Anno IV n. 13/ 2022 - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/2/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB (Roma)
Pepeverde Letture e letterature giovanili
n. 13-2022 gennaio marzo
UNA GRANDE OPERA DI GIANNI RODARI FAVOLE DAL MONDO PER CONOSCERE IL MONDO
A cura di Gianni Rodari «Tutti i continenti e quasi tutti i popoli della Terra sono rappresentati in questa raccolta che a buon diritto può andare sotto il titolo di Enciclopedia della favola […] Abbiamo compilato questa raccolta scegliendo per voi le fiabe piú belle da centinaia e centinaia di volumi scritti in tutte le lingue. Speriamo di aver fatto una buona scelta e vi auguriamo buon divertimento per tutti i giorni dell’anno». (Dalla presentazione di Gianni Rodari) Le nuove illustrazioni sono state realizzate dai disegnatori cubani Raúl Martínez, Héctor Saroal e Yancarlos Perrugoría. 1118 pagine, € 60.00 www.editoririuniti.it
EDITORI RIUNITI
Pepeverde
n. 13- 2022 gennaio marzo
Letture e letterature giovanili
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EDITORIALE
Perché investire in cultura
GENIALI MA IGNORANTI di Ermanno Detti
Illustrazione di copertina di Alberto Ruggieri
Il fumetto a pagina 25 è di Barbara Calcei, in arte Bake
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he la società italiana sia costituita da molte brave persone non abbiamo mai avuto dubbi. In generale gli italiani sono solidali e generosi, tolleranti e non puntigliosi, operosi e risoluti soprattutto nelle emergenze. Naturalmente sono anche diversi e la diversità è molto marcata da nord a sud. Sempre in generale è riconosciuta ai romani un’indole un po’ sonnacchiosa e apparentemente distratta (bene espressa nel detto “lascia stare” anzi “lassa sta’”), nei milanesi un’iperefficienza, nei napoletani la prontezza di spirito e la capacità di arrangiarsi, e così via. Alcuni sono luoghi comuni che tuttavia a ben vedere hanno corrispondenze reali e che costituiscono ricchezza, manifestata anche nelle tradizioni più varie, pensiamo alla straordinaria cucina regionale italiana. Anche da parte di altri paesi sono riconosciuti agli italiani tratti specifici e capacità particolari che si manifestano nell’arte e nelle eccellenze dei nostri “cervelli” sparsi in tutto il mondo. Questo ovviamente non per una particolare genialità della “razza italica”, ma per ragioni storiche e culturali. Va da sé che, come in tutte le società del mondo, vi sono in Italia scorie a volte pesanti da smaltire (anche tra noi ci sono i terrapiattisti), ma si tratta di minoranze che nulla hanno a che vedere con la maggioranza della popolazione, ubbidiente e rispettosa delle istituzioni. C’è poi la piaga delle mafie, ma quella non è una specialità solo nazionale. Ora in questo contesto manca nel nostro Paese un indirizzo generale che riconosca la situazione e investa di conseguenza. Certo la nostra economia va sostenuta nel suo insieme, ma a ben vedere si investe molto poco nella cultura – formazione, scienza e ricerca, beni culturali – forse per l’Italia il settore più importante sia per lo sviluppo economico che per la crescita generale della società. Già, la crescita della società… Tra tanti pregi gli italiani hanno un difetto, quello dell’ignoranza. Sì perché accanto a menti brillanti contese in tutto il mondo, accanto ai “cervelli eccellenti”, siamo i più grandi produttori di ignoranza diffusa! Oggi con la pandemia la situazione si fa più grave, riducendo notevolmente la crescita del nostri giovani. È un difetto inaccettabile, in una società ignorante nessuno vive bene. È necessario dire chiaramente, alle “eccellenze” che ci governano, che non ci bastano gli italiani “eccellenti” e richiedere ancora quello che abbiamo sempre chiesto: maggiore attenzione della politica al mondo della conoscenza, alla scuola, all’editoria, alla lettura e a tutto il resto che ben sappiamo (questo eviterà la fuga dei “cervelli” e favorirà lo sviluppo). Nelle pagine che seguono vi sono molti interventi su questo tema, compresi, in apertura, i primi studi in occasione del centenario della nascita di Mario Lodi. Si interverrà ancora e presto sul maestro di Vho di Piadena, per cercar di dimostrare che la sua idea di scuola per tutti non è mai entrata nella scuola del Paese. Speriamo sia chiaro quello che si intende dire: la scuola dei grandi maestri italiani è rimasta troppo confinata alle loro esperienze, le loro proposte e i loro metodi non sono mai stati generalizzati, non sono mai stati sentiti come base di una nuova impostazione pedagogica e programmatica della scuola italiana. Anzi sulle teste di Mario Lodi, di don Milani, di Alberto Manzi, di Gianni Rodari e di tanti altri si sono spesso incrociati i tiri dei fuochi della reazione con i tiri dei vili fuochi amici. Tornando alle qualità degli italiani, non possiamo dimenticare il serio e responsabile impegno degli insegnanti durante la pandemia, sono rimasti al loro posto malgrado le poche e scarse iniziative per la sicurezza, purtroppo più proclamata che attuata dalle istituzioni. Quasi non ci saremmo aspettati tanto impegno da una categoria troppo poco valutata, basta dire – è cronaca di oggi – che l’attuale ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi sta piantando paletti assurdi anche per il nuovo contratto del personale.
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Pepeverde
INDICE
N. 13/2022 gennaio/marzo
EDITORIALE ___________________________________________________________________________________ Perché investire in cultura, GENIALI MA IGNORANTI, di Ermanno Detti, p. 3 CENTENARIO DI MARIO LODI __________________________________________________________________ Per il maestro di Piadena CENTO ANNI DI LODI di Carla Ida Salviati, p. 6 Dalla scuola di Vho alla letteratura CREARONO UN PASSERO E LO CHIAMARONO CIPÌ di Valentina De Propris, p. 10 OSSERVATORIO __________________________________________________________________ Le politiche culturali in Italia LE VIE DEL PIACERE di Ermanno Detti, p. 14 Un topos fondamentale della letteratura per ragazzi ANCHE LE BANDE NON SONO PIÙ QUELLE DI UNA VOLTA di Fernando Rotondo, p. 18 Metacosa? LE EVOLUZIONI DELL’UNIVERSO di Nadia Riccio, p. 21
DIGITALE
COMUNICAZIONE 5 – I VIRUS E LE LORO ASTUZIE, di Anna Oliverio Ferraris, p. 23 Più libri, meno petrolio SHARJAH, LA LETTURA APRE di Franca De Sio, p. 24
LE MENTI
CAPITAN BAKE – di Barbara Calcei, p. 25 IL GIORNALE DEI GENITORI __________________________________________________________________ Matteo Lancini e l’età tradita COM’È DIFFICILE ESSERE ADOLESCENTI di Rossana Sisti, p. 26 Ragazzi miei, nipoti immaginari I NONNI E L’INVINCIBILE FIDUCIA NEL di Franca De Sio, p. 28
FUTURO
Torna l’Enciclopedia della favola curata da Gianni Rodari 365 FAVOLE DAL MONDO PER CAPIRE IL MONDO di Francesca Baldini, p. 30 Petrosino racconta la sua gioventù ai ragazzi di oggi UN’INFANZIA DIFFICILE MA INFELICE MAI di Rossana Sisti, p. 32
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Scritti di: Ferdinando Albertazzi, Giuseppe Assandri, David Baldini, Francesca Baldini, David Carotenuto, Liliana Contin, Valentina De Propris, Franca De Sio, Ermanno Detti, Anna Oliverio Ferraris, Paolo Gheri, Tiziana Mascia, Beatrice Masini, Paola Parlato, Nadia Riccio, Fernando Rotondo, Carla Ida Salviati, Rossana Sisti, Clelia Tollot, Tito Vezio Viola, Lucia Zaramella
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Rivista trimestrale Iscrizione al Registro della Stampa del Tribunale di Roma n. 14/2019 del 21/02/2019
EDUCAZIONE E APPRENDIMENTO – GENERAZIONI A CONFRONTO, CHE FATICA ESSERE ADULTI! di Paola Parlato, p. 34
Direttore responsabile Anna Maria Villari Direttore editoriale Ermanno Detti
INTERVISTE E INTERVENTI
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Rilettura dell’opera di De Amicis QUEL CHE OGGI RESTA DEL CUORE di David Baldini, p. 36
Comitato Scientifico Massimo Baldacci, Silvia Blezza Picherle, Lorenzo Cantatore, Liliana Dozza, Franco Frabboni, Donatella Lombello, Juan Mata Anaya, Giovanni Solimine, Jack Zipes. Redazione Giuseppe Assandri, Alessandro Compagno, Maria Rosaria Corvino, Valentina De Propris, Franca De Sio, Giuseppe Fiori, Loredana Genua, Tiziana Mascia, Paola Parlato, Marco Pellitteri, Luisa Salvadori, Clelia Tollot, Luciano Vagaggini, Tito Vezio Viola.
Fuoritesto – ELOGIO DELLA LETTURA CORTA, di Paola Parlato p. 37 “365 Storie”, libreria di Matera QUEL LETTORE CHE ANNUSAVA I LIBRI di Giuseppe Assandri, p. 39 In visita al Museo Rodari con Pino Boero NEL CUORE DI OMEGNA E CON OMEGNA NEL di Ferdinando Albertazzi, p. 41
Anno III n. 13/2022 gennaio/marzo
Coordinamento redazionale Loredana Fasciolo
CUORE
Premio Arpalice Cuman Pertile C’ERA UNA VOLTA E C’È ANCORA LA CITTÀ DELLE di Beatrice Masini e Liliana Contin, p. 44
FIABE
Divulgazione, narrativa e grafica IL PREMIO LIBRO PER L’AMBIENTE di Tito Vezio Viola, p. 46 INTERNAZIONALE – L’INFORMAZIONE NELL’ERA DEGLI ALGORITMI di Tiziana Mascia, p. 48 BIBLIOTECHE __________________________________________________________________ La Biblioteca di Borgomanero QUANDO LEGGERE TROPPO FA BENE Intervista a Giovanni Cerutti, di Ferdinando Albertazzi, p. 50
Progetto grafico e impaginazione Luciano Vagaggini Stampa: Tipolitografia CSR, via di Salone 131, Roma. Rivista trimestrale edita da Valore Scuola Coop. a.r.l. via Leopoldo Serra, 31/37 – 00153 Roma Tel. O6 5813173 e-mail: redazione@edizioniconoscenza.it Abbonamento a 4 numeri: Italia € 45,00, Estero € 60,00. Abbonamento sostenitore: € 100,00. Un numero € 12,00 Italia, € 16,00 Estero. L’abbonamento può essere sottoscritto in qualsiasi momento dell’anno. Modalità di pagamento: bon. bancario IBAN:IT44 Q0103003202000002356139 oppure conto corrente postale n. 63611008, entrambi intestati a Valore Scuola coop. a.r.l. via Leopoldo Serra 31 – 00153 Roma. Si può pagare anche con carte di credito sul sito: www.edizioniconoscenza.it o con la carta del docente scrivendo a e-mail: commerciale@edizioniconoscenza.it
STUDI E RICERCHE __________________________________________________________________ Lettura delle opere di Alberto Burri LA REDENZIONE DELLA MATERIA di Paolo Gheri, p. 52 LE SCHEDE __________________________________________________________________ Fuoritesto – AVVENTURE DAL PIANETA BLU, di Giuseppe Assandri, p. 60 Fuoritesto – NELLE STORIE IL TEMPO NON SVANISCE, di Paolo Gheri, p. 61 Fuoritesto – NATA MASCHIO, di Nadia Riccioi, p. 63 Fuoritesto – IL RAGAZZO AFGANO, di Valentina De Propris, p. 64
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CENTENARIO DI MARIO LODI
Per il maestro di Piadena
Cento anni di Lodi di Carla Ida Salviati
Ogni anniversario corre il rischio della celebrazione acritica, dell’adesione sentimentale, che può addirittura arrivare all’esaltazione. Poi, magari, cambiati i tempi e mutati gli umori, tutto va nel dimenticatoio assieme al personaggio in questione. È finita così per tanti illustri “a orologeria” – politici, intellettuali, artisti – e credo sia inutile per il mio lettore fare qui nomi o citare eventi.
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i auguro che il centenario della nascita di Mario Lodi costituisca un’occasione per ritagliare la sua figura fuori dalla retorica del “maestro buono” riconducendola, attraverso nuovi documenti e nuovi studi, al reale spessore pedagogico e agli ideali che hanno sostenuto le sue scelte morali e didattiche. In altre parole, all’insegnante che “vuole bene ai bambini”, “al papà di Cipì” (come talvolta l’ho sentito apostrofare) va sostituita una più razionale e
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realistica dimensione culturale. Non è mai, questa, un’operazione semplice, soprattutto quando si tratta di personalità che hanno a che fare con l’infanzia: persino Gianni Rodari, che pure è ben inquadrabile entro un solido profilo intellettuale e politico, non è stato del tutto risparmiato da operazioni mielose intente a smussare gli spigoli del giornalista sociale e del militante di sinistra. Anche la Montessori non sfuggì a simile destino: pur sollecitando studi nuovi e ricostru-
zioni biografiche egregie, venne al contempo avvicinata a profili più vicini alla “maestrina dalla penna rossa” di deamicisiana memoria che non alla scienziata coraggiosa e controcorrente, madre nubile che affidò ad altri il proprio figlio, fascista per breve tempo ancorché piuttosto entusiasta… Si potrà obiettare che l’immaginario “di massa” poco ha da spartire con la seria ricerca. Tuttavia sappiamo bene che le convinzioni di massa sono assai abili a radicarsi, mentre le più complesse interpretazioni degli specialisti riescono poco – e talvolta per niente – a scalfirle. Mario Lodi era figlio del suo tempo: un tempo che infatti ben si riflette nel suo pensiero e nelle sue azioni, a cominciare dalle scelte didattiche e dalla scrittura. Venne a contatto con eventi e personaggi coevi che lo sostennero o, al contrario, lo osteggiarono. Nell’arco dei suoi novant’anni e più, conobbe la scuola fascista che frequentò per l’intero arco dei suoi studi; ebbe un padre antifascista e una madre che – come accadde a molte italiane – cercò di mediare tra le convinzioni del marito e il desiderio di assicurare ai figli una crescita equilibrata, giocoforza allineata, negli anni del maggiore consenso verso il regime1; conobbe la carcerazione dopo il ’432; entrò nella scuola dell’Italia repubblicana e vi rimase fino alla pensione nel 1978; nel dopoguerra fu attivo in numerose iniziative di impegno civile di ispirazione socialista; elaborò una profonda crisi
CENTENARIO DI MARIO LODI professionale e personale nel percepire come la scuola elementare, nonostante la Costituzione democratica, continuasse a riprodurre modi e metodi autoritari senza porsi il problema della selezione sociale di cui essa era ganglio attivo… Poi vennero gli anni della celebrità, di Cipì e de Il paese sbagliato, degli interventi contro la televisione, della laurea honoris causa, dei riconoscimenti internazionali… Sempre e comunque, però, il suo lavoro e le sue idee pedagogiche ebbero, accanto a seguaci entusiasti e appassionati, anche osservatori titubanti quando non apertamente avversi, collocati politicamente tanto a destra come a sinistra. Persino all’interno del Movimento di Cooperazione Educativa, dove pure divenne un mito, fronde agguerrite lo attaccavano per le posizioni moderate negli anni del trionfo della veemenza milaniana. In attesa dell’uscita alle stampe della biografia di Juri Meda, dalla quale ci attendiamo proprio in occasione del Centenario una sistemazione storica sostenuta dall’organica disamina dei documenti, vorrei dunque qui proporre un breve percorso tra alcune posizioni critiche che negli anni sono state assunte nei confronti del pensiero e delle azioni di Mario Lodi. A qualcuno, forse, questa mia proposta sembrerà peregrina: in fondo, davanti ai tanti stravolgimenti sociali dell’oggi, a chi può importare un dibattito del periodo post-sessantottino? Roba, del passato, si dirà. Però, in un modo o nell’altro la scuola è stata comunque oggetto di forte interesse anche da parte di osservatori non specialisti, che sono ritornati ad allora guardando – con occhio favorevole o critico – quella stagione eccezionale di tentativi di rinnovamento. E qui il sostantivo “tentativi” va sottolineato poiché la scuola egualitaria, l’ascensore sociale per i “capaci e meritevoli”, la scuola di tutti e di ciascuno, non si è davvero generalizzata, lasciando senza risposta tante (troppe) domande che il priore di Barbiana ci aveva posto più di cinquant’anni fa. Lo scontento (ma non la delusione) è al centro del recente Il danno scolastico.
