a campi salentina
Documentaria, la produzione letteraria dello scrittore salentino alla Biblioteca Bernardini
Due chiese che si fronteggiano: la Collegiata e la Chiesa di Sant’Oronzo
anno 173 numero 1 gennaio 202 2
Anno XVII - n 1 gennaio 2022 -
antonio verri
san miserino
i luoghi del cinema
Uno dei luoghi di culto più antichi del Salento nella località Monticelli fuori San Donaci
Sul set del film “Il ragazzo invisibile” diretto da Gabriele Salvatores e girato a Trieste
primo piano
le novità della casa
IL RAGGIO VERDE EDIZIONI
ilraggioverdesrl.it
EDITORIALE
Claude Monet (1840-1926) Passeggiata vicino ad Argenteuil, 1875 Olio su tela, 61x81,4 cm Parigi, Musée Marmottan Monet, dono Nelly Sergeant-Duhem, 1985 Inv. 5332 © Musée Marmottan Monet, Académie des beaux-arts, Paris
Proprietà editoriale Il Raggio Verde S.r.l. Direttore responsabile Antonietta Fulvio progetto grafico Pierpaolo Gaballo impaginazione effegraphic
Redazione Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Raffaele Polo
Hanno collaborato a questo numero: Lucia Accoto, Stefano Cambò, Mario Cazzato, Sara Di Caprio, Dario Ferreri, Federica Murgia, Sara Foti Sciavaliere, Giovanni Maria Scupola, Raffaele Polo,
Redazione: via del Luppolo, 6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi.it www.arteeluoghi.it
Iscritto al n 905 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 29-09-2005. La redazione non risponde del contenuto degli articoli e delle inserzioni e declina ogni responsabilità per le opinioni dei singoli articolisti e per le inserzioni trasmesse da terzi, essendo responsabili essi stessi del contenuto dei propri articoli e inserzioni. Si riserva inoltre di rifiutare insindacabilmente qualsiasi testo, qualsiasi foto e qualsiasi inserzioni. L’invio di qualsiasi tipo di materiale ne implica l’autorizzazione alla pubblicazione. Foto e scritti anche se pubblicati non si restituiscono. La collaborazione sotto qualsiasi forma è gratuita. I dati personali inviateci saranno utilizzati per esclusivo uso archivio e resteranno riservati come previsto dalla Legge 675/96. I diritti di proprietà artistica e letteraria sono riservati. Non è consentita la riproduzione, anche se parziale, di testi, documenti e fotografie senza autorizzazione.
Tutti pazzi per Monet al quale dedichiamo il primo numero di questo 2022, scegliendo non le sue meravigliose ninfee ma un dipinto degli esordi, la passeggiata vicino ad Argenteuil del 1875 dove l’artista si ritrae con l’amata Camille e suo figlio Jean. A lui sono dedicate ben due mostre una a Palazzo Reale di Milano con opere dal Muse ́e Marmottan Monet, l’altra interattiva a Napoli nella Chiesa di San Potito. Pronti a ripartire nel segno della bellezza, dunque, provando a raccontarvi come nel nostro stile di luoghi dal misterioso San Miserino nella località Monticelli a San Donaci (Brindisi) di cui ci parla il giornalista Raffaele Polo, alle due chiese che si fronteggiano nella piazza di Campi Salentina (Lecce), scrigni di tesori come ci svela Sara Foti Sciavaliere, al campo di prigionia PG 85 situato nelle campagne brindisine nel bosco di Colemi come ci racconta il nuovo collaboratore Giovanni Maria Scupola. Luoghi che raccontano di eventi storici drammatici che non bisogna dimenticare a maggior ragione in questo nostro tempo reso ancora più difficile dall’emergenza pandemica e tormentato da crisi politico economiche che si spera non diano origini a nuovi conflitti. Quanto sta avvenendo in Ucraina ci fa temere il peggio. C’è bisogno più che mai di pace, a questo dovrebbe servire esercitare la memoria e ricordare l’orrore di quando il 27 gennaio si aprirono i cancelli di Auschwitz... Abbiamo aperte le porte invece della Biblioteca Bernardini e ammirato la produzione letteraria dello scrittore salentino Antonio Verri un intellettuale oltre gli schemi e un pioniere scomparso troppo prematuramente. Ritornano le consuete rubriche i luoghi del sapere con le recensioni di Lucia Accoto, Raffaele Polo, Stefano Cambò che ci porta anche sui set di pellicole indimenticabili come “Il ragazzo Invisibile” di Salvatores. In anteprima Sara Di Caprio ci svela la mostra dedicata a Michele Sambin al Museo Sigismondo Castromediano mentre Dario Ferreri ci mostra il mondo dell’artista Peter Opheim. Una importante donazione, “Metamorfosi nella natura. La morte degli ulivi” realizzata dagli studenti della 5D del Liceo Ciardo Pellegrino dallo scorso dicembre campeggia nella sede istituzionale della Provincia di Lecce. Un segno di speranza che parte dall’arte e dai giovani artisti attenti al territorio. Ci sembra il miglior modo di ripartire. Buon anno (an.fu.)
SOMMARIO luoghi|eventi| itinerari: girovagando |campi salentina 42 | itinerarte 77 | arte: monet 4|michele sambin 24 | metamorfosi nella natura, la morte degli ulivi 38| i luoghi della parola: | curiosar(t)e: peter opheim 66 tuturano e il campo di prigionia pg85 74 | maria iannotti alla Bnn di napoli 76 interventi letterari|teatro |luoghi del mistero: antonio verri 30 | san miserino 34 | salento segreto 92 musica | le note di mattia vlad morleo 72 !
trieste e la saga fantasy di salvatores 84 libri | luoghi del sapere 78-83 | le recensioni di raffaele polo 78 | Fedrica murgia 80 | #ladevotalettrice 80 | #dal salentocafè 83 i luoghi nella rete|interviste| lecce di notte la nuova illuminazione di palazzo dei celestini 30| Numero 1- anno XVII - gennaio 2022
nel segno di monet. la natura, il colore e la luce Antonietta Fulvio
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Fino al 31 gennaio 2022 per immergersi nell’arte sublime dell’artista impressionista 53 capolavori a Milano, nella mostra curata da Palazzo Reale e Arthemisia in collaborazione con Museé Marmottan Monet di Parigi e Académie Des Beaux-Arts Institut de France Una mostra interattiva a Napoli nella Chiesa di San Potito
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mILANO. Sperimentare con la luce, saper cogliere le più impercettibili variazioni, trovare soluzioni diverse per rendere i contrasti, le vibrazioni luminose dei colori che cambiano con il passare delle ore del giorno in un continuo panta rei. A questo ha dedicato la sua vita e la sua arte, Claude monet il grande maestro impressionista cui è dedicata la mostra “monet. Dal musée marmottan monet, Parigi” visitabile fino al
31 gennaio 2022 nelle sale di Palazzo Reale a milano. La mostra che rientra nel progetto museologico pluriennale “musei del mondo a Palazzo Reale” nato con l’intento di far conoscere le collezioni e la storia dei più importanti musei internazionali, sarà occasione per approfondire l’arte di monet e la storia del musée marmottan monet di Parigi che grazie alla generosa donazione di
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Claude Monet (1840-1926) Lo stagno delle ninfee, 1917-1919 circa Olio su tela, 130x120 cm Parigi, Musée Marmottan Monet, lascito Michel Monet, 1966 Inv. 5165 © Musée Marmottan Monet, Académie des beaux-arts, Paris
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michel, figlio di monet, possiede il nucleo più grande al mondo di opere dell’artista parigino molte delle quali è possibile ammirare. Sono cinquantatré i capolavori selezionati dalla curatrice marianne mathieu storica dell’arte e direttrice scientifica del musée marmottan monet che ha concepito un itinerario sul filo cronologico diluito in sette sezioni attraverso le quali è possibile ripercorrere contestualmente la parabola artistica del maestro e i temi cari all’impressionismo che ad una delle tele giovanili di monet, Impressione, levar del sole, deve il nome. La nascita del termine “impressionista” si deve al giornalista Louis Leroy che lo coniò nel 1874 per stroncare la prima mostra di monet e dei suoi colleghi sul quotidiano satirico “Le Charivari”. ma quel giovane era destinato a diventare un gigante della storia dell’arte e a rivoluzionare la pittura. E il racconto si dipana introducendo i visitatori in una sala, allestita con mobili originali del periodo napoleonico, un modo per rendere
omaggio a Paul marmottan, il fondatore del musée marmottan monet da cui provengono le opere di Claude monet tra cui le sue Ninfee (1916-1919), Il Parlamento. Riflessi sul Tamigi (1905) e la sua ultima opera Le rose (1925-1926). ma come è giusto che sia, il viaggio nell’arte di monet non può che iniziare dai suoi primissimi lavori che raccontano del nuovo modo di dipingere en plein air cui fu introdotto da Johan Barthold Jongkind (1819-1891) e da Eugène Boudin (1824- 1898). Le tele di piccolo formato, più facili da trasportare, ritraevano con pennellate veloci per cogliere con immediatezza marine, paesaggi o anche scene di vita familiare, come l’amata moglie Camille che ritrasse più volte come Passeggiata vicino ad Argenteuil, 1875 o nel dipinto Camille sulla spiaggia, 1870 o suo figlio michel monet in maglione blu, 1883. L’artista viaggiò molto ma più che ritrarre i luoghi il suo interesse era rivolto a catturare le impressioni cromatiche e le variazioni della
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Claude Monet (1840-1926) Falesia e porta d’Amont. Effetto del mattino, 1885 Olio su tela, 50x61 cm Parigi, Musée Marmottan Monet, lascito Michel Monet, 1966 Inv. 5010 © Musée Marmottan Monet, Académie des beaux-arts, Paris
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Claude Monet (1840-1926 Passeggiata vicino ad Argenteuil, 1875 Olio su tela, 61x81,4 cm Parigi, Musée Marmottan Monet, dono Nelly Sergeant-Duhem, 1985 Inv. 5332 © Musée Marmottan Monet, Académie des beaux-arts, Paris
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luminosità nel tempo e in relazione agli eventi climatici. I tramonti sulla costa normanna ad esempio o la regione della Creuse gli consentirono di ritrarre l’intensità della luce in un ambiente ancora selvaggio. Nella sezione intitolata Da Londra al giardino nuove prospettive sono presentate le sperimentazioni suggerite dalle atmosfere nebbiose e rarefatte del Tamigi. Con le vedute del ponte di Charing Cross e del Parlamento, dipinte nel corso di vari soggiorni successivi, si aprì infatti per monet una nuova fase di ricerca che si manifestò pienamente poi a Giverny dove scelse di stabilirsi.
