari italiani disseminati in Italia e all’estero, compreso lo stesso Ciampi, allora giovane sottotenente dell’esercito che scelse di raggiungere il governo legittimo del Re che si era messo in salvo a Brindisi per evitare la cattura da parte tedesca: «La memoria di quei giorni è ancora ben viva in noi. Interrogammo la nostra coscienza. Avemmo, per guidarci, soltanto il senso dell’onore, l’amor di Patria, maturato nelle grandi gesta del Risorgimento»47 . Per accreditare il significato patriottico del gesto dei soldati del generale Gandin a Cefalonia e di tutti gli altri militari italiani che scelsero di resistere, Ciampi ha sottolineato il valore della «continuità dello Stato», mai venuta meno anche nella drammaticità degli eventi bellici. A questo proposito – non nei discorsi, ma in alcune interviste alla stampa – egli, pur condannando in modo reciso la monarchia per aver lasciato allo sbando dopo l’armi-
44 Per il testo integrale del discorso vedi ibid., pp. 318-319. 45 Cfr. Gerhard Schreiber, La vendetta tedesca, 1943-1945. Le rappresaglie naziste in Italia, Mondadori, Milano 2000 (ed. or. München 1996), pp. 74-89; Gian Enrico Rusconi, Cefalonia 1943. Quando gli italiani combattono, Einaudi, Torino 2004; Hermann Frank Meyer, Il massacro di Cefalonia e gli altri crimini di guerra della 1° Divisione da montagna tedesca, Gaspari, Udine 2013; Camillo Brezzi (a cura di), Né eroi, né martiri, soltanto soldati. La Divisione “Acqui” a Cefalonia e Corfù, settembre 1943, il Mulino, Bologna 2014; Elena Aga Rossi, Cefalonia. La Resistenza, l’eccidio, il mito, il Mulino, Bologna 2016. A lungo si è parlato di 9.000 morti fra i soldati italiani, di cui 4.0005.000 fucilati dopo la resa. La storiografia più recente ha ridimensionato la cifra a un totale compreso fra i 2.500 e i 1.900 caduti. Ciò non cambia il significato della strage che resta – come ha scritto Aga Rossi – un «criminale assassinio» compiuto per vendetta contro soldati che si erano arresi. 46 Cfr. Carlo Azeglio Ciampi, Dizionario della democrazia… cit., p. 213. Il testo integrale dell’intervento di Ciampi è in Filippo Focardi, La guerra della memoria… cit., pp. 319-322. 47 Sul viaggio a Cefalonia come «uno dei momenti centrali della presidenza Ciampi», si veda Paolo Peluffo, Carlo Azeglio Ciampi… cit., p. 310.
stizio le forze armate senza dare loro ordini precisi48, ha espresso una valutazione positiva sulla scelta di Vittorio Emanuele III di lasciare Roma e di rifugiarsi in Puglia per garantire la continuità istituzionale49. Il giudizio è andato controcorrente rispetto alla tradizionale memoria antifascista, caustica nei confronti del “re fuggiasco”. Eccetto questo punto – che, comunque, non ha modificato il giudizio di riprovazione nei confronti del comportamento complessivo dei Savoia – la raffigurazione della Resistenza tracciata da Ciampi è rimasta ancorata alla tradizionale “narrazione egemonica” elaborata nel dopoguerra dalle forze antifasciste, incentrata sulla Resistenza come guerra di liberazione nazionale.
Contrariamente infatti alla nuova vulgata revisionista d’impronta defeliciana, che descriveva la Resistenza come una guerra civile fra due “attivismi minoritari”, Ciampi ha richiamato in ogni occasione il suo carattere di guerra di popolo, sottolineando in modo particolare l’importanza di quei momenti, come l’episodio della difesa di Roma a Porta San Paolo, in cui si è manifestata una collaborazione fra civili e militari, in cui si è realizzata una «unione di popolo e forze armate». Vicino alla raffigurazione di una “Resistenza allargata” proposta già alla metà degli anni Novanta dallo storico e intellettuale cattolico Pietro Scoppola50, il Presidente della Repubblica ha rivendicato dunque una dimensione corale della Resistenza come grande movimento di lotta volto alla liberazione del paese dal nazifascismo e al suo riscatto democratico. Un movimento attivo non solo nell’«Italia partigiana» centro-settentrionale, ma anche nell’Italia del sud51 e all’estero; animato dall’azione di quattro protagonisti principali: i militari che si opposero all’intimazione di resa dei tedeschi, la popolazione che si schierò spontaneamente con loro proteggendoli e sfamandoli; i seicentomila soldati italiani fatti prigionieri dai tedeschi che si rifiutarono – nella stragrande maggioranza – di servire la Repubblica di Salò e rimasero nei lager; infine, la «punta avanzata» rappresentata dai partigiani52 .