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La scuola progressista come macchina della disuguaglianza, Milano, La Nave di Teseo, 2021 di Paola Mastrocola e Luca Ricolfi. I due autori forniscono la loro interpretazione dei tanti guai che affliggono la scuola contemporanea, facendo leva più sull’esperienza personale assunta come paradigma generale che su un’analisi di eventi politici, di riflessioni pedagogiche, di trasformazioni sociali, di prospettive storiche (ma qui la Mastrocola va assolta poiché afferma con un certo orgoglio di avere escluso volontariamente la storia dal suo personale percorso for-
scente è protagonista, è gratificato da quello che va imparando ed è persino contento di imparare… ebbene sì, evviva la scuola “divertente”. In occasione della stampa de Il paese sbagliato (1970) Lodi ebbe l’occasione di spiegare come si svolgessero le lezioni nelle sue classi:
mativo universitario). Nel saggio si parla spesso di “picconatori” della scuola del passato (quella gentiliana, va da sé, dalla quale non siamo mai pienamente usciti nonostante quasi tutti i ministri siano arrivati al dicastero promettendo/minacciando una riforma radicale…). Non si parla di Rodari né di Mario Lodi; si parla di don Milani quello che, a loro dire, vorrebbe “una scuola facile e divertente” (p.116). Proprio i medesimi aggettivi sono stati nel tempo utilizzati per denigrare la didattica lodiana. Se per “facile” si intende l’impegno quotidiano del docente nel mediare tra il sapere e il saper fare, tra la formalizzazione del sapere e il Mondo, allora sono d’accordo anche io che frequentare le aule di Piadena fosse una pacchia. Se per “divertente” si intende organizzare una didattica attiva nella quale il di-
tura del film significa studiare l’italiano, osservare gli argini e gli animali del fiume vuol dire studiare le scienze, calcolare la distanza delle isolette dalla riva è matematica, è sistema metrico decimale fatto dal vivo. Il fiume stesso poi è geografia…3
All’inizio dell’anno facciamo un piano di lavoro a lungo termine. Quest’anno abbiamo scelto di fare un’indagine sul nostro paese, da tradurre in film.[…] Adesso stiamo studiando il nostro fiume, l’Oglio. Preparare la sceneggia-
Solo chi non ha mai vissuto dentro una classe ben organizzata secondo i principii (mai dogmi) dell’attivismo può coltivare il convincimento che là si passi il tempo a fare qualcosa di diverso dall’imparare. Infatti quello che contava (e che ancora conta, con Lodi o meno) non è il risultato ancorché soddisfacente (nella citazione, è un film) ma il percorso del gruppo e del singolo. Credo sia proprio l’approccio storico a far difetto a parecchi che si esprimono sulla scuola e segnatamente su quella
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CENTENARIO DI MARIO LODI della società grazie alla piccola freccia spuntata della scuola. Che l’auspicato cambiamento costituisse per una parte di docenti una motivazione sufficiente a imbarcarsi in una didattica nuova e tutt’altro che semplice – una didattica mai vista prima, dove il maestro rinunciava alla frontalità e si sedeva a dialogare maieuticamente in mezzo ai bambini – lo capirono fin da subito alcuni decisi oppositori delle proposte di Mario Lodi e dei suoi seguaci. Tra i più acuti cito l’editore Armando Armando che dalle pagine del suo periodico “AVIO” non mancò di additare, con vigorose bordate polemiche, l’obiettivo politico appena celato dietro al rinnovamento educativo; egli scriveva recensendo Il paese sbagliato:
“progressista”: ed è curioso che il medesimo approccio spesso accomuni sia gli oppositori di Lodi sia alcuni suoi seguaci appassionati ma acritici. Seppure certi elementi della sua didattica appaiono oggi superati (ad esempio, l’uso della tipografia fin dai primi momenti di apprendimento della scrittura) la prospettiva storica ci fa comprendere il senso profondo – pratico e insieme simbolico – del “complessino per stampa a caratteri mobili” in un’aula contadina degli anni ’50. Nelle scuole tradizionali si imparava a scrivere con inchiostro e calamaio, e i ricchi avevano la carta Fabriano e i poveri i quaderni del Patronato che hanno contribuito non poco a sancire disuguaglianza e fallimenti scolastici. Analogamente, se la dura polemica contro il libro di testo (“cinghia di trasmissione della cultura dei padroni” era lo slogan) oggi può parere esagerata perché tutti (o quasi…) accediamo alla rete, essa va collocata nella scuola dell’immediato post-Sessantotto, e vanno letti gli “stupidari” che i maestri progressisti di allora andavano componendo con la selezione delle baggianate e dei falsi ideologici profusi a piene mani nei sussidiari4. E così va collocata l’esperienza della Biblioteca di Lavoro che Lodi coordinò
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con una buona dose di utopia, con limitatissime possibilità economiche, sorretta dal sogno che la pluralità delle fonti fosse in grado di smantellare un’editoria scolastica più che mediocre e che la valorizzazione delle ricerche dei ragazzi avrebbe convinto gli insegnanti a imitare e a innovare. Se rinunciamo alla chiave storica comprendiamo davvero poco di quella stagione contraddittoria e certo troppo urlata, spesso velleitaria, ma sinceramente convinta di poter dare una spinta al cambiamento (in meglio)
Per Lodi è illegittima la società in cui [egli] vive, il suo sbagliato paese, non il libro di testo. E non diversamente, pur se a più alto livello, si muove Don Milani […] Possono essere considerati i Savonarola di questo ancor mussoliniano irreversibile paese di santi, di navigatori, di scienziati.5
Arrivare alla società attraverso la scuola è stato il leitmotiv per coloro che nel post-Sessantotto si impegnavano nel radicale ripensamento delle pratiche d’aula: obiettivo ambizioso che, prevedibilmente, non è stato mai conseguito. E poiché Mario Lodi,
CENTENARIO DI MARIO LODI dopo Il paese sbagliato, acquista fama nazionale e poi varca anche i confini6, diventa il bersaglio preferito tanto dei conservatori quanto dell’ultrasinistra. Per fare un esempio, il profilo di Lodi per l’Enciclopedia Treccani, ravvisa fragilità (politica) nell’operato di Lodi: il tema delle espressioni spontanee e via via coscienti della cultura di classe […] riformulato sul terreno dell’educazione, si risolveva nella formula certamente più inoffensiva del diritto all’espressione, garantito dalla Costituzione, dei semplici, bambini in testa. Nel nome di una scuola ancora una volta meno preoccupata di istruire che di controllare ideologicamente il nuovo popolo7.
Argomentazione ardita, quest’ultima, se si pensa quanto profondo – fondativo, addirittura – sia stato l’impegno di Mario Lodi nel pensare e nel praticare una scuola che emancipa e che promuove consapevolezza e partecipazione: esattamente l’opposto dell’esercitare controllo ideologico. D’altra parte il maestro aveva raccolto dure accuse dalla raffinata rivista “Quaderni Piacentini”, palcoscenico di intellettuali di spicco vicini ai movimenti studenteschi ed extraparlamentari. In pieno stile del tempo, esce un articolo firmato “da un collettivo di insegnanti bolognesi”: il titolo, Il kennediano di Piadena, è di per sé già una piena condanna dell’autore, che viene accusato di “riformismo didattico […] il più ingenuo, e perciò più pericoloso”; e continua: “è fuor di dubbio” che “la scuola, come la fabbrica, per non dire dello stato si cambia sul serio soltanto se è nelle mani del proletariato. Niente rivoluzione pedagogica senza rivoluzione politica”. In altre parole Il paese sbagliato costituisce dunque “la risposta socialdemocratica, mistificatrice e riformistica” dell’industria culturale a Lettera a una professoressa.8 E si potrebbe andare avanti a lungo tra chi denuncia Mario Lodi come maestro rivoluzionario (lo fu, eccome, ma non nel senso che intendevano i suoi avversari) e chi lo definisce “socialdemocratico”, appellativo che per la ris-
sosa sinistra di allora costituiva un’offesa da sfida a duello! Non era nei modi dell’uomo e del maestro, che preferiva i toni del confronto e che insegnava ai suoi alunni a “chiedere la parola” e ad ascoltare le ragioni degli altri. Una cosa niente affatto “facile”. Forse non è un caso che, negli ultimi anni della sua lunga vita, Mario Lodi abbia deciso di raccogliersi nella scrittura meditativa con i racconti (alcuni davvero belli) di A TV spenta. Diario del ritorno, uscito per Einaudi nel 2002.
Note 1
Per questo particolare mi affido al racconto che ebbe a farmi Lodi durante un nostro incontro informale. Quando lui e il fratello iniziarono a frequentare la scuola e dovettero recarsi alle adunate del regime, la loro madre confezionò di nascosto dal marito le divise da Balilla; ovviamente il piccolo inganno familiare ebbe breve durata, però Mario ricordava ancora, a tanti anni di distanza, i puntuali mugugni paterni quando vedeva uscire i suoi ragazzi agghindati per il sabato fascista. 2
Alludono a tale esperienza due racconti di ispirazione autobiografica Il corvo (Firenze, Giunti Bemporad Marzocco, 1971) e La busta rossa (Firenze, Giunti, 1996).
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“Periodico Einaudi”, 12, 1970, p.1. E altrove precisa: “non scuola anarchica” ma “duro lavoro liberamente scelto”; al centro sta il bambino, la scuola attiva aiuta a “liberarlo da ogni paura” e conferisce “motivazione e felicità” al suo apprendimento. 4
Gruppi di insegnanti dell’MCE a Bologna e a Genova avevano dato vita a libelli editati in proprio. Alcuni intrigarono importanti intellettuali del tempo che fiancheggiarono la denuncia collaborando a pamphlet di successo, come il celebre I “pàmpini” bugiardi. Indagini sui libri al di sopra di ogni sospetto.I testi delle scuole elementari, a cura di Marisa Bonazzi, Rimini, Guaraldi, 1972 con introduzione di Umberto Eco [pàmpini sic]. 5
Armando Armando, Libri di testo: legittimi o illegittimi?, “AVIO”, ottobre-novembre 1971, p. 332. Dello stesso v. L’antiautoritarismo degli antiautoritari, “AVIO”, maggio-giugno 1971, p. 183; e lodi a Lodi, dicembre 1971, pp. 423426. Per uno sguardo complessivo sul periodico dell’editore romano rimando al mio Una battaglia per la scuola. Armando Armando e il Bollettino “Servizio Informazioni AVIO”, Roma, Nuove Edizioni Romane, 2009. [ e lodi a Lodi sic] 6
Mario Lodi è celebre soprattutto in Spagna e Portogallo, nonché in America Latina e viene spesso identificato come simbolo di libertà e democrazia. 7
Adolfo Scotto Di Luzio, Voce Lodi, Mario in hiips://www.treccani.it/enciclopedia/mariolodi_(Dizionario-Biografico)/ 8
43, 1971. Ringrazio Selina Bini per la collaborazione nel reperire alcuni documenti dall’archivio del padre Giorgio, insegnante, pedagogista, saggista e parlamentare che si occupò a lungo dei problemi della scuola.
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CENTENARIO DI MARIO LODI
Dalla scuola di Vho alla letteratura
Crearono un passero e lo chiamarono Cipì di Valentina De Propris
Il mestiere di insegnante ha sempre a che fare con le parole degli altri e con lo sviluppo della loro creatività: anche quando si insegnano matematica o fisica, tra numeri e formule astratte, si assiste alla meraviglia di un pensiero che nasce, di un ragionamento che prende corpo e vita nella mente dell’allievo. E tanto più l’età è piccola, tanto più intensamente si realizza il miracolo della conoscenza che sboccia, del pensiero che si illumina. Lo sapeva bene Mario Lodi, il maestro per eccellenza
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ella sua lunga carriera nella scuola elementare, come allora si chiamava l’attuale scuola primaria, Mario Lodi ha cresciuto decine di menti, abituandole a pensare e a ragionare fuori dagli schemi, e ha coltivato il cuore e lo spirito dei suoi studenti, prima di tutto cittadini in erba a cui far vivere i valori della nostra Costituzione. Nelle sue classi, studenti, spesso poverissimi, vivevano l’esperienza unica e salvifica della relazione con un adulto capace di ascoltare e vedere realmente i bambini; tutto grazie alla sfida di un docente che scende dalla cattedra e si siede in mezzo agli alunni e alle alunne, aprendosi ad un’esperienza di insegnamento che è soprattutto apprendimento reciproco. La guida imprescindibile per capire Mario Lodi rimane, a mio parere, Il paese sbagliato. Diario di un’esperienza didattica, nel quale quotidianamente il maestro lombardo racconta a una giovane collega la sua esperienza di insegnamento in classe, fornendole una sorta di diario di bordo per raccontare le luci e le
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ombre della scuola italiana, vista dal suo minuscolo osservatorio: la scuola elementare di Vho di Piadena, il paese della Bassa Padana in cui è nato e dove ha insegnato per gran parte della sua vita.
