COSMO 25

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25 FEBBRAIO 2022 Italia 9,90 euro Anno 4 - N° 25 - febbraio 2022 - Periodicità: mensile - Prima immissione: 27/01/2022 Mensile - Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale D. L. 353/2003 (conv in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 LO/MI ALESSANDRA BUONANNO L’EUROPA VISTA DA KOUROU DANZE AL CENTRO DELLA VIA LATTEA IL CIELO DEL MESE LA SIGNORA DELLE ONDE GRAVITAZIONALI

Il doppio compleanno dell’astronomia dell’invisibile

L’11 febbraio di sei anni fa il mondo intero venne “scosso” – è il caso di dirlo – da un annuncio sensazionale: la prima detection di un’onda gravitazionale proveniente dalla fusione di due buchi neri di massa all’incirca equivalente a 29 e 36 volte quella del Sole.

In realtà, la scoperta risaliva alla metà di settembre del 2015 ma gli scienziati della collaborazione Ligo-Virgo si presero alcuni mesi di tempo per tutte le verifiche del caso.

La notte fra il 22 e il 23 febbraio del 1987 (35 anni fa) un altro annuncio aveva attirato a sé l’attenzione dei media di allora: l’esplosione di SN 1987A, una supernova nella Nebulosa Tarantola. Pazienza se la galassia non era la nostra ma la vicina Grande Nube di Magellano, a cui la Tarantola appartiene. Grossa sorpresa destò il fatto che la supernova venne “annunciata” da una manciata di neutrini rilevati dal Kamiokande in Giappone e forse anche – ancora oggi è controverso – dal rivelatore LSD situato sotto il Monte Bianco. Neutrini allora, onde gravitazionali oggi. Due “messaggeri” inusuali per l’astronomia, entrambi invisibili ai nostri occhi, che ci hanno proiettato nella modernità di quella “astronomia multimessaggera” la cui nascita verrà definitivamente battezzata nell’agosto 2017 dalla scoperta della prima coalescenza fra due stelle di neutroni. Come sapete – lo abbiamo più volte ricordato anche in queste righe – Cosmo guarda più volentieri al futuro che al passato. Ma facciamo un’eccezione quando le ricorrenze sono straordinariamente inserite nell’attualità e celebrano qualcosa che non solo è già qui fra noi, ma che è in gran parte in divenire. Lo testimoniano Alessandra Buonanno e Massimiliano Razzano che ci descrivono i 90 eventi gravitazionali elencati nel nuovo catalogo Gwtc-3 e il progetto dell’Einstein Telescope, un meraviglioso rilevatore di onde che speriamo davvero possa trovare la sua casa nel nostro Paese, in una ex miniera della stupenda Sardegna. Noi facciamo sicuramente il tifo per questa soluzione e anche quanto è nelle nostre possibilità: parlare di questo progetto e di quanta strabiliante scienza è destinato a scoprire.

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EDITORIAL 1

ANNO 4 - NUMERO 25

mensile registrato presso il Tribunale di Milano al n° 137 del 6 giugno 2019

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CONTENTS

SPAZIO

4 SPACE NEWS

12 COVER STORY ALESSANDRA BUONANNO: LA SIGNORA DELLE ONDE GRAVITAZIONALI

20 SPACE ECONOMY PIT STOP IN ORBITA

24 L’EUROPA DI DOMANI VISTA DAL SUO SPAZIOPORTO

28 2022: L’ANNO DELLE NUOVE ASTRONAVI

30 I MESTIERI DELLA SPACE ECONOMY

UNIVERSO

32 TEMA DEL MESE ASTROFISICA GRAVITAZIONALE: LA CACCIA AL TESORO NON SI FERMA

38 ASTROFISICA ALLE ORIGINI DEI RAGGI GAMMA: I BLAZAR

42 DANZE MISTERIOSE NEL CENTRO GALATTICO

48 CIELO E TERRA SODOMA E GOMORRA: FU VERAMENTE FUOCO DAL CIELO

CIELO

54 FENOMENO DEL MESE MERCURIO ALLA MASSIMA ELONGAZIONE OVEST

58 CIELO DEL MESE

66 OSSERVAZIONI UN’ANTICA FAVOLA ECOLOGISTA

70 COME ABBIAMO VISTO LA COMETA LEONARD

EXPERIENCES

76 CITIZEN SCIENCE CACCIATORI DI GETTI SOLARI

80 LE VOSTRE STELLE

88 UAI INFORMA CALENDARIO ASTROFILO 2022

92 EVENTI SOTTO IL CIELO

94 RECENSIONI

96 SPACE MARKETS

Inquadra con la fotocamera o con la App Scan del tuo smartphone o tablet i simboli QR che trovi in allegato agli articoli di questo numero per accedere a numerosi contenuti multimediali (video, simulazioni, animazioni, podcast, gallery).

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SPACE 4 NEWS SUMMARY ATTENZIONE AL COMPLESSO DELLE TAURIDI 1 5 SPACE NEWS A CURA DELLA REDAZIONE I PASTI DEL BUCO NERO DI CENTAURUS A 4 PIANETI INTERSTELLARI 3 VOLANDO NELLA CORONA SOLARE PERSEVERANCE HA TROVATO MOLECOLE ORGANICHE 2 6 SN 1987A: TRENTACINQUE ANNI DI SCOPERTE E DI MISTERI 7 ISPACE EU E ARIANEGROUP IN UN PROGRAMMA ESA DI TRASPORTO COMMERCIALE LUNARE 8 CON ARGOMOON L’ITALIA VOLERÀ A BORDO DI ARTEMIS 1 9 SLITTA AD APRILE IL DEBUTTO ORBITALE DI SPACESHIP

UNA DOPPIA ELICA NEL CUORE NERO DI M87

L’immagine grande è di fantasia, basata sulle teorie riguardanti i getti di materia scagliati dai buchi neri, ma quella piccola (in alto) è reale e conferma le previsioni teoriche. Mostra il getto prodotto dal buco nero super-massiccio situato al centro della galassia M87 distante circa 55 milioni di anni luce.

L’immagine è stata ottenuta con le 27 antenne del Karl G. Jansky Very Large Array (Vla) nel New Mexico, da parte di un team di astronomi guidato dall’italiana Alice Pasetto, ricercatrice all’Istituto di radioastronomia e astrofisica dell’Università nazionale autonoma del Messico. Per la prima volta è stata rivelata la struttura tridimensionale del campo magnetico in questo getto, che è sorprendentemente simile alla doppia elica del Dna. Ricordiamo che il buco nero centrale di M87 –circa 6,5 miliardi di volte più massiccio del Sole – è diventato “famoso” nel 2019 per l’immagine della sua “ombra”, ottenuta dall’Event Horizon Telescope. Ed è un’occasione forte riparlarne in apertura di questo numero, la cui cover story è dedicata a buchi neri e onde gravitazionali. Il team guidato da Pasetto è riuscito a rivelare i dettagli del campo magnetico che circonda il buco nero, tracciando la polarizzazione delle onde radio che emette e misurando la forza del campo, lungo diverse porzioni del getto. I dati ottenuti hanno consentito di produrre nuove immagini dettagliate del getto, lungo circa 8000 anni luce, che nella parte più interna, estesa per 3300 anni luce, mostra la struttura elicoidale. Man mano che la distanza dal buco nero aumenta, il campo magnetico dovrebbe indebolirsi, ma l’instabilità del flusso di materia all’interno del getto produce regioni di maggiore pressione che comprimono anche le linee del campo magnetico, rendendolo più “ordinato”. E questo processo darebbe luogo alla struttura a doppia elica emersa dalle osservazioni e probabilmente presente anche in altre galassie analoghe. Inquadra il QR per assistere a uno zoom mozzafiato verso il cuore nero di M87, risalendo il grande getto elicoidale emesso dal buco nero centrale.

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NEWS

ATTENZIONE AL COMPLESSO DELLE TAURIDI

Secondo un’ipotesi sviluppata nel 1984 da Victor Clube e Bill Napier, i meteoroidi delle Tauridi, la cometa Encke e una decina di altri corpi minori sarebbero il risultato della frammentazione di una cometa con un nucleo record da circa 100 chilometri, avvenuta 20-30mila anni fa. I residui di questa frammentazione sono chiamati Complesso delle Tauridi.

Uno studio condotto dai ricercatori Ignacio Ferrín e Vincenzo Orofino ha portato conferme a questa ipotesi. Sono stati individuati 88 oggetti con orbite simili a quelle dei meteoroidi che producono la “pioggia” delle Tauridi (attive a inizio novembre) e che potrebbero collidere con il nostro pianeta.

Eventi che potrebbero essere già accaduti: uno di questi potrebbe avere causato l’Evento Tunguska del 1908, la caduta di una serie di oggetti potrebbe aver prodotto il disastro Younger Dryas di 12.900 anni fa: l’America Settentrionale fu sconvolta da incendi ed estinzioni; in Siria fu distrutto il villaggio di Abu Hureyra. In epoche più vicine a noi, la distruzione biblica di Sodoma e Gomorra sarebbe stata prodotta da un evento simile (vedi l’articolo a pag. 48).

L’individuazione e la classificazione dei membri del Complesso delle Tauridi è utile per valutare le probabilità di impatto con la Terra e per approntare delle strategie di difesa contro questi pericolosi “vicini di casa”.

6 SPACE NEWS A CURA DELLA REDAZIONE
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PERSEVERANCE HA TROVATO MOLECOLE ORGANICHE

La sonda Perseverance della Nasa inizia a macinare risultati su Marte: sul letto del cratere Jezero gli strumenti del rover hanno evidenziato che lo strato roccioso del cratere si è formato da magma incandescente. Questo è il risultato dello studio delle rocce raccolte da Perseverance con il trapano azionato dal suo braccio robotico e poi analizzate dallo strumento Pixl (Planetary Instrument for X-ray Lithochemistry). Si è così escluso che siano rocce sedimentarie, cioè trasportate dall’acqua che una volta bagnava il cratere. Non solo: dopo Curiosity (vedi la news alla pagina bit. ly/3H3WYUq di Bfcspace), anche Perseverance ha individuato tracce di molecole organiche, cioè contenenti carbonio, che deriverebbero dall’interazione del terreno con l’acqua del lago largo 45 chilometri che Jezero ospitava miliardi di anni fa. Questa scoperta è stata ottenuta grazie allo strumento Sherloc (Scanning Habitable Environments with Raman and Luminescence for Organics and Chemicals).

Ricordiamo che il ritrovamento di sostanze organiche non dimostra che una volta esistesse la vita a Jezero: esistono anche meccanismi non biologici che creano sostanze organiche. E un’analisi più accurata di questi campioni potrà essere eseguita solo nei laboratori terrestri, quando i tubi contenenti il materiale raccolto dal rover saranno riportati a terra dalla missione Mars Sample Return Inquadra il QR per una panoramica di Jezero ripresa da Perseverance.

VOLANDO NELLA CORONA SOLARE

Il 14 dicembre 2021, la sonda Parker Solar Probe della Nasa ha volato attraverso la corona solare, l’atmosfera superiore del Sole: per la prima volta una sonda ha potuto “toccare” la materia di cui è fatto il Sole e misurare le proprietà di un ambiente speciale e rischioso, per comprendere il funzionamento della nostra stella. La Parker ha attraversato le strutture coronali che possiamo osservare durante le eclissi totali di Sole, quelle regioni in cui i flussi di particelle emessi dal Sole si staccano dalla nostra stella per dirigersi verso lo spazio esterno, producendo il “vento solare” che giunge anche sulla Terra.

Il primo passaggio attraverso la corona, durato solo poche ore, è uno dei tanti previsti per la missione. La Parker continua ad avvicinarsi a spirale verso il Sole e arriverà alla fine a 8,86 raggi solari (6,2 milioni di chilometri) dalla superficie. I sorvoli successivi, il primo dei quali è già avvenuto il mese scorso, porteranno di nuovo la Parker nella corona solare. La dimensione della corona è determinata dall’attività solare: con l’avanzare delle fasi dell’attuale ciclo solare, la corona si espanderà, dando alla Parker maggiori possibilità di rimanere al suo interno.

Inquadra il QR per vedere i coronal streamer ripresi dallo strumento Wispr (Wide-field Imager for Parker Solar Probe) durante il flyby solare della Parker

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PIANETI INTERSTELLARI

Conosciamo più di 4000 pianeti extrasolari, ma ce ne potrebbero essere miliardi nella nostra Galassia, dove è ormai appurato che i sistemi planetari attorno alle stelle sono una normalità. Meno normale è che esistano dei “pianeti interstellari”, oggetti che non orbitano intorno a una stella, ma vagano liberamente nella Galassia.

Non se ne conoscevano molti finora, ma un gruppo di astronomi, utilizzando i dati di diversi telescopi dell’Eso (Osservatorio europeo australe) e di altre strutture, ha scoperto almeno 70 giovani pianeti interstellari con masse paragonabili a quelle di Giove, in una regione di formazione stellare situata tra le costellazioni dello Scorpione e dell’Ofiuco.

L’astronoma Núria Miret-Roig e il suo gruppo hanno sfruttato il fatto che subito dopo la loro formazione, i pianeti sono ancora abbastanza caldi da essere luminosi, così da essere rilevabili da fotocamere sensibili montate sui grandi telescopi. Hanno indagato decine di milioni di sorgenti per riuscire a selezionare e identificare questi oggetti, utilizzando anche i dati del satellite Gaia dell’Esa (Agenzia spaziale europea).

Secondo alcuni scienziati, i pianeti interstellari si formano dal collasso di una nube di gas che è troppo piccola per portare alla formazione di una stella; secondo altri, potrebbero essere stati espulsi dal sistema natale.

La ricerca continua. Inquadra il QR per un video di EsoCast su questa scoperta.

8 SPACE NEWS A CURA DELLA REDAZIONE
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I PASTI DEL BUCO NERO DI CENTAURUS A

Oltre al buco nero super-massiccio (Smbh) situato al centro della galassia M87 (vedi la news di apertura), un altro “sorvegliato speciale” è il Smbh della galassia NGC 5128, distante 13 milioni di anni luce nella costellazione del Centauro, nota anche come Centaurus A. Recenti osservazioni radio a bassa frequenza, condotte con il radiotelescopio australiano Mwa (Murchison Widefield Array). sono riuscite a misurare la velocità del flusso bipolare emesso dal Smbh (110 milioni di masse solari) di Centaurus A, che raggiunge i 1100 chilometri al secondo e la quantità di materia emessa, che ammonta a 2,9 masse solari all’anno. I grandi lobi prodotti da questa emissione, individuati nel dominio delle onde radio, si

estendono fino a distanze superiori a un milione di anni luce: visti dalla Terra, occupano otto gradi nel cielo, come 16 lune piene affiancate. Lo studio ha confermato una teoria secondo la quale negli aloni che circondano le galassie si condensano ciclicamente delle nubi di gas freddo che “piovono” sulle regioni centrali, alimentando il Smbh. Innescato da tale pioggia, il super buco nero reagisce lanciando i getti che vanno a gonfiare i lobi di gas. Il radiotelescopio Mwa è un precursore di Ska (Square Kilometer Array), un’iniziativa globale che progetta di costruire un sistema di radiotelescopi nell’Australia occidentale e in Sudafrica, che costituirà il più potente “orecchio radio” del mondo.

SN 1987A: TRENTACINQUE ANNI DI SCOPERTE E DI MISTERI

È la supernova più studiata di sempre, la più famosa dei tempi moderni: la sua esplosione è stata vista esattamente 35 anni fa, la notte tra il 23 e il 24 febbraio 1987, nella Grande Nube di Magellano a circa 170mila anni luce di distanza. La SN 1987A à stata talmente energetica da essere visibile per qualche tempo persino a occhio nudo. Da allora, i resti della supernova e la loro evoluzione sono stati indagati in ogni dettaglio e con ogni genere di strumenti, ma non tutti i segreti sono stati ancora svelati. Solo l’anno scorso, grazie a dati raccolti dai telescopi spaziali Chandra e NuStar della Nasa e al lavoro di un gruppo di ricercatori guidati da Emanuele Greco dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), è stata trovata la prova della presenza di una stella di neutroni al centro del resto di supernova. I ricercatori hanno identificato un segnale proveniente

dalla SN 1987A compatibile con quello di una pulsar wind nebula, ossia una nebulosa altamente energetica alimentata dalla pulsar al suo interno. Questa rappresenta la prima prova della esistenza della pulsar e sarà importante monitorare come la radiazione emessa cambierà con il passare degli anni.

Gli studi dunque continuano, nella speranza di poter osservare finalmente anche una supernova galattica: l’ultima risale al 1604, pochi anni prima dell’invenzione del telescopio!

In figura, una rappresentazione artistica del resto di SN 1987A basato sulle immagini ottenute da Alma (nelle microonde), da Hubble (nel visibile) e da Chandra (nei raggi X). Inquadra il QR per un video di Media-Inaf sulla scoperta della pulsar di SN 1987A.

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ISPACE EU E ARIANEGROUP IN UN PROGRAMMA ESA DI TRASPORTO COMMERCIALE LUNARE

Il direttore generale dell’Agenzia Spaziale Europea, Josef Aschbacher, ha firmato un Memorandum of Understanding con ispace EU e ArianeGroup per la progettazione e lo sviluppo di lander lunari commerciali. Nei prossimi mesi le due compagnie discuteranno gli aspetti tecnici e socioeconomici della collaborazione, poi, in estate, l’Esa valuterà se rendere la partnership effettiva. In caso di risultato positivo, ispace EU offrirà a Esa la possibilità di inserire un proprio payload da 15 chilogrammi sul lander, o da 5 chili sul rover nelle missioni lunari in partenza dal 2024. Gli obiettivi dell’Esa sono stimolare la New Lunar Space Economy europea e, come preannunciato nell’Agenda 2025, i partner e consulenti tecnici dell’industria spaziale del Continente. È un approccio che ricorda quello adottato dalla Nasa nell’ambito del Clps, sebbene per ora meno efficace: sono infatti tre i lander lunari commerciali realizzati da due diverse compagnie americane (Intuitive Machines e Astrobotic Technology) che arriveranno sul nostro satellite nel 2022 In figura, il lander Series 2 di ispace: ha la capacità di portare 500 kg di payload sul terreno lunare.

CON ARGOMOON L’ITALIA VOLERÀ A BORDO DI ARTEMIS 1

Anche se più volte rimandata, si avvicina la partenza della missione Artemis 1 e, con lei, del cubesat ArgoMoon. Progettato e costruito dalla società torinese Argotec e coordinato con l’Agenzia Spaziale Italiana, è l’unico payload europeo a bordo di Artemis 1

Altra particolarità del piccolo satellite sarà quella di testare l’uso di nanotecnologia nello spazio profondo. La missione di ArgoMoon inizierà infatti a 27mila chilometri dalla Terra e consisterà nel fotografare il secondo stadio del gigantesco razzo Sls della Nasa. In questo modo l’ente spaziale statunitense potrà confermare la corretta esecuzione delle operazioni, fra cui il rilascio degli altri 12 cubesat Per fare ciò, ArgoMoon è equipaggiato con intelligenza artificiale in modo da poter riconoscere il suo obiettivo e da poter navigare in modo autonomo. In seguito, la missione di ArgoMoon continuerà per altri sei mesi sotto la supervisione del Mission Control di Torino della Argotec. Il cubesat da 20×30×10 centimetri per 14 chilogrammi sarà infatti usato per testare diverse tecnologie con cui l’azienda italiana vuole tornare nello spazio. In foto, il cubesat ArgoMoon con i pannelli solari dispiegati nella sede di Argotec.

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SLITTA AD APRILE IL DEBUTTO ORBITALE DI SPACESHIP

La navicella Starship 20 di SpaceX è già pronta al suo primo lancio orbitale con il Booster 4, ma alcuni problemi burocratici ritarderanno il debutto almeno fino ad aprile. Dopo la diatriba legale invocata dagli esclusi al programma Nasa per lander lunari commerciali con equipaggio, ora è la volta della Federal Aviation Administration (Faa), l’agenzia del Dipartimento dei trasporti statunitense che fornisce i permessi per raggiungere l’orbita. La Faa non ha infatti concluso le sue analisi sull’impatto ambientale dei lanci dalla base texana di Boca Chica, ribattezzata Starbase. Secondo gli aggiornamenti, il documento verrà pubblicato il 28 febbraio, facendo slittare almeno ad aprile il primo test. Nel frattempo, SpaceX sta lavorando su una versione potenziata di Starship: un modello da nove motori Raptor al posto degli attuali sei già montati a bordo di Starship 20 Con l’aumento dei motori, cambiano anche l’altezza, che raggiunge i 55 metri, e la capacità di payload, incrementata del 50%.

In foto, la Starship 20 sopra il Booster 4 in un aggancio di prova.

11 NEWS
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COVER STORY DI ANTONIO LO CAMPO* » Sopra: Alessandra Buonanno, direttrice dell’Istituto tedesco “Max Planck” per la Fisica Gravitazionale. Nella pagina a destra: la struttura delle onde gravitazionali emesse dalla fusione di due buchi neri.
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LA SIGNORA DELLE ONDE GRAVITAZIONALI

INDIVIDUÒ

FUSIONE DI BUCHI NERI

L’ultimo, prestigioso riconoscimento, in ordine cronologico, lo ha ottenuto lo scorso settembre, con il Premio Balzan. Il 2021 è stato un anno ricco di soddisfazioni per Alessandra

Buonanno, la fisica italiana che dirige l’Istituto tedesco “Max Planck” per la Fisica Gravitazionale, alla quale già in estate era stata conferita la Medaglia Dirac. Una vita e una carriera dedicata alla scienza e all’astrofisica,

in particolare per i contributi alla ricerca sulle onde gravitazionali. E, di conseguenza, agli studi sui buchi neri. È stata lei che, confrontando i segnali raccolti dall’interferometro Ligo negli Stati Uniti con le simulazioni al computer

HA CONTRIBUITO AD APRIRE UNA NUOVA FINESTRA SULL’UNIVERSO
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NELLA
L’ORIGINE DEI SEGNALI REGISTRATI DA LIGO: A COLLOQUIO CON ALESSANDRA BUONANNO
COVER STORY DI ANTONIO LO CAMPO
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fondate sulla teoria della Relatività generale di Einstein, ha permesso di dare la conferma: “Sì, quelle viste da Ligo sono onde gravitazionali originate dalla fusione di due buchi neri!”.

Nella scienza, e in particolare in astrofisica, quando si apre una finestra, se ne aprono moltissime altre in seguito. E ora è iniziato un nuovo anno con molto lavoro e nuove, importanti sfide: “Siamo solo all’inizio: dalla scoperta delle onde gravitazionali nel 2015, abbiamo osservato ben 90 segnali provenienti dalla collisione di buchi neri e stelle di neutroni. Questo apre nuovi scenari per lo studio dell’Universo e di molti dei fenomeni che avvengono nel cosmo” – ci dice Alessandra Buonanno, che Cosmo ha intervistato in collegamento dal Max Planck Institute.

PROFESSORESSA, È STATO UN ANNO DAVVERO DA INCORNICIARE…

Certamente. Sono molto orgogliosa di avere contribuito, assieme al mio gruppo di studenti di dottorato e giovani ricercatori, a queste nuove scoperte che rivoluzioneranno l’astrofisica e la cosmologia del prossimo e lontano futuro. Il 2021 è stato per me un anno bellissimo, anche se tutto parte da un altro anno davvero importante, il 2015. Fu infatti il 14 settembre di quell’anno che riuscimmo a dare l’annuncio della scoperta delle onde gravitazionali. Un’emozione unica.

