Bilancio sociale 2020

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Organizzazione di Volontariato Sulla Strada

2020 BILANCIO SOCIALE

Condividere, cuore forze e risorse con i più piccoli dei poveri

1 WWW.SULLASTRADA.ORG
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Chi siamo

Siamo stati generati da un sogno: realizzare la speranza della felicità e della sicurezza per quelli che appartengono all’umanità più debole ed emarginata, che noi abbiamo definito “i più piccoli dei poveri”.

Abbiamo parlato di “sogno”, e qualcuno potrebbe vederci un’utopia irrealizzabile.

Eppure, andare verso i poveri è il movimento più naturale per chiunque di noi stia meglio di loro. Infatti, come il corpo produce e manda le sue risorse migliori, più potenti, verso una sua parte indebolita o ferita, così il corpo sociale deve far fluire verso le sue parti più indebolite e malate le proprie risorse migliori. Il corpo privilegia sempre le sue parti più deboli. Quando poi tutto torna al suo equilibrio naturale, allora il deflusso di ogni risorsa sarà per tutto il corpo e non soltanto per una parte. “Prima gli ultimi”, dunque, non altri.

I bambini sono quelli che meglio rappresentano questi “piccoli”, perché sono assolutamente privi della capacità di badare a se stessi.

Per tutte queste ragioni, nessuno e nulla ci potrà mai schiodare dalla volontà di realizzare questo sogno. Lo abbiamo cominciato a costruire in luoghi determinati, come si evince dalle pagine che seguono, ma il nostro sogno non è un luogo, è una fede e, insieme, un infinito amore. Chi lo assume non aspetta di realizzarlo “qui o là”, perché è ragione prima ed ultima della sua stessa vita.

Né la politica, né l’appartenenza a uno stato sociale riusciranno mai a imbrigliare questo sogno dentro confini ben stabiliti.

Questo sogno ci ha resi ciò che siamo: felici, liberi e sicuri.

I nostri valori

Il valore fondamentale che innerva e tiene unita la nostra Associazione è la solidarietà.

La solidarietà precede l’egoismo perché l’umanità è nata come un “unicum”, come “una sola cosa”, e la solidarietà è una nostalgia che ci chiama e ci reclama continuamente, attraendoci in modo irresistibile a diventare tutti, un’altra volta, “una sola cosa”.

Lo stesso amore cristiano, che vive nel DNA di Sulla Strada, non è altro che “amore di solidarietà”.

Ma da quando è nato l’egoismo – e dovunque esso impera –la solidarietà, valore cosmico, è stato umiliato e ridotto a fatto privato, relegato al solo livello individuale. La solidarietà non è più, apparentemente, la vera forza che unisce fra loro gli esseri umani. Ciò che unisce oggi l’umanità sono invece le relazioni commerciali. Sono esse, e non la solidarietà, che fanno struttura, organizzazione, in questo nostro povero mondo, tanto più povero quanto più viene frammentato e diviso in classi sociali per via del Mercato Globale. A questo Mercato noi ci prostriamo, adorandolo. Il denaro ha preso il posto dei valori più grandi dell’umanità, come la solidarietà,

Condividere cuore, forze e risorse con i più piccoli dei poveri

che sono la nostra unica, vera ricchezza.

Il sogno che abbiamo descritto nella sezione “CHI SIAMO”, allora, rovescia per noi quell’assioma in modo assoluto, e il nostro impegno è quello di testimoniare con il lavoro serio, perseverante e professionale (questo lavoro è il nostro secondo valore), che un altro mondo è possibile e che lo stiamo già costruendo, insieme a tantissime altre associazioni e organizzazioni (come racconteremo in queste pagine).

La scienza ci dimostra che l’armonia è la legge che lega e organizza tutto il cosmo (macro e micro cosmo) e allora l’amore – armonia di rapporti – è la legge che ha il potere di riarmonizzare anche i legami degradati dall’egoismo.

L’amore è organizzazione. La solidarietà e l’amore sono resi visibili da un lavoro diversificato e dalle molte competenze. Solo in questo modo la solidarietà e l’amore diventeranno le leggi che strutturano e regolano l’intera umanità.

Questi valori, dunque, sono sintetizzati dalla frase che ci definisce fin dalla nostra nascita: “CONDIVIDERE CUORE, FORZE E RISORSE CON I PIÚ PICCOLI DEI POVERI”.

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Dove siamo

Guatemala

Villaggio La Granadilla, San Raymundo

Italia

Orte (VT) - Centro di solidarietà sociale

“Prima gli Ultimi”

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GUATEMALA

La situazione del Paese

Il 2020 è stato senz’altro un anno condizionato dalla pandemia mondiale del COVID-19. A causa di questa emergenza, che ha colpito tutti, le attività che avevamo in programma sono state naturalmente riviste, sospese o completamente stravolte. In Guatemala, soprattutto nelle aree rurali e più povere come La Granadilla, le conseguenze di questa emergenza si sono fatte sentire con ancora più forza.

Situazione economica e diritti umani

Il Guatemala è uno dei Paesi più poveri dell'America Latina e del mondo. Insieme ai due Paesi confinanti, Honduras e El Salvador, che costituiscono la regione più povera del Centro America, ha subito fortemente la pandemia del Covid-19 e le sue devastanti conseguenze.

Il 12 marzo 2020, l’Honduras ha confermato i primi due casi di Coronavirus e, il giorno dopo, il Guatemala ha annunciato di aver registrato il primo contagio.

Il Presidente del Salvador ha invitato i parlamentari a dichiarare lo stato d’emergenza (che permette di limitare le libertà di spostamento, di espressione e di associazione e consente alla polizia di effettuare arresti arbitrari), mentre il Guatemala ha dichiarato lo stato di calamità, applicando limitazioni ancora più restrittive.

In Guatemala, in Honduras e nel Salvador, più della metà della popolazione vive in condizioni di povertà, senza accesso ai beni essenziali. Questo significa, approssimando per difetto, che ci sono 13,5 milioni di poveri in questa piccola regione nella quale il Coronavirus ancora non ha fatto tutti i danni che potenzialmente può fare. I tre Paesi dell’America Centrale appaiono regolarmente, da decenni, nelle prime cinque posizioni delle classifiche dei più poveri del continente.

Il Covid non ha fermato la povertà e, di conseguenza, non ha fermato le migrazioni. In questo preciso momento ci sono persone il cui dilemma non è se mettersi in viaggio o meno. Queste persone viaggeranno qualunque cosa accada e dovranno fare i conti con tutti i pericoli che ne conseguono, oggi più che mai, perché non hanno altra scelta. Sono i soliti, quelli che viaggiano perché non hanno alternativa: i migranti verso gli Stati Uniti e quelli espulsi che cercano di tornare.

Il Guatemala è attualmente il paese dell'America centrale e dei Caraibi con il maggior numero di persone decedute per Covid (6.300 circa) e con uno dei tassi di mortalità più alti nella regione. È anche il terzo paese per numero di casi (175mila).

Con le politiche dell’ultimo anno, il Governo del Guatemala ha tagliato i fondi destinati alla Procura dei diritti umani. A causa di questa e altre politiche simili, si sono moltiplicati gli attacchi contro la Corte Costituzionale, una delle poche istituzioni ad aver mostrato un certo grado d’indipendenza, si è accentuata la repressione contro le persone che difendono la terra e i beni comuni e sono esplosi i casi di corruzione. Anche a causa di questa situazione, ci sono state importanti proteste in Guatemala: a novembre scorso, infatti, il popolo è sceso in piazza per chiedere le dimissioni del presidente Alejandro Giammattei e del Congresso. La situazione era così drammatica che lo stesso vicepresidente, Guillermo Castillo, ha chiesto al Presidente Giammattei di dimettersi insieme a lui ottenendo un rifiuto come risposta.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso era stata l'approvazione furtiva, in piena notte, di una legge di bilancio di quasi 13 miliardi di dollari che ha tagliato i fondi alla sanità (in piena pandemia mondiale!), all’istruzione, alla difesa dei diritti umani e alla lotta contro la povertà facendo innalzare il debito pubblico e beneficiando élite economiche e funzionari corrotti. Se si pensa che ancora oggi, nel Paese, la metà dei bambini sotto i 5 anni soffre di malnutrizione cronica e oltre il 60% della popolazione (l’80% della popolazione indigena) vive in condizioni di povertà, si può capire il motivo della rabbia diffusa.

A peggiorare la situazione nazionale, alla crisi economica, politica e sociale si sono aggiunti, nel 2020, la crisi sanitaria mondiale e il passaggio distruttivo di due uragani.

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Il Guatemala inizia, quindi, il nuovo anno trascinandosi una crisi sociale, politica ed economica che è lungi dall sere risolta.

Inoltre, continua a essere uno dei Paesi più pericolosi per chi pratica la difesa dei diritti umani e l'attività sindacale. Al 18 gennaio 2021, sono già 42 le donne vittime di femminicidio, 6 di esse assassinate in un solo giorno, e sono almeno 4 le donne che “spariscono” ogni giorno.

“Per questo governo i diritti umani non sono una priorità e il regresso è evidente” , afferma Leiria Vay García, membro della direzione politica nazionale del Comitato di sviluppo contadino (Codeca). “Pandemia e disastri naturali sono giunti ad acutizzare una crisi che era già profonda e sta facendo affondare il Paese, aggravando la situazione di povertà e disoccupazione tra la popolazione”. In poco più di due anni, 19 membri del Codeca sono stati assassinati in totale impunità.

È una situazione molto complicata, che ha ora l’aggravante della pandemia e dei disastri causati dai due uragani. Una situazione drammatica che affonda le sue radici nell’implacabile introduzione e inasprimento di un modello economico neoliberista ed estrattivista, che comporta la depredazione e militarizzazione dei territori, così come la criminalizzazione e assassinio di uomini e donne che li difendono. “Il nuovo anno inizia in condizioni molto difficili per i popoli che storicamente subiscono le stangate di questo modello politico ed economico imposto dalle oligarchie”, afferma ancora Leiria Vay García del Codeca.

Nel suo ultimo rapporto (dicembre 2020), l'Unità di protezione delle difensore e difensori dei diritti umani del Guatemala, Udefegua, ha documentato un totale di 1004 casi di aggressioni. Si tratta del numero più alto di aggressioni contro persone, organizzazioni e comunità che tutelano i diritti umani registrata dalla stessa organizzazione. Del totale dei 1004 casi di aggressione, il 33,66% (338 casi) è avvenuto contro donne, il 52,87% (530 casi) contro uomini, il 13,54% (136 casi) contro collettivi, organizzazioni e comunità. Sono stati registrati anche 15 omicidi, 22 tentati omicidi e 313 atti criminali contro persone che difendono i diritti umani.