Con un acume e una lucidità che ancora oggi sconcertano, l’autore legge il farsi quotidiano della vita nella sua classe, dalla 1° alla 5°, fin dal primo giorno di scuola, quando accoglie i bambini e le bambine che stanno iniziando il loro percorso di studi. “Ricevere dai genitori i figli in consegna per educarli mi ha sempre dato un senso di sgomento” scrive il maestro, ben esprimendo il senso di inadeguatezza che coglie ogni docente coscienzioso davanti alla grandezza del compito che gli si prospetta davanti quando mette piede in una classe. La risposta del maestro Mario Lodi andrebbe scritta nelle prime pagine di ogni manuale di pedagogia o
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didattica adottato nelle Facoltà di scienze della Formazione, per imprimersi nella mente dei giovani che decidono di affrontare la strada dell’insegnamento: «Ciò che siamo si rivela subito il primo giorno, quando di fronte ai bambini devi decidere come impostare il tuo lavoro: per asservire o per liberare. Da questa scelta discende tutto il resto, anche la tua dimensione umana». Ma l’originalità di Mario Lodi rimane l’aver trasformato i racconti dei suoi alunni e alunne in opere narrative che ancora oggi mantengono la freschezza dell’immaginazione infantile, al di là del passare del tempo, soprattutto nel caso degli esperimenti più riusciti: l’ormai classico Cipì, La mongolfiera, Bandiera, Bambini e cannoni, tutti più volte ripubblicati nel corso degli anni, letti e amati dai bambini di diverse generazioni. Il centenario dalla nascita del maestroscrittore, che ci ha lasciato a 92 anni nel 2014, è l’occasione giusta per ripercorrere la sua produzione bibliografica, focalizzando l’attenzione sulle opere a nostro parere più significative, senza pretendere di esaurire il discorso critico su un autore prolifico e multiforme come Mario Lodi.
Un capolavoro, un’esperienza didattica Cipì viene pubblicato per la prima volta da una piccola casa editrice milanese nel 1961; quindi, dopo una de-
cina di anni, approda nel 1972 nel catalogo della prestigiosa casa editrice torinese Einaudi, e vi rimane fino a oggi, ripubblicato in varie collane e formati, diventando un long-seller nella fascia di lettura che va dalla scuola dell’infanzia ai primi anni della scuola primaria. In quegli anni non sono molti gli autori per bambini che riempiono gli scaffali delle librerie: si trovano molti classici, sia italiani che stranieri, spesso di autori dell’Ottocento, pubblicati in edizioni cartonate destinate alle strenne natalizie; ma dei tanti scrittori e scrittrici che hanno pubblicato negli anni Sessanta e Settanta ben pochi sono sopravvissuti al loro tempo, arrivando fino ai lettori di oggi, trascinati nel dimenticatoio dal trascorrere degli anni. Fanno eccezione alcuni nomi illustri, tra i primi che mi vengono in mente: Gianni Rodari con tutta la sua produzione; Italo Calvino, per quanto riguarda le sue opere più indicate per i ragazzi, dai racconti di Marcovaldo alla favolosa trilogia dei Nostri antenati; Elsa Morante con le sue Bellissime avventure di Caterì dalla trecciolina. Cipì rimane un’opera che ancora mantiene intatto il suo valore letterario, iscrivendosi a pieno diritto nel panorama letterario del suo tempo come una felice eccezione, e subito travalicandolo con la freschezza e l’originalità dei classici. L’opera nasce da un’esperienza didattica innovativa e rivoluzionaria: mettere al centro della costruzione testuale le parole dei bambini, la loro creatività, le metafore e le personificazioni che inventano per spiegare i fenomeni naturali, i disegni che realizzano per accompagnare la storia. Per questo Cipì è firmato da Mario Lodi «e i suoi ragazzi», che sono coautori a pieno titolo e animano il testo con la loro inventiva, usando una lingua semplice, diretta e priva di retorica. Il libro inizia con le poche righe che ne descrivono la genesi, riassumendola con l’ossimoro della «favola vera» inventata dai bambini a partire dall’osservazione di una «intensa e drammatica vita», quella di una famiglia di passeri annidati tra le
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tegole di un palazzo, di fronte la loro scuola. Il protagonista è una figura tipica della fiaba classica: l’ultimo di tre fratelli, il più ribelle, colui che cerca di distinguersi e di trovare il proprio posto nel mondo, uscendo il prima possibile dal nido: è il ritratto del nostro Cipì, che deve il proprio nome dal suo pigolare fin da piccolissimo: «Cipì… Cipì, voglio uscire da qui!». Il viaggio del nostro eroe inizia con l’abbandono della casa dei genitori e dei fratelli, spinto da una curiosità e un’impazienza che lo portano ad affrontare subito molti pericoli, ma anche a incontrare la sua prima amica, il fiore Margherì, saggia ma bisognosa di compagnia e di affetto. Da ribelle uccellino, desideroso di volare via dal nido soffocante e iperprotettivo, dopo poche pagine il protagonista si evolve seguendo un arco narrativo ben preciso. Le sue prime esperienze sono negative e pericolose: prima viene catturato dai bambini, che lo usano come un giocattolo; poi incontra l’infido gatto, animale sornione e apparentemente innocuo, pronto a sfoderare i suoi artigli quando la preda è a portata di zampa; infine incappa nei cacciatori, che feriscono ed uccidono con i loro «tubi luccicanti». Ma Cipì non è Pinocchio: impara presto dai propri errori, incontra una compagna, Passerì, un’uccellina ferita dagli uomini durante la battuta di caccia, che gli cambierà la vita: dovendosi prendere cura di lei, impara a crescere, si innamora e decide di creare una fa-
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CENTENARIO DI MARIO LODI
RIPUBBLICATO IL CAPOLAVORO DI MARIO LODI
Lo si potrebbe definire il libro della speranza o l’inizio di un viaggio, il libro della lunga odissea di Mario Lodi nella scuola. Mai da solo, sempre con i suoi alunni, per ripercorrere insieme l’esperienza di maestro elementare dal 1951 al 1962. È urgente riprendere questo libro per trovarvi i principi di una scuola nuova, quella della nostra Costituzione, che pone la conoscenza come base di una nuova umanità. È la scuola tanto agognata e mai divenuta reale, quella che fa crescere gli alunni partendo dalla loro vivace vitalità. Una realtà tanto semplice ma mai divenuta concreta nelle nostre aule. Forse non è mai troppo tardi, forse c’è ancora speranza. Mario Lodi C’È SPERANZA SE QUESTO ACCADE A VHO Laterza, Bari-Roma, 2022 pp. 326, € 19,00
miglia, dimostrando di aver raggiunto la saggezza e la concretezza tipiche della gente di campagna. Il meccanismo narrativo va avanti con l’arrivo di due forti antagonisti; il primo è un evento naturale, catastrofico ma inevitabile: l’arrivo dell’inverno, la neve che ricopre ogni cosa e l’impossibilità conseguente di trovare cibo, soprattutto per gli uccelli. Il secondo è un personaggio inquietante e misterioso: il Signore della notte, un uccello nascosto in un castello, che di notte attira a sé con l’inganno gli uccelli più ingenui uccidendoli, mentre di giorno si spaccia per consolatore delle madri a cui la sera prima ha tolto i figli! Davanti a questa terribile minaccia, anche se non creduto, schernito e emarginato dalla sua comunità, Cipì va dritto per la sua strada, smaschera il mostro e chiude il cerchio del suo viaggio dell’eroe, raccogliendo il plauso di tutti e soprattutto di sua madre, che tanto aveva fatto disperare da piccolo, e che ora riconosce le sue qualità: bontà, generosità, vivacità e modestia. Il racconto si conclude con un lietofine molto tradizionale, ma non per questo stucchevole o falsamente consolatorio: Cipì ha dimostrato il suo va-
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lore davanti alla società, e ora può tramandare ai suoi figli gli insegnamenti che hanno fatto di lui un essere felice, capace di godere dei doni di una natura feconda e pacifica. Le ultime parole del testo sono un manifesto dell’insegnamento che Mario Lodi voleva trasmettere ai suoi alunni, e con loro a tutti i lettori di questo piccolo grande capolavoro: «Essere laboriosi per mantenersi onesti, essere buoni per poter essere amati, aprire bene gli occhi per distinguere il vero dal falso, essere coraggiosi per difendere la libertà».
Il soldatino che non voleva uccidere Negli stessi anni viene pubblicata un’opera in versi, Il soldatino del pim pum pà, una lunga filastrocca pacifista e libertaria, in linea con le idee espresse dall’autore nei suoi testi pedagogici e civili. Il protagonista è un giovane contadino, costretto ad abbandonare la casa e la famiglia per imbracciare fucile e divisa, e cominciare l’addestramento militare. Ma il giovane stringe subito un patto con il suo
fucile: non uccidere mai nessuno, ma “rovesciare” sempre le situazioni di ingiustizia, prepotenza e sopraffazione che incontrerà sulla sua strada. All’inizio l’impresa sembra semplice: punisce un padrone di casa che ha cacciato via una famiglia con tre bambini, e il controllore sul treno che non vuol far sedere in 1° classe i passeggeri della 2°, sovraffollata e senza più posti liberi. Le cose si complicano, e non poco, quando il soldatino incontra un operaio, licenziato perché nella sua fabbrica è arrivato un macchinario, costato milioni, che svolge il lavoro al posto suo. Di chi è la colpa? Del padrone della fabbrica? Di chi ha creato il macchinario? Di chi l’ha costruito? Il soldatino non trova una soluzione ai suoi dilemmi, così va dal re, ma le domande che pone al sovrano, e soprattutto le risposte che dà a lui, gli costano la prigione e la condanna alla fucilazione. Per fortuna, tutti coloro che aveva aiutato nel suo cammino, si mobilitano per salvarlo: il popolo unito rovescia il re, libera il soldatino e lo mette sul trono, con il preciso mandato di governare in modo giusto e onesto: finalmente nel regno tutti avranno un lavoro, una casa e uguali diritti. La storia racconta in modo semplice temi molto complessi, che si affacciavano nell’Italia degli anni Sessanta, in pieno boom economico: Lodi vede le ombre legate a uno sviluppo sociale ed economico tumultuoso ma spesso ingiusto, dove era forte il rischio di lasciare indietro i più deboli, e non accetta come soluzione l’emigrazione o la sopraffazione dei più ricchi e dei potenti sul popolo. Se Cipì è il racconto di formazione in cui avviene la crescita del bambino, che diventa adulto e si inserisce positivamente nella propria comunità, Il soldatino del pim pum pà è il manifesto di una società nuova, senza ingiustizie, con uguali opportunità per tutti, dove il popolo è al centro dei processi democratici. Una meravigliosa utopia, che Mario Lodi ha raccontato nei suoi libri e realizzato nelle sue classi, con i suoi amati ragazzi.
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BIBLIOGRAFIA DELLE OPERE DI MARIO LODI a cura di Valentina De Propris
1957 Il permesso
1972 L’unione fa la forza – L’indagine operaia 1973 Chi siamo 1974 Di Vittorio – Garcia Lorca – Gesù oggi – Insieme: giornale di una quinta elementare – Il libro di testo nella didattica moderna 1975 Picasso
1960 Bandiera: drammatizzazione in tre atti 1961 Cipì
1976 Storia di un ergastolano 1977 Cominciare dal bambino – I pastelli
1963 C'è speranza se questo accade a Vho; Il soldatino del pim pum pà
1988 Costituzione e ragazzi 1989 Il mistero del cane – La cooperativa in classe – Stella azzurra – Storie di adultibambini
1998 Alberi 1999 I bambini della cascina – Misteri – Storia di Antenna – Io e la Natura 2000 La città sottosopra – Verso la libertà 2002 A TV spenta: diario del ritorno – Il drago del vulcano e altre storie 2004 Il castagno 2005 Favole di Pace 2006 Il pensiero di Brio – La strega
1979 Dall'alfabeto al libro – L’alfabeto – Guerra nella foresta – Il mondo – Mare mi piaci – Majacovskij – La sperimentazione possibile: per un uso critico della normativa scolastica – Lingua e dialetti
2007 Diventare cittadini: testo riscritto e esemplificato della Costituzione italiana per ragazzi
1982 Ciao, teatro! – Guida al mestiere di maestro
1990 Carosello magico – Il mio libro bianco – Storie di sassi – La bambina che entrava nei libri – Un gatto un po’ matto 1991 I diritti del bambino, dell'uomo e della natura – Il mondo bambino – La libreria dei ragazzi: guida per l’educatore – La strega – L’arte del bambino
1966 L’uomo e la natura – Alla scoperta della natura – La macchina uomo e le macchine dell’uomo 1967 Via Fiorita. Letture per il primo ciclo della scuola elementare
1992 Alberi del mio paese – Il cielo che si muove
1968 In una nuvola
1970 Il paese sbagliato: diario di un'esperienza didattica
1983 La scuola e i diritti del bambino – La cascina e il mondo contadino del territorio casalasco: ricerche e testimonianze
1971 Come nasce una storia – Il corvo – La strabomba – Il presepio del pastore – Il lupo della prateria – Nonno Agostino – Scuola come liberazione
1985 Bandiera – Il bambino scienziato – I sentimenti: nelle poesie di adulti e bambini – La fantasia: nelle poesie di adulti e bambini
1969 Il libro di testo nella didattica moderna
1987 Bambini e cannoni – Dalla scuola al teatro e ritorno
1997 Cara TV con te non ci sto più
1978 La mongolfiera – Dialetto e altre lingue
1980 Vecchi mestieri in Valpadana 1962 I Quaderni di Piadena
1986 La natura: nelle poesie di adulti e bambini – La pace e la guerra: nelle poesie di adulti e bambini – La Vittoria Alata
2008 Costituzione. La legge degli italiani, riscritta per i bambini, per i giovani, per tutti 2011 Mario Lodi Maestro: con pagine scelte da “C’è speranza se questo accade a Vho” 2012 Bambini: segni, parole, scienza e altro per un gioco ad arte 2013 Alice nel paese dei diritti – Fiabe italiane – I racconti dei bambini – Stella azzurra e altre favole
1993 Fiabe italiane inventate dai bambini d’oggi – Lavori nella Padania – L'orologio azzurro – Nel cuore della terra – Il bambolo 1994 La TV a capotavola 1995 Come giocavo 1996 La busta rossa – Rifiuti: la lezione della natura – Emozioni e colore
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Le politiche culturali in Italia
Le vie del piacere
di Ermanno Detti
La ricostruzione delle scelte culturali ed editoriali del nostro Paese e i rischi di una regressione. Ricordando che rinnegare il piacere di leggere significa rinnegare le teorie di Rodari, Pennac e molti altri prima e dopo di loro. L’assenza di una politica governativa e dei partiti in favore del libro. Quelli che non leggono.