QUAL È STATO IL MOMENTO DETERMINANTE CHE L’HA PORTATA ALLO STORICO ANNUNCIO?

» I segnali raccolti dai due interferometri di Ligo (Hanford e Linvingston) il 14 settembre 2015 e la loro sovrapposizione che ne rivela l’autenticità. La linea più sottile in entrambi i grafici indica la previsione teorica basata sulla teoria della relatività generale.

La mattina del 14 settembre, due ricercatori nella sede del nostro istituto ad Hannover avevano notato un segnale interessante nei dati che riuscivamo a ottenere in tempo reale dai due interferometri laser di Ligo, nello stato di Washington e in Louisiana. Lo stesso segnale, piuttosto forte, da due “antenne” collocate a migliaia di chilometri di distanza. Difficile pensare a una coincidenza. C’era la possibilità che si trattasse di un segnale introdotto a mano per testare la nostra capacità di analizzare i dati, ma l’abbiamo scartato subito e l’ipotesi onde gravitazionali è divenuta realtà.

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SU COSA ERA BASATO IL VOSTRO LAVORO?

Da più di vent’anni elaboro modelli matematici per descrivere le tipologie di onde gravitazionali che vengono emesse da particolari sistemi astrofisici: coppie di stelle o di buchi neri legati gravitazionalmente. I buchi neri, esattamente come le stelle, possono viaggiare in coppia. Sono sistemi binari, oppure stelle di neutroni che si muovono a spirale in una sorta di danza cosmica. Quando collidono e si fondono assieme, creano dei fenomeni cataclismici tali da generare delle increspature nella struttura dello spazio-tempo: le onde gravitazionali.

È STATO MOLTO LABORIOSO OTTENERE

LA CONFERMA?

Abbiamo escluso che il segnale fosse dovuto a una fluttuazione del “rumore” del rivelatore: la probabilità che si verifichi un caso del genere è di una ogni 200mila anni. Poi la forma del segnale ci ha permesso di ricostruire l’evento: i due corpi celesti, due buchi neri, erano a circa 1,3 miliardi di anni luce da noi e avevano in origine masse dell’ordine di 30 volte quella del Sole. Avevano orbitato l’uno attorno all’altro avvicinandosi sempre di più e continuando nella loro danza sempre più velocemente, fino a fondersi in un solo buco nero. Al crescere dell’accelerazione di un corpo verso l’altro, era cresciuta anche l’emissione di onde. Ligo ha registrato la parte finale e più energetica di questa drammatica danza cosmica, le ultime

sei rivoluzioni dei due buchi neri, che sono durate mezzo secondo.

QUANTO

È FONDAMENTALE QUESTA SCOPERTA?

Io la paragono alle prime scoperte di Galileo. Certamente una delle maggiori rivoluzioni scientifiche degli ultimi cento anni. La nostra conoscenza delle onde gravitazionali apre una nuova finestra sull’Universo. I buchi neri, per definizione, non emettono alcuna radiazione, se non quella gravitazionale; perciò, nessun telescopio al mondo avrebbe potuto

rivelare la fusione dei due buchi neri che invece ha visto Ligo. Le onde gravitazionali sono un po’ come l’impronta digitale di questi eventi estremi, veri e propri messaggeri dei buchi neri per gli astronomi.

QUALI SONO LE PROSPETTIVE PER IL FUTURO?

Finora gli interferometri laser Ligo e Virgo hanno registrato ben 90 segnali. In particolare, 86 onde gravitazionali prodotte dalla fusione di due buchi neri, due segnali dalla collisione di due stelle di neutroni, e

E lì è iniziato il lavoro mio e dei miei collaboratori. » Il sistema di rivelatori Lisa dell’Esa, che sarà lanciato nel 2036. Costituirà un immenso triangolo spaziale, di cui misurerà le distorsioni provocate dal passaggio delle onde gravitazionali.
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due onde gravitazionali dalla fusione di un buco nero con una stella di neutroni.

La prima registrazione di un’onda gravitazionale dalla collisione di due stelle di neutroni nel 2017

è stata accompagnata da segnali elettromagnetici nel visibile, infrarosso, raggi X, gamma e radio: così si è potuto aggiungere il contributo gravitazionale alla cosiddetta “astronomia multimessaggera”.

Grazie a questa scoperta, ora sappiamo che l’oro, il torio, l’uranio e il plutonio, vengono creati dalla collisione di stelle di neutroni.

L’osservazione contemporanea delle onde gravitazionali e delle onde elettromagnetiche ci ha permesso di verificare che le onde gravitazionali si trasmettono con una velocità uguale a quella della luce e di raffinare la misura della velocità alla quale l’Universo si sta espandendo.

A CHE PUNTO SONO GLI STRUMENTI LIGO E VIRGO? Stanno migliorando la sensibilità e alla fine del 2022 riprenderanno a funzionare. È previsto che siano in grado di rivelare tre collisioni di buchi neri ogni settimana! Nel prossimo decennio ci saranno nuovi impianti sulla Terra, l’Einstein Telescope in Europa e il Cosmic Explorer negli Stati Uniti. Con questi nuovi strumenti spingeremo la banda di frequenza fino a qualche hertz. Questo permetterà di individuare i buchi neri fino all’epoca in cui si sono formate le prime stelle, quando l’Universo era 10-20 volte più piccolo di adesso. Stiamo già lavorando per sviluppare i modelli che permetteranno di gestire queste

Laureata in fisica teorica all’Università di Pisa nel 1993, tre anni dopo Alessandra Buonanno ha completato il Dottorato di Ricerca nello stesso ateneo. Dopo un breve periodo al Cern di Ginevra, ha ottenuto un post dottorato all’Ihes (Institut des Hautes Etudes Scientifiques) a Bures-sur-Yvette, vicino Parigi, e poi al California Institute of Technology a Pasadena, in California.

Nel 2001 è diventata ricercatrice permanente del Centre National de la Recherche Scientifique, prima all’Istituto di Astrofisica di Parigi e poi al Laboratorio di Astrofisica e Cosmologia di Parigi. A partire dal 2014, è stata nominata direttrice all’Istituto “Max Planck” per la Fisica Gravitazionale (Albert Einstein Institute) di Potsdam, in Germania, dove dirige il Dipartimento di Relatività Astrofisica e Cosmologica. Alessandra Buonanno è anche docente presso l’Università del Maryland e ha cattedre onorarie all’Università di Potsdam e all‘Università Humboldt di Berlino. Le sue ricerche sui modelli di relatività analitica e relatività numerica sono state impiegate dall’osservatorio Ligo per individuare per la prima volta, nel 2015, le onde gravitazionali prodotte dalla fusione di un sistema binario di buchi neri, deducendo le loro proprietà astrofisiche e cosmologiche.

Nel corso della sua carriera, ha ricevuto numerosi riconoscimenti scientifici: è membro della Società Italiana di Relatività Generale e Fisica della Gravitazione, dell’International Society on General Relativity and Gravitation e dell’American Physical Society.

Buonanno ha ricevuto molti premi come membro della Ligo Scientific Collaboration.

Nel 2018 ha ricevuto il Gottfried Wilhelm Leibniz Prize dalla Fondazione Tedesca della Ricerca. Nel 2021 ha ricevuto la Medaglia “Galileo Galilei” dall’Istituto “Galilei Galilei” dell’Infn, la Medaglia Dirac, assegnata dall’International Centre for Theoretical Physics (Ictp) di Trieste e il Premio Balzan dalla Fondazione Svizzera Balzan. Nel 2021 Alessandra Buonanno è stata eletta membro della Accademia Nazionale delle Scienze Americana, della Accademia Nazionale delle Scienze Tedesca e dell’Accademia delle Scienze e Umanità di Berlino-Brandeburgo. UNA CARRIERA ALL’OMBRA DEI BUCHI NERI
COVER STORY 17

osservazioni, dalla teoria fino all’analisi dei dati.

SONO PREVISTE MISSIONI ANCHE NELLO SPAZIO?

Una missione spaziale è già programmata, per il 2036. È la missione Lisa (Laser Interferometer Space Antenna) dell’Agenzia spaziale europea con il contributo della Nasa, che sonderà le onde gravitazionali nella fascia dei millihertz, una banda

di frequenza più piccola di quella accessibile agli interferometri a terra. Lisa raccoglierà le onde gravitazionali originate dalla fusione di buchi neri di milioni di masse solari, che sono presenti al centro delle galassie come la nostra. Il segnale da questi eventi sarà registrato per mesi o anni. Nel mese di giugno del 2021 si è concluso il lavoro della commissione che doveva proporre all’Esa i nuovi temi per l’esplorazione dello spazio per il periodo 2035-2050 (Voyage 2050). Uno dei temi era “Nuovi messaggeri per l’Universo primordiale” e includeva le onde gravitazionali in una nuova banda

*ANTONIO LO CAMPO È UN GIORNALISTA SCIENTIFICO SPECIALIZZATO PER IL SETTORE AEROSPAZIALE, COLLABORA CON DIVERSE TESTATE NAZIONALI.

» L’osservatorio per onde gravitazionali europeo Einstein Telescope sarà realizzato nel sottosuolo di un territorio asismico, probabilmente in Sardegna.
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di frequenza. Come è accaduto per l’astronomia elettromagnetica, aprire delle nuove bande di frequenza, porta molto spesso alla scoperta di nuovi fenomeni cosmici.

SARÀ ORGOGLIOSA

DI QUESTI SUCCESSI, SIA COME SCIENZIATA CHE COME DONNA Sono contenta (e mi ritengo fortunata) di fare il mestiere a cui ho

sempre aspirato, e di farlo con giovani ricercatori brillanti ed entusiasti, in un ambiente internazionale. Il numero di donne scienziate che lavorano nella fisica teorica è ancora una piccola frazione del numero di uomini scienziati. Ma negli ultimi anni questo numero è cresciuto, grazie al fatto che si comincia ad avere consapevolezza dei problemi di genere nella scienza, ma non a sufficienza. È cruciale eliminare le barriere culturali e sociali

che non permettono a molti giovani, e in particolari alle giovani donne, di scegliere o di continuare la carriera scientifica.

COSA SI AUGURA PER IL PROSSIMO FUTURO? Di proseguire l’esplorazione dell’Universo con le onde gravitazionali, e magari scoprire un giorno dei nuovi oggetti astrofisici, oggi ancora inimmaginabili.

COVER STORY » Particolare dei rivelatori dell’interferometro Virgo, installato in provincia di Pisa.
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PIT STOP IN ORBITA

PERCHÉ I PROSSIMI ORIZZONTI SPAZIALI, LUNA COMPRESA, POTREBBERO NON FARE A MENO DI STAZIONI DI RIFORNIMENTO EXTRATERRESTRI

Il più piccolo (e insignificante) guasto a un satellite in orbita può trasformare un gioiello della tecnologia in un rottame inutilizzabile. Per questo, alla fine degli anni 70, con l’aumentare degli strumenti orbitanti, si era cominciato a pensare alla possibilità di fare manutenzione in orbita. In effetti, questa era una delle ragioni di esistere dello Space Shuttle che, grazie al suo braccio meccanico, poteva catturare i satelliti che avevano bisogno di qualche riparazione. Poi sarebbe toccato agli astronauti uscire per sostituire i pezzi che avevano smesso di funzionare.

È il motivo per cui i satelliti della Nasa in orbite raggiungibili dallo Shuttle erano stati progettati con sportelli relativamente facili da aprire e maniglie per offrire un appiglio agli astronauti. L’agenzia spaziale statunitense, inoltre, faceva affidamento sulla baia di carico dello Shuttle per trasportare grandi

payload in orbita. Una volta arrivato il momento del rilascio, era compito del braccio meccanico spostare il satellite dalla sua posizione di parcheggio e tenerlo in bella vista degli astronauti, che potevano controllare che tutte le parti che si dovevano muovere fossero a posto prima di liberarlo. In effetti, il controllo (e il successivo intervento) umano ha salvato il Compton Gamma-Ray Observatory, uno dei quattro grandi osservatori della Nasa, lanciato nel 1991. La grande piattaforma, che ospitava quattro strumenti per rivelare raggi X e gamma, era il satellite più grande della Nasa con un peso di quasi 16 tonnellate. L’osservatorio non aveva parti mobili, fatta eccezione per i pannelli solari e l’antenna per le comunicazioni con il Centro di controllo. Gli astronauti videro che l’antenna era rimasta incastrata nelle posizione ripiegata e furono costretti a fare un’uscita non programmata

per convincere l’attrezzo a muoversi con un po’ di forza bruta. Lo Hubble Space Telescope, altro grande osservatorio della Nasa, è stato raggiunto e riparato cinque volte nell’arco di tempo che va dal 1993 al 2009. Tuttavia, l’era della riparazione in orbita non ha mai preso piede, perché si trattava di una procedura pericolosa, difficile e costosa che richiedeva l’utilizzo dello Shuttle. In altre parole, metteva insieme le famose 3 “D” di Danger, Difficulty e Dollars. Non si dimentichi che nel corso dell’ultima missione di manutenzione del 2009, quando la Nasa aveva purtroppo dovuto confrontarsi con la perdita della navetta Columbia al rientro nell’atmosfera e aveva capito che non si poteva scherzare con le piastrelle dell’isolamento termico, era stato necessario tenere sulla rampa di lancio un secondo Shuttle pronto a decollare per andare a recuperare gli astronauti in caso qualcosa fosse

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SPACE ECONOMY DI PATRIZIA CARAVEO*
SPACE » Jerry Ross Compton Observatory
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ECONOMY
L’astronauta
sorride soddisfatto di avere disincastrato l’antenna del
Gamma-Ray
.

andato storto. La foto dei due Shuttle sulle rispettive rampe di lancio (Atlantis per la riparazione di Hubble ed Endeavour pronto al bisogno) è un pezzo di storia. La chiusura del programma Shuttle nel 2011 terminò il capitolo riparazione umana, ma era chiaro a tutti che a volte il problema poteva essere risolto anche da una sonda automatica in grado di svolgere qualche compito essenziale, come aiutare a deorbitare i satelliti ormai inservibili, oppure rifornire di carburante quelli che avevano il serbatoio vuoto, ma erano ancora perfettamente funzionanti. Dopo tutto, nessuno pensa di buttare via un’auto quando finisce la benzina. Basta fare il pieno e l’auto è pronta per un nuovo utilizzo. Questa procedura così banale sulla

Terra (a patto ci siano stazioni di servizio) diventa un sogno nello spazio. Quando il serbatoio del propellente, necessario per puntare in una determinata direzione il satellite, oppure per variare l’orbita, è vuoto, la missione è finita. Naturale quindi che si sia pensato di costruire delle stazioni di rifornimento capaci di raggiungere il satellite rimasto a secco, agganciarlo e rifornirlo per poi lasciarlo andare a continuare il suo lavoro. È chiaro che disporre di una simile tecnologia allungherebbe la vita dei satelliti, con evidenti benefici economici ed ecologici.

Infatti, questo limiterebbe il bisogno di effettuare nuovi lanci, con conseguenze positive sul problema sempre più pressante della eccessiva occupazione delle orbite.

Ancora una volta, la questione del rifornimento era stata affrontata all’interno del programma Shuttle proprio per il Compton Gamma Ray Observatory. Prevedendo che la missione orbitale sarebbe finita con l’esaurimento delle quasi due tonnellate di idrazina caricata alla partenza per permettere di orientare e di manovrare l’osservatorio, la Nasa aveva contemplato la possibilità di fare il pieno di idrazina, che è un propellente molto tossico e volatile. Già nel 1984 erano stati dati i contratti per sviluppare il meccanismo di accoppiamento

» La Shuttle Atlantis (STS 125 in primo piano) con Endeavour sullo sfondo. È una della rarissime occasioni nella quali si vedono due Shuttle pronti al lancio, quella precedente si era verificata nel luglio 2001. *PATRIZIA CARAVEO È DIRIGENTE DI RICERCA ALL’ISTITUTO NAZIONALE DI ASTROFISICA (INAF) E LAVORA ALL’ISTITUTO DI ASTROFISICA SPAZIALE E FISICA COSMICA DI MILANO.
SPACE ECONOMY DI PATRIZIA CARAVEO 22

meccanico necessario per effettuare il rifornimento con particolare attenzione alla sicurezza. In effetti, il disastro del Challenger, esploso al decollo nel 1986, mise fine a questo progetto giudicato troppo rischioso. Per essere competitivo, il rifornimento del satellite deve essere decisamente meno costoso di un nuovo lancio, quindi la stazione di servizio deve essere progettata per poter soddisfare le necessità di diversi clienti, che, però, devono avere dei serbatoi muniti di valvole di attracco/ rifornimento standard. Inutile manovrare la stazione orbitante per raggiungere un satellite e poi scoprire che l’attracco (e il successivo rifornimento) non si può fare per incompatibilità meccanica. Anche nello spazio, il diavolo è nei dettagli e la parola d’ordine di una potenziale stazione di rifornimento in orbita è la standardizzazione. Per questo la start-up statunitense Orbit Fab ha iniziato il suo progetto volto a costruire una stazione di servizio in orbita proprio dall’interfaccia serbatoio-utilizzatore. Si chiama Rafti (Rapid Attachable Fluid Transfer Interface) e si compone di due parti: la struttura per permettere l’accoppiamento meccanico tra il rifornitore e il rifornito, che devono essere saldamente attaccati l’uno all’altro, e una valvola di servizio da utilizzare per il riempimento del serbatoio sia a terra che in orbita. L’interfaccia Rafti può trasferire un litro al minuto ed è stata provata sulla Stazione spaziale internazionale, dove è stata utilizzata per trasferire acqua, ma può essere usata per una vasta gamma di propellenti, a patto che il serbatoio da riempire sia equipaggiato con la giusta

interfaccia. A questo fine Orbit Fab sta stringendo accordi con operatori interessati a utilizzare l’interfaccia per i loro satelliti che potranno poi essere riforniti. La tecnologia messa a punto da Orbit Fab ha attirato l’attenzione (e gli investimenti) di giganti come Lockheed Martin e Northrop Grumman che sono interessati ad acquisire la capacità di rifornire gli strumenti (civili e militari) in orbita. Sarebbe un deciso miglioramento della logistica orbitale e permetterebbe di estendere la vita attiva dei satelliti, con particolare attenzione a quelli in orbita geostazionaria, i più redditizi dal punto di vista commerciale. Un vero peccato doverli de-orbitare (liberando il posto per altri satelliti) solo perché hanno finito il carburante.

L’idea è di raggiungere l’orbita geostazionaria arrivando dalla Luna in modo da sfruttare un Orbital Transit Vehicle della Spaceflight Inc che verrà lanciato da SpaceX per portare sulla Luna il lander di Intuitive Machines. Una soluzione creativa sviluppata da GeoJump (https://geojump.space/) per sfruttare il traffico lunare e raggiungere l’orbita geostazionaria. Orbit Fab pianifica di

tenere la stazione di rifornimento a un centinaio di chilometri dall’orbita geostazionaria e avvicinarsi al satellite che vuole fare il pieno quando il cliente lo chiede. Tuttavia, penso che il vero testimonial dell’interesse per la tecnica del rifornimento in orbita sia SpaceX, che pianifica di utilizzare una stazione di servizio nell’ambito del programma Lunar Lander, che farà allunare gli astronauti Nasa della missione Artemis III Infatti il piano di Space X prevede diversi lanci per portare in orbita la stazione di servizio e riempirne il serbatoio. Una volta fatto questo passo preliminare, verrà lanciato il lunar lander che, dopo avere fatto rifornimento, si metterà in viaggio verso il nostro satellite naturale, dove aspetterà che arrivi la capsula Orion con gli astronauti. Ci dovrà essere un attracco per permettere agli astronauti di passare al lunar lander e iniziare la manovra per la discesa. Artemis III sarà una versione più confortevole del programma Apollo, che però aveva il vantaggio di usare un solo razzo Saturn V. In generale, se Elon Musk sceglie una soluzione, lo fa perché è vantaggiosa.

SPACE ECONOMY » Ecco come Orbit Fab immagina il rendez vous tra il deposito di carburante e un satellite da rifornire
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L’EUROPA

DOMANI

VISTA DAL SUO SPAZIOPORTO

RIUTILIZZABILITÀ, LANCIATORI LEGGERI E ABBASSAMENTO

DEI COSTI: LA CORSA EUROPEA ALLA MAGGIORE ACCESSIBILITÀ SPAZIALE RACCONTATA, SUL POSTO, DALLA BASE DI KOUROU, IN GUYANA FRANCESE

Ciò che rimane della piattaforma di lancio Diamant ora somiglia più ai resti di un’altra epoca tecnologica, se non addirittura al set di un film post-apocalittico. La sala di montaggio, l’unico edificio che

ha conservato il suo volume, è quasi uno scheletro, spolpato della sua funzione e delle sue macchine. Da qui, nel 1968, decollò per la prima volta il Diamant B, il secondo razzo francese (il primo, il Diamant A, prendeva il volo dall’Algeria). È stato

il precursore della proiezione europea verso lo spazio, assieme al vettore Europa messo a punto dall’Eldo che però non funzionò mai.

A pochi passi dalla piattaforma di lancio con la sua torre mobile (oggi demolita), la vegetazione ha

24 SPACE ECONOMY DI MATTEO MARINI*
DI

inghiottito in un boschetto il bunker a “prova di bomba”, nel quale il personale si riparava durante il lancio. Da 45 anni il sito Diamant non è più utilizzato per i decolli, ma dalle foto d’archivio sembra che sia stato tenuto in ordine fino a pochi anni fa, come un monumento. Poi la giungla lo ha fatto suo: “Il bunker rimarrà così com’è - esordisce Charlotte Beskow, capo dell’Esa Space Transportation Office dello spazioporto di Kourou - perché là dentro ora ci vive una colonia di pipistrelli protetti. Non possiamo demolirlo”.

È in questo angolo abbandonato dello spazioporto della Guyana Francese che l’Europa dello spazio vuole scavare le fondamenta di un salto tecnologico. Il Diamant diventerà il sito per piccoli lanciatori e di prototipi di razzi riutilizzabili.

Da una parte, si tenta di intercettare un mercato emergente con startup che vogliono offrire l’accesso all’orbita per piccoli carichi al di sotto della tonnellata, a costi contenuti (Germania in testa),

dall’altra serve recuperare il gap che l’Esa, e con essa tutti i Paesi che ne fanno parte, ha accumulato rispetto agli Stati Uniti.

“Siamo già al lavoro su Callisto e Themis” spiega Beskow. È il nome dei due prototipi con i quali si comincerà: lancio e ritorno a terra. Il primo è sviluppato dall’Agenzia spaziale francese (Cnes), dall’Agenzia spaziale tedesca (Dlr) e da quella giapponese (Jaxa). “Un piccolo lanciatore, un dimostratore tecnologico, come un Grasshopper (si chiamava così il modello di test di SpaceX per il rientro del primo stadio, ndr); Themis invece è un razzo full size sviluppato da Arianeworks per l’Esa, che usa motori Prometheus”. I Prometheus

sono i nuovi propulsori a metano e ossigeno, che in futuro potrebbero essere usati per Ariane Next.

