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Santi Fedele

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Santi Fedele

La Sinistra non marxista e la Rivoluzione russa: anarchici e repubblicani

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Le due principali, storiche componenti della Sinistra italiana non marxista, anarchici e repubblicani, condividono l’entusiasmo per la rivoluzione di Febbraio che ha rovesciato l’aborrita autocrazia zarista; accolgono con reazioni opposte la notizia della conquista bolscevica del potere, che per i primi segna l’avvio della fase “sociale” della rivoluzione, mentre per i secondi prelude alla pace separata della Russia con gli Imperi centrali; avviano una riflessione critica sull’esperienza del comunismo sovietico che proseguirà nei decenni successivi e che, soprattutto nel caso del movimento anarchico, ne influenzerà gli sviluppi politici.

Se vi è una peculiarità nell’atteggiamento degli anarchici italiani di fronte alla rivoluzione russa, essa va fuor di dubbio ricercata nella straordinaria precocità con la quale, in virtù della loro spiccata sensibilità libertaria, percepirono e denunciarono senza esitazioni i pericoli d’involuzione autoritaria cui va soggetta una rivoluzione che si faccia Stato. Infatti se da un lato gli anarchici condivisero, al pari delle altre componenti del movimento operaio italiano ed europeo, lo spontaneo moto d’entusiasmo per l’evento grandioso prodottosi, in piena tormenta di guerra, nel Paese di Bakunin e Kropotkin, prima con il rovesciamento dell’autocrazia zarista e quindi con la conquista del potere da parte delle frazioni estreme del proletariato rivoluzionario, dall’altro prima e più di ogni altro manifestarono aperte riserve sull’indirizzo accentratore impresso dai bolscevichi alla rivoluzione e sulla loro gestione manifestamente autoritaria del potere.

Eppure la notizia dello scoppio della rivoluzione di Febbraio aveva ingenerato tra i libertari italiani una corrente d’interesse e d’entusiasmo tale da spezzare le rigide catene dell’opprimente censura di guerra, per esprimersi in giornali improvvisati quale per l’appunto il numero unico “Eppur si muove!” che, a cura d’un non meglio specificato circolo operaio, appare a Torino nell’aprile 1917 con ambedue le pagine dell’unico foglio di cui si compone occupate dall’articolo senza firma – ma con certezza attribuibile a Luigi Fabbri – La Rivoluzione in Russia.

«Finalmente», si leggeva in esso,

un fascio di luce viva e sfolgorante ha rotto all’improvviso la fitta e buia nebbia di dolore e di sangue, di menzogna e di morte, che da ormai tre anni avvolge e uccide l’umanità. È la luce d’un sublime incendio, che fa tremare sui troni tutti i potenti e infonde il desiderio della rivolta in tutti gli oppressi; un fuoco di purificazione e di liberazione, che illumina le menti assetate di verità e riscalda i cuori anelanti giustizia. È la rivoluzione! La rivoluzione è scoppiata e ha trionfato in Russia. Ecco la

grande notizia, che ci ha inebriati di gioia e ha rianimate tutte le nostre speranze. Esultiamo, o amici, o compagni, o lavoratori. […] La rivoluzione ha rovesciato il colosso dello zarismo. Più di cento milioni di uomini hanno infranto le catene di un’obbrobriosa tirannide; le prigioni sono state aperte, la Siberia ha restituito le sue vittime […]1 .

L’immediato e spontaneo moto d’entusiasmo e la trepidante attesa per gli ulteriori sviluppi, le speranze e i timori che agitano i militanti anarchici nei giorni e nelle settimane immediatamente successivi all’arrivo delle prime, incomplete, confuse e talvolta contraddittorie notizie relative agli avvenimenti di Russia, oltre che nel numero unico che ospita l’articolo di Fabbri, trovano modo di esprimersi nelle pochissime pubblicazioni periodiche anarchiche superstiti, come “L’Avvenire Anarchico” di Pisa, che ospita un articolo di Virgilio Mazzoni dal suggestivo titolo Aurore boreali nel cielo di Russia. In esso l’immagine della rivoluzione russa a guisa di astro che sorge ad oriente a fugare le tenebre dell’oppressione, o della sollevazione rivoluzionaria simile a lampo che squarcia il manto plumbeo della guerra, preannuncia un elemento comune, un tema che ricorrerà costante in tutti i giornali anarchici che riporteranno notizie e commenti relativi alla sollevazione di Febbraio2 .

Non sono soltanto i non molti organi di stampa anarchici che si pubblicano in Italia nel corso della prima metà del 1917 a far registrare una sostanziale omogeneità di vedute nelle analisi e nelle valutazioni della situazione russa. Ampi elementi di convergenza è dato verificare anche in due tra i maggiori giornali anarchici in lingua italiana che si pubblicano all’estero al momento del prodursi della rivoluzione di Febbraio: “Cronaca Sovversiva”, diretto da Luigi Galleani, che si stampa a Lynn nel Massachusetts e “Il Risveglio comunista anarchico”, comunemente inteso come “Il Risveglio”, uno dei maggiori organi del movimento anarchico internazionale, edito a Ginevra dal 1900 in edizione bilingue italiana e francese sotto la direzione di Luigi Bertoni. Galeani, in un articolo dal significativo titolo Baleni precursori, mentre riconosce l’indubbio fatto positivo rappresentato da una «rivoluzione politica che caccia in bando i Romanoff […], cancella le sanguinose vergogne della Siberia orrenda […], torna in patria […] la pallida e tenace legione di proscritti e di esuli che della libertà non disperò», paventa che le forze moderate tentino di raffreddare l’incendio rivoluzionario in una repubblica borghese-parlamentare fautrice della continuazione ad oltranza della guerra a fianco delle potenze occidentali3. “Il Risveglio”, dopo aver salutato nella rivoluzione di Febbraio la «fiamma di distruzione che è nello stesso tempo una fiamma altrice [che] si è accesa anche in mezzo al cupo tenebrore della guerra» a dare il segnale e l’impulso «delle tante rivo-

1 L’attribuzione a Fabbri è stata avanzata come probabile da Pier Carlo Masini, nel suo studio su Gli anarchici italiani e la rivoluzione russa, “Rivista storica del socialismo”, a. V, n. 15-16, gennaio-agosto 1962, p. 136 e, sempre in forma ipotetica, da Leonardo Bettini nella sua Bibliografia dell’anarchismo. Volume I. Tomo 1. Periodici e numeri unici anarchici in lingua italiana pubblicati in Italia (1872-1971), CP Editrice, Firenze 1972, p. 274. Riteniamo che la paternità dell’articolo sia fuor di dubbio da attribuire a Fabbri, stante le evidenti analogie, e financo le ripetute coincidenze nell’uso delle medesime espressioni verbali, riscontrabili tra l’articolo in questione e le prime pagine del saggio di Luigi Fabbri, Dittatura e Rivoluzione, Libreria Editrice Internazionale Giovanni Bitelli, Ancona 1921. 2 Virgilio Mazzoni, Aurore boreali nel cielo di Russia, “L’Avvenire Anarchico”, 23 marzo 1917. 3 Mariuzza [Luigi Galleani], Baleni precursori, “Cronaca Sovversiva”, 24 marzo 1917.

luzioni che fra poco dovranno scoppiare per salvare il mondo da una completa rovina»4 , manifesta la convinzione che il moto rivoluzionario russo potrà sconfiggere i suoi tanti nemici interni ed esterni solo a condizione che «alla Russia immensa, generosa ed audace in rivolta» vada la «fraterna e solidale partecipazione alla battaglia contro il nemico comune» del proletariato degli altri paesi5 . Con il filtrare di ulteriori, seppur parziali e confuse informazioni sugli avvenimenti russi che segnalano, a lato dell’operato del governo provvisorio, il costituirsi e quindi il consolidarsi d’un contropotere rivoluzionario imperniato sul Soviet degli operai e dei contadini di Pietrogrado, l’iniziale speranza degli anarchici nelle potenzialità del moto russo tende a trasformarsi nella fiduciosa convinzione che in conseguenza dell’alleanza rivoluzionaria venutasi a determinare tra proletariato industriale, contadini e soldati, e in virtù dell’energia e delle capacità dimostrate dalle correnti estreme della rivoluzione, depositarie e interpreti della gloriosa tradizione del sovversivismo russo, la dinamica degli eventi possa determinare il trapasso da trasformazione politico-istituzionale in rivoluzione sociale.