“L’attuale governo – dichiara Udefegua, la Unidad de Protección a defensoras y defensores de Derechos Humanos de Guatemala – ha smantellato tutte le istituzioni che si occupano di pace e diritti umani così come i pochi e deboli meccanismi di protezione esistenti. A loro volta le aggressioni registrate e documentate testimoniano come questo periodo di pandemia sia stato utilizzato per reprimere, praticare violenza e/o aggredire coloro che tutelano i diritti umani nel Paese”.

Il Coronavirus corre ancora molto velocemente, soprattutto nelle regioni più povere del pianeta. Al momento attuale, nel Mondo si registrano quasi 22milioni di casi attivi, di cui 90mila in situazioni critiche. A distanza di un anno dall’inizio della pandemia, il mondo ha registrato 2,5milioni di decessi a causa del Covid-19.

Una vera catastrofe umanitaria su scala globale, una pandemia che si porta dietro strascichi di fame e povertà, secondo quanto indicato dal WFP (World Food Programme, Programma Mondiale per l’Alimentazione), che negherà a più di un miliardo di persone la soddisfazione dei più basilari diritti umani, riportando il mondo indietro di oltre cento anni.

La pandemia ha generato una grave crisi economica che colpisce in particolar modo le persone che vivono del lavoro saltuario: per chi vive alla giornata, il lockdown ha significato l’impossibilità di procurarsi il cibo quotidiano. Il 70% della popolazione mondiale ha un lavoro precario e informale: in queste condizioni, la scelta è tra morire di Covid o morire di fame.

Il Covid ci ha ricordato l’importanza di lavarci frequentemente le mani. Ma nei paesi centroamericani, come il Guatemala, una grande percentuale della popolazione non ha accesso ad acqua pulita. L’approvvigionamento idrico costa caro e le forti diseguaglianze che caratterizzano la società guatemalteca portano a un’ingiustizia feroce anche nell’accesso ai beni che dovrebbero essere di tutti. Chi vive nelle zone più ricche e possiede una cisterna che accumula acqua negli orari in cui il servizio funziona, può lavarsi le mani come indicato nei manuali. Ma se si deve estrarre l’acqua dai pozzi per bere e cucinare, è probabile che non se ne sprecherà neanche una goccia per attenersi alle istruzioni dell’Organizzazione mondiale della sanità.

Nelle zone rurali del Guatemala una persona su cinque vive in condizioni di povertà, cioè con meno di 1,50 dollari al giorno. Queste persone si guadagnano da vivere sulla strada, dovranno viaggiare stipati sui mezzi pubblici, reggendosi, stringeranno mani per concludere affari e tenderanno il palmo per ricevere monete, quando verranno pagati.

Perché, se non lo faranno, a ucciderle non sarà il Covid. Sarà la fame.

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VACCINI. Nessuno è salvo finché non sono tutti salvi

Con quasi 250 milioni di dosi di vaccino somministrate nel Mondo, ad aver della popolazione mondiale. Oltre i 3/4 delle dosi somministrate finora sono registrate in soli 10 Paesi

allarme lanciato da Unicef e Organizzazione Mondiale della Sanità denuncia accesso al vaccino contro il Questa strategia autolesionista che costerà vite e mezzi di sostentamento e darà al virus ulteriore opportunità di mutare, eludere i vaccini e minacciare la ripresa economica globale”, come dichia-

Noah, con Patrizia, mostra felice il permesso di soggiorno

accaparramento delle dosi è “l’apartheid dei , come avvertono scienziati e attivisti di tutto il mondo. Viene stimato Africa Subsahariana, non potranno vaccinarsi fino al 2024. Inoltre, i Paesi più poveri pagheranno il Uganda, ad esempio, pagherà il vac-

Se non si cambia strategia, oltre alla questione etica, le conseguenze econoaccaparramento saranno disastrose anche per gli stessi Il costo della mancata copertura vaccinale globale è stimata da un think tank americano, la Rand corporation, a 1,2 trilioni di dollari l’anno. “I Paesi ricchi hanno legami commerciali globali, il rallentamento economico nelle nazioni più povere causato dalla pandemia avrà un effetto a catena in tutto il Le nazioni ad alto reddito perderebbero 119 miliardi l’anno 2

Uno studio della Northwestern University (Usa) ha calcolato gli effetti sanitari se i primi 2 miliardi di dosi di vaccini Covid fossero distribuiti proporzionalmente in base alla numerosità della popolazione di ogni nazione, le morti nel mondo diminuirebbero del 61%. Ma se le dosi sono monopolizzate da 47 dei Paesi più ricchi, i decessi si riducono solo del 33%. Nessuno è salvo finché non sono tutti salvi: è il mantra che ripetono da mesi

umanità sta correndo passa sotto silenzio: solo 25 ha dichiarato Alberto Mantovani, diIstituto Clinico Humanitas di Milano, in un’intervista ad

In Guatemala al 2 marzo 2021 nessuno è stato ancora vaccinato!3

Escludere i Paesi poveri è scandaloso: il virus non si ferma ai confini e le due

Se il virus non viene combattuto globalmente continuerà a circolare sviluppando nuove varianti, forse più letali e resistenti ai vaccini, che torneranno ai Paesi

19 ha mostrato che i nostri destini sono fortemente connessi.

Lavoro Minorile

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha dichiarato che, in America Latina, sono oltre 5 milioni e mezzo i bambini, di entrambi i sessi, che lavorano senza aver compiuto l’età minima di ammissione al mondo del lavoro o che sono impegnati in attività illegali. In Guatemala, i bambini lavoratori tra i 5 e i 14 anni sono 1 milione (ma secondo il Ministero del Lavoro del Paese sono “solo” 850.000), il 70% dei quali vive nelle aree rurali e il 43% non frequenta la scuola. Il Guatemala registra il più alto indice di lavoro infantile dell’America Latina, soprattutto tra i bambini indigeni che rappresentano il 56% rispetto al 44% di non indigeni.

Gli ambiti maggiori di lavoro/sfruttamento minorile sono: Discariche di rifiuti: i bambini quotidianamente selezionano e dividono tonnellate di immondizia per poi rivenderla agli impianti di riciclaggio della zona. Si tratta di una delle peggiori forme di sfruttamento infantile perché si svolge in condizioni di estrema insalubrità e comporta rischi elevati di contrarre infezioni e malattie. Inoltre, provoca gravi ripercussioni sulla psiche dei bambini.

Produzione di fuochi d’artificio: il lavoro nella produzione di fuochi d’artificio, petardi e miccette avviene per il 98% fra le mura domestiche e coinvolge ogni membro della famiglia. Le mani e le dita dei bambini sono perfette per maneggiare le micce perché sono piccole e veloci. La maggior parte dei giochi pirotecnici è costituito da polvere con clorato di potassio, un agente chimico altamente pericoloso che può generare esplosioni e incidenti.

Piantagioni di caffè: la raccolta del caffè e il trasporto dei grani viene svolto manualmente, i bambini lavoratori sono pagati meno tre euro ogni cento chili di caffè e vivono ammassati con gli adulti in baracche collettive, chiamate galeras, in condizione igienico-sanitarie molto precarie.

Lavoro domestico: in Guatemala il tempo dedicato ai lavori domestici copre un lasso di tempo significativo nell’orario giornaliero dei minori, specialmente per le bambine: lo svolgimento di questi lavori e l’accudimento dei fratellini più piccoli interferisce spesso con il tempo dedicato alla scuola e ai momenti ricreativi.

A questi lavori si aggiungono altre e più gravi forme di sfruttamento minorile, dai lavori che si svolgono in strada (come lustrare scarpe nelle aree urbane) allo sfruttamento sessuale e traffico di stupefacenti.

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DONNE. Diritti negati

È come se ogni giorno venissero celebrati 1.500 matrimoni di giovani ragazze adolescenti: in Guatemala nel 2015 più di 550.000 ragazze si sono sposate prima dei 18 anni. Il 13% delle donne di età compresa tra 20-24 anni si sono sposate prima dei 15 anni. L’età legale per il matrimonio con il consenso dei genitori è di 14 anni e molte adolescenti si ritrovano a sposare, già incinte, uomini molto più grandi, diventando di fatto le loro schiave sessuali e domestiche. Spesso, poi, queste gravidanze sono il frutto di violenza e le ragazze si ritrovano costrette a sposare i propri aguzzini.

San Benito, nel Petén (regione del nord del Guatemala), vanta il triste primato mondiale di essere la città con il numero maggiore di madri sotto i 14 anni. Secondo i dati delle Nazioni Unite, il 26% delle nascite in Guatemala sono di ragazze madri di età compresa tra i 10 e i 19 anni: bambine e ragazze in condizioni di estrema vulnerabilità, che si ritrovano madri prima del tempo: mancano di esperienza e consapevolezza, ma soprattutto non sono pronte anche dal punto di vista fisico. I loro corpicini sono ancora troppo immaturi per dare alla luce un bambino e questo comporta un tasso di mortalità materna altissimo, con 172 decessi ogni 100 mila nascite.

Il fenomeno delle gravidanze premature porta con sé innumerevoli fattori di rischio per le giovani donne: per la salute, data la totale assenza di assistenza medica, e per la povertà estrema in cui si ritrovano a vivere, per il rapporto conflittuale con i mariti, che le abusano o le abbandonano a loro stesse, per il tasso altissimo di abbandono scolastico e, quindi, per la mancanza di visione del futuro.

Questa situazione disperata si evidenzia anche in un'emergenza profonda che si staglia sul confine fra Messico e gli Stati Uniti. Un reportage del The New York Times ha portato alla luce una drammatica realtà: è la storia di tante donne guatemalteche che fuggono dal loro Paese per sottrarsi alla violenza e alla morte. Fuggono soprattutto dalla violenza domestica che, nel Paese, è un fenomeno in espansione e pressoché impunito.

Micro-criminalità, cartelli del narcotraffico e bande criminali alimentano contesti sempre più violenti, dove spesso sono le donne a pagare il prezzo più alto: in America Latina e nei Caraibi si concentrano 14 delle 25 nazioni col più alto tasso di femminicidi. Epicentro di tali violenze è proprio l'America Centrale: in Guatemala, il tasso di omicidi per le donne supera di tre volte la media globale; nel Salvador lo supera di sei volte; in Honduras addirittura di dodici. In tutta la regione, la violenza sulle donne è così diffusa che 18 Paesi di Centro e Sud America hanno approvato un pac-

chetto di leggi per proteggerle, istituendo una classe di omicidi ad hoc, nota col nome di “femminicidio”, allo scopo di inserire sanzioni più severe.