Ma guardando alla galassia di nuove imprese che stanno nascendo in ambito spaziale, Diamant sarà soprattutto una piattaforma per aziende che offrono il servizio di trasporto in orbita con razzi molto più piccoli di Ariane e anche di Vega. La tedesca Rocket Factory Augsburg ha concluso nel 2020 un accordo con il Cnes per avere proprio al Diamant un’altra base di lancio oltre all’isola norvegese di Andøya. Un’altra realtà tedesca, Isar Aerospace, ha fatto la stessa scelta.

“L’intenzione è quella di fornire ai clienti un sito e le infrastrutture di cui hanno bisogno, rispondere alle esigenze del mercato” sottolinea Beskow.

Spostando lo sguardo verso nordovest, l’orizzonte di Kourou è cambiato negli ultimi anni. A svettare su qualsiasi altro edificio ci sono i 100 metri per 8.200 tonnellate della torre mobile di Ela-4, il sistema

*MATTEO MARINI GIORNALISTA SCIENTIFICO, EX ARCHEOLOGO, SCRIVE DI ASTRONOMIA, MISSIONI SPAZIALI E AMBIENTE. ALLEVA GIOVANI REPORTER ALLA SCUOLA DI GIORNALISMO DI URBINO. » A sinistra: un’illustrazione di un prototipo di razzo Themis (credits: Cnes). In questa pagina: panoramica dello spazioporto di Kourou, in Guyana francese - Copyright ESA - S. Corvaja.
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di lancio di Ariane 6. Inaugurato dopo otto anni, a settembre 2021, si estende su 170 ettari; per realizzarlo, 600 persone hanno scavato 900mila metri cubi di terra, modellato 55mila metri cubi di calcestruzzo e 8mila di strutture metalliche. Il nuovo lanciatore pesante europeo esordirà nella seconda metà del 2022. In primavera lo precederà Vega C, successore di Vega sviluppato dall’Agenzia spaziale italiana e da Avio. Dopo il successo del ventesimo volo, la torre mobile sarà modificata per accogliere anche il nuovo vettore. Tutto ruota attorno alle new entry, che prenderanno il testimone da quelli che li hanno preceduti con notevoli risultati in termini di affidabilità. Ora le piattaforme di lancio disponibili sono quattro (Ariane 5, Ariane 6, Soyuz e Vega), ognuna per un razzo con diversa capacità di carico. Si punta alla flessibilità: “i lanciatori si sviluppano cercando di seguire il mercato, che è in espansione e chiede

lanciatori a disposizione per poter lanciare quando vuole, costi bassi e affidabilità” aveva raccontato Stefano Bianchi su Cosmo di gennaio. Attorno alla nuova rampa di Ariane 6 sono sorte le nuove facility, perché la catena di produzione e assemblaggio è completamente diversa rispetto a quella di Ariane 5. Primo e secondo stadio, booster laterali e ogiva per il carico viaggiano orizzontalmente da un edificio al successivo fino a quando ogni elemento non è pronto per essere unito agli altri.

Un apposito sito è sorto da zero per la verticalizzazione dei booster a propellente solido, i P120c, che entrano “sdraiati” ed escono in piedi. Questo sistema ha permesso di abbattere i tempi, evidenziano da Ariancespace, e i costi, unitamente alla condivisione del P120c tra Ariane 6 e Vega C che assicura una produzione di scala.

L’involucro (un cilindro lungo una dozzina di metri) è costruito in Italia a Colleferro, in provincia

di Roma, da Avio, poi spedito oltreoceano per essere riempito nell’impianto guianese da Regulus, società partecipata dalla stessa Avio (60%) e ArianeGroup (40%). Qui si preparano a convertire l’attività esclusivamente per i nuovi booster: “È la più grande fabbrica pirotecnica in Europa per peso di esplosivo - assicura Stefano Cianfanelli, manager di Regulus - dall’inizio degli anni 90 ne abbiamo lavorate circa 30mila tonnellate”. Sotto il tetto alto come un palazzo di dieci piani, nelle fosse si sta per “colare” il propellente nell’ultimo P80 in vista dell’ultimo lancio di Vega, VV22. Poi il P120c diventerà l’unico prodotto: “Potremo completarne 30-35 all’anno” sottolinea Cianfanelli. Usciranno da qui tre booster quasi ogni mese, per far fronte alle richieste del mercato e di due vettori (è il primo stadio del Vega C, Ariane 6 ne utilizza due nella versione 62, quattro nella versione 64, quella più potente). Che l’Europa abbia deciso di cambiare strategia si capisce anche dalle parole di Bruno Gérard, vicepresidente Arianespace per le operazioni in Guyana Francese: “A seconda del tipo di lanci che saranno richiesti, utilizzeremo in via preferenziale Ariane 6 oppure Vega C, perché sono prodotti in Europa”. Tradotto: da queste parti passeranno molte meno Soyuz rispetto a prima, anche se resteranno in “portafoglio” di Arianespace, ma bisogna vendere prima di tutto ciò che è fatto in casa. Circa 700 milioni sono serviti per costruire le nuove strutture del Centre Spatial Guyanais (Csg), divisi tra Esa (circa 400 milioni) e Cnes. Ma quella che è intesa come una rivoluzione non riguarda solo la

» Bruno Gérard, vicepresidente Arianespace per le operazioni in Guyana francese e il razzo Ariane 5 che ha portato nello spazio il James Webb Space Telescope (foto: Matteo Marini).
SPACE ECONOMY DI MATTEO MARINI 26

parte “hardware”. La new generation del Csg prevede un ulteriore investimento di 140 milioni nei prossimi tre anni per rendere più veloce ed efficiente tutto il sistema. La maggior parte delle risorse sarà assorbita dalla costruzione del nuovo Centro di controllo: “Le ultime modifiche risalgono a 20 anni fa - spiega Joel Egalgi, project manager del Cnes - il nuovo centro di controllo avrà diverse sale operative in un unico edificio.

Questo renderà più flessibile il passaggio da una missione all’altra, e più veloce”. Attualmente servono alcune settimane per fare lo switch tra un lancio e il successivo. L’obiettivo è di ridurre questo margine ad appena due giorni, in caso di necessità.

A ciò serviranno anche il rifacimento di strade e condotte idriche, la transizione verso processi del tutto digitali (zero carta) e la riduzione dei costi dell’intero sistema grazie anche alle energie rinnovabili. Una video simulazione realizzata dal Cnes mostra quello che ci si potrebbe aspettare in futuro da vettori come Themis. Ricorda, in scala ridotta, quello che SpaceX (nella visione di Elon Musk) usò per illustrare qualche anno fa come intende fare per colonizzare Marte. Un razzo che sale e, contemporaneamente, uno che scende dopo aver terminato il suo compito, per ripartire subito dopo. Una porta girevole di accesso allo spazio. Se si mettono insieme tutti i tasselli, si può immaginare lo spazioporto sulla costa del Sudamerica trafficato da ingegneri e tecnici di agenzie spaziali e compagnie private, che si adoperano ognuno affaccendato alla propria

missione, con decolli e rientri che si susseguono a ritmi impensabili fino a pochi anni fa. Certo, ci ha pensato SpaceX a cambiare il modello. E la Nasa, affittando rampe di lancio e servizi a imprenditori come Musk.

Ora anche qui il paradigma sarà quello del riutilizzo e della diversificazione. Lo sviluppo del Vega

E (come Evolution, a propulsione liquida) e dell’Ariane Next, nei prossimi anni, servirà per mettere a punto le tecnologie di rientro degli stadi che verranno così rigenerati per un nuovo decollo. Nella prossima Ministeriale, a dicembre 2022, si discuterà dello sviluppo di una capsula per equipaggio, la prima europea mai concepita.

E pensare che l’Europa aveva l’Atv, il cargo usato per la Stazione spaziale internazionale. Un gioiello del quale qui, a Kourou, tutti parlano con orgoglio, per prima proprio Charlotte Beskow, che era la vice responsabile di quel programma.

Ma a mezza bocca più d’uno la racconta come un’occasione persa. Opportunamente modificato, avrebbe potuto evolvere nel mezzo di trasporto per astronauti, sarebbe potuta essere una storia simile alla SpaceX Dragon. Tuttavia “l’Europa ha da tempo a disposizione un mezzo di trasporto per astronauti già pronto per essere utilizzato - dice Tony Dos Santos, technical manager dell’Esa - è la Soyuz (commercializzata da Arianespace ndr). Le differenze tra l’assetto per il trasporto di payload come satelliti o cargo e quello per il trasporto astronauti non sono così tante. Sarebbe stato fattibile. Ma si è scelto di non farlo”.

La rampa di lancio e gli edifici necessari per l’assemblaggio di Ariane

5, dopo l’ultimo volo del vettore che con la sua affidabilità ha scritto la storia dello spazio europeo, non saranno smantellati. Troppo grandi, troppo pesanti. Ma nemmeno lasciati alla mercé della giungla. Piuttosto, con le opportune modifiche, potranno essere affidati alla gestione di privati, ancora seguendo il modello americano di facilitazione del mercato. Sul tetto delle vecchie e delle nuove costruzioni che muovono lo skyline piatto tracciato dall’oceano, stazionano gli urubu, avvoltoi appostati alla ricerca di qualche carcassa. I falchetti dalla gola rossa, i caracara, si librano in volo a caccia della prossima preda, ma anche loro non disdegnano le carogne. Il ciglio di ogni strada viene tenuto pulito e rasato con costanza perché la giungla qui assedia, anche se ogni tanto può capitare di veder spuntare e attraversare un bradipo o qualche altra bestia selvatica. A vederla con l’occhio di chi da anni critica le scelte europee in termini di spazio, la giungla è una metafora che calza. I lanciatori europei, con Ariane, avevano conquistato metà del mercato globale prima dell’ultimo decennio. Poi, la rivoluzione è maturata altrove, con grandi spese in sviluppo e anche tanti fallimenti. Nella sua lettera scritta per i 45 anni dell’Agenzia spaziale europea, l’ex astronauta italiano Paolo Nespoli ha lanciato un monito: “All’Esa, in questi anni, la sfida all’ignoto è via via diventata secondaria rispetto alla necessità di soddisfare e comporre specifici interessi nazionali e industriali”. Ora quindi è tempo di rincorrere, sfrondando ciò che il tempo ha reso obsoleto. Pipistrelli permettendo.

SPACE ECONOMY 27

2022: L’ANNO DELLE NUOVE ASTRONAVI

L’anno appena cominciato non vedrà solo il primo lancio delle missioni Artemis, ma anche il debutto di due navicelle “stellari”.

La prima è la gigantesca Starship di SpaceX, che ha già macinato diversi lanci, ma a cui manca ancora il test orbitale nella sua configurazione completa con il booster Super Heavy

La seconda è la navicella Starliner di Boeing, che ha già effettuato un test orbitale nel dicembre 2019, ma mancando il suo bersaglio, la Stazione spaziale internazionale.

Dopo la fine della diatriba legale invocata dagli esclusi al programma Nasa per lander lunari commerciali, la realizzazione di Starship continua ad avere problemi burocratici.

Il primo test orbitale di Starship 20 e Booster 4 è stato ulteriormente rinviato da un intervento della Federal Aviation Administration (Faa), l’agenzia del Dipartimento dei trasporti statunitense che fornisce i

permessi per i lanci orbitali. La Faa non è infatti riuscita a concludere le sue analisi sull’impatto ambientale entro la fine del 2021 come preventivato. I portavoce dell’ente spaziale statunitense hanno dichiarato di aver bisogno di altri due mesi, portando la data di pubblicazione del documento al 28 febbraio. Questo farà slittare almeno fino ad aprile il primo test degli stabilimenti di Boca Chica, conosciuti come Starbase. Nel frattempo continuano i test statici dei motori, e non solo: con un tweet Elon Musk ha annunciato che SpaceX è al lavoro su una versione potenziata di Starship. Secondo lo stesso tweet, questo modello monterà ben nove motori Raptor al posto degli attuali sei, già montati a bordo di Starship 20. I Raptor pensati per funzionare a livello del mare rimarranno tre, come nella configurazione già testata più volte nelle fasi di rientro dei precedenti modelli. Aumenta invece il numero di Raptor vacuum, ossia

i motori non direzionabili incaricati di generare spinta in assenza di atmosfera. Più motori significa anche più carburante: a cascata ci saranno numerose modifiche strutturali come, per esempio un incremento dell’altezza, che potrebbe aumentare del 10% raggiungendo i 55 metri Una modifica che incrementerà il potenziale di Starship consentendo alla navicella di trasportare il 50% in più di carico utile. È un’ottima notizia per il programma Artemis, che si avvarrà proprio di una navicella Starship per trasportare gli astronauti dal Lunar Gateway alla superficie lunare. Purtroppo, però, il primo lancio della capsula Orion a bordo dello Space Launch System è stato rimandato a non prima di marzoaprile per via di un problema al sistema di controllo di uno dei motori del gigantesco razzo. A fine 2021, dopo accurate ispezioni, gli ingegneri della Nasa hanno deciso di sostituire il pezzo difettoso per continuare la fase

DOPO RITARDI, PERMESSI NON CONCESSI E INTOPPI LEGALI, I PROSSIMI MESI POTREBBERO ESSERE CRUCIALI PER I NUOVI MEZZI DI TRASPORTO SPAZIALE
28 SPACE ECONOMY DI DAVIDE LIZZANI*

di test e indagare in parallelo le cause del malfunzionamento. Oltre alle problematiche tecniche, la Nasa ha incontrato anche quelle burocratiche, come la già citata diatriba legale che ha impedito di formalizzare il contratto con SpaceX per sette mesi. Tutto ciò, unito alla pandemia in corso, ha ritardato il calendario del programma Artemis di almeno un anno posticipando il prossimo allunaggio al 2025. Questo rende Artemis 1 l’unica missione in grado di portare in orbita lunare una navicella spaziale (anche se senza equipaggio) entro 50 anni dall’ultima visita umana al nostro satellite: la missione Apollo 17 del dicembre 1972.

Di problematiche puramente tecniche sta soffrendo Boeing con la sua capsula Crew Space Transportation-100, altrimenti detta CST-100 Starliner

Il primo e a oggi unico test di volo, effettuato nel dicembre 2019, si era concluso con un parziale fallimento: sebbene la Starliner sia atterrata in

sicurezza, anomalie al software della navicella hanno impedito l’attracco alla Stazione spaziale internazionale. Questo ha spinto Boeing a effettuare un nuovo lancio di prova senza equipaggio, facendosi fra l’altro carico dei costi del test in quanto il contratto con la Nasa ha una quota fissa. Il 3 agosto 2021, Boeing ci ha riprovato. Ma, a sole due ore dal decollo e con la capsula già posizionata in cima a un razzo Atlas V della United Launch Alliance, il test è stato cancellato per via del malfunzionamento di 13 valvole del modulo di servizio della navicella. La causa del problema è stata poi individuata nelle interazioni fra ossidante e l’umidità data da condizioni meteo

anomale. Una complicanza non facilmente risolvibile. Per poter rifare il test, Boeing ha deciso di sostituire il modulo di servizio cannibalizzando quello del modello di capsula destinato al primo lancio con equipaggio. La prima finestra di lancio sarà quindi a maggio 2022 e, se questa volta la fortuna sorriderà al colosso dell’industria aerospaziale, il primo lancio con equipaggio potrebbe addirittura avvenire prima di fine anno. Se a prima vista può sembrare che Boeing abbia già perso la sfida con la Crew Dragon di SpaceX, il futuro della capsula Starliner è ancora tutto da decidere. Il programma Nasa per lo sviluppo di stazioni spaziali private potrebbe dare a questa capsula una nicchia di operatività quasi esclusiva: Boeing è infatti coinvolta nello sviluppo di Orbital Reef, la più grande delle tre stazioni presentate alla Nasa, progettata da Blue Origin in collaborazione con Sierra Space.

SPACE ECONOMY *DAVIDE LIZZANI GIORNALISTA SCIENTIFICO, ASTROFILO E PLANETARISTA DI STANZA A TOKYO. » Due immagini dello Starship 20.
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I

MESTIERI

(NEW) SPACE ECONOMY

Spazio come laboratorio, certo, questa è una visione, per così dire, antica.

Lo spazio, però, può essere anche il luogo in cui l’industria testa, sviluppa e persino realizza su scala industriale nuovi prodotti.

La cosiddetta new space economy prende abbrivio da una convergenza di accadimenti, ma, più di tutto, dal riposizionamento degli interessi delle grandi agenzie spaziali nei confronti della Luna e di Marte, che hanno liberato, si può dire, l’orbita bassa, mettendola a disposizione degli interessi commerciali e industriali delle aziende. La Nasa ha guidato questa transizione introducendo un livello nuovo di partenariato pubblico-

privato e immaginando, con anticipo, il passaggio dalla Stazione spaziale internazionale a nuove piattaforme. All’inizio di dicembre, l’agenzia spaziale americana ha annunciato di aver siglato accordi con Blue Origin, Nanoracks e Northrop Grumman per la progettazione di una stazione commerciale e di altre piattaforme nelle orbite più vicine alla Terra. In parallelo, si affaccia un’offerta di servizi commerciali per lo spazio: fuor di metafora, una proposta di accesso all’orbita bassa per le aziende private. L’avvento dei micro-lanciatori commerciali abilita la possibilità per le aziende di portare carichi in orbita nei tempi richiesti e alle condizioni utili, generando, di fatto, un nuovo servizio

per il business. Con queste premesse, lo space manufacturing non è più un progetto remoto, ma un sistema che esce dal dominio della scienza per entrare in quello della tecnologia. Il tema merita un approfondimento, per ora basterà dire che le applicazioni sono molteplici, dalla produzione di materiali sempre più incontaminati alla possibilità di testare rapidamente e con efficacia nuove molecole, fino all’opportunità di sintetizzare cristalli di elevata purezza, consentendo, per esempio, di produrre in microgravità il principio attivo che potrà poi essere impiegato a terra - insieme con altre sostanze - nella produzione di farmaci più efficaci e con meno controindicazioni.

30 SPACE ECONOMY DI DOMENICO MARIA CAPRIOLI*
DELLA

Anche lo sviluppo dei computer quantistici (e di altre tecnologie basate sullo stesso principio) riceverà un impulso notevole dallo spazio: le condizioni di vuoto e isolamento infatti consentono di sviluppare e testare in condizioni inedite, e per certi versi più adatte, nuove tecnologie quantistiche al momento limitate ai pochi laboratori iper-specializzati, dove è possibile ricreare quelle condizioni estreme che nello spazio sono “naturali”. Queste applicazioni modificheranno profondamente le professionalità oggi associate a queste filiere, ma non è tutto. Nasceranno nuovi servizi, di varia natura: trans-orbitali, in primo luogo, per esempio servizi di collegamento fra la Terra e le infrastrutture orbitanti, di trasporto delle materie prime alle fabbriche oltre l’atmosfera e di trasporto, questa volta a terra, dei prodotti realizzati in microgravità; saranno necessari, inoltre, servizi, questa volta di natura in-orbitale, per tutte le attività di monitoraggio, manutenzione e refurbishment erogate con ogni probabilità da robot, che utilizzeranno sempre più l’intelligenza artificiale piuttosto che il controllo remoto. Trasformare questo potenziale tecnologico in un sistema produttivo richiederà un significativo sforzo per rielaborare intere catene di

*DOMENICO MARIA CAPRIOLI

È PARTNER DI YOURSCIENCEBC LTD, ATTIVA NELLA RICERCA SULLE APPLICAZIONI SPAZIALI E SULLE TECNOLOGIE DI FRONTIERA, CON LA QUALE - OLTRE ALL’ATTIVITÀ DI RICERCA - FORNISCE CONSULENZA A ISTITUZIONI E AZIENDE INTERESSATE A COMPRENDERE LE OPPORTUNITÀ LEGATE ALLO SPAZIO E ALLA RICERCA.

competenze. Nei curricula formativi delle facoltà di ingegneria e persino delle scuole superiori, non potranno mancare attività volte a formare gli esperti dei singoli processi su tutte le implicazioni legate alla progettazione, alla gestione e alla manutenzione di attività produttive in microgravità. Si affermeranno professionalità nuove, capaci di disegnare e implementare catene del valore, che beneficino delle opportunità offerte dalle peculiari condizioni dell’orbita bassa, e così avremo prodotti interamente o parzialmente costruiti nello spazio Le condizioni di microgravità, applicate a settori specifici, come la medicina rigenerativa, la ricerca oncologica, le cellule staminali, sono così promettenti che genereranno nuove industry e consolideranno la relazione fra medicina, biotecnologie e ingegneria che si è già instaurata negli ultimi anni. Beninteso, questo è l’inizio, non il punto d’arrivo. Queste infrastrutture costituiranno, infatti, la base per nuovi progetti. La seconda tappa sarà la fascia degli asteroidi, oggetto di sfruttamento minerario: la sonda giapponese Hayabusa ha dimostrato la fattibilità tecnologica dell’operazione e sullo scenario si agitano già aziende - come la britannica Asteroid Mining Corporation - supportate da significativi investimenti. L’approvvigionamento di materie prime direttamente in orbita creerà una nuova filiera, interamente (o prevalentemente) sviluppata nello spazio, cambiando un’altra tessera del mosaico che l’umanità ha composto in millenni e che ora muta, vorticosamente, sospinto dalla visione dei pionieri della nuova economia dello spazio.

SPACE ECONOMY
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ASTROFISICA

GRAVITAZIONALE

LA CACCIA AL TESORO NON SI FERMA

LE ANTENNE LIGO E VIRGO HANNO GIÀ RIVELATO 90 EVENTI, UN INCREDIBILE BOTTINO SCIENTIFICO

Nonostante la pandemia da Covid-19 abbia modificato il programma osservativo dei rivelatori Ligo e Virgo, gli scienziati hanno continuato ad analizzare i dati raccolti negli anni precedenti, scoprendo nuove “gemme” di straordinario interesse.

I ricercatori delle collaborazioni Ligo, Virgo e Kagra hanno recentemente pubblicato un nuovo catalogo di sorgenti di onde gravitazionali, il Gwtc-3, che fa salire a 90 il numero totale di eventi transienti scoperti dai rivelatori Advanced Ligo e Advanced Virgo

Il risultato mostra che l’astrofisica delle onde gravitazionali è ormai una realtà consolidata; nel giro di pochi anni è passata dalla fase pionieristica a un’attività regolare, che permette di condurre studi sistematici sulle popolazioni di buchi neri e stelle di neutroni nell’Universo. E le grandi antenne che hanno stupito il mondo con le prime rivelazioni di onde

gravitazionali sono ormai equiparate agli altri osservatori astrofisici che scrutano il cielo in modo sistematico.

NEGLI EPISODI PRECEDENTI…

Il catalogo Gwtc-3 contiene tutti i segnali gravitazionali rivelati nella seconda parte di O3, la terza campagna osservativa congiunta di Ligo e Virgo, iniziata nel novembre 2019 e interrotta nel marzo 2020 a causa della pandemia. La seconda parte di O3 ha anche visto il debutto di Kagra, il rivelatore di onde gravitazionali giapponesi installato presso i laboratori di Kamioka, che già ospitano altri importanti esperimenti come il rivelatore di neutrini Super Kamiokande (vedi Cosmo n. 13).