Mancano invero al momento notizie precise sugli anarchici russi e sul ruolo da essi svolto nei giorni cruciali dell’abbattimento dell’autocrazia zarista e nelle settimane immediatamente successive. Tuttavia troppo luminosa è la tradizione eroica dell’anarchismo russo, troppo grande il tributo da esso offerto alla lotta contro la sanguinaria tirannide zarista, perché non abbia necessariamente a ritenersi dai compagni italiani che gli anarchici russi si trovino in prima fila a sostenere la «Comune rivoluzionaria» di Pietrogrado. E tutto ciò in una situazione in cui non solo la frammentarietà, la sporadicità e financo la contraddittorietà delle informazioni sugli avvenimenti russi che giungono in Italia in una situazione dominata dall’inasprirsi della censura di guerra e dal permanere di gravi difficoltà nei collegamenti internazionali, rende problematica la conoscenza dei reali rapporti che intercorrono tra le diverse componenti che operano sullo scenario russo tra i due eventi rivoluzionari di Febbraio e di Ottobre, ma, sulla scorta di quanto appare sulla stampa anarchica italiana nel corso dell’estate del 1917, si può addirittura ipotizzare che manchi una cognizione precisa delle differenze esistenti in Russia tra anarchici e «massimalisti», come alternativamente a «leninisti» vengono definiti i bolscevichi. Così “L’Avvenire Anarchico” accomuna «leninisti» e anarchici nella qualifica di «massimalisti», cioè di coloro i quali vogliono spingere la rivoluzione fino alle estreme conseguenze con l’abolizione immediata del sistema capitalista e la proclamazione della Comune libertaria6, mentre Galleani, commentando dalle colonne di “Cronaca Sovversiva” gli avvenimenti di luglio, associa «maximalisti», cioè bolscevichi, e anarchici nello schieramento di forze rivoluzionarie fatte oggetto dal governo provvisorio di quella reazione che si è indirizzata «contro Lenin, contro i massimalisti, contro gli anarchici»7 .

Si comprende pertanto come nell’ultimo scorcio del 1917 – allorché pervengono in Occidente le prime ancora confuse e approssimative notizie su quanto si è prodotto a Pietrogrado con la presa del Palazzo d’Inverno da parte di Lenin e dei suoi – la reazione degli anarchici sia sostanzialmente positiva, quando non incondizionatamente entusiastica, sia pure in una situazione in cui non è dato ancora conoscere, se non in maniera alquanto ap-

4 La Rivoluzione russa, “Il Risveglio”, 24 marzo 1917. 5 Ieri, oggi, domani, ibid., 9 giugno 1917. 6 Gusmano Mariani, Massimalisti!, “L’Avvenire anarchico”, 27 luglio 1917. 7 “Cronaca Libertaria”, 23 agosto 1917.

prossimativa, le modalità attraverso le quali si è prodotta l’ascesa dei bolscevichi al potere, e soprattutto senza che sia assolutamente chiaro che tipo di “potere” sia stato instaurato in Russia in sostituzione del governo Kerenskij. Ma, per quanto istintivamente forti possano essere diffidenza e avversione anarchiche verso qualsiasi forma d’autorità costituita, il Lenin giunto al potere è pur sempre colui che, esaltando il momento volontaristico della lotta politica e teorizzando il “salto della storia” da un regime ancora semifeudale alla rivoluzione sociale e così contravvenendo ai logori luoghi comuni del determinismo positivista imperante nella Seconda Internazionale, si è imposto come il più energico, deciso e capace capo rivoluzionario; è colui il quale – come si esprime “La Favilla” alla vigilia dell’assalto al Palazzo d’Inverno – «vuole l’immediata assunzione degli organismi della vita sociale da parte del proletariato, l’immediata soppressione della società borghese, l’immediata attuazione dell’assetto socialistico, e soprattutto l’immediata cessazione della guerra»8 .

Si è per Lenin nella misura in cui egli, secondo la pertinente notazione di Gino Cerrito, rappresenta la Rivoluzione stessa e in una situazione nella quale, data la scarsità e la frammentarietà delle notizie sugli avvenimenti di Russia, a ciascuno è dato quella rivoluzione raffigurarsela a suo modo9. Si guarda con simpatia e financo con ammirazione ai bolscevichi, tanto più che – come si è visto – non sono del tutto chiare le discriminanti politiche e ideologiche tra essi e le altre frazioni dello schieramento rivoluzionario, anarchici inclusi. Sul verificarsi d’un fenomeno siffatto vi è la lucida testimonianza che Luigi Fabbri renderà due anni dopo, notando che fu per l’appunto al momento della rivoluzione d’Ottobre che

si sentì per la prima volta parlare dei bolscevichi e della dittatura rivoluzionaria, che prima si conoscevano, come fatto e come teoria, solo dai cultori di storia sociale […]. E poiché erano i bolscevichi che apparivano i più audaci e i più fortunati condottieri della rivoluzione, e la rivoluzione stessa avveniva sotto la forma e col nome di “dittatura del proletariato”, la classe operaia di tutti i paesi simpatizzò coi bolscevichi e con la formula dittatoriale della rivoluzione10 .

Analogamente Galleani:

Il linguaggio che parlavano era nuovo, inaspettata l’audacia, trionfale la rivincita: il nome esotico, soffuso di mistero, corrusco di ricordi impetuosi soggiogava tutte le simpatie: bolsheviki. Nessuno sapeva di preciso cosa volesse significare, ma perché nessuno poteva sgiungerlo dalle prime vittorie dell’insurrezione che aveva dall’anarchico al socialista coscritte le più fervide energie d’avanguardia, tutti furono bolsheviki11 .

Né diversamente Armando Borghi:

8 S. S., Il trionfo di Lenine, “La Favilla”, 1° novembre 1917. 9 Gino Cerrito, Il ruolo dell’organizzazione anarchica, RL, Catania 1973, p. 52. 10 Luigi Fabbri, Dittatura e Rivoluzione, cit., pp. X-XI. 11 Luigi Galleani, Heute geth eine neue Epoche der Weltgeschichte aus, “Cronaca Sovversiva”, marzo 1919.

Il moto di ottobre si chiamò tuttavia bolscevico e noi tutti ci svegliammo un giorno bolscevichi. Era un’accusa borghese, quindi non faceva né ripugnanza né paura. Noi però non eravamo bolscevichi, nel senso vero, politico, programmatico della parola, secondo cioè il significato particolare di partito. Questa parola nel senso borghese voleva dire malfattori, apologisti della rivoluzione, e noi l’accettammo12 .

Tutto ciò non risulta tuttavia d’impedimento che nelle settimane immediatamente successive alla conquista del Palazzo d’Inverno, da settori tutt’altro che marginali dell’anarchismo italiano – singole personalità, gruppi, giornali – vengano espresse riserve puntuali e considerazioni critiche in ordine non soltanto alla dittatura del proletariato – questione che s’imporrà all’attenzione del movimento nei mesi successivi, quando si avranno notizie più precise in merito alla gestione leniniana del governo – ma al fatto stesso dell’assunzione del potere in quanto tale e della sua istituzionalizzazione in governo dello Stato da parte d’una forza rivoluzionaria.

In tale contesto un ruolo d’assoluto rilievo occupa Fabbri, autore, sin dai primi giorni del 1918, dalle colonne de “L’Avvenire Anarchico”, d’una presa di posizione nei confronti del nuovo governo bolscevico dei Commissari del popolo tanto equilibrata nella cautela con cui si evita di esprimere giudizi definitivi su situazioni che si è consapevoli di conoscere per mezzo di fonti giornalistiche tutte da verificare, quanto rigorosa nella riaffermazione dei postulati ideali che costituiscono la ragione stessa d’esistenza del movimento anarchico internazionale. Così, se da un lato Fabbri mette in guardia dalla «vergognosa malafede», «palesemente ingiusta e maligna», con cui la canea giornalistica al servizio degli interessi reazionari tende a presentare Lenin e Trockij alla stregua di agenti del governo tedesco, lamentando al contempo la grave carenza di notizie attendibili su aspetti importantissimi della situazione russa, a cominciare dallo sviluppo assunto dal moto rivoluzionario fuori Pietrogrado negli altri centri urbani e soprattutto nelle campagne; dall’altro il pensatore anarchico, dopo aver operato un generico ma pur sempre significativo accenno al fatto che, a detta di alcuni, «gli elementi anarchici della capitale russa sono di molto impaccio ai massimalisti», cioè ai bolscevichi, avanza nei confronti di questi ultimi riserve e osservazioni critiche ben precise.