L
’intuizione che il narrare sia legato al concetto di svago si perde nella notte dei tempi, dal mito, alle fiabe, alla commedia greco romana. Nell’Ars poetica, Orazio sostiene esplicitamente, parlando di scrittura, che l’obiettivo del poeta deve essere quello di istruire e di divertire il lettore1.
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Per quanto riguarda la letteratura destinata a bambini e ragazzi è a partire da fine Ottocento che la questione si presenta con chiarezza. Si presenta come letture per il tempo libero, fra le quali giova ricordare Pinocchio: le famose Avventure di un burattino non nacquero subito come libro ma a pun-
tate, per diporto, sulle pagine del “Giornale dei bambini” a partire dal 1881. Collodi era convinto di scrivere – lo dice lui stesso – una «bambinata», ovvero la storia di un burattino disubbidiente e bugiardo che con le sue trasgressioni facesse sorridere e favorisse nei bambini un naturale processo di identificazione. Dall’altra parte troviamo De Amicis che, con Cuore, resta nel solco della letteratura con finalità prettamente educative: con il suo diario di scuola, con alunni provenienti da varie regioni d’Italia, egli tenta la difficile impresa di unire gli italiani con gli insegnamenti morali e civili del buon maestro Perboni. Un discorso a parte meriterebbero i romanzi di Salgari, anch’essi spesso pubblicati su riviste a puntate e capostipiti dei romanzi di avventura. I due romanzi, Cuore e Pinocchio, tracciano fin da allora due strade parallele. De Amicis la strada dei sentimenti e della morale, della letteratura pedagogica; Collodi la strada del sorriso e dell’avventura, della letteratura “gaia” adatta al tempo libero, alternativa agli altri suoi stessi libri per ragazzi (pensiamo al Giannettino e al Minuzzolo, opere didascaliche pensate per la scuola). Non a caso agli inizi del Novecento la lettura di Pinocchio venne sconsigliata nelle scuole con una precisa motivazione: la gaiezza delle avventure del celebre burattino avrebbe potuto distrarre gli alunni dalla serietà degli studi. L’idea della lettura come divertimento e, diremmo noi, come piacere non venne però mai abbandonata. Già nel 1908, nell’editoriale del primo numero del “Corriere de Piccoli”, ci si proponeva di istruire e divertire, promessa mantenuta con le pagine giornalistiche e scientifiche, con quelle colorate dei fumetti, con le ottimistiche storie di Bonaventura scritte e disegnate da Sergio Tofano che, anche teoricamente, sosteneva in pieno 1937 il valore pedagogico del far ridere i bambini2. Nel famoso giornalino vi furono fin dagli inizi, è giusto ricordarlo, anche le pagine delle barzellette. È nel secondo dopoguerra che, fatico-
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samente, le due strade parallele, piacere della lettura e pedagogia, cominciano a toccarsi. A volte facendo scintille, pensiamo all’avversione, negli anni Cinquanta e Sessanta, per la lettura dei fumetti che i ragazzi erano costretti a leggere di nascosto. Ma c’è nel contempo un’esplosione di giornalini, letture soprattutto del tempo libero (è giusto ricordare accanto al “Corriere dei Piccoli”, almeno il “Vittorioso”, il “Pioniere”, “Il Giornalino”, “L’intrepido”, “Vera Vita”). E ci sono alla fine alcuni grandi protagonisti che superano le avversità e le parallele convergono: Alberto Manzi insegna a leggere e a scrivere con il sorriso dallo schermo della tv e nelle aule scolastiche; Gianni Rodari scrive il famoso «ennealogo» in cui denuncia nove comportamenti degli adulti che fanno odiare la lettura ai bambini; Mario Lodi stampa giornalini scolastici e scrive con i suoi alunni un capolavoro come il romanzo Cipì; anche la severa scuola di Barbiana di don Milani prevede per i suoi allievi un «impegno che generi soddisfazione» e momenti di svago, come il nuoto e le escursioni montane. Insomma esperienze didattiche innovative fioriscono in tutta Italia. Scuola, studio e lettura non sono più viste solo come fatica: nessuno mette in discussione la fatica dello studio, ma si esalta l’impegno gratificante che
scaturisce dalla conquista delle conoscenze. Bianca Pitzorno, Roberto Piumini e tanti altri proseguono sui solchi rodariani e non solo. Anche l’editoria per ragazzi, con spirito pionieristico, si adegua e nascono gli albi illustrati e le iniziative di ricerca di nuovi autori e nuovi italiani: è giusto ricordare tra questi personaggi Grazia Nidasio con la Stefi e Valentina Melaverde e Altan con la Pimpa. Ma compare anche qualche goffa “cordata”, l’editoria italiana manda in esilio un grande autore, uno dei più grandi disegnatori del mondo, Roberto Innocenti. È difficile capire questo esilio e perché esso sia raramente ricordato e non sia invece tenuto presente come esempio del nostro provincialismo. La preistoria finisce qui, inizia la nostra storia con tanti studi e riviste che parlano di piacere della lettura, con l’introduzione del libro di lettura nella scuola secondaria prima e nella scuola primaria poi, con l’esplosione nell’editoria della letteratura straniera e italiana dagli anni Novanta, anzi da un po’ prima. Come un romanzo di Pennac sembra chiudere il cerchio; se non altro, con il suo taglio divulgativo, fa da sostegno alla lotta che in Italia anche chi scrive da anni combatte contro le schede didattiche tanto diffuse nella scuola. Scarsi e scadenti gli interventi della politica governativa per la diffusione del libro e della lettura. Lodevole solo la Fiera del libro per ragazzi di Bologna, ma è un evento internazionale, dal quale troppo poco attinge la politica nazionale.
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ormai iperproduttiva: si superano i 3mila nuovi titoli annui. L’editoria si rassegna alla vita breve dei libri in libreria, le nuove tecnologie cambiano la vita, si registra una diminuzione dei già scarsi dati sulla lettura anche tra i giovani, arrivano montagne di albi illustrati, molto ben fatti alcuni, altri lontani da una letteratura per bambini, altri ancora con testi non all’altezza delle illustrazioni. In generale si registra un appiattimento, non si cerca il libro eccellente, va bene quello di media qualità. Arriva la pandemia che chiude la forse eccessiva rincorsa agli eventi, alle letture pubbliche ad alta voce, alle animazioni che hanno sempre più il volto pubblicitario che puramente culturale. C’è una ridondanza di iniziative non sempre di qualità e di attività di promozione in cui l’animazione diventa quasi fine a se stessa o dal sapore a volte commerciale. Mentre la politica è assente e nelle campagne elettorali i partiti fanno promesse generiche di attenzione alla cultura. Non ci risulta che qualche politico rilevi o si preoccupi che gli italiani lettori sono circa la metà di quelli degli altri Paesi industrializzati. Nel frattempo arrivano segnali di restaurazione. I primi riguardano gli at-
Gli attacchi all’innovazione Succedono in seguito altre cose: l’arrivo del marketing che sostituisce le iniziative editoriali “artigianali”, fenomeni come Harry Potter i cui volumoni tutto travolgono e tutto sommergono (scompaiono i libri shorts tanto amati dai ragazzi). Si pubblica fantasy purché sia fantasy, si avvertono i primi segnali di disorientamento dovuti a un’editoria
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tacchi a don Milani e alla scuola di Barbiana, c’è chi dubita di Rodari oppure lo dimentica (si è recuperato un po’ nel centenario, ma spesso con una celebrazione retorica più doverosa che sentita), grandi maestri come Mario Lodi finiscono dimenticati. Si giunge a parlare di pericoli del piacere di leggere3. Noi del “Pepeverde” non mettiamo le mani avanti, ascoltiamo e rispettiamo le nuove argomentazioni. Ci limitiamo soltanto a ribadire che rinnegare il principio del piacere di leggere significa rinnegare non solo Rodari o Pennac, ma anche quanti prima e dopo di loro si sono impegnati su questo tema. Significa in sostanza una regressione culturale. Se mai con lo slogan “piacere di leggere” troppe iniziative e manifestazioni hanno invaso l’Italia. In tutto questo compaiono anche aspetti positivi: l’editoria per ragazzi richiama l’attenzione dei mercati e perfino dei grandi quotidiani. I ragazzi non si scoraggiano, molti si avvicinano alla carta stampata anche seriale. D’altra parte è noto che non tutti divengono lettori grazie alla lettura di capolavori letterari, ci sono molte strade per diventare lettori. Guardando al passato, non si può non ricordare per esempio come la letteratura popolare o la paraletteratura abbiano contribuito alla formazione di lettori in molti paesi occidentali, dagli Stati Uniti all’Europa.
La produzione italiana e la democrazia del leggere Nell’insieme il mercato italiano offre, tra i circa tremila nuovi titoli pubblicati ogni anno solo nelle collane per ragazzi, anche del buono, sia grazie ad autori italiani sia alle opere straniere, in genere ben tradotte. Certo bisogna saper scegliere e non è sempre facile, occorrono competenze purtroppo non sempre diffuse. Una questione, che si pongono educatori e genitori, è quella se sia meglio proporre o lasciar libero l’utente, cioè se rispettare o no le scelte dei bambini e dei ragazzi.
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Crediamo che sia una falsa questione. I grandi maestri sono quelli che sanno proporre le buone letture, siano essi insegnanti, bibliotecari o genitori. Ma questa esigenza deve contemplare anche quella che chiameremmo “democrazia del leggere”, in altre parole il rispetto della libertà di scelta del lettore (indipendentemente dall’età). Perché se, come diceva Ludovico Ariosto, «diversi sono i gusti e gli appetiti», è giusto rispettare anche i gusti e gli appetiti dei lettori, proponendo è logico cibi ben cucinati. Può accadere – ed è molto sano – anche a un ricercatore scientifico di abbandonare riviste specializzate o manuali per dedicarsi a letture superficiali o a giochi enigmistici o rilassarsi con un videogioco o una leggera trasmissione della tv. Vogliamo dire che non c’è niente di male se anche i ragazzi anziché dedicarsi a letture solo impegnative sentono il bisogno di leggere qualcosa di molto più leggero, come un fumetto o una graphic novel (fanno male quegli educatori che impongono solo letture di grandi capolavori). La vita è bella perché non è uniforme e i sogni non hanno mai fatto male a nessuno, per cui ben venga anche un po’ di buona letteratura di evasione. Certo oggi il mondo è cambiato, le nuove tecnologie offrono nuovi scenari, la lettura elettronica appare dominante. Ma, ci dicono le ricerche, la lettura elettronica spaventa fin troppo, appare di più di quello che è, i veri let-
tori non leggono solo sui supporti elettronici. Sono cambiate se mai le abitudini soprattutto dei giovani ma non il cervello, né sono cambiati i principi del vivere. Pertanto giova ribadire che è giusto rispettare le varie interpretazioni che i lettori danno dei testi. Spingerli a ricercare con esplorazioni troppo sofisticate significa indirizzare unilateralmente e annientare elementi di creatività. E così si annienta il piacere degli stessi lettori che “viaggiano” in mondi immaginari dai quali tornano alla realtà arricchiti da quell’esperienza. Dobbiamo convincerci che la finalità dell’educazione alla lettura è di creare lettori critici e stabili per la vita. Non vogliamo parlare di lettura anarchica: è ovvio che vanno tenuti presenti gli studi della critica su questo o su quel testo, ma la libertà di interpretazione è un assioma a cui non dobbiamo mai rinunciare. Se si crede nel diritto di ciascuno di ragionare con il proprio cervello.
Quelli che non leggono Fin qui ci siamo concentrati sui lettori, su cosa leggere, su come leggere. In chiusura vogliamo dedicare un po’ di spazio alla stragrande maggioranza degli italiani, a coloro che non leggono alcun libro. Ne vogliamo parlare anche per una questione di giustizia e di democrazia (sono la maggioranza). Perché se è vero che da oltre venti anni il patrimonio librario, a partire da quello destinato ai ragazzi, si è arricchito, se è vero che sono nate associazioni e riviste specializzate sulla lettura, se è vero che si sono diffusi eventi culturali, è anche vero che i lettori in Italia non sono aumentati, anzi negli ultimi tempi ci sono state recessioni anche tra i giovani. Sembra che quello che è stato fatto non sia servito e comunque non sia stato sufficiente. Alcuni parlano di responsabilità delle nuove tecnologie e di situazioni culturali nuove, sarebbe quella la causa di questi ritorni indietro. Il fatto è che le nuove tecnologie esistono e si diffon-
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dono anche in altri Paesi industrializzati e lì la situazione è di gran lunga migliore di quella italiana e non ha conosciuto regressioni. Inutile girarci attorno, non possiamo nasconderci, in Italia si legge poco, l’ignoranza dilaga e le stesse nostre eccellenze universitarie non ripagano l’assenza di una cultura diffusa. Le cause sono molte e hanno radici nella nostra storia. Ma l’ignoranza ha i suoi costi nel presente, perfino nei rapporti sociali, perfino nella felicità delle persone, perfino nelle scelte politiche. Vivere nell’ignoranza o tra gli ignoranti non è un bel vivere per alcuno. Giova ricordare un dato vergognoso, circa il 60% degli italiani non legge nemmeno un libro all’anno; se poi osserviamo i lettori forti, quelli che leggono almeno un libro ogni uno o due mesi, la situazione dei non lettori si presenta molto più drammatica e allarmante, sorvoliamo per pudore. Quella dei non lettori è una maggioranza schiacciante che dovrebbe preoccupare non solo chi ci governa ma anche tutti noi. Si può fare qualcosa di diverso da quello che è stato fatto fino ad oggi per rimediare a questa situazione? Molti chiamano subito a processo le istituzioni educative. Ci piace ripetere che almeno in parte esse il loro compito l’hanno svolto e lo stanno svolgendo; dal dopoguerra a oggi hanno sconfitto l’analfabetismo diffuso, hanno fornito o ha cercato di fornire ai più gli strumenti culturali di base, i
diplomati e i laureati sono aumentati di dieci e più volte. Questo in generale, poi gli educatori più o meno preparati si sa che esistono. Ma per tentare di rispondere alla nostra domanda dobbiamo guardare anche oltre il nostro sistema formativo, tenendo fermo un punto: gli italiani sono un popolo positivo, lavoratori intelligenti, con alto senso di responsabilità come stanno dimostrando anche in questo momento difficile. L’Italia ha forma allungata da nord a sud e, per scelte politiche scellerate più o meno antiche, non dappertutto è uguale anche sul piano culturale, anzi a veder bene le differenze territoriali sono molto rilevanti. Al nord i non lettori in assoluto – quelli che non leggono nemmeno un libro all’anno – sono circa il 52%, al centro il 55%, al sud e nelle isole il 70%. Altra differenza vistosa riguarda i centri urbani (50%) e le periferie cittadine (57%). La tendenza è fin troppo chiara e quello che stiamo per dire fin troppo banale ma giova ricordarlo: i non lettori aumentano con la povertà territoriale e con la disgregazione sociale. Non a caso il numero più alto dei lettori lo troviamo nella province di Trento e Bolzano, nel Veneto, nel Friuli Venezia Giulia, nell’Emilia Romagna… Tutti territori non solo caratterizzati da un certo sviluppo economico ma anche da una ricchezza e da una nota vivacità culturale (librerie e biblioteche diffuse, ad esempio).