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«mi sono affezionato ai fiori del mio giardino a primavere e d’estate alle ninfee nel mio stagno sull’Epte; danno sapore alla mia vita, giorno dopo giorno.» confesserà al critico d'arte François Thiébault-Sisson nel febbraio del 1918. Giverny il suo piccolo angolo di Paradiso tra la natura e i fiori del suo meraviglioso giardino con emerocalle, iris sbircia, iris di Virginia, agapanti, bulbi, alberi di salice e molte altre piante e infine, gemma tra le gemme, lo stagno con le sue meravigliose ninfee che furono la sua ossessione pittorica. Con le Ninfee del 1904 e 1907, monet concentrò tutta la composizione su un parti-
Claude Monet (1840-1926) Camille sulla spiaggia, 1870 Olio su tela, 30x15 cm Parigi, Musée Marmottan Monet, lascito Michel Monet, 1966 Inv. 5038 © Musée Marmottan Monet, Académie des beaux-arts, Paris
colare del suo giardino d’acqua, inquadra i riflessi della vegetazione e le ninfee adottando un punto di vista completamente nuovo in relazione allo spazio e andando oltre l'impressionismo. «Ho dipinto tante di queste ninfee, cambiando sempre punto d’osservazione, modificandole a seconda delle stagioni dell’anno e adattandole ai diversi effetti di luce che il mutar delle stagioni crea. E, naturalmente, l’effetto cambia costantemente, non soltanto da una stagione all’altra, ma anche da un minuto all’altro, poiché i fiori acquatici sono ben lungi dall’essere l’intero spettacolo; in realtà sono soltanto il suo accompagnamento. - racconterà allo stesso Thiébault-Sisson - L’elemento base è lo specchio d’acqua il cui aspetto muta ogni istante per come brandelli di cielo vi si riflettono conferendogli vita e movimento. La nuvola che passa, la fresca brezza, la minaccia o il sopraggiungere di una tempesta, l’improvvisa folata di vento, la luce che svanisce o rifulge improvvisamente, tutte queste cose che l’occhio inesperto non nota, creano variazioni nel colore ed alterano la superficie dell’acqua: essa può essere liscia e non increspata e poi, improvvisamente, ecco un’ondulazione, un movimento che la infrange creando piccole onde quasi impercettibili, oppure sembra sgualcire lentamente la superficie conferendole l’aspetto di un grande telo di seta spruzzato d’acqua. Lo stesso accade ai colori, al passaggio dalla luce all’ombra, ai riflessi.» Dal 1914 fino alla sua morte, avvenuta il 5 dicembre 1926, monet esegue centoventicinque pannelli di
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Claude Monet (1840-1926) Ninfee, 1916-1919 circa Olio su tela, 200x180 cm Parigi, Musée Marmottan Monet, lascito Michel Monet, 1966 Inv. 5119 © Musée Marmottan Monet, Académie des beaux-arts, Paris
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Claude Monet (1840-1926) Ninfee, 1916-1919 circa Olio su tela, 130x152 cm Parigi, Musée Marmottan Monet, lascito Michel Monet, 1966 Inv. 5098 © Musée Marmottan Monet, Académie des beaux-arts, Paris
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grandi dimensioni che hanno come soggetto il giardino d’acqua di Giverny. Una selezione di queste opere – oggi nota come le Ninfee dell'Orangerie – il pittore la offre allo Stato francese. Questi dipinti monumentali, realizzati direttamente nell’atelier, portano all'estremo la ricerca già iniziata con le Ninfee del 1903 e del 1907. Quasi come fosse uno zoom, l’artista raffigura piccoli dettagli dello stagno annullando ogni riferimento prospettico invitando ad un’esperienza contemplativa dell’immensità della natura. monet e l’astrazione è il titolo della penultima sezione dedicata alla produzione del maestro che nel 1908 si ammala di cataratta. La patologia gli compromette la percezione dei colori che nella sua tavolozza si riducono alle tonalità di marrone, rosso e giallo mentre la forma lascia il posto allo schizzo sempre più indecifrabile. Questi dipinti da cavalletto, che non hanno uguali nel percorso artistico di monet, avranno una profonda influenza sui pittori astratti della seconda metà del Novecento.
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E alle ninfe, il soggetto più emblematico dei capolavori di Claude monet, è dedicata la mostra L’Acquario e le Ninfee. Dalla Natura all’arte di Monet all’Acquario Civico di milano che veniva fondato nel 1909 negli stessi anni in cui monet presentava al pubblico il suo ciclo pittorico Ninfee, paesaggi d’acqua. Ed è proprio la ninfea raffigurata sulle ceramiche della Ditta Richard Ginori che decorano le facciate liberty realizzate nei primi anni del Novecento, ad accogliere i visitatori di questo percorso botanico concepito come un focus sul tema delle ninfee: i fiori acquatici protagonisti nell’opera pittorica di monet. Già presente nella produzione artistica dell’Antico Egitto il fiore, accennato nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio è molto noto nelle culture non occidentali come quella maya e nel Giappone, qui in particolare è un tema dell’ukiyo–e o immagine del mondo fluttuante, genere di stampa artistica giapponese su carta impressa su blocchi di legno. Arte che arrivò in Europa verso la metà
particolare allesimento mostra a Palazzo Reale a Milano
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Claude Monet (1840-1926) Iris, 1924-1925 circa Olio su tela, 105x73 cm Parigi, Musée Marmottan Monet, lascito Michel Monet, 1966 Inv. 5076 © Musée Marmottan Monet, Académie des beaux-arts, Paris
dell’Ottocento dando origine al Giapponismo. monet fu affascinato dall’idea del giardino giapponese che decise di ricreare nella sua casa normanna a Giverny, creando un laghetto nel quale coltivare diverse piante esotiche ma soprattutto ninfee che dipinse in maniera quasi ossessiva negli ultimi decenni della sua vita. «Quando uscite per dipingere,
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provate a dimenticare gli oggetti che avete davanti: un albero, una casa, un campo o qualsiasi altra cosa. Pensate soltanto: ecco un piccolo quadrato azzurro, un rettangolo rosa, una striscia di giallo, e dipingeteli esattamente come vi appaiono, precisamente quel colore e quella forma, finché avrete reso la vostra prima impressione della scena.» Così
particolare allesimento mostra a Palazzo Reale a Milano
monet scriverà verso la fine della sua vita che si chiuse a 85 anni, la sua ultima opera sono le rose, l’incompiutezza del dipinto accresce l'impressione di fragilità dei fiori, metafora della caducità di ciò che circonda che il pittore della luce ha scelto di ritrarre in tutta la sua vita. E se l’allestimento della mostra a Palazzo Reale riserva ai visitatori anche un’esperienza immersiva nelle opere di monet, è in corso a Napoli Claude monet: The Immersive Experience. Dopo Barcellona Bruxelles è giunta nella seicentesca chiesa di San Potito (Via Salvatore Tommasi,1), nel cuore del centro storico di Napoli l’esposizione site specific voluta da Exhibition Hub, società di Bruxelles specializzata nella progettazione e produzione di mostre immersive.Trentacinque minuti, tale è la durata della proiezione, sulle note del com-
positore belga michelino Bisceglia, con 300 dipinti di Claude monet che si animano letteralmente sotto i piedi e intorno ai visitatori. Monet. Dal Musée Marmottan Monet, Parigi Palazzo Reale, Piazza Duomo 12, Milano. Lunedì chiuso. Martedì, mercoledì, venerdì, sabato e domenica 10.00 - 19.30; giovedì 10.00 - 22.30. I biglietti (8-16 €) si acquistano anche in loco ma è consigliata la prenotazione. Accesso solo con Green Pass palazzorealemilano.it Acquario Civico di Milano dal 9 ottobre 2021 al 30 gennaio 2022 Claude Monet: The Immersive Experience Chiesa di San Potito Napoli, via Salvatore Tommasi, 1 info: 39 351 540 2684 Prezzo biglietto: da 7 a 12 euro + prev. Biglietti su Ticketmaster
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La mostra multimediale in corso a Napoli nella Chiesa di San Potito, ; in basso l’ingresso della mostra all’Acquario Civico di Milano
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verri antonio leonardo una stupenda generazione Raffaele Polo
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Documentaria, la mostra dedicata alla produzione Antonio di letteraria Leonardo Verri in continuità con l’allestimento sul muro perimetrale del Museo Castromediano
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o, stavolta non si tratta della solita mostra commemorativa che, fine a sé stessa, pare proprio un addio allo scomparso del quale, poi, non se ne parla più. Al contrario, quello con Antonio Leonardo Verri, è un discorso avvolgente, che non trascura nulla della sfaccettata personalità del poeta di
Caprarica. “Documentaria” è la nuova sezione della mostra “Verri Antonio Leonardo. Una stupenda generazione” allestita, dallo scorso 12 dicembre fino al 25 aprile 2022, sul muro di cinta del museo Sigismondo Castromediano a Lecce. “Documentaria”, ospitata negli spazi della Biblioteca
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Particolare allestimento mostra alla Biblioteca Bernardini di Lecce
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Particolare allestimento mostra alla Biblioteca Bernardini di Lecce
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Bernardini, si propone come un progetto in divenire, un atto collettivo che chiama gli amici, i sodali, gli studiosi, le persone che hanno conosciuto e collaborato con Antonio Leonardo Verri ad implementare un archivio d’autore che, nel prossimo aprile, sarà ordinato e consegnato alla custodia della stessa Biblioteca, a disposizione di quanti vorranno approfondire l’opera del poeta e della sua “Stupenda Generazione”. In particolare, il Verri poeta, scrittore, giornalista, editore, artista e operatore culturale è rappresentato nelle teche espositive e su alcuni tavoli di studio dove i visitatori, potranno consultare e sfogliare le sue produzioni: in mostra i fogli giallo e ocra del Pensionante de’ Saraceni; i primi numeri della rivista Caffè Greco e la collezione del Pensionante de’ Saraceni, con il numero monografico dedicato a Vittorio Pagano e il Corriere Internazionale; il Quotidiano dei Poeti rosso, composto dai “moduli” creati da Francesco Saverio Dodaro e il Quotidiano dei Poeti bianco, che fu oggetto di una grande performance di distribuzione nazionale nei primi anni Novanta; la raccolta di On Board; i libri editi dal Pensionante de’ Saraceni; il cofanetto dei romanzi in tre facciate raccolti nel-
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Manifesto a Caprarica di Lecce
la collana Compact Type e quelli in cartolina. Sfogliabile sarà anche una delle trecento copie del Declaro, il grande libro amanuense che fu composto, nel 1992, con una Xerox, nella sede del Teatro Astragali. In una teca sarà esposto, con lettere e documenti autografi di Verri, il suo “journal”, il diario personale oggi conservato da maurizio Nocera. In mostra anche l’opera pittografica di Verri con alcuni lavori messi a disposizione da Luigi Verri, fratello del poeta. Una collezione di materiali che si completerà in corso d’opera e che sarà – da qui ad aprile - cornice di incontri, di approfondi-
menti, di presentazioni come quella che, nel giorno dell’inaugurazione, è stata dedicata alla riedizione, del libro postumo di Antonio L. Verri, “Bucherer l’orologiaio” nella collana Declaro, che Kurumuny, con la cura di Simone Giorgino, dedica all’opera autoriale di Verri. Nuovo appuntamento a gennaio: la sala lettura della Biblioteca Bernardini ospita una mostra delle fotografie di Fernando Bevilacqua dedicate agli scrittori italiani, conservate a Cursi nella sede del Fondo Contemporanea Pensionante de’ Saraceni, altro luogo documentario dell’instancabile opera del Grande Saraceno.
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Come si può intuire, si tratta di un lavoro complesso e articolato che si concluderà con la pubblicazione di un catalogo, nell'intento di ricordare nel migliore dei modi la figura e la produzione letteraria dell'intellettuale, dell'uomo Verri Antonio Leonardo...