«Noi», scrive Fabbri,

ci guardiamo bene dall’emettere un giudizio qualsiasi sulle loro intenzioni, che crediamo oneste. Ma constatiamo ancora una volta la contraddizione insanabile fra i principi ideali del socialismo e la conquista del potere politico. Allo stesso modo, constatiamo ancora una volta, malgrado che il governo di Pietrogrado tenti alcune delle realizzazioni più audaci del socialismo, la contraddizione fra i principi di libertà (senza di cui il socialismo sarebbe un non senso) e le necessità pratiche di un governo, anche rivoluzionario, per mantenersi al potere. Se le notizie dei giornali non sono completa menzogna, si ripete a Pietrogrado l’errore della Comune di Parigi contro la libertà di stampa, e l’errore della prima rivoluzione francese, della persecuzione dei rivoluzionari non del tutto d’accordo col governo […]13 .

12 Una conferenza sulla Russia dei Soviet, “Umanità Nova”, 25 ottobre 1921. 13 Quand-même [Luigi Fabbri], I fatti di Russia, “L’Avvenire Anarchico”, 25 gennaio 1918.

La straordinaria importanza dell’articolo di Fabbri sta nel fatto che in esso sono enunciati con grande chiarezza, ad appena alcune settimane di distanza dall’avvento di Lenin al potere, due capisaldi di quella che sarà la critica avanzata dal movimento anarchico italiano e internazionale nei confronti dell’esperimento bolscevico, man mano che esso avrà modo di svilupparsi e venire meglio conosciuto: l’inscindibilità del binomio libertà politica-rivoluzione sociale e l’ineluttabilità dello scivolamento su posizioni autoritarie e di negazione delle ragioni stesse che l’hanno determinata e ne hanno reso possibile l’esito vittorioso, da parte d’una rivoluzione che si faccia governo e, come nel caso della Russia, Stato.

L’istintiva avversione a qualsiasi autorità costituita, sia pure essa sedicente espressione del proletariato rivoluzionario, che ispira l’analisi di Fabbri, è parimenti alla base delle prime reazioni de “Il Risveglio” alla conquista bolscevica del potere. Un articolo che appare sul numero del 19 gennaio 1918 – senza firma ma che tutto lascia intendere essere opera dello stesso direttore Bertoni – esprime con chiarezza e decisione forse ancora maggiori di quanto non faccia il contemporaneo articolo di Fabbri su “L’Avvenire Anarchico”, alcuni irrinunciabili punti fermi del modo di porsi degli anarchici a fronte di qualsiasi evento rivoluzionario:

Anarchici, noi diventiamo immediatamente avversari di chiunque giunga al potere. In periodo di rivoluzione possiamo appoggiare eccezionalmente un governo provvisorio contro un tentativo di restaurazione del vecchio regime, ma quanto ci viene imposto da ineluttabili necessità del momento, non può implicare rinuncia da parte nostra al principio d’eliminazione di ogni autorità […]. Conquista del potere politico e dittatura del proletariato sono formule da noi sempre combattute, come quelle che preconizzano gli stessi mezzi della tirannia e del privilegio per realizzare la libertà e l’uguaglianza14 .

Comprensibile che all’assunzione di un ancora più vigile atteggiamento critico nei confronti di Lenin e dei suoi, contribuisca l’arrivo in Occidente della notizia che, a seguito delle crescenti manifestazioni d’insofferenza degli anarchici russi verso la gestione centralizzata, burocratica e autoritaria del potere messa in atto dal governo bolscevico, quest’ultimo, rotto ogni indugio, ha dato l’avvio nella primavera del 1918 alla repressione decisa degli anarchici, come d’ogni altro gruppo d’opposizione, procedendo all’arresto di numerosi esponenti libertari di Pietrogrado, Mosca ed altri centri minori, nonché sopprimendo alcuni dei maggiori organi di stampa del movimento.

«Vi è certo una ragione di stato», è il commento de “Il Risveglio”,

che autorizza e giustifica la persecuzione del governo russo contro gli anarchici: la semplice ragione di conservazione propria; e noi opiniamo essere legittima la violenza adoperata da esso contro gli anarchici per salvaguardare la propria stabilità. Quel che non potremo mai ammettere è che il governo russo rappresenti la rivoluzione russa. Un governo […] non è mai rivoluzionario. Un governo rivoluzionario è un non-senso, una contraddizione in termini. […] Il bolscevismo, rappresentato al potere da Lenin e compagni, si è trasformato da forza rivoluzionaria, qual era nell’opposizione ai governi Miljukov e Kerenskij, in forza di conservazione appena al governo15 .

14 [Luigi Bertoni], Una discussione di attualità, “Il Risveglio”, 19 gennaio 1918. 15 Contro gli anarchici, ibid., 22 giugno 1918.

Non meno deciso “L’Avvenire Anarchico” nel solidarizzare con gli anarchici russi, fatti oggetto d’una repressione violentissima per essersi schierati «contro l’ormai insopportabile giogo dei bolsceviki». È, a giudizio degli anarchici pisani, «l’antico dissidio fra la libertà e l’autorità che riprende con maggior furia il sopravvento […]». Spinto dalla logica inesorabile del mantenimento del potere a tutti i costi, il governo bolscevico non potrà che percorrere fino in fondo la strada della repressione d’ogni opposizione popolare e libertaria ai suoi metodi. Ma un regime – conclude il settimanale – «che per reggersi deve inaugurare l’era dei massacri, è condannato a perire»16 .

Per gli anarchici pisani, che al pari degli altri hanno in precedenza simpatizzato per Lenin, la delusione è cocente. Il dittatore, come viene ora esplicitamente definito il capo del governo russo, ha dimostrato ancora una volta che «il potere guasta l’uomo, qualunque uomo. Anarchici, noi non possiamo accontentarci di combattere e rovesciare un qualunque sistema d’assoggettamento per poi erigere sulle sue rovine un altro sistema forse peggiore. Come ci ribellammo a quello, è logico che ci ribelliamo a questo. La nostra solidarietà e simpatia va oggi tutta agli anarchici russi, non più all’Ul’janov»17 .

Stando così le cose, come sarà possibile che di lì ad alcune settimane la decisa condanna del governo dei Commissari del popolo ceda il passo a un atteggiamento che, mentre mette decisamente la sordina alle punte più aspre della critica, manifesta simpatia e solidarietà per la Russia rivoluzionaria? Non basta richiamare la distinzione, sempre presente negli anarchici italiani, tra il momentaneo arresto e cristallizzarsi della rivoluzione nelle forme del governo bolscevico e la Rivoluzione valore assoluto, evento di proporzioni grandiose, svolta epocale nella storia dell’umanità come solo può esserlo una rivoluzione che per la prima volta, dopo l’esempio glorioso ma isolato della Comune di Parigi, ha fatto concretamente intravedere la possibilità del passaggio dalla fase puramente “politica”, comune a tutte le altre che l’hanno preceduta, alla dimensione “sociale” vagheggiata dagli anarchici. Un’altra considerazione s’impone: se quella che ha preso l’avvio a Pietrogrado nel marzo 1917 è – come afferma “L’Avvenire Anarchico” – la «Rivoluzione Sociale Universale»18 , allora è comprensibile che l’evento rivoluzionario così inteso e il popolo che ha avuto il merito di farsene l’iniziatore vengano da parte anarchica fatti oggetto di ammirazione sì grande da sconfinare in toni di quasi mistica esaltazione, come avviene, per fare un solo esempio, nelle pagine de “Il Martello” di New York19 .