*MASSIMILIANO RAZZANO

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Successivamente, Kagra ha condotto alcune settimane di osservazioni congiunte con Geo600, il rivelatore anglo-tedesco con bracci da 600 metri installato presso Hannover. Gwtc-3 è il più recente di una serie di cataloghi iniziata a fine 2018 con la pubblicazione di Gwtc-1, che conteneva i primi 11 eventi osservati durante le prime due campagne osservative (O1 e O2), condotte fra il 2015 e il 2017. Nel Gwtc-1 troviamo i segnali gravitazionali che hanno fatto la storia, come il primo segnale osservato il 14 settembre 2015 o la prima fusione fra due stelle di neutroni osservata il 17 agosto 2017. A fine 2020 è stato pubblicato il Gwtc-2, che conteneva 50 segnali: quelli di Gwtc-1 e 39 nuovi segnali osservati nel corso della prima fase di O3 (1° aprile – 1° ottobre 2019). La possibilità di rivelare nuove sorgenti non dipende solo dalla sensibilità degli strumenti, ma anche dai metodi di analisi impiegati, basati su sofisticati strumenti statistici.

32 TEMA DEL MESE DI MASSIMILIANO RAZZANO*
ASTROFISICO
GIORNALISTA SCIENTIFICO È PROFESSORE ASSOCIATO
DIPARTIMENTO DI FISICA
FERMI” DELL’UNIVERSITÀ DI PISA.
TEMA DEL MESE » In alto: una fusione di due buchi neri rivelata dalle antenne Ligo. Sono illustrate le tre fasi: inspiral (spiraleggiamento), merger (fusione), ringdown (trillo). Sotto, il segnale rivelato dalle antenne (A. Simonnet, Ssu). A sinistra: distribuzione delle masse degli oggetti coinvolti negli eventi gravitazionali contenuti nel catalogo Gwtc-3 (Ligo-Virgo, Aaron Geller, Northwestern University).
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TEMA DEL MESE DI MASSIMILIANO RAZZANO » Il poster che raffigura tutti gli eventi raccolti nel catalogo Gwtc-3 (Carl Knox, Swinburne University of Technology).
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Raccogliendo più dati, è possibile migliorare l’analisi del “rumore” di fondo, e pertanto migliorare la capacità di distinguere segnali di natura astrofisica da quelli spuri. Gli scienziati di Ligo e Virgo hanno deciso di inserire nei cataloghi solo i segnali per i quali la probabilità che siano di origine astrofisica sia superiore al 50%. Grazie a una “rivisitazione” dei segnali, è nato il Gwtc-2.1, una versione più aggiornata del secondo catalogo che conteneva otto nuovi eventi e ne riclassificava tre come non astrofisici. Nella presentazione di Gwtc-2.1 sono citati più di un migliaio di eventi che non sono stati inseriti nel catalogo ufficiale perché avevano una probabilità minore del 50% di essere reali. Sono comunque conservati in archivio, perché potrebbero coincidere con sorgenti scoperte da telescopi oppure da rivelatori di neutrini, e che quindi potrebbero diventare interessanti per l’analisi multi-messaggera.

SEMPRE PIÙ LONTANO

Il numero sempre crescente di eventi gravitazionali è legato all’aumento progressivo di sensibilità di Ligo e Virgo. Nell’intervallo di tempo fra una campagna osservativa e l’altra, gli scienziati studiano come ridurre il “rumore strumentale”, per rendere

» Il sistema di isolamento dalle vibrazioni dei rivelatori di Kagra, in Giappone, in aggiunta ai sistemi criogenici e al vuoto, impedisce al rumore ambientale di nascondere le vibrazioni di natura astrofisica, che sono inferiori al diametro di un protone (Naoj).

queste antenne sempre più sensibili.

La campagna O3 è stata divisa in due parti, proprio per dedicare un mese a queste operazioni di manutenzione e miglioramento.

Uno dei modi per misurare la sensibilità degli interferometri è il calcolo del cosiddetto “orizzonte”, che indica quanto lontano nello spazio i rivelatori sono capaci di osservare un evento. Si considera di solito come riferimento un sistema formato da due stelle di neutroni, dal momento che la loro massa è compresa in un intervallo ristretto e pertanto la loro “luminosità” in termini di onde gravitazionali è circa la stessa.

CERCASI ONDE, MA SOLO TRANSIENTI

Il rivelatore che ha migliorato di più la sua sensibilità fra O3a e O3b è stato Virgo, il cui orizzonte si è allargato di circa il 13%, circa il doppio di quanto ottenuto dall’interferometro Ligo ad Hanford, nello stato di Washington, mentre il Ligo a Livingston, in Louisiana, ha mantenuto la stessa sensibilità.

TUTTE LE NOVITÀ

Fra i 35 nuovi eventi osservati in O3b, tre sono dovuti allo scontro fra un buco nero e una stella di neutroni, mentre gli altri sono stati prodotti dalla fusione fra buchi neri. Di particolare importanza vi è

La sigla Gwtc che indentifica i cataloghi di onde gravitazionali è l’acronimo di Gravitational Wave Transient Catalog, “catalogo di onde gravitazionali transienti”, cioè quelle prodotte dallo scontro e fusione fra buchi neri o stelle di neutroni. Subito dopo lo spiraleggiamento e la fusione dei due corpi celesti, si forma un buco nero che produce un’emissione detta ringdown, come il trillo di un campanello, ma che non è composto di suoni. Questi eventi vengono chiamati “coalescenze” e per ora costituiscono l’unica classe di fenomeni da cui è possibile rivelare onde gravitazionali. Le teorie prevedono altre sorgenti di onde gravitazionali, come le supernovae o le pulsar, che finora non sono però ancora mai state rivelate.

TEMA DEL MESE 35

GW191219_163120, prodotto da un sistema formato da due corpi di massa molto diversa fra loro: un buco nero da 31 masse solari e una stella di neutroni da 1,2 masse solari, una delle meno massicce mai osservate. All’altro estremo troviamo GW200210_092254, prodotto da un buco nero di 24 masse solari e da un oggetto di quasi tre masse solari, che si trova nella cosiddetta mass gap, fra i buchi neri e le stelle di neutroni. Secondo i modelli teorici, non dovrebbero esserci oggetti con queste masse, perciò gli eventi osservati ci costringono a rivedere le teorie: forse il mass gap è dovuto solo alla sensibilità degli strumenti. Fra gli eventi legati a buchi neri, ricordiamo GW191129_134029, prodotto da due buchi neri relativamente piccoli, 10,7 e 6,7 masse solari, che hanno dato origine a un buco nero di quasi 17 masse solari. Troviamo poi un evento da record, GW200220_061928, formato dalla fusione di due “pesi massimi” da 87 e 61 masse solari che si sono fusi per formare un colosso da 141 masse solari. Siamo quindi al di sopra delle cento masse solari, un valore che identifica i cosiddetti

“buchi neri di massa intermedia”, una tipologia di oggetti ancora misteriosi e che erano in gran parte sconosciuti prima della scoperta delle onde gravitazionali.

COSA CI ASPETTA DOPO O3?

I fisici delle onde gravitazionali si stanno già preparando per la prossima campagna osservativa (O4), che dovrebbe partire a dicembre di quest’anno. Oltre all’ingresso di Kagra nella rete di osservatori, avremo un nuovo aumento di sensibilità per Virgo, frutto del progetto Advanced Virgo+ che mira a portare il rivelatore europeo a un

COME SI CHIAMANO LE ONDE GRAVITAZIONALI?

orizzonte di oltre 350 milioni di anni luce. Proseguono inoltre gli studi per i rivelatori di nuova generazione, come l’Einstein Telescope in Europa e il Cosmic Explorer negli Stati Uniti, e l’antenna spaziale Lisa, di cui ci parla Alessandra Buonanno nella cover story. A cui si è aggiunto recentemente un progetto per un’antenna gravitazionale da installare sulla Luna (vedi la news su Bfcspace, bit.ly/3eGOcj9). Le incognite sono ancora molte, ma il ricco tesoro di eventi gravitazionali ci rende sempre più curiosi di sapere cosa si nasconde al di là dell’orizzonte.

“Cos’è un nome?” scriveva Shakespeare in un celebre passaggio di Romeo e Giulietta. Ma se per la giovane Capuleti i nomi non erano poi così importanti, per gli astronomi sono fondamentali per identificare i fenomeni cosmici.

I primi eventi di onde gravitazionali sono stati etichettati con la sigla GW, ovvero Gravitational Wave (“onda gravitazionale”), seguita da due cifre per l’anno (per esempio, 15 per il 2015), seguite da altre due per il mese e il giorno, secondo il formato statunitense. Il primo evento, scoperto il 14 settembre 2015, diventa così GW150914. L’idea è simile a quella usata per i “lampi gamma” (Gamma Ray Burst), indicati dalla data preceduta dalla sigla Grb. Con l’aumento di sensibilità degli strumenti, è capitato di rivelare più di un evento nella stessa giornata. Per questo motivo, negli ultimi cataloghi troviamo una nuova “targa” formata dalla data seguita da sei cifre che rappresentano ore minuti e secondi espressi in tempo universale coordinato (Utc). Per esempio, GW200115_042309 è stato rivelato il 15 gennaio 2020 alle ore 4:23:09.

RAZZANO » Uno dei due lunghissimi tunnel di Virgo (nella provincia di Pisa) che vengono percorsi dai raggi laser per rivelare il passaggio delle onde gravitazionali grazie a effetti interferometrici.
TEMA DEL MESE DI MASSIMILIANO
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38 ASTROFISICA DI ANDREA SIMONCELLI* ALLE ORIGINI DEI RAGGI GAMMA I BLAZAR GRAZIE A UN TELESCOPIO CINESE SONO STATE IDENTIFICATE NUMEROSE SORGENTI COSMICHE DI GRANDE ENERGIA

» In apertura dall’alto: raffigurazione artistica di un blazar e un’immagine artistica del satellite Fermi In questa pagina: Il cielo nei raggi gamma rivelato da Fermi (in coordinate galattiche).

L’11 giugno 2008 veniva lanciato da Cape Canaveral l’osservatorio Glast (Gamma-ray Large Area Space Telescope) della Nasa, successivamente ribattezzato Fermi Gamma-ray Space Telescope, in onore del fisico italiano Enrico Fermi, premio Nobel per la Fisica nel 1938, famoso anche per i suoi studi sui raggi cosmici (di cui abbiamo trattato recentemente su Cosmo n. 22).

Negli oltre dieci anni di attività, i dati di Fermi hanno consentito di ottenere notevoli e interessanti risultati scientifici, premiati con importanti riconoscimenti internazionali, superando di gran lunga le più rosee aspettative dei ricercatori.

Nato da una collaborazione fra Stati Uniti, Italia, Giappone, Francia e Svezia, Fermi conta su una fondamentale partecipazione italiana, con i contributi dell’Agenzia Spaziale Italiana (Asi), dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e di un consorzio di università.

Fermi è un rivelatore di raggi gamma concepito per lo studio dei fenomeni astrofisici più estremi.

Il suo strumento principale è il Lat (Large Area Telescope), sensibile a fotoni di energia compresa tra i 20 MeV (megaelettronvolt) e i 300 GeV (gigaelettronvolt), ma in grado di rivelarne anche di più alta energia.

Per questo strumento, i ricercatori italiani dell’Infn, dell’Inaf e dell’Asi, sono stati responsabili dello sviluppo e della costruzione del tracciatore al silicio e impegnati poi nell’analisi dei dati. Un altro strumento presente a bordo di Fermi è il Gbm (Gamma-ray Burst Monitor), utilizzato per studiare i “lampi di raggi gamma”. Grazie a questi due rivelatori, e all’orbita che percorre, a una quota di circa 550 km, Fermi è in grado di intercettare i raggi gamma prima della loro interazione con l’atmosfera e di stabilire con precisione l’energia e la direzione di ogni evento osservato. Dalla messa in orbita di Fermi, buona parte della comunità scientifica

è impegnata nella ricerca delle controparti in altre bande dello spettro (radio, visibile e raggi X) delle sorgenti gamma non identificate, che costituiscono circa un terzo di tutte le sorgenti rilevate da Fermi fino a oggi. L’obiettivo di queste ricerche è l’individuazione e la classificazione di queste sorgenti gamma non ancora identificate.

La difficoltà di trovare un’associazione per queste sorgenti è legata alla risoluzione angolare degli strumenti del satellite, che va da pochi minuti d’arco per le sorgenti più brillanti, fino a quasi un grado per quelle più deboli. Sono molti i ricercatori impegnati nell’arduo compito di svelare la natura di queste sorgenti ancora prive di una classificazione. A dare un grande contributo in tal senso sono stati due lavori, recentemente pubblicati, entrambi con primo autore Harold Peña Herazo, oggi postdoc presso l’East Asian Observatory, prima studente dell’Università degli Studi di Torino e associato Inaf.

Alle pubblicazioni hanno dato un

ASTROFISICA 39

importante contributo ricercatori e ricercatrici italiani dell’Università di Bologna, dell’Università di Torino e dell’Inaf. In esse sono riportati i risultati di un lavoro iniziato con la selezione di un campione di “candidati blazar”, tutti presenti nel quarto catalogo di sorgenti individuate da Fermi, basato su otto anni di osservazioni.

Nel catalogo, che contiene un totale di oltre 5000 sorgenti, sono presenti sorgenti gamma che mostrano un comportamento multifrequenza tipico dei blazar. ma non hanno ricevuto una conferma della loro natura mediante la spettroscopia in banda visibile.

GRAZIE AI CINESI

Una volta selezionate le sorgenti da classificare, è stato utilizzato l’archivio di spettri in banda visibile realizzato grazie alla survey del telescopio Lamost (Large sky Area Multi-Object Fiber Specrtoscopy Telescope), installato nell’osservatorio Xing Long a nordest di Pechino.

Lamost è un riflettore Schmidt meridiano con ottica adattiva e dispone di due specchi tassellati: il primo (5,72×4,4 metri) è un correttore situato in una cupola al livello del suolo e riflette la luce in una galleria inclinata, diretta verso il secondo specchio (6,67×6,09 metri). Questo specchio converge la luce verso un piano focale di 1,75 m di diametro, corrispondente a un

Blazar è il termine coniato nel 1978 dall’astronomo Edward Spiegel per indicare la classe più rara e più estrema di “nuclei galattici attivi” (Agn, Active Galactic Nuclei).

Si tratta delle sorgenti più potenti che si conoscano nel cielo visto nei raggi gamma: i blazar sono alimentati da buchi neri super-massicci, situati nelle regioni centrali delle galassie che li ospitano, e producono getti relativistici di particelle molto collimati, che possiamo rivelare solo se puntano in direzione della Terra. I blazar sono caratterizzati da emissioni di radiazioni elettromagnetiche a tutte le frequenze dello spettro (ma soprattutto nelle bande X e gamma) e sono sorgenti tipicamente molto variabili.

Questi “mostri del cielo” si possono dividere in quasar con spettro radio piatto e oggetti di tipo BL Lac, dal nome del prototipo BL Lacertae, un Agn distante circa 900 milioni di anni luce nella costellazione della Lucertola, da cui deriva il temine blazar (foto).

*ANDREA SIMONCELLI

LAUREATO IN ASTRONOMIA A BOLOGNA, È UN RICERCATORE, DOCENTE E DIVULGATORE SCIENTIFICO.

CHE COSA SONO I BLAZAR
40 ASTROFISICA DI ANDREA SIMONCELLI

campo visivo di 5°. Il piano focale è piastrellato con 4000 unità di fibra, ciascuna delle quali è collegata a una fibra ottica che trasferisce la luce a uno dei sedici spettrografi nei 250 canali sottostanti.

Il progetto principale di Lamost consiste in una survey spettroscopica che intende condurre su 10 milioni tra stelle e galassie fino alla

magnitudine 20,5. Grazie all’archivio già accumulato da Lamost, i ricercatori hanno confermato la natura di blazar per venti candidati. Inoltre, hanno ottenuto 15 nuove stime del redshift, e quindi della distanza, per blazar già classificati. Nelle pubblicazioni riportano anche la scoperta di 26 blazar che, a causa della loro variabilità, cambiano le loro proprietà spettrali e, di conseguenza, la loro classificazione. Infine, è stata confermata la natura di sei candidati BL Lac

Questo lavoro conferma l’importanza delle survey del telescopio Lamost, uno strumento particolarmente utile per la classificazione dei blazar, per indagare le loro variabilità e determinare le loro distanze.

» In alto: Lamost è il più grande telescopio esistente in Cina. Gestito dal National Astronomical Observatory cinese, è dedicato a Guo Shou Jing, un astronomo cinese vissuto nel XIII secolo. A sinistra: schema ottico di Lamost.
ASTROFISICA 41

DANZE MISTERIOSE

NEL CENTRO GALATTICO

COSA RIVELANO LE IMMAGINI PROFONDE DELLE STELLE IN ORBITA ATTORNO AL BUCO NERO CENTRALE DELLA VIA LATTEA

Nel centro della Galassia, se potessimo osservarlo in ottico, vedremmo un gran numero di nebulose, resti di supernova e una maggiore concentrazione di stelle.

A buon ingrandimento, confrontando scatti presi a intervalli regolari, ci accorgeremmo che alcune stelle si muovono intorno a un punto in cui non scorgiamo alcuna sorgente.

Questa minuscola regione è completamente nascosta alla vista da opache nubi di polveri e gas, ma può essere sondata ad altre lunghezze d’onda, in particolare nel dominio radio e in infrarosso (vedi le Spacenews di Cosmo n. 23). Il centro galattico è una forte sorgente radio, catalogata come Sagittarius A

In essa è stata identificata una sorgente puntiforme, denominata Sagittarius A* (Sgr A*), che occupa il centro dinamico della Via Lattea.

È lì che risiede un “buco nero supermassiccio” (Smbh).

Osservazioni multispettrali hanno permesso di fendere il muro di stelle, polveri e gas, scoprendo una regione ricchissima di sorgenti interessanti che, come barche in regata intorno alla boa, doppiano Sgr A*.

La maggior parte di tali sorgenti sono stelle che descrivono orbite chiuse: grazie allo studio della loro cinematica, Andrea Ghez e il suo gruppo hanno stimato la massa del Smbh in circa quattro milioni di masse solari.

Rispetto ai suoi simili, è un peso medio e alquanto tranquillo, poiché solo di rado esibisce segnali della sua presenza, nel corso di occasionali catture di nubi di gas.

Questa quiescenza non lo rende meno interessante, anzi Sgr A* è uno degli oggetti cosmici più indagati. Purtroppo, a causa della sua posizione nel cielo, le osservazioni possono essere eseguite con profitto durante una breve finestra temporale, quando la costellazione del Sagittario transita in meridiano.

LA DANZA DELLE STELLE

Il “nostro” Smbh è seguito da gruppi di studio internazionali, tra cui quello guidato da Andrea Ghez e da Reinhard Genzel, direttore del Max Planck Institute for Extraterrestrial Physics (Mpe) a Garching, in Germania. Ricordiamo che Ghez e Genzel, insieme a Roger Penrose, hanno vinto il Premio Nobel per la Fisica nel 2020 proprio per gli studi sui buchi neri.

Genzel in particolare, osserva la regione di Sgr A* da trent’anni con tecniche sempre più evolute. Recentemente ha potuto farlo attraverso metodi d’interferometria ad altissima risoluzione al Very Large Telescope (Vlt) dell’Eso. L’interferometro del Vlt utilizza lo strumento Gravity, che è in grado di combinare per via interferometrica la luce dei quattro telescopi da 8,2 metri di diametro del Vlt. Questa tecnica complessa aumenta di venti volte la risoluzione che si avrebbe usando un solo telescopio.

42 ASTROFISICA DI GIUSEPPE DONATIELLO*

» Una ripresa a largo campo nel Sagittario, ottenuta con teleobiettivo da 300 mm. È indicata la posizione proiettata del centro galattico, una regione invisibile in ottico a causa di spesse e opache nubi stellari, gas e polveri (Parco Nazionale del Pollino, agosto 2021).

Sotto da sinistra: una vista composita ai raggi X del gas molecolare e gas ionizzato caldo vicino al centro galattico (Nasa, Esa, Gerald Cecil, Joseph DePasquale).

La “galassia attiva” M77, nella costellazione della Balena, ripresa dal telescopio spaziale Hubble.

ASTROFISICA 43

Le nuove immagini hanno permesso di identificare una stella che orbita intorno a Sgr A* a una distanza minore delle stelle note in precedenza. Grazie allo studio della sua cinematica, il gruppo ha potuto precisare la massa del buco nero.

E non solo. Questi studi permettono di mettere alla prova la Relatività Generale e di scoprire se il Smbh abbia un moto di rotazione. In effetti, in regioni dalla gravità così potente gli effetti relativistici sono sensibili, e un buco nero così grande,

se ruota, opera un trascinamento del reticolo spazio-temporale che distorce le orbite degli oggetti circostanti. Le osservazioni interferometriche condotte tra marzo e luglio 2021 hanno permesso di scorgere la stella che attualmente detiene il record

» Le due immense strutture di gas ad altissima temperatura che si estendono sopra e sotto il piano galattico, vestigia di una intensa attività di Sgr A* avvenuta tra 2 e 4 milioni di anni fa.
44 ASTROFISICA DI GIUSEPPE DONATIELLO

di vicinanza al buco nero: indicata come S29, ha raggiunto il periastro alla fine di maggio 2021, a soli 13 miliardi di chilometri, circa 90 volte la distanza Sole-Terra, viaggiando alla velocità di 8740 km al secondo (280 volte maggiore della velocità orbitale terrestre).

Le nuove osservazioni, combinate con i dati precedenti del team, confermano che le stelle di questa regione lontana 27mila anni luce seguono i percorsi previsti dalle equazioni di Einstein attorno a un oggetto invisibile con una massa 4,30 milioni di volte la massa del Sole.

Con Gravity è stata utilizzata la tecnica chiamata Information Field Theory, che combina l’osservazione delle sorgenti con un modello realizzato da sistemi di apprendimento automatico. Questi dati sono stati affiancati con quelli ottenuti in precedenza dal Vlt e da altri telescopi. Il team continuerà a osservare Sgr A* alla ricerca di stelle più deboli e più vicine ad esso, anche con l’Extremely Large Telescope (Elt) dell’Eso, in costruzione in Cile. Con tali informazioni si potrà scoprire se il Smbh ruota e a quale velocità.

SGR A* STA SOLO SONNECCHIANDO

Sebbene Sgr A* sia attualmente quiescente, non è detto che lo sia sempre stato, perciò gli astronomi hanno cercato le vestigia di antiche attività. Il buco nero deve essersi mostrato attivo come un quasar

miliardi di anni fa, quando la nostra giovane galassia si stava accrescendo di nubi di gas in caduta. Successivamente, l’attività è diventata saltuaria: il buco nero cattura qualche stella o nubi di gas e in tali circostanze rigurgita materia sottoforma di getti collimati, come si osserva nelle galassie con Nuclei Galattici Attivi (Agn).

Quando sono in piena attività, i buchi neri attirano materiale da enormi dischi d’accrescimento, in cui la materia gira a velocità impressionanti, ridotta allo stato di plasma dalle altissime temperature. Non tutto il plasma cade nella voragine gravitazionale, ma una parte di esso viene espulso attraverso due getti contrapposti, collimati dai potenti campi magnetici del buco nero. Il buco nero non riesce a ingoiare tutto quello che gli sta intorno per via delle dimensioni finite, così la materia in eccesso, accelerata a velocità prossime a quelle della luce, riesce a sfuggire. I buchi neri sono il motore della formazione dei getti, e la loro rotazione è una fonte di energia per il meccanismo di emissione.