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michele samBin arché/techné Sara Di Caprio
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Al Museo Castromediano di Lecce dal 29 gennaio 2022 al 27 marzo 2022 l’omaggio all’artista veneto e alla sua arte totale
LECCE. Omaggio a michele Sambin, artista totale, capace di declinare e far incontrare cinema, video, teatro, musica, scultura, pittura disegno. Uno sperimentatore, controcorrente, che ha anticipato con le sue geniali intuizioni la videoarte. Dal 29 gennaio al 27 marzo 2022, le sale del museo Castromediano di Lecce ospiteranno “michele Sambin: Archè/Téchne” il progetto realizzato da Cineclub Canudo in collaborazione con il Polo bibliomuseale di Lecce che permetterà al museo di acquisire, nella propria collezio-
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ne permanente, la videoinstallazione “Il tempo consuma”. Si tratta di un'opera fondamentale nella storia dell'arte contemporanea, per l’innovazione apportata da michele Sambin al linguaggio artistico per quanto riguarda il video, la performance, inoltre l’artista veneto fu il primo ad introdurre la tecnica del videoloop a partire dal 1978. Il progetto, a cura di Bruno Di marino, con la direzione organizzativa di Antonio musci e Daniela Di Niso, è realizzato grazie al sostegno dell’Italian Council (IX edizione, 2020), programma di promozione
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Michele Sambin, colori ad acqua su carta, 200x140 cm
dell’arte contemporanea italiana nel mondo, della Direzione Generale Creatività Contemporanea del ministero della Cultura, che renderà possibile l'acquisizione, ma anche l'esposizione dell'installazione Il tempo consu-
ma, che è al centro di un progetto espositivo più ampio, oltre a una serie di altri eventi, tutti incentrati sull’opera di Sambin, già avviati a partire da novembre 2021. La mostra, che sarà visitabile tutti i giorni, dal
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Michele Sambin, From Left to Right (1981)
martedì alla domenica, negli orari di apertura del museo, comprende anche la scultura 10 travi pris m a t i c h e (1975/2021), realizzata nel periodo della frequentazione veneziana di Sambin con il grande scultore mark di Suvero. Quest’opera andò poi distrutta alla fine di quel decennio ed è stata ricostruita per l’occasione, ma è installata nell'Ovile, la casaatelier dell’artista a Cannole, a pochi chilometri da Lecce. L’idea è quella di un percorso espositivo espanso, che si prolunghi fuori dal museo, permettendo allo spettatore di accedere direttamente all’ambiente esistenziale e creativo di Sambin, fruendo l’opera nello spazio naturale in cui è stata assemblata e in cui respira. Per l'occasione saranno organizzate delle visite alla
mostra, al museo Castromediano e all'Ovile, in orari e giorni concordati con l'artista. Il titolo del progetto evidenzia come nell’immaginario di Sambin il saper fare artistico, ma anche manuale e artigianale (téchne), non può essere disgiunto dalla ricerca sulle peculiarità del dispositivo tecnologico, che si è evoluto nel corso dei decenni. Il continuo riferirsi alle origini millenarie della cultura artistica dà vita a un unico e suggestivo discorso, in cui l’arte del presente e del passato ci indica nuove vie per il futuro. Sambin è sempre stato estraneo a qualsiasi movimento o tendenza artistica, inclassificabile, alieno al sistema dell’arte (eccetto nel periodo in cui ha fatto parte della Galleria del Cavallino di
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Michele Sambin, 05 Looking for Listening (1977) e 01 VTR&I (1978)
Venezia, che fu comunque un laboratorio fuori dagli schemi). Ed è qui che nasce, nel 1978, la performance Il tempo consuma, durante l’annuale laboratorio dedicato alla produzione video (Dino marangon, Videotapes del Cavallino, Edizioni del Cavallino, Venezia 2004). Sotto questo titolo si raccolgono opere declinate in forme diverse: in origine è una performance che utilizza il sistema videoloop, una tecnica originale inventata da Sambin, che consiste nell’utilizzo di due videoregistratori a bobina aperta, sui quali fa passare un anello di nastro magnetico. Uno dei due lettori è collegato a uno dei due monitor in diretta; l’altro schermo trasmette invece in differita. Sfruttando il ritardo tra l’immagine registrata e quella trasmessa Sambin riesce a realizzare il suo loop, muovendo ritmicamente il proprio corpo come un metronomo e scandendo le parole: «il tempo consuma le immagini; il tempo consuma i suoni». Attraverso cicliche sovrapposizioni si crea un’accelerazione del deterioramento dell’immagine e del suono: le parole e i movimenti del corpo si trasformano assumendo un nuovo senso. A partire dal 1978 la performance è stata proposta live in varie occasio-
ni tra cui: Galleria del Cavallino (Ve), Galleria Bevilacqua La masa (Ve), Sala Polivalente Palazzo dei Diamanti (Fe). Nel 1980, invitato da Vittorio Fagone per la mostra Camere incantate al Palazzo Reale di milano, Sambin crea una videoinstallazione (da non confondersi con l’opera video del 1978) composta da una serie di video realizzati con la tecnica videoloop e che consisteva nella diffusione contemporanea, su nove monitor a tubo catodico, dei diversi video creati per l’occasione e riprodotti da tre videoregistratori. La mostra si inserisce in una più ampia collaborazione che il Polo ha avviato con Cineclub Canudo in occasione della grande mostra antologica dedicata all’artista Paolo Gioli che è stata ospitata dal museo Castromediano di Lecce lo scorso anno. Il progetto è patrocinato dall'Assessorato alla Cultura della Regione Puglia, Apulia Film Commission, Polo biblio-museale di Lecce, Provincia e Comune di Lecce, DAmS dell’Università del Salento, Accademia di Belle Arti e Conservatorio di Lecce e può contare, inoltre, sulla collaborazione dei festival Avvistamentie Instants Vidéo di marsiglia, dove dal 12 novembre 2021 al 13 febbraio 2022, nel-
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l'ambito della 34 edizione del festival, è allestita, a La Friche la Belle de mai, una mostra di michele Sambin, che propone Il tempo consuma, insieme ad altre opere dell'artista padovano. Nella stessa occasione, il 12 novembre è stato proiettato il film “Più de la vita” (2019) di Raffaella Rivi, che racconta quattro decenni del percorso artistico di michele Sambin, seguito da un incontro con la regista, Sambin, Bruno Di marino e marc mercier, direttore artistico del festival francese. L’allestimento site specific dell’installazione sarà realizzato in dialogo con la particolare architettura del museo che la ospiterà e con la sua duplice vocazione all’archeologia e al contemporaneo: il tema dell’opera, che attraversa tutto il lavoro di Sambin, ha a che fare direttamente con questa dimensione circolare del tempo e con i continui rimandi tra presente, passato e futuro. Entrando nel museo il visitatore si troverà al cospetto dell’opera installata al centro della prima sala (tre pareti/schermo) mentre le rampe elicoidali che portano al piano superiore saranno una sorta di rappresentazione architettonica del concetto di loop. I visitatori - spiegano gli orga-
nizzatori - potranno accedere all’interno di un ambiente visivo/sonoro di carattere immersivo, che data la sua dimensione immateriale rimane in comunicazione con gli ambienti adiacenti. Per fare in modo che il museo possa arricchire la propria collezione anche attraverso un’opera materiale di più semplice riproposizione è prevista la realizzazione di una serie di sequenze foto/grafiche che fissano in modo statico ciò che viene proposto dalle immagini in movimento, attraverso interventi pittorici su still tratte dai video, esposte per mezzo di light-box. La mostra propone opere realizzate nell'arco di cinquant'anni, a partire da lavori pittorici, lasciati in sospeso nel 1970, che l'artista completa in questa occasione; per proseguire con altri progetti che segnano le tappe fondamentali del suo percorso nelle arti e che mettono in gioco i diversi medium che l'hanno caratterizzato: pittura, disegno, installazione, teatro; per concludersi con la presentazione dell'ultima opera: “Dentro alle cose”, un lungometraggio che verrà proiettato in anteprima il giorno dell'inaugurazione al Castromediano.
L’artista Michele Sambin
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Palazzo dei Celestini (foto: fonte pagina fb Provincia di Lecce)
lecce di notte. le nuove luci sul complesso dei celestini
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Inaugurata la nuova illuminazione artistica delle due sedi dell’ente provinciale di Lecce realizzato da Enel X
LECCE. Per chi percorre le strade del centro storico di Lecce non potrà che sgranare gli occhi davanti al meravig l i o s o complesso dei Celestini, adia-
cente alla Basilica di Santa Croce. Una bellezza amplificata dal gioco di luci e ombre delle facciate cinquecentesche di Palazzo dei Celestini e del v i c i n o
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di queste architetture grazie al nuovo impianto di illuminazione artistica permanente realizzato da Enel X in collaborazione con l’Ente provinciale per valorizzare il patrimonio storico architettonico. “il progetto di dare nuova luce a due dei palazzi storici simbolo del Barocco leccese,
I luoghi nella rete
Palazzo Adorno, sedi istituzionali della provincia di Lecce e simbolo del Barocco leccese. E se il sole, di giorno rende ancora più abbacinante la pietra con la quale i maestri scalpellini riuscirono a “ricamare” le facciate delle chiese e dei palazzi nobiliari la notte sembra rimarcare ancora di più la bellezza
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Palazzo dei Celestini (foto: fonte pagina fb Provincia di Lecce)
finalmente è realtà. E’ un’iniziativa che parte da lontano e che questa Amministrazione ha sostenuto con tenacia, impegnandosi ad arrivare a questo atteso traguardo finale. Un risultato che ci rende orgogliosi e che è merito dell’azione incessante del Servizio Patrimonio dell’Ente e di tutte le professionalità messe in campo dalla Provincia, in questi anni - ha ricordato il Presidente della Provincia di Lecce Stefano minerva.Tra queste,
- ha aggiunto - sento il dovere di ringraziare per la loro instancabile dedizione e per la competenza dimostrata, l’ingegnere Rocco merico e l’avvocato Giuditta Angelastri, a cui va il nostro commosso ricordo. Accanto a loro, ringrazio, in particolare, il dirigente Dario Corsini, che ha ricevuto il testimone e portato avanti, in modo eccellente, il percorso fino ad oggi e Realino Cirielli, che ha seguito il complesso iter dei progetti fin dalle
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prime battute”. Dopo aver superato un lungo e complesso iter, la Provincia di Lecce ha avviato, all’inizio dello scorso anno, i lavori per la realizzazione dei due nuovi impianti di illuminazione artistica. Grazie all’utilizzo della tecnologia led, il nuovo sistema sarà più green, consentirà un risparmio economico alla Provincia e vantaggi funzionali rispetto alla soluzione origi-
naria, assicurando un’illuminazione artistica completa e continuativa nel tempo dei due edifici storici cinquecenteschi. E a rendere ancora più speciale l’inaugurazione l’esibizione degli studenti dell’orchestra del Liceo classico “Giuseppe Palmieri” di Lecce, guidato dalla dirigente scolastica Loredana Di Cuonzo, che hanno eseguito alcuni brani musicali del loro repertorio.
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fSan Donaci, San Miserino (foto: https://fondoambiente.it/)
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san miserino. il più antico luogo di culto del salento Raffaele Polo
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Un sito straordinario dal 1995 di interesse culturale per il MIbac l’antico tempietto è stato tra i luoghi del cuore FAI
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artiamo da lontano e immergiamoci in quelle storie che provengono da secoli e secoli addietro, tanto che risulta più facile credere che siano vere e proprie leggende, piuttosto che testimonianze sopravvissute alla distruzione e alla dimenticanza. E approdiamo sul finire del VII secolo, quando i bizantini
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avrebbero realizzato il 'limitone dei greci', nell’attuale Salento, un’enorme muraglia delle cui esistenza non esistono prove tangibili. Una linea di confine tra l’area bizantina e quella longobarda, oggi divenuto un itinerario che comprende tre comuni e svariati chilometri: mesagne, San Donaci e San Pancrazio Salentino. È una linea
I LUOGhI DEL MISTERO
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I LUOGhI DEL MISTERO
fSan Donaci, San Miserino (foto: https://fondoambiente.it/)
immaginaria tra uliveti, vigneti ed enormi campi di grano: é una passeggiata da sogno, in grado di condurre attraverso luoghi ricchi di storia. Si parte da mesagne per poi proseguire verso sud, ammirando quanto resta della gigantesca struttura che si ritiene essere stata un tempo eretta: un muraglione a secco che nei punti più alti sfiora i tre metri d’altezza, con sezione trapezoidale e un’ampiezza di poco più di sette metri. Ci si ritroverà poi sulla strada che collega mesagne a San Pancrazio, in un’area ricca di testimonianze di epoca messapica. Proseguendo si passerà attraverso Cellino San marco, passando per strade sterrate ammalianti anche grazie ai tanti alberi di eucalipto. Ci si ritroverà dinanzi al tempietto di San miserino, considerato il luogo di culto più antico dell’intero Salento: con la sua copertura a cupola e l’interno ampio circa due metri, permette di apprezzare ancora tracce del mosaico a tessere scure che un tempo decorava interamente il pavimento. L’antico tempietto di San miserino si trova immerso nella campagna brindisina, nella località monticelli fuori dall’abitato di San Donaci ed è ritenuto uno dei luoghi del culto paleocristiano più antichi di tutto il Salento. La costruzione, ascrivibile intorno al IV secolo, ha un aspetto peculiare a pianta ottagonale, coperta da una cupola che poggia su pilastri con capitelli decorati da foglie d’acanto datati al VI secolo. Nei quattro vani angolari si aprono delle nicchie e all’esterno dovevano esserci due avancorpi, uno dei quali è ancora visibile. Il pavimento era a mosaico e la cupola e le absidi presentano ancora tracce di colore, che fanno supporre che il luogo fosse tutto affrescato. Questo tipo di struttura, realizzata con tecnica edilizia caratterizzata dall’uso di malta e pietre, era presumibilmente un ninfeo o un ambiente termale, poi dedicato al
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culto cristiano in epoca tardoantica, come testimoniano i resti di affreschi medievali. Dopo un lungo abbandono che ne ha gravemente compromesso la struttura e le decorazioni, nel 1995 il tempietto è stato dichiarato d’interesse culturale da parte del ministero dei Beni Culturali, che lo ha acquisito nel 1997 con un atto di espropriazione per pubblica utilità dei beni. In tale occasione è stato iniziato un restauro, mai completato, che ha visto unicamente l’inserimento di alcuni puntelli a tutela della struttura. Narrano le cronache che, come troppo spesso avviene per le antichità presenti nel nostro territorio, il tempietto è rimasto deturpato dalle strutture provvisorie che nel frattempo stanno cedendo anch’esse, mentre le decorazioni sono sempre più compromesse e gli interni sono invasi dalla vegetazione. Il tempietto di San miserino è sempre stato un elemento importante per la comunità contadina locale, che alla sua ombra si riposava dopo le lunghe attività agricole svolte nei campi e nei vigneti circostanti. ma è stata proprio l’affezione degli abitanti ad esprimersi tramite l’attività di un comitato che chiede il recupero del tempietto e ha presentato alla regione Puglia la richiesta di creazione di un Ecomuseo Regionale di cui San miserino dovrebbe diventare l’elemento di punta. Una curiosità: san miserino non esiste, nelle agiografie dei santi. È stata sicuramente la sottile ironia popolare a definire così questo tempietto, trascurato da secoli e lasciato languire in miseria...
