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Antonello Venturi
Antonello Venturi
La lotta per l’immagine della rivoluzione: i socialisti-rivoluzionari russi in Italia tra il 1917 e la nascita del PCdI
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In un’Italia che sempre più velocemente andava allontanandosi dal vecchio mondo liberale, a partire dal 1917 emersero con forza nuove fratture politiche legate alla lettura, alla definizione e alla rappresentazione della rivoluzione russa, ancora in pieno svolgimento ma fin dall’inizio in grado di fornire alla politica italiana idee nuove e nuovi linguaggi. Scopo di questo saggio è mostrare come, nella vera e propria lotta per l’immagine della rivoluzione che ne seguì, un ruolo particolare finì per spettare allora ai socialisti-rivoluzionari russi attivi in vario modo all’interno dello spazio politico italiano, interpreti capaci talvolta di farsi tramiti efficaci delle proprie culture e della nuova realtà russa, talvolta invece inadatti essi stessi a comprendere gli avvenimenti in corso, paradossalmente a causa delle loro esatte conoscenze dell’ormai superata realtà precedente. Il lessico della rivoluzione russa servì spesso a definire aspirazioni e timori del mondo politico italiano di quegli anni, anche se in alcuni momenti la diversità delle culture e dei linguaggi politici che vennero così a incontrarsi costituì un serio ostacolo alla comprensione di quelle esperienze, togliendo efficacia anche alle più realistiche rappresentazioni. Nel contrapporsi delle più diverse immagini della rivoluzione, nel pieno della lotta per la loro affermazione, per qualche anno i socialisti-rivoluzionari russi poterono così pensare di contribuire a dar forma alle nuove forze politiche che andavano emergendo in Italia, ma in genere ne furono largamente strumentalizzati. Si trattò in ogni modo d’un incontro complesso, in cui anche le loro immagini più chiare e più forti subirono una ricezione molto selettiva da parte di un mondo politico così particolare come quello italiano in cui si trovarono ad agire, segnato da categorie che di volta in volta condizionarono o deviarono il significato delle esperienze1 .
1 Quel che si presenta qui è un punto d’osservazione particolare su una vicenda alla quale, in forme diverse e più generali, mi sono spesso avvicinato: cfr. Antonello Venturi, Rivoluzionari russi in Italia, 1917-1921, Feltrinelli, Milano 1979; Id., L’emigrazione socialista russa in Italia, 1917-1921, “Movimento operaio e socialista”, a. X, n. 3 1987, pp. 269-297; Id., L’emigrazione rivoluzionaria russa in Italia (1906-1921), ne I russi e l’Italia, a cura di Vittorio Strada, Banco Ambrosiano Veneto-Libri Scheiwiller, Milano 1995, pp. 85-89; Id., Russkie emigranty-revoljucionery v Italii (19061922) [Rivoluzionari russi emigrati in Italia (1906-1922)], in Russkie v Italii: kul’turnoe nasledie emigracii [Russi in Italia: l’eredità culturale dell’emigrazione], Russkij Put’, Moskva 2006, pp. 4452; Id., U mifologii v plenu. Russkaja emigracija v Italii i revoljucionnaja Rossija [In balia del mito. L’emigrazione russa in Italia e la Russia rivoluzionaria], “Rodina”, n. 4 2011, pp. 136-137.
Una presenza socialista russa si era radicata in Italia nel decennio precedente la guerra, a partire dalla sconfitta della rivoluzione del 1905, anche se numericamente limitata e dotata di strutture organizzative molto più fragili di quelle dei principali centri europei dell’emigrazione politica di quegli anni2. Quando scoppiò la rivoluzione a Pietrogrado, dopo più di due anni e mezzo di guerra europea, tale presenza era in realtà particolarmente ridotta per una serie di cause diverse, ma tutte concentratesi nel periodo immediatamente precedente. Vi era stata la grande amnistia del 1913 per il trecentesimo anniversario dei Romanov, che aveva ad esempio permesso anche a un bolscevico politicamente attivo come Maksim Gor’kij di lasciare l’Italia, dove la sua residenza aveva rappresentato uno dei principali centri di raccolta del mondo socialdemocratico qui emigrato. Più tardi, in vista dell’ingresso in guerra anche dell’Italia, era seguito il prudente spostamento nella neutrale Svizzera d’una parte degli internazionalisti contrari al conflitto, fino ad allora stabilmente insediati in Liguria, come il fondatore e teorico del partito dei socialisti-rivoluzionari russi (PS-R) Viktor M. Černov, e con lui d’un largo ambiente di emigrati che nel decennio precedente si era variamente sparso in quella regione. Subito dopo la rivoluzione di Febbraio del 1917, infine, abbandonarono l’Italia per tornare in Russia anche i socialisti che in odio all’imperialismo tedesco avevano accettato la guerra, come il padre del marxismo russo Georgij V. Plechanov, politicamente ormai collocatosi in campo menscevico. I socialisti russi politicamente attivi, i rivoluzionari di professione ancora presenti in Italia nei mesi successivi, risultarono essere in maggioranza membri del PS-R. Come sarebbe avvenuto anche in Francia3, per qualche anno essi lasciarono dunque sul mondo politico italiano il segno della loro specifica lettura del processo rivoluzionario, un segno comunque non univoco ed esso stesso in rapido mutamento. Fino al 1917-18, gli specifici caratteri politici e culturali del PS-R non erano del resto particolarmente evidenti ai socialisti italiani, che avevano più che altro una visione romantica e largamente tinta di esotismo dell’intero movimento rivoluzionario russo, e guardavano con un senso di paternalistica sufficienza alle sue durissime lotte interne. Alla vigilia del febbraio 1917, Giacinto Menotti Serrati, il più importante dirigente della maggioranza socialista italiana contraria alla guerra, aveva potuto scrivere che «le due frazioni principali, che scindevano prima della guerra il movimento socialista russo, sono rimaste a dispetto di tutto anche ora e si contendono con sottigliezze, con disquisizioni teoriche il campo della propaganda. […] E bisogna tenere conto di questi vecchi e dolorosi dissensi – inevitabili, pare, fra i nostri compagni russi – e saperli trattare con riguardo»4 .
2 Fra i primi e più ampi studi cfr. Angelo Tamborra, Esuli russi in Italia dal 1905 al 1917, Laterza, Roma-Bari 1977 (edizione rivista: Rubbettino, Soveria Mannelli 2002) e Anastasia Becca Pasquinelli, La vita e le opinioni di M.A. Osorgin, 1878-1942, La Nuova Italia, Firenze 1986. Ma soprattutto cfr. Stefano Garzonio-Bianca Sulpasso (a cura di), Oskolki russkoj Italii. Issledovanija i materialy [Frammenti dell’Italia russa. Studi e materiali], Vikmo M-Dom Russkogo Zarubež’ja im. Aleksandra Solženicyna-Russkij put’, Moskva 2011. Il sito fondamentale a cui fare oggi riferimento è: http:// www.russinitalia.it 3 Albert S. Lindemann, Socialismo europeo e bolscevismo (1919-1921), Il Mulino, Bologna 1977; Christian Jelen, L’aveuglement. Les socialistes et la naissance du mythe soviétique, Flammarion, Paris 1984; Eric Aunoble, La révolution russe, une histoire française: lectures et représentations depuis 1917, La Fabrique éditions, Paris 2016. 4 I.O. [Giacinto Menotti Serrati], A Zimmerwald. Noterelle di uno che c’è stato, “Almanacco Socialista Italiano”, 1917, p. 192.
In realtà, a partire dai primi anni del secolo, tutte le formazioni politiche del socialismo russo avevano ormai assunto una forma partitica assai moderna, basandosi sul classico modello tedesco della Seconda Internazionale, dal quale avevano anche mutuato la più tipica terminologia del marxismo di quegli anni, pur riempiendola a volte di contenuti diversi. Formatosi nella clandestinità e nell’emigrazione tra il 1900 e il 1901, attivo nell’Impero a partire dal 1902, nel 1917 il PS-R era quindi un partito relativamente giovane, pur avendo alcune radici nel movimento rivoluzionario della Russia ottocentesca, che in parte ancora ne colorava miti ed elaborazioni ideologiche. Fenomeno di sincretismo rivoluzionario, momento di sintesi tra diverse fisionomie del socialismo russo e di quello europeo-occidentale, con buona intuizione politica il PS-R aveva costruito un modello dell’imminente rivoluzione russa in cui i contadini avrebbero avuto un ruolo pari a quello degli operai, due elementi che anche sociologicamente esso tendeva a equiparare, attraverso una evidente negazione dell’unilinearità storica e una particolare attenzione alle nazioni povere del mondo, anche al di là del caso russo.