Pare che il nucleo della Via Lattea non sia stato di recente un Agn; tuttavia, mostra di aver eseguito dei pasti sporadici. Le tracce di tali episodi sono state rinvenute attraverso osservazioni multi-spettrali in grado di mostrare gli effetti dei getti collimati nell’ambiente circostante.

Nel 2013 il telescopio spaziale

Chandra della Nasa e il radiotelescopio Jansky Very Large Array nel New Mexico avevano osservato un breve getto posto a sud di Sgr A* che sembra scalfire una nube di gas vicina. La presenza di tale struttura autorizzava a pensare che ci fosse un contro getto a nord e altre tracce analoghe nei dati vecchi e nuovi.

La ricerca è stata condotta da un gruppo internazionale guidato da Gerald Cecil e Chapel Hill dell’Università della Nord Carolina. Cecil ha esaminato gli spettri d’archivio dell’Atacama Large Millimeter/Submillimeter Array (Alma) in Cile, riferiti all’emissione delle righe dell’alcol metilico e del monosolfuro di carbonio, per “bucare” il muro di polveri in direzione del centro galattico. Sono state così trovate le tracce di una struttura lineare emergente e in espansione, estesa per circa 15 anni luce dal Smbh. Combinando questi dati con quelli in infrarosso ottenuti dal telescopio spaziale Hubble, il team ha trovato anche una bolla di gas molto caldo, allineato al getto per circa 35 anni luce. Secondo gli astronomi, tale struttura indica gli effetti di un getto collimato che è entrato nella nube, gonfiandola. La collisione del getto con le nubi ne provoca la deviazione del flusso, che da rettilineo diventa turbolento. Il deflusso crea una serie di bolle in espansione che si estendono per centinaia di anni luce. Quelle associate al centro galattico si estendono per almeno 500 anni luce in direzioni opposte e sono state mappate a più lunghezze d’onda, ultimamente anche dal satellite eRosita.

ASTROFISICA *GIUSEPPE DONATIELLO RESPONSABILE DELLA SEZIONE RICERCA PROFONDO CIELO – UAI, PARTECIPA A PROGETTI PRO-AM INTERNAZIONALI ED È SCOPRITORE DI CINQUE GALASSIE NANE, QUATTRO DELLE QUALI PORTANO IL SUO NOME.
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Questa mappa è stata poi confrontata con i modelli computazionali per ricostruirne l’evoluzione, ipotizzando un getto uscente da Sgr A*. Per spiegare quanto si è osservato nell’alone galattico, bisogna ammettere che il buco nero centrale abbia aumentato la sua attività di circa un milione di volte nell’ultimo milione di anni. Gli studi hanno dunque provato che Sgr A* è stato particolarmente attivo tra 2 e 4 milioni di anni fa. Ciò è evidente nell’espansione dei pennacchi di plasma, scoperti nel 2010 dal telescopio spaziale Fermi a raggi gamma della Nasa. I pennacchi formano una forma a clessidra, estendendosi molto al di sopra e al di sotto al piano della Galassia. Le onde d’urto prodotte dall’esplosione del buco nero hanno riscaldato il gas al di fuori del piano galattico per brillare di raggi gamma e formare una corona di raggi X, che è stata rivelata da un altro osservatorio spaziale, il Rosat. Osservazioni in ultravioletto

di Hubble hanno permesso di determinare la composizione e la velocità di espansione delle bolle gassose. Dagli spettri si è potuto stimare che durante la fase Agn la radiazione è stata così intensa da ionizzare parte della Magellanic Stream, una struttura gassosa distante circa 200mila anni luce che deriva dall’interazione tra la Via Lattea e le Nubi di Magellano.

UNO SPETTACOLO INQUIETANTE

Quanto è stato rilevato per la nostra Galassia viene esibito anche da altre galassie. In particolare, la NGC 1068 (M77) è stata usata per un confronto. Questa galassia, distante 47 milioni di anni luce nella costellazione della Balena, mostra una serie di bolle allineate lungo il deflusso del suo Agn, un processo simile a quello avvenuto nella Via Lattea tra 2 e 4 milioni di anni fa. Doveva essere uno spettacolo inquietante: se fossimo vissuti

al tempo degli australopitechi, avremmo visto strani bagliori filtrare tra le nubi di polveri in direzione del centro galattico, in una specie di caleidoscopio di luci e ombre. Ci piace immaginare lo stupore degli antichi ominidi per questo strano fenomeno celeste mentre trascorrevano la notte sugli alberi per difendersi dai predatori. Grazie alla ricerca, possiamo avere un’idea di come poteva essere una notte di milioni di anni fa. L’attuale quiescenza del buco nero centrale è una fase transitoria. In futuro catturerà di nuovo materia, e la sua attività riprenderà vigore. Secondo Cecil, basterebbe un aumento di luminosità di cento volte per produrre nuovi getti che vadano a colmare di particelle i canali lasciati vacanti dalla passata attività. Sarebbero comunque necessari centinaia di migliaia di anni perché possano avere il tempo di raggiungere le due bolle, estese per circa 50mila anni luce ciascuna.

» Stelle in orbite molto vicine a Sgr A* riprese tra marzo e luglio 2021. Una di queste stelle, la S29, è stata osservata mentre passava a una distanza di soli 13 miliardi di chilometri dal buco nero. Inquadra il QR per un video di Media-Inaf dedicato a questa scoperta.
ASTROFISICA DI GIUSEPPE DONATIELLO 46
48 CIELO E TERRA DI GIORDANO CEVOLANI* DALL’ARCHEOLOGIA I SEGNI DI UN “EVENTO TUNGUSKA” SUL MAR MORTO NELL’ETÀ DEL BRONZO FU VERAMENTE FUOCO DAL CIELO SODOMA E GOMORRA

L’

esplosione in aria (airburst) di un meteoroide di 15-20 metri di diametro a Chelyabinsk nel 2013 ha riportato alla ribalta l’Evento Tunguska del 1908, il più importante evento esplosivo naturale registrato nella storia recente in atmosfera. Secondo simulazioni condotte ai Sandia National Laboratories negli Usa, un evento come quello di Tunguska, generato comunque da un corpo di dimensioni minori di 100 metri, avviene in media ogni 1000 anni ed è in grado di eliminare ogni forma di vita in aree vastissime.

GLI SCAVI

DI TALL EL-HAMMAM

Nella protostoria, ci sono stati altri Eventi Tunguska; uno di questi è avvenuto nell’età del Bronzo Medio nell’attuale Giordania. Dopo 15 anni di scavi in un territorio di 40 ettari a nord-est del Mar Morto, è venuto alla luce il sito di Tall el-Hammam, risalente al 3500 a.C. Un gruppo di archeologi e di esperti in varie discipline concorda nell’affermare che i segni del cataclisma che sono stati individuati nel sito possono essere spiegati solo da un potente airburst prodotto dalla caduta di un corpo celeste.

In base ai reperti trovati e al posizionamento geografico, a est del fiume Giordano, gli studiosi sono convinti di avere gli elementi per affermare che quel sito corrisponda alla biblica città di Sodoma. Secondo la Genesi, Sodoma venne distrutta insieme a Gomorra, Adama, Zoar e Zobim per volere divino. All’epoca, la supremazia in quella regione era contesa fra tre città: Tall el-Hammam

» Le alture giordane a ovest del Mar Morto viste dalla parte opposta della valle, in territorio cisgiordano. Da questa postazione Abramo vide la distruzione di Sodoma e Gomorra.
49 CIELO E TERRA

(forse Sodoma), Tell Nimrin (forse Adama) e Tell Es-Sultan (Gerico). La popolazione della regione ammontava a circa 50 mila abitanti, distribuiti tra le città principali e in una serie di villaggi minori.

All’apice del suo splendore, Tall elHammam era la città più sviluppata e sicuramente dominante, cinque volte più estesa di Gerico. Con la datazione al radiocarbonio dei reperti trovati

negli scavi, si è determinato che nel 1650 a.C. una catastrofe spazzò via quindici città e più di cento villaggi, che furono abbandonati contemporaneamente.

SIMULANDO IL CATACLISMA

Informazioni molto importanti sono state ottenute presso i Sandia Laboratories con l’Impact Calculator

(IC), un progetto informatico messo a punto per stimare gli effetti di un airburst sopra Tall el-Hammam, modellando con un supercomputer una gamma di possibili diametri del corpo impattatore.

Un modello di una esplosione aerea di 15 megatoni mostra che il livello di distruzione osservato a Tall elHammam è simile ma superiore a quello di Tunguska. Secondo l’IC, un asteroide pietroso, scendendo con un angolo di incidenza di 45° (valutato dalla direzionalità di cocci e frammenti), circa 5 km a sud-ovest di Tall el-Hammam, esplode in atmosfera producendo un getto ad alta temperatura di gas ionizzati e frammenti di impatto.

Il getto raggiunge la superficie terrestre a velocità supersoniche, scavando sedimenti ed espandendosi radialmente. Le temperature superficiali salgono al punto da vetrificare tutti i materiali.

Le dimensioni di 60 e 75 metri sono considerate il limite inferiore e superiore del corpo impattatore responsabile di un tale disastro. Un oggetto di dimensioni maggiori avrebbe scavato un cratere che invece non è stato trovato. Per le dimensioni ipotizzate si prevede invece la formazione di tanti crateri piccoli e poco profondi che potrebbero essere stati riempiti nel tempo dal vento e dall’acqua.

Le turbolenze atmosferiche generate dal disastro hanno generato un tornado di gran lunga più intenso dei maggiori mai registrati, con velocità dei venti nell’ordine dei 500 km/h, in grado di demolire e polverizzare le pareti di mattoni dell’epoca (ma superiori anche ai limiti di distruzione dei moderni edifici in

» Dall’alto: ricostruzione dell’evento esplosivo a Tall el-Hammam, importante città dell’Età del Bronzo che dominò la valle del Giordano meridionale per quasi 1500 anni prima di essere cancellata da un cataclisma. La conca (Kikkar) della valle del Giordano a nord del Mar Morto con le città di Tall el-Hammam, Tall Kefrein, Tell Nimrin e Tell Es-Sultan, tra le più importanti a essere distrutte dall’airburst.
50 CIELO E TERRA DI GIORDANO CEVOLANI

cemento armato). L’Evento Tunguska ha prodotto una scossa sismica di magnitudine 5.0 sulla scala Richter; questo si sarà verificato anche nella regione di Tall el-Hammam, producendo altri crolli e distruzioni.

A Gerico, situata a circa 15 km dal centro dell’airburst, il vento ha raggiunto velocità dell’ordine dei 200 km/h, tipica degli uragani di categoria 3, abbastanza potente da far crollare i muri di mattoni di fango. Sulla base dei test atomici e dell’Evento Tunguska, si stima che la sfera di fuoco dell’impattatore di Tall el-Hammam si sia espansa fino a 1000 metri di diametro, raggiungendo nel suo centro temperature di 300mila gradi ed emettendo impulsi termici in grado fondere qualsiasi cosa. Gli indizi raccolti a Tall el-Hammam mostrano che la temperatura del suolo è salita brevemente sopra i 1850°C, dando fuoco a tutto (esseri umani compresi).

LA TESTIMONIANZA BIBLICA

Il geografo greco Strabone afferma che “una volta c’erano tredici città abitate nella regione in cui Sodoma faceva da metropoli”. Anche la Bibbia viene in aiuto dell’archeologia, testimoniando in modo molto realistico questo tragico evento, che viene ripreso in numerosi passi dell’Antico e del Nuovo Testamento e persino nel Corano.

SULLA SCENA DEL CATACLISMA

Sono molti gli indizi raccolti sulla scena del cataclisma che sostengono l’ipotesi dell’airburst sopra la regione di Tall el-Hammam.

- Uno strato caotico scuro spesso circa 1,5 metri, composto di ceneri, resti carbonizzati, metalli, ceramiche e mattoni di fango liquefatti dei muri delle fortificazioni della città a temperature di almeno 1500°C. Un elemento chiave è la direzionalità della distruzione: a differenza dei crolli indotti da un sisma, questo evento ha agito lungo una direzione ben precisa: da SW a NE.

- Minerali fusi ad alta temperatura come sferule ricche di ferro e silicio (tectiti), vescicole di vetro rivestite da minerali ricchi di metalli, sferule e gesso di carbonato di calcio, grani di zircone e cromite, fosfuri e solfuri di ferro, questi ultimi frequenti nei meteoroidi e particolarmente attivi nel creare porosità che facilitano l’esplosione di un corpo cosmico (vedi Cosmo n. 24); quarzi da impatto che si formano soltanto a pressioni immense. Legni e piante nell’area istantaneamente convertiti in materiale simile al diamante, a causa delle eccezionali pressioni e temperature conseguenti all’impatto del bolide.

- Presenza di iridio, di platino e di nanodiamanti, minerali rari sulla Terra, ma che si ritrovano sempre nei materiali extraterrestri e sono pertanto usati come indicatori di impatti cosmici, come nell’evento K-T di 65 milioni di anni fa e poi quello di Younger Dryas di 12.800 anni fa, che cancellò l’insediamento di Abu Hureyra nell’attuale Siria.

- Molte pietre dell’area archeologica presentano tracce di trinitite, un residuo vetroso di colore verde trovato per la prima volta nel deserto del New Messico nel sito dell’esplosione nucleare sperimentale Trinity del 16 luglio 1945 (figura).

CIELO E TERRA *GIORDANO CEVOLANI GEOFISICO E PLANETOLOGO, SI OCCUPA DI FISICA DELL’ATMOSFERA E DI ASTRONOMIA DEI CORPI MINORI DEL SISTEMA SOLARE.
51

TERRA

Nella Genesi (19, 24-29): “il Signore fece piovere dal cielo sopra Sodoma e Gomorra zolfo e fuoco” che “distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti e la vegetazione”. Mentre Abramo, dalla parte opposta della valle, “contemplò dall’alto Sodoma e Gomorra e tutta la distesa della valle e vide che un fumo saliva dalla terra, come il fumo di una fornace”.

In effetti, l’airburst produce incendi devastanti, e la presenza di grandi quantità di solfuri di ferro nei meteoroidi rende l’aria irrespirabile.

I ricercatori ipotizzano che l’airburst avvenuto al di sopra del Mar Morto (che contiene circa il 34% in peso di sale) potrebbe aver disperso acqua ipersalina sull’intera regione, “salificando” tutti i corpi esposti. E qui torna la testimonianza del racconto biblico che riferisce di persone trasformate in statue di sale, come la moglie di Lot, nipote di Abramo, che ebbe questa sorte per non aver osservato l’ordine di non voltarsi verso la città da cui stava fuggendo. Con un terreno reso sterile dalla presenza del sale, i pochi sopravvissuti all’evento non sarebbero più stati in grado di coltivare nulla, vedendosi così costretti ad abbandonare l’area. Solamente 600 anni dopo l’evento, le concentrazioni di sale, dilavate dal terreno contaminato dalle piogge e dai corsi fluviali, sarebbero scese sotto la soglia che permette il ritorno all’agricoltura, e la regione sarebbe stata nuovamente abitata. Secondo il Libro di Giosuè (6, 1-27), Gerico fu invasa e rasa al suolo dagli Israeliti guidati da Giosuè, successore di Mosè dopo l’uscita dall’Egitto. Secondo gli storici, questo episodio sarebbe avvenuto verso il 1250 a.C., ma a

quell’epoca nessuno viveva più a Gerico e dintorni. Le mura della città erano crollate quattro secoli prima dell’arrivo degli Israeliti, come effetto collaterale alla pioggia di fuoco su Sodoma e Gomorra, che invece nella narrazione biblica avviene prima del trasferimento degli Israeliti in Egitto. La cronologia degli eventi biblici non concorda sempre con gli indizi archeologici, ma bisogna ricordare che la Bibbia non pretende di riportare una cronaca storica degli eventi, ma costruisce una narrazione in cui gli stessi eventi sono chiamati in causa come metafora della potenza e della giustizia di Dio. Il ricordo delle distruzioni avvenute nella Valle del Giordano è stato tramandato per via orale per secoli, finché è stato registrato nei testi sacri.

POTREBBE SUCCEDERE ANCORA

Diversamente dall’Evento Tunguska, nel caso di Tall el-Hammam siamo di fronte anche a una catastrofe umana che ha annullato la vita in un’area abitata da civiltà progredita, con 8000 abitanti nella sola Sodoma: le

ossa sbriciolate rinvenute negli scavi testimoniano la violenza dell’airburst che ha interessato un’area di alcune migliaia di chilometri quadrati, con un’energia paragonabile a mille bombe di Hiroshima. Tutto questo deve essere visto come un monito: sebbene il rischio sia basso, il danno potenziale provocato dalla caduta di corpi cosmici di dimensioni anche relativamente limitate è estremamente elevato, potendo mettere a rischio ogni luogo abitato della Terra. Il Cneos (Center for Near Earth Object Studies), che si occupa della mappatura degli oggetti che si avvicinano alla Terra, è stato finora in grado di monitorare oggetti con diametro maggiore di 150 metri, ma i corpi più piccoli sono in numero talmente elevato da giustificare ogni tempestiva azione nella difesa del pianeta dal pericolo di un loro impatto. Dobbiamo guardare pertanto con fiducia alla prossima realizzazione del rivoluzionario FlyEye, il telescopio ottico innovativo (presentato su Cosmo n. 21) che potrà monitorare anche oggetti con dimensioni inferiori ai 100 metri.

CIELO DI GIORDANO » I resti dell’insediamento di Tell el-Sultan (Gerico), a circa 20 km da Tell el-Hamman.
52
E
CEVOLANI
FENOMENO DEL MESE DI WALTER FERRERI* OSSERVIAMO IL PIANETA PIÙ VICINO AL SOLE PRIMA DELL’ALBA, VICINO A VENERE 54 ALLA MASSIMA ELONGAZIONE OVEST

Possiamo definire Mercurio una versione maggiorata della Luna, ma molto più lontano e scomodo da osservare, perché è sempre vicino al Sole. Mercoledì 16 febbraio raggiunge la sua massima elongazione ovest, cioè la massima distanza angolare dal Sole: per questo si può seguire per alcuni giorni a cavallo di questa data, prima dell’alba, particolarmente dal 14 al 20 febbraio.

La tabella 1 riporta i dati più significativi del periodo relativo a questa elongazione. Le date, a 00.00 ore di Tempo Universale, sono tutte relative al mese di febbraio.

La distanza è quella dalla Terra, espressa in milioni di chilometri.

CON L’AIUTO DI VENERE

In generale, le elongazioni favorevoli di Mercurio – sia mattutine che serali - sono quelle che avvengono quando il pianeta sorge o tramonta in un cielo scuro, cosa che si verifica solo relativamente in questa elongazione, in cui il pianeta viene a trovarsi a ben 26° dal Sole, ma a una declinazione inferiore di 7°.

In questa occasione, Mercurio è proiettato nella costellazione del Capricorno, qualche grado a sud della stella Beta, mentre il Sole è tra il Capricorno e l’Acquario. Per trovare il piccolo pianeta, si può fare riferimento a Venere, che brilla più intensamente nella costellazione del Sagittario. Mentre la magnitudine di Mercurio è 0,3, quella di Venere è –4, che corrisponde a una luminosità cinquanta volte maggiore. Appena prima dell’alba, Mercurio si trova a circa 18° a “sinistra in basso” rispetto a Venere; in pratica, tra Venere e l’orizzonte sud-orientale.

Mercurio appare come una stellina; eppure, era già ben conosciuto dagli antichi. Probabilmente i primi a notarlo sono stati i pastori mentre badavano alle loro greggi. Le sue apparizioni, sia serali che mattutine, hanno inizialmente fatto pensare a due astri distinti, come era avvenuto anche per Venere. Così, gli antichi greci lo chiamavano Apollo come stella del mattino e Mercurio come stella della sera. Ma non dovette trascorrere molto tempo prima che si rendessero conto che si trattava dello stesso astro. E intorno al 400 a.C. l’astronomo greco Eudosso di Cnido ne determinava il periodo sinodico (il tempo che impiega a tornare nella stessa posizione rispetto alla Terra e al Sole), che è di 116 giorni. Le fasi di Mercurio, sfuggite a Galileo, pare che siano state osservate per la prima volta dal gesuita calabrese Giovanni Zupi (latinizzato in Zupus) nel 1639, mentre altri attribuiscono questa scoperta al più celebre Johannes Hevelius, di Danzica.

In questa circostanza, visti al telescopio, i due pianeti presentano una fase diversa; Mercurio appare come una mezza luna, la cui visione richiede un’immagine nitida con potere di almeno 100x. Venere è invece una falce (fase di 0,28) con il diametro di 38,5”, ben maggiore di quello di Mercurio.

I DETTAGLI DI MERCURIO È estremamente difficile distinguere dettagli sull’immagine di Mercurio, sia per le sue piccole dimensioni che per la sua posizione prossima a quella del Sole. Per avere possibilità di successo, il potere minimo da utilizzare è quello intorno ai 200x. Il primo a compiere osservazioni approfondite e sistematiche di Mercurio fu il tedesco Johann H. Schröter nel 1800. Tra l’altro, mise in evidenza che il corno australe della falce di Mercurio gli appariva smussato e questo lo condusse a credere che la causa fosse una montagna alta 19 km. Ora sappiamo

» Mercurio e Venere poco prima dell’alba del 6 febbraio, vicini all’orizzonte di sud-est (Stellarium).
55 FENOMENO DEL MESE

FENOMENO DEL MESE

che Schröter incorse in questo errore in quanto questa regione australe è meno luminosa di quella boreale. Dalla seconda metà del 1800, le osservazioni di dettagli sul disco divennero abbastanza diffuse: l’11 giugno 1867 Prince segnalò una macchia brillante a sud del centro del disco con deboli linee che si irradiavano da essa; il 13 marzo 1870 in prossimità del suo lembo orientale Birmingham percepì un’estesa macchia bianca; Vogel, dal nord della Germania, vide macchie sulla sua superficie il 14 e il 21 aprile 1871. Per diminuire l’influsso negativo del seeing, quando il pianeta è basso nel cielo dei crepuscoli, a partire dalle osservazioni di Giovanni V. Schiaparelli, è diventato usuale puntarlo di giorno. In base all’esperienza maturata in questo tipo di osservazioni, nelle elongazioni occidentali, come questa, il periodo in cui si vede meglio è al sorgere del Sole, oppure quando questo è appena sorto. In queste condizioni, l’immagine non è né troppo debole come nel cielo diurno, né troppo brillante come durante il crepuscolo serale o mattutino.

Se in questi periodi si ha la fortuna di avere momenti di buon seeing, allora

dovrebbe essere possibile scorgere anche qualche dettaglio, ma questi momenti sono straordinariamente rari.

IL PIANETA SENZA STAGIONI

Filtri colorati di tonalità arancione e rossa con densità media forniscono un contributo non solo al contrasto, ma anche alla fermezza dell’immagine durante i crepuscoli.

Non è comunque facile condurre osservazioni su questo pianeta. Basti pensare che con le indagini visuali, compiute anche dai più grandi astronomi del passato, non si è riusciti a determinarne il periodo di rotazione di Mercurio.