In altra occasione Ciampi ha precisato la sua visione individuando tre diverse ma convergenti dimensioni della lotta di liberazione: «la Resistenza attiva di chi prese le armi in pugno, partigiani, soldati, militari che seguirono l’impulso della propria coscienza»; «la Resistenza silenziosa della gente, dei cittadini che aiutarono, soccorsero feriti, fuggiaschi, combattenti, esponendosi a rischi elevati»; «la Resistenza dolorosa dei prigionieri nei campi di concentramento, di chi si rifiutò di collaborare»53. Lo stesso quadro caratterizzato dalla sinergia di una pluralità di Resistenze è stato ribadito da Ciampi nel 2005 in occasione delle celebrazioni del 60° anniversario della Liberazione, quando il Presidente ha invitato a non dimenticare nessuno dei «protagonisti della lotta per la libertà di tutti gli
48 Cfr. Umberto Gentiloni Silveri, Contro scettici e disfattisti… cit., p. 175 e Rosario Forlenza, La Repubblica del Presidente… cit., p. 41 nota 62. 49 Cfr. Mario Pirani, “Ecco la mia idea di Patria”, “Repubblica”, 3 marzo 2001. 50 Si veda Pietro Scoppola, 25 aprile. Liberazione, Einaudi, Torino 1995. Riferimenti espliciti alla sintonia di giudizio fra Ciampi e Scoppola sulla Resistenza si trovano in Umberto Gentiloni Silveri, Contro scettici e disfattisti… cit., p. 177. 51 Vedi il discorso tenuto da Ciampi a Napoli il 28 settembre 2003 per commemorare l’anniversario dell’insurrezione della città contro le truppe tedesche. I passi principali dell’intervento in Carlo Azeglio Ciampi, Dizionario della democrazia… cit., p. 227. 52 Cfr. il discorso tenuto il 10 settembre 2001 a Roma a Porta San Paolo. Citato in Filippo Focardi, La guerra della memoria… cit., p. 96. 53 Ci riferiamo al discorso tenuto ad Ascoli Piceno il 25 aprile 2002. Il testo integrale del discorso ibid., pp. 340-342.
italiani»: la «Resistenza operaia»; la «Resistenza dei militari» e quella dei soldati internati dai tedeschi – gli IMI; la «Resistenza armata» dei partigiani; la «Resistenza popolare» di «migliaia e migliaia di donne e uomini di ogni ceto» che «salvarono e protessero civili e militari alla macchia, ebrei minacciati dallo sterminio, soldati stranieri fuggiti dai campi di prigionia»; la Resistenza infine di «migliaia e migliaia di vittime delle innumerevoli, orrende stragi che insanguinarono il nostro Paese», «donne, vecchi e bambini colpevoli soltanto di sostenere chi si batteva per la libertà»54 .
Secondo il Presidente, comune ispirazione per tutti i protagonisti di questa lotta sarebbe stato l’«amor di patria» d’ispirazione risorgimentale, caratterizzato in senso mazziniano non come egoismo nazionalistico ma come attaccamento alla propria nazione non disgiunto dal rispetto degli altri popoli e da un più ampio sentimento di fratellanza europea. Anche la Resistenza, come già il Risorgimento, ha avuto dunque nel messaggio di Ciampi un duplice valore: nazionale ed europeo. Per l’Italia ha rappresentato la conquista della democrazia, tutelata dalla Costituzione repubblicana, considerata da Ciampi «il fondamento delle nostre libertà»55, la «Bibbia civile»56 del Presidente, «tuttora valida» e rispecchiante «in maniera piena e rigorosa» nella sua prima parte – dove sono espressi i principii di fondo della Repubblica – il sentire del popolo italiano57. Ma, al tempo stesso, la Resistenza ha avuto un significato più vasto, accomunando l’Italia e gli italiani agli altri popoli d’Europa che nel 1945 si liberarono o furono liberati dall’oppressione nazista. Soprattutto in occasione di passaggi fondamentali del processo d’unificazione europea come l’allargamento dell’Unione del 2004 e la stesura della Costituzione58, il Presidente Ciampi ha accentuato i suoi riferimenti all’Europa, legando assieme in maniera sempre più stretta Risorgimento-Resistenza-Repubblica italiana-Unione Europea.