metamorFosi nella natura. la morte degli ulivi
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Con una cerimonia di donazione, il dipinto realizzato dalla classe 5D Arti Figurative del Liceo artistico Ciardo Pellegrino di Lecce è stato collocato nella sede della Provincia di Lecce a Palazzo dei Celestini
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LECCE. “metamorfosi nella natura. La morte degli ulivi” il bellissimo dipinto realizzato dalla classe 5D Arti figurative del Liceo artistico Ciardo - Pellegrino di Lecce, dal 6 dicembre campeggia sulle pareti della sede istituzionale della Provincia di Lecce. L'opera realizzata nell’ambito del Concorso di idee per la valorizzazione della storia e delle comunità locali, promosso dalla Provincia di Lecce con il progetto europeo Palimpsest (Post ALphabetical Interactive museum using Participatory, SpaceEmbedded, Story-Telling) si compone di cinque tavole, dipinte con tecnica mista (di 6 metri di lunghezza per un’altezza di 2,5 metri), resterà esposta permanentemente nell’ampio spazio che conduce all’aula consilia-
re di Palazzo dei Celestini, vicino al busto di martino Luigi Caroli, primo presidente eletto della Provincia di Lecce nel 1951. Accompagna l'opera il testo descrittivo curato dagli allievi che così ne raccontano il senso: “metamorfosi nella natura, morte degli ulivi, nelle sue forme e nei suoi intrecci, di resti di radici, racconta in un linguaggio figurale il dramma della morte degli ulivi, testimoni della storia millenaria di questo lembo di terra. Ogni figura ritratta senza ordini di grandezza, in una composizione surrealista ed espressionista, talvolta gestuale, è una radice affiorante, segno di un immenso dolore che si sta consumando in questo mentre di storia umana. L’uomo non ha guardato l'immenso tesoro
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Un momento della cerimonia di donazione dell’opera alla Provincia di Lecce
naturale che lo ha circondato da sempre e ha avvelenato tutto, dando vita a radici antropomorfe, senza ormai più vita. Non colori, non gioia, ma segni di un dramma compreso molto tardi”. Un lavoro corale che ha visto insieme gli studenti della 5 D lavorare come si faceva nelle botteghe seicentesche sotto la guida attenta dei docenti referenti del progetto Enzo de Giorgi e massimo marangio. La cerimonia di donazione si è svolta alla presenza del presidente della Provincia di Lecce Stefano minerva e il dirigente del Ser-
vizio Politiche europee Carmelo Calamia, e ha visto la partecipazione della dirigente scolastica del Ciardo – Pellegrino Tiziana Paola Rucco, i docenti referenti del progetto massimo marangio ed Enzo De Giorgi e l’intera classe 5D, composta da Gaia Assunta Arigliani, Silvia Baglivo, Noemi Capodieci, Isabella Centonze, Chiara De Carlo, Francesca Fanciullo, mariachiara Fasano, marta Fattizzo, marco Fina, Giulia Fiorentino, Asia maria Lorenzo, Erika marchello, monia marzougui, Francesca miglietta, margherita Patruno, Rebecca Pittaluga, Benedetta Ste-
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Matamorfosi d nella Natura. La morte degli ulivi realizzati dalla 5D del liceo Ciardo Pellegrino
fanelli. «Con quest’opera ragazzi, voi entrate nella storia perché questo è un palazzo storico importante, che accoglie all’interno altre opere d’arte ed è esso stesso un’opera d’arte del Barocco. Il fatto che sia collocata nel corridoio principale che porta all’aula consiliare consegna la vostra arte alla storia perché il vostro quadro rimarrà qui e sarà visto dai tanti che attraverseranno questo luogo. Per questo vi siamo grati.» Questo il commento del presidente Stefano minerva al quale si è aggiunta la dichiarazione della dirigente del Ciardo Pellegrino Tiziana Rucco: «Questa cerimonia premia una scuola che ha sempre lavorato a fianco della Provincia. Siamo stati sempre partecipi di tantissime iniziative e progetti, portati avanti con serietà e impegno, cre-
dendoci da entrambe le parti e cercando di offrire ai ragazzi qualcosa che andasse al di là delle lezioni didattiche e che formasse i futuri cittadini. Quindi, doniamo quest’opera con grandissimo piacere ed onore. Ringrazio i ragazzi e i docenti che li hanno seguiti in questo progetto. Questi ultimi, tra l’altro, hanno messo a disposizione non solo tutta la loro bravura e professionalità, ma anche tanto di quell’essere maestri prima ancora che professori». Una bellissima opera che fotografa il periodo storico difficile per il Salento ma al contempo «un biglietto da visita che in questo momento storico la Provincia di Lecce vuole mandare all’Europa in segno di rilancio, di rinascita e di speranza» ha concluso il capo di Gabinetto Andrea Romano.
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Campi Salentina, La Collegiata e la Chiesa di Sant’Oronzo, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
a campi salentina arte sacra tra prodigi e misteri Sara Foti Sciavaliere
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La Collegiata e la Chiesa di S.Oronzo tra i tesori del comune salentino
Storie l’uomo e il territorio
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embrano guardarsi a pochi passi, come madre e figlia, l’una di fronte all’altra, sulla piazza principale di Campi Salentina, la Collegiata di Santa maria delle Grazie e la Chiesa di S.Oronzo. Il dibattito sul luogo di culto più antico del paese nel nord del leccese non ha portato ancora a nulla di certo. Sicuramente in principio c’era l’antica cappella sulla collina della madonna dell’Alto, oggi in una proprietà privata in campagna, ben lontana dall’abitato, alla quale si riferivano gli abitanti dei villaggi di Afra e Bagnara, prima di essere costretti a un “esodo” a causa delle
scorrerie dei Saraceni, nel X secolo, verso quella depressione dove nascerà poi l’attuale paese. Qui secondo alcuni studiosi la chiesa più antica potrebbe essere stata quella di Santa maria degli Angeli o quella di San Francesco d’Assisi, nel rione Conza, che pare sia il nucleo fondante del paese. ma gli esperti non sono tutti unanimi in questa congettura, e c’è chi vorrebbe proprio nella Collegiata la sua prima chiesa, non nelle sue fattezze odierne naturalmente, ma guardando a un’edificazione di molto precedente, testimoniata da un’intrigante rinvenimento fatto nel 1980. Erano in
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corso delle ricerche sulle strutture cinquecentesche affioranti nell’impianto seicentesco, per accertare l’esistenza di una serie di colonne in carparo integrate nelle navate laterali, e fu così che, nello spessore della muratura perimetrale a nordest, verso la porta della Tramontana, sono emersi i resti di quella che è stata definita nel tempo la “cappella gotica”. Una cappella dalla volta costolonata e affreschi di profeti e motivi decorativi, insieme allo stemma gentilizio della famiglia feudataria dei maremonti, ai quali si deve anche attribuire la fondazione dell’edificio sacro, databile all’incirca al 1380. La distruzione della cappella, e forse dell’intera chiesa, doveva essere avvenuta verso
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la fine del 1400 e gli inizi del secolo successivo, periodo in cui si attesta l’edificazione da parte di Belisario, ultimo dei maremonti, la nuova chiesa ancora oggi esistente, seppure nelle modifiche subite nel corso del tempo. Di Belisario maremonti vi è anche il cinquecentesco monumento funerario, situato sino al 1683 nella cappella di S.Agnese, oggi collocato in controfacciata (sulla destra, entrando dal portale maggiore). Le cappelle laterali, che furono aggiunte - insieme alle due navate minori - nel rifacimento voluto dal barone maremonti e poi dalla marchesa Donna maria Paladini, e anche altre notevoli aggiunte effettuate del ’700, hanno una linea baroccheggiante, che sostituisce le linee purissime del ’500. Ogni cappella accoglie la sepoltura di una o più famiglie che si sono succedute nel patronato, mentre le sepolture comuni sono distribuite nella navata centrale. All’interno della chiesa sono da ammirare anche il battistero e il pulpito: entrambi in legno intagliato, ricoperto in oro zecchino, e di uguale fattura era l’organo che, purtroppo, andò distrutto nell’incendio del 1902.
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I fondatori della vecchia “Campie” portarono dai loro villaggi anche le loro immagine sacre e i riti della loro fede, e in particolare un Crocifisso scolpito in legno di perastro, eredità dei monaci basiliani che avevano abitato antiche grotte scavate lungo le pendici delle colline. Quel miracoloso crocifisso, venerato per lunghissimo tempo e conosciuto solo grazie a una fotografia del 1876, andò anch’esso in fiamme nel tremendo incendio scoppiato nella Collegiata tra il 3 e il 4 maggio 1902. Al suo posto, nella cappella di fondo della navata di destra fu offerto al culto dei fedeli un nuovo Cristo ligneo scolpito da Luigi Guacci nel 1913, che conosce momenti di devozione popolare nei periodi di estrema siccità o altre gravi calamità atmosferiche, quando l’effige
veniva trasportata in processione verso la collina della madonna dell’Alto, per ricollocarla nell’omonima chiesetta romanica da dove era stata portata via dai profughi di quelle contrade. Un culto che si è rinnovato anno dopo anno nella solenne festività del 5 maggio. Accanto a quest’altare si apre la porta della sacrestia che si mostra come una piccola pinacoteca. Tra i dipinti qui conservati attirano l’attenzione due opere che potremmo dire misteriose. Si tratta di due tele (130 x 180), dalla paternità ancora non identificata e pare databili intorno al terzo decennio del XVII secolo: “Erodiade che presenta la testa del Battista” ed “Ester e mardocheo”. Si è supposto che per ricostruire le vicende di tali opere
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bisogna guardare al Reggente Giovanni Enriquez, che aveva sposato Donna maria Paladini (al suo secondo matrimonio), grazie al quale la baronia di Campi sarà elevata a marchesato, e inoltre la Collegiata andrà ad arricchirsi. L’ipotesi di fatto vorrebbe che i due dipinti siano appartenuti appunto agli Enriquez e si è considerata l’atipicità delle loro dimensioni, anomale per arredare un altare, e gli argomenti trattati. La prima opera narra un ben noto episodio di Giovanni, in cui Erode Antipa - poiché Salomé danzò per lui - le concesse, su istigazione della madre, l testa del Battista, il quale aveva pubblicamente condannato l’unione incestuosa e adulterina del re con la nipote Erodiade. La seconda opera ritrae Ester in trono, che consegna al cugino mardocheo, il decreto del marito, il re Assuero, che
aboliva l’ordine di uccisione degli Ebrei in Persia. Argomenti che potrebbero apparire come tanti, se il primo non rinviasse al nome Giovanni del marchese Enriquez e il secondo non fosse più volte proposto in pittura sui cassoni nuziali; inoltre, Giovanni Enriquez e maria Paladini si sposano in un giorno che coincide pressappoco con la festa del Purim istituita da Ester e mardocheo a ricordo della salvezza degli Ebrei minacciati dallo sterminio persiano: ad oggi comunque si tratta di supposizioni, non suffragate da documenti. Dalla sacrestia fino alle spalle dell’altare maggiore, è possibile procedere in un breve e suggestivo percorso museale di arte sacra, di recente allestimento, lungo il quale sono esposti arredi liturgici, paramenti sacri e vari oggetti legati al culto e facenti parte del corredo più prezioso del-
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la Collegiata e frutto di ritrovamenti effettuati durante lavori di scavo e restauro della Chiesa matrice. La presenza degli stemmi gentilizi su alcuni manufatti favoriscono l’individuazione della committenza: per esempio, un calice figurato donato dalla famiglia Paladini-Enriquez come risulta dallo stemma araldico inciso al di sotto della base; dell’arredo liturgico fatto realizzare dagli Enriquez di Castiglia fanno parte anche tessuti e, in particolare, due pianete che riportano lo stemma ricamato sul dorso e testimoniano l’appartenenza al cardinale Enrico Enriquez, figlio di Don Giovanni Enriquez II e Donna Cecilia minutolo Capece, ambedue i paramenti sono ricamati in oro zecchino su tessuto ottomano, l’uno però in rosso e l’altro in bianco, per ovvie esigenze liturgiche. Troviamo anche un messale decorato elegantemente da brocchie angolari in argen-
to e suggellato dallo stemma della famiglia Cristaldo magi, altro esempio di donazione. Esposte ci sono anche diverse cartaglorie e un antifonario del XVIII secolo, insieme a calici, ostensori e incensieri. Tra gli oggetti in esposizione è impossibile non notare due ceste colme di centinaia di frammenti di Cristi crocifissi in terracotta. È un enigma che ancora non trova risposta, da quando nell’aprile del 1980, il prof. Alfredo Calabrese, nel corso di lavori di ricerca in atto nella Chiesa matrice, li ha rinvenuti per una pura casualità sotto il pavimento dell’altare maggiore. Una collezione senza dubbio singolare, tutti di varia dimensione e stile, e tanto numerosi da comporre circa duecento figure integrali di Cristo. Forse furono raccolti tra le ceneri e le rovine di un incendio che avrebbe potuto distruggere la “chiesa gotica” all’interno
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della quale potevano essere conservati, o forse furono distrutti volontariamente ai piedi dell’altare del venerato Crocifisso per ottenere una grazia, riportando in vita - in maniera bizzarra - l’uso dei culti pagani che prevedevano il rito della distruzione e il seppellimento -nei pressi del tempio - dei frammenti degli ex voto, quali sono appunto questi cristi. Comunque è da evidenziare anche la mancanza di analoghi rinvenimenti, nel territorio salentino o altrove, e ciò rende di sicuro ancora più oscura l’interpretazione di questo ritrovamento. Ci spostiamo fuori la Chiesa di Santa maria delle Grazie. Come scrivevo all’inizio, proprio di fronte alla Collegiata si trova la cappella di S.Oronzo, costruita nella seconda metà del XVII secolo, quando mons. Luigi Pappacoda non si accontentò di una tela dedicata al santo, commissionata dal vescovo stesso al pittore Carlo Rosa di Bitonto, fatta collocare in principio nell’altare in Coena Domini della Collegiata, bensì si era accesa nel monsignore la ferma intenzione di far costrui-