Per la prima misura corretta si è dovuto attendere il 1965, quando è stata impiegata la tecnica radar con l’enorme parabola di Arecibo da 305 metri di diametro.

Così, si è scoperto che il periodo rotazionale, di 58,65 giorni, è

*WALTER FERRERI

SI È OCCUPATO DI RICERCA

SCIENTIFICA, DI TELESCOPI

E DI ASTROFOTOGRAFIA PRESSO

L’OSSERVATORIO ASTROFISICO

DI TORINO. NEL 1977 HA FONDATO

LA RIVISTA ORIONE

esattamente due terzi di quello siderale del pianeta. Ciò significa che l’anno di Mercurio è solo 1,5 volte più lungo del giorno! Così, mentre il pianeta completa due orbite intorno al Sole, compie tre rotazioni intorno al suo asse.

Questo accoppiamento spin-orbita non è un caso, dato che Mercurio non è perfettamente sferico, ma ha una forma leggermente ovoidale. Al perielio, quando è più vicino al Sole, il suo asse maggiore è allineato con il Sole e in questo periodo l’influenza gravitazionale su Mercurio è al suo massimo. Così, il Sole tiene l’asse maggiore di Mercurio puntato verso di esso quando il pianeta è al perielio. In queste condizioni, sono possibili solo certi periodi di rotazione, e il rapporto 3:2 è uno di essi. Questo è lo stesso meccanismo che si verifica tra la Luna e la Terra, dove però il rapporto è 1:1. I risultati radar hanno mostrato inoltre che l’asse di rotazione di Mercurio è praticamente perpendicolare al piano della sua orbita (l’inclinazione non arriva neppure a 1°), con la conseguenza che, a differenza di altri pianeti del Sistema solare, Mercurio non ha stagioni.

Data (febbraio) AR Dec. Distanza Mag. Diam. Fase Elong. (mil. km)

10 19h52m -19°23’ 129,0 0,4 7,8” 0,46 25,0°

12 19h58m -19°30’ 134,0 0,4 7,5” 0,51 25,7°

14 20h05m -19°33’ 139,0 0,3 7,2” 0,55 26,1°

16 20h13m -19°30’ 143,9 0,3 7,0” 0,59 26,3°

18 20h21m -19°22’ 148,7 0,3 6,8” 0,62 26,2°

20 20h31m -19°10’ 153,3 0,2 6,6” 0,65 26,1°

22 20h40m -18°53’ 157,7 0,2 6,4” 0,68 25,8°

24 20h51m -18°30’ 162,0 0,2 6,2” 0,70 25,3°

26 21h01m -18°02’ 166,1 0,1 6,1” 0,73 24,8°

TABELLA 1 - MERCURIO ALLA MASSIMA ELONGAZIONE OVEST DI WALTER FERRERI
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FENOMENO INIZIO MESE METÀ MESE FINE MESE Inizio crepuscolo 05h 47m 05h 33m 05h 14m Sorge 07h 22m 07h 07m 06h 46m Culmina 12h 23m 12h 24m 12h 22m Tramonta 17h 24m 17h 41m 17h 58m Fine crepuscolo 19h 00m 19h 15m 19h 31m Durata della notte astronomica 10h 47m 10h 18m 09h 43m 58 IL PLANISFERO CELESTE / FEBBRAIO » Il cielo visibile da Roma alle ore 00.00 TC a metà mese. La mappa è valida in tutta Italia il SOLE CIELO DEL MESE DI TIZIANO MAGNI*

la LUNA

Il pallino rosso sulla circonferenza lunare mostra il punto di massima librazione alle 0h di Tempo Civile del giorno considerato: le sue dimensioni sono proporzionali all’entità della librazione il cui valore massimo è di circa 10°

fenomeni LUNARI

il

l'8

il

il

il

il

marzo

Massime librazioni in latitudine

il 2 alle 9h - visibile

il Polo nord

il 16 alle 16h - visibile

il Polo sud

il 1° marzo alle 14h - visibile

il Polo nord

Massime librazioni in longitudine

il 5 alle 2h - visibile

il lembo occidentale

il 18 alle 12h - visibile

il lembo orientale

il 4 marzo alle 21h - visibile

il lembo occidentale

Apogeo 404.897 km l'11 alle 3h 37m

Perigeo 367.789 km il 26 alle 23h 25m

CIELO DEL MESE
1° alle 6h 46m
alle 14h 50m
16 alle 17h 56m
23 alle 23h 32m
2 marzo alle 18h 34m
10
alle 11h 45m
59

CIELO DEL MESE

SOLE e PIANETI

SOLE

Prosegue la risalita verso l’equatore celeste: nel corso del mese la sua declinazione aumenta di oltre 9°. Ne deriva un deciso incremento delle ore diurne che per una località alla latitudine di 42° nord aumentano di 72 minuti, quasi egualmente distribuiti tra progressivo anticipo dell’alba e costante ritardo del tramonto.

MERCURIO

È visibile all'alba per tutto il mese e dal 2 al 24 la sua levata precede l’inizio del crepuscolo nautico; è preceduto di circa un’ora dalla coppia formata da Venere e Marte. Il 3 è stazionario in Ascensione Retta, quindi riprende il moto diretto e il 16, dopo essersi spostato dal Sagittario nel Capricorno, raggiunge la massima elongazione occidentale dal Sole di 26°,3.

VENERE

Si allontana velocemente dal Sole ed è visibile al mattino tra le stelle del Sagittario in compagnia di Marte, con il quale è in congiunzione, 6°,6 più a nord, il giorno 13. Nella seconda parte del mese sorge un’ora circa prima dell’inizio dell’alba e raggiunge la massima visibilità dell’apparizione corrente.

Posizioni eclittiche geocentriche del Sole e dei pianeti tra le costellazioni zodiacali: i dischetti si riferiscono alle posizioni a metà mese, le frecce colorate illustrano il movimento nell’arco del mese.

La mappa, in proiezione cilindrica, è centrata sul Sole: i pianeti alla destra dell’astro del giorno sono visibili nelle ore che precedono l’alba, quelli a sinistra nelle ore che seguono il tramonto; la zona celeste che si trova in opposizione al Sole non è rappresentata. Le posizioni della Luna sono riferite alle ore serali delle date indicate per la Luna crescente e alle prime ore del mattino per quella calante.

DI TIZIANO MAGNI
60

MARTE È visibile al mattino nel Sagittario, dove il giorno 11 è in congiunzione con Nunki (Sigma Sagittarii), 2°,9 a nord della stella; per tutto il mese la sua levata precede quasi esattamente di 2 ore quella del Sole. È accompagnato dalla più brillante Venere, con cui è in congiunzione, 6°,6 più a sud, il giorno 13. Il 24 sul pianeta si verifica l’equinozio autunnale.

GIOVE

È visibile tra le luci del tramonto tra le stelle dell’Acquario, ma la sua visibilità va scemando. Il pianeta viene lentamente avvicinato dal Sole e la sua calata sotto l’orizzonte occidentale continua ad anticipare, finché il giorno 24 scompare tra le luci del crepuscolo serale.

SATURNO È in congiunzione superiore con il Sole il giorno 4 ed è inosservabile fino al 20, quando torna a essere visibile, inizialmente con qualche difficoltà, in prossimità dell’orizzonte orientale preceduto da Mercurio, una decina di gradi a ovest.

URANO È visibile nella prima parte della notte nei pressi di 29 Arietis (6a magnitudine), quasi esattamente a metà della linea condotta da Alfa Arietis ad Alfa Ceti; a fine mese tramonta poco meno di un’ora prima della mezzanotte locale.

NETTUNO È osservabile al tramonto solo nella prima parte del mese 3° circa a est di 96 Aquarii (5a magnitudine), preceduto da Giove, circa 12° a occidente. La sua visibilità va velocemente calando e nell’ultima decade scompare tra le luci del crepuscolo.

Effemeridi geocentriche di Sole e pianeti alle 00h 00m di Tempo Civile delle date indicate. Per i pianeti sono riportati fase e asse di rotazione (nord in alto, est a sinistra).

Levate e tramonti sono riferiti a 12°,5 E e 42° N: un asterisco dopo l’orario indica l’Ora Estiva. Nella riga Visibilità sono indicati gli strumenti di osservazione consigliati: l’icona di “divieto” indica che il pianeta non è osservabile. Le stelline (da 1 a 5) misurano l’interesse dell'osservazione.

Visibilità dei pianeti. Ogni striscia rappresenta, per ognuno dei cinque pianeti più luminosi, le ore notturne dal tramonto alla levata del Sole, crepuscoli compresi; quando il pianeta è visibile la banda è più chiara. Le iniziali dei punti cardinali indicano la posizione sull'orizzonte nel corso della notte.

CIELO DEL MESE
61

FENOMENI del mese

2-3

LUNA, GIOVE E NETTUNO AL TRAMONTO

Una bella configurazione celeste è quella osservabile all’inizio del mese alle 18:30 TC sull’orizzonte occidentale, al termine del crepuscolo nautico. La sottile falce crescente della Luna, in transito nella costellazione zodiacale dell’Acquario, la sera del giorno 2 è visibile poco più di 6° a sud di Giove, con il quale è in congiunzione, 4°,6 a nord del pianeta, alcune ore dopo la loro calata sotto l’orizzonte.

La sera seguente il nostro satellite naturale si è spostato 10° a est di Giove e 6° a sud-ovest di Nettuno, nelle immediate vicinanze della stella di 5a magnitudine Psi3 Aquarii, che poco prima delle 19:00 viene occultata dal disco lunare ma solo per una frazione della Sicilia e della Calabria. Per individuare Nettuno, di magnitudine +7,9, è indispensabile l’utilizzo di un binocolo o di un telescopio.

L’ASTEROIDE (232) RUSSIA OCCULTA LA STELLA 66 VIRGINIS

Alla 1:57 TC il pianetino (232) Russia, di magnitudine +14,0, occulta la stella 66 Virginis, di magnitudine +5,6, rintracciabile 6° a nord della luminosa Spica (Alfa Virginis). Le osservazioni non sono facili, poiché la fascia di visibilità dell’occultazione, dove è possibile rilevare un calo nella luminosità della stella di oltre 8 magnitudini per una durata massima stimata in 6 secondi, ha una larghezza di appena una cinquantina di chilometri e la sua posizione sulla superficie terrestre è conosciuta con un certo margine di incertezza. Secondo i calcoli l’occultazione potrebbe essere visibile dalle estreme regioni settentrionali. La stella interessata è una nota binaria astrometrica, con una separazione media di 25 millesimi di secondo d’arco e periodo di soli 2,5 anni.

5(20) MASSALIA E (11) PARTHENOPE IN OPPOSIZIONE

Alcuni gradi a est dell’ammasso di stelle M44 (“Presepe”), è possibile seguire i pianetini (20) Massalia e (11) Parthenope, in opposizione al Sole il 5 e il 10 febbraio, quando raggiungono rispettivamente le magnitudini +8,5 e +10,0.

Il primo è inizialmente rintracciabile nei pressi della stella di 5a magnitudine Pi2 Cancri, 17’ a sud della quale transita la mattina del 3 febbraio; il moto retrogrado da cui è animato lo porta in direzione di Delta Cancri, con un passaggio 30’ a nord dell’ampia coppia di stelle di 5a magnitudine Omicron1 e Omicron2 Cancri la notte tra il 21 e il 22 febbraio. La traiettoria di (11) Parthenope è simile a quella percorsa da Massalia, ma traslata verso est di circa 7°. Nei primi giorni di febbraio l’asteroide si trova 6° a nord-ovest di Regolo, Alfa Leonis, e nel suo movimento che lo porta verso il confine con il Cancro la sera del 12 febbraio è protagonista di un incontro particolarmente ravvicinato con 8 Leonis: (11) Parthenope transita solo 60” a sud-ovest della stella di magnitudine +5,7. Nella mappa sono raffigurate tutte le stelle più luminose della magnitudine +10,0.

OCCHIO TIZIANO MAGNI
62
NUDO CON BINOCOLO CON TELESCOPIO PERICOLO SOLE NON VISIBILE CIELO DEL MESE DI
4

10/11

LA LUNA OCCULTA 99 E 103 TAURI

La notte tra il 10 e l’11 febbraio la Luna gibbosa crescente, illuminata per più del 70%, occulta due stelle relativamente luminose e altre due più deboli della costellazione del Toro. Il primo evento vede coinvolta 99 Tauri, di magnitudine +5,8, la cui la scomparsa dietro il lembo lunare oscuro è osservabile tra le 19:40 (AO) e le 20:03 (LE); a causa della non elevata luminosità della stella, risulterà difficile cogliere, un’ora e mezza più tardi, la sua riapparizione da dietro il bordo del disco lunare illuminato dal Sole. Alle 21:34 (AO) viene occultata la debole SAO 76885, di magnitudine +7,8, mentre alle 0:34 (TS) del giorno 11 è invece SAO 76947, di magnitudine +7,7 a essere nascosta dal disco lunare: quest’ultimo evento è visibile dalle regioni settentrionali ed è radente per Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Marche. Alla fine di questa lunga nottata, la Luna occulta la stella 103 Tauri, di magnitudine +5,5: la scomparsa dietro il bordo oscuro del disco lunare si verifica tra la 1:57 (AO) e le 2:06 (CT), mentre la riapparizione dal bordo illuminato dal Sole è osservabile con qualche difficoltà a partire dalle 2:52 (TS) con la Luna in prossimità dell'orizzonte per le regioni meridionali.

11-13

TRIO DI PIANETI ALL’ALBA

Nella seconda decade del mese sono ben tre i pianeti visibili tra le luci dell’alba che vanno via via intensificandosi: Venere, il più brillante e alto sull’orizzonte, Marte, con cui Venere è in congiunzione, 6°,6 più a nord, il giorno 13, e in prossimità dell’orizzonte Mercurio, che sta ancora allontanandosi dal Sole. Il giorno 11 Marte è protagonista di una congiunzione relativamente aperta con Nunki (Sigma Sagittarii): il Pianeta rosso è in transito poco meno di 3° a nord della stella. Nel disegno sono visualizzate le posizioni dei pianeti e delle stelle del Sagittario sull’orizzonte sud-orientale alle 6:00 TC delle date indicate, all’inizio del crepuscolo nautico.

OCCULTAZIONE DI 139 TAURI

In un mese in cui si verificano numerose occultazioni lunari, un evento di un certo interesse è quello osservabile nelle prime ore del giorno 12, quando la Luna gibbosa crescente, illuminata per l’80%, occulta la stella 139 Tauri, di magnitudine +4,8. La scomparsa dietro il lembo lunare oscuro si verifica tra la 1:04 (Cagliari) e la 1:23 (Potenza).

L’occultazione, visibile solo da una parte delle regioni occidentali e tirreniche, termina tra la 1:22 (Cuneo) e la 1:51 (Ragusa) con la riapparizione della stella da dietro il bordo illuminato dal Sole del disco lunare e risulta essere radente per una stretta fascia di territorio che attraversa Piemonte, Liguria, Toscana, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania e Basilicata. Da notare la presenza, 3° a sud-est della stella, dell’ammasso stellare M35 (magnitudine complessiva +5,1).

63 CIELO DEL MESE
12

LUNA E PRESEPE IN CONGIUNZIONE

La notte tra il 14 e il 15 febbraio il cielo è dominato dalla luminosa presenza della Luna, due giorni prima del Plenilunio, che attraversa la costellazione del Cancro, avvicinandosi progressivamente all’ammasso di stelle M44 (“Presepe”), visibile anche a occhio nudo. La reciproca congiunzione in Ascensione Retta, con la Luna meno di 3° a nord di M44, si verifica alle 2:13 del giorno 15, mentre la minima separazione angolare viene raggiunta due ore più tardi. Data l’elevata luminosità del disco lunare, per la visione di M44 è meglio utilizzare un binocolo.

MASSIMA VISIBILITÀ MATTUTINA DI MERCURIO

Per l’intero mese il pianeta più interno del Sistema solare risulta osservabile con relativa facilità tra le luci dell’alba, in prossimità dell’orizzonte sud-orientale, preceduto di circa un’ora dall’ampia coppia formata da Venere e Marte. Il giorno 16 raggiunge la massima elongazione occidentale di ben 26°,3, ma a causa della non elevata inclinazione dell’eclittica rispetto alla linea dell’orizzonte, il pianeta sorge dopo la comparsa delle prime luci dell’alba (vedi l’articolo a pag. 54). Il periodo di miglior visibilità si estende dal 2 al 24 febbraio, con Mercurio che leva prima dell’inizio del crepuscolo nautico. Sono indispensabili per le osservazioni un cielo limpido e un orizzonte libero da ostacoli come raffigurato nel disegno che mostra la configurazione celeste osservabile il giorno 16 alle 6:00 di Tempo Civile.

16

LUNA E REGOLO AL TRAMONTO

Tra le luci del crepuscolo serale, quando il nostro satellite naturale è ancora molto basso sull’orizzonte orientale, si nota la presenza, 4° a sud della Luna Piena, di un brillante astro bianco-azzurro: si tratta di Regolo (Alfa Leonis), al quale la Luna si va progressivamente avvicinando, nonostante la congiunzione in Ascensione Retta si sia verificata poco prima della calata del Sole, con i due astri ancora sotto l’orizzonte. La minima separazione angolare di 4°,3 tra Luna e Regolo viene raggiunta poco dopo le 20:00 di Tempo Civile.

CIELO DEL MESE DI TIZIANO MAGNI 64 14/15
16

DEL MESE

OCCULTAZIONE DI 82 VIRGINIS

Un’occultazione visibile da tutto il Paese - non facile da osservare ma degna di nota - è quella che si verifica la mattina del giorno 21, quando la Luna gibbosa calante, illuminata all’80%, occulta la stella 82 Virginis, di magnitudine +5,0, individuabile poco meno di 5° a nord-est di Spica (Alfa Virginis).

La scomparsa dietro il lembo lunare illuminato dal Sole è osservabile con qualche difficoltà, a causa della non elevata luminosità dell’astro occultato, ma è possibile tentare di coglierne la riapparizione da dietro il bordo oscuro del disco lunare tra le 5:22 (Aosta) e le 5:45 (Catania e Lecce), con le luci dell’alba via via più evidenti nelle regioni meridionali.

24OCCULTAZIONE DI RHO OPHIUCHI

Nelle ore che precedono l’alba è possibile assistere a un’insolita occultazione lunare: la stella interessata è Rho Ophiuchi, rintracciabile con facilità 3° a nord-ovest di Antares (Alfa Scorpii), associata all’omonimo complesso di nubi di gas. Rho Ophiuchi è anche un sistema binario in cui la componente più brillante, di magnitudine +5,0, è accompagnata a 3” di distanza da un secondo astro di magnitudine +5,7; nelle sue immediate vicinanze si osservano altre due stelle di 7a magnitudine. Il bordo illuminato dal Sole dell’Ultimo Quarto di Luna nasconderà alla vista Rho Ophiuchi pochi minuti prima delle 4:00 TC; l’evento, visibile da tutto il Paese, terminerà poco più di un’ora dopo, con la riapparizione dell’astro da dietro il lembo oscuro del disco lunare.

LUNA, VENERE, MARTE E NUNKI ALL’ALBA

Negli ultimi giorni del mese la coppia costituita da Venere e Marte, separati da 5°,2, viene superata dalla falce calante della Luna. Dopo essersi trovato in congiunzione con Nunki (Sigma Sagittarii), nelle ore pomeridiane del 26, la mattina del 27 il nostro satellite naturale transita poco meno di 10° a sud di Venere e 4°,4 a sud di Marte.

Le migliori configurazioni osservabili, qui raffigurate, sono quelle che si realizzano alle 5:45 TC dei giorni indicati, in presenza delle luci dell’alba che vanno intensificandosi.

NELLA PRIMA DECADE DI MARZO CI ATTENDONO

• 2 MARZO: MERCURIO E SATURNO ALL’ALBA

MARZO: LUNA E PLEIADI IN CONGIUNZIONE

• 9 MARZO: CONGIUNZIONE LUNA-ALDEBARAN AL TRAMONTO

10 MARZO: VENERE IN CONGIUNZIONE CON BETA CAPRICORNI

I testi completi dei fenomeni sul prossimo numero di Cosmo e sul sito bfcspace.com

*TIZIANO MAGNI

ESPERTO DI MECCANICA CELESTE, ELABORA LE PREVISIONI DI FENOMENI ASTRONOMICI CON SOFTWARE APPOSITAMENTE REALIZZATI (WWW.TIZIANOMAGNI.IT).

26-27 65 CIELO
8
21

LA COSTELLAZIONE DELLA LEPRE CUSTODISCE ALCUNI OGGETTI CELESTI SORPRENDENTI

» La nebulosa planetaria IC 418 (detta anche Spirograph Nebula) in un’immagine realizzata dal telescopio spaziale Hubble, in cui si rivela ellittica, mentre visualmente appare rotonda.

OSSERVAZIONI DI PIERO MAZZA*
66

Attorno al 20 del mese – venuto a mancare il disturbo della Luna - la prima serata è dominata da Orione in meridiano ed è forte la tentazione di dedicarsi del gigante celeste rappresentato da una delle più belle costellazioni del cielo a cavallo dell’equatore. Questo mese, però, preferiamo indagare una costellazione meno nota, situata a sud di Orione, molto interessante per alcune particolarità che racchiude. Essendo situata totalmente al di sotto dell’equatore, approfittiamo del suo transito in meridiano, cioè il punto dove i corpi celesti raggiungono la massima altezza sull’orizzonte. Un requisito fondamentale per gli oggetti a declinazione negativa, così da limitare gli effetti nocivi dell’atmosfera. Ricordiamo che il termine meridiano deriva dal latino meridies che significa “mezzogiorno”. È al meridiano che il Sole raggiunge il suo punto più alto, indipendentemente dalla stagione. Lo stesso accade anche a stelle, pianeti e galassie durante il loro movimento apparente nel cielo.

UNA PICCOLA

COSTELLAZIONE AUSTRALE

La Lepre è una piccola costellazione australe di 290 gradi quadrati, delimitata da una decina di stelle poco brillanti, ma che grazie al soprastante Orione si riesce a individuare facilmente. Era già nota (con questo nome) nell’antica Grecia e presso gli antichi popoli semiti, che però vedevano in queste stelle il trono di Orione.

La mitologia narra di un avventuriero che avrebbe portato nell’isola egea di Leros dei leprotti, con l’intento di

avviarne l’allevamento. Gli abitanti di Leros erano ignari della grande fecondità delle lepri, che iniziarono a riprodursi e a diffondersi in tutta l’isola, devastando i raccolti e provocando una carestia.

La popolazione, mobilitata in massa, riuscì a eliminare tutte le lepri, salvo una di queste graziose bestiole, che fu collocata in cielo, come ammonimento a non modificare gli equilibri naturali.

Cominciamo a identificare a occhio nudo le stelle principali della Lepre. Le sei componenti più luminose formano due piccole stringhe: quella a nord quasi rettilinea e quella a sud arcuata verso il basso. Solo Alfa e Beta hanno una magnitudine inferiore alla terza: la prima è una gigante bianca di magnitudine 2,6 distante 1300 anni luce e 12mila volte più brillante del Sole; è chiamata anche Arneb, che significa “lepre”. Una debole compagna di 11a, scoperta nel 1912, è presente a 36 secondi d’arco verso sud-est (un’altra compagna precedentemente scoperta da Herschel

nel 1835 è con ogni probabilità soltanto prospettica).