Ma come esaltare il popolo rivoluzionario, l’opera gigantesca da esso intrapresa, la sua eroica resistenza nel difendere, a prezzo di sacrifici immani, la rivoluzione minacciata dai suoi tanti nemici, prescindendo dal dato di fatto rappresentato dalla realtà “statale” della Repubblica Socialista Federale Sovietica Russa e del governo che la regge in un difficilissimo frangente come quello dell’epoca? Come difendere incondizionatamente la rivoluzione in lotta per la sua stessa sopravvivenza, senza solidarizzare apertamente con l’entità statale – e il relativo governo – in cui essa si è incarnata? Più d’una volta negli anarchici italiani il tentativo di trovare una via d’uscita da questa contraddizione finisce con l’assumere i toni paradossali di un’assurda negazione volontaristica dell’esistente.

16 Uno della vecchia guardia, Gli anarchici di Russia alla riscossa, “L’Avvenire anarchico”, 24 maggio 1918. 17 Virgilio Mazzoni, Il discorso del dittatore, ibid., 28 giugno 1918. 18 Il solito [Renato Siglich], La Rivoluzione Sociale è l’ordine, ibid., 7 maggio 1919. 19 “La Guardia Rossa”, supplemento a “Il Martello” del 1° maggio 1919.

È il caso, per fare solo qualche esempio, dei redattori de “L’Avvenire Anarchico” che nel marzo 1918 inneggiano alla «Comune di Pietrogrado»20; in ciò imitati dai compagni di “Volontà” che nel giugno 1919 per indicare la Repubblica russa minacciata dall’intervento dell’Intesa, l’appellano «la grande Comune di tutte le città e i villaggi di Russia»21; per finire con “Il Libertario” di Livorno che nel marzo 1920 trova motivo di parziale conforto alla sconfitta della rivoluzione in Germania, in Ungheria e in tutta l’Europa centro-orientale, nella constatazione che «una Comune è in piedi, viva e gloriosa, salda ed invitta: la Comune Russa»22 . Dietro l’artificio verbale di definire «Comune rivoluzionaria» lo Stato russo, si cela tutto il dramma di chi – come gli anarchici italiani – si trova nella difficilissima situazione di non poter operare una netta distinzione tra la rivoluzione in marcia e l’assetto statale in cui essa, provvisoriamente per quanto si voglia, è incardinata. Un assetto che, se per i libertari italiani non è l’anarchia realizzata, costituisce però un momento importantissimo di superamento deciso dell’illusione fallace della democrazia rappresentativa e un esempio rilevantissimo d’esercizio diretto del potere, per il mezzo dei soviet, qualitativamente diverso rispetto ad ogni altra precedente esperienza. Non solo, ma la speranza è che nella Russia rivoluzionaria imperniata sul sistema dei soviet esistano tutte le premesse perché, superata la fase critica della lotta senza quartiere contro la reazione interna e internazionale, la situazione si evolva nel senso d’un progressivo superamento dell’istanza statale e di un’affermazione integrale dell’autonomismo libertario.

Né si può non tenere conto della forza di suggestione esercitata in molti ambienti anarchici dal mito di Lenin. Questi, a partire dal 1919, è per gli anarchici italiani, al pari che per i socialisti, il condottiero della Rivoluzione, l’artefice del passaggio di essa dalla fase politica a quella sociale; è il simbolo della Rivoluzione, se non la Rivoluzione stessa, che a sua volta tende a caricarsi di valenze salvifiche, quali si manifestano nelle immagini della «marea rossa» che «corre, precipita, si dilaga, né più si contiene»23, oppure nella raffigurazione della Russia nuova che, sconfitti i suoi nemici interni ed esterni, «non si ferma più» e «invaderà il mondo»24 .

In un contesto in cui il radicalizzarsi – in Italia come altrove – delle opinioni sulla Russia rivoluzionaria in due fronti contrapposti d’entusiastici sostenitori e avversari irriducibili, “brucia” irrimediabilmente qualsiasi altra posizione, comprese quelle dei critici di “sinistra” del bolscevismo, non deve destare meraviglia che da parte degli anarchici italiani si tenda a confinare in un recesso della memoria, se non a rimuoverle del tutto, le notizie a suo tempo apparse in alcuni organi di stampa del movimento in ordine alla repressione antilibertaria e alle sempre più spinte tendenze accentrartici ed autoritarie manifestate dal governo bolscevico. Né può sorprendere la tendenza prevalente della stampa anarchica prima ad aderire, all’insegna del «viva Lenine» – in una fase in cui, come è stato opportunamente ricordato, il leader carismatico Errico Malatesta veniva invocato e acclamato

20 Virgilio Mazzoni, Dal Congresso di Londra alla difesa di Pietrogrado, “L’Avvenire Anarchico”, 1° marzo 1918. 21 Nota redazionale a Robert Mirror, Il Bolscevismo e la Rivoluzione, “Volontà”, 16 giugno 1919. 22 “Il Libertario”, 25 marzo 1920. 23 Pompeo Barbieri, Marea Rossa, ibid., 6 marzo 1919. 24 La Russia e Noi, “La Frusta”, 31 gennaio 1920.

come «il Lenin d’Italia»25 – alla parola d’ordine del «facciamo come in Russia»26, quindi ad invitare il proletariato rivoluzionario a mobilitarsi e a battersi in difesa del Paese dei soviet minacciato, a partire dalla metà del 1918, dalla reazione bianca sostenuta dall’intervento dell’Intesa.

Premessa e fondamento ideale di tale battaglia è non solo che la rivoluzione russa rappresenti un valore assoluto, una svolta epocale nella storia della lotta degli oppressi di tutto il mondo per il loro riscatto, ma che il Paese della rivoluzione “sociale” vittoriosa, indipendentemente dagli indirizzi di governo impressi dai bolscevichi, costituisca un esempio formidabile, un punto di riferimento, una leva per il rilancio dell’azione rivoluzionaria in Europa, un «faro luminoso», come si esprime Malatesta27, che la reazione internazionale ha ottime ragioni di voler spegnere a tutti i costi, soffocando in esso la speranza dei lavoratori di tutto il mondo.

Occorre difendere a tutti i costi la «Russia rossa santa». La Comune rivoluzionaria di Pietrogrado è, come affermano i redattori de “L’Avvenire Anarchico”, «la Patria del mondo operaio»28. La nostra «patria in pericolo» – gli fa eco “Volontà” – che come tale bisogna difendere e salvare a costo di qualunque sacrificio29, giacché – siccome argomenta “Il Libertario” – «la causa della Russia rivoluzionaria è la nostra causa. Chi è contro la Russia è contro di noi»30 .

Da qui non solo l’adesione degli anarchici allo sciopero internazionale di protesta del luglio 1919 a sostegno delle repubbliche sovietiche di Russia e Ungheria, ma soprattutto l’attiva presenza degli anarchici, a fianco dei socialisti, nelle manifestazioni pro Russia che negli ultimi mesi del 1919 si svolgono in numerose località italiane, con un impegno particolare nella promozione d’iniziative di mobilitazione e di lotta in quelle località di più radicata presenza anarchica, come Genova e La Spezia, dai cui porti si teme possano partire forniture militari per le armate “bianche”. Attenuatasi tra la fine del 1919 e l’inizio dell’anno successivo, contestualmente all’affievolirsi della minaccia portata alla rivoluzione dalle armate “bianche”, la mobilitazione pro Russia riprende forza e vigore al momento dello scoppio della guerra tra la Russia e quella Polonia, militarmente foraggiata dall’Intesa e dalla Francia in particolare, che i libertari italiani considerano strumento dell’aggressione dell’imperialismo internazionale contro il Paese della rivoluzione. La mobilitazione cesserà solo quando l’Armata Rossa avrà definitivamente allontanato, nell’autunno del 1920, la minaccia rappresentata dall’esercito polacco, mentre le superstiti guarnigioni “bianche” operanti nel Sud della Russia vengono definitivamente sconfitte ed annientate.

25 Giorgio Petracchi, L’immagine della rivoluzione sovietica in Italia, 1917-1920, in Nemici per la pelle. Sogno americano e mito sovietico nell’Italia contemporanea, a cura di Pier Paolo D’Attorre, FrancoAngeli, Milano 1991, p. 471. 26 Sull’incidenza del “fattore Russia” nel movimento anarchico, si veda Luigi Di Lembo, Guerra di classe e lotta umana. L’anarchismo in Italia dal biennio rosso alla guerra di Spagna (1919-1939), Edizioni Biblioteca Franco Serantini, Pisa 2001, pp. 55-57. 27 Errico Malatesta, La questione del riconoscimento ufficiale del Governo russo, “Umanità Nova”, 2 settembre 1920. 28 La Comune proletaria di Pietrogrado pericola, “L’Avvenire Anarchico”, 14 marzo 1919. 29 La Rivoluzione in pericolo, “Volontà”, 1° novembre 1919. 30 El rebelde, Nel II anniversario della proclamazione dei Soviet in Russia, “Il Libertario”, 6 novembre 1919.