Si trattava inoltre d’un partito segnato da un’eccezionale energia rivoluzionaria, da una concezione etico-volontaristica del socialismo e da una forte fiducia nel mondo intellettuale, che fin dall’inizio lo avevano portato a farsi sostenitore anche di tattiche terroristiche. Nel complesso, si trattava d’un materiale politico e umano spesso incandescente, la cui presenza nella pur liberale Italia giolittiana era sempre stata guardata con particolare preoccupazione, ma che di fronte agli avvenimenti del 1917 parve improvvisamente poter giustificare la propria specifica identità, se non altro agli occhi del socialismo italiano. Nei primi giorni successivi al crollo dello zarismo fu Vasilij V. Suchomlin – classica figura di rivoluzionario di professione vissuto negli anni precedenti in Liguria con Černov e destinato ad emergere quale uno dei principali dirigenti e teorici del PS-R nell’emigrazione degli anni ’20 – a cercare d’impostare la linea del Partito Socialista Italiano nella lotta che cominciava allora ad avviarsi per la rappresentazione della rivoluzione, per la comprensione e insieme la propaganda della sua immagine. L’“Avanti!” era ricorso alla sua consulenza già negli ultimi mesi della crisi russa, così egli fu il primo a segnalare sulle pagine dell’organo di stampa centrale del PSI la creazione del soviet operaio di Pietrogrado, che con evidente riferimento alla Commune parigina e ancora lontano dagli inconcludenti dibattiti italiani che avrebbero segnato poi la sua esplosiva mitizzazione, definì allora una «specie di Comune rivoluzionario». Allo stesso tempo, tuttavia, indicava nella decisione appena presa dalle autorità russe di convocare l’Assemblea costituente, la migliore testimonianza di quale fosse «la vera essenza e la vera potenza del movimento popolare»5 .
La tipica contraddizione rivoluzionaria del 1917 russo tra istituzioni sovietiche e democratiche era dunque subito impostata, mostrando fin dall’inizio quanto le immagini più realistiche della rivoluzione potessero essere anche profondamente ambigue. Più netta era la sua rappresentazione di una rivoluzione essenzialmente “proletaria”, sia pur nella tipica accezione socialista-rivoluzionaria del termine, quindi insieme operaia e contadina. Spiegando che a guidare il movimento russo non era stata «la borghesia russa [che] fino a questi ultimi anni viveva perfettamente in pace con l’autocrazia»6, egli infatti implicitamente riprendeva, sostanziandola negli ultimi avvenimenti, tutta la vecchia polemica del PS-R con il marxismo russo che, malgrado alcune parziali e reticenti eccezioni, aveva
5 [Vasilij V. Suchomlin], L’azione proletaria, “Avanti!”, 18 marzo 1917. 6 [Vasilij V. Suchomlin], I precursori della rivoluzione russa, ibid., 25 marzo 1917.
fino ad allora sostenuto che il crollo dello zarismo avrebbe assunto le forme d’una “rivoluzione borghese”. Ma si trattava anche di un’aperta polemica contro la rappresentazione della rivoluzione di Febbraio quale strumento di più efficace continuazione della guerra attraverso la modernizzazione del paese7. Era stata questa, in effetti, la prima lettura degli avvenimenti russi anche da parte dei socialisti che in Europa più si erano impegnati nel conflitto, come i maggioritari francesi e inglesi, gli interventisti italiani e persino – sul fronte opposto – la maggioranza dei socialisti tedeschi, tutti convinti che la rivoluzione desse finalmente solide fondamenta alle loro teorie sulla funzione storica progressista della lotta in corso per il potere europeo.
Dal punto di vista d’un socialista-rivoluzionario russo, era quindi particolarmente grave che anche il PSI dopo le prime giornate rivoluzionarie avesse invece considerato la caduta dello zarismo nulla più che una delle tante rivoluzioni popolari sconfitte della storia europea. Serrati aveva affermato: «la rivoluzione russa è stata abilmente vinta […]. La bandiera rossa […] è stata ammainata. Al pallido sole della appena incipiente primavera sventola il vessillo della patria. […] La borghesia russa è stata abilissima […] la rivoluzione proletaria è stroncata»8. La difficoltà dei contemporanei nel dare senso agli avvenimenti in corso era del tutto evidente, ma anche nel PSI non mancava chi avesse diretta conoscenza del socialismo russo. Anna Kuliscioff – Anna Moiseevna Rozenštejn-Kulišëva – figura di primo piano del socialismo italiano d’età giolittiana, ma anche perfetta incarnazione del più classico populismo russo degli anni ’70 del secolo precedente, al quale continuava a guardare con attenzione il neopopulismo socialista-rivoluzionario della generazione di Suchomlin, il giorno stesso della pubblicazione dello scritto di Serrati commentava aspramente: «un articolo indecente, che fa veramente schifo; stamattina, leggendolo, ero furibonda, mi vergognavo di appartenere ad un partito che ha per espressione un giornale così idiota, così ignorante, così chiuso […]»9 .
Più diplomatica, ma altrettanto sostanzialmente critica e ideologicamente straniante, sarebbe stata la lettura degli avvenimenti data da Suchomlin. Sia pure sotto la forma particolare d’un esercito in pieno ammutinamento – spiegava – erano stati i contadini russi a portare al crollo dello zarismo, quegli stessi contadini che «ad onta di tutte le fandonie finora raccontate»10 su di loro non costituivano affatto il bastione della reazione, e avevano anzi mostrato un aperto spirito rivoluzionario già nella lotta contro «le arcaiche relazioni fra soldati e ufficiali»11, in attesa di mobilitarsi per la ripartizione egualitaria delle terre. Per i socialisti russi «era sempre la lotta, la vera unica lotta popolare»12 a restare al di sopra della guerra, e i tentativi del soviet di Pietrogrado di convocare una conferenza socialista internazionale per interrompere al più presto le ostilità, mostravano «il vero carattere
7 Junior [Vasilij V. Suchomlin], Gli “elementi demagogici” e i nuovi uomini d’ordine, ibid., 21 marzo 1917. 8 [Giacinto Menotti Serrati], Bandiera rossa, ibid., 19 marzo 1917. 9 Filippo Turati-Anna Kuliscioff, Carteggio. Vol. IV. 1915-1918. La grande guerra e la rivoluzione. Tomo 1, a cura di Franco Pedone, Einaudi, Torino 1977, p. 462. 10 Junior [Vasilij V. Suchomlin], La Rivoluzione russa, Libreria Editrice Avanti!, Milano 1917, p.
44.
11 Ibid., p. 51. 12 Ibid., p. 53.
della rivoluzione [che] si afferma ogni giorno con una sicurezza e una pienezza sempre maggiori»13 .
Ma proprio l’incapacità del socialismo russo di risolvere realmente il problema della guerra in corso si rifletteva male nell’immagine della rivoluzione che veniva sempre più dettagliatamente costruendo Suchomlin. Spiegava che la decisione di «trasformare la crisi bellica in crisi rivoluzionaria»14 era maturata tra i socialisti russi già all’inizio del conflitto, ben prima degli eventi del 1917, ma la profonda frattura tra internazionalisti e difensisti rivoluzionari, sempre più lacerante sia all’interno del PS-R sia nel più generale spazio politico del socialismo russo, era in realtà quasi totalmente nascosta dalla sua rappresentazione degli eventi. Spesso gli avveniva persino di parlare d’un inesistente «Partito Socialista Russo», che ben corrispondeva alle contemporanee aspirazioni unitarie di Černov – del quale in quelle settimane riuscì anche a pubblicare qualche articolo sull’“Avanti!” – ma che aveva ben poco riscontro nella realtà politica del paese. La figura di Lenin, soprattutto, subiva nei suoi testi un particolare processo di accantonamento, di riduzione a puro elemento d’intransigente estremismo, di esempio ormai superato delle divisioni del difficile passato pre-rivoluzionario. Lo descriveva come
un dogmatico, […] forse un po’ troppo astratto e non sempre preoccupato delle esigenze della vita e della realtà della evoluzione economica. È un temperamento rivoluzionario, intransigente; spesso intollerante e imperioso. […] Conoscendo però le condizioni di sviluppo del movimento operaio russo, possiamo senza difficoltà predire la prossima e forse imminente fusione di tutte le frazioni in un partito unificato. Già la guerra distrusse molti ostacoli e poche sono le differenze che dividono le varie frazioni dell’internazionalismo russo […]15 .