Dunque, la seconda guerra mondiale come tragica esperienza che ha insegnato una volta per sempre agli europei il valore della pace e della collaborazione reciproca: è stato questo l’insegnamento che Ciampi si è sforzato di tramandare in particolare alle giovani generazioni, invitate a fare memoria di cosa abbia rappresentato per l’Europa e per l’umanità intera un passato dominato da «nazionalismi esasperati» e «totalitarismi aggressivi e spietati»59. Un momento significativo è rappresentato, nell’aprile 2002, dalla visita congiunta fatta assieme al Presidente della Germania Johannes Rau a Marzabotto, il comune
54 Dal discorso tenuto al Quirinale il 25 aprile. Il testo è consultabile http://presidenti.quirinale.it/Ciampi/dinamico/ContinuaCiampi.aspx?tipo=discorso&key=26923. Ricordiamo che Ciampi espresse un analogo punto di vista sulla Resistenza intervenendo a Milano il giorno dopo, il 26 aprile 2005. Vedi Rosario Forlenza, La Repubblica del Presidente… cit., pp. 22-23. 55 Si veda il discorso tenuto al Quirinale il 25 aprile 2005 sopra citato. 56 L’espressione risale ad uno degli ultimi discorsi del Presidente Ciampi, pronunciato in occasione della celebrazione della festa del 25 aprile 2006. Cfr. Carlo Azeglio Ciampi, È la Costituzione la mia Bibbia civile, “l’Unità”, 26 aprile 2006. 57 Le espressioni di Ciampi virgolettate, sono tratte dal discorso tenuto nel settembre 1999 in occasione dell’incontro col Presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, Arrigo Boldrini. Vedi Filippo Focardi, La guerra della memoria… cit., p. 97. 58 Ci riferiamo al cosiddetto Trattato, che adotta una costituzione per l’Europa, firmato a Roma il 29 ottobre 2004. Il trattato fu però respinto l’anno successivo dal voto negativo dei referendum in Francia e in Olanda. 59 Da un discorso tenuto da Ciampi a Ferrara il 28 ottobre 2002. In Carlo Azeglio Ciampi, Dizionario della democrazia… cit., p. 218.
emiliano nel cui territorio ebbe luogo la più sanguinosa strage nazista in Italia60. Parlando in quell’occasione, Ciampi lanciava perentoriamente il monito: «Mai più odio, sangue, tra i popoli d’Europa»61. E pochi giorni dopo, intervenendo ad Ascoli Piceno in occasione della festa della Liberazione, tornava sul concetto con queste parole: «Dalla tragedia della guerra la mia generazione uscì con una idea chiara: costruire un’Europa sorretta da istituzioni fondate sui principii della democrazia, un’Europa generatrice di pace, l’Europa dei valori, della libertà, della giustizia, del rispetto della dignità umana, della solidarietà»62 .
Difesa della Costituzione repubblicana, difesa del Risorgimento e soprattutto della Resistenza, sincero e determinato europeismo erano tutti elementi poco graditi a molti settori della composita compagine culturale e politica del centro-destra, attraversata da istanze di robusto revisionismo storico e istituzionale63. Di qui lo sprigionarsi di alcune frizioni, la più eclatante delle quali prendeva la forma della lettera aperta di protesta contro la lettura della Resistenza di Ciampi pubblicata sul principale quotidiano italiano, il “Corriere della Sera”, da Ernesto Galli della Loggia subito dopo il discorso del Presidente a Cefalonia64. Ma vi erano altresì alcuni contenuti della politica della memoria del Quirinale assai apprezzati dallo schieramento berlusconiano, esclusa la Lega di Bossi. Innanzitutto il richiamo al patriottismo, sebbene declinato da Ciampi in termini democratico-repubblicani, toccava corde sensibili nella destra nazionalista, pronta a utilizzarlo a vantaggio delle proprie posizioni. Prestava il fianco in questa direzione, anche lo sforzo del Presidente per costruire una “memoria condivisa” che unisse tutti gli italiani; un obiettivo, questo, in linea con la richiesta di “pacificazione” del centro-destra dietro cui agiva in realtà, come si è visto, lo sforzo di superare l’ancoraggio all’antifascismo quale base di legittimazione del sistema politico.
L’obiettivo precisato da Ciampi nell’aprile 2003 di costruire una «memoria intera» in cui trovassero posto tutte le pagine della storia nazionale «fatta di momenti esaltanti e di errori», una memoria capace di promuovere «una riconciliazione senza amnesie»65, si traduceva nei fatti nel duplice sforzo del Presidente di fare luce da un lato sulle stragi nazifasciste nascoste per anni dalla magistratura militare nel cosiddetto «armadio della vergogna»66, ma anche, dall’altro lato, di recuperare alla memoria nazionale una pagina
60 Cfr. Luca Baldissara-Paolo Pezzino, Il massacro. Guerra ai civili a Montesole, il Mulino, Bologna 2009. 61 Vedi Carlo Azeglio Ciampi, Dizionario della democrazia… cit., pp. 216-217. 62 Cfr. Filippo Focardi, La guerra della memoria… cit., p. 341. 63 L’unica componente del centro-destra pienamente in sintonia con il messaggio del Quirinale appariva il partito cattolico dei Cristiano-Democratici guidato da Marco Follini e Pier Ferdinando Casini, allora Presidente della Camera. 64 Il testo integrale della lettera di Galli della Loggia e quello della successiva replica di Ciampi, in Filippo Focardi, La guerra della memoria… cit., pp. 322-326. 65 Cfr. l’intervista concessa da Ciampi al “Corriere della Sera” in Marzio Breda, Una memoria intera, un Paese più unito, “Corriere della Sera”, 25 aprile 2003. 66 Ricordiamo che alla metà degli anni Novanta, in seguito alle indagini relative al processo Priebke, furono rinvenuti a Roma in un palazzo della magistratura militare centinaia di fascicoli giudiziari relativi a stragi compiute durante la guerra dalle truppe naziste e da fascisti italiani. Tutto il materiale risultò essere stato illegalmente archiviato nel 1960 dalla magistratura militare italiana per impedire lo svolgimento dei processi. Sulla complessa vicenda, per il cui chiarimento è stata istituita una commissione d’inchiesta parlamentare, si rimanda a Mimmo Franzinelli, Le stragi nascoste. L’armadio della vergogna: impunità e rimozione dei crimini di guerra nazifascisti, 1943-2001, Mondadori, Milano
come quella dei crimini delle foibe, ovvero delle uccisioni di italiani perpetrate nella Venezia Giulia dai comunisti di Tito fra il 1943 e il 1945, tradizionale argomento utilizzato dalla destra neofascista in chiave anticomunista, e poi ripreso dall’intera compagine di centro-destra – Lega inclusa – come cardine della propria politica della memoria.
