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L'IDROGENO Ce ne vuole tanto perché servirà a decarbonizzare anche l’industria
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Ilproblema dell’idrogeno ha in una sola parolina, la madre di tutte le domande: «Quando?». Da essa discendono tutti quesiti dalle cui risposte dipende la diffusione di veicoli alimentati dall’energia elettrica prodotta dagli elettroni dell’idrogeno separati dal nucleo attraverso una pila a combustione: la fuel cell. Già questa sintetica descrizione fa capire che l’unico «quando» che non presenta problemi è la tecnologia, studiata addirittura dall’Ottocento e applicata per la prima volta nelle trazioni nel 1956 dalla Allis-Chalmers, una fabbrica statunitense di trattori agricoli che ne realizzò uno alimentato da pile a combustione capaci di generare una potenza di 20 CV. Tant’è che i più ottimisti – come Marco Alverà, amministratore delegato di Snam – scommettono di vedere in circolazione i primi truck a idrogeno già l’anno prossimo. «Stiamo lavorando con diversi soggetti che producono camion e autobus a idrogeno», ha dichiarato in un’intervista a la Repubblica. «I primi camion possono essere pronti nel 2022-2023». Del resto, già qualche mese fa in Svizzera (dove i veicoli a zero emissioni sono detassati) sono arrivate dieci motrici Hyundai XCient, un modello appena sperimentato in Corea, capace di trainare una combinazione 4x2 da 32 tonnellate con un’autonomia di 400 chilometri e un tempo di ricarica dagli 8 ai 20 minuti. Non a caso è stato presentato come «il primo mezzo pesante elettrico a celle a combustibile prodotto in serie al mondo».
La prima applicazione
IN PRINCIPIO VENNE UN TRATTORE
IL PROBLEMA È ECONOMICO
Quella all’idrogeno – soprattutto al camion all’idrogeno – è una corsa giustificata dagli indubbi vantaggi del fuel cell nel trasporto pesante che si traducono in un’autonomia anche fino a mille chilometri e in tempi di ricarica simili a quelli del gasolio, proprio le prestazioni che l’elettrico non riesce ancora a fornire. Ma è una corsa rallentata da una serie di ostacoli che – anche qui – si traducono in una sola parola: «costi». Prima di tutto quelli del veicolo, perché la tecnologia ha un prezzo. Degli XCient venduti in Svizzera non se ne conoscono le
MA PRODURLO COSTA ANCORA TROPPO
I camion a fuel cell hanno un’autonomia fino a mille km e si ricaricano in pochi minuti, ma i prezzi sono ancora troppo elevati, realizzare l’idrogeno verde ne porta il costo alla pompa fuori mercato.
E anche qui mancano le stazioni di rifornimento: Carta di identità
ce n’è una sola ed è a Bolzano COME E COSA
La prima stazione di ricarica
LA SOLITUDINE DEI NUMERI UNO
Questo è il numero uno, quello destinato a diventare – un po’ come i dollari di Paperone – il primo di una lunga serie. È il distributore di idrogeno sulla A22, a Bolzano Sud, in grado di produrre direttamente quanto serve ad alimentare i veicoli e a sviluppare una capacità annua di 1,5 milioni di metri cubi di gas. Anche se bisogna dire che la sua solitudine dura da tempo, dal 2014 esattamente. Chissà se si troverà qualcuno in grado di fargli compagnia?
cifre. Ma devono essere importanti se la Hyundai si è associata una società svizzera – la H2 Energy – per dare in noleggio le sue motrici in pay-per-use. Ma il problema economico principale è che l’idrogeno deve essere prodotto e deve esserlo in modalità ecologica per arrivare all’idrogeno verde (e non a quello grigio o blu generato da idrocarburi), con costi che sono ancora troppo elevati, sia che si impieghi l’energia solare o eolica, sia che si ricorra all’elettrolisi. Claudio De Scalzi, amministratore delegato di Eni, ha spiegato all’agenzia Italpress che per produrre un chilo di idrogeno verde ci vogliono 8-10 euro. Una tariffa che «non è competitiva». Per di più c’è il consumo d’acqua. «Per
L’idrogeno è elemento chimico più leggero in natura. Si trova nelle emanazioni vulcaniche ma è presente in composti come l’acqua. Può essere utilizzato per alimentare sistemi di trasporto o per la produzione di energia elettrica sostituendo gas e carbone come combustibili. Per ottenerlo bisogna estrarlo dalle sostanze che lo contengono, ma con notevole dispendio di energia. Per questo non è fonte primaria di energia ma vettore energetico. Può produrre energia in due modi: si può bruciare da solo o con altri combustibili oppure facendo reagire l’idrogeno von l’ossigeno ottenendo energia elettrica attraverso un dispositivo chiamato cella a combustile. Allo stato gassoso è un buon combustibile. Se bruciato produce una quantità di calore 2,6 volte superiore a quanto viene bruciato il metano. Se lo si raffredda a -253° diventa liquido e non reagisce più con i metalli. Viene prodotto dall’acqua attraverso un processo di elettrolisi, è più vantaggioso usando idrocarburi ma sporcano. Usare l’idrogeno su vasta scala è difficile, si disperde ed è infiammabile cose che complicano le operazioni di trasporto e lo stoccaggio. Può essere accumulato trasportato in forma liquida, gassosa o assorbito su materiali speciali. Ogni modalità comporta vantaggi e svantaggi, ma comporta in ogni caso investimenti in ricerca e sviluppo. Lo stesso è richiesto per sviluppare una rete di ricarica per autoveicoli.