Non erano certo rappresentazioni della realtà russa che potessero aiutare i socialisti italiani a comprendere gli avvenimenti, ma nei tre mesi successivi, fino alla sua partenza per la Russia a metà giugno, Suchomlin avrebbe mostrato sempre più nettamente i tratti originali del quadro che andava tracciando. Definire la rivoluzione, significava per lui anzitutto precisare i contenuti della politica russa, che si sforzava di presentare mescolando le proprie conoscenze del socialismo pre-rivoluzionario con le scarse notizie che poteva direttamente ricevere dalla Russia. I socialisti, impegnati nelle trattative per la partecipazione al governo, non stavano tentando di «arrivare alla socializzazione di tutti i mezzi di produzione e di ricambio», ma puntavano al «progettato profondo riordinamento della proprietà fondiaria» richiesto dai soviet contadini, quindi a realizzare «larghe riforme sociali» che portassero a «importanti conquiste sociali delle classi lavoratrici»: un programma che «rispecchia la vera essenza della rivoluzione»16 .
Una rivoluzione socialista, dunque, soprattutto perché dominata dalla «classe rivoluzionaria e socialista che è alla testa di tutto il vastissimo movimento»17, cioè garantita dalla forza dei soviet, presentati sempre più nettamente non come «corpi costituiti, alla stregua dei Parlamenti e dei Consigli municipali», ma come strutture in contatto permanen-
13 Junior [Vasilij V. Suchomlin], La politica estera del proletariato, “Avanti!”, 13 aprile 1917. 14 Junior [Vasilij V. Suchomlin], La Rivoluzione russa, cit., p. 47 (il corsivo è nel testo). 15 Junior [Vasilij V. Suchomlin], Lenin, “Avanti!”, 25 aprile 1917. 16 Junior [Vasilij V. Suchomlin], Cominciano a dire la verità, ibid., 4 maggio 1917. 17 Junior [Vasilij V. Suchomlin], Pace senza conquiste, ibid., 15 aprile 1917.
te e diretto con la larga base popolare della rivoluzione, come organismi che svolgevano un’ampia funzione egemonica – un concetto da tempo caro alla cultura politica di tutto il socialismo russo, dalla quale sarebbe passato più tardi anche a quella italiana: «al seguito della classe rivoluzionaria, intorno alla Russia del Lavoro, si raggruppano anche altri strati della popolazione […]. Non si tratta di una “dittatura” del proletariato, ma certamente il proletariato socialista e rivoluzionario in questo momento critico rappresenta gli interessi e le aspirazioni della grandissima maggioranza della popolazione»18 . In un contesto così partecipativo e controllato dal basso, tra fine maggio e inizio giugno Suchomlin poté infine rappresentare il primo ingresso in un governo di coalizione dei menscevichi e dei socialisti-rivoluzionari, con l’esclusione delle loro ali internazionaliste, come un atto estremamente innovativo e rivoluzionario, «non rassomigliante per nulla alle altre partecipazioni socialiste alle quali la guerra europea diede il triste inizio»19. Tra i nuovi ministri vi era anche Černov, del quale per l’occasione vennero ripresentate anche alcune specifiche definizioni del socialismo europeo, vittima dell’«addomesticamento» subito dai rappresentanti del legalismo marxista e dai dottrinari della fatale evoluzione verso il socialismo, che attribuendo al proletariato «una innata virtù socialista» avevano largamente peccato d’un unilaterale «industriocentrismo», fino a sviluppare una tale fiducia nei risultati dell’introduzione del capitalismo nei paesi agrari più arretrati da dare origine a un vero e proprio «social-imperialismo», che solo la rivoluzione russa aveva cominciato a spezzare20 .
Era una visione titanica ed estremamente ampia degli avvenimenti russi di quei mesi, che nel complesso rilanciava il tipico volontarismo socialista-rivoluzionario anche su un più largo piano storico, attribuendogli una forza e una decisione ben maggiori di quanto effettivamente possedesse. Non stupisce perciò che un intellettuale socialista inquieto come Antonio Gramsci, particolarmente sensibile al valore attivo dell’azione rivoluzionaria e nutritosi in quei mesi anche della lettura di questi testi, potesse largamente riprenderne idee e definizioni nella stampa socialista torinese cui allora collaborava21 . Nell’estate del 1917 il mito della rivoluzione russa si identificò in Italia soprattutto nell’idea della pace, e fu quindi intorno a questo tema che i socialisti russi vicini al PSI ripresero a costruire la loro immagine della rivoluzione. La repubblica democratica che stava affermandosi nell’ex-Impero continuava infatti la guerra, ma attivamente suscitando al proprio interno – e in parte anche in Europa occidentale – agitazioni d’ogni genere, scioperi sempre più radicali, tentativi di riconvocare l’Internazionale socialista. Michail Vodovozov, un ingegnere di evidente formazione socialista-rivoluzionaria che aveva lavorato negli anni precedenti la guerra in diverse aziende elettriche francesi e italiane, divenne allora il più attento costruttore di quell’immagine sull’“Avanti!”, al quale avrebbe continuato a collaborare in forme diverse fino al 1920. Il tema era in realtà fortemente divisivo, e tale da rendere molto difficile la continuità – che pure inizialmente vi fu – con la principale eredità politica lasciata da Suchomlin
18 Junior [Vasilij V. Suchomlin], Plekhanoff, Miliukoff e Lenin, ibid., 5 maggio 1917. 19 Commento a Una dichiarazione del “Soviet” sulla partecipazione dei socialisti al governo, ibid., 16 giugno 1917. 20 Junior [Vasilij V. Suchomlin], Tre ministri zimmerwaldisti, ibid., 20 maggio 1917. 21 Antonio Gramsci, Scritti (1910-1926). Vol. 2. 1917, a cura di Leonardo Rapone, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2015.
al socialismo italiano: l’idea d’una sostanziale unità del socialismo russo post-rivoluzionario. Vodovozov mancava largamente della forza intellettuale e dell’esperienza politica del suo predecessore, e le sue costanti simpatie per Černov e per una politica del soviet di Pietrogrado che immaginava molto più internazionalista di quanto realmente fosse, lo portarono in realtà, nel giro di pochi mesi, a costruire rappresentazioni piuttosto confuse degli avvenimenti russi. Il bolscevismo, in particolare, attraverso lui continuò ad essere rappresentato in modo incerto, come «il nemico più temibile della borghesia capitalistica, […] pur non essendo una lotta per la vita – non ammettendo Lenin giunto il momento della rivoluzione sociale e della soppressione del capitalismo». Più chiara, invece, era la sua lettura del leninismo quale intransigente politica d’opposizione alla guerra, quella che più stava conquistando consensi anche in Italia: «I bolsceviki hanno affermato ripetutamente che vogliono la pace per tutti i popoli, le cui masse lavoratrici devono unirsi tutte, anziché combattersi, ed il solo nemico che devono combattere – diceva proprio questo Lenin nei suoi scritti che lor signori non hanno mai letto – è il capitalismo imperialistico e militarista internazionale»22 . Alla fine dell’estate del 1917, Vodovozov cominciò a unire diversi elementi della sua rappresentazione della rivoluzione in un’unica immagine, particolarmente accattivante per l’opinione socialista italiana, in cui identificava la politica bolscevica con il progetto d’un governo provvisorio esclusivamente socialista che garantisse la convocazione della Costituente, fondando su questa base l’aspettativa della realizzazione d’un largo fronte comune socialista che governasse finalmente il paese in pieno accordo col soviet di Pietrogrado. Non erano i bolscevichi, dunque, ma la borghesia russa che «provocava, amplificava ed acutizzava in ogni modo l’opposizione fra il governo ed il soviet»23, e anche il tentativo controrivoluzionario armato di Kornilov non era che «un nuovo passo in avanti verso l’applicazione del programma di Lenin: un governo schiettamente socialista con tutte le sue conseguenze»24, che affidasse la guida «della nave barcollante ad una direzione unica sia del capitale, sia del lavoro»25. Un programma che comunque, ancora seguendo la linea interpretativa ereditata da Suchomlin, non veniva presentato come esclusivamente bolscevico: anche Černov, «che fu uno dei primi sostenitori dell’alleanza con la borghesia in un governo di coalizione, ha mutato con il mutare della situazione stessa per arrivare in prima linea fra i difensori del governo di classe»26 .