Eppure sono sempre le donne a prendersi cura della comunità, in ogni Paese del Mondo! Così come sta accadendo in Italia, anche nel resto del mondo l’emergenza causata dal Covid-19 sta pesando sulle donne e sta evidenziando le disuguaglianze di genere esistenti. Ma il lavoro domestico e di cura di cui le donne si stanno facendo carico, nelle case e nelle famiglie, costituisce la base per affrontare questa crisi sanitaria ed economica.

A causa della pandemia, oggi, le persone che hanno bisogno di aiuti alimentari d’emergenza sono 570 mila in più rispetto all’inizio del 2020. La fame e la denutrizione, come effetti indiretti del Covid-19, sono aumentate esponenzialmente soprattutto nelle aree rurali dei Paesi a basso e medio reddito. In quanto responsabili dell’acquisto e della preparazione del cibo all’interno del nucleo famigliare, le donne sono in prima linea nell’affrontare la crisi alimentare e si preoccupano della disponibilità, del prezzo e dell’accesso agli alimenti della loro dieta.

La pandemia, infine, ha generato una crisi economica gravissima che colpisce in particolar modo le persone che vivono del lavoro saltuario. Come dice Ana María, donna indigena maya del Guatemala: día ganado, día comido” (giorno guadagnato, giorno mangiato).

Ma se non si va al mercato a vendere non si mangia. E in questa situazione vivono, da un anno, troppe donne e troppe famiglie.

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Crisi economica e famiglie in difficoltà

L’Italia, che in Europa è fra i Paesi maggiormente colpiti in termini di contagi e vite umane perse, vedrà una perdita del PIL pari al 11,2%. Le cause sono ovviamente il blocco delle attività sociali e produttive interne. La crisi economica è stata devastante. Iniziando dall’ultimo esempio in ordine di tempo, oggi sappiamo che circa 4 milioni di italiani sono stati costretti a chiedere aiuto per mangiare a Natale e a Capodanno, un numero praticamente raddoppiato rispetto allo scorso anno. Si tratta della punta dell’iceberg della situazione di difficoltà in cui si trova un numero crescente di persone costrette a far ricorso alle mense dei poveri e ai pacchi alimentari.

Tra le categorie più deboli degli indigenti, il 21% è rappresentato da bambini di età inferiore ai 15 anni, quasi il 9% da anziani sopra i 65 anni e il 3% sono i senza fissa dimora secondo gli ultimi dati Fead, il Fondo di Aiuti Europei per gli Indigenti. Fra i nuovi poveri ci sono coloro che hanno perso il lavoro, piccoli commercianti o artigiani che hanno dovuto chiudere le attività, le persone impiegate nel sommerso che non godono di particolari sussidi o aiuti pubblici e non hanno risparmi accantonati, come pure molti lavoratori a tempo determinato o con attività saltuarie che sono state fermate dalle limitazioni dovute alla diffusione dei contagi per il Covid-19.

Sono persone e famiglie che mai prima d’ora avevano sperimentato condizioni di vita così difficili.

La crisi Covid fa aumentare, in particolare, il peso delle famiglie con minori, delle donne, dei giovani, dei nuclei di italiani che risultano in maggioranza (52% rispetto al 47,9 % dello scorso anno) e delle persone in età lavorativa. Una situazione che è destinata a peggiorare per i lavoratori autonomi ma anche per tanti lavoratori dipendenti a rischio licenziamento.

E le misure di emergenza introdotte dal governo, per un insieme di cause che vanno dalla “scarsa chiarezza” alla “farraginosità delle procedure amministrative” hanno generato una frattura fra gli “insider”, che già godevano di forme di protezione e assistenza pubblica, già esperti rispetto alle procedure e in grado di gestire le difficoltà, e coloro che, invece, non avevano mai avuto prima di allora accesso al sistema”. E che sono rimasti esclusi.

Così, ancora una volta, ha dovuto supplire la solidarietà privata. Questo è il quadro che emerge dal Rapporto sulla Povertà e l’Esclusione Sociale in Italia della Caritas1

Sempre secondo il rapporto Caritas, le donne che hanno chiesto aiuto da maggio a settembre, quindi subito dopo il lockdown, sono state il 54,4% contro il 50,5% del 2019. Il numero dei giovani tra 18 e 34 anni è passato dal 20% al 22,7%, gli italiani sono oggi il 52% dei poveri, contro il 47,9% del 2019, hanno dunque superato gli stranieri.

Il numero di famiglie impoverite con parenti a carico, con genitori anziani o infermi, è passato dal 52,3% del 2019 al 58,3% di questi ultimi mesi. La perdita del lavoro è tra i motivi principali di crollo del reddito.

Il Rapporto, inoltre, rileva come il Reddito di Cittadinanza e il Reddito di Emergenza abbiano raggiunto solo chi già godeva di protezione. Le due misure, inoltre, invece di compensarsi a vicenda hanno registrato piuttosto una sovrapposizione.

Il Reddito di Emergenza (REM) avrebbe dovuto aiutare chi non aveva diritto a nessun altro sussidio. Stando all’analisi della Caritas, invece, è andato prevalentemente a nuclei composti da adulti over 50, soprattutto single o monogenitori con figli maggiorenni, con un reddito fino a 800 euro e bassi tassi di attività lavorativa. Si tratta di “un profilo del tutto sovrapponibile a quello di coloro che percepiscono il Reddito di cittadinanza”. Gli esclusi dai sussidi, quindi, non sono contemplati in alcun circuito di aiuto e vedranno quindi peggiorare la loro situazione economica rischiando un vortice al ribasso che può avere solo effetti devastanti.

Il Rapporto sulla Povertà e l’Esclusione Sociale in Italia della Caritas, in conclusione, spiega come il Covid-19 abbia messo in evidenza “il carattere mutevole della povertà” che porterà il nostro Paese, inevitabilmente, a entrare in una nuova fase.

1www.caritas.it

ITALIA

Violenza di genere

Con l’insorgere dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 nei primi mesi del 2020, i professionisti del settore hanno da subito previsto un aumento dei casi di violenza contro le donne tra le mura domestiche. Il maggior rischio di violenza dovuto al confinamento forzato (lockdown) riguarda soprattutto la difficoltà per le vittime conviventi con il maltrattante a denunciare e rivolgersi ai servizi di supporto. La lunga permanenza in casa, inoltre, ha portato molte donne, soprattutto quelle che svolgevano lavori informali, a perdere il lavoro diventando anche economicamente dipendenti dai loro compagni e ritrovandosi quindi in difficoltà ancora maggiori a sottrarsi alla violenza.

La violenza domestica già presuppone una strategia di controllo da parte dell’abusante, utilizzando elementi strutturali a livello sociale e il controllo individuale per isolare le donne dalle loro reti e fonti di sostegno esterno, principalmente la famiglia di origine e gli amici. Il lockdown e la quarantena, necessari per ridurre la diffusione della pandemia, hanno di fatto contribuito ad aumentare ulteriormente l’isolamento delle donne e le loro difficoltà ad attivare reti di supporto.

L’aumento dei casi di violenza di genere nel mondo come conseguenza della pandemia è stato chiaramente denunciato dall’indagine pubblicata da CEPOL (l’Accademia Europea di Polizia) nel luglio 2020 e dalle stesse Nazioni Unite che hanno definito questo fenomeno “pandemia ombra”. A livello internazionale ed Europeo, sono state fornite raccomandazioni e linee guida per fronteggiare le situazioni di violenza durante l’emergenza sottolineando l’esigenza di rafforzare i servizi specializzati di supporto e ospitalità per le donne, sia con riferimento al numero di strutture che alle modalità di lavoro, in primis per quanto concerne la possibilità di operare da remoto.

In questo contesto, anche in Italia, l’esplosione dei casi di violenza è stato sostanziale. Se si guarda ai dati delle chiamate al numero verde nazionale antiviolenza 1522 si può, infatti, notare come dal 1° marzo al 16 Aprile 2020 ci sia stato un aumento del 73% rispetto allo stesso periodo del 2019 con un aumento delle vittime che hanno chiesto aiuto del 59% rispetto allo scorso anno (ISTAT, 2020).

"Nella prima fase della pandemia, le donne avevano reagito meglio degli uomini, forse perché c’è una maggiore propensione alla gestione più positiva degli eventi traumatici. Ma dalla fase due si è evidenziato un decremento pesante del benessere psico-fisico, ma anche un abbattimento della capacità di vedere, o almeno di cercare, gli aspetti positivi della crisi, con livelli di stress più alti degli uomini".

Lo afferma Claudia Manzi, docente di Psicologia sociale della Cattolica e coordinatrice del progetto Howcare, che con Sara Mazzucchelli, che insegna Psicologia dei processi organizzativi e culturali, è autrice del lavoro "Famiglia e lavoro: intrecci possibili. Studi interdisciplinari sulla famiglia".

"Anche con la riapertura di una parte delle scuole e di una parte di servizi dopo il lockdown non abbiamo notato nessun effetto positivo nella percezione del conflitto tra ambito familiare e lavorativo per le donne. Semmai, il dato interessante è che le donne che hanno avuto una percezione di miglioramento sono quelle che hanno avuto un aiuto dal sistema di welfare delle loro aziende, che hanno avuto un supporto. Ma questo, ovviamente, non riguarda tutte, anzi".

Da ricordare sempre il dato dell'Istat: su 101 mila posti di lavoro persi a dicembre 2020 rispetto al mese precedente, 99 mila erano occupati da donne. E se ogni persona che resta disoccupata vale allo stesso modo, la sproporzione dei numeri è impressionate. Cala l’occupazione, e aumenta il tasso di donne inattive (+0,4%).

Faticosamente si era arrivati a un tasso di occupazione femminile del 50%, e adesso scende di nuovo.

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MIGRANTI

All’inizio furono considerati “immuni”, poi d’improvviso diventarono gli “untori”, in realtà la pandemia da Covid-19 ha inciso anche sui migranti, peggiorandone le condizioni di vita e sfruttamento. A tracciare un primo bilancio sull’emergenza sanitaria vista dagli stranieri è il Dossier Statistico Immigrazione 2020, realizzato dal Centro Studi e Ricerche Idos in partenariato con il Centro Studi Confronti.