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Nelle altre regioni, in particolare quelle del sud, troviamo spesso un angosciante deserto: disoccupazione, disorganizzazione, corruzione, malavita e altri fenomeni del genere, purtroppo sempre più presenti anche nei più ricchi territori italiani dove si stanno diffondendo come metastasi. In conclusione, non crediamo che la possibilità di sollevarsi possa passare coltivando solo le eccellenze. Nelle società democratiche se la crescita non riguarda anche le classi popolari si registreranno sempre diseguaglianze, discrasie gravi, si creerà aria malsana che tutti saremo costretti a respirare. Per questo se si vuole una vera ripresa bisognerà che riguardi tutto il territorio nazionale, con interventi economici e culturali capaci di ristabilire un equilibrio squilibrato da una lunga storia.
Note 1
Questa la frase completa di Orazio: «Omne tulit punctum, qui miscuit utile dulci, lectorem delectando pariterque monendo» (Ars poetica, 342-343). 2 Scriveva Tofano parlando di bambini: «…facciamoli ridere, poveri piccoli e non stiamo lì con il fucile spianato della morale, della religione, dell’amor patrio, dell’educazione… Facciamoli ridere… Ogni loro risata accenderà un raggio di più di felicità nella loro esistenza, predisponendoli così all’ottimismo e risvegliando in essi il senso della bontà: più benefica quindi dei predicozzi, dei pistolotti e soprattutto della retorica» (Recitare per i bambini, in “Scenario”, n. 5, maggio 1937, pp. 12-13). 3 Per esempio una nota associazione come Hamelin fa autocritica delle sue stesse scelte. Criticando le tante attività di educazione alla lettura scrive: «Come un romanzo di Pennac, con il suo decalogo per costruire lettori e lettrici, è stato per tutti una sorta di manifesto e un vessillo su cui fondare il proprio operato. A distanza di anni mostra invece la sua fragilità e, a volte, senza esagerare, la sua pericolosità”. E denuncia alcuni errori tra cui “pratiche laterali come il gioco, l’animazione, la performance, il racconto orale» (Hamelin e Rachele Bindi, Leggere per leggere, Salani, Milano, 2021, p. 29). Siamo in parte d’accordo: in particolare con Pennac sono stati innalzati vessilli che però non sono mai diventati basi di pratiche educative serie, quei principi sono stati nei fatti ignorati dalle politiche governative e stravolti da un didatticismo talvolta mal fatto.
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Un topos fondamentale della letteratura per ragazzi
Anche le bande non sono più quelle di una volta di Fernando Rotondo
Da Ferenc Molnár a Stephen King e Steven Spielberg, da I ragazzi della via Pál e La guerra dei bottoni a It e Stranger Things, dalla carta ai media cine-televisivi, passando per Emilio e i detective e I Goonies, si può misurare l’evoluzione (e anche l’involuzione) di uno dei topoi fondamentali della letteratura per l’infanzia. Nello spazio così delineato trovano posto, come paletti che segnano un percorso, il giallo La teleferica misteriosa, il romanzo sportivo Le avventure della squadra di stoppa, la Resistenza de La banda senza nome, la serie tv The Astronauts insieme ad altre narrazioni. Tra cui quelle, in epoca più recente, quando la banda si trasforma in branco di bulli, teppisti, apprendisti criminali.
Un’Iliade dei piccoli Siamo dentro la tipologia del romanzo di formazione, in cui il personaggio cambia e alla fine esce dalla vicenda/avventura diverso da quello che era all’inizio, cresciuto, maturato attraverso varie esperienze. Adesso, però, il processo di formazione diventa corale. «La vera novità della letteratura per l’infanzia è […] aver brevettato il cosiddetto ‘personaggio collettivo’ (collective character), cioè un’equipe di attori che, per quanto in possesso di caratteristiche individuali assai spiccate, occupano un medesimo ruolo all’interno della narrazione» scrive Stefano Calabrese.1 Pensiamo ai “militari” Boka e Nemecsek a Budapest, agli scolari Garrone e Franti a Torino, ai detective Emilio e Pony Berrettina a Berlino e come questi si distinguano dagli “eroi solitari” precedenti, come Alice, Pinocchio e Tom Sawyer, e suc-
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cessivi, da Tommy River a Clorofilla e Lavinia. Per convenzione generalmente accettata si fa datare l’inizio del filone della “banda” con I ragazzi della via Pál di Molnár (1907), definito da qualcuno «l’Iliade dei piccoli»,2 ben a ragione, se è vero che l’albero della letteratura europea ha le sue profonde e potenti radici nei poemi omerici, la cui epica può riaffiorare, pur in tono minore,
anche nella narrativa considerata “piccola”. Segue poco dopo un altro classico del genere, La guerra dei bottoni di Louis Pergaud (1912). Le storie sono ben note, tuttavia vanno rimarcate alcune osservazioni particolari in entrambi romanzi: 1) il “gioco della guerra” è combattuto fra pari; 2) l’organizzazione dei gruppi e lo scontro avvengono secondo modelli mutuati dagli adulti (l’esercito e le sue gerarchie, la strategia delle battaglie ecc.), quasi un giocoso preludio alla tragedia della Grande Guerra; 3) alla fine non ci sono vincitori, perdono tutti. In questa prima fase del filone i ragazzi imitano i grandi e i “nemici” sono coetanei. Nel grund, la segheria con le cataste di legname in via Pál, territorio conteso dalle Camicie Rosse dell’Orto Botanico a loro volta sfrattate, sorgerà un palazzo: «E che cosa viene a fare qui l’architetto?» chiede il capo vittorioso Boka al custode, che risponde: «Viene per la costruzione della casa […] Costruiscono uno stabile di quattro piani…».3 Guido Quarzo racconta che a dieci anni fu catturato e legato al palo nel cortile della banda nemica e per la liberazione fu richiesto un riscatto in figurine; quel cortile c’è ancora, «però non ci sono bambini che giocano: ci posteggiano le automobili» conclude amaramente lo scrittore.4 I ragazzi francesi, invece, mimano la rivalità politico-ideologica degli adulti dei rispettivi villaggi, uno di tradizioni cattoliche e l’altro laiche, ma il finale è ugualmente sconsolante: «E dire che, quando saremo grandi, saremo magari scemi come loro» dice il capo di una
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banda al rivale, entrambi reclusi dai genitori nello stesso collegio.5
La fine della banda La seconda fase si può far partire da Emilio e i detective di Erich Kästner (1929): adesso il nemico diventa l’adulto. Emilio e i suoi compagni a Berlino si organizzano come una squadra di polizia per trovare e far arrestare il ladro che gli ha rubato i soldi. Anche in La teleferica misteriosa di Aldo F. Pessina, pubblicato nella “Biblioteca dei miei ragazzi” nel 1937, cinque ragazzi che frequentano un collegio sulle Alpi e hanno formato una società segreta, “La Mano d’Argento”, scoprono una banda di falsari. Appartengono al filone pure le serie poliziesche di grande successo di Enid Blyton “La Banda dei Cinque” e “Il Club dei Sette”. Le bande giovanili vanno spostando il loro obiettivo verso, contro i grandi, i “cattivi”. Infatti, in I ragazzi di una banda senza nome di Guido Petter,6 ambientato durante la lotta di liberazione, i giovani protagonisti passano «dagli scontri con una banda rivale [alla] realtà della guerra partigiana, il gioco della banda si trasforma in azione vera, la maturazione avviene attraverso un’azione rischiosa, che i ragazzi riescono ad affrontare proprio grazie alle abilità acquisite giocando» scrive Pino Boero.7 Nel suo breve saggio dal titolo emblematicamente riassuntivo Boero conclude, tuttavia, che sempre più «l’aggregazione avviene su interessi didattici o moralistici, […] su tragiche esperienze comuni (la droga)».8 Latitano invece la curiosità e voglia di avventura. Pure Anna Antoniazzi rileva la tendenza negativa della trasformazione della banda in branco e come la morte di Nemecsek assurga al valore di metafora: «sembra quasi che Molnár sottolinei che con il protagonista del suo romanzo muoia anche un certo tipo di società per lasciare spazio ad un’altra nella quale l’istanza delle bande perde qualsiasi valenza iniziatica».9 Anche quella di lavagna didat-
tica (in presenza) di coraggio, lealtà, solidarietà.
I bambini di Spielberg e King La terza fase del filone narrativo di cui stiamo parlando riguarda l’ultima trasformazione della banda, che nasce non più per adesione spontanea, bensì per necessità vitale: in una realtà postapocalittica i superstiti devono necessariamente aggregarsi per sopravvivere di fronte ad avversità e minacce. Soprattutto se gli adulti sono mostrificati, mutati in zombie affamati di carne umana, e quella infantile e adolescenziale è l’unica disponibile. In questo senso sono esemplari alcuni libri. Higson in The Enemy (2010) e poi in The Dead (2011) racconta di un gruppo che è assediato in un supermercato dagli adulti divenuti zombie a causa di un’epidemia che risparmia i ragazzi. In Gone di Grant (2009), ripubblicato dieci anni dopo con il ti-
tolo Scomparsi, misteriosamente di colpo tutti gli adulti sono spariti e gli over-quindicenni si uniscono in bande. In La caduta del sole di ferro di Bussi (2020) due comunità di adolescenti sono le sole sopravvissute a una catastrofe ambientale. Il modello a cui sembra ispirarsi - sia pure alla lontana - questo tipo di romanzi distopici10 è un classico come Il signore delle mosche di Golding, certamente non le robinsonade, in cui l’eroe deve resistere da solo ai pericoli. A metà degli anni ’80 escono due romanzi, I Goonies di Kahn (1985) su soggetto di Spielberg, che è anche produttore del film omonimo uscito nello stesso anno, e It di King (1986, in It. 1897), dal quale sarà tratto un film in due parti, rispettivamente nel 2017 e 2019. Libri e film ottengono un grande successo soprattutto fra i giovani e testimoniano la stretta connessione multimediale ormai realizzata di contenuti, testi, temi. Una storia passa rapidamente da/a e tra libro, cinema, tv, videogioco etc.
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Con i Goonies, quattro amici così chiamati dal nome della zona di periferia Goon Docks, per cui il loro soprannome nello slang suona come goony, ovvero “sfigato”, torna l’avventura pura, nella tradizione del filone della banda à la via Pál, con tutti i relativi topoi anche di matrice salgariana e “jamesbondiana”. I signori del club del golf hanno dato lo sfratto alle famiglie del quartiere per costruire nuovi campi da gioco per i ricchi. Ma i ragazzi, quando trovano la vecchia mappa del tesoro nascosta sul galeone del leggendario pirata Willy l’Orbo, si avventurano in un percorso sotterraneo pieno di trappole e pericoli, braccati anche da una banda di criminali. A differenza di Budapest, tutto finisce bene nell’America ancora ottimista di Spielberg.
