Uomini e Trasporti n. 366 Aprile 2021

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LEZIONI DI STORIA

I RICORDI DI MEZZO SECOLO DI BATTAGLIE DI SILVIO FAGGI (FIAP)

La riforma Bassanini portò in dote alle Province la gestione degli Albi. È stato il disastro più totale. Fu messa nelle mani degli assessori provinciali la possibilità di regalare licenze conto terzi e soprattutto conto proprio a destra e a manca

I

primi camion li ha visti – smadonnando – a metà degli anni Settanta, lungo quella che stava per essere ribattezzata E45, come se fosse bastato un nuovo nome per tappare le buche, allargare le strettoie, riparare i cedimenti, cancellare le frane ed eliminare completamente le code di quella che di fatto era ancora la Strada statale 3 bis Tiberina. Perennemente intasata da interminabili file di autocarri, autotreni, autosnodati, autoarticolati impegnati in avventurosi sorpassi a velocità infima che rallentavano il viaggio verso la pianura, verso la città, verso il mare, di quel ventenne montanaro che friggeva per raggiungere la morosa in attesa a Cesena. Cinquantasei chilometri dalla sua Alfero, un minuscolo paese ai piedi del monte Fumaiolo, dove nasce il Tevere, «il fiume sacro ai destini di Roma», come recita il cippo con tanto d’aquila messo lì dal Duce, nel trascinare i confini della sua Romagna in piena Toscana per «nobilitarla» con le sorgenti della storia di Roma. Cinquantasei chilometri di càncheri e perenne ritardo agli appuntamenti con quella che – evidentemente più consigliata dall’amore che dalla puntualità – sarebbe diventata sua moglie. Non sapeva allora, Silvio Faggi, che quei mastodontici tardigradi sarebbero diventati, al pari della sua morosa, i compagni di una vita e che per quarant’anni – come con una moglie – ne avrebbe condiviso gioie e dolori, successi e sconfitte, crescite e cadute. «Avrebbero potuto essere le parrucchiere o le estetiste», ricorda con il sorriso ammiccante chi non crede in quel che sta dicendo, «invece, dato che sono sfortunato, furono gli autotrasportatori». Una vicenda lunga quasi mezzo secolo – vissuta nel cuore del confronto tra le associazioni di rappresentanza e i governi – da rileggere, con gli occhiali della Storia, insieme a lui, oggi che ha lasciato ogni incarico, per ritirarsi nella sua montagna a fare «il bracciante in nero» per il figlio.

GLI INIZI. L’INCONTRO CON L’AUTOTRASPORTO E LE TARIFFE A FORCELLA Il rischio che Faggi, classe 1955, finisse tra i parrucchieri fu reale. Figlio («al 100%») della Prima repubblica, militava nel Partito socialista di Forlì, («I riti per entrare in un’organizzazione di massa», ricorda, «prevedevano che ci fosse un passaggio, una sorta

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le – annunciò che aveva appena firmato il decreto che dava attuazione al titolo III della legge 298: le tariffe a forcella erano entrate in vigore.

UN DECENNIO NELLA FITA. GLI ANNI OTTANTA E LE AUTORIZZAZIONI SPECIALI

di svezzamento, all’interno di un partito politico»), prima di trasferirsi, nel gennaio del 1980, nella Confederazione nazionale dell’artigianato (CNA). Qualche mese dopo due funzionari locali furono catapultati nella segreteria provinciale e si aprirono due posizioni: una per seguire parrucchieri ed estetiste, l’altra per occuparsi di autotrasportatori. A Faggi toccarono i secondi. «Non ne sapevo nulla. All’inizio ero tentato di mollare. Poi, un po’ alla volta, ci ho preso gusto». Anche perché a 25 anni – praticamente appena entrato – era già Segretario della Fita di Forlì (una delle più forti organizzazioni territoriali del Paese) e, nel giro di un paio di anni, aveva assunto la responsabilità di tutta la componente socialista a livello regionale. Proprio mentre improvvisamente Cesena diventò un palcoscenico nazionale per l’autotrasporto. Erano gli anni delle battaglie per le tariffe forcella: previste dalla legge 298 del 1974 che le aveva introdotte insieme all’Albo degli autotrasportatori, dopo otto anni ancora non erano state istituite. Alla fine del 1982 il ministro socialista dei Trasporti, Vincenzo Balzamo, si presentò a un convegno organizzato dal partito socialista locale per sollecitare finanziamenti per lo sviluppo della viabilità e delle aree di sosta dei veicoli. Faggi svolse la relazione d’apertura e poi passò la parola al ministro, il quale – tra la sorpresa genera-

«Di quei dieci anni passati in Fita CNA», racconta oggi, «ho ricordi vividi e belli. Ho conosciuto personaggi straordinari, a cominciare dai vertici dell’epoca: il segretario generale della Fita, Quirino Oddi, il presidente Giovanni Menichelli e il suo successore, Giuseppe Sambolino, forse il miglior presidente che Fita abbia mai avuto. Furono anni di grande fermento, con numerosi tentativi di promuovere l’unità tra le associazioni, come l’Unatras (rimasta ancora

Una foto storica dell’autotrasporto italiano: il velo con le sigle di tutte le diverse associazioni viene fatto cadere (per opera di Faggi che manovrava dietro al palco) e si disvela la sigla UnaTras per la prima volta. In casa Fita qualcuno si lamentava di non aver discusso questo passaggio negli organismi direttivi,


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