Il 2020 sul fronte migratorio si caratterizza per diversi episodi: dal parziale fallimento della regolarizzazione (la nona dal 1982) allo “tsunami di odio e xenofobia” e, infine, alla “ricerca di un capro espiatorio” (parole del segretario Onu António Guterres). Nel complesso, il rapporto sottolinea come la pandemia da Covid-19 abbia portato con sé problemi aggiuntivi e abbia aggravato le già difficili condizioni di vita dei migranti in Italia e in Europa.

In particolare, secondo Gianfranco Schiavone dell’Asgi (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) la nuova sanatoria per gli immigrati attivi nei settori dell’assistenza, del lavoro domestico e dell’agricoltura è stata una grande occasione mancata. Lanciata dal governo per venire incontro alle esigenze di cura dei familiari e di approvvigionamento alimentare degli italiani, essa è stata appunto un parziale fallimento per la parte riguardante l’emersione del lavoro irregolare (comma 1 del decreto 103/2020).

Le “sole” 207 mila domande pervenute per questo comma, a fronte di una platea di 621 mila lavoratori stranieri irrego-

lari, sono spiegate in parte dall’impostazione della norma, basata “quasi interamente sulla sola volontà del datore di lavoro di far emergere o meno il rapporto di lavoro irregolare” (escludendo di fatto le fasce più sfruttate).

Ma si spiegano soprattutto con l’esclusione di altri settori lavorativi come la ristorazione, il magazzinaggio, il commercio: una scelta, scrive Schiavone, di “gratuita crudeltà” che ha tagliato fuori all’origine almeno 180 mila persone. Un “secco fallimento” è invece stata la regolarizzazione per la parte (comma 2) riguardante i migranti che avevano avuto in passato un percorso di regolarità di soggiorno o un rapporto lavorativo regolare: anche qui la rigidità dei criteri decisi ha impedito l’applicazione della norma e le sole 13 mila domande raccolte lo dimostrano. Una analisi condivisa anche dal Grei 250, un gruppo di esperti formatosi proprio dopo l’annunciata regolarizzazione.

Secondo Marco Omizzolo, sociologo di Eurispes, durante l’emergenza Covid si è registrato un aumento del 15-20% di stranieri sfruttati nelle campagne (40-45 mila persone), con un peggioramento delle condizioni lavorative, un incremento sia dell’orario di lavoro (oscillato tra 8 e 15 ore giornaliere) che del numero di ore lavorate e non registrate (20%) e un peggioramento della retribuzione. Tutti effetti, dice il sociologo, “dell’intreccio perverso tra la pandemia e il sistema dello sfruttamento dei migranti”. A cui si è aggiunto “l’aumento esponenziale dell’arrendevolezza” dovuto al clima emergenziale che ha spinto molti migranti sfruttati “a considerare se stessi come secondari rispetto ai destini degli italiani” e quindi a rinunciare spesso alle giuste

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rivendicazioni. Critica è anche la situazione di chi lavora in casa, come spiega il saggio sul lavoro domestico ai tempi del Coronavirus, scritto da Andrea Zini di Assindatcolf. Sono stati 13 mila i posti di lavoro persi in questo settore, che totalizza 850 mila lavoratori in massima parte immigrati. Ambiguo, per Zini, il “successo” della regolarizzazione in questo ambito, che ha avuto ben 177 mila domande ma ha escluso tutto il lavoro nero.

Non solo, ma secondo Elena D’Angelo del Rissc (Research Centre on Security and Crime) a fronte di numerosi episodi di razzismo registrati in Europa, i migranti - specialmente quelli con lavori più precari - stanno “pagando il prezzo più caro per la pandemia, e rischiano ora e in futuro di essere tra i più esposti alla diffusione del virus”. “Altro che untorispiega la ricercatrice - piuttosto doppiamente vittime”.

Una condizione questa che non riguarda solo l’Italia ma l’intera Europa (41,3 milioni i migranti pari all’8% della popolazione, concentrate per tre quarti in soli 5 paesi compresa l’Italia). Secondo Alessio D’Angelo della University of Nottingham, la pandemia “ha messo in luce tutte le criticità e le insufficienze del sistema europeo in materia di migrazioni economiche e diritti”. Provvedimenti come la chiusura dello spazio Shengen, il blocco dei voli e le restrizioni sui movimenti hanno avuto un fortissimo impatto sia su alcune economie che sugli stessi migranti coinvolti. Ma soprattutto c’è stata la “scoperta” di come oltre il 30% degli immigrati in età lavorativa siano classificabili come key-worker: si è scoperto, insomma, come i servizi essenziali (sanità, assistenza, pulizie, ecc.) per difendere gli “autoctoni” dalla pandemia dipendano proprio dall’immigrazione.

Il quadro internazionale è inquietante anche per quanto riguarda i “migranti climatici” – quasi 25 milioni attualmente nel mondo – e di come sia per loro molto più facile contrarre la malattia a causa degli spazi sovraffollati e delle condizioni igieniche in cui vivono, come spiega Maria Marano dell’Associazione A Sud. Marano ricorda anche come alcuni dei fenomeni che generano tali migrazioni (deforestazione, urbanizzazione selvaggia, allevamenti intensivi) siano gli stessi che hanno facilitato la diffusione del virus.

Il rapporto si concentra poi su stranieri e carcere. Carolina Antonucci dell’Associazione Antigone ricorda che il calo medio delle presenze nelle carceri è stato del 12%, e del 10,2% per i detenuti stranieri.

Riporta invece un’esperienza positiva il capitolo di Ilaria Valenzi del Centro Studi Confronti, che si sofferma sulla libertà di culto durante la pandemia. Per la prima volta, infatti, il governo italiano (Ministero dell’Interno), dopo quello con la Chiesa Cattolica, ha sottoscritto altri 13 diversi protocolli insieme ai rappresentanti di altrettante fedi per regolare i vari aspetti legati alle pratiche di religione. Un esperimento che ha avuto tra l’altro il merito di “prendere atto delle diversità religiose presenti nel Paese”.

Infine, l’ultimo dei contributi è di Claudio Piccinini del Centro patronati, che racconta le difficoltà vissute da questi uffici nel gestire con efficienza le complesse domande per l’ultima regolarizzazione, un’area in cui sono spesso presenti “situazioni di ‘faccendariato’, improvvisazione, quando non di lucro e sfruttamento”.

Sulle pratiche per l’immigrazione restano però in piedi numerose difficoltà, in particolare per l’acquisizione della cittadinanza: dopo che i decreti sicurezza del primo governo Conte hanno “irragionevolmente alzato l’asticella” dei requisiti per accedervi, infatti, oggi i tempi per completare l’istruttoria per la naturalizzazione non sono più 10, ma 14 anni di residenza in Italia, “gli ultimi 7 dei quali con un reddito costante difficile da mantenere anche per molti lavoratori italiani”.

Fonte: https://www.onuitalia.it/anticipazione-dossier-statisticoimmigrazione-2020-del-28-ottobre/

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POVERTÁ EDUCATIVA

Scelte compromesse. Gli adolescenti in Italia, tra diritto alla scelta e povertà educativa minorile è il rapporto 2021 dell’Osservatorio #Conibambini, promosso dalla Fondazione Openpolis e dall’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. I dati del report sono preoccupanti e devono far riflettere. Nel documento, infatti, si rileva come il legame tra povertà economica e povertà educativa impedisca a bambini e ragazzi di avere accesso alle opportunità che potrebbero garantire loro una crescita sana.

La cultura e l'istruzione, che dovrebbero rendere l'uomo libero, capace di elevarsi al di sopra della propria condizione di partenza per andare oltre, per cercare un futuro migliore, appaiono in questo report distanti dalla realtà. Il quadro illustrato nel rapporto racconta un'Italia in cui è ancora determinante il posto in cui nasci, in cui vivi, la condizione sociale della famiglia.

Il report cerca di ricostruire alcuni dei fattori che limitano le opportunità degli adolescenti nel decidere in modo consapevole il proprio futuro: dall’origine sociale e familiare ai livelli negli apprendimenti, dalle prospettive nel territorio in cui si abita all’impatto dell’abbandono scolastico. Fattori su cui l’emergenza Coronavirus ha inciso in modo fortemente negativo.

Ad esempio, chi ha alle spalle una famiglia con status socioeconomico-culturale alto, nel 54% dei casi raggiunge risulta-

ti buoni o ottimi nelle prove di italiano. Per i coetanei più svantaggiati, invece, nel 54% dei casi il risultato è insufficiente.

I due terzi dei figli con entrambi i genitori senza diploma non si diplomano a loro volta Nascere in una famiglia con meno opportunità da offrire significa generalmente partire già svantaggiato anche sui banchi di scuola. L’abbandono scolastico prima del tempo, più frequente dove ci sono fragilità sociali, è l’emblema di un diritto alla scelta che è stato compromesso.

E spesso non è che la punta dell’iceberg: dietro ogni ragazzo e ragazza che lascia la scuola anzitempo, ci sono tanti fallimenti educativi che non possono essere considerati solo problemi individuali o delle istituzioni scolastiche. È un fallimento imputabile all'intera comunità educante - la scuola e la famiglia, ma anche istituzioni e mondo del terzo settore - che deve avvertire la responsabilità e la necessità di intraprendere un percorso comune per aiutare bambini, ragazzi e giovani a diventare protagonisti del proprio futuro.

Un'altra evidenza interessante che emerge dal rapporto riguarda la relazione inversa tra la quota di giovani che non studiano e non lavorano (Neet) nelle grandi città italiane e gli indicatori di benessere economico (ad esempio, il valore immobiliare). I giovani che non lavorano e non studiano spesso si concentrano nelle zone socialmente ed economicamente più deprivate.

A Napoli, dei 10 quartieri con più Neet, 8 compaiono anche nella classifica delle 10 zone con più famiglie in situazioni di

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disagio. A Milano, Quarto Oggiaro ha il doppio di Neet rispetto alla zona di corso Buenos Aires. A Roma, a Torre Angela la quota di Neet è oltre il doppio del quartiere Trieste.