Non a caso, tutto lo schieramento di centro-destra aveva plaudito alla visita compiuta da Ciampi alla foiba di Basovizza vicino a Trieste nel febbraio 2000 – in quell’occasione, congiuntamente, Ciampi aveva visitato anche la Risiera di San Sabba, sede di un tristemente noto lager nazista67. E analoghi apprezzamenti aveva suscitato il passo d’un discorso del Presidente tenuto nell’ottobre 2001, poco dopo la seconda affermazione elettorale di Berlusconi, in cui egli aveva affermato che «molti giovani» si erano schierati dopo il settembre 1943 con Mussolini perché mossi, al pari di chi fece la scelta opposta, dal sentimento del «valore dell’unità d’Italia», «nella convinzione di servire ugualmente l’onore della propria Patria»68. Rientravano infine nella edificazione d’una «memoria intera» anche il ricordo delle vittime delle violenze sessuali perpetrate in Italia dalle truppe del corpo di spedizione francese durante la seconda guerra mondiale69, nonché il tributo concesso almeno in un paio di occasioni da Ciampi alla memoria dei soldati italiani caduti a fianco dei commilitoni tedeschi a El Alamein70. Tutte iniziative caldamente apprezzate dalla destra.
All’opposto, tali iniziative del Presidente della Repubblica non hanno mancato di suscitare preoccupazione e critiche anche aspre da parte d’intellettuali antifascisti. Ad esempio lo scrittore Antonio Tabucchi interveniva con vigore sia su “Le Monde” sia su “l’Unità” per criticare le benevole parole di Ciampi sui «giovani di Salò», a suo dire espressione d’una pericolosa «deriva ideologica» e «improponibili per una Repubblica nata dall’antifascismo come l’Italia»71. Analoghe reazioni suscitava la commemorazione di Ciampi dei soldati italiani a El Alamein che, come faceva notare lo storico Sergio Luzzatto72, erano caduti combattendo per la causa nazista. In generale, ha destato riserve una certa enfasi retorica tipica del patriottismo del Quirinale. E lo stesso vale per l’interpretazione della Resistenza proposta da Ciampi, in cui il significato antifascista della lotta appariva – ed era in effetti – fortemente sacrificato alla rivendicazione del suo significato di liberazione dell’Italia dall’occupante straniero, e il contributo della lotta partigiana ridimensionato a favore della componente militar-monarchica.
2002; Franco Giustolisi, L’armadio della vergogna, Nutrimenti, Roma 2004; Filippo Focardi, Giustizia e ragion di Stato. La punizione dei criminali di guerra tedeschi in Italia, in Grazia e giustizia. Figure della clemenza fra tardo medioevo ed età contemporanea, a cura di Karl Härter e Cecilia Nubola, il Mulino, Bologna 2011, pp. 489-541; Marco De Paolis-Paolo Pezzino, La difficile giustizia. I processi per crimini di guerra tedeschi in Italia, 1943-2013, Viella, Roma 2016. 67 I passi principali del discorso tenuto in quell’occasione da Ciampi in Carlo Azeglio Ciampi, Dizionario della democrazia… cit., p. 212. 68 Il testo integrale del discorso tenuto a Lizzano in Belvedere il 14 ottobre 2001 in Filippo Focardi, La guerra della memoria… cit., pp. 333-335. 69 Cfr. ad esempio il discorso di Ciampi a Cassino del 15 marzo 2004, in Carlo Azeglio Ciampi, Dizionario della democrazia… cit., p. 221. 70 Ciampi visitò la prima volta il sacrario di El Alamein nel febbraio 2000 e una seconda volta nell’ottobre 2002. 71 Cfr. Antonio Tabucchi, L’Italia, un paese alla deriva, “l’Unità”, 21 ottobre 2001. Riportato in Filippo Focardi, La guerra della memoria… cit., pp. 335-338. 72 Vedi Sergio Luzzatto, La crisi dell’antifascismo, Einaudi, Torino 2004, pp. 20-21.