La seconda è chiamata anche Nihal dal significato un po’ oscuro, derivando dall’espressione araba an-nihal che vuol dire “i cammelli estinguono la loro sete”. È di magnitudine 2,8 e possiede una compagna di luminosità incerta; forse si tratta di una variabile a eclissi cui è stata data la sigla NSV 2008 (New Catalogue of Suspected Variable Stars). Il problema è che è difficile misurare la luminosità di una stellina sovrastata dalla luce della componente principale, situata a solo 2 secondi verso nord-ovest, con uno sbilanciamento di 5-6 magnitudini. Altre tre presunte compagne sono solo prospettiche: una di 12a grandezza si trova a circa 1’ di distanza a sud-est; le altre due, entrambe di decima, si trovano a 3,4’ e 6’ rispettivamente a est-nord-est e nord-est; si possono osservare in un telescopio da 10 cm. Fra le stelle di terza grandezza possiamo ancora annoverare la Epsilon, gigante rossa distante 160 anni luce e 100 volte più brillante

» L’asterismo principale della Lepre. La “X” arancione marca la posizione di IC 418 (Perseus).
67 OSSERVAZIONI

del Sole; e infine la My, stella biancoazzurra leggermente variabile che quando è al massimo di luce supera, sia pur di poco, la stessa Epsilon L’ampiezza è comunque modesta, non superiore a 0,4 magnitudini e si sviluppa in un paio di giorni.

AL BINOCOLO

La Lepre è ricordata per l’ammasso globulare M79, situato sul prolungamento, verso SSW, delle stelle Alfa e Beta. Questo oggetto fu scoperto da Méchain il 26 ottobre

1780 e osservato il 17 dicembre dello stesso anno da Messier, che lo descrisse così: “nebulosa senza stelle situata sotto la Lepre e sullo stesso parallelo di una stella di 6a magnitudine […] È una bella nebulosa col centro brillante e una nebulosità diffusa; la sua posizione è stata determinata dalla Epsilon Leporis di 4a grandezza”. Abbiamo visto che la Epsilon Leporis è in realtà di 3a grandezza, ma se la stima, oltre due secoli fa, è stata effettuata a occhio nudo, è probabile che - trattandosi di una stella

arancione - sia stata leggermente sottovalutata in luminosità. L’occhio umano, infatti, durante la visione notturna, manifesta uno spostamento della sensibilità verso la parte azzurra dello spettro (effetto Purkinje). Se una stella non particolarmente brillante da stimolare i coni retinici — responsabili della visione diurna — presenta un eccesso di luce rossa, questa ci apparirà automaticamente più debole di quanto sia nella realtà. M79 è un globulare abbastanza concentrato, con magnitudine integrata di 8,6, mentre quella delle sue 25 stelle più brillanti è superiore alla 15a. Occorre quindi uno strumento di 40 centimetri a forti ingrandimenti per poterlo risolvere, sia pur parzialmente. La distanza oggi accettata è di 42mila anni luce, mentre la velocità di recessione, pari a 230 km/s, è la più alta mai riscontrata in un globulare, con l’eccezione di NGC 1851 nella Colomba.

In un binocolo 12×50 appare come una piccola macchia condensata con diametro di alcuni primi. È meglio comunque osservarlo in montagna — o comunque sotto un cielo scuro verso sud, dato che si mantiene sempre basso sull’orizzonte — e possibilmente con lo strumento montato su uno stativo.

Oggetto

AR (2000) Dec. (2000) Dim.

Mag. Tipologia

Alfa Leporis (Arneb) 05h32,7m 17°49’ 2,6 Spettro F0

Beta Leporis (Nihal) 05h28,2m 20°45’ 2,8 Spettro G5

Epsilon Leporis 05h05,5m 22°22’ 3,2 Spettro K4

My Leporis 05h12,9m 16°12’’ 3,3 Spettro B9

R Leporis 05h12,8m 14°48’ 5,5÷11,7 Variabile tipo Mira

M79 (NGC 1904) 04h24,2m 24°31’ 8’ 7,7 Amm. globulare IC 418 05h27,5m 12°42’ 12” 10,7 (p) Neb. planetaria

MAZZA STELLE E PROFONDO CIELO NELLA LEPRE » L’ammasso globulare M79 (Wikimedia Commons).
68 OSSERVAZIONI DI PIERO

IN UN PICCOLO TELESCOPIO

È doveroso dare un’occhiata alla R Leporis, situata verso l’estremità nord-occidentale della costellazione. È una variabile tipo Mira che in 430 giorni (poco più di 14 mesi) vede oscillare la sua luminosità tra la 5,5 e la 11,7. Può quindi essere seguita con un telescopio da 10 cm durante l’intero ciclo, ma quando si trova al massimo potrebbe anche essere scorta a occhio nudo.

Le variabili Mira hanno masse non superiori a due masse solari, ma possono essere migliaia di volte più luminose del Sole, grazie ai loro strati esterni molto estesi. Si pensa che pulsino in modo radiale, cioè l’intera stella si espande e si contrae con simmetria sferica. La pulsazione si traduce in cambiamenti sia di raggio sia di temperatura, causando il loro cambiamento di luminosità. Il periodo di pulsazione è funzione della massa e del raggio della stella.

R Leporis, scoperta da Hind nel 1845, è oggi nota fra i variabilisti come Crimson Star (“Stella cremisi”) per il suo colore rosso cupo che ricorda alcuni astri come la “Stella granata” di Herschel (My Cephei) o la TX Piscium (la n. 19 dei Pesci). Sino a poco tempo fa veniva classificata come N8, ma gli spettri R e N sono oggi caduti in disuso e rimpiazzati dallo spettro C, che indica la presenza di righe del carbonio; in pratica, è presente della fine polvere simile a grafite nell’atmosfera esterna della stella, diretta responsabile della sua colorazione. La temperatura superficiale di R Leporis si aggira sui circa 2200°C, analoga a quella dei tipi spettrali M più avanzati. Pubblichiamo una mappa tratta dall’atlante dell’Aavso per identificare ed eventualmente seguire la curva di luce di questa stella. Ricordiamo che l’osservazione delle variabili può essere condotta spesso anche dai cieli suburbani, senza dover quindi sopportare il freddo dopo un lungo viaggio per recarsi in montagna.

LA PLANETARIA SPIROGRAFO

La nebulosa è bella ma per apprezzarla in pieno occorre

uno strumento di 50-60 cm: stiamo parlando di IC 418, situata un paio di primi a sud del confine meridionale di Orione. Per localizzarla, si parte dalla congiungente Alfa-My Leporis, che va considerata il lato di un triangolo equilatero, al cui vertice superiore (verso Orione) si trova la planetaria.

IC 418 è già visibile in strumenti da 20-25 cm, nei quali, osservando attorno a 150x, ricorda una versione miniaturizzata della nebulosa Eskimo situata nei Gemelli.

In un 24” (61 cm) presenta uno spesso anello luminoso finemente screziato con diametro di circa 20 secondi e un debole alone periferico molto diffuso e uniforme, perfettamente simmetrico, con diametro di 1’; la stellina centrale è brillante e di un colore bluastro. Il filtro O III (appositamente progettato per questo tipo di oggetti) enfatizza la parte centrale, aumentandone forse troppo il contrasto, ma non l’alone esterno. La visione migliore si ha senza filtro a 450x e in una serata nella quale ha più importanza la calma atmosferica (quindi un buon seeing), piuttosto che una trasparenza da manuale. Ricordiamo che la denominazione di “nebulose planetarie” è solo un retaggio storico che risale a William Herschel (1738-1822), il quale aveva notato che molti di questi oggetti presentavano un aspetto simile a quello dei pianeti esterni, in particolar modo di Urano, da lui stesso scoperto nel 1781. Anche se nella realtà non c’è nulla di “planetario” in queste nebulose, ma la denominazione rimane per rispetto storico, anche come omaggio ai grandi pionieri del passato.

MUSICISTA DI PROFESSIONE, È UN APPASSIONATO VISUALISTA, CON MIGLIAIA DI OSSERVAZIONI DEEP SKY CONSULTABILI DAL SITO WWW. GALASSIERE.IT. » Mappa utile per localizzare R Leporis (freccia arancione). Le stelle di riferimento sono riportate al decimo di magnitudine senza il punto. Sono cerchiate come riferimento Alfa, Beta e My (Atlante Aavso).
OSSERVAZIONI 69
70 È STATA LA PIÙ LUMINOSA DELL’ANNO PASSATO MA HA DATO SPETTACOLO SOLO NELL’EMISFERO SUD OSSERVAZIONI DI GIOVANNI BONINI* COME L’ABBIAMO VISTA LA COMETA LEONARD

Le comete suscitano sempre l’interesse e l’attenzione degli astrofili, soprattutto quando sembrano destinate a superare la soglia della visibilità a occhio nudo. La storia, però, ci insegna che le comete possono avere un comportamento difficile da prevedere, per cui le sorprese, belle o brutte, non mancano. Vediamo, allora, che cosa è successo nel caso della cometa più luminosa dell’anno appena trascorso.

UNA PENNELLATA SU M3 Venerdì 3 dicembre 2021, la C/2021 A1 Leonard è transitata a breve distanza dall’ammasso M3, uno dei globulari più luminosi, tra quelli visibili dall’emisfero boreale. Quel giorno, la coda della cometa è passata davanti all’ammasso, che sembrava leggermente più appariscente della cometa, la cui luminosità è andata aumentando nei giorni successivi. Un’opportunità particolarmente ghiotta per gli appassionati, molti dei quali hanno realizzato delle bellissime immagini.

La mia prima osservazione della cometa risale al mattino del 6 dicembre, quando si trovava nei pressi della stella Arturo, nella costellazione del Bootes. Ho utilizzato il binocolo 20x80 mm presentato sul n. 20 di Cosmo (settembre 2021), proprio in vista del passaggio al perielio di questa cometa. Nel campo dello strumento appariva simile a una macchia di luce apparentemente priva di un’evidente condensazione centrale, possibile sintomo di un’attività non esuberante, al di sotto delle aspettative.

In effetti, giusto qualche giorno prima, si era manifestata una flessione nel tasso di incremento

71 OSSERVAZIONI
» La C/2021 A1 (Leonard) ripresa il 20 dicembre dal deserto di Atacama (Cile), fotocamera Sony A7S e obiettivo da 50 mm, media di 10 immagini da 10 s, allineate sulle stelle e sul panorama. La cometa formava un quadro con Venere in basso e Saturno a destra (Daniele Gasparri).

della luminosità di questa cometa. In genere, un’elevata condensazione centrale - vale a dire un falso nucleo molto luminoso ed evidente - è sinonimo di una notevole attività, con grandi quantità di gas e polvere. All’inizio del mese di dicembre, era

chiaro che difficilmente avremmo assistito a un’apparizione in stile Neowise, la “grande cometa” del 2020 (vedi il riquadro). Avvicinandosi alla Terra e al Sole, la luminosità della Leonard è andata crescendo, così come la lunghezza della sua coda,

evidente soprattutto nelle migliori fotografie a lunga esposizione e dall’aspetto molto affusolato, quasi rettilineo.

Il 10 dicembre alcuni astrofotografi, come l’austriaco Michael Jaeger, sono riusciti a riprendere lo

GIOVANNI BONINI » La coda della Leonard in transito su M3, ripresa all’Osservatorio Astronomico di Sormano (CO) il 03/12/2021, rifrattore apocromatico AP 115/800 mm su GM4000 QCI, fotocamera Nikon D 800, elaborazione Photoshop (Enrico Colzani, Arturo Carcano, Luca Iachelini).
72 OSSERVAZIONI DI
OSSERVAZIONI » La Leonard ripresa da Atacama il 20 dicembre con un Newton Sky-Watcher 130 PDS su montatura EQ5, camera ASI 2600 MC (Daniele Gasparri). » La coda multipla e sconnessa della Leonard ripresa il 21 dicembre dalla Hakos Farm in Namibia con un riflettore da 20 cm f/3 (Michael Jaeger).
73

sdoppiamento della coda. In realtà, tutte le comete hanno due code: la coda di ioni e quella di polveri. La coda ionica è costituita da gas ionizzato e viene soffiata nella direzione opposta al Sole dal vento solare. Quella di polveri, più pesante, è curva e segue più da vicino l’orbita della cometa.

Alla fine della prima decade di dicembre, era ormai certo che la C/2021 A1 Leonard era la più spettacolare fra le comete del 2021.

All’inizio della seconda decade, c’è stato il massimo avvicinamento alla Terra, con la cometa ormai sempre più bassa, anche se maggiormente luminosa.

OUTBURST!

La cometa è stata osservata anche dallo spazio, grazie allo strumento SoloHI della sonda Solar Orbiter: inquadra il QR per vedere la sequenza di immagini ripresa nei giorni 17-19 dicembre, in cui la cometa attraversa diagonalmente il campo dello strumento.

Tra la fine della seconda e l’inizio della terza decade del mese, le sorprese non sono mancate, grazie a un repentino incremento di luminosità (outburst)

di dieci volte, che ha permesso di osservare la cometa nel cielo della sera, nonostante l’esigua altezza sui nostri orizzonti. Da quel periodo, sono stati avvantaggiati gli osservatori ubicati a latitudini più meridionali delle nostre, come Daniele Gasparri, che l’ha ripresa dal deserto di Atacama, dove era visibile anche a occhio nudo, alta nel cielo. Negli ultimi giorni dell’anno è riuscito a misurare per via fotografica una coda lunga ben 60°. Un brillamento solare avvenuto il 20 dicembre nella regione attiva AR 2908 ha generato un intenso flusso di vento solare che, incontrando la cometa, ha sviluppato grosse e veloci distorsioni nella sua

DI GIOVANNI BONINI *GIOVANNI BONINI INGEGNERE, SI OCCUPA DI SPAZIO, PROJECT MANAGEMENT E COMUNICAZIONE. » Le due code della Leonard riprese il 10 dicembre da Michael Jaeger (Nöhagen, Austria) con un Rasa 8” e fotocamera Nikon Z6mod, 20 pose da 2 min.
OSSERVAZIONI
74

QUANDO UNA COMETA È ’”GRANDE”?

Non esiste una definizione di “grande cometa” universalmente riconosciuta. Così, mentre è indubbio che la C/1996 B2 Hyakutake 2 sia stata una grande cometa, non c’è il medesimo consenso per la C/2020 F3 Neowise, che molti osservatori considerano una cometa particolarmente degna di nota, ma non propriamente grande. Due parametri rendono “grande” una cometa: la luminosità, tale da renderla facilmente visibile a occhio nudo, e la lunghezza della coda, che deve essere di decine di gradi. Mentre la C/2020 F3 Neowise è stata visibile a occhio nudo perfino dai cieli inquinati di molte città, in pochi sono stati in grado di scorgere la C/2021 A1 Leonard senza l’ausilio di strumenti ottici. Chi è riuscito nell’impresa, lo ha fatto sotto cieli particolarmente limpidi e cristallini e soprattutto bui. La Neowise del 2020 ha esibito due code straordinarie, con una serie di strie apprezzabili in quella di polveri (foto), mentre poco di tutto questo si è visto nella Leonard.

coda. Michael Jaeger è riuscito a riprendere la cometa il 22 dicembre in remoto dalla Namibia, evidenziando una coda multipla e piena di disconnessioni interne.

Tutto questo mentre la cometa si avvicinava al perielio del 3 gennaio (esattamente un anno dopo la sua scoperta), prima di allontanarsi verso i confini del Sistema solare e oltre, grazie alla sua traiettoria iperbolica.

LE COMETE DEL 2022

Non lamentiamoci della Leonard, perché quest’anno potrebbe andare pure peggio. Qualche speranza potrebbe arrivare dalla C/2021 O3 PanStarrs, che si manifesterà nei primi giorni di maggio di sera, nel Perseo, raggiungendo una magnitudine compresa tra 5 e 7, ma a soli 15° di distanza dal Sole. Forse sarà alla portata di un binocolo o di un telescopio amatoriale.

Questa cometa passerà al perielio il 21 aprile a 42,9 milioni di chilometri dal Sole, mentre il massimo avvicinamento alla Terra avverrà l’8 maggio a 90 milioni di chilometri di distanza. Trattandosi di una “nuova cometa” proveniente dalla Nube di Oort, il rischio di disintegrazione è però molto alto.

Un’altra cometa, la C/2017 K2 PanStarrs, si mostrerà nella prossima estate, scoperta come la precedente dal sistema esplorativo PanStarrs, costituito da telescopi e fotocamere ad ampio campo, sviluppato e gestito dall’Università delle Hawaii. Ricordiamo che la scoperta di nuove comete è continua, per cui c’è sempre la possibilità che qualche astro chiomato ci riservi una gradita sorpresa. Del resto, il fascino delle comete è anche questo.

» La Leonard ripresa da Vaste di Poggiardo (LE) l’8/12/2021, rifrattore NT Apo Ed 90/500 mm su HEQ5 S.-W., fotocamera Canon Eos 600D full spectrum, filtro Optlong L-pro, 22 pose da 45 s, elaborate con DSS, PixInsight, PS CC (Fernando De Ronzo).
OSSERVAZIONI 75
76 CITIZEN SCIENCE DI GIUSEPPE DONATIELLO GRAZIE A SOLAR JET HUNTER SI POSSONO INDAGARE LE IMMAGINI DELL’OSSERVATORIO SPAZIALE SDO CACCIATORI DI GETTI SOLARI

L’osservazione solare è uno dei settori dell’astronomia in cui il contributo degli astrofili può essere davvero prezioso. Anche con una strumentazione amatoriale si possono ottenere dati scientifici di qualità paragonabile a quelli professionali in luce bianca e in banda stretta, grazie al prezzo ora abbordabile dei filtri.

Un lavoro scientifico richiede continuità e sistematicità secondo precisi standard, integrità della informazione e conferimento dei dati raccolti a centri di analisi e archiviazione. E se anche non dispongono della strumentazione adeguata per condurre le osservazioni, gli amatori hanno la possibilità di accedere in tempo reale all’immensa mole di dati raccolti dagli osservatori robotici e dalle sonde. Questi dati possono fornire all’appassionato esperto più di un motivo d’interesse. Grazie a Helioviewer (helioviewer. org), chiunque può accedere liberamente alle intere banche dati di strumenti e sonde della Nasa e dell’Esa.

MONITORARE

I GETTI SOLARI

Non è facile districarsi in quella selva di dati, se non si ha una certa esperienza. Inoltre, la fisica solare non è un argomento improvvisabile ed è sempre raccomandabile introdursi ad essa per gradi con lo studio. C’è però una possibilità per tutti di occuparsi del Sole in modo semplice, coordinato e scientifico.

Solar Jet Hunter (bit.ly/3EOb3o9)

è un progetto di citizen science sostenuto dalla Nasa con lo scopo di identificare particolari strutture nelle

immagini catturate dalla sonda Sdo (Solar Dynamics Observatory).

Per quanto si osservi con continuità la nostra stella, c’è ancora molto da comprendere sulla sua struttura e la fenomenologia che osserviamo a più lunghezze d’onda. Sdo monitora il Sole 24 ore al giorno fin dal febbraio 2010, mediante tre strumenti scientifici: Aia (Atmospheric Imaging Assembly), Eve (Euv Variability Experiment) e Hmi (Heliosismic e Magnetic Imager).

Ciascuno di questi strumenti esegue misurazioni per monitorare le variazioni a cui è soggetto il Sole e cercare di comprenderne le cause.

La sola Aia acquisisce immagini in dieci lunghezze d’onda ogni dieci secondi, creando una ricchezza di informazioni sul Sole mai vista in precedenza.

Tra le manifestazioni più interessanti della nostra stella ci sono i cosiddetti getti solari (solar jet), particolari esplosioni di plasma che erompono a colonna con un’energia milioni di volte maggiore di una bomba all’idrogeno. I ricercatori sospettano che siano proprio tali getti le fonti delle particelle cariche che vanno a formare il vento solare Le variazioni di questi “vento” condizionano i fenomeni della meteorologia spaziale (space weather), che coinvolgono anche la Terra. Una migliore comprensione del fenomeno ha quindi delle implicazioni sulla vita di tutti i giorni, poiché le “tempeste spaziali” possono danneggiare i satelliti artificiali da cui dipendono molte attività (telecomunicazioni, posizionamento, monitoraggio).

Per capire come il Sole produce i getti, i promotori del progetto

» Un grande jet solare ripreso dal Solar Dynamics Observatory.
CITIZEN SCIENCE 77

CITIZEN

chiedono ai volontari di esaminare i dati di Sdo per capire quando e dove si generano queste eruzioni. Lo studio dei getti solari amplia la comprensione della nostra stella e in particolare dei modi in cui la sua energia influenza il nostro pianeta. Dei getti e della relazione con il vento solare se ne occupa un gruppo di ricercatori guidato da Lindsay Glesener dell’Università del Minnesota. Rendendosi conto della titanica impresa necessaria per il controllo di tutte le immagini in archivio, il team ha pensato di coinvolgere il pubblico dei volontari, con un progetto di citizen science

COME PARTECIPARE

AL PROGETTO

Solar Jet Hunter è stato lanciato il 7 dicembre 2021 e in poche ore vi hanno aderito alcune centinaia di appassionati, pronti a offrire una parte del loro tempo libero per analizzare e classificare le immagini solari alla ricerca dei getti.

L’adesione al progetto prevede una veloce e semplice iscrizione. Prima di passare alla classificazione, viene consigliato di informarsi sulle finalità del progetto, attraverso strumenti multimediali e la lettura della presentazione. Altrettanto, è necessario riferirsi al tutorial per sapere esattamente cosa e come segnalare quanto si osserva. L’intera fase richiede pochi minuti ed è un passo necessario per familiarizzare sia con l’argomento sia con la sobria interfaccia.

Dopo una breve fase di training, l’utente è pronto per passare alla classificazione vera e propria.

Scorrendo le immagini, anche mediante brevi time-lapse, si rimane

affascinati dalla complessa e mutante fenomenologia solare.

Ai volontari è affidato il compito di riconoscere i getti solari nelle immagini di Sdo e di determinare dove e quando si siano prodotti.

Come avviene anche in altri progetti di citizen science, la selezione degli eventi è di tipo statistico: se più osservatori segnalano la presenza di un getto, significa che c’è un’alta probabilità che il fenomeno sia reale. Tutti gli eventi segnalati e certificati vengono infine archiviati nell’Heliophysics Event Knowledge Database (lmsal.com/hek).

Come altri progetti di citizen science, anche Solar Jet Hunter possiede una sezione di discussione e segnalazione di aspetti insoliti che sono meritevoli di attenzione. Secondo Sophie Musset, la ricercatrice presso l’Esa che guida il progetto, le informazioni fornite dai volontari “non saranno utilizzate solo per studiare il Sole, ma aiuteranno anche a scrivere un algoritmo informatico che potrebbe accelerare l’identificazione futura dei

getti solari, combinando l’aiuto del computer con l’esperienza umana”. In effetti, gli algoritmi utilizzati in passato non sono stati molto abili a riconoscere tali strutture, mentre l’occhio umano dimostra di possedere un talento nettamente superiore, in questo ambito e in tanti altri.