La guerra civile è finita e il pericolo della controrivoluzione armata ha cessato d’incombere sulla Russia rivoluzionaria. Gli anarchici possono a questo punto riassumere in pieno la loro libertà di critica. «Come rivoluzionari», afferma “Umanità Nova”,

noi ci rallegriamo delle vittorie della Russia contro i suoi nemici […]. Solidali con la Rivoluzione russa […], rimaniamo tali qualunque indirizzo la rivoluzione abbia, non importa se lontana più o meno da ciò che noi crediamo il meglio. Questo senso di doverosa solidarietà, superiore a ogni spirito di parte, ha fatto tacere ogni nostro dissenso, ogni critica o riserva nei vari momenti in cui la Rivoluzione era o ci appariva in pericolo. Contro la calunnia borghese, contro gli attentati violenti degli Stati capitalisti, noi eravamo tra i difensori della Rivoluzione e dei bolscevichi. Ma tutto ciò non annullava i nostri dissensi, le nostre critiche e le nostre riserve. Staremmo per dire che queste erano ragioni di più per desiderare la vittoria della Repubblica russa contro i suoi nemici; perché mentre la sua sconfitta ci avrebbe imposto un riserbo necessario, la vittoria rivoluzionaria soltanto poteva sciogliercene, e noi tornare moralmente liberi di dire senza peli sulla lingua il nostro parere iconoclasta e spregiudicato. Questa libertà di critica riacquistiamo oggi tanto più completamente quanto più completa è la vittoria del Governo rivoluzionario russo31 .

Invero autonomia di pensiero e libertà di critica mai avevano cessato d’essere tra i più avveduti e culturalmente attrezzati militanti anarchici. Valga per tutti l’esempio di Fabbri, che già nel 1919, a fronte del fenomeno della diffusione, in settori tutt’altro che marginali del movimento anarchico italiano, d’un atteggiamento sostanzialmente favorevole a quella dittatura del proletariato assunta a sinonimo e garanzia di difesa della rivoluzione vittoriosa, non aveva esitato a condurre sull’argomento un’energica azione di chiarificazione e riaffermazione decisa di taluni postulati irrinunciabili dell’anarchismo. Lo aveva fatto non solo ricorrendo all’autorevolezza e al prestigio indiscusso di Malatesta, perché il grande esule, in una lettera a Fabbri pubblicata su “Volontà” del 16 agosto 1919, sgombrasse il campo dai pericoli di commistione capaci di snaturare il movimento anarchico, ma anche intervenendo egli stesso per il tramite di tutta una serie d’articoli pubblicati sul medesimo settimanale dall’autunno del 1919 alla primavera dell’anno successivo.

Fabbri dimostra come la dittatura del proletariato, nel suo storico prodursi in Russia, lungi dall’essere sinonimo d’azione diretta rivoluzionaria e di rivolta vittoriosa di minoranze audaci, tende a risolversi in un nuovo potere statale, anzi nel potere statale nella sua espressione più accentratrice e incontrollata: nella migliore delle ipotesi, dittatura d’una minoranza di lavoratori sulla maggioranza di altri lavoratori; nella realtà effettuale dello Stato sovietico, la dittatura d’un partito se non addirittura del ristretto nucleo dirigente del partito. Ma Fabbri non si limita a una brillante dissertazione dottrinale sulla questione della dittatura del proletariato. Il tema è dibattuto anche, se non soprattutto, con riferimento specifico alla Russia di Lenin, a una realtà cioè di cui Fabbri, con lucidità ed acume critico straordinari, percepisce i sintomi premonitori dei processi degenerativi insiti nella pratica bolscevica della dittatura del proletariato: l’esasperato dirigismo economico che assolutizzando il modello costituito dalla grande impresa industriale ignora le potenzialità produttive di altre e diverse forme d’organizzazione del lavoro e mortifica l’autonomia creatrice dei produttori liberamente associati; la conseguente sottomissione della classe operaia alla «disciplina di caserma» d’un comunismo di Stato assommante in sé «le due

tirannidi attuali del governo e del proprietario»; lo svuotamento progressivo dei soviet – iniziali protagonisti della rivoluzione ed interpreti autentici della sua anima libertaria – e la loro riduzione a strumenti inerti d’un potere di cui il governo dei Commissari del popolo e del partito che lo esprime sono gli esclusivi detentori32 .

Gli articoli di Fabbri saranno raccolti dal loro autore nel volume Dittatura e Rivoluzione, opera ultimata nell’agosto 1920 ma pubblicata solo a metà dell’anno successivo. Qualche settimana prima si era prodotto l’avvenimento che ben si presta ad essere assunto come termine ad quem di questa nostra trattazione: la sollevazione di Kronstadt del marzo 1921, repressa nel sangue dall’Armata Rossa di Trockij e ben presto assurta a simbolo, nel movimento anarchico italiano ed europeo, dell’estremo quanto disperato tentativo delle forze libertarie presenti nella rivoluzione russa per rovesciare la tendenza accentratrice ed autoritaria impressa ad essa dai bolscevichi, il cui furore persecutorio nei confronti di noti militanti anarchici arrestati e deportati nei lager, testimonierà di lì a poco della degenerazione estrema del sogno di libertà originatosi dall’Ottobre rosso33 .

Con non minore entusiasmo degli anarchici, la notizia del moto rivoluzionario che ha prodotto il rovesciamento dell’autocrazia zarista viene accolta dai repubblicani italiani. L’organo ufficiale del PRI, il settimanale “L’Iniziativa”, nell’annunciare che La sovranità popolare trionfa in Russia34, pubblica infatti nel numero del 24 marzo 1917 la mozione votata dalla Commissione esecutiva del partito, che «esulta per il trionfo della rivoluzione con la quale il popolo russo prende possesso di sé medesimo e dei propri destini accentuando il carattere democratico e rivoluzionario della presente guerra contro la criminosa oligarchia tartaro-tedesca minacciante l’Europa; invia al popolo russo i più cordiali auguri, le più sentite felicitazioni»35 .

Nella convinzione, o forse sarebbe meglio dire nella speranza che l’evento rivoluzionario accentui «il carattere democratico e rivoluzionario della presente guerra», ben si rias-

32 Su Fabbri si veda Santi Fedele, Luigi Fabbri. Un libertario contro il bolscevismo e il fascismo, Edizioni Biblioteca Franco Serantini, Pisa 2006. 33 Per il periodo successivo si veda Santi Fedele, Una breve illusione. Gli anarchici italiani e la Russia sovietica, 1917-1939, FrancoAngeli, Milano 1996. 34 La sovranità popolare trionfa in Russia, “L’Iniziativa”, 24 marzo 1917. 35 Per la rivoluzione russa, ivi. In termini più “pacati” ma sostanzialmente analoghi si esprime il mazziniano Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani, Ettore Ferrari, nella riunione del Consiglio dell’Ordine del marzo 1917: «Prima che si inizi la discussione sugli argomenti sui quali la Giunta richiama più specialmente il vostro esame, io sono profondamente convinto di interpretare il vostro pensiero invitandovi a mandare un saluto, un augurio e un plauso alla Russia che, col suo magnifico rivolgimento, ha spezzato i vincoli che le impedivano di cooperare, con le Potenze dell’Intesa, alla vittoria per la civiltà, pel diritto, per la giustizia, si incammina con passo franco e sicuro sulle vie delle libertà democratiche e suggella i concetti della sua rivoluzione proclamando la indipendenza della Polonia, aspirazione antica e non mai dimenticata di Giuseppe Mazzini e dei maggiori interpreti in ogni tempo del genio e del pensiero del nostro Ordine». A firma dello stesso Ettore Ferrari viene inviato un telegramma al Presidente del governo provvisorio di Pietrogrado, col quale il «Grande Oriente d’Italia esprime Vostra Eccellenza vivo compiacimento Massoneria Italiana pel grandioso rinascimento politico e sociale del Popolo Russo, augurando che l’esaltazione dello spirito nazionale nella luce delle libertà conquistate raggiunga più rapidamente le alte finalità della vittoria contro le autocrazie imperialiste, assicurando il progresso libero, civile e pacifico della Umanità». Per il resoconto dell’Adunanza del Consiglio dell’Ordine del Grande Oriente d’Italia e il testo del telegramma, vedi “Rivista Massonica”, marzo 1917, pp. 99-100.

sume l’interpretazione che i repubblicani danno del sommovimento prodottosi in Russia, dove «la rivoluzione è scoppiata non in nome del salario ma della libertà, non per soffocare la guerra della borghesia, ma per alimentare e rinvigorire la guerra nazionale contro le paure, gli egoismi e i pacifismi dello Stato autocratico»36. E se «la libertà russa, spezzate le catene dello czarismo, getterà a terra anche le corone insanguinate degli imperi tedeschi», ne uscirà confermata l’intuizione dei repubblicani, ritenuta assurda dai socialisti, che la guerra avrebbe potuto avere una portata rivoluzionaria; che, per dirla in una parola, «la guerra è rivoluzione»37 .