Va rilevato però che dopo la seconda vittoria di Berlusconi nel maggio 2001, le critiche da sinistra all’operato di Ciampi si sono progressivamente ridimensionate e il Presidente della Repubblica è stato sempre più riconosciuto dalla compagine di centro-sinistra come il baluardo più solido contro le istanze revisionistiche della destra al potere. I testi dei discorsi ufficiali tenuti da Ciampi in occasione della festa del 25 aprile sono stati ad esempio pubblicati integralmente da “l’Unità”, il quotidiano dei Democratici di Sinistra, il partito più forte dello schieramento opposto a quello di Berlusconi. Le stesse associazioni partigiane e antifasciste hanno preso l’abitudine, nei loro messaggi, di rifarsi esplicitamente al magistero di Ciampi. Anche nelle celebrazioni di piazza del 25 aprile il messaggio patriottico del Presidente della Repubblica ha trovato un vasto consenso, come dimostra ad esempio il caso della manifestazione a Milano nel 2002, ai cui partecipanti sono stati distribuiti volantini con il testo della canzone partigiana Bella ciao da un lato e le parole dell’Inno di Mameli dall’altro.
A questo riavvicinamento, trasformatosi in un saldo connubio, ha molto contribuito lo stesso Ciampi che nell’aprile 2002 ha avuto parole di esplicita condanna per l’«improponibile revisionismo»73 e si è impegnato sempre più energicamente a favore della memoria della Resistenza, come dimostra nel 2003 la decisione d’aprire per la prima volta il palazzo del Quirinale per i festeggiamenti della Liberazione e, nello stesso anno, l’ampio giro di visite compiuto nel paese per commemorare l’anniversario dell’8 settembre, interpretato come inizio della Resistenza e non “giorno del disonore” nazionale secondo la lettura revisionistica. Ha sancito infine la sintonia fra il Quirinale e il centro-sinistra l’impegno profuso con energia e fermezza da Ciampi fino alla fine del suo mandato per la difesa della Costituzione, insidiata dai progetti di radicale modifica avanzati dal governo di destra. Un impegno che senza dubbio ha contribuito alla sconfitta della riforma costituzionale nel referendum del giugno 2006.
L’accentuazione del carattere patriottico della Resistenza e la sordina messa agli aspetti di trasformazione sociale più radicale promossi durante la lotta di liberazione dalla sinistra antifascista hanno corrisposto certamente ai genuini sentimenti e alle convinzioni del Presidente della Repubblica, ma anche alla necessità politica di confezionare un messaggio capace di raccogliere il massimo del consenso nel paese, negli anni in cui gli italiani avevano premiato col loro voto un governo di destra. Del resto, così facendo, Ciampi ha ripreso e riproposto la lettura tradizionale, condivisa nel suo nucleo di fondo da tutti i vecchi partiti antifascisti, della Resistenza come “secondo Risorgimento”: un’idea nazional-patriottica della Resistenza in cui ognuno potesse riconoscersi senza che nessuno potesse vantarne il monopolio. Funzionale agli scopi del Presidente della Repubblica di rappresentare tutti gli italiani, tale raffigurazione è risultata tuttavia assai parziale e reticente. Essa infatti ha glissato sulle forti differenze regionali e i contrasti spesso accesi fra le diverse componenti della Resistenza, e omesso di fare i conti col carattere anche di guerra civile della Resistenza, che era stato posto in rilievo all’inizio degli anni Novanta da uno storico antifascista quale Claudio Pavone74, coetaneo di Ciampi e come lui simpatizzante del Partito d’Azione75 .
73 L’affermazione è stata fatta nel già citato discorso tenuto ad Ascoli Piceno il 25 aprile 2002. 74 Cfr. Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino 1991. 75 Influenzato dalle idee del filosofo Guido Calogero, che aveva avuto come professore a Pisa, Ciampi aderì al Partito d’Azione svolgendovi per un breve periodo attività politica nella Livorno
Rilievi critici si possono muovere e sono stati mossi anche all’obiettivo di Ciampi di costruire una memoria nazionale «condivisa» o anche solo una «memoria intera», in cui non necessariamente si è chiamati a fare proprie le ragioni o le motivazioni altrui. Elaborare a questo fine punti di contatto fra la memoria antifascista imperniata sulla Resistenza e la memoria di quanti scelsero la parte opposta schierandosi con Mussolini, è sembrata un’operazione quantomeno azzardata, e per molti inaccettabile. Dettata dalle «ragioni della politica» per legittimare il nuovo sistema bipolare caratterizzato dalla presenza di forze anti-antifasciste, tale operazione collideva infatti con le «ragioni della storia». Ciampi, in realtà, non ha mai inteso procedere ad una «parificazione» fra antifascisti e fascisti ed è intervenuto più volte per tracciare una distinzione fra le due parti76. Tuttavia l’enfasi sui comuni valori della Patria e dell’unità nazionale attribuiti dal Presidente ai vecchi schieramenti antagonisti, ha rischiato effettivamente di stemperare e offuscare le differenze, almeno sul piano della ricezione pubblica dei suoi interventi.
