Voci - Numero 3 Anno 1 - Amnesty International in Sicilia

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Approfondimenti

Antropologia

(IN)SICUREZZE VERTICALI E ORIZZONTALI.

SGUARDI SUL MONDO NEOLIBERALE DALLE SCIENZE SOCIALI di Javier Gonzalez Diez

di volta o in volta sceglie di considerare (in)sicuro. Per fare un esempio preso dal nostro volume, la ricerca delle sociologhe Marianna Filandri e Tania Parisi ci mostra come in Italia la percezione dei gruppi sociali a rischio sia cambiata negli ultimi trent’anni. Negli anni Ottanta a causare allarme sociale erano omosessuali, malati di AIDS e bevitori. A partire dagli anni Novanta però questi gruppi sono considerati sempre meno rischiosi, e ad aumentare la percezione di insicurezza subentrano i mussulmani.

Nel mondo attuale si sente parlare molto di “sicurezza” e “insicurezza”, nelle loro multiple declinazioni. Questo doppio concetto, che può essere riassunto nel termine (in)sicurezza, è tirato in ballo continuamente da attori politici e media per giustificare la messa in atto di determinate politiche e decisioni. Dall’(in) sicurezza alimentare a quella nazionale, da quella finanziaria a quella stradale, da quella cittadina a quella ambientale, il concetto sembra onnipresente. Proprio per questo, esso è diventato da qualche tempo oggetto di studio da parte delle scienze sociali, che cercano di non darlo per scontato ma di capire come, quando, perché si costruiscono forme di (in) sicurezza, chi è che ha la funzione di definirle e come questo avviene. In questo breve articolo, riassumo alcune riflessioni che ho presentato in un recente volume curato assieme ad altri colleghi [(In)Sicurezze. Sguardi sul mondo neoliberale, a cura di Javier González Díez, Stefano Pratesi e Ana Cristina Vargas, Edizioni Novalogos, Aprilia, 2014] dedicato allo studio dell’(in) sicurezza da diversi punti di vista. Il volume raccoglie contributi di giovani studiosi provenienti da ambiti di studio molto diversi - antropologi, sociologi, scienziati politici - cui è stato chiesto di interrogarsi sul concetto partendo dalla loro prospettiva disciplinare. Iniziamo da una precisazione importante su come affrontare il concetto di (in)sicurezza. La varietà di casi e modalità attraverso cui la riconosciamo ci spinge a contemplarla non come una realtà ontologica oggettivamente riconoscibile, ma piuttosto come un qualcosa che un attore sociale di riferimento – sia esso lo Stato o diversa entità politica o economica – 19

La variabilità del contenuto del concetto ci spinge quindi a focalizzare la nostra attenzione più sulle modalità attraverso cui un qualcosa, di volta in volta, viene ritenuto (in)sicuro. Più che parlare quindi di sicurezza, può essere interessante parlare di processi e discorsi di (in)securitizzazione, ovvero la messa in atto di azioni e dispositivi per creare sicurezza. La questione fondamentale diventa capire chi è che ha il potere di imporre il discorso di securitizzazione attraverso determinate scelte piuttosto che altre. La questione non è secondaria, in quanto già Hobbes diceva che una delle funzioni dello Stato era quella di scegliere le paure oggetto della gente, per potervi porre rimedio e, di conseguenza, trovare legittimità al proprio potere. Lo Stato produce sicurezza ma allo stesso tempo è legittimato da essa, giocando in realtà un ruolo ambivalente. I processi di “securitizzazione” - come evidenziano nel nostro volume le riflessioni dell’antropologo Carlo Capello sulle paure urbane e del sociologo Sandro Busso sull’ambivalente ruolo degli esperti nella gestione dei rischi - appaiono quindi come una condizione in cui le problematiche sociali sono depoliticizzate e in cui si perdono i modelli alternativi per interpretare e affrontare l’ordine sociale. Una distinzione molto utile delle modalità di securitizzazione è quella che tiene conto in partenza della direzione verso cui si ricerca la sicurezza, verticale piuttosto che orizzontale. Le sicurezze basate sui legami verticali coinvolgono gruppi umani di grandi dimensioni e prevedono un legame diretto fra l’istituzione  securitizzante e il singolo individuo; proprio per questo richiedono necessariamente la presenza di un sistema politico centralizzato se non di una vera e propria entità statale. Esse rispondono all’idea di Hobbes di uno Stato forte in grado di esercitare un controllo sui propri soggetti, in virtù dell’idea di sovranità, ma anche a organizzazioni non statali, ma altamente strutturate e gerarchicamente definite: LUGLIO 2015 N. 3 / A.1 - Voci


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