Col trascorrere dei giorni l’iniziale speranza che la crisi russa, dopo l’esautoramento della monarchia zarista, possa evolvere in senso repubblicano38, si trasforma nella convinzione che il movimento repubblicano in Russia sia destinato presto a trionfare:

Il sogno dei nostri grandi si realizza: Mazzini fondatore dell’Alleanza Repubblicana Universale esulta; un libero accordo di popoli redenti sta per fasciare la terra. Dal Baltico alla Cina, dalla Cina all’America nel nome della Repubblica, il progresso segna le sue insopprimibili tappe. I repubblicani d’Italia salutano il grande movimento repubblicano russo bene augurando. Viva la Russia repubblicana!39

Né deve destare preoccupazione che a fianco del governo provvisorio sia sorto in Russia un altro potere, il «Comitato operaio», cioè a dire il Soviet di Leningrado:

Questi operai sono in gran parte socialisti, e sono diretti da deputati socialisti. Essi però hanno capito che la loro sorte dipende dalla forma che il governo nuovo assumerà in Russia, e anziché abbandonarsi a pure rivendicazioni economiche e ad un pacifismo che per essere di classe non cesserebbe di essere enormemente stupido, hanno deciso di accettare la continuazione della guerra fino alla vittoria ed hanno proclamata la necessità di dare alla Russia istituzioni repubblicane. Certamente i nostri socialisti boches si aspettavano dagli operai russi ben altro atteggiamento. Essi speravano che questi operai avessero piantata sulla fortezza di Pietro e Paolo la bandiera dell’internazionale… tedesca, che le truppe al fronte avessero disertato dando campo al Kaiser di arrivare fino a Mosca e Pietrogrado. Ma mai come in questo episodio si pone tutta la profonda significazione nazionale e al medesimo tempo rivoluzionaria della guerra40 .

Nel mese di aprile, “L’Iniziativa” non nasconde il timore che col ritorno in Russia dei leader bolscevichi esuli in Svizzera cui il Kaiser ha consentito il libero passaggio in territorio tedesco, «la minoranza marxista», inoculando a Pietrogrado «il veleno della disorganizzazione nazionale», riesca ad «arrestare il gran palpito del cuore rivoluzionario nella contrazione spasmodica della miope lotta di classe»41. E tuttavia si vuole continuare a credere che dopo l’avvento della rivoluzione che in Russia «ha scardinato alle basi la rocca forte del monarchismo», non solo «il colossale disegno della repubblica federale russa è tracciato»,

36 Girondin [Alfredo De Donno], Guerra e rivoluzione, ivi. 37 Ivi. 38 Verso la Repubblica?, ivi. 39 Santa Russia, ibid., 31 marzo 1917. 40 Vaste conseguenze, ivi. 41 Il cattivo genio di Marx, ibid., 21 aprile 1917.

ma libertà e nazionalità sono i principii per cui l’esercito russo non cessa di battersi42. Con la rivoluzione russa e l’intervento in guerra d’una grande potenza repubblicana quale gli Stati Uniti, argomenta Giovan Battista Pirolini, «la guerra europea, già rivoluzionaria fin dal suo nascere», ha assunto un’ancor più spiccata caratterizzazione repubblicana, preludio al trionfo del principio repubblicano a livello globale43. Concetto che sarà ribadito qualche settimana dopo nei deliberati votati al Convegno repubblicano di Firenze, con riferimenti espliciti sia al «largo respiro repubblicano» assunto dalla guerra con l’intervento statunitense, sia alla ferma intenzione della Russia rivoluzionaria di continuare la lotta sino alla definitiva sconfitta del «militarismo prussiano»44 . Non sfuggono invero ai repubblicani le difficoltà del governo provvisorio russo, stretto tra la necessità di continuare la guerra a fianco degli Alleati e una sempre più forte e diffusa volontà di pace a soddisfare la quale ci si vuole ancora illudere possa bastare la linea d’una pace «senza annessioni e senza indennità», che “L’Iniziativa” attribuisce a quel Soviet di Pietrogrado che «si guarda bene di chiedere la pace separata»45 e pur sempre rimane forza a sostegno d’un governo che «rappresenta un popolo in armi contro il dispotismo tedesco, la rivoluzione operaia in guerra contro il blocco degli imperi centrali»46 . Ma da lì a qualche settimana comincia ad insinuarsi tra le file repubblicane il timore che la rivoluzione russa possa «tradire» venendo a patti «col suo più mortale nemico: il militarismo [tedesco]»47, timore a fugare il quale non sono certamente sufficienti i pronunciamenti di chi, come Romualdo Rossi, ritiene che «la Russia rivoluzionaria non disarma» ma fervidamente opera per «sfondare le porte che conducono alla Confederazione degli Stati Uniti d’Europa»48, o d’Innocenzo Cappa che ha parole d’esaltazione «per l’immensa, nobile Russia, che ha giurato con Kerenskij di non tradire e non tradirà»49 .

42 Ogni imperialismo è morto, ibid., 7 aprile 1917. 43 Giovan Battista Pirolini, Sulle ali della vittoria, ibid., 21 aprile 1917. 44 Il convegno di Firenze, ibid., 1° maggio 1917. 45 L’organizzazione della libertà, ibid., 11 maggio 1917. 46 Il Governo rivoluzionario della Russia libera, ibid., 25 maggio 1917. 47 La rivoluzione russa tradisce?, ibid., 16 giugno 1917 48 Romualdo Rossi, Russia Rivoluzionaria, ibid., 7 luglio 1917. 49 Innocenzo Cappa, La Russia non tradirà, ibid., 4 agosto 1917. Qualche mese prima il Comitato Centrale del PRI aveva incaricato il deputato Cappa, «designato a far parte della missione politica che si recherà presto a Pietrogrado», di «portare il saluto dei repubblicani d’Italia alla grande Repubblica russa che sorge» (cfr. Il nostro saluto al popolo russo portato da Innocenzo Cappa, ibid., 11 maggio 1917). Con Cappa, componevano la missione i socialisti Giovanni Lerda e Orazio Raimondo e il sindacalista rivoluzionario Arturo Labriola. Seppure in assenza di riscontri documentari probanti, la notoria appartenenza di tutti e quattro i componenti della delegazione al Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani, avvalora l’ipotesi che si trattasse di un’iniziativa promossa, operando di concerto con le altre Massonerie dei Paesi dell’Intesa, dai vertici della più numerosa ed internazionalmente accreditata Comunione massonica italiana. Scopo della delegazione era principalmente quello d’incontrare il massone, non ancora capo del governo provvisorio ma già Ministro della Guerra, Kerenskij, al fine di rafforzarne la determinazione a continuare il conflitto a fianco dell’Intesa. Su questo episodio e più in generale sul contesto in cui si colloca, si veda il pioneristico lavoro di Giorgio Petracchi, La Russia rivoluzionaria nella politica italiana, 1917-1925, Laterza, Roma-Bari 1982, pp. 14-15 e, più di recente, il pregevole studio di Corrado Scibilia, Tra nazione e lotta di classe. I repubblicani e la rivoluzione russa, Gangemi, Roma 2012, pp. 33 sg.