Il primo camion prodotto in serie
LA PARTENZA DELLO HYUNDAI XCIENT
Ecco la partenza dalla Corea dei primi esemplari dell’XCient Fuel Cell destinati all’Europa, in particolare alla fi liale svizzera della Casa. L’obiettivo è di arrivare a esportarne 1.600. Si tratta di una motrice sviluppata in modo indipendente da Hyundai Motor, alimentata da celle a combustibile da 190 kW (due pile da 95 kW) spinta da un motore elettrico da 350 kW e 3.500 Nm e con un’autonomia di circa 400 km garantita dal pieno di sette serbatoi (dotati di capacità totale di circa 32 kg di gas) che richiede tra gli 8 e i 20 minuti.
una tonnellata di idrogeno» ha aggiunto De Scalzi, «servono 8-9 tonnellate di acqua demineralizzata. E serve elettricità, in continuo, che oggi il fotovoltaico da solo non garantisce: l’elettrolisi ha infatti bisogno di continuità». Come si giustifica, allora, l’ottimismo di Alverà? Con il miglioramento delle tecnologie di produzione che permetterebbero di far scendere il costo a 2 euro al chilo nei prossimi cinque anni. «Nel 2000 il prezzo dell’idrogeno da rinnovabili», ha ricordato l’amministratore delegato di Snam, «era quaranta volte superiore a quello del petrolio, oggi stimiamo che potrà diventare competitivo con alcuni combustibili attuali nel giro di cinque anni e soddisfare circa un quarto della domanda di energia in Italia al 2050».
INVESTIMENTI MONDIALI
Ma, attenzione, i ragionamenti di Eni e Snam non solo si inseriscono in un mercato mondiale che secondo IHS Market investirà più di un miliardo di dollari entro il 2033, ma soprattutto guardano a un’Europa che – con la filosofia del Green Deal e i finanziamenti del Recovery fund – ha bisogno di ingenti quantità di idrogeno per decarbonizzare interi settori, come l’industria chimica e quella siderurgica, il trasporto ferroviario non elettrificato e lo stesso riscaldamento domestico, oltre al trasporto stradale. Tant’è che l’Unione europea intende realizzare, in due fasi da chiudere entro il 2030, 46 Gigawatt di elettrolizzatori per produrre 11 milioni di idrogeno verde. A questa massiccia domanda, Eni e Snam si candidano per fornire idrogeno prodotto con energia solare in Africa, trasportandolo di lì, attraverso il Mediterraneo, in tutta Europa utilizzando la rete di gasdotti Italgas che – unica in Europa – è interamente digitalizzata e che sperimenterà prossimamente il trasporto dell’idrogeno in Sardegna. È evidente, comunque, che l’interesse dell’Europa per lo sviluppo dell’idrogeno finirà per ricadere anche sul settore dei veicoli pesanti per il trasporto su strada. Che, però, a differenza dell’industria siderurgica o chimica, ha il problema delle stazioni di rifornimento. Non nel senso dei tempi, ma proprio della creazione di una rete. Oggi (dal 2014) esiste un solo distributore di idrogeno,
H2Accelerate promossa da costruttori e aziende petrolifere
INSIEME PER ANDARE PIÙ VELOCI
Nella storia della diffusione dell’idrogeno nel trasporto pesante il 15 dicembre 2020 rimarrà una data storica. Perché segna l’atto di nascita di un’alleanza stretta fra tre costruttori di veicoli (Daimler Truck, Iveco e Volvo Group) e due aziende attive nel settore petrolifero (Shell e OMV) per creare le condizioni per un uso di massa dei camion a celle a combustibile. La sfida di H2Accelerate – così si chiama l’alleanza – è proprio quella di creare una nuova filiera dedicata, che comprende stabilimenti per la produzione dell’idrogeno a zero emissioni, una rete di impianti di distribuzione e la produzione in serie dei veicoli. I partecipanti di H2Accelerate mirano a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Il programma prevede una progressiva espansione dell’idrogeno nell’autotrasporto nel prossimo decennio, partendo da un gruppo di utilizzatori disposti a impegnarsi da subito. Nella fase iniziale, i loro veicoli opereranno in cluster regionali e lungo i principali assi stradali europei, in grado di garantire buona copertura di stazioni di rifornimento. Si parte con una flotta di cento veicoli e una ventina di distributori, ma pian piano i cluster si allargheranno e si connetteranno per creare una rete continentale. In questa fase sarà decisivo il sostegno pubblico e per reperire i relativi fondi collaboreranno tutti i membri dell’alleanza. Nella seconda, poi, dal 2025 al 2030, si punterà a creare un contesto politico favorevole a sostenere una produzione in serie per cercare di mettere in strada circa 10mila veicoli.