Il livello di istruzione, di competenze e conoscenze è strettamente collegato anche alle possibilità di sviluppo di un territorio. Nei test alfabetici, l’87% dei capoluoghi del nord Italia presenta un risultato superiore alla media italiana. Nell'Italia meridionale e centrale la quota di comuni che superano questa soglia scende rispettivamente al 25% e al 36%. Un dato che, oltre a confermare i profondi divari territoriali tra gli adolescenti italiani, sembra essere legato alla quota di famiglie in disagio nelle città1

Con la pandemia le disuguaglianze sociali ed educative crescono e aggravano una situazione caratterizzata da grandi divari strutturali – ha commentato Marco RossiDoria, vicepresidente di Con i Bambini. In questa fase di grandi difficoltà, i ragazzi dovrebbero rappresentare il

fulcro di qualsiasi ripartenza. Non dovremmo criminalizzarli, come spesso accade, per alcuni comportamenti devianti o relegarli ad un ruolo passivo. Credo fortemente che siano una generazione migliore, hanno dimostrato grande senso di responsabilità, dovrebbero partecipare attivamente alle scelte che incidono sul futuro loro e, di conseguenza, del Paese. Dobbiamo loro - conclude RossiDoria - grandi opportunità”2

L'auspicio dunque non è solo quello di garantire a tutti i bambini, ragazzi e giovani l’accesso a un’educazione di qualità, ma anche quello che la comunità educante sia capace di trasmettere ai ragazzi un desiderio di rivalsa, come stimolo, come obiettivo, che li spinga a credere di conseguenza nel potere dell'istruzione. Educare i ragazzi alla caparbietà e alla tenacia è forse ciò che può insegnare loro a essere il cambiamento che chiedono al mondo.

1https://www.minori.gov.it/it/node/7531

2www.confinionline.it

Gli effetti della pandemia da Covid-19 sulle istituzioni scolastiche hanno messo a dura prova i ragazzi che vivono in famiglie già in condizioni di difficoltà economica. Queste famiglie, tra l’altro, sono aumentate vertiginosamente negli ultimi dieci anni. Tra il 2008 e il 2018, infatti, i minori in povertà assoluta in Italia sono triplicati, passando dal 3,7% al 12,5%, e hanno raggiunto quota 1.260.000.

Sono proprio loro che, intrappolati nella povertà materiale causata dall’emergenza Coronavirus e nella mancanza di opportunità educative, rischiano di vedere innalzato il livello di esclusione sociale e di povertà. Molti bambini e ragazzi, infatti, rischiano di rimanere indietro perdendo motivazione e competenze, e arrivando, in alcuni casi, a scegliere l’abbandono scolastico.

Se non tutti i ragazzi possiedono gli strumenti necessari per partecipare in maniera adeguata alle lezioni, le diseguaglianze rischiano di aumentare a dismisura colpendo la parte più fragile della popolazione.

A causa di questa crisi, da una parte le situazioni di povertà pre-esistenti si sono acuite e dall’altra se ne sono sviluppate di nuove, con molte altre famiglie che si sono trovate improvvisamente in difficoltà.

La didattica a distanza, poi, non è per tutti. Laddove le scuole siano state in grado di avviarla, la tecnologia ha potuto raggiungere solo le studentesse e gli studenti che potevano contare sul supporto proattivo della famiglia e su una base economica stabile.

Secondo gli ultimi dati Istat, più di 4 minori su 10 vivono in abitazioni sovraffollate, privi di spazi adeguati allo studio, e il 12,3% non ha un computer o un tablet in casa per seguire le lezioni a distanza, percentuale che arriva al 20% al Sud Italia. Tra i bambini e ragazzi che invece possono disporre di questi strumenti, il 57% si vede costretto a condividerlo con gli altri familiari.

Solo il 30% dei ragazzi impegnati nella didattica a distanza, inoltre, presenta competenze digitali idonee all’uso delle piattaforme online. In una situazione tale, che ha visto diminuire anche il lavoro e le opportunità per gli adulti, risulta chiaro come molti ragazzi rischino di scivolare nella povertà assoluta.

Il divario è anche geografico: è soprattutto al Sud, infatti, che si concentrano le percentuali più elevate di studenti in condizioni di maggiore svantaggio socio-economico e culturale.

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Cosa facciamo

GUATEMALA

Il nostro progetto in Guatemala è cominciato nel 2001 e si trova all’interno del villaggio maya Cerro La Granadilla, a 45 km dalla capitale, Città del Guatemala. Qui, dove la piaga del lavoro minorile è altamente diffusa, i bambini, a partire dai 4 anni, sono costretti dalla povertà a lavorare in quella che è l’occupazione principale del posto: la costruzione di fuochi d’artificio.

Sulla Strada gestisce una scuola elementare frequentata da circa 300 bambini e un poliambulatorio medico nominato Yatintò che in lingua maya significa “mi prendo cura di te”.

ITALIA

In Italia, il nostro impegno è dedicato a promuovere e tutelare i diritti degli ultimi: minori bisognosi di protezione e assistenza, famiglie in difficoltà, persone sole, anziane o disabili, italiani e stranieri in cerca di un’opportunità di riscatto.

Sulla Strada è al fianco di queste persone e famiglie con il Programma Prima gli Ultimi, che fornisce assistenza immediata e permanente: dall’accoglienza e l’ascolto all’assistenza alimentare e sostegno psicologico e sociale, dall’aiuto nel trovare lavoro a quello per trovare un alloggio fino all’assistenza sanitaria.

GUATEMALA

Il villaggio La Granadilla

La Granadilla è uno dei tanti villaggi dove è molto difficile proteggersi dal virus.

Le famiglie stanno per lo più subendo la situazione e si difendono come possono.

Non si hanno dati sui contagi e sui decessi. Non si hanno dati di alcun tipo e quindi è molto difficile monitorare la situazione.

Durante questi lunghi mesi di pandemia, i nostri collaboratori, i maestri e la nostra infermiera Luisa si sono recati regolarmente nelle case delle famiglie dei bambini iscritti a scuola. Hanno portato cibo, attenzione e sostegno.

I bambini hanno subito un forte disagio nel dover restare a casa, una situazione che ha portato a una regressione generale nell’apprendimento scolastico. Tutti hanno avuto momenti forti di sconforto e nostalgia della scuola. Purtroppo, tanti bambini hanno dovuto riprendere a lavorare nella costruzione dei fuochi d’artificio.

Le famiglie hanno vissuto un grave disagio economico a causa della pandemia e, per sopravvivere è stato necessario il contributo di tutti, inclusi i bambini. Poiché nella zona di San Raymundo si produce il 90% dei petardi di tutto il paese, le famiglie e i loro figli hanno ripreso con più forza a lavorare con la polvere da sparo.

Dall’inizio della pandemia abbiamo avuto due esplosioni gravi nel villaggio e siamo molto preoccupati per la ripresa delle attività con la polvere da sparo nelle case.

La Scuola ABUELITA AMELIA PAVONI

La scuola prende il nome dalla signora Amelia che, come ultima volontà prima di morire, ha voluto donare tutto ciò che aveva ai bambini del villaggio La Granadilla. Con questo suo gesto, si è legata indissolubilmente a quella terra lontana, che pure non aveva mai visitato. I bambini la chiamano “abuelita”, nonnina

Questo suo lascito, poi, è arrivato quando ancora non c’era nulla, solo per la fiducia che riponeva in quel sogno che era lo stesso che animava i nostri cuori.

La Granadilla era solo un villaggio senza strade, luce, acqua o energia elettrica. Le case erano capanne di legno e lamiera e tutti, inclusi i bambini, lavoravano nella costruzione dei fuochi d’artificio.

Nessuno, nel villaggio, sapeva leggere o scrivere. Sulla Strada ha iniziato il suo progetto di Cooperazione allo Sviluppo partendo proprio da qui, dalla scuola.

L’eredità di Amelia Pavoni ha permesso di comprare un terreno e lì, nel 2001, è stata costruita la prima aula. Così è iniziata la scuola, con 22 bambini di tutte le età e un maestro indigeno maya di lingua katchiquel.

Di anno in anno, i bambini sono aumentati: sono stati divisi per età, formando le classi e, in alcuni casi, la doppia sezione, fino ad arrivare ai 270 bambini iscritti del 2019. La scuola, inoltre, è stata riconosciuta dal Ministero dell’Educazione Guatemalteco ed è, oggi, punto di riferimento per le famiglie dell’area rurale circostante.

Nel 2020 la situazione è cambiata repentinamente, drammaticamente. A causa della pandemia da Covid-19, la scuola ha dovuto chiudere. I bambini sono rimasti nelle loro case e hanno ripreso a svolgere le mansioni che spettavano loro prima che arrivasse la scuola nel villaggio: aiutare nelle faccende domestiche, prendersi cura dei fratelli più piccoli, costruire fuochi d’artificio.

Ma non sono stati lasciati da soli. I maestri assunti da Sulla Strada non hanno mai smesso di lavorare: periodicamente, si sono recati nelle case di ogni studente per consegnare aiuti alimentari, compiti e attività educative, informazioni di vario tipo. Inoltre, una volta al mese organizzavano incontri con i genitori per conoscere la situazione dei bambini e dare conforto ai genitori in un periodo così difficile.

Purtroppo, in questi mesi abbiamo avuto l’ennesima conferma di ciò che già sapevamo: le vecchie generazioni, i genitori degli studenti attuali, ancora non hanno maturato la consapevolezza dell’importanza dello sviluppo culturale dei propri figli. Per questo motivo, preferiscono che i bambini si dedichino al lavoro piuttosto che allo studio.

Nelle loro case, i bambini sono abbandonati a loro stessi ed è per questo che la presenza dei nostri collaboratori nelle strade del villaggio è così fondamentale!

Eppure qualcosa sembra muoversi: per l’anno scolastico 2021, nonostante l’incognita del Covid, la scuola ha ricevuto 208 iscrizioni! Un risultato che, tra l’altro, ripaga della dura battaglia che abbiamo dovuto ingaggiare con le istituzioni che avevano ritirato la maggior parte dei maestri per carenza di fondi.

Con l’aiuto dei nostri collaboratori, abbiamo fatto pressione sulle istituzioni (il Ministero dell’Educazione e il Comune di San Raymundo) costringendoli ad assolvere al loro dovere di assicurare i maestri alla scuola Abuelita

Amelia Pavoni. Noi di Sulla Strada faremo sempre la nostra parte ma non vogliamo sostituirci alle istituzioni che hanno il preciso dovere di garantire l’istruzione basilare ai propri cittadini.

I bambini hanno vinto la battaglia e il corpo docente è finalmente completo. Aspetta solo il via libera dal governo per accogliere di nuovo, speriamo presto, gli alunni della scuola Abuelita Amelia Pavoni.