L’ascesa di Kerenskij al Governo e l’iniziale quanto effimero successo che arride all’offensiva da lui voluta, con «i reggimenti della libera Russia [che] marciano vittoriosamente dietro la bandiera rossa donata da Kerenskij per le strade insanguinate della Galizia»50 , generano una nuova ondata d’entusiasmo tra i repubblicani, che non solo salutano con gioia la proclamazione della Repubblica da parte del governo provvisorio, che annienta le residue speranze degli elementi controrivoluzionari, ma esprimono la fiducia che il governo Kerenskij, repressi sia il tentativo rivoluzionario dei bolscevichi in luglio sia la rivolta capeggiata da Kornilov, «potrà occuparsi più energicamente della lotta contro l’invasore straniero e della causa comune a tutti gli alleati»51 .

Sono speranze che, qualche settimana dopo, sarebbero state spazzate via da quella conquista bolscevica del potere le cui implicazioni di politica estera in generale e in termini di prosecuzione del conflitto o ricerca d’una pace separata in particolare, non sfuggono certo ai repubblicani. Già prima che si abbiano notizie precise delle trattative di pace con gli Imperi centrali intavolate dal nuovo governo dei Commissari del popolo, quest’ultimo è stato etichettato da “L’Iniziativa” come «una banda di tedeschi travestiti», che non avrebbe certo «potuto operare con successo in un paese più civile e a forte coscienza patriottica»52 ma la cui affermazione, imperniata su «due forme di governo: armistizio in politica estera e ghigliottina in politica interna»53, si è resa possibile in «un paese primitivo che la guerra e i contatti anticipati e sproporzionati della civiltà stanno dissolvendo»54 .

Ma l’Intesa non può e non deve abbandonare la Russia, consentendo che essa diventi un’immensa colonia di sfruttamento da cui la Germania possa trarre risorse per continuare la guerra. «Sbarchino in Russia Giapponesi e Americani, diano all’intervento l’aspetto e la sostanza della liberazione» dall’oppressione bolscevica55, ma ancora meglio se, sostiene “L’Iniziativa” – che pure non ha remora alcuna a manifestare le sue simpatie per le forme varie e diverse in cui nell’immenso territorio russo si esercita la resistenza militare delle forze avverse al governo di Lenin – più che a inviare in Russia eserciti si riesca a «suscitarvi e organizzarvi le forze indigene capaci sia di rovesciare il governo attuale quanto di sostituirlo con uno degno della Russia e dell’Intesa»56 . Ancora qualche settimana e un articolo che appare sull’organo ufficiale del PRI il 6 luglio 1918 dà l’esatta misura del livello d’esasperazione parossistica raggiunto dai repubblicani nella loro avversione al governo bolscevico, che ha “tradito” gli Alleati consentendo agli Imperi centrali di concentrare sul fronte francese e su quello italiano il loro potenziale bellico:

Se una restaurazione czarista, modificata profondamente da influenze democratiche, ridarà alla Russia ordine, dignità, indipendenza, libertà e pane, Lenin è responsabile della rinascita del principio monarchico nella terra da lui voluta follemente matura per il comunismo pseudomarxista. Con la scorta degli avvenimenti riteniamo che per ridare vita a questo immenso corpo martoriato sia pro-

50 Bandiera rossa!, “L’Iniziativa”, 7 luglio 1917. 51 La proclamazione della Repubblica in Russia, ibid., 22 settembre 1917. 52 Faber, La catastrofe russa e le sue cause, ibid., 2 dicembre 1917. 53 Girondin [Alfredo De Donno], Armistizi leninisti, ibid., 15 dicembre 1917. 54 Faber, La catastrofe russa e le sue cause, cit. 55 L’Intesa può aiutare la Russia!, “L’Iniziativa”, 15 maggio 1918. 56 L’Intesa e il problema russo, ibid., 29 giugno 1918.

prio necessario un punto d’appoggio cui facciano capo tutte le forze rivoluzionarie antimassimaliste; e se questo punto d’appoggio deve essere un trono democratico e costituzionale, emanazione della Costituente, onore a lui57 .

Tra i socialisti che inneggiano all’Ottobre rosso e i repubblicani che tutto pensano sia preferibile alla tirannide leninista dissolvitrice – financo, incredibile a dirsi, una monarchia riveduta e corretta – il contrasto non potrebbe essere più radicale e lo scontro più aspro. Né la conclusione vittoriosa del conflitto colmerà il solco che la guerra ha scavato tra neutralisti ed interventisti. Emblematici, sotto questo aspetto, i rapporti che nel corso del 1919 intercorrono tra i socialisti e i repubblicani: i primi rimproverano ai secondi d’aver infranto – con l’adesione alla guerra voluta dalla Corona – le tradizioni antimilitariste ed antimonarchiche del movimento repubblicano, d’aver tradito le reali aspirazioni pacifiste della loro base popolare e d’essersi alleati durante la guerra con i peggiori elementi del nazionalismo antidemocratico; i repubblicani replicano rinfacciando ai socialisti l’infamia della propaganda antinazionale e disfattista condotta durante il conflitto in combutta coi preti e coi giolittiani, ed accusandoli di voler sfruttare a fini di parte il malcontento che le difficili condizioni del dopoguerra hanno ingenerato in larghi strati della popolazione, quindi di condurre alla rovina il proletariato italiano additandogli quale supremo obbiettivo di lotta la pedissequa imitazione di modelli rivoluzionari stranieri assolutamente inadeguati alla specificità della situazione. Tale, per l’appunto, il bolscevismo, contro il quale non è il solo Napoleone Colajanni a scagliarsi ripetutamente con grande vigore polemico58 , ma sono diversi i pubblicisti repubblicani ad esprimersi con articoli che per livore antisocialista ed ossessione antibolscevica, non hanno nulla da invidiare a quelli che contemporaneamente appaiono su “L’Idea Nazionale” o “Il Popolo d’Italia”59 .

Nonostante non manchino di levarsi nella stampa repubblicana le voci di coloro i quali paventano che la conclamata opposizione repubblicana al bolscevismo si risolva in un’attenuazione dello slancio innovatore che deve invece continuare ad animare il partito60 o, peggio ancora, in uno scivolamento del medesimo su posizioni di Destra61, bisognerà attendere il ricambio al vertice che si produce nella primavera del 1920 con l’elezione a Segretario di Fernando Schiavetti – espressione del gruppo dirigente che con Giovanni Conti, Oliviero Zuccarini, Egidio Reale ecc., già prima del conflitto, ispirato da Arcangelo Ghisleri, aveva avviato una proficua azione di rinnovamento del PRI – perché si produca un’inversione di tendenza nei rapporti tra i due partiti storici della Sinistra italiana. Ma, nell’immediato, una così accesa polemica antineutralista in generale ed antisocialista in particolare, non può non avere ripercussioni sulla linea politica del PRI nei confronti della Russia, fino al punto da indurlo ad assumere talvolta posizioni poco lineari se non addirittura contraddittorie.

57 Resurrezione russa?, ibid., 6 luglio 1918. 58 Della polemica antibolscevica di Colajanni, tratta per esteso Corrado Scibilia, Tra nazione e lotta di classe… cit., passim. 59 A titolo esemplificativo, Contro il più enorme crumiraggio del mondo, “La Libertà”, 19 aprile 1919; Che cos’è il bolscevismo, “Etruria Nuova”, 6 aprile 1919. 60 C. Piermei, Verso la rivoluzione sociale, “L’Iniziativa”, 19 aprile 1919. 61 Contro il bolscevismo e il nazionalismo, “L’Alba Repubblicana”, 10 maggio 1919.

È il caso per l’appunto dello sciopero internazionale di solidarietà con le repubbliche sovietiche di Russia e d’Ungheria minacciate dall’intervento militare delle potenze dell’Intesa, proclamato dal PSI e dalla CGdL per il 20-21 luglio 1919. Dapprima il Comitato Centrale del PRI decide l’adesione allo sciopero62, motivando tale presa di posizione con la radicata avversione dei repubblicani italiani a qualsiasi interferenza straniera che leda il diritto d’autodeterminazione dei popoli63; salvo poi, di fronte al parziale insuccesso fatto registrare dalla manifestazione, a definire la stampa repubblicana lo sciopero stesso una «mascherata leninista» che avrebbe evidenziato il sostanziale fallimento della «predicazione bolscevica» del PSI64 .