Circa il proposito di Ciampi di favorire la costruzione di una «memoria intera», si può osservare che tale memoria è apparsa in realtà incompleta e sbilanciata. Vi hanno trovato posto infatti solo quelle pagine, come le foibe o le stragi nazifasciste, in cui gli italiani apparivano nei panni delle vittime, vuoi dei carnefici comunisti di Tito vuoi delle SS tedesche. Nessuna presa di posizione invece da parte del Quirinale su quelle pagine della storia nazionale, come l’occupazione della Libia e dell’Etiopia o quella dei Balcani – Grecia e Jugoslavia – durante la seconda guerra mondiale, in cui furono gli italiani a rivestire i panni degli oppressori e dei carnefici nei confronti delle popolazioni civili locali. Si può solo menzionare un breve accenno fatto da Ciampi in occasione del discorso tenuto a Cefalonia, allorché aveva ricordato «le tremende sofferenze della popolazione di Cefalonia e di tutta la Grecia, vittima di una guerra di aggressione»77 . Ciampi era stato invero sollecitato fin dal 2000 dal Presidente sloveno Milan Kučan ad avviare una politica di riconciliazione fra i due paesi, da attuarsi attraverso un gesto da compiere nei luoghi delle «barbarie contrapposte»78. E dopo la visita di Rau a Marzabotto, il Presidente era stato invitato da alcuni storici italiani a compiere un’azione analoga recandosi in uno dei luoghi simbolo dell’occupazione italiana in Jugoslavia, come ad esempio l’isola di Arbe – Rab in croato – sede del più duro campo di concentramento italiano per slavi79. Come ha rivelato il suo ex consigliere diplomatico Antonio Puri Purini, nel dicembre 2004 Ciampi aveva preso in effetti la decisione di svolgere «una sorta di pellegrinaggio civile» insieme al Presidente sloveno e a quello croato per realizzare una definitiva
dell’immediato dopoguerra: vedi Carlo Azeglio Ciampi, Da Livorno al Quirinale… cit., pp. 56 e 6870. Pavone durante la Resistenza aveva invece aderito al Partito Italiano del Lavoro, non lontano ideologicamente dall’ala sinistra del PdA. Alla tradizione azionista, Pavone si è sempre comunque richiamato nel dopoguerra: cfr. Claudio Pavone, La mia Resistenza. Memorie di una giovinezza, Donzelli, Roma 2015. 76 Ricordiamo ad esempio la presa di posizione di Ciampi nel 2002 contro l’iniziativa dell’amministrazione comunale di Trieste, guidata dal centro-destra, che in occasione del 25 aprile aveva commemorato assieme la Liberazione e le vittime delle foibe. Vedi Filippo Focardi, La guerra della memoria… cit., pp. 102-103. 77 Ibid., p. 320. 78 Cfr. Antonio Puri Purini, Dal Colle più alto… cit., pp. 258-259. 79 Vedi ad esempio Tranfaglia: ora si scusi l’Italia, “l’Unità”, 18 aprile 2002 o anche Filippo Focardi, I crimini impuniti dei “bravi italiani”, “Contemporanea”, a. VIII, n. 2, aprile 2005, pp. 129-135.
riappacificazione attraverso il mutuo riconoscimento dei torti e delle violenze che le parti storicamente avevano inflitto l’una all’altra80 .
Nel gennaio 2005, in una riunione riservata fra le autorità dei tre paesi svoltasi presso la prefettura di Trieste, erano state messe a punto le tappe di questo viaggio di riconciliazione ad alto significato simbolico: i tre Presidenti si sarebbero recati insieme prima alla Risiera di San Sabba a Trieste, sede di un famigerato lager nazista, poi a Gonars in Friuli per rendere omaggio alle vittime slovene e croate del campo di concentramento italiano, infine era prevista una visita a Basovizza per ricordare gli italiani vittime delle foibe81. Un incontro di lavoro sull’isola di Brioni avrebbe dovuto chiudere l’iniziativa ponendo le basi per una futura collaborazione politica, economica e culturale fra i tre Paesi. Alla fine tutto però fu annullato per l’intervento del Ministero degli Esteri italiano, allora guidato dal leader di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini, che condizionò la realizzazione del viaggio di riconciliazione alla soluzione della questione dei beni immobiliari di proprietà italiana in Croazia, intendendo con ciò difendere gli interessi degli italiani espulsi dall’Istria e dalla Dalmazia82. L’intervento del governo di centro-destra bloccò così i progetti di Ciampi. In nessuna occasione pubblica il Presidente ha comunque mai affrontato la questione delle responsabilità italiane legate alla politica antislava del regime fascista e ai crimini di guerra commessi tra il 1941 e il 1943.