GUATEMALA EMERGENZA COVID-19

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Programma SALUTE E ALIMENTAZIONE

A partire dall’anno 2003, ogni anno, Sulla Strada invia in Guatemala gruppi più o meno numerosi di volontari medici, infermieri e personale sanitario. I volontari effettuano visite di controllo sui bambini della scuola, offrono visite specialistiche presso il poliambulatorio rurale Yatintò e, una volta l’anno, assicurano assistenza chirurgica presso un ospedale non lontano dal villaggio.

Naturalmente, dallo scoppio della pandemia da Covid-19, queste Missioni Sanitarie non sono più state organizzate.

Da marzo 2020, l’assistenza sanitaria che Sulla Strada offre ai bambini e alle famiglie della scuola si è potuta realizzare solo grazie all’intervento puntuale e fedele di Luisa Patzan, infermiera ausiliaria formata grazie alla generosità dei donatori di Sulla Strada e dal training effettuato dai volontari nelle precedenti missioni. Luisa, infatti, ha aperto regolarmente il poliambulatorio Yatintò e si è recata nelle case degli alunni della scuola per tenerli sotto controllo.

L’assistenza fornita da Luisa, naturalmente, ha dovuto scontrarsi contro le forti limitazioni che la situazione imponeva: pochi farmaci, poco personale, poche competenze della stessa Luisa. Che però non si è mai persa d’animo! Sapeva infatti di poter contare su una presenza costante e professionale di alcune nostre volontarie, specialiste in medicina generale e pediatria, che hanno seguito i pazienti a distanza, grazie a videochiamate, messaggi istantanei, foto e video.

Ma la salute è fatta anche di corretta alimentazione e lotta alla denutrizione cronica: la dieta base delle famiglie del villaggio La Granadilla, infatti, è molto carente di nutrimenti essenziali e per questo motivo, quando la scuola è aperta, garantiamo ai bambini due pasti completi ogni giorno. Con la scuola chiusa, il rischio di tornare a gravi casi di denutrizione era molto alto!

Per questo motivo, durante tutto il 2020, abbiamo distribuito pacchi alimentari periodici a tutti gli abitanti del villaggio e alle famiglie degli alunni della scuola. Non potevamo permettere che i “nostri” bambini patissero i morsi della fame!

Infine, abbiamo dato una mano a molte persone che, per poter affrontare l’emergenza, si erano indebitate con gli usurai della zona e abbiamo portato avanti battaglie e fatto pressione sulle autorità locali affinché si prendessero in carico la popolazione del villaggio e dei villaggi vicini in grave disagio economico.

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alunni minori 280 348 112 famiglie

Guatemala DIRITTO ALLA SALUTE

Fin dalla prima missione sanitaria ospedaliera all’ospedale di Llano de la Virgen, nel 2005, proponemmo ai responsabili locali di lavorare insieme per trasformare la struttura in un ospedale pubblico da destinare alla popolazione del territorio di San Raymundo. Impegnarci cioè a lasciare aperto l’ospedale tutto l’anno, coinvolgendo medici e infermieri locali, perché fino ad allora veniva aperto solo quando arrivava un gruppo straniero.

“Non si può, non ne vale la pena. Medici e infermieri guatemaltechi sono poco affidabili e poi sarebbe uno sforzo economico troppo pesante…”. Così risposero e così hanno risposto negli anni successivi.

Negli anni poi è diventato sempre più chiaro e definitivo che il loro spirito “missionario” era ben diverso dal nostro. Abbiamo allora deciso di accelerare quel “cambio di passo” auspicato da tempo.

Proprio durante l’ultima missione del gennaio 2020, abbiamo dunque cominciato a parlare con il sindaco della cittadina che ci ospita da tanti anni, San Raymundo, proponendo di realizzare con lui un ospedale pubblico. Purtroppo, pur manifestando grande interesse per l’idea, confessò che erano troppo scarse le disponibilità economiche per lanciarsi in un simile progetto.

Ma la “provvidenza” ci ha fatto incontrare, proprio in quei giorni, dei rappresentanti del sindaco di San Juan, cittadina vicina a San Raymundo ma molto più grande e importante. I contatti avuti direttamente con il sindaco hanno subito fatto capire che forse eravamo sulla strada giusta per realizzare il nostro sogno.

Si è cominciato a discuterne e poi a stilare una prima convenzione d’intenti: loro ci avrebbero messo a disposizione la struttura da destinare al nuovo ospedale e noi ci impegnavamo ad allestirla con attrezzature, macchinari e presidi rimediati in Italia.

E poi è arrivato il COVID.

E i soldi dell’amministrazione di San Juan sono stati destinati all’emergenza dovuta alla pandemia e parte dei presidi già inviati da noi in Guatemala con un container per il nuovo ospedale sono stati trasferiti negli ospedali limitrofi,

destinati a trattare i pazienti affetti dal Coronavirus. Siamo sicuramente contenti di aver potuto aiutare quella povera gente a far fronte all’emergenza COVID, ma, a proposito del nostro sogno, abbiamo dovuto dire: “aspetta, blocca tutto, ora non si può.”

Pandemia permettendo, la nostra idea è quella di organizzare nei prossimi mesi un viaggio in Guatemala di un gruppo di responsabili per iniziare a realizzare, insieme alle autorità di San Juan, questo bel sogno. E nel frattempo, cominciare a individuare un gruppo medico-infermieristico locale da coinvolgere nel progetto a cui garantire, ove necessario, una formazione professionale e a cui affidare la responsabilità della gestione del nuovo ospedale.

Una volta iniziata questa nuova avventura, potremmo modificare la nostra attività sanitaria ospedaliera in Guatemala, trasformando l’attuale unica, grande e affollata missione annuale con l’organizzazione di ripetuti e frequenti periodi di lavoro, anche di breve durata, impegnando piccole équipes di cui facciano parte sempre le figure mediche e infermieristiche delle attività di base (medicina generale, ginecologia, pediatria, chirurgia generale e anestesia) a cui aggiungere ogni volta specialisti diversi (urologi, chirurghi plastici, otorini, oculisti, odontoiatri, ecc.). All’assistenza sanitaria, si affiancherebbe anche l’attività di formazione e tirocinio dei colleghi locali, aiutandoli nella loro crescita professionale.

A gennaio, mentre Carlo era in Guatemala, abbiamo avuto una video-riunione con il Sindaco e la giunta del Municipio di San Juan in cui abbiamo presentato il Progetto del nuovo ospedale pubblico, redatto dal nostro volontario, Ing. Luigi Sauve, seguendo le indicazioni dei nostri chirurghi e infermieri volontari.

Abbiamo già inviato tre container con attrezzature ospedaliere e presidi donati o dismessi dai nostri ospedali. Nel primo container, inoltre, abbiamo inviato anche un’ambulanza!

Il terreno è stato individuato e speriamo che presto possano partire i lavori di costruzione.

Il sogno di Sulla Strada si sta avverando perché lo stiamo sognando insieme a tutti voi e ai nostri amici guatemaltechi. E quindi… è già realtà!

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donne lavoratrici 4 donne in formazione 60

GUATEMALA

PROGRAMMA “Lei è: prendiamocene cura”

Un progetto delle donne per le donne

Le donne dell’Emporio de las Mujeres hanno la forza e la determinazione di chi ha trascorso la vita intera affrontando quotidianamente la povertà più feroce.

Ecco da dove arriva il coraggio che hanno dimostrato nel difendere il loro progetto, la loro speranza di un futuro diverso, una nuova prospettiva di vita per loro stesse e per le loro famiglie.

L’Emporio de las Mujeres è il loro progetto, ideato e avviato con il supporto delle donne italiane dell’Associazione Sulla Strada, che le affiancano e le sostengono.

Insieme abbiamo ideato e dato vita a creazioni originali, di gusto, nel rispetto delle tradizioni e dei colori di ambedue i paesi. Sono prodotti frutto di un’interessante sinergia, in continua evoluzione e portatori di storie che parlano di riscatto, di solidarietà, di fiducia nel cambiamento.

Ora questa forza e questa determinazione sono ancora più necessarie per mantenere in vita un’iniziativa preziosa, che sta attraversando le stesse difficoltà che tutto il mondo attraversa in questo momento storico, con l’aggravante di vivere in un paese dove la salute è un bene costoso, non un diritto.

Le donne che animano l’Emporio hanno il desiderio e il bisogno di non lasciarsi andare. Attraverso il lavoro, hanno potuto assicurare il sostentamento ai propri figli, in modo più continuativo rispetto ai loro mariti: è una conquista rivoluzionaria in un villaggio remoto come quello de La Granadilla e, per questo motivo, va difesa a tutti i costi.

Ma, come per ogni rivoluzione, è necessario che porti in sé il germe della sostenibilità nel tempo: anche per questo, alcune di queste donne hanno nel tempo realizzato il sogno di insegnare alle proprie figlie il mestiere, una risorsa che permetterà loro di essere autonome e di non dover dipendere da un uomo per la vita e la famiglia che avranno; è un fatto di una ricchezza inestimabile, in Guatemala, perché significa emancipazione e libertà di scegliere la vita che si desidera. E questo, a molte di loro, non è mai stato permesso.

Il villaggio La Granadilla, poi, è famoso per un altro triste primato: qui si produce la quasi totalità dei fuochi d’artificio del Guatemala!

I referenti delle aziende di petardi che vogliono risparmiare sulla manutenzione delle fabbriche e sulla sicurezza portano le materie prime direttamente nelle case dei più poveri, che in quelle stesse case dormiranno, mangeranno, vivranno e manipoleranno la polvere da sparo. Senza alzare la testa, senza chiedersi se sia giusto, se sia sicuro.

Portare avanti l’Emporio de las Mujeres, in un contesto del genere, significa piantare il seme della consapevolezza, della ribellione allo sfruttamento e alle ingiustizie.

La popolazione del villaggio inizia a non poterne più dei tantissimi incidenti, anche mortali, che hanno devastato la comunità a causa della maledetta polvere da sparo!

Ma il Covid ha colpito duramente il progetto dell’Emporio. Attualmente, il laboratorio vede la presenza di Doña Argelia e di Vilma, madre e figlia, che hanno potuto continuare a lavorare insieme nel laboratorio perché, essendo congiunte e vivendo vicino, non hanno dovuto sottostare alle limitazioni di movimento che anche in Guatemala sono state adottate per contrastare la diffusione del virus.