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Campi Salentina, La Collegiata e la Chiesa di Sant’Oronzo, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
re un’intera cappella nella Chiesa matrice. Sant’Oronzo era stato autore di un miracolo di intercessione, ritenuto di fatto colui che aveva dato protezione a Lecce e a tutto il Salento dalla terribile epidemia di peste che aveva investito il Regno di Napoli nel 1656, e facendolo pertanto elevare, nel 1658, al patronato di Lecce e della provincia. Grazie alle offerte dei fedeli, nel 1662 si iniziarono i lavori di costruzione, che si protrassero fino al 1670, però i lavori di edificazione della cappella non furono eseguiti nella Collegiata, in quanto si ritenne che avrebbe pregiudicato l’intera fabbrica della chiesa, e pertanto fu realizzata esteriormente. Ed è lì che la troviamo, di fronte al portale maggiore della matrice, lungo lo stesso asse dell’altare maggiore e sullo stesso piano di calpestio, quasi ne fosse un ideale prolungamento, una sua appendice, stabilendo architettonicamente una continuità religiosa tra le due costruzioni sacre. Ed è sull’altare principale dedicato al Santo titolare - rifatto nel 1737 su probabile disegno di Giuseppe Cino - che fu collocata la tela di Carlo Rosa. In essa S.Oronzo è rappresentato con la mano sinistra abbassata sui centri abitati di Lecce (riconoscibile dalle porte d’accesso) e Campi (nel quale si nota il campanile settecentesco della Chiesa matrice), in segno di protezione, e la destra benedicente. Si parla di un prodigio legato a questa tela, in quanto si narra che la
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mano del Santo si sia abbassata rispetto alla rappresentazione dei luoghi succitati: all’epoca fu perfino istituito un processo in merito, ma una moderna analisi scientifica - tramite radiografie del dipinto - nulla ha rilevato, non riuscendo ad attestare sottostrati pittorici con
una posizione della mano a un livello differente. L’altare del Santo, esempio di barocco leccese, realizzato per intero in pietra locale con decorazione policroma, presenta ai lati della tela quattro colonne - due tortili e due sezione
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circolare - con sfarzosi decori scolpiti e trattati in oro zecchino. Nella cimasa, una tela ovale rappresenta “La Conversione di S.Oronzo”. All’esterno dell’altare vi sono inoltre le statue di S.Fortunato e S.Giusto. A destra dell’altare principale è collocato il simulacro in cartapesta di S.Oronzo, che in precedenza era stata conservato nel Cappellone del SS.Sacramento nella Collegiata, a sostituire il settecentesco busto d’argento di scuola napoletana rubato nel 1976 e oggi, che ha ritrovato la sua collocazione in una copia, su modello originale, eseguita da Albino Sirsi e inaugurata durante la festa patronale nel 2003. Attribuiti a Carlo Rosa sono anche i dipinti degli altari minori, mentre sulle porte delle due sagrestie, dove fanno bella mostra le statue di S.monica e S.Irene, vi sono le tele del 1799, firmate dal pittore campiota Pasquale Grassi, che raffigurano La Predicazione e Il martirio di S.Oronzo. Inoltre, nella sagrestia di sinistra si conservano tutti gli strumenti necessari all’organizzazione della festa del Santo, che a Campi - in differita rispetto alla data ufficiale del 26 agosto - ricorre il 31 agosto e l’1 settembre.
lo zoo Fantastico di peter opheim Dario Ferreri
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Un viaggio tra i luoghi e nonluoghi fisici ed emozionali dell'arte contemporanea
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«Non ho particolari talenti, sono soltanto appassionatamente curioso»
CURIOSAR(T)E
Albert Einstein
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"Nell’uomo autentico si nasconde un bambino: che vuole giocare" (Friedrich Nietzsche)
eter Opheim è un artista americano, nato nel 1961 a Landstuhl, in Germania. Cresciuto in minnesota e laureato al St. Olaf College, ha trascorso un semestre in Thailandia prima di laurearsi e molti dei suoi anni post laurea viaggiando in tutto il mondo, consapevole della necessità di basi culturali ampie ed internazionali. Attualmente vive e lavora prevalentemente a New York.
Dopo 25 anni di attività artistica nell'astrazione, dal 2011 Opheim vira verso la figurazione ed ha come obiettivo quello di rappresentare immagini mai dipinte prima e che non esistevano, se non, esclusivamente, nella sua immaginazione. E così che nascono i suoi lavori raffiguranti immaginifiche e strane figure di play-doh (nome commerciale di un materiale plastico modellabile -tipo plastilina, per intenderci-
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Peter Opheim, Dog B
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CURIOSAR(T)E
Peter Opheim, The bird flies
prodotto e commercializzato dalla Hasbro). Quello dell'artista è un mondo personale e fantastico dove convivono natura morta e plasticità, ritrattistica e deformata anatomia animale: i soggetti delle sue creazioni non esistono nella realtà, sono strani animaletti e figure irregolari che lo stesso artista, prima di ritrarre ad olio su tele di grandi dimensioni (che le fanno quindi "vivere" a grandezza naturale), plasma manualmente in piccoli modelli. Il grottesco zoo della sua fantasia è un fiume
creativo in piena: pelli colorate, occhi sporgenti, porzioni disarticolate e/o fuori luogo, forme sinuose ed accattivanti ed immagini ludiche di antica memoria che hanno un immediato rimando al mondo dell'infanzia, l'oggetto principale della riflessione artistica di Opheim: una infanzia in bilico tra stupore e curiosità per forme e colori da un lato, ma anche tra paure infantili e paure archetipe celate dietro l'apparente innocenza delle fiabe. I suoi medium preferiti sono l'olio su tela o
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Peter Opheim, An Elephant, a Bear, a Dog
legno ed anche l'acquerello su carta; l'artista spesso sembra scolpire più che dipingere. Le sue opere sono caratterizzate da superfici spesse ed incredibilmente tattili, grazie a sapienti e strutturate pennellate espressive, che permettono all'artista di riprodurre luci ed ombre molto realistiche e di rendere efficacemente la consistenza del materiale plastico di cui le sue creature sembrano essere composte. In questo processo anche il
sapiente accostamento di colori, in grado di evocare differenti sensorialità e sensazioni, perfeziona la tridimensionalità dei soggetti. Il processo artistico di Opheim è piuttosto dettagliato, come lui stesso ebbe ad affermare durante una recente intervista: "mi piace pensare alle mie opere come a dipinti su dipinti su dipinti su dipinti. Un accumulo di segni, linee, colori e forme diverse, ma anche temi e temperamenti, che crea uno spazio
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Peter Opheim, Untitled, a lato: Saturday (T.W.L.B.U.)
immaginato e una forma di storia". I suoi soggetti sono fortemente stratificati e densi di pittura, ma, sempre, serenamente aggraziati. L'artista lavora la superficie delle sue opere strato per strato, costruendo e raschiando
via; la superficie finale non solo luccica con sfumature vibranti, ma proietta anche una visione multidimensionale che colma il divario tra il pittorico e lo scultoreo, e, con il suo uso magistrale del colore, lo spettatore viene
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dali (Hallmark, Northwest Airlines, Venetian Hotel di Las Vegas, ecc) ed alcune sono nelle collezioni permanenti di diversi musei negli Stati Uniti e nella Corea del Sud. Espone regolarmente in numerose gallerie americane (Parks Fine Art e marloe Gallery di New York, Steven Zevitas Gal-
lery di Boston e Zevitas/marcus Gallery di Los Angeles, solo per citarne alcune) ed in giro per il mondo (Askeri Gallery di mosca, Columns Gallery di Seul, Johanssen Gallery di Berlino, Hankyu Umeda Gallery di Osaka, Powen Gallery di Taipei, ecc). Un paio di anni fa è stato per la prima
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volta ospitato in una collettiva d'arte anche in Italia ("Universes" presso la Tales of Art Gallery di Imola, con la curatela di Sasha Bogojev). Per un tuffo nel suo colorato universo, l'indirizzo web è http s : / / w w w. p e t e ropheim.com/
CURIOSAR(T)E
sfidato ad esplorare le creature dei suoi dipinti sia a livello intellettuale che emotivo. Peter Opheim riesce ad aggiungere valore artistico a quello che sembra un innocente gioco per bambini: le sue creazioni sono finestre su un mondo diverso da tutti gli altri, popolato dalla giustapposizione non convenzionale e provocatoria di figurazione infantile con background gnoseologici ed emozionali adulti e possono persino essere interpretate come una sorta di parodia del ritratto classico o come una semplice personificazione delle emozioni più comuni. Peter Opheim ha partecipato e partecipa a molte prestigiose mostre nazionali e internazionali, nel 1995 ha ricevuto il Pollock/Krasner Foundation Grant e nel 1996 ha ricevuto il premio d'artista dagli Amici dell'Arte Contemporanea del museo del New mexico di Santa Fe. Sue opere sono state acquisite in importanti collezioni azien-
le note di mattia vlad morleo per “drawing the holocaust”
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Colonna sonora dell’omonimo documentario del regista Massimo Vincenzi in onda il 27 gennaio su Rai Storia in occasione della Giornata della Memoria
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rriverà su tutte le piattaforme digitali il 28 gennaio 2022 Drawing The Holocaust – Original motion Picture Soundtrack (Believe music Italy), la colonna sonora composta dal giovanissimo mattia Vlad morleo per il documentario Drawing the Holocaust – Disegni dall’Olocausto, in onda in prima serata giovedì 27 gennaio 2022 su Rai Storia - canale 54 in occasione della Giornata della memoria. Un evento speciale che vede insieme il regista massimo Vincenzi e un astro nascente della musica per film, mattia Vlad morleo che, a soli 21 anni, dà una forma musicale al racconto della Shoa per immagini di Drawing The Holocaust e lo fa attraverso la particolare sensibilità di chi, per ovvi passaggi generazionali, non ha potuto avere un dialogo diretto con i superstiti. L’opera del regista massimo Vincenzi – in onda proprio nella Giornata della memoria – racconta la tragica quotidianità dei campi di concentramento attraverso i disegni dei pri-
gionieri: una rappresentazione drammatica in cui emerge tuttavia anche la forza della speranza. Per molti di loro, infatti, l’arte è stata essa stessa fonte di sopravvivenza, di evasione, di mantenimento dell’Io. «Appartengo alla Generazione Z, - racconta il musicista - sono quindi fra i nati tra il 1996 ed il 2010. molti giovani non sanno neppure perché si celebra la Giornata della memoria, c’è un vuoto, una mancanza di conoscenza proprio su quei temi che a mio parere andrebbero invece soprattutto trasmessi. Penso quindi che ognuno di noi abbia un compito. Sensibilizzare con racconti, immagini, video, film e musica è l’unico mezzo che abbiamo per far in modo di arginare il silenzio e quindi la possibilità di ritrovarci nuovamente in tali condizioni un giorno. Il mio contributo è quello di sensibilizzare attraverso la musica che compongo e che nasce dal manifestare sentimenti ed emozioni che coltivo nella mia interiorità e che sento il bisogno di trasmettere nella
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Sunflowers - Amsterdam David Bickerstaff filming conservation [30] © Nienke Bakker
speranza di scuotere la sensibilità di ciascu- e un ensemble d’archi, il compositore ha no. La storia ci appartiene e per quanto composto una narrazione musicale che dolorosa non possiamo eluderla ma anzi scorre inseguendo le immagini e avvolgenabbiamo il compito, attraverso i mezzi ed i do lo spettatore nella storia del documentatalenti che possediamo, di creare opportu- rio. nità di conoscenza per non sbagliare di nuo- Se il pianoforte racconta perfettamente le fragilità umane, i brani a cui si aggiungono vo.» Nato a Fasano in provincia di Brindisi, mat- anche gli archi sono lo specchio della tragitia Vlad morleo è musicista e compositore cità della realtà vissuta nei campi di Theredi musica classica moderna ed elettronica sienstadt, mauthausen, Dachau, Bergened è tra i più prolifici della sua generazione. Belsen, Buchenwald ed Auschwitz. Gli struHa imparato a suonare il pianoforte ad 8 menti musicali – al servizio di mattia – si anni con suo padre e si è formato al Con- alternano quindi creando una soundtrack servatorio N. Piccinni di Bari. Ha esordito in capace di andare oltre il semplice ascolto RAI all’età di 17 anni con la scrittura della passivo, collaborando alla creazione della colonna sonora del docufilm Fossoli – Anti- narrazione in un flusso profondamente camera per l’Inferno dello stesso regista empatico. massimo Vincenzi. Nel 2019 ha scritto la Drawing The Holocaust – Original motion colonna sonora del film Santa Subito di Picture Soundtrack è però l’occasione per il Alessandro Piva, vincitore del Festival del compositore di raccontare in musica una Cinema di Roma, presentato nel 2021 su storia indimenticabile, che inconsapevolmente avvicina nuove e vecchie generazioSky Arte e alla Camera dei Deputati. Seguendo le indicazioni e la visione del ni tra ombre del passato e ammonimenti per regista massimo Vincenzi, con il pianoforte il futuro.