L’avversione al «bolscevismo» e la contestuale, accesa polemica antisocialista è del resto anche alla base del fenomeno per cui nell’immediato dopoguerra, da parte di considerevoli settori del PRI, si guarda all’esperimento in atto nella Russia sovietica con manifesta incomprensione del significato storico della rivoluzione d’Ottobre65. Una rilevantissima eccezione è però costituita da Oliviero Zuccarini. Il dirigente marchigiano, denunciando l’aberrazione di quanti all’interno del suo partito vorrebbero che per timore del bolscevismo il PRI rinunciasse alla propria vocazione rivoluzionaria, opera un approfondimento d’analisi sul fenomeno bolscevico, pervenendo a conclusioni del massimo interesse.

«Noi non possiamo disconoscere», scrive tra l’altro Zuccarini,

il valore storico immenso che il bolscevismo rappresenta ed è destinato a rappresentare. Esso segna definitivamente l’inizio di un’epoca nuova. Faticoso inizio, e si capisce. Il sistema bolscevico così come è stato concepito e attuato non è destinato a restare. Costituisce, però, il fermento fecondatore di tutti gli esperimenti, di tutte le iniziative rivoluzionarie. Il proletariato mondiale ha avuto, solo attraverso di esso, il senso che la sua ora è scoccata. Che importa se l’esperimento bolscevico si trascina di errore in errore, e ripete più duramente il male che voleva sanare? Ciò interessa secondariamente: ogni inizio rivoluzionario ripete sempre le forme, i mezzi, i metodi della società in dissoluzione. Ma il privilegio capitalistico è vulnerato a morte. Le ultime classi della gerarchia sociale salgono al primo posto. In tutto il mondo l’utopia si sostanzia di realtà. E il lavoro si prepara a prendere funzioni direttive nella produzione sociale66 .

Allo stesso modo in cui ne riconosce tutto il valore storico, Zuccarini intuisce con grande acutezza l’esistenza d’alcune gravi contraddizioni nell’esperimento bolscevico in atto nella Russia, a cominciare da un profondo contrasto d’interessi tra ceti rurali e ceti urbani, ed evidenzia i primi sintomi del processo di degenerazione del bolscevismo da dittatura del proletariato a dittatura sul proletariato. Da qui l’avversione repubblicana al bolscevi-

62 Il testo dell’ordine del giorno di adesione allo sciopero ne “L’Iniziativa”, 12 luglio 1919. 63 L’anima del Partito repubblicano è col popolo russo e ungherese, ibid., 19 luglio 1919. 64 Alfredo De Donno, Perché è fallito lo sciopero, ibid., 26 luglio 1919, M. P. [Mario Pistocchi], Fallimento, “Il Popolano”, 26 luglio 1919; Il funerale dello sciopero rivoluzionario, “La Libertà”, 26 luglio 1919; Un viaggetto nello sciopero generale, “La Sveglia Repubblicana”, 26 luglio 1919. 65 Significativi in tal senso gli articoli Caricaturisti, ibid., 8 febbraio 1919; Due incoscienze, “L’Italia del Popolo”, 25 marzo 1919; Mario Pistocchi, La forza e il progresso, “Il Popolano”, 1° marzo 1919. 66 Oliviero Zuccarini, Pro e contro il bolscevismo. Che cosa vogliamo, “L’Alba Repubblicana”, 1° maggio 1920. Questo articolo, cui si riferisce anche la successiva citazione, e altri scritti sul medesimo argomento saranno rifusi dall’autore nell’opuscolo Pro e contro il Bolscevismo, Libreria Politica Moderna, Roma 1920.

smo; non perché quest’ultimo sia troppo rivoluzionario ma, al contrario, perché nessuna rivoluzione può dirsi tale se non fondata sui valori essenziali della libertà e dell’autonomia: «mentre riconosciamo tutto il valore storicamente rivoluzionario del bolscevismo», è la conclusione di Zuccarini,

mentre ci rifiutiamo di aderire come che sia a qualsiasi manifestazione antibolscevica che, comunque mascherata, è sempre una forma di esasperazione conservatrice, siamo contro il bolscevismo come sistema di organizzazione politica e sociale. E lo siamo, si ponga bene mente alle parole, non in quanto desideriamo conservare qualche cosa dell’ordinamento presente, ma appunto per la ragione opposta: siamo contro il bolscevismo perché il bolscevismo è conservatore. Proprio così! Il bolscevismo conserva gli stessi sistemi di governo della società borghese. Come ordinamento interno è lo stesso, fondato sullo stesso principio: più complicato, più esteso, più burocratizzato, sì, ma il medesimo. Quello che era giudicato odioso, infame nel regime zarista, non può avere mutato natura perché sono cambiati gli uomini che sono a capo dello Stato. Come sistema economico: è l’intervenzionismo, il monopolismo, lo statalismo quale abbiamo avuto modo di sperimentare in tutti gli Stati nelle sue forme ridotte e pur disastrose, portato al massimo sviluppo. Come emancipazione del lavoro, non realizza la libertà dell’operaio, ma perpetua la schiavitù del salario che non cessa di diventare schiavitù solo perché al padrone si è sostituito lo Stato. In questo senso siamo antibolscevici67 .

Un approfondimento d’analisi critica, quello operato da Zuccarini, destinato non soltanto ad avere un’immediata ricaduta nel favorire all’interno del PRI la maturazione d’un più articolato ed equilibrato giudizio sull’esperimento in atto nella Russia sovietica68, ma ad influenzare anche nei mesi successivi la riflessione e l’elaborazione politica dei repubblicani italiani sul tema. Ne sono testimonianza i numerosi articoli sulla situazione russa che appaiono nell’organo quotidiano del partito “La Voce Repubblicana” nel corso del 1921. Vi troviamo certamente la denuncia della sanguinosa repressione bolscevica della sollevazione di Kronstadt69 e la constatazione dello svuotamento progressivo dei soviet sempre più subordinati al potere centrale70; la simpatia manifesta per gli esponenti del partito socialista rivoluzionario russo costretti all’esilio e alla clandestinità71 e la consapevolezza dell’entità dello scontro che si verifica nelle campagne tra i contadini che si oppongono alla requisizione forzata del grano e gli emissari del governo bolscevico che non esitano a scatenare rappresaglie cruente contro interi villaggi72, mentre ormai da mesi la carestia semina vittime in larghe zone dell’immenso Paese73 .

E, tuttavia, la consapevolezza delle gravi responsabilità di quel regime bolscevico che rappresenta la dittatura dispotica d’una esigua minoranza sulla stragrande maggioranza del popolo russo privato delle libertà civili e dei diritti politici, non cancella del tutto la convinzione – largamente diffusa in ampi settori del gruppo dirigente che, col Congresso

67 Ivi. 68 Ad esempio Bolscevismo, “La Riviera”, 22 maggio 1920; od anche L’incanto svanito, “L’Azione”, 9 ottobre 1920. 69 L’offensiva bolscevica contro Kronstadt, “La Voce Repubblicana”, 20 marzo 1921. 70 Come si svolgono le elezioni in Russia, ibid., 21 maggio 1921. 71 La riorganizzazione delle forze rivoluzionarie, ibid., 21 settembre 1921. 72 La situazione nella Russia meridionale, ibid., 31 agosto 1921. 73 La carestia in Russia, ibid., 4 febbraio 1921.

di Ancona del settembre 1920, ha consolidato la sua leadership all’interno del PRI – che pur nella tragedia della Russia ridotta letteralmente alla fame, la rivoluzione russa, che «è stata il primo tentativo in grandi proporzioni di emancipare dalla servitù capitalistica un popolo intero», ha «un valore storico incalcolabile»74. Una posizione certamente critica ma mai pregiudizialmente ostile nei confronti della Russia di Lenin, e che continuerà a caratterizzare l’atteggiamento dei repubblicani anche negli anni immediatamente successivi75 .

74 La Russia muore di fame. Il dovere dell’Italia, ibid., 6 agosto 1921. 75 Si veda Santi Fedele, I repubblicani di fronte al fascismo (1919-1926), Firenze, Le Monnier 1983.

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