Pepeverde

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OSSERVATORIO

Metacosa?

Le evoluzioni dell’universo digitale di Nadia Riccio

A fine ottobre 2021 ha suscitato un certo clamore l’annuncio di Zuckerberg della trasformazione di Facebook in una nuova holding, Meta Inc., che ha sotto il proprio controllo le piattaforme Facebook, Instagram, Whatsapp e lo sviluppo della tecnologia di visori Oculus Rift. Nella presentazione del patron di Facebook, Meta, il cui logo richiama in parte il simbolo dell’infinito, in parte un nastro di Moebius, ma deformati, punta a essere uno spazio digitale di convergenza tra più piattaforme, un ambiente virtuale, dice lo stesso Zuckerberg, tale che “la qualità distintiva del metaverso sarà una sensazione di presenza, come se fossi proprio lì con un’altra persona”.

L

a nozione di metaverso era nata negli anni ’90, nel pieno fiorire delle tendenze cyberpunk. È infatti in un romanzo (Snowcrash, di Neil Stephenson) che viene introdotta come realtà virtuale nella quale gli individui possono interagire in modo fittizio attraverso propri avatar. Il termine metaverso nasce dalla crasi tra il prefisso meta, che rinvia ad altro, altrove, e il termine universo, e si candida a essere un mondo parallelo, numerico, nel quale possono essere riprodotte dinamiche relazionali, sociali ed economiche del contesto “reale”. Dagli albori digitali dei primi anni ’90 a oggi, lo sviluppo delle tecnologie ha reso i paesaggi letterari di allora una visione a dir poco ingenua e pittoresca. Le esperienze di MMORPG (massively multiplayer on-line role playing game), ad esempio, in cui i giocatori connessi da ogni parte del mondo, in squadre o individualmente, si sfidano in contest articolatissimi, si sono diffuse sempre più diventando un fenomeno su scala globale che conta milioni di adepti. Ma già a metà degli anni 2000 lo sviluppo di Se-

cond Life – forse il primo universo virtuale che, senza un’esplicita finalità di gaming, puntava a dar vita a un mondo virtuale completo nel quale gli utenti potevano sviluppare aspetti “digitali” del mondo “reale” – riscosse un notevole successo1. È molto probabile che Zuckerberg abbia lanciato il restyling della sua azienda per dirottare l’attenzione di opinione pub-

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blica e investitori dagli scandali e dalle critiche che l’hanno travolta negli ultimi anni, legate al modo in cui Facebook abbia condizionato e condizioni i processi democratici e alla tutela della mole spropositata di dati che gestisce dei propri utenti. Tuttavia con il passaggio a Meta nulla cambia per quanto riguarda le criticità del sistema e, anzi, l’ipotesi di una piattaforma globale, capace di includere le funzioni – e il conseguente scambio di dati personali – fino ad oggi articolati su piattaforme differenti, è una prospettiva che meriterebbe una riflessione scevra da pregiudizi ideologici. L’annuncio della nascita di Meta ha invece solleticato i soliti “apocalittici”, che l’hanno interpretata come l’ennesima innovazione che minaccia il vecchio mondo analogico: è ciò che accade in maniera pressoché sistematica a fronte di cambiamenti tecnologici significativi. E altrettanto di frequente accade che l’approccio alle evoluzioni mediali ricordi l’aneddoto del dito e della luna, ovvero che vengano trascurati gli aspetti maggiormente problematici sottesi alle innovazioni: se tanti infatti hanno evocato il rischio che i contatti “umani” siano abbandonati a favore di immersioni virtuali, pochi hanno sollevato la questione del possesso e del trasferimento dei dati nelle mani di un solo soggetto economico e, per di più, operante in un ambito transnazionale, vicino a una forma di extraterritorialità, con tutte le ricadute economiche e politiche del caso. Il focus della questione non è, a nostro avviso, nella possibilità o meno di Zuckerberg di sviluppare una piattaforma virtuale, iperimmersiva, che abbia la capacità

Pepeverde n. 13/2022 21


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