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il Bosco di colemi a tuturano e il campo di prigionia pg85 Giovanni Maria Scupola
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Il campo di prigionia nei pressi della Masseria Paticchi fu attivo fino all’armistizio del ‘43
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l Bosco Colemi, nei pressi di Tuturano nel brindisino, fu scelto come sede per l’accampamento delle truppe italiane - una vasta tendopoli capace di accogliere fino due-tremila soldati per volta - in attesa di imbarcarsi per la Grecia o l’Albania, inseguendo il sogno di un Impero d’Oltremare. Riposti nel cassetto i sogni di grandezza, subito dopo l’armistizio, in zona fu dispiegata la Divisione Fanteria Piceno che, già assegnata alla difesa costiera della Puglia, fu la prima a passare sotto il comando dell’Esercito Cobelligerante Italiano del Regno del Sud, con il compito anche di proteggere il re Vittorio Emanuele III in fuga da Roma. La scelta dell’accampamento a Colemi fu prettamente strategica: il bosco, situato non troppo lontano da Brindisi, forniva sufficiente riparo non solo contro le intemperie ma, soprattutto, rendeva invisibile l’accampamento, agli aerei britannici che, nottetempo e fino alle prime luci dell’alba, bombardavano dal cielo le nostre terre; inoltre era vicinissimo a Tuturano, ricco borgo agricolo a quell’epoca, dove era possibile e facile approvvigionare le truppe di quanto necessario per il sostentamento. Continuando la ricerca sul web trovo, associato a Tuturano ed anche a Colemi, la sigla PG85 dove PG rappresenta l’acronimo di “Prigionieri di Guerra”, mentre il n°85 contraddistingueva territorialmente il campo di prigionia. Infatti poco lontano da Colemi, esattamente presso la masseria Paticchi, negli anni della guerra e fino all’armistizio dell’8 settembre
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1943, era attivo un campo militare dove vivevano reclusi alcune migliaia di prigionieri di guerra, soprattutto inglesi, catturati durante le battaglie in Grecia o Nord Africa e condotti via mare a Brindisi. Per inciso, va ricordato che subito dopo l’armistizio, il 10 settembre 1943, ci fu la venuta del Re a Brindisi che, in quanto sede del Governo, fu anche Capitale d’Italia o, come sostengono gli storici minimalisti e coloro i quali proprio non digeriscono che Brindisi possa essere stata, sia pure per breve periodo ed in un’epoca particolare, Capitale d’Italia: Capitale del Regno del Sud, in contrapposizione alla Repubblica di Salò. A scanso di equivoci va detto che questo campo militare non aveva nulla a che spartire con i famigerati campi di concentramento, ma era uno di quei posti dove venivano custoditi e, in periodo di sovraffollamento, letteralmente stipati, i soldati nemici ed in cui, grazie anche al rispetto della Convenzione di Ginevra, erano comunque garantiti i diritti fondamentali. All’interno di uno dei locali vi sono ancora stesi dei vecchi fili spinati arrugginiti che fanno accapponare la pelle, ricordando quello che fu nei primi anni quaranta la destinazione dei fabbricati. Delle baracche in legno dove erano ospitati i sottufficiali non vi è alcuna traccia mentre, sappiamo che i soldati semplici nemici, che erano la stragrande maggioranza, erano ospitati in una distesa di tende, probabilmente nella zona, all’epoca recintata e protetta dal filo spinato, fra la masseria e Fiume
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Grande, che scorre a circa duecento metri ad est del corpo di fabbrica principale: il fiume fungeva, a quanto pare, oltre che da fossato naturale anche, assai più umilmente, da latrina da campo. L’esistenza e l’ubicazione, di questo grande campo di prigionia, fa comprendere, insieme al bosco Colemi che, con le sue alte e fitte fronde, nascondeva il contingente italiano, perché, a differenza della vicina Brindisi, Tuturano, pur essendo importante dal punto di vista militare, fu sempre risparmiata dai bombardamenti nemici.
Non c’è traccia di alcuna esecuzione sommaria, anche se le leggi di guerra lo permettevano in caso di disobbedienza o tentativo di fuga, salvo il caso della punizione corporale di alcuni prigionieri, che furono legati mani e piedi per aver tentato la fuga, in un periodo, però, in cui a causa di una epidemia di meningite che aveva colpito non solo il campo di prigionia – causando una mezza dozzina di vittime – ma anche Tuturano, la zona fu sottoposta a ferrea quarantena, per evitare che la malattia si diffondesse all’esterno.
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maria iannotti alla direzione della Bnn vittorio emanuele iii
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Potenziamento tecnologico e una nuova impostazione degli spazi tra gli impegni nel futuro della Biblioteca
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Cambio di guardia alla direzione della Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele II” di Napoli che dal 3 gennaio 2022 è diretta dalla dott.ssa Maria Iannotti, laureata in filosofia, specializzata in Biblioteconomia e nelle tecniche di ricerca e valorizzazione delle Risorse Elettroniche bibliografiche e documentali. Da quasi quarant’anni negli organici della biblioteca napoletana e dal 2018 vice direttrice dell’istituto e riferimento di permanenza per le scelte strategiche e le attività culturali della biblioteca degli ultimi anni, segnati da un’alternanza di direzioni e di incarichi ad interim. «L’impegno prioritario dei prossimi mesi dichiara Maria Iannotti- sarà riportare la Biblioteca ad un ripristino completo dell’attività ordinaria, con l’estensione degli orari di apertura e l’ampliamento dei servizi. La biblioteca negli ultimi anni ha dovuto confrontarsi con le dinamiche dell’emergenza imposte dalla pandemia che hanno richiesto un adeguamento logistico-organizzativo ed hanno visto le risorse digitali in prima fila nella risposta alle esigenze dell’utenza, in questo periodo, tra l’altro, si è dato incremento agli acquisti di ebook presenti sul catalogo online del nostro Istituto. Lavoreremo ancora in questa direzione per ottimizzare il servizio di prenotazioni e per rendere più accessibile la biblioteca sia per la lettura che per le ricerche e lo studio, sfruttando
tutte le potenzialità offerte dalla tecnologia e pianificando anche una nuova impostazione degli spazi». Maria Iannotti ha particolari competenze nell’uso del digitale e delle risorse elettroniche, ha, infatti, organizzato e diretto a lungo il Servizio Reference della Biblioteca nazionale di Napoli, e coordinato progetti per il miglioramento dei servizi al pubblico; ha fatto parte del gruppo di lavoro relativo al progetto Google Books, in base all’accordo stipulato tra MIBAC e Google Ireland Limited. Particolarmente attenta alle dinamiche sociali ed ai rapporti con il territorio è stata Componente dell'Osservatorio lavoro e professioni e del CER Campania per l’Associazione Italiana Biblioteche: Responsabile del Progetto Alternanza Scuola Lavoro (oggi PTCO) ha curato i rapporti con le Scuole Secondarie Superiori del territorio, individuando dei percorsi formativi di concerto con i responsabili degli istituti scolastici stessi. è stata, inoltre, responsabile del Fondo Soggettività Femminile, punto di riferimento nella ricerca e nello studio della differenza sessuale per la presenza di documenti difficilmente reperibili altrove, che offre all'utenza strumenti documentari e bibliografici specializzati.
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ottavio missoni (11 febbraio 192111 febbraio 2021) Museo MA*GA Gallarate, Via E. de Magri 1 Tel. +39 0331 706011; info@museomaga.it; www.museomaga.it Orari: dal martedì al venerdì, dalle ore 11.00 alle ore 16.00 Per visitare le mostre è preferibile prenotare al numero tel. 0331.706011. a.r. penck Museo d’arte Mendrisio Mendrisio, Piazzetta dei Serviti 1 24 ottobre 2021-13 febbraio 2022 www.mendrisio.ch/museo museo@mendrisio.ch tel. +41. 058.688.33.50 Orari: ma-ve: 10.00 – 12.00 / 14.00 – 17.00; sa-do e festivi: 10.00 – 18.00 lunedì chiuso, tranne festivi. il mito di venezia. da hayez alla Biennale Novara, Castello Visconteo Sforzesco 30 ottobre 2021 – 13 marzo 2022 a cura di Elisabetta Chiodini Ferdinando scianna. non chiamatemi maestro Milano, Still Fotografia (Via Zamenhof, 11) 27 ottobre 2021 – 23 gennaio 2022 +39 02 36744528 www.stillfotografia.it/
inFerno fino al 13 marzo 2022 Scuderie del Quirinale Roma paesaggi possiBili. da de nittis a morlotti, da carrà a Fontana lecco, palazzo delle paure villa manzoni lunedì chiuso; martedì 10-13; mercoledì e giovedì 14-18; venerdì,sabato e domenica, 10-18 Villa Manzoni lunedì chiuso; martedì, 14-18; mercoledì e giovedì, 10-13; venerdì, sabato e domenica, 10-18 Biglietti: Intero: €10,00; Ridotto: €8,00; www.vivaticket.com Tel. 0341 286729 le anime del tessile Convitto Palmieri, Piazzetta Carducci, Lecce fino al 3 giugno 2022 Visite dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 20 e il sabato dalle 8 alle 14. Info e prenotazioni visite guidate: 0832.37.35.76
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‘cecilia mangini - visioni e passioni (fotografie 1952-1965) 21 gennaio - 7 marzo 2022 Palazzo Regione Puglia Bari, via Gentile L’accesso è libero e gratuito, dal lunedì al venerdì dalle 9.00 alle 18.00, muniti di green pass rafforzato e mascherina FFP2 ugo la pietra ovunque a casa propria Film e video 1973/2015 A cura di Manuel Canelles Inaugurazione 10 febbraio 2022 ore 18.00 Centro Trevi Via dei Cappuccini 28 - Bolzano Fino al 20 marzo 2022
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nelle sommosse e nelle guerre. gli archivi milanesi durante l’età napoleonica 10.10.2021 31.01.2022 Milano, Archivio di Stato Orari: giovedì e venerdì, dalle 11 alle 12 e dalle 13 alle 14 Ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria: https://bit.ly/PrenotazioneMostraAsmi. www.archiviodistatomilano.beniculturali.it michele samBin Archè/Téchne Il tempo consuma (1978-2022) Inaugurazione: 29 gennaio ore 18 30 gennaio – 27 marzo 2022 Museo Castromediano Lecce, Viale Gallipoli, 28 ingresso gratuito con prenotazione il cerchio spezzato collettiva d’arte 19 gennaio 2022 - 1° aprile 2022 The Rooom Palazzo Aldrovandi Montanari Bologna, Via Galliera n. 8 Orari di apertura: Lun-Ven 9.30-12.30; 15.00-18.00 su appuntamento info: 345 8944121 http://www.therooom.it salvatore sava. l’altra scultura Lecce, Fondazione Biscozzi | Rimbaud 6 febbraio - 25 settembre 2022 Be inspired By the multiplicity Roma, 18 gennaio - 11 febbraio 2022 Rossocinabro Roma Via Raffaele Cadorna 28 rossocinabro.com antonio porru Fino al 30 gennaio 2022 Basilica San Saturnino Cagliari, Piazza San Cosimo Orari: da lunedì al sabato dalle 8:30 alle 19:00 tel. 3454779953 3333806558 - 0703428266
ITINER_ARTE...DOVE E QUANDO...