Il colpo di Ottobre, la creazione del nuovo governo da parte del partito bolscevico – giunto ormai ad avere la maggioranza sia all’interno del soviet di Pietrogrado sia nei nuovi municipi di quartiere della capitale eletti su più larga base democratica – non aveva quindi bisogno di particolari spiegazioni. Ma la rappresentazione che ne dava allora Vodovozov – per quanto attraverso le maglie d’una censura italiana particolarmente dura nei giorni della disfatta di Caporetto – continuava a distorcere alcuni punti fondamentali della situazione russa, peraltro senza incontrare particolari obbiezioni da parte della direzione del socialismo italiano. La sua immagine dell’Ottobre era tutta costruita sull’idea d’una fondamentale unità del movimento socialista internazionalista russo, e quindi sostanzialmente
22 ING. [Michail Vodovozov], Leninismo, “Avanti!”, 22 agosto 1917. 23 ING. [Michail Vodovozov], La borghesia al lavoro in Russia, ibid., 26 agosto 1917. 24 [Michail Vodovozov], Nuovi grandi avvenimenti in Russia, ibid., 11 settembre 1917. 25 ING. [Michail Vodovozov], La conferenza democratica, ibid., 2 ottobre 1917. 26 ING. [Michail Vodovozov], La conferenza democratica, ibid., 6 ottobre 1917.
disinteressata alle notizie che subito iniziarono a giungere – anche da un menscevico internazionalista come Martov – sul nuovo governo di Pietrogrado, che si reggeva non solo sul soviet ma anche sui soldati armati, sugli arresti degli avversari e sulla soppressione della libertà di stampa e di riunione. La sua immagine apertamente conciliatrice, figlia d’una cultura politica non rigidamente partitica, era particolarmente adatta ad essere recepita da un socialismo italiano allo stesso tempo aprioristicamente schierato a favore del nuovo governo e in gran maggioranza del tutto estraneo alle rigidità e alle durezze del bolscevismo. Anche le elezioni per la Costituente, che si tennero nelle due settimane successive, per Vodovozov furono solamente un’occasione per confermare che gli eletti socialisti-rivoluzionari non potevano essere considerati contrari al nuovo governo, e che questo non aveva nessun «malvagio proposito» contro l’assemblea:
Conosciamo Cernoff, sappiamo che è un zimmerwaldiano [internazionalista] convinto e fermo, il cui programma è sostanzialmente eguale a quello dei bolsceviki. […] l’opposizione di Cernoff al governo di Lenin non verte che sulla forma dell’attuazione della dittatura della democrazia rivoluzionaria […]. Un accordo fra lui e Lenin, cioè fra i loro rispettivi partiti, non è che questione di giorni: ne siamo sicuri27 .
Idee in parte simili circolavano in quei giorni anche all’interno della più ristretta direzione bolscevica – persino pubblicamente, attraverso Zinov’ev e Kamenev – ma qui esse sembrano piuttosto rappresentare l’interessante costruzione d’un socialista russo molto sensibile a una cultura politica tipica della più generica sinistra socialista, e molto insistente nell’elaborare una rappresentazione che continuasse a dare un senso unitario a quel che andava avvenendo in Russia. Nelle ultime settimane del 1917, infine, la consonanza tra questa immagine della rivoluzione e la tradizione politica del socialismo italiano tendente a mescolare volontà unitarie e aspirazioni rivoluzionarie, contribuì a impedire che il PSI si confrontasse con una diversa costruzione della realtà russa, figlia dell’ultimo governo socialista di Kerenskij ma realizzata da un gruppo di socialisti russi che vivevano in Italia già prima del 1914-15 e che nelle condizioni dell’Europa in guerra vi erano rimasti anche dopo la rivoluzione di Febbraio. Il 2 dicembre 1917 iniziò ad uscire a Roma il settimanale “La Russia”, pubblicato con fondi giunti – attraverso l’ambasciata russa – dal governo e direttamente dal PS-R. Sotto la direzione d’un socialista-rivoluzionario da tempo dedito allo studio della comune rurale russa contemporanea – Karl Romanovič Kačorovskij – e d’un filosofo vicino al PS-R e traduttore di Croce – Boris V. Jakovenko28 – il giornale si proponeva soprattutto di rafforzare i legami italo-russi e di diffondere in Italia la tradizione politica e culturale del populismo russo, ma divenne subito strumento importante anche per la costruzione di un’immagine degli avvenimenti del 1917 pienamente inserita nella tradizione culturale e politica socialista-ri-
27 ING. [Michail Vodovozov], La Costituente, ibid., 19 dicembre 1917. 28 Per un quadro complessivo della sua azione in Italia cfr. Tommaso dell’Era, Političeskie proizvedenija B.V. Jakovenko: ital’janskij period [Opere politiche di B.V. Jakovenko: il periodo italiano], in Boris Valentinovič Jakovenko, a cura di Aleksandr Aleksandrovič Ermičev, Rosspen, Moskva 2012, pp. 402-428.
voluzionaria, ma dai tratti molto diversi da quella diffusa fino ad allora da Suchomlin o da Vodovozov. Jakovenko, che tra i due direttori de “La Russia” più identificava la rivoluzione con la guerra contro il militarismo imperialista tedesco, ne diede subito una visione fortemente epica: «Come si compì la Riforma, come trionfò la Grande Rivoluzione Francese, così oggi, in questa guerra, si svolge la Grande Rivoluzione Europea»29. Ma anche Kačorovskij non fu da meno: «La rivoluzione russa è tanto enorme e complessa, quanto è enorme e complessa la Russia. Da un gigante è nato un gigante»30. La loro contrapposizione al nuovo potere bolscevico, e soprattutto alla sua volontà di abbandonare la guerra contro gli Imperi centrali, era fortissima, ma fin dall’inizio “La Russia” si sforzò di darne una rappresentazione di lungo periodo, in modo da farne un «episodio», una «malattia», l’inevitabile «periodo negativo» d’un grandioso processo ancora lontano dal «compiere il suo ciclo storico»31 . Con l’ormai prossima vittoria alleata sulla Germania, sarebbe crollato il governo emerso dal colpo di Ottobre, insieme anarchico e antidemocratico: «Già non è più il partito organizzato dei bolsceviki che sta al potere, bensì il “bolscevismo”»32, un sistema demagogico ed esclusivamente distruttivo che il popolo russo avrebbe spazzato via appena avesse potuto esprimersi «più liberamente e più interamente»33 .
Dal gennaio 1918 lo scioglimento per via militare della Costituente a larga maggioranza socialista-rivoluzionaria, ad opera del governo bolscevico, avvenuta la sera stessa della sua convocazione, ammutolì per più di due mesi Vodovozov. Quando tornò a collaborare all’“Avanti!”, sia pure con un diverso pseudonimo, la lettura della rivoluzione che egli continuò a proporre riprese però il tratto fondamentale di quella precedente: l’immagine d’una sostanziale unità del socialismo internazionalista russo. Furono le prime notizie d’un intervento straniero a spingerlo a confermare quella rappresentazione così lungamente costruita: in Russia la «democrazia rivoluzionaria» era «bensì divisa – e ciò costituisce il nostro più grande dolore – in due campi che si combattono accanitamente», ma sarebbe stato «fare ingiuria ai partiti socialisti di Russia» ammettere che essi potessero appoggiare una politica d’intervento «a favore di una delle due parti; le quali finiranno in fin dei conti, e quasi certamente, per mettersi d’accordo»34. Neanche la pace separata con gli Imperi centrali – firmata in marzo dal governo di Lenin a costo d’una rottura anche con i socialisti-rivoluzionari di sinistra che lo avevano effettivamente appoggiato – lo spinse a riconsiderare la sua rappresentazione della realtà russa. Vi aggiunse, piuttosto, un ulteriore elemento di contraddizione sottolineando, con atteggiamento molto socialista-rivoluzionario, che comunque «la democrazia rivoluzionaria dovrà prepararsi ad una lotta
29 Editoriale anonimo e senza titolo, “La Russia”, 2 dicembre 1917, anche ripubblicato in Boris V. Jakovenko, Articoli su avvenimenti politici in Russia, 1917-1921, D. Jakovenk, Woodend 1984, pp. 1-6. 30 C. Caciorovsky [Karl Romanovič Kačorovskij], La Grande Rivoluzione Russa. I. La rivoluzione e la guerra, “La Russia”, 2 dicembre 1917. 31 Boris V. Jakovenko, La Russia e la stampa alleata, ibid., 7 dicembre 1917. 32 C. Caciorovsky [Karl Romanovič Kačorovskij], I bolsceviki e il “bolscevismo”, ibid., 21 dicembre 1917. 33 Editoriale anonimo e senza titolo, ivi. 34 Nado [Michail Vodovozov], E la Russia?, ibid., 16 marzo 1918.
inevitabile col kaiserismo […] e questa non sarà solamente una lotta difensiva, ma può darsi che abbia anche un carattere offensivo»35 .