Più risoluto si è dimostrato Ciampi nella condanna della politica antisemita del fascismo italiano. In più occasioni egli ha denunciato l’«aberrante legislazione discriminatoria» del regime di Mussolini contro gli ebrei, definendo «vergognose» le leggi razziali del 193883 . Occorre però rilevare che, espressa una simile riprovazione, il Presidente della Repubblica ha dato molto più spazio poi all’esaltazione dei meriti guadagnati dagli italiani nell’aiuto agli ebrei perseguitati che non alla denuncia dei loro persecutori in camicia nera, descritti come un’esigua minoranza di “deviati” rispetto ad un popolo italiano virtuoso e alieno da ogni antisemitismo84. Egli ha così difeso il volto degli “italiani brava gente”, un aspetto certo meritorio del comportamento italiano durante la guerra impersonato da figure come Giorgio Perlasca. Tale aspetto, però, ha rappresentato solo un lato della medaglia e ha fi-
80 Cfr. Antonio Puri Purini, Dal Colle più alto… cit., pp. 260-262. 81 Ivi. 82 Secondo Puri Purini, l’intervento della Farnesina sarebbe maturato dopo la richiesta della Slovenia di inserire nel programma anche una visita al cippo che a Basovizza ricorda i quattro “martiri sloveni” fucilati dal regime fascista nel 1930 e soprattutto dopo che la Croazia aveva frenato sulla liberalizzazione del mercato immobiliare, mantenendo delle discriminazioni nei confronti degli italiani. Un articolo apparso sul “Corriere della Sera” ha richiamato la disponibilità slovena a compiere l’«atto di pacificazione» e sottolineato al contrario la risolutiva azione frenante del Ministero degli Esteri italiano, che avrebbe posto come condizione «un atto simbolico di restituzione dei beni espropriati, laddove possibile» e «l’eliminazione delle discriminazioni a danno dei cittadini italiani che desiderino acquistare proprietà in Croazia». Cfr. Roberto Morelli, Foibe, sì sloveno alla “pace” proposta da Ciampi, “Corriere della Sera”, 20 febbraio 2006. 83 Si veda ad esempio il discorso del 12 ottobre 1999, in occasione della visita a Gerusalemme al Memoriale di Yad Vashem e il discorso pronunciato al Quirinale il 24 gennaio 2003 per la “giornata della memoria” in ricordo della Shoah. Cfr. Carlo Azeglio Ciampi, Dizionario della democrazia… cit., rispettivamente pp. 211 e 219. 84 Cfr. il discorso tenuto l’11 marzo 2003 a Fossoli, sede durante la guerra del principale campo tedesco di smistamento e di transito per ebrei, ibid., pp. 219-220.
nito per costituire un comodo alibi per non fare i conti col comportamento diffuso di tanti altri connazionali, viceversa coinvolti a più livelli nella persecuzione antiebraica85 . Volendo provare a tracciare un bilancio, si può affermare che l’azione di “pedagogia della memoria” del Presidente Ciampi abbia esercitato un’influenza notevole nel plasmare il discorso pubblico sul passato nazionale costituendo un argine istituzionale efficace rispetto alle istanze revisionistiche più radicali, sia con riferimento a quelle rivolte in chiave anti-unitaria contro il Risorgimento sia a quelle, ancor più vigorose, rivolte contro la Resistenza. È grazie all’azione di Ciampi, poi ripresa dal suo successore al Quirinale, Giorgio Napolitano, che alcune richieste avanzate da destra – come la sostituzione del 25 aprile e l’equiparazione legislativa fra partigiani e combattenti di Salò – sono state alla fine respinte in modo definitivo86. E gli effetti di lunga durata della politica della memoria promossa da Ciampi si possono anche riscontrare nel muro di reazioni negative opposto da parlamento e istituzioni alla proposta avanzata in Senato nell’aprile 2011 da alcuni rappresentanti del Popolo della Libertà, di provenienza missina, d’abolire le norme costituzionali che vietano la ricostituzione del partito fascista87. In questo caso il rigetto è stato fermo anche da parte di figure istituzionali del governo di centro-destra allora in carica, come il Presidente della Camera Gianfranco Fini e il Presidente del Senato Renato Schifani. Quale punto di approdo legislativo degli sforzi del Presidente Ciampi di riaccreditare e diffondere fra gli italiani il sentimento di patria, può inoltre essere considerata la decisione presa dal Parlamento nel 2012, su iniziativa bipartisan del Partito Democratico e del Popolo della Libertà, di istituire il 17 marzo la «Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera»88 .
Non c’è dubbio che Ciampi abbia costituito una barriera contro il revisionismo più aggressivo e abbia promosso con successo il neopatriottismo a livello istituzionale. Critiche allarmate sono state però mosse ai contenuti e ai possibili effetti di questo patriottismo. Secondo lo storico Alberto Mario Banti tale patriottismo, pur fondato sulle migliori intenzioni democratiche, non avrebbe fatto «altro che riproporre, con minime variazioni, il blocco discorsivo del nazionalismo classico, come si è formato tra Risorgimento e fascismo»89. Avrebbe rischiato dunque di rimettere in circolo virus pericolosi, dimostrandosi per altro strumento inadeguato a fronteggiare «le sfide dell’emigrazione, della globalizzazione, del multiculturalismo»90. Banti è arrivato a mettere in dubbio l’idea stessa che la Repubblica abbia davvero bisogno di un’identità nazionale forte.