sulla A22, a Bolzano Sud e su prenotazione. È un impianto all’avanguardia che produce direttamente l’idrogeno e ospita un centro di ricerca in un edificio di 800 metri quadrati con una capacità annua di 1,5 milioni di metri cubi di gas. Lì è stata consegnata due anni fa la prima automobile a idrogeno in Italia, una Hyundai Nexo da 69 milioni di euro.
UNA SOLA STAZIONE
Ma è difficile comprare un’auto costosa se poi per fare rifornimento bisogna andare a Bolzano. Per cui appaiono ancora poca cosa le altre quattro stazioni programmate dalla società autostradale del Brennero a Rovereto (con energia prodotta dai pannelli fotovoltaici), al Plessi Museum (idroelettrica o eolico), nei pressi di Verona (eolico e biomassa) e a Campogalliano (biomasse). E non aggiungono molto neppure le altre due annunciate dal’Eni a Milano e a Marghera. Può consolarci il fatto che in tutto il mondo, alla fine del 2019, di stazioni a idrogeno ce n’erano solo 470, di cui 150 in Europa. Ma la pressione dell’Unione verso la decarbonizzazione induce Hydrogen Europe, l’associazione europea degli industriali della catena dell’idrogeno, a prevedere che entro il 2030 arriveranno 4.500 stazioni, alimentate dalla dorsale europea delle rete di distribuzione, quella alla quale la Snam intende collegare i suoi gasdotti. Se l’intera operazione riuscirà, tra abbassamento dei costi di produzione e ampliamento della rete di distribuzione, la ricaduta sarà positiva anche sul prezzo alla pompa che scenderebbe, diventando competitivo con un Supercharger elettrico. Un confronto oggi è possibile solo con le autovetture. La stazione di Bolzano, attualmente, vende idrogeno verde a 13,8 euro al chilo. Una Hyundai Nexo, dunque, paga 87 euro per un pieno, pari a 13 euro per 100 chilometri. A un modello simile, ma elettrico, la Tesla Model 3 Performance, il pieno a un Supercharger Tesla costa soltanto 22,5 euro, quindi 4 euro per 100 km. L’abbassamento dei costi di produzione previsti da Alverà (2 euro al chilo), farebbe scendere il rifornimento della Nexo a 3 euro, meno della Tesla. Ma è tutto legato alla velocità con cui saranno realizzati i piani – europei, nazionali, aziendali – per lo sviluppo dell’idrogeno. Quello italiano, preparato su incarico del governo dal comitato MH2IT, che raccoglie i principali operatori del settore, prevede per l’Italia 27 mila veicoli a idrogeno al 2025 che dovrebbero aumentare a 8,5 milioni al 2050, accanto a 23 mila autobus e 5 mila stazioni di rifornimento. Ma quando si tratta di previsioni – anche se documentate – è meglio andare con i piedi di piombo. Quando, nel novembre 2019, l’amministratore delegato della A24, Diego Cattoni, annunciò le nuove quattro stazioni a idrogeno sulla sua autostrada, prevedeva 1.000 automobili a idrogeno in circolazione entro il 2020. Oggi sulle strade italiane ce ne sono solo una decina: sette vendute nel 2019, due nel 2020. Più un’altra: quella regalata dalla Toyota a Papa Francesco.
Joint venture paritetica tra due concorrenti per produrre fuel cell
DAIMLER E VOLVO, UNITI IN UNA CELLA
Ma quanto costa vincere la sfida dell’idrogeno? Tanto, forse tantissimo se due società concorrenti, come Daimler Truck e Volvo Group hanno deciso di condividere questo cammino, per unire gli sforzi anche in termini di investimenti. Il tutto si è concretizzato in una joint venture, formalmente siglata la prima settimana di marzo, finalizzata proprio alla produzione di celle a combustibile. Una società paritetica costruita tramite l’acquisizione di Volvo Group del 50% delle azioni di un’azienda attualmente di proprietà della casa tedesca, la Daimler Truck Fuel Cell ma ribattezzata CellCentric, per una somma di circa 0,6 miliardi di euro. La joint venture svilupperà, produrrà e commercializzerà sistemi di celle a combustibile pronti per la produzione in serie. Il progetto è incentrato soprattutto sull’impiego nei truck pesanti, ma i sistemi saranno disponibili anche per altre applicazioni. Tra gli obiettivi fondamentali di Daimler Truck AG e Volvo Group rientra l’intenzione di iniziare i test con i clienti sui veicoli industriali a celle a combustibile tra circa tre anni. Le aziende prevedono che la produzione in serie inizierà nella seconda metà di questo decennio.