verona, gam Galleria d’Arte Moderna Achille Forti – Palazzo della Ragione Cortile Mercato Vecchio 6 – Verona Tel. 045 8001903 www.gam.comune.verona.it Facebook @GAMverona Instagram @museiciviciverona YouTube http://bit.ly/YouTubeIMUV Orarida martedì a domenica, dalle 10 alle 18. ultimo ingresso alle 17.15 chiuso il lunedì, biglietto: Intero: 4,00 € Ridotto: 2,5 €
LUOGhI DEL SAPERE
IL NEODINAMISMO DI ANGELO MURIOTTO le recensioni di raFFaele polo
ANGELO MURIOTTO neodinamismo Editoriale Giorgio Mondadori p.160 2021 ISBN 978-88-374-1912-7 30€
Angelo muriotto, che si autodefinisce un 'artista senza storia', sintetizza mirabilmente quello che è contenuto nel 'manifesto del neodinamismo', che abbraccia un po' tutto lo scibile ma viene così esemplificato: « Per spiegare alla mia nipotina che cos'è il Neodinamismo, ho tolto dal mio blocco di schizzi formato A4 un foglio a quadretti. L'ho piegato due volte su sé stesso, ho strappato due pezzi del foglio ripiegato, l'ho aperto e steso sul tavolo. Ho disposto i quattro pezzi di carta derivati dallo strappo nello spazio sopra il foglio. Le ho detto; 'ora mettili tu come vuoi'. Ha capito l'Indeterminazione. Infine, le ho spiegato che i buchi nel foglio hanno forma che il Neodinamismo definisce Forma Vuoto.» Ecco, allora, prendere forma l'interessante, esaustivo e solleticante lavoro di codifica che non stanca muriotto ma che, anzi, lo porta a raggiungere vette altissime di filosofia e critica dell'Arte, riuscendo a continuare e corroborare quello che il suo nume tutelare, ovvero Lucio Fontana, ha stabilito a caratterizzare un Novecento caratterizzato soprattutto dalle sue idee rivoluzionarie. Certo, non è facile riuscire a coniugare gli intendimenti estremistici dei padri di tutte le Avanguardie con gli elementi a disposizione manuale di muriotto: «Traduco un'idea in uno schizzo. Successivamente lo trasformo in un progetto che trasmetto a un collaboratore che lo trasferisce in Autocad. Il progetto viene adattato al taglio laser e inviato a una officina, che ricava dal materiale scelto le parti programmate per realizzare l'opera. Costruisco l'opera mediante interventi di assemblaggio, pittura e lucidatura/cromatura.» In questo catalogo edito da Giorgio mondadori (Angelo muriotto Neodinamismo, pagine 160 euro 30) è vasta e importante la parte iconografica, scandita dagli interventi di Giovanni Faccenda (Il concetto alla prova del fare), Angelo muriotto (Neodinamismo), Gaetano Salerno (Angelo muriotto, storia di un artista senza storia), Cesare Orler (Da Aristotele alla meccanica quantistica), Fortunato D'Amico (Conversazione e Arte e Scienza: una simbiosi ritrovata). La lettura dei testi è intrigante e molto ben organizzata, le scansioni e le alternanze fra scritto e immagini sono esemplarmente calibrate e anche il testo in inglese rende perfettamente il significato di concetti che l'Artista spiega con cenni non sempre facili e di facile fruizione. ma, nel complesso, si comprende perfettamente quale sia l'importante percorso che muriotto ha intrapreso, dopo aver dedicato la sua vita ricca di stimoli alle più disparate occupazioni («Da ragazzo ho fatto il barcaiolo, poi il venditore di immobili, poi l'autista, l'imprenditore in settori differenti, l'inventore, il progettista e l'alber-
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Foggiano di nascita, ma subito trasferito nel Veneto, è un attento, perspicace e convinto divulgatore del 'credo' artistico di Duchamp e Fontana, sviluppando e puntualizzando la sua esperta ricerca e la sua preziosa utilizzazione dei materiali più eterogenei (metalli, plexiglass, vetro, oggetti ritrovati, caratteri tipografici dismessi, pannelli fotovoltaici, cappelli per camino girevoli) fino ad approdare agli ambiti scientifici della quantistica, che volentieri sperimenta nel suo laboratorio. Un Artista a tutto tondo, un Artista in perenne ricerca e pieno di interesse per la realtà nascosta che ci circonda.
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Per l’invio di libri da recensire scrivere a redazione@arteeluoghi.it
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gatore»), fino a p o t e r a ff e r m a re, con o r g o glio:«A settantadue anni ho rimodellato la mia vita dedicandola totalm e n t e all'arte».
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#ladevotalettrice | le recensioni di lucia accoto tilo, la maga delle spezie
ChITRA BANERJEE DIVAkARUNI La maga delle spezie Einaudi 2014 pp.290 €12,00 ISBN 9788806219246
#recensione #luciaaccoto #recensore #giornalista #libri #ladevotalettric e
Ti smuove, l’imprevedibilità. Ti butta a terra o ti fa grande. Quando resti impigliato dall’imprevedibile, sei vento. Finisci un po’ di qua e un po’ di là, non hai una direzione precisa e sul momento non sai quale via prendere. Il fascino di ciò che succede per caso, senza volontà alcuna, abbassa le difese di molti.E accetti quello che ti capita perché ne ignori la natura. Se sei ardito porti il vento a tuo favore, se sei sfiduciato ti lasci travolgere da ciò che ne verrà. In ogni caso, avverti la forza che pende dove ha meno appigli. Per una strana ironia della sorte il potere di cambiare le carte in tavola e di dare una sterzata alla propria vita sta nel non riconoscersi forti. Se così fosse si abbasserebbe la guardia convinti di cavarsela con poco, tentare il tutto per tutto, invece, senza misurare la convinzione che si ha di se stessi porta a risultati diversi. E la sorpresa di scoprire che il potere dell’imprevedibilità sia stato messo in ginocchio dall’ammenda che ognuno ha fatto per conto suo, in silenzio, è grande. Certo, questo risultato non è privo di fatica, di domande, di dubbi, di fuoco. Sarai da solo a dover segnare una strada a quello che l’imprevedibilità ti ha dato senza troppe cerimonie e con grande dolore. Spetta a te portare la forza dove non sai. Essa si paleserà a suo tempo e modo come una rivelazione. In La maga delle spezie di Chitra Banerjee Divakaruni sfiori il destino che spetta a chi ha tenuto testa all’imprevedibilità che gli è toccata in sorte come castigo per aver infranto molte regole antiche. Tilo, la maga delle spezie, è arrivata in America per aiutare la gente che entra nella sua bottega senza chiederle alcun rimedio per i suoi problemi. Lei sa, vede quello che si annida dentro l’animo dei suoi clienti e mentre prepara per loro le spezie formula anche preghiere arcane. I suoi poteri, però, non la proteggeranno dalla forza dell’amore. Una passione che la esporrà a delle conseguenze terribili e straordinarie. Affascinante la narrazione. Pulita la scrittura, ad effetto ed efficace. Il lettore respira tutta la magia che le fragranze delle spezie emanano e sentirà anche l’onda del turbamento di fronte a ciò che la protagonista non conosce, ma che avverte come irresistibile.
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PETRA DURST BENNING la soffiatrice di vetro Neri Pozza 2016 pp.400 €€16,50 ISBN 978-88-655-93295
Leggo e penso di non essermi sbagliata nella scelta del romanzo che ho in mano. mi dico anche che lo sapevo che il libro non mi avrebbe delusa. me lo sentivo, semplicemente. Non c’è niente da fare, alcuni libri ci chiamano. Non possiamo fare a meno di ascoltarli, di toccarli, di leggerli. Non ci stai nella pelle per la bellezza che hai davanti agli occhi, che si libera pagina dopo pagina. Ti senti ricca. Sei esattamente dove avresti voluto essere, nella storia. Leggi e la vedi scorrere dinanzi a te. Ti meravigli come essa cresca di colpi di scena, di suspense, di dettagli, di descrizioni ed ambientazioni che rendono il romanzo un capolavoro. Ti senti anche felice per averlo intuito, per aver posato lo sguardo su quel titolo e per averlo portato a casa. Quello è il suo posto insieme al cuore. Resterà lì, protetto dai tuoi ricordi e vivacizzato dallo scintillio della sua bellezza. Non puoi dire nulla di sconveniente, di scomodo, se sei onesto. Libri del genere fanno strada da soli perché il lettore ne riconosce la malìa che sprigiona potenza, curiosità ed interesse. La tua, poi, diventa una lettura vorace. Più leggi e più vuoi farlo, vuoi andare avanti. Raccogli tutto quello che lo scrittore ti dice anche senza trovarlo su inchiostro perché la sua bravura è incontenibile. Ringrazi il Signore di essere un lettore attento, uno di quelli che si fida del suo istinto e del suo naso, la storia arriva già alle narici prima ancora di leggerla. Ah i libri, che meraviglia. Sono una ricchezza grazie al talento di penne brillanti. Lo sai, lo dici, lo scrivi, lo confessi a te stesso. Nel romanzo La soffiatrice di vetro di Petra Durt-Benning sei emozione. Sei tutti gli stati d’animo delle protagoniste, tre sorelle, che forti della propria dignità diventano donne autonome in tutto in un’epoca in cui essere sole e donne era una vergogna ed un pericolo. Siamo alla fine dell’Ottocento in Germania, in un piccolo villaggio, in cui soffiare il vetro è la principale attività. Lavoro però per soli uomini finchè il sogno, il coraggio, e la determinazione di marie avvampano tutti. Chi per una scelta tanto insolente e chi per una novità che supera i pregiudizi. meravigliosa la storia. Bellissima la scrittura. Il romano storico è un vero capolavoro e il lettore vede ciò che legge. Nulla è stato lasciato al caso, la scrittrice è un talento. La sua penna evocativa conquista e si impossessa dell’anima del lettore che non potrà fare a meno di prendere il libro e stringerlo a se come se fosse un tesoro. In fondo, lo è.