A nostro avviso che il discorso neopatriottico di Ciampi possa suo malgrado veicolare i germi del nazionalismo, non è una preoccupazione intellettualmente infondata. Vi sono, però, alcuni buoni “antidoti” nel messaggio di Ciampi contro l’eventuale reviviscenza di forme di nazionalismo potenzialmente antidemocratiche: fra questi, il richiamo reiterato
85 Vedi Simon Levis Sullam, I carnefici italiani. Scene dal genocidio degli ebrei, 1943-1945, Feltrinelli, Milano 2015. 86 Sulla politica della memoria svolta nel suo primo mandato da Giorgio Napolitano, cfr. Filippo Focardi, Il passato conteso… cit., pp. 83 sg. 87 Cfr. Silvio Buzzanca, “Non sia più reato il fascismo”. La proposta Pdl scatena la bagarre, “Repubblica”, 6 aprile 2012. 88 Vedi Inno di Mameli sui banchi di scuola, via libera della Camera al disegno di legge, ibid., 15 giugno 2012. 89 Cfr. Alberto Mario Banti, Sublime madre nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo, Laterza, Roma-Bari 2011. 90 Ibid., p. 208.
al nesso risorgimentale fra patria e libertà e l’insistenza sul legame fra la patria italiana e l’Unione Europea. Si può semmai riscontrare un limite nella visione del Presidente d’un percorso storico lineare che unisce il Risorgimento, la Resistenza e la nascita dell’Italia repubblicana. Privilegiando gli elementi di continuità, finiscono per risultare offuscati gli elementi di rinnovamento democratico dell’Italia antifascista rappresentati dal nuovo patto di cittadinanza sancito dalla Costituzione, con i suoi articoli che non solo tutelano le libertà civili ma affermano anche i diritti sociali. Nei discorsi di Ciampi la parola “antifascismo” ricorre solo in modo sporadico e non si può dire che il Presidente abbia contribuito molto a superare i confini di una memoria tendenzialmente autoassolutoria, fondata sulla celebrazione delle virtù dei «bravi italiani» e sul «paradigma vittimario»91. Sia la memoria istituzionale sia quella pubblica devono ancora fare i conti fino in fondo col retaggio del passato fascista, con l’esperienza di un progetto totalitario a base gerarchica e razzista, teso all’espansione militare, culminato nella catastrofe d’una guerra di aggressione a fianco dei “camerati” tedeschi. Solo così infatti si può pensare di superare quel «processo di defascistizzazione retroattiva» denunciato alcuni anni fa da Emilio Gentile92 .
I punti deboli del neopatriottismo costituzionale di Ciampi non devono far trascurare la sua funzione e il suo lascito positivi. In una situazione di laceranti tensioni politiche interne e di sfida aperta alla stessa unità nazionale, il Presidente Ciampi ha rappresentato un punto di equilibrio per il sistema politico e un punto di riferimento coesivo per i cittadini. Con la sua azione, come ha notato Paolo Peluffo, il Quirinale si è sforzato in definitiva di allontanare lo «spettro del declino» del Paese93. Tale “spettro”, rimasto sullo sfondo negli anni del settennato di Ciampi, si è però concretizzato successivamente per effetto della crisi economico-finanziaria internazionale sprigionatasi dopo il 2008, che ha colpito in pieno l’Italia ridimensionandone la ricchezza e il rango. Al tracollo economico si è accompagnata una drammatica crisi di fiducia nei confronti delle istituzioni – in primis dei partiti – e delle élites politiche94. Anche l’Unione Europea è stata infine investita da sfiducia e discredito crescenti, tanto da essere reale la prospettiva d’una sua futura disgregazione. Solo il Quirinale, adesso guidato da Sergio Mattarella, sembra aver mantenuto alti indici di gradimento95, potendo contare anche sul patrimonio di credibilità e consenso accumulato da Ciampi. In un contesto ancor più difficile di allora, la lezione del patriottismo repubblicano e dell’europeismo di Carlo Azeglio Ciampi resta dunque preziosa ancor oggi, tanto più se si sapranno affrontare e superare alcuni suoi limiti.
91 Giovanni De Luna, La Repubblica del dolore. Le memorie di un’Italia divisa, Feltrinelli, Milano 2011. 92 Emilio Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione, Laterza, Roma-Bari 2002, p. VII. 93 Cfr. Paolo Peluffo, La riscoperta della Patria… cit., pp. 81 e 96-102. 94 Si vedano in proposito i risultati del sondaggio compiuto nel dicembre 2013 da Demetra e pubblicati sul numero di “Repubblica” del 30 dicembre 2013, da cui risulta una fiducia degli italiani per i partiti pari al 5,1% e per il Parlamento del 7,1%. 95 Dopo un anno di mandato, nel gennaio 2016 Mattarella risultava nei sondaggi il politico più gradito agli italiani con un indice del 59%. Cfr. https://www.forexinfo.it/Sondaggi-Politi-Mattarella.