A volte ritornano, strane cose Se nei Goonies i nemici sono gli adulti, in It, che fu un libro di culto anche dei ragazzini di scuola media nell’ultimo decennio del secolo, almeno fino all’arrivo di Harry Potter, salvo a tornare dopo più di vent’anni a luccicare nell’immaginario giovanile con i due film, la banda dei losers (“i perdenti”) combatte nella città immaginaria di Derry contro una mostruosità aliena mutaforma e polisemica. Che assume via via l’aspetto di tutte le figure dell’horror kinghiano, quelle classiche del vampiro, lupo mannaro, fantasma, creatura di Frankenstein, e quelle comunque entrate nel pantheon della teratologia letteraria, Pennywise il clown, la mummia, il lebbroso, il ragno etc., ovvero le materializzazioni delle principali paure delle sue vittime. It è un organismo che fa tutt’uno con Derry, città immaginaria e riassuntiva del Male più ancestrale e archetipale, e in 22/11/63 Derry è il doppio di Dallas, la città reale dove venne assassinato J. F. Kennedy. I Goonies e It riprendono e sviluppano il tema del gruppo di giovani che lottano per salvare dal male, umano ed extraumano, non solo se stessi, ma l’intera comunità, che spesso si mostra indifferente
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o cieca o sprovveduta. L’avventura rilanciata da Spielberg e l’horrror di cui è re King rappresentano le colonne portanti culturali di Stranger Things, serie televisiva di grande successo, soprattutto tra giovani, che quest’anno arriva in Italia con la quinta stagione, dopo una spasmodica attesa dei fan. È una delle serie più viste, apprezzate e premiate anche dalla critica, per la storia, lo sviluppo della trama, i personaggi, il ritorno del cinema classico di fantascienza senza ricerca maniacale e spreco di effetti speciali, l’ambientazione molto kinghiana in una piccola città che è una porta aperta all’orrore negli anni ’80, quindi senza cellulari e annessi e connessi, ma con radio passo-e-chiudo per comunicare. Apparenta la nuova serie di Donner e il vecchio romanzo di King, entrambi di culto fra i giovani, proprio il contesto: «il luogo dove bambini spariscono, dove mostri minacciano, dove muoiono uccelli […] Dove ci sono pareti che mettono in contatto dimensioni separate o cunicoli che collegano i tempi».11 Gli adulti sono “adulterati”, invasi nel corpo e nella mente da «ultracorpi»,12 da entità aliene che si mostrano in forma di abnormità salite da un nero inferno terrestre o provenienti da un lovecraftiano mondo parallelo. A lottare per salvarsi e salvare anche i grandi sono piccoli eroi, ragazzini, adolescenti. Così, il tema del gruppo di pari, modernizzato e aggiornato ai tempi, ma sempre su basi culturalmente solide e in forme narrative avvincenti, viene riportato alla ribalta dell’immaginario giovanile da nuovi romanzi, film e serie. Come Astronauts, dove cinque ragazzini intrufolatisi in un razzo per un errore
vengono spediti in orbita. La banda dei ragazzi della via Pál non è morta, e non è nemmeno trasmigrata in chat, ma ha subito una mutazione e si muove tra vari media, contaminazioni di genere, racconti di formazione: avventura, thriller, fantascienza, horror. È ancora viva e lotta accanto a noi. Note 1
S. Calabrese, Letteratura per l’infanzia. Fiaba, romanzo di formazione, crossover, Bruno Mondadori, 2013, p. 169. 2 A. Faeti, Gli amici ritrovati. Tra le righe dei grandi romanzi per ragazzi, “Bur Ragazzi”, Rizzoli, 2010, p.184. 3 F. Molnár, I ragazzi della via Pál, “Biblioteca dei miei ragazzi”, Salani, 1989, p. 180. 4 G. Quarzo, Prigioniero nel cortile nemico, in F. Altan et al., Quando avevo la tua età. Tutti gli scrittori per bambini sono stati bambini, Bompiani, 1999, p. 126. 5 L. Pergaud, La guerra dei bottoni, Bur Rizzoli, 1978, p. 309. 6 Pubblicato nel 1972 e poi nel 1996 con il titolo La banda senza nome da Giunti. 7 P. Boero, Fine della banda, in D. Mazza (a cura di), Molti, uno solo. Tipologie della letteratura giovanile, La Nuova Italia, 1994, p. 75. 8 Ivi, p. 77. 9 A. Antoniazzi, Un gioco da ragazzi. Ovvero quado le bande diventano lo specchio della realtà. In E. Varrà (a cura di), L’età d’oro. Storie di bambini e metafore d’infanzia, Pendragon, 2001, p. 115. 10 Si veda di chi scrive: Storie alla fine del mondo, in “Liber”, 129, gennaio-marzo 2021. 11 G. Arduino e L. Lipperini, Danza macabra. Un ballo nel fantastico sui passi di Stephen King, Bompiani, 2021, p. 81. 12 Il riferimento è al famoso film L’invasione degli ultracorpi (1956), un “classico” del genere, a cui Il Mereghetti (Baldini&Castoldi) dà 4 stellette, il massimo.
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Metacosa?
Le evoluzioni dell’universo digitale di Nadia Riccio
A fine ottobre 2021 ha suscitato un certo clamore l’annuncio di Zuckerberg della trasformazione di Facebook in una nuova holding, Meta Inc., che ha sotto il proprio controllo le piattaforme Facebook, Instagram, Whatsapp e lo sviluppo della tecnologia di visori Oculus Rift. Nella presentazione del patron di Facebook, Meta, il cui logo richiama in parte il simbolo dell’infinito, in parte un nastro di Moebius, ma deformati, punta a essere uno spazio digitale di convergenza tra più piattaforme, un ambiente virtuale, dice lo stesso Zuckerberg, tale che “la qualità distintiva del metaverso sarà una sensazione di presenza, come se fossi proprio lì con un’altra persona”.
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a nozione di metaverso era nata negli anni ’90, nel pieno fiorire delle tendenze cyberpunk. È infatti in un romanzo (Snowcrash, di Neil Stephenson) che viene introdotta come realtà virtuale nella quale gli individui possono interagire in modo fittizio attraverso propri avatar. Il termine metaverso nasce dalla crasi tra il prefisso meta, che rinvia ad altro, altrove, e il termine universo, e si candida a essere un mondo parallelo, numerico, nel quale possono essere riprodotte dinamiche relazionali, sociali ed economiche del contesto “reale”. Dagli albori digitali dei primi anni ’90 a oggi, lo sviluppo delle tecnologie ha reso i paesaggi letterari di allora una visione a dir poco ingenua e pittoresca. Le esperienze di MMORPG (massively multiplayer on-line role playing game), ad esempio, in cui i giocatori connessi da ogni parte del mondo, in squadre o individualmente, si sfidano in contest articolatissimi, si sono diffuse sempre più diventando un fenomeno su scala globale che conta milioni di adepti. Ma già a metà degli anni 2000 lo sviluppo di Se-
cond Life – forse il primo universo virtuale che, senza un’esplicita finalità di gaming, puntava a dar vita a un mondo virtuale completo nel quale gli utenti potevano sviluppare aspetti “digitali” del mondo “reale” – riscosse un notevole successo1. È molto probabile che Zuckerberg abbia lanciato il restyling della sua azienda per dirottare l’attenzione di opinione pub-
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blica e investitori dagli scandali e dalle critiche che l’hanno travolta negli ultimi anni, legate al modo in cui Facebook abbia condizionato e condizioni i processi democratici e alla tutela della mole spropositata di dati che gestisce dei propri utenti. Tuttavia con il passaggio a Meta nulla cambia per quanto riguarda le criticità del sistema e, anzi, l’ipotesi di una piattaforma globale, capace di includere le funzioni – e il conseguente scambio di dati personali – fino ad oggi articolati su piattaforme differenti, è una prospettiva che meriterebbe una riflessione scevra da pregiudizi ideologici. L’annuncio della nascita di Meta ha invece solleticato i soliti “apocalittici”, che l’hanno interpretata come l’ennesima innovazione che minaccia il vecchio mondo analogico: è ciò che accade in maniera pressoché sistematica a fronte di cambiamenti tecnologici significativi. E altrettanto di frequente accade che l’approccio alle evoluzioni mediali ricordi l’aneddoto del dito e della luna, ovvero che vengano trascurati gli aspetti maggiormente problematici sottesi alle innovazioni: se tanti infatti hanno evocato il rischio che i contatti “umani” siano abbandonati a favore di immersioni virtuali, pochi hanno sollevato la questione del possesso e del trasferimento dei dati nelle mani di un solo soggetto economico e, per di più, operante in un ambito transnazionale, vicino a una forma di extraterritorialità, con tutte le ricadute economiche e politiche del caso. Il focus della questione non è, a nostro avviso, nella possibilità o meno di Zuckerberg di sviluppare una piattaforma virtuale, iperimmersiva, che abbia la capacità
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di diffondersi al punto di sostituire le altre piattaforme esistenti dedicate ad attività specifiche (si tenga conto, inoltre, della nostra tendenza a osservare il mondo da un’ottica spiccatamente atlantico-centrica, mentre fenomeni di ugual portata si stanno sviluppando anche in estremo oriente, tra Cina e Corea). La vera posta in gioco non è la nascita di una nuova Second Life, più ricca di opzioni e performante. Ciò che dovrebbe attirare la nostra attenzione è la definizione del confine –
sempre più difficile da individuare – tra mondo cosiddetto reale e realtà virtuale. Se infatti fino a un decennio fa questi spazi potevano essere riconosciuti senza troppe esitazioni, al giorno d’oggi non è più così. Metaverso dovrebbe essere un universo “al di là”, oltre quello materiale, ma gran parte della nostra esistenza è già vissuta da simulacri di noi stessi, dall’immagine di profilo, spesso talmente modificata da filtri da rendere i soggetti poco riconoscibili, al pallino mobile che rappresenta il nostro avanzare sul navigatore satellitare. Esistono poi numerosi applicativi di realtà “enhanced”, aumentata, che attraverso i devices digitali ci forniscono informazioni sull’ambiente circostante. Il ricorso continuo a fonti di informazioni online ha completamente modificato il rapporto con la conoscenza, esternalizzando, di fatto, a banche dati esterne il nostro sapere (in quella che entusiasticamente Pierre Lévy aveva definito, a inizio millennio, Intelligenza collettiva). L’uso continuativo, generalizzato, spesso compulsivo che facciamo dei social network (che non è un fenomeno riguardante solo i più giovani, ma coinvolge gli
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adulti, differenziandosi su base generazionale solo la preferenza per determinate piattaforme!) interviene da tempo a modificare in modo significativo la nostra rete di relazioni che afferisce al modo “reale”. La costruzione del sé che ognuno realizza, dalle immagini che propone alle opinioni che condivide, si strutturano e modificano negli ambienti digitali con ricadute importanti all’esterno. Il nostro modo di muoverci, di pianificare le giornate è condizionato da strumenti digitali e la maggior parte delle esperienze vissute è fissata sui social network. La presenza in rete richiederebbe maggiore consapevolezza, anche se si tratta di un processo complesso e non sempre disponiamo degli strumenti che sarebbero necessari. Un’ulteriore difficoltà è costituita dal gap generazionale: il modo di rapportarsi agli scenari mediali dei nativi digitali è radicalmente differente rispetto a quello degli adulti. Per i millennials convivere e costruire la propria identità a partire dall’interazione digitale è un assunto scontato e la loro “realtà” è permeata di elementi che afferiscono a piani virtuali dell’esistenza. Negli adulti (intendendo per adulti una compagine ampissima di età differenti ma tutte accomunate dall’aver incontrato i social network in una fase successiva all’adolescenza), le possibilità delle piattaforme digitali si sono palesate come fantasmagorie tecnologiche, fornendo un catalizzatore e un acceleratore di ciò che prima, nel mondo “analogico” richiedeva tempi e impegno enormi, quando non fosse semplicemente irrealizzabile. Entrambi i gruppi si misurano con apparati che hanno in primo piano la dimensione ludica e ricreativa ma che intervengono nella formazione di opinioni e strategie di pensiero. Si pensi ad esempio al fenomeno delle cosiddette “echo chambers”, ovvero alla tendenza degli individui a selezionare contenuti sempre più affini alle proprie convinzioni di partenza, schivando le occasioni di contraddittorio. La nostra vita procede per interazioni in-
tense con software la cui struttura non è né neutra né ingenua2. La maggior parte dei fornitori di servizi mediali (come Spotify, Netflix, Sky…) hanno un’architettura finalizzata a profilarci e a offrirci contenuti quanto più possibile coerenti con i nostri gusti; al tempo stesso però l’interazione soggetto-algoritmo produce effetti e modifica i nostri gusti, rafforzando delle tendenze o escludendone altre attraverso la selezione automatica di contenuti, con strategie molto più mirate e settorializzanti di quelle che, in epoca analogica, erano affidate banalmente al passaparola tra amici. La maggior parte di noi non è vigile e consapevole di come e quanto le nostre azioni in rete abbiano enormi ricadute sul contesto economico in cui viviamo e su noi stessi. La soglia tra spazio pubblico e privato (al pari di quella tra reale e virtuale) si è dissolta, così come lo è la separazione tra tempo produttivo e tempo libero. Nel sistema economico attuale il tempo libero è motore del mercato globale poiché attiva i consumi molto più dei bisogni primari. Se quindi guardiamo alle piattaforme digitali sulle quali quotidianamente operiamo, dobbiamo riconoscere di essere già attivi in un universo digitale, del quale spesso ci sfuggono i confini ma all’interno del quale i nostri dati, le nostre preferenze, le nostre opinioni circolano ben oltre gli orizzonti limitati dei nostri “contatti” e producono ricchezza “altrove”, nel sistema finanziario del capitalismo avanzato il quale, con uno sguardo disincantato, potrebbe essere riconosciuto come il primo e più esteso metaverso operante. Note 1
Su Second Life aprirono succursali le più grosse aziende mondiali e ci furono candidati politici che svilupparono anche on line le loro campagne. 2 Sarebbe opportuno non perdere di vista le intuizioni di McLuhan, ancora attuali, o gli sviluppi di de Kerckhove sul potenziale “deterministico” delle tecnologie.
Questo contribuito è dedicato a CLAUDIO RICCIO, che avrebbe dovuto esserne il primo lettore e col quale le discussioni erano sempre foriere di nuovi punti di vista.
COMUNICAZIONE 5
I virus e le loro astuzie di Anna Oliverio Ferraris videogiochi esercitano una forte attrazione su molti ragazzi anche perché a seconda del loro comportamento e abilità si sale man mano di livello. Antonella Viola e Federico Taddia, lei immunologa nota al pubblico televisivo, lui un abile divulgatore che si rivolge anche ai ragazzi, hanno cavalcato in Virus Game la strategia dei videogiochi rivolgendosi ai ragazzi dall’iniziale START a un finale NEXT GAME attraverso otto livelli di competenza. In tempi di pandemia siamo bombardati da notizie sull’andamento dei casi, la diffusione, le strategie di prevenzione, i provvedimenti governativi; ma poco sappiamo su come i virus possono attaccare il nostro organismo e soprattutto come il nostro organismo può difendersi dall’attacco virale. Virus Game è un abile libro di divulgazione scientifica che si rivolge ai ragazzi con un linguaggio adatto alla loro età, con immagini e schemi molto chiari per trascinarli, in successivi livelli, a “giocare” quella che gli autori definiscono «la partita della vita», comprendere cioè qual è il difficile equilibrio attraverso cui passa la nostra salute, messa in forse da una serie di sollecitazioni ambientali e, nel caso specifico, da virus, batteri, funghi, protozoi e parassiti di ogni tipo. Perché da quando mondo è mondo gli organismi viventi si devono difendere o convivere con una serie di microrganismi. Questi non sono tutti rivolti ad attaccare il nostro organismo, ma hanno raggiunto con il nostro corpo un equilibrio di mutuo giovamento: una specie di patto che conviene ad entrambi perché loro si riproducono e noi ne abbiamo bisogno. Tant’è che il nostro corpo ospita un microbioma di cui fa parte la flora intestinale, essenziale per il benessere psicofisico, per la gestione della
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nostra alimentazione e anche per un dialogo con quelle cellule nervose, un vero e proprio secondo cervello, che tappezzano il tubo intestinale. Ma non tutti i microorganismi comportano un adattamento vantaggioso per entrambi, l’organismo infatti si deve difendere innalzando una bar-
riera che dipende dal nostro rivestimento esterno, la pelle, dalle mucose della bocca e del naso e da una serie di “sentinelle” che formano il sistema immunitario, la cui funzione è di respingere ogni forma di attacco che provenga dall’esterno. È un sistema che si è formato una memoria di tutti quegli attacchi che sono avvenuti in un lontano passato nelle generazioni che ci hanno preceduto; ma che porta anche una memoria acquisita per gli attacchi che abbiamo subìto individualmente nel corso della nostra vita.