VERSO LE STELLE

Il supporto dei volontari potrebbe portare alla scoperta di fenomeni insoliti e nuovi che riguardano il Sole e, per estensione, anche altre stelle. Molti fenomeni non hanno ancora una spiegazione soddisfacente: come viene riscaldata la corona solare fino a milioni di gradi? Come vengono accelerate le particelle energetiche e come si propagano attraverso il Sistema solare? Come viene creato e accelerato il vento solare?

Lo studio dei getti solari sarà collegato anche alle osservazioni condotte dalle sonde solari in viaggio, il Parker Solar Probe della Nasa e il Solar Orbiter dell’Esa, le prime sonde destinate a “toccare il Sole”.

DI GIUSEPPE DONATIELLO » L’osservatorio solare Sdo (sdo.gsfc.nasa.gov) orbita intorno alla Terra alla quota geosincrona di 36mila chilometri.
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SCIENCE

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LE VOSTRE STELLE 81 NEBULOSA DELFINO NEL CANE MAGGIORE Ripresa da South Australia il 03/12/2021 Telescopio FRA600 Askar su montatura 10 Micron GM2000 Camera ZWO 2600 MM con filtri Optolong LRGB/H-alfa/OIII Pose: H-alfa 40x600 s, OIII 56x600 s, R 20x180 s, G 20x180 s, B 20x180 s Elaborazione: PixInsight Autore: Davide Mancini e Manuel Marquez, South Australia.

L’AURORA BOREALE DALLE LOFOTEN

Ripresa da Isole Lofoten (Norvegia) il 6/02/2019

Autore: Alessandra Barucchieri, Scandicci (FI).

LE VOSTRE STELLE 82

Ripreso

Fotocamera

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Elaborazione:

Autore:

LE VOSTRE STELLE 83
da Palermo il 1/06/2021
Nikon D3400 con obiettivo 18-105 mm
1/640 s, f/18, 200 ISO
Photoshop
Teresa Molinaro, Bagheria (PA). PARELIO
LE VOSTRE STELLE 84 REGIONI ATTIVE SOLARI AR 2887 E AR 2889 Riprese da Cornaredo (MI) il 26/10/2021 Telescopio TecnoSky Apo FPL 53 60 mm a f/18 su montatura HEQ5 Pro Camera ZWO ASI 224 con filtri Omega H-alfa 0,15 nm, Baader H-alfa 7 nm, Astronomik IR-UV cut Composizione di due filmati AVI elaborati con Avistack2, Registax6, Astroart3, Paint.net Autore: Maurizio Walter Miehe, Cornaredo (MI). GRUPPO DI MACCHIE SOLARI Riprese da Cordenons (PN) il 17/12/2021 Telescopio TecnoSky 102/1100 mm con prisma di Herschel Baader Cool Ceramic 2” Filtri: Continuum e Nd 3.0 Montatura Sky-Watcher AZ EQ6 GT Camera ASI 178MM con Barlow 2x N. 5000 frame su 8000 elaborati con Autostakkert, Imppg, Photoshop CC Autore: Alessandro Del Pup (Associazione Sacilese di Astronomia), Cordenons (PN).
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Ripresa da Marina di Modica (RG) il 13/10/2021

Fotocamera Canon 6D Mark II con obiettivo Sigma Art 20 mm f/1,4 a f/2,8 su cavalletto Manfrotto N. 239 pose da 15 s (intervallate da 5 s) a 1600 ISO.

Elaborazione: Sequator, Photoshop Autore: Gianni Tumino, Ragusa. Inquadra il QR per il timelapse “Notti d’autunno 2021” di Gianni Tumino, ripreso nella provincia di Ragusa

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LE VOSTRE STELLE 87 CRESCENT NEBULA NEL CIGNO Ripresa da Brusciano (NA) il 01/07/2021 Telescopio TecnoSky Triplet apo 102/714 mm su montatura EQ6-R Pro Camera Asi 294 MM Pro; filtri Baader H-alfa e OIII Guida Asi 290 MM; pose: H-alfa 61x600 s, OIII: 68x600 s, t. -10°C Elaborazione: PixInsight (tecnica bicolor HOO con metodo Ballesteros per il colore reale delle stelle) Autore: Maurizio Prezioso, Brusciano (NA).

CALENDARIO

ASTROFILO 2022

DISPONIBILI ONLINE TUTTI GLI APPUNTAMENTI ORGANIZZATI DALL’UNIONE ASTROFILI ITALIANI PER L’ANNO IN CORSO

L’Unione Astrofili Italiani (Uai) - da oltre 50 anni il principale punto di riferimento culturale, organizzativo e motivazionale degli appassionati di astronomia - conferma anche nel 2022 il suo impegno per la promozione e la diffusione della cultura scientifica.

Numerose le iniziative di divulgazione, didattica, ricerca amatoriale in ambito astronomico e di formazione specialistica promosse e organizzate dall’UAI – sia direttamente che tramite la rete delle sue oltre sessanta Delegazioni e relativi osservatori astronomici e planetari – riassunte nel Calendario Astrofilo 2022, disponibile sul sito Uai, anche in formato Google Calendar, al link bit. ly/3pb7cMr.

VERSO IL CONGRESSO NAZIONALE

Si parte venerdì 4 febbraio con l’iniziativa online Stelle d’inverno, dedicata alla scoperta e all’osservazione in diretta al telescopio della nebulosa di Orione, dell’ammasso delle Pleiadi e della galassia di Andromeda. Nel corso dell’evento, a cura dell’Istituto

Nazionale di Astrofisica (Inaf) e con la collaborazione della Uai, si parlerà di come nascono, vivono e muoiono le stelle nella nostra Galassia e in altre galassie.

Il 20 febbraio è la volta del Meeting della Sezione Didattica dell’Uai, in programma a Firenze per discutere il tema della didattica dell’astronomia nella scuola italiana e per delineare nuovi metodi e strategie di insegnamento.

Nelle giornate del 5 e 6 marzo (ma potrebbe essere rimandato a settembre), si terrà a Verona il secondo Convegno nazionale di divulgazione inclusiva dell’astronomia, a cura della Sezione Divulgazione inclusiva dell’Uai.

Nelle stesse giornate è previsto anche il Workshop specialistico di Radioastronomia sullo studio delle pulsar, organizzato dalla Sezione di ricerca Radioastronomia Uai e da Iara presso l’Osservatorio e Planetario di San Giovanni in Persiceto (BO). Per la gioia degli studenti, il 28 marzo parte l’iniziativa Il cielo in una scuola, articolata in eventi organizzati dalle Delegazioni UAI presso le scuole e dedicati all’osservazione

delle costellazioni, con focus sul tema dell’inquinamento luminoso. Dal 9 al 10 aprile torna il Meeting annuale “Corpi minori”, organizzato dalle Sezioni Comete, Asteroidi e Meteore dell’Uai, presso l’Osservatorio polifunzionale del Chianti a Barberino Val d’Elsa (FI). Il meeting sarà, come sempre, l’occasione per esporre e condividere conoscenze, tecnologie, resoconti e programmazione delle attività di ricerca astronomica. Anche il mese di maggio sarà all’insegna dell’astronomia: il 15 maggio è in programma l’evento in collaborazione con l’Inaf (Istituto nazionale di astrofisica) Aspettando l’eclissi di Luna, in cui si parlerà di Luna, astronomia e scienza in attesa dell’eclisse totale di Luna, visibile in Italia poco prima dell’alba del 16 maggio.

Dal 20 al 22 maggio si terrà in Puglia il 55° Congresso Nazionale Uai, vero momento di incontro e socializzazione di tutta la comunità astrofila, un fine settimana per fare il punto della situazione, promuovere attività e condividere esperienze, offrire nuovi stimoli e anche per vivere momenti di grande divulgazione scientifica.

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UAI INFORMA A CURA DI AZZURRA GIORDANI*
UAI INFORMA » Una falce di Luna e la luce cinerea riprese da Franco Silvestrini.
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UAI INFORMA

» Star Party a Campo Felice del 2020, organizzato dall’Associazione Tuscolana di Astronomia, delegazione dell’UAI della provincia di Roma (foto Franco Silvestrini).

EVENTI OSSERVATIVI E DIVULGATIVI PER L’ESTATE

I mesi di giugno, luglio e agosto e settembre pullulano di eventi osservativi e divulgativi, iniziando con l’iniziativa di divulgazione e solidarietà Stelle per tutti: il 4 giugno le delegazioni dell’Uai organizzeranno in tutta Italia eventi osservativi accessibili anche alle persone con disabilità.

Dal 4 al 5 giugno è in programma anche il Seminario sul trattamento di dati planetari, a cura della Sezione Pianeti Uai. Il 5 giugno torna Save the pale blue dot, l’iniziativa di divulgazione astronomica e di sensibilizzazione ambientale promossa dalle delegazioni campane dell’Uai; dal 10 al 12 giugno l’Uai lancia l’iniziativa Le donne dell’astronomia, articolata in conferenze, mostre ed eventi aventi per tema le donne con ruolo chiave nella scienza e nell’astronomia. Il 21 giugno è la volta dell’iniziativa di divulgazione Welcome summer, in occasione del solstizio d’estate. Il 13 luglio si celebra la Superluna dell’anno, protagonista di un evento online organizzato dall’Inaf con la collaborazione dell’Uai. Dal 10 al 12 agosto tornano

le Notti delle stelle, dedicate alla scoperta del famoso sciame meteorico delle Perseidi e abbinate all’iniziativa enogastronomica Calici di Stelle Dal 16 al 18 settembre, in occasione delle Notti dei giganti, i telescopi saranno puntati su Giove e Saturno.

APPUNTAMENTO CON L’ECLISSE

Negli ultimi mesi del 2022 sono in programma numerosi altri meeting a cura delle sezioni di ricerca dell’Uai: il 17 e 18 settembre torna il Meeting Sole-Luna-Pianeti organizzato presso l’Osservatorio Astronomico di Tradate (VA); dal 7 al 9 ottobre è in programma il Meeting “Variabilità e Pianeti Extrasolari” a Scheggia (Perugia); il 29 e 30 ottobre si terrà il Congresso Italiano di Radioastronomia Amatoriale presso l’Osservatorio e Planetario di San Giovanni in Persiceto (BO) e dal 26 al 27 novembre il Meeting “Profondo Cielo” a Brindisi. Per quanto riguarda

invece le iniziative di divulgazione, il 1° ottobre torna la Notte della Luna, l’iniziativa mondiale dedicata alla scoperta della Luna e di cui l’Uai è partner ufficiale, con eventi osservativi in tutta Italia a cura delle Delegazioni territoriali.

Il 25 ottobre è la volta del Sun day, una giornata dedicata all’osservazione del Sole, in concomitanza con un’eclisse parziale di Sole che interesserà tutta la Penisola. A chiudere il 2022 sarà l’iniziativa Dalla Luna a Marte dall’8 al 10 dicembre: in occasione dell’opposizione del Pianeta rosso, saranno organizzati eventi che avranno come protagonisti il nostro meraviglioso satellite naturale e Marte, i due principali obiettivi delle future missioni spaziali con equipaggi umani.

Il Calendario astrofilo 2022 contempla anche gli Star Party - momenti di aggregazione e di promozione per eccellenza dell’attività astrofila - e le Scuole nazionali di astronomia organizzate dalle Delegazioni dell’Uai. Queste iniziative saranno pubblicate nel corso dell’anno nella mappa delle Astroiniziative nella home page del sito Uai, insieme a tutti gli eventi a cura delle Delegazioni territoriali.

A CURA DI AZZURRA GIORDANI *AZZURRA GIORDANI GIORNALISTA, È MEMBRO DELLO STAFF DI COMUNICAZIONE DELL’UNIONE ASTROFILI ITALIANI.
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EVENTI SOTTO IL CIELO DI FEBBRAIO

ATTENZIONE: SI CONSIGLIA DI VERIFICARE LA CONFERMA,

SPOSTAMENTO

DEGLI EVENTI ANNUNCIATI

LOCALITÀ LIGNAN, NUS (AO)

SPETTACOLI

AL PLANETARIO DI LIGNAN

SABATO, ORE 16:00 E 18:00

Il Planetario di Lignan offre al pubblico di adulti e bambini spettacoli sulle meraviglie dell’Universo per immergersi nell’affascinante mondo dell’astronomia. bit.ly/3EcrjOL

CASTELLO TESINO (TN)

VISITA ALL’OSSERVATORIO

ASTRONOMICO

12 FEBBRAIO, ORE 21:00

Gli esperti dell’Osservatorio del Celado illustrano al pubblico le principali costellazioni del periodo, offrono una conferenza divulgativa su un tema astronomico, l’osservazione del cielo al telescopio e la visita guidata alla struttura. bit.ly/3H2DIqr

SAN VALENTINO IN CAMPO, VAL D’EGA (BZ)

VISITA GUIDATA ALL’OSSERVATORIO

ASTRONOMICO

TUTTI I GIOVEDÌ SERA

Gli esperti dell’Associazione Astrofili “Max Valier” propongono la visita guidata all’Osservatorio “Max Valier” e l’osservazione del cielo al telescopio. bit.ly/3sldmvJ

VERONA

LUNA IN PIAZZA BRA

12 FEBBRAIO, ORE 19:00

Il Circolo Astrofili Veronesi offre al pubblico un evento divulgativo dedicato all’osservazione all’oculare del telescopio della Luna. bit.ly/3pequAR

EVENTI A CURA DI AZZURRA GIORDANI
Segnalate eventi, mostre, star party a stroppa@bfcmedia.com 92
LO
O L’ANNULLAMENTO

FIRENZE

L’UNIVERSO IN UNA STANZA

SABATO 19 FEBBRAIO, ORE 18:30

Albino Carbognani, astronomo e ricercatore Inaf all’Osservatorio astronomico di Loiano presenta il suo libro Ai confini della Via Lattea presso la Casa del Popolo Le Panche – Il Campino, via Caccini 13b, tel. 055 4220060

ROCCA DI PAPA (RM)

IL CIELO DEL MESE:

DAGLI ANTICHI MITI AI BUCHI NERI

11 FEBBRAIO, ORE 20:45

Evento per tutti a cura dell’Associazione Tuscolana di Astronomia, con spettacolo nel Planetario, visita guidata al Parco astronomico “Livio Gratton” e osservazione del cielo a occhio nudo e al telescopio. bit.ly/3J4Eipb

SAVIGNANO

SUL RUBICONE (FC)

AMMASSI GLOBULARI...

ALLA PORTATA DI TUTTI

25 FEBBRAIO, ORE 21:00

Conferenza divulgativa di Alessio Mucciarelli al Palazzo comunale, dedicata alla scoperta degli ammassi globulari, a cura dell’Associazione Astronomica del Rubicone. bit.ly/3sl6xu7

NAPOLI

SHOW AL PLANETARIO DI CITTÀ DELLA SCIENZA

DA MARTEDÌ A DOMENICA

Con un diametro di 20 metri, il Planetario 3D propone spettacoli e filmati per immergersi nell’Universo. Nei weekend e giorni festivi, gli spettacoli sono abbinati alla visita alle aree espositive e a laboratori. bit.ly/3mi1Ahy

BORGO COLOTI DI MONTONE (PG)

UNA NOTTE

ALL’OSSERVATORIO

11 FEBBRAIO, ORE 18:00

Serata astronomica dedicata alla scoperta e all’osservazione al telescopio degli oggetti celesti, nella monumentale cupola dell’Osservatorio di Coloti. bit.ly/3yWxIwF

BARI

SPETTACOLI AL PLANETARIO VENERDÌ, SABATO E DOMENICA

Con una cupola di 15 metri di diametro, il Planetario offre al pubblico viaggi tra le stelle, ricchi di suggestioni ed effetti speciali. bit.ly/3J3cLVk

EVENTI 93

QUANDO LA TERRA AVEVA DUE LUNE

ERIK ASPHAUG

MILANO, ADELPHI, 2021

PAGINE 445

FORMATO 14,5 X 21,5 CM

PREZZO € 28,50

Quando sfogliamo libri e riviste di astronomia, restiamo spesso catturati dalle spettacolari immagini di galassie che si trovano a milioni o addirittura miliardi di anni luce da noi. Talvolta, guardare così lontano ci distoglie dal prendere in considerazione il corpo celeste più vicino a noi, ovvero la Luna. Ed è un peccato, perché il nostro satellite naturale è uno dei corpi celesti più affascinanti del cielo, che possiamo godere anche semplicemente guardandolo a occhio nudo, senza utilizzare strumenti ottici.

Per scoprire le meraviglie della Luna, possiamo leggere questo saggio di Erik Asphaug interamente dedicato ad essa e ai suoi aspetti più interessanti. E non si ferma qui, perché - oltre a parlarci della Luna - Asphaug descrive il contesto più ampio del Sistema solare, descrivendone l’evoluzione nel corso del tempo, sin dalla formazione del Sole e attraversando i primi periodi turbolenti, fatti di scontri catastrofici fra protopianeti. Ed è proprio nello scontro di uno di questi corpi celesti con la Terra primordiale

che sarebbe nato il nostro satellite, secondo una teoria discussa dall’autore nelle pagine del libro. Erik Asphaug insegna Scienze Planetarie alla School of Earth and Space Exploration dell’Arizona State University. In quanto esperto di formazione ed evoluzione planetaria ha partecipato a diverse missioni della Nasa e non solo. Il suo libro è molto approfondito ed estremamente ricco di dettagli, certamente adatto a chi vuole conoscere più a fondo il nostro satellite naturale, in tutte le sue dimensioni. Un libro per veri appassionati della Luna, che non si accontentano di conoscerne gli aspetti più superficiali o quelli legati alla storia della sua esplorazione e ai progetti futuri, ma che vogliono conoscere più a fondo il modo in cui gli studiosi stanno indagando il suo passato, molto importante per capire anche il presente, in vista dei programmi di colonizzazione. Un passato ancora in parte misterioso e per questo ancora più affascinante.

SOGNAVO LE STELLE

CARLA GIULIA BASSANI

MILANO, IL SAGGIATORE, 2021

PAGINE 189

FORMATO 9 X 13,5 CM

PREZZO € 15,00

Punta sempre in alto e non tarpare mai le ali ai tuoi sogni. Lo ripete spesso l’astronauta italiano dell’Esa Paolo Nespoli. Una frase che Giulia Carla Bassani, nota sui social (e non solo) come “AstroGiulia”, ha fatto sua da tempo. Un unico, grande sogno: diventare astronauta, sull’esempio di Samantha Cristoforetti, altro suo mito. Giulia Bassani è una giovane di 22 anni di Collegno, il comune ai confini con Torino che ospita le aree in cui sono nati molti moduli della Stazione spaziale e dove sorge il centro spaziale di Altec, pronto per le prossime esplorazioni marziane. Forse ispirata dall’aria di casa, AstroGiulia sa che c’è molta strada da fare, ma ha già intrapreso quella giusta. È laureata in ingegneria aerospaziale al Politecnico di Torino, parla l’inglese e altre lingue, ha vinto concorsi su progetti spaziali in ambito Esa e Thales Alenia Space. Il tempo libero lo occupa a scrivere libri, di spazio, naturalmente. Dopo il racconto di fantascienza Ad Martem 12 (condito anche di realtà attuali o prossime) e dopo una biografia di Elon Musk, ora pubblica questo

“sogno stellare” dal sottotitolo Manuale per i giovani viaggiatori spaziali. Un libro quasi autobiografico, perché narra le esperienze che l’hanno già vista bruciare alcune tappe verso lo spazio. E che possono essere di suggerimento per altri giovani appassionati che desiderano inseguire la stessa strada. Ma il libro racconta anche molti episodi riguardanti le avventure spaziali, alcuni dei quali inediti e divertenti; dalla pipì fatta nella tuta del primo astronauta americano fino agli aspetti più curiosi della vita in assenza di peso delle lunghe missioni di oggi. Tutto questo mentre Giulia continua a sognare le stelle, e non è impossibile che le possa veramente “toccare con un dito”. In fondo appartiene a una generazione per la quale tra vent’anni un viaggio in orbita terrestre potrebbe essere equivalente a un volo intercontinentale di oggi. Anche se AstroGiulia sogna la Luna e Marte, ma anche questo forse sarà meno complicato da ottenere rispetto a quanto sembra oggi.

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SPACE MARKETS

IN-ORBIT SERVICING

stressed the importance of collaboration and inclusion of the IoS value chain, as standardization needs the engagement of IoS companies, manufacturers, end-user customers, and regulators, etc.

During that panel, Luca Rossettini, CEO and Founder of D-Orbit predicted that the satellites of the future will be modular and designed in a scalable way, where every batch of satellites will be different from the previous one because they will incorporate new technologies. Negar Feher agreed, adding that IoS will enable people to build larger and larger objects in space, like huge telescopes, great scientific missions, and space hotels, just to mention a few.

Although the sustainability of all future space activities depends on the development of In-Orbit Servicing (IoS), there is currently no official or universal definition of IoS, sometimes also referred to as in-space services and on-orbit services.

The European Space Policy Institute’s In-Orbit Services report mentions that IoS operations comprise mainly three activities: servicing space objects while in orbit, manufacturing components in outer space, and assembly objects to form a new one or upgrading payloads.

Rendezvous, proximity operations, and the ability to dock in space are the technological aspects that need further development for the expansion of IoS, while a standardized interface is currently the most important challenge.

A standardized interface in all satellites is necessary to create a

robust supply of IoS companies that can offer refueling, removal, assembly, or maintenance, just like cars use the same interface to refuel anywhere in the world.

During the WSBW organized by Eurocunsult in December 2021, in the panel entitled “In-space logistics business taking off”, Negar Feher, VP of Business Development at Momentus explained that while IoS companies are trying to develop their own interface, it should be governments that create a global standardized interface through an international agreement. At the same time, Jason Forshaw, Head of Future Business Europe at Astroscale

*JOSE SALGADO IS A SPACE INDUSTRY ADVISOR AND FOUNDER OF D-CONSTRUCT SPACE CONSULTING.

As for the current state of IoS, in 2020 the American company Northrop Grumman made history by successfully docking with an Intelsat satellite and moving it back into a service orbit. They repeated the achievement in April 2021, becoming the only provider of flight-proven life extension services for satellites. According to Northen Sky Research, the demand for GEO life extension missions represents a cumulative market opportunity of $3.2B by 2030, making this activity the single largest revenue among all the In-Orbit Servicing (IoS) activities over the next decade.

Looking ahead, one of the most promising missions will be NASA’S OSAM-1 spacecraft, being built by Maxar and to be possibly launched in 2024. The spacecraft will rendezvous with, grasp, refuel and relocate a government-owned satellite that wasn’t designed to be serviced on-orbit.

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SPAZIO AL FUTURO

Il 18 ottobre 1961, la prima azienda italiana, e una delle prime al mondo, nel campo della comunicazioni e dei servizi satellitari iniziava un viaggio tuttora in corso. Per 60 anni, ogni giorno, Telespazio ha anticipato le domande di domani per costruire una risposta oggi. Per 60 anni, ha ridefinito nuove frontiere solo per superarle. Per 60 anni, la sua storia ha scritto la Storia. Questo libro non è solo il racconto di questo lungo viaggio. È uno sguardo alle strade ancora da percorrere. Alle prossime frontiere spaziali da superare. Perché costruire il nostro futuro nello spazio è dare Spazio al futuro

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