Con il sopraggiungere dell’estate, mentre la direzione del PSI proibiva esplicitamente la pubblicazione degli articoli anti-bolscevichi che a nome del PS-R da Stoccolma inviava Suchomlin, divenuto intanto deputato della Costituente e membro del Comitato Centrale del suo partito, apparve però evidente che la realtà russa andava ulteriormente smentendo l’intera costruzione di Vodovozov. Dopo aver affermato ancora una volta che il programma del PS-R era «quasi identico a quello dei bolscevichi, i quali d’altronde, per la parte agraria accettarono il programma di Cernoff»36, egli avrebbe quindi interrotto nuovamente la sua collaborazione all’“Avanti!”, questa volta per più d’un anno. Nel frattempo, a sottolineare ancora la durezza politica dei tempi, la direzione de “La Russia” si spaccò e nel giugno 1918, con l’appoggio dell’ambasciata russa e direttamente di Kerenskij da Parigi, diede vita a “La Russia nuova”, guidata ormai solo da Jakovenko dopo l’espulsione di Kačorovskij, che meglio ne aveva rappresentato l’anima più direttamente legata alla maggioranza del PS-R.
Ma la nuova linea, sostanzialmente d’appoggio a qualsiasi intervento militare anti-tedesco in Russia e conseguentemente di alleanza con le forze russe più apertamente controrivoluzionarie, durò solo i pochi mesi che ancora mancavano alla fine della guerra europea, per altro convivendo sulla nuova rivista con una serie di rappresentazioni della guerra civile, d’immagini della violenza rivoluzionaria, che con una simile alleanza erano invece del tutto inconciliabili. Da questo punto di vista, l’esempio forse più impressionante è il modo in cui “La Russia nuova” lesse e definì l’esecuzione dello zar e di tutta la sua famiglia, avvenuta nel luglio di quell’anno. «Nicola Romanov» – veniva infatti spiegato – era morto senza aver potuto assistere «al tramonto di Nicola Lenin»: era scomparso così solo «uno dei grandi colpevoli dello sfacelo russo», ma si poteva intanto cominciare a festeggiare la scomparsa di chi aveva fatto fucilare migliaia d’innocenti «e s’illudeva, colla sicurezza beota degli imbecilli, che l’ordine politico e sociale si poteva acquistare a prezzo di sangue». La logica della storia, «ferrea e feroce», aveva «vendicato gli impiccati di Stolypin», né vi sarebbe stata «anima viva» a rimpiangere lo zar, caduto «in uno spaventoso vuoto, ove trascina con sé la sua dinastia»37. Anche in Italia, tutti dovevano capire che la rivoluzione russa «non può volgersi indietro ed essa non mercanteggia mai, se essa fa delle follie essa stessa le rifiuta, così avvenne ora col bolscevismo, ma mai una rivoluzione viene a patti con il regime del passato»38 . Non stupisce quindi che nel 1918 “La Russia nuova” riuscisse a diffondere le sue rappresentazioni della rivoluzione solo negli ambienti dell’interventismo socialista e democratico – da Bissolati a Salvemini e Zanotti Bianco – e nella più frammentata area del socialismo non ufficiale – dai socialisti riformisti ai sindacalisti rivoluzionari interventisti, fino anche al Partito Repubblicano – senza però riuscire ad entrare in contatto col PSI, che avrebbe potuto fornire alle sue immagini della rivoluzione una ben più ampia platea.
35 Nado [Michail Vodovozov], Il pensiero del Congresso dei Soviets, ibid., 25 marzo 1918. I corsivi sono nel testo. 36 Nado [Michail Vodovozov], Gli avvenimenti di Mosca, ibid., 28 luglio 1918. 37 V.[ladimir] Zabughin, …Nemesi, “La Russia nuova”, 2 luglio 1918. 38 A.[nna] Kolpinska [Anna Nikolaevna Mislavskaja-Kolpinskaja], Con chi?, ibid., 17 settembre 1918.
Nell’estate, la rivista fece anche un diretto tentativo di convincere pubblicamente l’“Avanti!” – e direttamente Vodovozov, per «la buona conoscenza delle cose russe che possiede evidentemente» – a difendere in Italia non la «rivolta bolscevica» e la sua «disastrosa politica», ma «la rivoluzione russa, che nonostante la fase oscura del leninismo conserva il suo valore politico-sociale incondizionatamente rilevante»39. Ma proprio allora la maggioranza del socialismo italiano stava invece completando la sua svolta filo-bolscevica, figlia di un’antica ansia d’intransigenza rivoluzionaria e non d’una chiara visione della realtà russa, alla quale per altro Vodovozov non aveva certo contribuito. Qualche mese più tardi, quando con la fine della guerra europea venne meno lo stimolo politico dell’occupazione tedesca dell’Ucraina e in Siberia l’ammiraglio Kolčak poté quindi effettuare il colpo di Stato che lo portò alla guida del più ampio apparato di governo anti-comunista impegnato nella guerra civile, anche i governi dell’Intesa – liberi dagli impegni di guerra – lanciarono la loro politica di diretto, debolissimo intervento militare sul suolo russo e s’impegnarono ad isolare in ogni modo il paese. Ma, come notò già alla fine del 1918 “La Russia nuova”, il rafforzarsi della reazione militare interna non poteva non provocare «lo scisma nella coalizione tanto naturale finora delle forze antileniniste» russe, e «respingere i suoi circoli democratici-rivoluzionari verso la sinistra orientandoli così nella direzione del bolscevismo»40. Nel febbraio 1919, la rivista dichiarò così di ben comprendere «i veri rivoluzionari» che in Russia preferirono allora «gettarsi nelle braccia del bolscevismo»41 per opporsi alla «guerra a tutto il popolo russo» che, per reazione, stava riunificando tutti i «socialisti, democratici, bolsceviki, socialisti rivoluzionari e socialisti popolisti»42 .
La prospettiva era completamente cambiata, e il settore socialista che più direttamente incarnava l’eccezionale continuità con l’emigrazione precedente il 1917 offriva ormai al mondo politico italiano un’immagine della rivoluzione ben più radicale ed orientata molto diversamente verso i governi russi in lotta. Come sempre nei suoi momenti di svolta e di crisi politica, la rivista interruppe allora le pubblicazioni per qualche mese, riprendendole poi nell’aprile 1919 senza più nessun appoggio dell’ambasciata kerenskiana a Roma, in un primo tempo semplicemente tornando alle sue origini socialiste-rivoluzionarie ma infine avvicinandosi apertamente al governo sovietico.
Nel pieno della guerra civile, la sua rappresentazione del processo rivoluzionario divenne sempre più apertamente quella d’un largo movimento ancora in pieno sviluppo, in cui già prima della fine dell’anno, però, la funzione del partito al potere a Mosca assumeva più ampie dimensioni e funzioni storiche:
Il bolscevismo è la creazione, è il prodotto autenticissimo del movimento rivoluzionario russo. Secondo le sue realtà esso è altamente e veramente ideale. La sua sfortuna e tutta la sua inaccettabi-
39 Anna Kolpinska [Anna Nikolaevna Mislavskaja-Kolpinskaja], Il leninismo, la Russia e la guerra. Una risposta al Sig. Nado dell’“Avanti!”, ibid., 6 agosto 1918. 40 La minaccia di reazione, ibid., 10 dicembre 1918. 41 Commento redazionale a Un appello dei socialisti-rivoluzionari, ibid., 7 febbraio 1919. 42 Anna Kolpinska [Anna Nikolaevna Mislavskaja-Kolpinskaja], Disperazione, ibid., 6 giugno 1919.
lità per un democratico rivoluzionario derivano dalla sua tattica, dai metodi e mezzi che esso ha preferito, anzi fu costretto di scegliere. Il bolscevismo usa mezzi bassi per raggiungere uno scopo alto43 .