E quando le difese sono insufficienti, la medicina ha trovato dei modi per potenziarle attraverso i vaccini: a partire da quello storicamente più antico, il vaccino per il vaiolo, per arrivare in questi ultimi due anni ai vaccini che permettono di riconoscere gli attacchi del Covid-19. Pregio di questo libro è spiegare in modo semplice e attraverso tappe logiche successive il nostro rapporto con gli “aggressori” di ieri e di oggi, con qualche scheda storica sulle figure di spicco che hanno rivoluzionato la condizione umana a partire da una semplice strategia come lavarsi le mani prima di assecondare un parto: la scoperta fatta dall’ungherese Ignaz Semmelweis che ha avuto l’effetto di scongiurare la febbre puerperale, un tempo molto diffusa e con conseguenze mortali. I ragazzi possono passare attraverso i livelli successivi di Virus Game anche seguendo illustrazioni e test abbastanza divertenti e bene illustrati. Insomma un libro non pesante di scienza della vita quotidiana a cui hanno contribuito le conoscenze scientifiche e divulgative dei due autori. Ottimo anche il contributo dell’illustratore Davide Bart. Questo tipo di conoscenze scientifiche sono importanti in questo periodo, non solo per capire come si muove la pandemia e come fronteggiarla; ma anche perché aiutano a padroneggiare l’ansia e le paure generate da un bombardamento di notizie che non sempre vanno alla radice del problema: un sapere importante anche per i bambini e i ragazzi che spesso non hanno ancora affrontato questi temi a livello scolastico. Virus Game è utile, dal punto di vista didattico, anche agli insegnanti che, seguendo i vari “livelli”, possono veicolare tematiche complesse in modo accessibile, non angosciante ma rasserenante.
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Più libri, meno petrolio
Sharjah, la lettura apre le menti di Franca De Sio
Capitale mondiale del libro nominata dall’Unesco, paese ospite al Salone del libro di Torino nel 2019 e ora della Fiera internazionale del libro per ragazzi di Bologna, Sharjah è uno degli Emirati Arabi Uniti che più ha investito le sue ricchezze in cultura.
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pen books open minds” fu lo slogan scelto da Sharjah nel 2019, quando per i suoi programmi di diffusione del libro e della cultura fu nominata dall’Unesco «capitale mondiale del libro». Lo slogan riflette le convinzioni del suo emiro: Al Qasimi sostiene che «il più grande investimento per un Paese risiede nel costruire generazioni di giovani educati e colti» e che la lettura permette di imparare il rispetto e di distinguere cosa è giusto e cosa è sbagliato1. Torna alla mente il mondo arabo di molti secoli fa, i meriti dei califfi abbasidi che promossero il recupero e la traduzione in lingua araba di opere greche, persiane, indiane e di ogni trattato che potesse essere utile o anche semplicemente dilettevole: dalla medicina all’agricoltura, all’astronomia, alla matematica, alla filosofia; dalle opere di Aristotele a quelle sull’arte della falconeria. E torna in mente anche la “Casa della Sapienza”, la grande biblioteca di Baghdad, fondata nella stessa epoca e aperta a ogni forma di conoscenza, senza distinzione di provenienza. È grazie a questa eredità e a questo atteggiamento di apertura che a Sharjah si investe nella cultura e nella promozione della lettura, utilizzando la ricchezza derivante dall’esportazione di petrolio. Ne sono nate iniziative importanti. È forse l’opera più emblematica, la House of Wisdom che incarna l’idea di biblioteca del XXI secolo, da poco ultimata su progetto di Foster & 24 Pepeverde n. 13/2022
Partners: 13mila mq. tra dune e giardini, uno specchio d’acqua e un’alta spirale che si srotola verso il cielo, opera dell’artista Gerry Judah ispirata agli antichi rotoli di scrittura. La “Casa della Saggezza” è specializzata nella storia dell’arte e dell’architettura araba e islamica, ha origine dalla collezione degli studiosi tedesco-americani Richard e Elizabeth Ettinghausen ed è supportata da tecnologia avanzata. La Sharjah International Book Fair, fondata nel 1982, è una delle fiere dell’editoria più grandi nel mondo, punto di unione e scambio tra l’editoria del Medio Oriente, del Nord Africa e dell’Asia. Nello scorso anno ha esposto 15 milioni di libri, ha visto 1,69 milioni di visitatori e 1.632 editori da 83 paesi. La Sharjah Publishing City, istituita nel 2013, è la prima “zona franca” al mondo a disposizione del settore editoriale. Estesa su 40.000 mq. la City offre 300 uffici arredati, più di 6.000 mq. di spazi commerciali, circa 20 sale riunioni e ogni tecnologia e attrezzatura necessaria. Il progetto Knowledge without borders, in atto dal 2008, ha portato una biblioteca in casa a circa 42mila famiglie, con una cinquantina di libri di varie discipline e libri per bambini; comprende l’organizzazione di conferenze, laboratori e attività educative per scuole, università, biblioteche, ed è rivolto a persone di diverse età e nazionalità. Complementare ad esso è il progetto Library without borders: un autobus-libreria che raggiunge i luoghi
più remoti e offre anche reading e incontri con gli autori. Bodour Al Qasimi, figlia dell’emiro e Presidente della Sharjah Investment Authority, nel 2007 ha fondato Kalimat, casa editrice in lingua araba per bambini che ha vinto numerosi premi internazionali e venduto i diritti dei suoi libri in tutto il mondo2. Con la Fondazione omonima e il progetto Pledge a Library ha realizzato azioni di supporto e inclusione per bambini arabi in diversi luoghi e paesi. Le sue attività e i suoi ruoli sono molteplici: nel 2009 ha istituito l’Etisalat Award for Arabic Children’s Literature; nel 2014 ha organizzato Read to Syria’s Children: una biblioteca di oltre 3.000 libri per i bambini rifugiati della Siria; è presidente della Emirates Publishers Association; ha fondato e dirige la UAE Board of Book for Young People (UAEBBY), sezione dell’IBBY (International Board of Book for Young People) che coordina una rete di progetti di promozione della lettura a livello globale; nel 2020 è stata nominata presidente dell’International Publishers Association (IPA), prima donna araba e seconda donna al mondo a ricoprirne il ruolo dalla fondazione (Parigi, 1986). Guardando a tali iniziative è indubbio che, anche se dovessero diminuire le ricchezze derivanti dal petrolio, a Sharjah resterà la sua ricchezza in cultura.
Note 1
Si vedano: hiips://www.economymaga zine.it /economy/2019/04/24/news/sharjahnuova-capitale-mondiale-del-libro-da-mille-e-una -notte-4331 e hiips://sheikhdrsultan.ae/Portal /en/biography.aspx?c=cat_33. 2 Per l’Italia ricordiamo i libri della collana “Gallucci Kalimat per bambini. Libri-ponte sul Mediterraneo”.
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IL GIORNALE DEI GENITORI
Matteo Lancini e l’età tradita
Com’è difficile essere adolescenti di Rossana Sisti
I colpevoli sono molti e si annidano ovunque, sugli schermi, tra i videogiochi e i social, tra le aggressioni del virus e le imposizioni dell’emergenza sanitaria, nell’isolamento forzato, nelle scuole chiuse e nelle pieghe della DAD. Insomma tutta colpa di Internet e del Coronavirus se i ragazzi non sai più come prenderli? Se vivono connessi in simbiosi con lo smartphone, se vagano annoiati in casa alla ricerca di piazze ed esperienze virtuali, se ingaggiano sfide virtuali e giochi estremi, se a scuola non imparano niente, se fuori di testa finiscono dallo psicologo o in neuropsichiatria a chiedere aiuto?
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li alibi che gli adulti si costruiscono sul malessere degli adolescenti sono zeppi di luoghi comuni e di falsi indiziati. Ma si sa, nell’incertezza è più facile giocare in difesa, trovare nemici piuttosto che sentirsi in causa e inadeguati, sparare nel mucchio là nel pericoloso mondo esterno e nascondere la propria re-
sponsabilità. Più facile distribuire colpe che sentirsi adulti, genitori responsabili di un tradimento in atto nei confronti dei figli e della loro adolescenza. L’età difficile, l’età ingrata, L’età tradita come la definisce nel suo ultimo saggio (Raffaello Cortina Editore; pagine 186, 14 euro) Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, docente all’Università di Milano-Bicocca e alla Cattolica, oltre che presidente della Fondazione Minotauro di Milano. L’età privata di ascolto e sostegno alla propria realizzazione, riempita di superficialità, incertezze e controllo da adulti disattenti e confusi nell’educare. Incapaci di immaginare una comunità educante perché privi di una rappresentazione di ciò che sono l’infanzia e l’adolescenza. Siamo noi, gli adulti, che Lancini osserva con l’indignazione e lo sguardo di chi invece i ragazzi li vede da vicino e ne ascolta i disagi e i dolori dell’anima. Noi con gli stereotipi, le scuse a buon mercato e una fragilità estrema esaltata dalla pandemia, noi abituati a semplificare una com-
plessità irriducibile a banalità. Caparbi nel comprendere che Internet e la pandemia hanno solo esasperato un disagio generazionale già esistente e ostinati nel guardare al mondo dei ragazzi secondo uno spiccio senso comune. Attraverso cliché che forse calzavano di più alle generazioni precedenti, «senza comprendere di quale funzione adulta, autorevole, non stereotipata, le ragazze e i ragazzi nati nel nuovo millennio abbiano disperatamente bisogno». Proprio quegli adolescenti che alla pandemia hanno risposto con responsabilità e altruismo benché il mondo adulto li abbia indicati tra i maggiori portatori del contagio e chiesto loro di sacrificare la propria libertà in un’età di estremo bisogno di vita sociale. Intanto, premette il professore, bisogna distinguere i bambini dagli adolescenti accorpati improvvidamente sotto la stessa etichetta di minori. E non solo perché le differenti fasi di sviluppo meritano approcci diversi. Oggi, «il modo di guardare ai bambini è radicalmente cambiato, mentre non è accaduto lo stesso con gli adolescenti che vengono ancora pensati come ribelli, trasgressivi, onnipotenti. Da diversi anni sostengo – sottolinea Lancini – che la più importante emergenza educativa e formativa italiana dipende dal processo di adultizzazione del bambino, a cui fa seguito un’infantilizzazione dell’adolescente». In sostanza nella famiglia affettiva attuale, dove il desiderio più grande è la felicità dei figli, si chiede molto presto ai bambini di far da soli, di frequentare amici, «di crescere secondo dettami adulti che favoriscono l’autonomia, la socializzazione, l’espressione di sé e delle proprie inclinazioni, per poi guardare con sospetto agli adolescenti che hanno puntualmente aderito alle proposte provenienti da mamma e papà, scuola e universo massmediatico. I bambini crescono adeguandosi alle esigenze, alle richieste e al funzionamento di una società complessa, individualista, permeata dalla necessità di sovraesporre se stessi e la propria immagine, ma quando arriva l’adolescenza quasi tutti li guar-
IL GIORNALE DEI GENITORI dano straniti». Perché a questo punto, mentre gli adolescenti sono diventati esattamente come sono stati cresciuti da bambini – narcisisti, bisognosi di successo personale e popolarità, pronti a intraprendere la realizzazione di sé – invece degli incoraggiamenti, dei sostegni ad affrontare i cambiamenti fisici e psichici dell’età, arrivano gli atteggiamenti infantilizzanti: le incomprensioni, il controllo, le regole sui comportamenti ritenuti esagerati, le colpevolizzazioni, le censure, i paletti mirati a rimetterli in riga e renderli obbedienti. Un inno alla mortificazione. Gli adulti sono convinti che l’adolescenza sia l’età in cui si è incapaci di frenare i propri comportamenti estremi e sconsiderati, in cui si finisce vittime di dipendenze da alcolici e droghe, e più ancora da Internet. Pensano di avere a che fare con ragazzi onnipotenti e invincibili, ribelli e trasgressivi. Un falso mito. I bambini, spiega Lancini, vivono nell’onnipotenza, non gli adolescenti che invece si sentono fragili e spaesati, non all’altezza delle aspettative di quella famiglia affettiva in cui sono cresciuti. Perciò in loro prevalgono vergogna, senso di inadeguatezza e delusione per ciò che sono diventati, e rispetto a cui alcolici, droghe e sballi vari funzionano da anestetici e lenitivi. Una sorta di antidolorifici a un malessere che non trova parole per esprimersi. Anche le maxirisse giovanili organizzate su Internet a cui abbiamo assistito in fase post lockdown riprese dai cellulari dei più o gli atti di teppismo segnalati in tanti centri storici non andrebbero letti, a parere del terapeuta, come episodi di pura trasgressione, quanto di un bisogno di visibilità e di attenzione al proprio disagio, coerente con una società che fa della sovraesposizione, dell’audience e della notorietà i propri capisaldi. Ma attenzione, se una parte di adolescenti reagisce al proprio conflitto emotivo ed evolutivo in modo rumoroso, racconta in sostanza il professor Lancini, «molti altri, non va dimenticato, comunicano invece il loro dolore
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in maniera più silenziosa, muta, utilizzando come megafono il proprio corpo». È come se il retropensiero inespresso recitasse «Meglio morti e popolari, piuttosto che in vita e trasparenti». È dunque tempo di smetter di dare la colpa di tutti i mali a Internet, dall’abbandono scolastico al ritiro sociale, dagli atti di autolesionismo al suicidio stesso, quando è evidente che l’accusa arriva da una generazione di adulti che la Rete la utilizza in modo intensivo e illimitato. Senza negare le esagerazioni, Matteo Lancino sottolinea le
giovanissima età ha accettato il patto con il rischio di morte». Decaloghi e ricettine facili facili per genitori e insegnanti alle prese con ragazzi che non funzionano come si vorrebbe, ovviamente Matteo Lancini non ne produce. Ciò che sollecita è una rivoluzione di atteggiamenti che tengano conto degli adolescenti reali, ciascuno con la propria unicità, ma tutti con una sensibilità non comune allo sguardo di ritorno dell’altro. Capaci di comprendere e aderire alle proposte di una relazione autentica e autorevole, di fidarsi e affidarsi, di ri-
contraddizioni del modello educativo corrente in cui si chiede solo agli adolescenti di fare a meno di Internet, «proprio nella fascia di popolazione a cui abbiamo imposto di nascere e crescere onlife (per usare un neologismo che indica la pervasività della Rete nella nostra vita ndr) proprio a coloro che, se non sapranno utilizzare Internet difficilmente avranno qualche possibilità di costruirsi un futuro personale professionale nella società che abbiamo allestito e che stiamo lasciando in eredità». Eccola di nuovo l’età tradita. «Sono semplificazioni insopportabili, culturalmente dannose. Rimuovono ancora una volta il dolore, negano la difficoltà evolutiva, spingono lontano qualsiasi pensiero suicidale, non raccolgono in alcun modo il segnale proveniente da chi in
conoscere un approccio educativo e affettivo che affronti e accolga tristezze, sofferenze, fatiche e fallimenti. «Non capita spesso una pandemia per mettere mano alle nostre contraddizioni e fragilità – conclude Matteo Lancini – per intervenire a contrasto della povertà educativa imperante, per identificarci con le ragioni evolutive emotive e psichiche degli adolescenti, per essere interlocutori credibili e autorevoli di figli e studenti, per svolgere una funzione significativa all’insegna dell’ascolto e del rispecchiamento». Dunque un’opportunità straordinaria «per smettere di guardare bambini e adolescenti senza vederli, di ascoltarli senza sentirli, di essere adulti troppo fragili per accettare ciò che stanno vivendo e provando a comunicarci».
