CINEMA Il cancro nei film
I
a cura di CARLOTTA JARACH l tumore è stato per tanti anni un grande assente dal cinema. Ha iniziato infatti a giocare un ruolo da protagonista nelle trame delle pellicole solo a partire dagli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, sempre però rigorosamente descritto come un male incurabile e usato quindi da espediente per trame strappalacrime. Pellicola perfetta, in tal senso, è stata Love story, del 1970, diretto da Arthur Hiller. Il film parla di due ragazzi, Oliver Barrett (interpretato da Ryan O’Neal), rampollo di una facoltosa famiglia e studente della prestigiosa Università di Harvard, e l’italoamericana Jennifer Cavalleri (Ali MacGraw), che si innamorano. Con una trama un po’ alla Romeo e Giulietta, i due si sposano pur sapendo di dover affrontare ristrettezze economiche. Non riuscendo ad avere figli, i due si sottopongono a esami clinici per scoprire una triste verità: Jennifer è vittima di una forma fulminante di leucemia, che non le dà scampo. Negli ultimi vent’anni il numero dei cosiddetti “cancer movies” è notevolmente aumentato, ma è cambiata la narrazione del tumore rispetto al passato? Potrebbe, il cinema, essere strumento di sensibilizzazione e informazione? I film sono veritieri nel raccontare la realtà dietro alle diagnosi? Domande che in molti si sono posti, in ambito artistico ma anche in ambito scientifico, tanto che alcuni anni fa un gruppo italiano, guidato da Luciano De Fiore dell’Università Sapienza di Roma, ha provato a rispondere a questi interrogativi. Oncomovies: cancer in cinema è il titolo dello studio che ha analizzato 74 anni di storia del cinema, dal 1939 al 2012 (anno della pubblicazione dei risultati), e che ha confermato la sensazione che i film raramente rispecchiano le reali probabilità di sopravvivenza dopo una diagnosi di tumore. Il cancro troppo spesso è usato come escamotage narrativo senza una particolare attenzione al progresso dei trattamenti oncologici.
Le pellicole con protagonisti pazienti oncologici sono comparse tardi nella storia del cinema e spesso sono poco accurate e hanno toni eccessivamente drammatici. Nonostante ciò, hanno contribuito a ridurre lo stigma nei confronti di una malattia un tempo impronunciabile
Lo studio Oncomovies Nello studio dell’Università di Roma, sono state analizzate 82 pellicole, molte incentrate su un personaggio a cui era stato diagnosticato un cancro: un reduce della guerra di Corea con un tumore al polmone (Clint Eastwood, in Gran Torino), un padre di famiglia ignaro della propria diagnosi perché i medici non glene parlano (Burl Ives, in La gatta sul tetto che scotta), un prete affetto da un tumore allo stoma-
co (Claude Laydu, in Diario di un curato di campagna). “Il cancro non è un argomento di cui è facile parlare” afferma De Fiore nel suo studio “e vederlo in un film dà al pubblico la possibilità di dare voce alle proprie emozioni.” Anche perché, soprattutto oggi, la vita dopo una diagnosi non è fortunatamente così cupa come è stata finora spesso rappresentata nelle pellicole di Hollywood. “Molto spesso il malato nei film non supera la malattia e la sua morte GENNAIO 2022 | FONDAMENTALE | 21