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#ladevotalettrice | le recensioni di lucia accoto la soFFiatrice di vetro
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nel liBro “anime erranti” di luigi torsello il senso vero della spiritualità
LUIGI TORSELLO Anime erranti Il Raggio Verde edizioni ISBN 9791280556165 2021 pp. 192 €15,00
Nel leggere “Anime erranti: Alla ricerca della spiritualità” di Luigi Torsello – Il Raggio Verde Edizioni, ho ammirato la profondità dei concetti espressi dall’autore in cui assume grandissima importanza il senso della vita, il senso dell’essere; concetti che vengono esaltati nella ricerca della spiritualità propria dell’individuo. Questa ricerca porta alla visione dei grandi mistici che hanno trovato il vero senso della spiritualità in loro stessi. Per arrivare alla spiritualità bisogna impegnarsi profondamente e non confondere spiritualità dell’essere con la religiosità che ha bisogno invece di dogmi, credere per fede, apparati e gerarchie. La spiritualità che deve ricercare l’individuo è un fatto interiore che guida a comportamenti di equilibrio, di bontà, pace e serenità. Possiamo dire che per arrivare alla spiritualità si ha bisogno di maestri che siano non trasmettitori di nozioni m a guide a trovare in noi stessi il vero senso del vivere. maestri che insegnino ad avere idee, che non dicano ma facciano sorgere domande sul senso della vita. maestri immensi che guidino al di la della materialità della vita per far conquistare la grandezza del saper vivere spiritualmente, non intendendolo nella pratica di una religione, ma nel percorso per diventare spirituali e vivere nell’armonia interiore e generale del creato. Per cui l’individuo deve imparare a porsi domande sull’essere dell’uomo nell’universo, sull’interconnessione fra tutte le cose e soprattutto sul fatto che l’uomo, che tende a porsi al centro dell’universo, è solo una piccola parte di un immenso equilibrio. L’uomo per conseguire la spiritualità vera deve ricercare la spiritualità in sé stesso per vivere nella serenità e nella bellezza che dovrebbe accompagnarlo oltre la morte, intesa come parte della vita. molto fanno riflettere le visioni raccontate nei casi di pre morte dove si avverte la continuità eterna che fa intendere la morte come un passaggio. Per i cristiani il fine ultimo è il godere della visione di Dio in paradiso, un’attesa provvisoria nel purgatorio e una permanenza nell’inferno a seconda dei peccati commessi in vita. L’analisi di Torsello ci descrive anche le religioni o le filosofie orientali che vedono come fine la spiritualità nel conseguimento della perfezione. Infatti, si nasce e si muore per rincarnarsi e per avere la possibilità di migliorarsi ogni volta sino a giungere alla spiritualità assoluta. Ecco perché bisognerebbe affrontare la vita liberandosi di tutti i veleni, per vivere nell’amore e nella giustizia sino alla morte che allontana l’individuo dalla vita terrena. Certo è doloroso il distacco d’una persona cara ma se dopo la vita terrena si prosegue in un’altra vita migliore si dovrebbe affrontare con serenità il momento del trapasso. Per avvertire il distacco con maggiore serenità mia mamma, in occasione della morte di mio padre, ha voluto che parenti e amici, che erano venuti a rendere l’ultimo saluto a mio padre, potessero mangiare qualcosa come quando mio lui era ancora in vita. Era un modo per riconoscere che mio padre sarebbe stato sempre presente nella nostra vita anche dall’aldilà. Altra cosa, che è nel rituale del mio paese, è quella di smuovere il letto non appena il feretro viene portato via perché così si vuole aiutare il defunto al distacco. Ecco leggendo il
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dalsalentocaFé | le recensioni di steFano camBò contraddizioni in movimento i pensieri di martin angiuli MARTIN ANGIULI Contraddizioni in movimento Il Raggio Verde ISBN 979-12-80556-10-3 2021 pp.64 € 12
Che cosa sono le contraddizioni in movimento? E questa la domanda che sorge spontanea quando si prende in mano il libro di martin Angiuli (prodotto da Il Raggio Verde Edizioni) e ci si sofferma sul titolo provocatore nel suo voler confondere l'occhio del lettore. Eppure, bastano poche pagine per capire cosa ha davvero spinto l'autore a scegliere queste determinate parole per dare un'impronta così significativa al suo lavoro. Perché, le contraddizioni in movimento sono strettamente connesse con quelle domande esistenziali che a ognuno di noi tocca affrontare prima o poi nella vita. Domande del tipo Chi sono? ma soprattutto… Dove vado? E quando il dubbio chiama, la risposta spesso prevede un lungo viaggio introspettivo con il biglietto di sola andata im mano che annovera al suo interno lo scorrere ineluttabile del tempo, giudice sovrano di ogni nostra scelta. Ecco allora che dietro alle contraddizioni in moviemento vi è da parte dell'autore, una vera e propria analisi di alcuni temi che da sempre sono insiti nella psiche di ogni essere umano. Il rapporto tra la logica e l'irrazionalità, sembra quasi andare a braccetto con l'Eros e il Thanatos di freudiana memoria. Abbandonarsi all'istinto, perdersi nel vortice della passione che trova la sua massima espressione nell'Amore oppure ragionare e quindi allo stesso tempo alienarsi? Dietro a queste domande si insinuano le famose contraddizioni che altro non sono che liberi pensieri, espressioni di un Io intimo e personale che deve fare i conti da un lato con il proprio Es e dall'altro con una società che stritola, sgretola e alla fine conforme. Per fortuna rimane il movimento, tipico del danzatore che tra i due sceglie di librarsi con armoniose movenze nell'aria, come se fosse un Icaro contemporaneo alla ricerca sel suo tempo e del suo spazio.
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libro di Torsello ho ritrovato la certezza dell’aldilà che si ha nella mia famiglia. La seconda parte del libro è fatta di poesie che sono la sintesi delicata e profonda dei concetti espressi nella parte narrativa. Nell’ultima poesia intitolata “L’ultima carezza” ho ritrovato la massima espressione di spiritualità, certezza nel rincontro e amore filiale. Un libro coinvolgente, che nonostante la non semplicità degli argomenti, si legge con facilità e curiosità. Federica Murgia
Trieste, Castello di Miramare foto di Stefano Cambò
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trieste e la saga Fantasy di gaBriele salvatores Stefano Cambò
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Per i luoghi del cinema itinerari meravigliosi da Nord a Sud
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ne presero parte, l’Oscar per il miglior film straniero battendo il favorito Lanterne Rosse. Eppure, nonostante questo grande successo giovanile, Gabriele Salvatores non si è mai lasciato affascinare dai lustri e dai fasti del post vittoria, continuando nella sua personale visione del cinema. Una visione che lo ha portato in giro per lo Stivale a sperimentare sempre nuovi generi, passando con bravura
I luoghi del cinema
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e c’è un nome che ha fatto grande il cinema italiano contemporaneo è senz’altro quello di Gabriele Salvatores. Napoletano di nascita e milanese d’adozione, il regista ha da sempre associato il suo estro dietro la cinepresa a un film che è ormai diventato un cult. Era infatti il 1992, quando mediterraneo si aggiudicò tra lo stupore e l’incredulità degli stessi attori che
Il golfo di Trieste, foto di Stefano Cambò
dal noir al dramma, mantenendo un occhio di riguardo per la commedia. Questo suo incedere camaleontico ha trovato un punto di svolta nel 2014, quando un nuovo progetto cinematografico si è trasformato in un film. E che film! Perché, il regista di origini partenopee ha voluto stupire i suoi seguaci portando sugli schermi un genere che fino a quel momento era da sempre stato un affare esclusivo delle produzioni milionarie americane. Con Il ragazzo invisibile infatti, Gabriele Salvatores si cimenta per la prima volta con il cinema fantasy, attraverso una pellicola che riesce a giocarsela al botteghino, anche contro i colossi provenienti da oltreoceano. Il progetto va talmente bene che, nel 2016 esce addirittura il sequel trasformando così l’idea sperimentale in una vera e propria saga (alla pari di quanto avviene di solito con questo genere di film). ma andiamo con ordine e raccontiamo per sommi capi di cosa si tratta veramente. Nel primo capitolo
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I luoghi del cinema
facciamo da subito la conoscenza di michele, un tredicenne timido e introverso che un giorno scopre di essere diventato invisibile grazie a un costume di Halloween comprato in un piccolo bazar. Dopo lo spavento iniziale, il ragazzo usa i suoi nuovi poteri contro i bulli che lo prendono in giro a scuola, ma ben presto scoprirà che questa strana peculiarità è in realtà la conseguenza di alcuni esperimenti subiti dai suoi veri genitori in Russia. Senza volerlo il giovane viene a sapere inoltre di non essere l’unico ad avere poteri sovrannaturali, riuscendo con il proseguo del film, a salvare alcuni suoi coetanei fatti prigionieri da una organizzazione che voleva riformare il gruppo degli Speciali. Due anni dopo michele, ormai adolescente, ritornerà a indossare i panni del supereroe invisibile nel seguito della prima fortunata pellicola che lo vede di nuovo alle prese con i nemici del suo passato pronti a dargli ancora una volta la caccia. Oltre alla narrazione e alla bravura dei giovani attori (coadiuvati da nomi importanti del cinema italiano come Fabrizio Bentivoglio e
I luoghi del cinema
Piazza Unita d'Italia - Trieste, foto di Stefano Cambò
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Valeria Golino), i due film della saga diretta da Gabriele Salvatores godono di un’ambientazione unica e per certi versi originale. Sì, perché a farla da padrone in entrambe le trasposizioni, è la bellissima ed elegante città di Trieste diventata per l’occasione palcoscenico perfetto per le strabilianti imprese de Il ragazzo invisibile. A partire dall’Università Centrale, trasformata per esigenze di copione nella scuola di michele, fino ad arrivare alla stupenda Piazza Unità d’Italia, il cuore pulsante della città dove è stata ripresa una delle scene clou del secondo capitolo della saga, quella d’azione con i cecchini “finti” distribuiti sul Palazzo della Regione, sulla Prefettura e sull’Hotel Duchi d’Aosta. La peculiarità di questo luogo è legata sicuramente alle sue dimensioni che la rendono davvero unica, perché se da un lato parte il colle di San Giusto, da quello opposto si apre invece il Golfo di Trieste, facendola diventare a tutti gli effetti la piazza sul mare più grande d’Europa. La visione è talmente imponente che quando si giunge in città su un’imbarcazione, sembra che gli edifici e tutto il contesto urbanistico ti accolga a braccia aperte, mostrandoti il suo lato gentile nonostante l’austerità delle forme. Altra location suggestiva che ha fatto da sfondo a molte scene del film è il Castello di San Giusto da dove si gode una bellissima panoramica su tutto il golfo, perché è situato proprio sull’omonimo colle. Inoltre, non lontano dall’antico maniero, vi è la Cattedrale dedicata al Santo Patrono. Si tratta effettivamente del principale edificio religioso di Trieste. In stile romanico, la sua attuale conformazione strutturale deriva in realtà dall’unificazione delle due preesistenti chiese di Santa maria e di quella dedicata al martire San Giusto. Per chi fosse in zona e volesse dedicare poi una visita più approfondita alla città, ci sono alcune cose da vedere assolutamente.
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I luoghi del cinema
Cattedrale di San Giusto- Trieste foto di Stefano Cambò
La più importante, legata a una delle pagine più tristi della storia contemporanea, è sicuramente la Risiera di San Sabba trasformata negli anni della Seconda Guerra mondiale in un campo di concentramento nazista. Il luogo, così come altri di questo genere, è rimasto identico a come si presentava negli anni quaranta, destando nel cuore e negli occhi di chi lo visita una profonda commozione per gli eventi tragici che custodisce. Se ritornate verso il centro, non potete non fermarvi in uno
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dei tanti caffè storici della città, che hanno conservato il loro antico splendore grazie anche ai grandi scrittori che qui si fermavano. Da Svevo a Saba fino ad arrivare a James Joyce che pare abbia composto molte pagine dell’Ulisse e di Gente di Dublino proprio mentre era seduto a un tavolino della Storica Pasticceria Pirona. Il capoluogo friulano è così legato a questi tre grandi nomi della letteratura che per ognuno ha voluto dedicare una statua in bronzo. Dulcis in fundo… Non si può andare
Trieste, Molo Audace, e Risiera di San Sabba , fotodi Stefano Cambò
via da Trieste senza essere passati prima dal Castello di miramare, costruito nel 1850 dall’arciduca Ferdinando massimiliano d’Asburgo per farne la sua dimora insieme alla consorte Carlotta del Belgio. Il fascino di questo luogo è legato alla struttura dell’edificio che unisce elementi gotici, rinascimentali e medievali alla posizione strategica a
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picco sul mare. E con questa meraviglia architettonica a n c o r a impressa negli occhi lasciamo che la saga fantasy di Gabriele Salvatores scorra verso i titoli finali, non prima di aver ammirato ancora una volta la bellezza e l’eleganza di Trieste, una città che vi lascerà piacevolmente stupiti… Grazie soprattutto al suo golfo, la sua storia e i
foto di Mario Cazzato
la data della posa della prima pietra della cattedrale di lecce Mario Cazzato
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Salento Segreto
Passeggiando nel cuore antico tra vicoli e pagine di storia
C
he il 2 0 2 2 sia per tutti un anno sereno. Nel frattempo sciogliamo un dubbio sul giorno reale della posa della prima pietra della nuova cattedrale seicentesca di Lecce. Che cadde, com'è noto, nel
gennaio del 1659,ossia 363 anni fa. molti, interpretando non correttamente l'epigrafe posta sullo spigolo che guarda piazza Duomo, hanno indicato nel primo gennaio di quell'anno il verificarsi dell'avvenimento. L'epigrafe
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Epigrafi, foto di Mario Cazzato
menti. Eccone il testo tradotto: A Dio ottimo e massimo, nell'anno di nostra salute 1659,il 6 gennaio(VIII Id. Ian.), Luigi Pappacoda, vescovo di Lecce, pose la prima pietra di questo tempio, con rito cristiano, auspice il cielo su questa città, nel giubilo festante del suo popolo.
Salento Segreto
afferma altro,che, cioè, quel giorno era l'ottavo delle idi di gennaio. Ora, senza imbarcarci in faticose questioni di computo temporale secondo l'uso del tempo, un uso beninteso assai colto, l'indicazione dell'epigrafe in questione è il 6 gennaio. Come tra l'altro risulta da altri docu-
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