Fu un’evoluzione politica assai caratteristica, in cui sia per ragioni di tipo patriottico sia per un più netto ritorno ai principii rivoluzionari, intellettuali vicini al PS-R che per primi in Italia si erano battuti contro il nascente mito sovietico finirono invece per rimanerne parzialmente soggiogati. Un simile discorso sulla rivoluzione russa, per altro, piacque subito alla direzione del PSI e nella seconda metà del 1919 non solo l’“Avanti!” ripubblicò alcuni articoli de “La Russia nuova”, ma il partito cominciò persino a finanziarne in parte la pubblicazione, sebbene in misura appena sufficiente a farla sopravvivere stentatamente solo fino al febbraio 192044 .
Superata così in gran parte la vecchia contrapposizione degli anni di guerra tra socialisti difensisti e internazionalisti, nel 1919 anche all’interno della piccola ma politicamente assai attiva emigrazione socialista-rivoluzionaria in Italia emersero dunque nuove linee di divisione, tutte ormai incentrate esclusivamente sul tema dell’atteggiamento verso il governo centrale russo e la sua identità comunista. La rappresentazione che avevano finito per darne gli emigrati de “La Russia nuova” era arrivata a mostrare numerosi elementi di oggettiva convergenza con quella proposta nei due anni precedenti da Vodovozov, capitoli diversi ma paralleli della storia della trasformazione d’una parte dell’eredità socialista-rivoluzionaria in un nuovo atteggiamento sostanzialmente filo-sovietico, sia pur pieno di distinguo e contraddizioni. Alla fine di quell’anno, negli stessi mesi in cui si concretava l’ultima svolta politica de “La Russia nuova”, anche Vodovozov riprese del resto a scrivere sull’“Avanti!” ricominciando a mostrare un quadro della Russia rivoluzionaria non molto diverso da quello che egli stesso aveva elaborato negli anni precedenti, fondato sull’attesa d’un governo d’unità socialista su base sovietica: «Non sarebbe da escludersi […] l’entrata nel governo dei Commissari del popolo di Martoff […] e di qualche esponente dei social rivoluzionari di sinistra e di centro»45. Si trattava, questa volta, d’una fantasiosa forzatura di notizie molto propagandate dal governo comunista, circa accordi che esso andava effettivamente prendendo con alcuni spezzoni del PS-R ancora attivi in Russia.
Attraverso Vodovozov, parlava ormai il fascino del successo politico e militare, l’evidente forza d’attrazione esercitata dal nuovo regime al potere ormai da più di due anni, mostratosi ora anche in grado di riprendere con successo l’offensiva su ogni piano: «dobbiamo con gioia constatare che una larga concentrazione della democrazia rivoluzionaria – di cui abbiamo parlato altre volte augurandocene esito favorevole – si è effettuata sulla base del regime dei soviets». L’accordo, indebitamente enfatizzato e generalizzato, serviva
43 Boris V. Jakovenko, La nostra tattica, ibid., 30 ottobre 1919. 44 Jakovenko si fece allora storico della rivoluzione, ma la sua ampia opera scritta in italiano, oggi persa, rimase incompiuta. Conservata tra le sue carte, ne è stata recentemente pubblicata una ridotta versione russa, che giunge solo agli ultimi giorni del governo provvisorio: cfr. Boris V. Jakovenko, Istorija Velikoj russkoj revoljucii. Fevral’sko-martovskaja revoljucija i ee posledstvija [Storia della Grande rivoluzione russa. La rivoluzione di febbraio-marzo e le sue conseguenze], Dom russkogo zarubež’â im. Aleksandra Solženicyna-VIKMO M, Moskva 2013. Interessanti tracce della sua corrispondenza di quegli anni in Stefano Garzonio-Bianca Sulpasso (a cura di), Oskolki russkoj Italii… cit. 45 Nado [Michail Vodovozov], La concentrazione socialista in Russia, “Avanti!”, 3 dicembre 1919.
così a presentare un’immagine ormai veramente «sovietica» del nuovo regime, «con la piena libertà di azione nelle masse per tutti questi partiti», e quindi «la piena e generale espressione della democrazia rivoluzionaria della Russia, tale da sfidare qualsiasi parlamento e assemblea nazionale»46. Ancora l’anno successivo, in uno dei primissimi opuscoli sulla storia della rivoluzione pubblicati dal PSI, egli avrebbe rielaborato con particolare ricchezza d’analisi tutta la sua rappresentazione degli avvenimenti russi successivi al 1917, mirando ormai soprattutto a definire la differenza tra lo Stato sovietico e il partito di Lenin, che se nell’articolarsi del nuovo regime erano venuti stemperandosi l’uno nell’altro, avevano comunque visto il prevalere del primo sul secondo: «si può dire con assoluta certezza che è il bolscevismo che subisce l’influenza del sovietismo, influenza che si scorge nella trasformazione del partito comunista con una modificazione notevole dell’antico programma socialdemocratico»47 .
A quel punto, tuttavia, la situazione era mutata e Vodovozov si era trasformato nel più importante tramite ufficioso per l’instaurazione dei rapporti commerciali italo-sovietici, ruolo che avrebbe continuato a svolgere fino al sopraggiungere della più ufficiale missione di Vorovskij del 1921, che lo avrebbe totalmente esautorato. La sua ultima, assai ardita immagine della rivoluzione era dunque ormai funzionale anche alla nuova attività, tanto da trasformare il significato di tale rappresentazione della realtà russa in ben più banale propaganda per evitare che si confondessero «l’attività internazionale del partito comunista russo con quella dello stato stesso dei Soviety, il quale non ha e non può avere per iscopo di intervenire negli affari interni di altri stati»48 .
Rispetto al 1918, del resto, la situazione era cambiata anche perché gli attori in gioco erano aumentati e si erano ulteriormente diversificati, cosicché per i socialisti-rivoluzionari russi attivi in Italia si era aperta una più complessa fase, in cui la mutevolezza del quadro russo ben corrispondeva a una realtà politica italiana anch’essa in aperto movimento. In particolare, dopo la svolta elettorale del 1919 che grazie al sistema di voto proporzionale per la prima volta aveva ufficializzato la fine della rappresentatività del vecchio sistema liberale, la loro tradizionale lotta per guadagnare alle proprie posizioni il PSI era improvvisamente diventata una lotta per influire sulla parte più ampia dello spazio politico italiano. In questo quadro, tra la primavera e l’estate del 1919 erano giunti in Italia i due emigrati socialisti-rivoluzionari politicamente e intellettualmente più brillanti tra i fuoriusciti dalla Russia sovietica dopo la sconfitta socialista nella guerra civile: Mark L. Slonim e Grigorij Il’Ič Šrejder. Per quanto impegnati ambedue, anche con un preciso mandato di partito, nel diffondere un’immagine della rivoluzione che permettesse al socialismo occidentale di contrapporre le loro rappresentazioni a quelle diffuse dal governo russo, le loro attività ebbero tempi in parte diversi. Mentre Šrejder avrebbe assunto un ruolo pubblico nella nuova Italia solo a partire dall’anno successivo, Slonim s’impegnò subito in una fortunata campagna che giunse a toccare ambienti politici nuovi e la larga opinione pubblica italiana. Conosceva bene l’Italia, dove – già membro del PS-R – aveva compiuto i suoi studi letterari tra il
46 Nado [Michail Vodovozov], La concentrazione socialista nella repubblica dei soviet, ibid., 10 dicembre 1919. 47 Nado [Michail Vodovozov], Il bolscevismo ed il regime dei Soviety in Russia, Società Editrice Avanti!, Milano 1920, pp. 36-37. 48 Ibid., p. 52.