Alcune donne sono impossibilitate ad andare a lavoro per problemi di distanza, altre ancora hanno provato a intraprendere una propria attività. Per tutte, la pandemia ha segnato una battuta d’arresto nella realizzazione del bel progetto messo in piedi ormai sei anni fa.

Qui in Italia noi di Sulla Strada, che da tanti anni le sosteniamo e abbiamo con loro rapporti di amicizia e stima, ci stiamo impegnando per dare nuovo impulso al laboratorio, per cercare nuovi ordini e garantire così continuità al loro lavoro.

Questo nuovo impulso lo immaginiamo, appena sarà possibile, anche attraverso corsi di formazione ai quali si sono già iscritte 60 donne e ragazze, per coinvolgere altre donne e per differenziare le attività, reinterpretando in chiave moderna gli abiti e i prodotti tradizionali locali.

Una felice commistione tra tradizione e innovazione, che porti l’Emporio de las Mujeres a introdursi con successo nel mercato del loro stesso paese.

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ITALIA Programma Prima gli Ultimi

Sabina e le donne dell’Emporio de las Mujeres

Prima gli Ultimi

Il Programma Prima gli Ultimi nasce in risposta a una situazione di povertà e disagio che sta diventando, in Italia, sempre più grave e colpisce fasce sempre più ampie di popolazione.

Perno del progetto è il Centro Prima gli Ultimi che vuole rappresentare, nella città di Orte, in provincia di Viterbo, il fulcro di una nuova socialità sul territorio, per creare legami di fiducia e pratiche di reciproco aiuto e ricostituire così la comunità e le relazioni sociali.

In questo periodo di emergenza sanitaria dovuta alla pandemia del Covid-19, abbiamo dovuto ripensare la nostra assistenza ai più fragili della società: il sostegno psicologico, legale e amministrativo è stato effettuato via telefonica mentre il sostegno alimentare, che sta ricevendo sempre più richieste, non si è mai fermato.

Con le dovute precauzioni, abbiamo continuato ad aprire il centro almeno una volta alla settimana per consegnare i pacchi alimentari e abbiamo attivato anche un servizio di consegna a domicilio per le persone più a rischio e impossibilitate a uscire di casa.

Mai avremmo pensato di ritrovarci a sostenere più persone qui nel nostro paese, piuttosto che in Guatemala. Invece è proprio ciò che è accaduto in questo lungo 2020.

ITALIA

Emergenze vecchie e nuove

La pandemia ha messo in difficoltà tante famiglie che non avrebbero mai pensato di aver bisogno di aiuto. A maggior ragione, ha colpito con forza quelle famiglie che già si trovavano in una situazioni di disagio.

Nell’ultimo anno, il nostro Centro di Orte ha visto aumentare le persone sostenute, passando da 136 a 232 famiglie sostenute, soprattutto con l’aiuto alla spesa e con la consegna di pacchi alimentari.

Con il Centro Prima gli Ultimi di Orte abbiamo affrontato tante emergenze, prima fra tutte quella della mancanza di mascherine Tra febbraio e marzo scorsi, infatti, il nostro Paese ha registrato una richiesta enorme di mascherine: questa necessità improvvisa le ha rese, per lungo tempo, introvabili.

Grazie a un bando della Regione Lazio, abbiamo potuto acquistare 42.000 mascherine da distribuire, gratuitamente, ai beneficiari del nostro progetto anche nei mesi successivi.

La categoria più colpita dal confinamento in casa è

stata quella delle donne ma sappiamo anche che i minori non hanno voce per far sentire i loro disagi. E a tante donne che subiscono soprusi e violenza, spesso si accompagna almeno un bambino che soffre con lei. La questione dei minori non emerge con facilità, spesso le donne preferiscono tacere per proteggerli: per questo motivo, il lavoro delle operatrici del Centro Prima gli Ultimi è anche di saper leggere il disagio attraverso gli incontri con i genitori.

Un altro disagio forte è dovuto all’allontanamento dei ragazzi dalla scuola. Il Covid-19 ha costretto tanti adolescenti a rimanere a casa e sempre di più si verificano segnali di sofferenza legati sia all’isolamento sia all’uso incontrollato di internet e dei Social Network per sopperire alle esigenze di socialità.

Infine, un’altra emergenza che abbiamo visto acuirsi con la crisi dovuta alla pandemia è stata, ed è, quella abitativa: persone e famiglie che, non potendo più pagare l’affitto, si ritrovano senza casa.

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Il 2020, per il Centro Prima gli Ultimi è stato un anno molto particolare per tanti aspetti ma quello che più di ogni altro ci ha impegnato è stato quello relativo alla distribuzione del cibo alle famiglie indigenti.

Il Covid ha trovato le famiglie italiane già in una situazione di grande crisi economica e, soprattutto quelle che già arrancavano per tirare avanti sono state stroncate dagli effetti della pandemia sulla situazione economica del Paese.

Questa situazione ha portato tante famiglie ad avere difficoltà tali da non poter assicurare il cibo ai propri figli. È stato veramente drammatico accogliere persone che fino a poco tempo fa avevano una situazione se non florida, quanto meno stabile economicamente e assisterle con la distribuzione di cibo.

Le famiglie impoverite dalla crisi si sono trovate a vivere una situazione inedita e dolorosa.

Molti sono venuti quasi con vergogna al Centro Prima gli Ultimi di Orte cercando cibo e giustificandosi per doverlo chiedere.

La convenzione con il Banco alimentare e con la Coop Tirreno ci ha consentito di aiutare tante persone. Nell’anno 2020, infatti, abbiamo potuto distribuire circa 9 tonnellate di cibo a oltre 230 famiglie.

Alle persone anziane e a chi non poteva muoversi di casa le abbiamo potate a domicilio e abbiamo avuto modo di verificare con mano le varie situazioni di povertà in cui soffrono tante famiglie italiane.

Durante il 2020 abbiamo donato 40.000 mascherine chirurgiche e distribuito alimenti a 230 famiglie in Italia per un totale di 9 tonnellate di cibo di cui:

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2.656 kg/lt tra latte e formaggi 2 tonnellate di legumi 500 kg tra carne e pesce 3 tonnellate di cereali
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Cibo per i più poveri e per gli impoveriti

Le nostre storie a lieto fine

L’inizio di una nuova vita

Esther e Osaze, chi ci segue forse li conosce già. Li abbiamo ospitati a “Casa Nube”, la casa di accoglienza di Orte che offriamo alle persone che si trovano in emergenza abitativa.

Li abbiamo conosciuti ormai due anni fa: la giovane coppia, con un bambino e un altro in arrivo, era arrivata dalla Nigeria passando attraverso l’orrore della Libia e sopravvivendo a indicibili orrori. Appena arrivati, sono stati inseriti nel sistema di accoglienza italiano ma all’improvviso, cambiata la legge, sono stati espulsi. Non sapevano dove andare, e sono finiti in strada.

I servizi sociali ci hanno segnalato il loro caso e noi non ci siamo tirati indietro: avevamo appena inaugurato l’appartamento ed eravamo felici di dare una mano.

Osaze ha cercato lavoro incessantemente e finalmente, dopo una serie di lavoretti saltuari, lo ha trovato a Pescara come aiutante in una macelleria. Nel frattempo è nata anche la bella Purity, la sorellina del piccolo Hope. Ultimo inciampo per la famiglia, prima di trasferirsi a Pescara: il loro matrimonio, celebrato in Nigeria, non è stato riconosciuto in Italia. Così ci hanno chiesto un aiuto, insieme abbiamo prodotto tutti i documenti necessari e fissato il giorno delle nozze, a febbraio 2020.

E i testimoni? Hanno voluto che fossero le nostre due operatrici, Sabina e Patrizia!

E il vestito? Non si è mai vista una sposa senza! E quindi è partita una gara di solidarietà per acquistare il vestito da sposa!

Ora Osaze, Esther, Hope e la piccola Purity sono a Pescara: ogni tanto ci sentiamo e li sappiamo felici.

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ITALIA

Veronica e i giorni della crisi

Il 2020 è stato l’anno della pandemia, del Covid-19, della crisi che ha colpito tante famiglie. In questo anno, il Centro Prima gli Ultimi di Orte ha svolto un servizio davvero importante per la comunità: ha offerto aiuto alimentare a chi ne aveva bisogno, un sostegno determinante per tante famiglie, alcune delle quali si sono trovate all’improvviso in condizioni di grave disagio economico.

Veronica è una bambina di otto anni che, a giugno scorso, ha iniziato a venire al Centro Prima gli Ultimi insieme alla sua mamma. Era così timida all’inizio, e che occhi tristi aveva! Cercavamo di distrarla e di strapparle un sorriso regalandole giocattoli o dandole quaderni da colorare. Lei ringraziava sempre educatamente ma si vedeva che era a disagio e non c’era nulla che le facesse tornare il sorriso.

Un giorno di inizio inverno ci ha stupito tutti: è entrata di corsa al Centro portando un’enorme busta, più grande di lei.

“Come stai Veronica?” le chiediamo. E lei: “Benissimo, sono proprio felice! Papà ha riaperto il suo negozio e finalmente Anastasia

IL PERMESSO DI ESISTERE

Noah si prende cura di Marceline, la nipotina di otto anni, disabile e abbandonata dai genitori. L’ha presa sotto la sua ala e l’ha portata con sé nel suo viaggio dal Camerun all’Italia, quel viaggio di speranza verso un nuovo futuro possibile.

Sono stati anni difficili per Noah, le politiche italiane verso l’immigrazione sono diventate sempre più dure, ottenere i documenti è diventato sempre più difficile. Quando lo abbiamo conosciuto era veramente disperato.

Abbiamo ospitato lui e la sua nipotina nella casa di accoglienza temporanea, Casa Nube.

Abbiamo aiutato Noah a orientarsi nella burocrazia italiana, a chiedere il permesso di soggiorno per cure mediche, a usufruire degli aiuti di cui aveva diritto.

La piccola Marceline, intanto, è diventata la nostra mascotte: ogni volta che viene a trovarci al Centro sa già che l’aspetta un cioccolatino, un libro da colorare e una tazza piena di matite colorate! Inoltre, grazie ad alcuni sostenitori, siamo riusciti a dotarla di una sedia a rotelle nuova fiamman-

te, necessaria perché quella vecchia non marciava più!

A gennaio 2021, finalmente, la buona notizia: Noah ha ottenuto il permesso di soggiorno, ha ottenuto il permesso di esistere.

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con la piccola Veronica e la sua mamma

Avendo a che fare con persone in situazioni di disagio, che si rivolgono a noi in cerca di aiuto, fondamentale è creare una situazione di empatia, calore, ascolto senza pregiudizi.