1911 e il 1915, mentre dopo il 1917 in Russia, in Bessarabia e in Ucraina aveva combattuto la sua battaglia di difensista rivoluzionario, di volta in volta contro i tedeschi e i bolscevichi, caratterizzandosi come precocissimo sostenitore della lotta armata contro il nuovo governo e organizzatore della guerra civile sulla Volga, in qualità di più giovane deputato della Costituente russa. Incaricato dal partito di svolgere propaganda all’estero, alla fine dell’estate del 1919 iniziò a collaborare regolarmente a “Il Secolo”, il grande quotidiano radical-democratico milanese, e poco dopo suoi articoli comparvero anche sul “Fascio”, l’organo milanese dei Fasci di Combattimento, il primo fascismo sansepolcrista.
Combattentismo nazionalista-rivoluzionario italiano e difensismo socialista-rivoluzionario russo trovarono così in lui per qualche mese un eccezionale punto di contatto, facendo di Slonim un emigrato molto particolare, negli anni della rivoluzione russa e della grande crisi del liberalismo europeo. Malgrado si concentrasse sempre più sulla sua attività di critico letterario, che tra le due guerre lo avrebbe portato ad essere un forte tramite fra la letteratura russa dell’emigrazione e quella in patria, all’inizio del 1923 egli sarebbe stato così uno dei primi e più interessanti analisti russi del movimento fascista, sulla principale rivista del centro emigrato del PS-R49. Al centro della sua analisi stava del resto l’inevitabile paragone con l’esperienza russa, che aveva ben conosciuto e alla cui rappresentazione avrebbe naturalmente dedicato il maggiore sforzo di definizione e descrizione, nell’Italia del biennio rosso 1919-20. Alla fine del 1919 Slonim scrisse il suo primo libro italiano sull’organizzazione dello Stato comunista, uscito nel gennaio dell’anno successivo50, seguito poco dopo da un secondo dal taglio più memorialistico che ebbe alte tirature e larga diffusione51. Se negli ultimi anni il comunismo «dai gabinetti scientifici» era sceso in piazza «per combattere i nemici non già coi ragionamenti teorici, ma con le bombe e mitragliatrici»52, tanto più era necessario comprendere cosa fosse il nuovo regime che si stava costruendo in Russia: «spetta a noi, rivoluzionari e socialisti russi, che abbiamo vissuto e lottato sotto il potere comunista, di gettare un po’ di luce»53. Giornalisticamente efficaci, descrittivi e precisi, gli scritti di Slonim colpiscono in effetti per la loro capacità di costruire immagini molto vive della realtà rivoluzionaria che un anno più tardi sarebbe stata definita “comunismo di guerra”, e tra libri e giornali la loro efficacia dovette essere notevole, anche se il socialismo italiano non diede allora alcun segno di ricezione. Il punto forse più interessante, nel quadro che veniva così offrendo, era la sua lettura molto realistica dell’istituzione sovietica propriamente detta.
Suchomlin, il primo russo costruttore dell’immagine della rivoluzione per i socialisti italiani, che sarebbe diventato il più vicino collega e amico di Slonim negli anni tra le due guerre, si era visto bloccare gli articoli inviati all’“Avanti!” nel 1918 quando aveva iniziato a raccontare dettagliatamente le tecniche anti-operaie del nuovo regime e la distruzione
49 Antonello Venturi, L’emigrazione russa nel dopoguerra europeo: Mark Slonim, il nazionalismo rivoluzionario e il fascismo (1914-1923), in Stefano Garzonio-Bianca Sulpasso, Russkaja emigracija v Italii: žurnaly, izdanija i archivy (1900-1940) [Emigrazione russa in Italia: periodici, editoria e archivi (1900-1940)], Europa Orientalis, Salerno 2015, pp. 131-152. 50 Mark Slonim, Il bolscevismo visto da un russo, Le Monnier, Firenze 1920. 51 Mark Slonim, La rivoluzione russa. Fatti ed impressioni, Zanichelli, Bologna 1920. 52 Mark Slonim, Spartaco e Bela Kun, Bemporad, Firenze 1920, p. 42. 53 Mark Slonim, Il bolscevismo… cit., p. VII.
dei comitati di fabbrica e dei soviet54. Ma la descrizione di Slonim era più strettamente funzionale, e forse persino più efficace: i soviet non erano che un sotterfugio per sfuggire al controllo del suffragio universale, un sistema di organizzazione della rappresentanza centrale stratificato attraverso corpi intermedi e quindi più indiretto di quello parlamentare, organismi prodotti da sistemi di voto localmente diversi e dalla periodicità arbitraria, strumenti pre-moderni d’un partito unico sovraccarico di poteri e di giurisdizioni: «ai Soviet spetta l’organizzazione dell’esercito, come pure il permesso per avere una bottiglia di vino, il vettovagliamento della città e l’invio per punizione in un villaggio vicino»55. Nel complesso, costituivano soprattutto il trionfo d’una burocrazia «giunta ad un grado addirittura inverosimile»56 . Nel 1920, mentre si andava lentamente spegnendo la guerra civile nei territori dell’ex Impero, in Italia iniziava così una vera e propria guerra di parole e d’immagini, una lotta per controllare lessico e significato degli avvenimenti in corso nella Russia sovietica, per rappresentarne in modo utile le gerarchie e le forme del controllo politico. I pochi russi attivi nello spazio politico italiano svolsero dunque il proprio ruolo confrontandosi con un mito cresciuto portando con sé elementi molto diversi, ma il cui tratto più significativo era forse proprio quello del soviet, il movimento dei Consigli che in Russia aveva ormai contenuti estremamente deboli e vaghi ma che avrebbe continuato ad alimentare una lettura della rivoluzione molto più democratica e popolare di quanto la realtà permettesse, fondando una tradizione che sarebbe sempre rimasta al cuore della più semplice e palese auto-definizione del “potere sovietico”. Naturalmente, il passaggio di tale mito all’esterno della realtà russa non fu un fenomeno esclusivamente spontaneo, e lo Stato sovietico nacque fin dall’inizio anche come un modernissimo Stato di propaganda, ma si trattò anche d’un complesso gioco d’incomprensioni in cui, accanto alla difficoltà del socialismo italiano a fare i conti con la realtà russa, ebbe un ruolo altrettanto opacizzante la contemporanea convinzione sovietica dell’imminenza e della strutturale radicalità di classe della rivoluzione europea.
Nel 1920, mentre la situazione politica italiana si andava radicalizzando e apriva la strada al fascismo, la posizione dei socialisti-rivoluzionari si fece ancora più netta. Nel corso dell’anno riemerse spesso la voce di Kačorovskij, che ebbe un certo successo nella stampa democratica e radicale italiana, da “Il Messaggero” a “L’Unità” o a “La Voce repubblicana”, continuando a contrapporre al potere sovietico il tipico sogno socialista-rivoluzionario d’una «repubblica democratica contadinesca», d’una «democrazia contadinesca cooperativa» che fosse per sua essenza «avversario assoluto, mortale, così del bolscevismo, come della controrivoluzione»57. Ma, come già era successo con “La Russia” nel 1917, egli rimase troppo nel vago per svolgere pienamente il proprio ruolo di creatore d’immagini, di rappresentazioni forti della realtà russa per il mondo politico italiano.
54 Fra i socialisti riformisti, vi fu comunque chi pubblicò allora i suoi scritti anche in Italia: V. Soukhomlin [Vasilij V. Suchomlin], Le elezioni al Soviet di Pietrogrado, “La Polemica socialista”, 10 agosto 1918. 55 Mark Slonim, Il bolscevismo… cit., p. 63. 56 Ibid., p. 66. 57 Un russo socialista rivoluzionario amico dell’Italia [Karl Romanovič Kačorovskij], Italia e Russia, “L’Unità”, 11 novembre 1920. Cfr. anche i riferimenti a Kačorovskij in Corrado Scibilia, Tra nazione e lotta di classe. I repubblicani e la rivoluzione russa, Gangemi, Roma 2012.
Grande propagandista e suscitatore di miti si rivelò invece, sempre in quel difficile 1920, l’ex sindaco della prima Pietrogrado rivoluzionaria, Šrejder. Brillante giornalista socialista-rivoluzionario, era vissuto in Italia tra il 1906 e il 1917, dove era stato corrispondente per la stampa russa e studioso di questioni municipali, oltre che di carboneria e mazzinianesimo58. Alla guida della capitale della rivoluzione e dell’ex Impero nell’estate del 1917, e delle prime organizzazioni democratiche antibolsceviche già nel gennaio successivo, dopo le più complesse vicende della guerra civile nella Russia meridionale era infine giunto a Roma, dove nel gennaio 1920 intervenne infine attivamente nella vita politica italiana attraverso la pubblicazione de “La Russia del lavoro” (“Trudovaja Rossija”), un nuovo tentativo di «settimanale socialista italo-russo».
Erano passati poco più di due anni dall’esperimento de “La Russia” ma la situazione era completamente mutata e, se anche il caso di Šrejder confermava la fortissima continuità tra emigrazione pre e post-rivoluzionaria – di lì a poco evidente, del resto, persino all’interno della prima rappresentanza commerciale e diplomatica sovietica in Italia – allo stesso tempo mostrava anche quanto la guerra civile avesse contribuito a formare una più brillante coscienza polemica nei socialisti-rivoluzionari che l’avevano direttamente vissuta. Ad aiutare l’ex sindaco nella sua missione italiana contribuì non poco suo fratello Isaak Il’ič Šrejder, anch’egli vissuto in Italia negli anni precedenti la rivoluzione e dopo il 1917 qui a capo della rappresentanza delle cooperative russe, un tempo potenti ma ora sempre più largamente esautorate dal nuovo apparato cooperativo controllato dal governo sovietico, rappresentato in Italia proprio da Vodovozov.
“La Russia del Lavoro” si rivolgeva ormai in primo luogo esplicitamente al PSI. Suo compito principale era dare una lettura degli avvenimenti russi che ne evitasse un’interpretazione quale scontro senza alternative tra il governo comunista e la reazione monarchica. Non avere «nel proprio campo visuale che questi due gruppi», obbligava infatti il socialismo italiano a mettersi «risolutamente e senza esitazioni dal lato sinistro della barricata riconoscendo, ed in tal caso giustamente, nel bolscevismo l’unico fattore fermentativo della rivoluzione». Ma si trattava di un’immagine brutalmente semplificata, che portava ad attribuire al nuovo potere «ciò che rappresenta una conquista della Rivoluzione Russa in genere e di tutto il movimento socialista russo, e che non è affatto un acquisto del colpo di stato di ottobre o del novello comunismo leninista», e impediva di capire che proprio la violenza del 1917 aveva invece avuto «per conseguenza lo sfacelo del fronte socialista unico e il rafforzamento del movimento reazionario di restaurazione», che poteva essere sconfitto solo attraverso la «rivolta delle masse lavoratrici della Russia contro il falso governo socialista dei bolscevichi attuali»59 .
Il fronte unico socialista andava ricostruito, ma senza i comunisti, che si erano posti «da sé fuori dalle file del socialismo per aver rinunciato alla fedeltà verso i principii del democratismo», racchiusi «nella massima che la liberazione degli operai dev’essere opera degli operai stessi». Ma oltre che predicare i principii della Prima Internazionale, la rivista
58 Antonello Venturi, Tra neopopulismo e repubblicanesimo. Grigorij Šrejder e l’autogoverno comunale italiano, 1912-1914, in Venok. Studia slavica Stefano Garzonio sexagenario oblata. In honor of Stefano Garzonio. Vol. 2, a cura di Guido Carpi-Lazar Fleishman-Bianca Sulpasso, Department of Slavic Languages and Literatures, Stanford University, Stanford 2012, pp. 9-17. 59 I.[saak] Schreider [Isaak Il’ič Šrejder], Ai compagni d’Italia!, “La Russia del Lavoro”, 15 gennaio 1920.
dava una rappresentazione della realtà sovietica d’un estremo realismo: «invece di essere una reale propaganda del socialismo, la maggior parte degli atti del Potere dei Sovietj negli occhi di masse poco coscienti possono servire solamente come una viva testimonianza contro il socialismo», essendone «una caricatura»60. La Russia era ormai il paese in cui «non si lavora perché non si mangia»61, e se la borghesia europea stava avviandosi sempre più apertamente a concludere accordi economici con il potere sovietico era perché aveva chiaramente «scorto dietro la chiassosa rettorica del bolscevismo qualche cosa non del tutto estraneo – lo spirito autoritario e la pratica della violenza dispotica»62 .
Il bolscevismo del 1917, del resto, dopo meno di tre anni era completamente scomparso, essendo «giunto alla negazione completa di se stesso». Nato nella lotta contro la guerra, aveva infatti creato «un esercito enorme», in cui regnava la disciplina zarista e comandavano vecchi generali «le di cui idee comuniste non possono essere prese che in ischerzo». Ma anche il lavoro operaio era stato militarizzato e veniva remunerato con «procedure finora combattute dai socialisti di ogni paese e considerate l’ultima espressione del regime capitalista», mentre il diritto di sciopero era «ricusato agli operai nella Russia dei Soviety», la giornata di lavoro era passata a 12 ore e «i consigli operai soppressi»63 .
Dopo l’estate del 1920, quando lo scontro tra il PSI e il Komintern sulle forme dell’adesione del partito italiano cominciò a farsi particolarmente forte, la rivista moltiplicò i propri sforzi per dare un’immagine della politica del partito russo utile a ridimensionare il mito leninista, cercando di contrastare «l’indiscutibile abilità del governo di Mosca» nel mostrare quello scontro nelle forme d’una contrapposizione ai «partigiani dell’autonomia dei partiti nazionali», mentre il vero problema era se e come accettare all’interno del Komintern un partito così ingombrante e così autoritario come quello russo. Nel resto d’Europa, infatti, «esistendo il parlamento, la libertà di parola, di stampa, di riunione, ecc. ecc., tutte le sfumature del pensiero, dell’attività, della condotta personale e politica hanno agio di manifestarsi», ma in Russia il partito comunista poteva agire senza nessuna forma di controllo pubblico, e impedire ai socialisti occidentali di avere «un’impressione giusta» della vita politica d’un paese in cui non era ammessa «neanche la critica socialista». Erano dunque i comunisti russi che avrebbero dovuto essere espulsi dal Komintern, «per la semplice ragione che la loro attività pratica è una infrazione indegna» delle regole della nuova Internazionale64 .
Al PSI, dai riformisti di Turati ai centristi di Serrati, “La Russia del Lavoro” rimproverava quindi di continuare a coltivare il «fatale malinteso che si racchiude nell’indebita identificazione della rivoluzione russa col bolscevismo russo». Ma era anche un’autocritica, poiché evidentemente anche i suoi redattori non erano riusciti a mostrare a sufficienza la realtà, e «la tragica sorte del popolo russo» non era «ancora abbastanza conosciuta in tutta la sua terrificante nudità». A nulla, evidentemente, era valsa la loro stessa esperienza
60 G.[rigorij] Schreider [Grigorij Il’Ič Šrejder], Per dissipare un equivoco, ibid., 11 febbraio 1920. 61 G.[rigorij] Schreider [Grigorij Il’Ič Šrejder], Le decisioni di Londra, ibid., 25 febbraio 1920. Il corsivo è presente nel testo. 62 I.[saak] Schreider [Isaak Il’ič Šrejder], Il flirt borghese-bolscevico, ibid., 7 marzo 1920. 63 V.[ladimir] Zenzinoff [Vladimir Mikhailovich Zenzinov], Esiste ancora il bolscevismo?, ibid., 14 marzo 1920. 64 I.[saak] Schreider [Isaak Il’ič Šrejder], L’obbedienza all’Internazionale o agli ordini di Mosca?, ibid., 17 ottobre 1920.
in Russia: «Voi adesso fate lo stesso lavoro di Sisifo, per il quale pure noi a suo tempo, alla vigilia del colpo di stato di Ottobre, abbiamo speso tanta energia»65 .
Neanche la scissione del PSI e la nascita del PCdI nel gennaio 1921, né due mesi più tardi la fine del comunismo di guerra e la proclamazione della NEP, si dimostrano in effetti sufficienti a mettere i socialisti italiani in contatto con l’emigrazione socialista russa anti-comunista, cosicché in quei mesi anche la campagna de “La Russia del Lavoro” dovette infine cessare. In realtà, l’ultimo lascito dei socialisti-rivoluzionati russi attivi in Italia negli anni subito successivi al 1917 fu, così, la precoce comprensione della difficilissima condizione politica dei socialisti italiani filo-sovietici, e poco dopo degli stessi comunisti italiani, nei confronti del partito comunista russo e dello Stato sovietico.