Questa è stata la nostra forza, ciò che ha portato i nostri beneficiari ad aprirsi con noi, dandoci la possibilità di dare loro il supporto che necessitavano.

Molte volte le soluzioni sono a portata di mano ma, semplicemente, non si conoscono i percorsi da intraprendere per arrivarci. Le persone che bussano alla nostra porta, solitamente, sono confuse, hanno perso la bussola e non sanno dove andare a cercare possibili soluzioni alle loro condizioni di difficoltà. Noi siamo lì per loro.

SPORTELLO DONNA

Abbiamo ricevuto tante richieste di aiuto da parte di donne in situazioni difficili. Il servizio si rivolge in particolar modo a donne provenienti da contesti familiari e sociali marcatamente patriarcali e/o maschilisti, vittime di violenza o in situazioni di disagio. Soprattutto durante il lockdown, tante donne già vittime di violenza si sono trovate costrette alla convivenza proprio con i loro oppressori. Lo Sportello e l’assistenza telefonica vogliono essere dei ponti fra le vittime e le strutture pubbliche preposte. Destinatarie del servizio sono anche donne migranti con storie di violenza, nel paese d’origine e nel percorso migratorio.

MIGRANTI

Oltre all'orientamento ai servizi territoriali, garantito a tutti i beneficiari, presso il Centro Prima gli Ultimi si fornisce assistenza ai migranti nelle pratiche di richiesta e rinnovo

all inserimento in progetti di cooperazione internazionale. Si offrono, inoltre, corsi di alfabetizzazione gratuiti e si indirizza chi ne fa domanda presso il Corso di Italiano L2.

CERCALAVORO E ORIENTAMENTO ALLA FORMAZIONE

PROFESSIONALE

Un altro servizio molto importante che abbiamo offerto durante l’anno è l’aiuto nella ricerca del lavoro. Raccogliamo informazioni riguardo domande e offerte di lavoro e cerchiamo di mettere in contatto possibili combinazioni, creando relazioni di lavoro durature.

Forniamo anche supporto nella redazione del CV e nella risposta agli annunci. Infine, è in progetto la creazione di un database con offerte e richieste di lavoro, opportunità di formazione professionale e servizi territoriali.

ACCOGLIENZA ABITATIVA

Mamme sole con figli, persone con grave disagio socio economico o senza fissa dimora, titolari di protezione umanitaria dimessi dai centri di accoglienza: ecco alcuni dei possibili destinatari del servizio di accoglienza abitativa che offriamo in un appartamento a Orte, Casa Nube.

L'obiettivo del progetto è di dare un ha veramente bisogno, offrendo ospitalità in un luogo sicuro per un periodo di massimo un anno.

Durante tutto il 2020, 12 persone si sono avvicendate in Casa Nube: una famiglia di 4 persone, 7 giovani adulti e un minore. La maggior parte di loro ha poi trovato una situazione di stabilità, anche economica, riuscendo a trasferirsi in altre condizioni abitative e a condurre una vita degna e libera dallo spettro della povertà e dell

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ITALIA
Persone totali 482 Famiglie 152 Minori 62 Donne vittime di abuso e violenza 12 Persone aiutate con la distribuzione del cibo 170 Persone senza tetto accolte in Casa Nube 12 Persone regolarizzate con lavoro e documenti 8

VENT’ANNI: CHE STORIA!

Proprio nei giorni in cui compivamo 20 anni come Associazione Sulla Strada e già avevamo messo in cantiere la preparazione di una giornata di festeggiamenti, un microscopico virus ha bloccato le nostre attività, ha inceppato gli ingranaggi che giravano allegri e potenti.

Un esserino minuscolo, della grandezza di un decimo di micron (un millimetro è composto di 1.000 micron, per cui in un millimetro possono entrare ben 10.000 coronavirus), è riuscito a mettere in ginocchio addirittura le più grandi economie mondiali. Quanto più può spezzare le gambe a un’associazione come la nostra.

Noi però siamo rimasti fedeli alla nostra scelta di rimanere sempre dalla parte degli ultimi, dalla parte dei più piccoli, per i quali continuiamo a lottare. Per questo motivo tanti donatori hanno continuato a darci fiducia ed è lo stesso motivo per cui siamo ancora in piedi e il virus non ci ha vinto. Voglio ricordare tre personaggi che hanno lasciato un segno forte nella vita sociale italiana.

Vittorio Cingano, un signore di 73 anni che ha preso le difese di una ragazza che veniva insultata dal suo fidanzato, è stato ricoverato in ospedale con un trauma cranico e un femore fratturato, per le botte ricevute da quell’energumeno.

Ha detto ai giornalisti che quello che aveva fatto, nonostante il prezzo pagato, continuerà a farlo sempre. Questo anziano è per noi un vero punto di riferimento per capire cos’è la fedeltà alla propria coscienza e per continuare a umanizzare il mondo così incattivito oggi.

Willy Monteiro Duarte, un giovane ragazzo di 21 anni, è stato invece addirittura ucciso per essersi frapposto fra degli scalmanati e violenti picchiatori e un suo amico. Per salvare quest’ultimo è morto lui. Martire è la parola appropriata per Willy. La sua testimonianza ha richiamato a profonde riflessioni e a cambi di vita molti altri giovani. Willy ci ricorderà per sempre che la vita ha senso pieno quando è spesa per il bene degli altri.

Quel suo sorriso contagioso si è moltiplicato per milioni e vogliamo che sia di monito anche per noi, da queste pagine: la gioia produce la forza per opporsi alla violenza che porta sofferenza.

Don Roberto Malgesini, prete di strada a Como, accoltellato e ucciso dal tunisino Mahmoudi, uno dei suoi assistiti, aveva 51 anni. Era inviso alle autorità della città perché aveva sfidato norme irresponsabili e incivili della giunta, che vietavano di accudire i poveri per strada, e lui aveva organizzato assistenza per i clochard. Per questo lo avevano denunciato. Una legge immorale non va rispettata, va invece combattuta con una vera e propria disobbedienza civile. Come irresponsabili e incivili sono stati ai suoi tempi i decreti sicurezza che hanno portato il nome del ministro che le ha partorite, Salvini.

Quegli stessi decreti sono stati poi ancora validi per l’Italia dei Cinque Stelle e del Partito Democratico: tutti, tutti quei politici hanno dimostrato di essere degli irresponsabili e incivili perché complici di norme disumanizzanti, che hanno avvilito e umiliato l’Italia dalla lunga tradizione umanista e solidale.

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Il primo segno di civiltà

Si racconta che il primo segno di civiltà sia un femore rotto e poi risanato, di qualche decina di migliaia di anni fa.

A quei tempi, infatti, chiunque si rompesse un femore era condannato a morte.

Se quel ritrovamento ci dice il contrario, vuol dire che un’altra persona si è presa cura del primo e lo ha assistito fino al suo pieno ristabilimento.

Forse – dico forse – quell’uomo che è stato aiutato dopo la sua frattura e si è ristabilito, poi ha ucciso il suo salvatore per un piccolo capriccio. È proprio quello che è successo a don Roberto.

https://www.facebook.com/ SULLASTRADAONLUS/ videos/754005198532701

ECCO IL LINK DOVE POTETE GUARDARE IL VIDEO DEL NOSTRO VENTENNALE

Eppure, anche lui, se potesse ancora parlare, direbbe che aiuterebbe ancora il tunisino Mahmoudi.

Il virus della pandemia attuale, come anche la chiusura mentale e l’egoismo di tanti, vorrebbero che ci fermassimo? Ebbene, siamo più forti e più decisi di prima e continueremo ad avere sempre come punto di riferimento la fedeltà al nostro convincimento: prima gli ultimi!

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Ogni 15 giorni ritiriamo al Banco Alimentare con il quale abbiamo una convenzione, il cibo da distribuire ai beneficiari del Centro Prima gli Ultimi di Orte

Nel 2019 e anche nel 2020 la Chiesa Valdese ci ha sostenuti per le attività del Programma Prima gli Ultimi

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I risultati delle attività del 2020 sono stati possibili anche grazie

a tante collaborazioni con Associazioni e Aziende amiche

Ogni 15 giorni ritiriamo al Banco Alimentare con il quale abbiamo una convenzione, il cibo da distribuire ai beneficiari del Centro Prima gli Ultimi di Orte

Tutti i giorni, ritiriamo al negozio Coop di Orte, le eccedenze alimentari in scadenza.

È un’attività molto importante non solo per gli aiuti che diamo ma anche in contrasto allo spreco alimentare

Preziosa collaborazione quella della Regione Lazio che ha sostenuto gran parte degli aiuti che abbiamo dato al Centro Prima gli Ultimi

Fin dalla nascita del Programma

Prima gli Ultimi l’Immobiliare Delta è stata l’azienda che ha creduto più di ogni altri nel progetto Prima gli Ultimi

L’Azienda Airone Gift è stata al nostro fianco da sempre per lo sviluppo dell’Emporio de Las Mujeres, il laboratorio di sartoria artigianale in gestito dalle donne maya del Guatemala

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grazie

Collaborazione con altre associazioni

MEDITERRANEA

Funima

ARCI AUSER

DIOCESI CIVITA CASTELLANA

Cervelletta

ASSOCIAZIONE HUMANITAS DI GROSSETO

CIPSI

Associazione Salvabebè - Salvamamme

ASSOCIAZIONE EMANUELA SAUVE

QUELLA DEL THE

Parrocchia San Raymundo

ESO ES

LIBERA CONTRO LE MAFIE

DARIO SGROI UN SORRISO

Nomadelfia

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Il nostro impegno per un futuro più giusto

CAMPAGNA VACCINI PER TUTTI

https://noprofitonpandemic.eu/it/?fbclid=IwAR30zmbGM_XYkpKNtb-UlRqQ6el1yvlvPRTEIvhjSftVB-t6pcYOa7uZHsg

IO ACCOLGO

Nella speranza di poter presto tornare a ritrovarci dal vivo per dire basta a questi crimini con molti altri gesti, restiamo umani, vigilanti e appassionati della giustizia e della dignità di ogni vita umana.

MEDITERRANEA

ACQUA BENE COMUNE

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PROGETTI PER IL FUTURO

SERVIZIO CIVILE

PRIMA GLI ULTIMI

OSPEDALE

SCUOLA PUBBLICA

RICONVERSIONE YATINTO

TORNO SUBITO - FLAVIA

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