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IL GIORNALE DEI GENITORI
Ragazzi miei, nipoti immaginari1
I nonni e l’invincibile fiducia nel futuro di Franca De Sio
Da genitori se ne parla meno: si è presi da interessi contingenti e distraenti, che impediscono una visione a lungo raggio di ciò che accade, di ciò che è davvero importante. Da nonni, invece, si vede lontano, si guarda ad un più ampio orizzonte. Quanto più si accorcia la nostra durata terrena, tanto più lo sguardo si proietta all’intorno e in avanti, verso il futuro dei nostri nipoti. Vorremmo vederli già iscritti nel cerchio del mondo con tutta la loro perfezione possibile, e in tutta la perfezione possibile del mondo.
È
per questo che, da nonni, si ha tanta voglia di raccontare, insegnare, trasmettere, raccomandare… Se ne sente il bisogno più fortemente quando si avverte, con la sensibilità sviluppata per le esperienze trascorse, che nella realtà presente e futura dei nipoti possa guastarsi qualcosa, possano sporcarsi le idee chiare e i giusti ideali raggiunti con grandi
fatiche. I nonni non vogliono che le vite dei loro nipoti vadano a iscriversi in un cerchio-mondo malato. I nonni sanno che le mascherine Ffp2 non difenderanno i loro nipoti dall’ignoranza, dai miti obnubilanti collettivi, dalla intenzionale cancellazione del ricordo di quanti furono giusti e di quanti no. I nonni vogliono che i loro nipoti sappiano quanto faticoso sia
Foto tratta da : hiips://www.lintelligente.it/2018/10/15/marxisti-immaginari-parte-prima/
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stato costruire la pace, e quanto rapida, facile e catastrofica sia stata la strada verso la guerra, verso la perdita dei diritti, della dignità, dell’umanità. Vogliono che si sappia quanto i giusti hanno dovuto soffrire e combattere perché la dignità di persone e popoli fosse riconquistata. Non del tutto e per tutti, ancora: sotto ogni parallelo del nostro pianeta sembra avanzare il Male, non è un’entità astratta, ma il concreto potere del pensiero malato degli uomini. I nonni sanno che le ancelle del Male sono la menzogna, l’ignoranza, l’odio, l’egoismo, la povertà morale, l’indifferenza. E si chiedono cosa altro debba accadere per svegliare le coscienze, adesso e qui: in un mondo seviziato e cannibalizzato; in un mondo dove si costruiscono muri; si pagano aguzzini in paesi lontani per tenersi fuori dalla vista bambini e adulti che chiedono aiuto; in un mondo dove, tra genti e paesi che si ritengono civili, crescono moti di insofferenza e odio verso coloro che costituiscono “un problema”. Alcuni nonni hanno molti anni, sono stati vicini all’Assurdo (iniziato in Italia con le leggi razziali del 1938) e all’Indicibile (i lager, gli esperimenti genetici, le selezioni, i forni, la Shoah). Sanno quanta normalità può precedere l’inizio dell’orrore. Quell’orrore fu per loro indicibile ai figli, troppo poca era la distanza tra la loro e la propria straziata gioventù. Per se stessi e per i figli tacquero, vergognosi dell’ignominia altrui2; tennero la loro memoria lon-
IL GIORNALE DEI GENITORI
tana, rinchiusa e silenziosa per trenta, quaranta, cinquanta anni. Molti altri l’hanno sepolta con sé. Per decenni quei nonni si sono impegnati a costruire tenacemente l’avvenire: con lo studio, con il lavoro, fondando famiglie, allevando figli, accudendo nipoti. Poi, mentre la vecchiezza li riavvicinava al passato, ai loro incubi sommersi, con sofferenza hanno lasciato che venissero a galla. Per i loro nipoti, reali o immaginari, hanno voluto raccontare. Ne hanno sentito il dovere. Quei nonni vedono l’egoismo che vuole trasformarsi in teorie, i raduni virtuali e reali sotto i simboli di regimi infami, i tentativi di negare e oltraggiare la memoria, di dare agli ebrei superstiti della Shoah anche la colpa di non essere morti3. Per malefica coincidenza, è ac-
caduto che il silenzio dei loro ricordi e il virus del Male, quello del pensiero malato degli uomini, abbiano avuto la stessa durata temporale di incubazione. Per questo i racconti dei nonni ora si fanno pungolo, si pubblicano più memoriali, si registrano più testimonianze, si moltiplicano gli incontri con i ragazzi nelle scuole. Ma sono pochi i nonni rimasti a raccontare. Sono soprattutto nonne, donne con una invincibile fiducia nel futuro, con un indomito senso di maternità, che estendono al mondo e ai nipoti. Quelle nonne si chiamano Goti (Agata) Herskovitz Bauer che per oltre vent’anni ha testimoniato nelle scuole di Milano4 e ha scritto: «Ho sempre pensato che se fosse rimasto anche solo un seme di quanto raccontato a migliaia di giovani, ne sarebbe valsa la pena»5; Edith Bruck che nel suo Il pane perduto (La nave di Teseo, 2021) ha voluto raccontare ancora, ed esprimere la sua paura per le nuove ondate xenofobe; Rosa Hanan che nelle interviste raccomanda ai giovani di ricordare, di parlare per quelli che tra un po’ non potranno più farlo; Ginette Kolinka che per oltre sessant’anni ha taciuto anche in famiglia e poi ha deciso di accompagnare a Birkenau i liceali francesi (Ritorno a Birkenau, Ponte alle Grazie, 2020); Dita Kraus che nel suo libro Delayed Life 6 scrive: «È indicibile ma tenterò di parlarne perché devo»; Diamantina Vivante Salonicchio che nelle interviste dice di aver paura «per le teste rasate del presente»; Liliana Segre che dopo la nascita del primo nipote scelse di fare lo «straziante mestiere» di testimone, e di attivista e di politica7, sotto scorta dal 2019 per le crescenti minacce e insulti che ha ricevuto; Arianna Szörényi che solo pochi anni fa ha trovato il coraggio di pubblicare il suo diario di memorie (Una bambina ad Auschwitz, Mursia, 2014) per «contrastare chi osa, mentre alcuni dei sopravvissuti sono ancora in vita, minimizzare, addirittura negare, quanto accaduto». E ancora Virginia Gattegno, Andra e Tatiana Bucci, e ormai pochissime altre. Contro l’incalzare di quel Male, il pensiero malato degli uomini, e contro l’incalzare del Tempo, almeno
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tutte le nonne d’Italia, almeno una volta, dovrebbero chiamarsi Agata, Edith, Liliana… e continuare a raccontare, e dire ai nipoti: «Non dite mai che non ce la potete fare. Non è vero. Ognuno di noi è fortissimo … Le nostre azioni hanno importanza, tutte, e di ogni azione dobbiamo assumerci la responsabilità»8.
Note 1
Il titolo vuole ricordare da un lato l’accorato appello a pensare con la propria testa, senza farsi trascinare dalle mode del momento, che Vittoria Ronchey rivolgeva agli studenti e alla scuola negli anni ’70 (Figlioli miei, marxisti immaginari, Rizzoli, 1975); dall’altro i «miei nipoti ideali», come Liliana Segre chiama i giovani, ai quali soprattutto si rivolge per «aiutare gli italiani di oggi a respingere la tentazione dell’indifferenza … A non anestetizzare le coscienze, a essere più vigili, più avvertiti delle responsabilità che ciascuno di noi ha verso gli altri» (dal suo primo discorso in Senato, il 5 giugno 2018). 2 «…la vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa». Primo Levi, La tregua, Einaudi, 1963. 3 Più volte Liliana Segre ricorda la sua persecuzione «per la colpa di esser nata» (Gherardo Colombo, Liliana Segre, La sola colpa di essere nati, Garzanti, Milano, 2021) e avverte che è nell’indifferenza generale che avvengono le più gravi violazioni della dignità dell’uomo. 4 Si veda: Marina Riccucci, Laura Ricotti, Il dovere della parola. La Shoah nelle testimonianze di Liliana Segre e di Goti Herskovitz Bauer, Pacini, Pisa, 2021. 5 Messaggio inviato per il conferimento della “Cittadinanza onoraria per la pace” ai sopravvissuti italiani alla Shoah, organizzata da Comune e Museo della memoria della diocesi di Assisi, e dall’Unione delle Comunità ebraiche italiane. 6 Titolo italiano: La libraia di Auschwitz, Newton Compton, Roma, 2021. 7 Dal 2018 è senatrice a vita della Repubblica italiana. Dal 2021 è presidente della Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza. 8 L. Segre, Scolpitelo nel vostro cuore, Piemme, Milano, 2021.
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IL GIORNALE DEI GENITORI
Torna l’Enciclopedia della favola curata da Gianni Rodari
365 favole dal mondo per capire il mondo di Francesca Baldini
In un momento storico nel quale siamo alle prese con una emergenza pandemica che sembra non avere mai fine, gli Editori Riuniti si sono resi protagonisti di un’operazione culturale davvero meritoria: quella di riproporre – a distanza di cinquant’anni dalla prima edizione – l’impegnativo volume di oltre mille pagine, dal titolo l’Enciclopedia della favola. Curato da Gianni Rodari, e da lui stesso tradotto unitamente a Maria Lucioni Diemoz e Franco Prattico, il volume raccoglie 365 racconti, provenienti da tutto il mondo.
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al punto di vista della struttura, l’Enciclopedia della favola se da una parte si rifà palesemente alla tradizione illustre, rappresentata dal Decameron e da Le mille e una notte, dall’altra sembra ispirarsi ancor più – per il numero dei suoi racconti – alle Novelle per un anno di Pirandello. In esse, come è noto, lo scrittore siciliano si
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era proposto di narrare “una novella al giorno”, per tutti i 365 giorni dell’anno. Ricalcando tale modello, insomma, l’opera curata da Rodari ci propone una sorta di “viaggio” che, scandito per tappe successive, ha il merito di ricollegare la dimensione del quotidiano nelle nostre esistenze. Di più: il volume, attraverso una narra-
zione semplice e piana, ci conduce in giro per il mondo; dimensione, questa, che ci trova psicologicamente più che sensibili, in un momento in cui stiamo assistendo alla chiusura delle frontiere e alle progressive restrizioni sanitarie. Del resto, si potrebbe osservare, tale condizione creata dal racconto non è certamente nuova. Ce lo ricorda Giovanni Boccaccio, il quale, nella famosissima novella di Madonna Oretta, ci mostra quanto possa l’arte del novellare attutire la fatica e la noia prodotte dal “viaggio”, inteso come metafora della vita. Alla gentildonna fiorentina, che fa parte della celebre “brigata”, uno dei cavalieri si propone di “portarla” più speditamente, raccontandole per l’appunto “una novella”. Peccato però che egli, essendo malde-
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stro, riesca solo a vanificare la malìa della narrazione, inducendo la donna a “scendere da cavallo”. Ed è dunque proprio il “buon racconto” – che rimane una preziosa forma di evasione atta a farci dimenticare tutti i nostri travagli quotidiani – la chiave con la quale predisporsi a leggere l’Enciclopedia, concepita per corrispondere all’esigenza di chi, stanco della giornata e delle vicissitudini dell’esistenza, ha la possibilità di rendere il “viaggio” più leggero e interessante e di condividere la narrazione favolistica con i propri figli. I racconti, dai più lunghi ai più corti, dai più allegri ai più tristi, sembrano infatti adattarsi a tutte le situazioni e a tutte le età. In essi è non a caso sottesa quella morale e quella antica saggezza che oggi più che mai costituiscono l’antidoto più efficace nei confronti delle moderne tecnologie. Queste, se da un lato ci esaltano in quanto espressione della postmodernità, dall’altro ci disorientano e ci angosciano con il loro riferimento spoetizzante a una realtà spesso artefatta e virtuale. A tale proposito, ha osservato molto opportunamente Ermanno Detti nella sua Prefazione: «Nel nostro mondo globale e tecnologico è bello e salutare intrecciare sensibilità, principi e valori variegati, appartenenti alla saggezza dei diversi popoli della Terra. Sono un buon segnale anche per i ragazzi di oggi perché indicano che dietro un’apparente semplicità si cela spesso una complessità che richiede di fermarsi a riflettere. Oggi il nuovo consente che
la vita scorra in fretta ed è giusto che sia così. Ma non bisogna dimenticare che il tempo necessario per leggere un libro è lo stesso di secoli fa». Ed è proprio attraverso la lettura di queste favole che possiamo recuperare – per la varietà di contenuti e di strutture proposta – quella “trasversalità” e quella ricchezza di valori umani nei quali oggi più che mai ci riconosciamo pienamente. Un prezioso contributo alla riuscita dell’opera è poi offerto dalle
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originali illustrazioni di tre disegnatori cubani – Raúl Martínez Hernández, Yancarlos Perugorria Díaz, Héctor Saroal González Peñalverl –, i quali, con la scelta fantasiosa delle tinte e dei colori, contribuiscono in modo decisivo a conferire all’opera un carattere divertente e originale, capace di avvicinare i lettori al ponderoso volume. Esso ha l’indubbio merito di metterci di fronte le nostre “grandezze”, ma anche alle nostre “miserie”.
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IL GIORNALE DEI GENITORI
Petrosino racconta la sua gioventù ai ragazzi di oggi
Un’infanzia difficile ma infelice mai di Rossana Sisti
Anni Cinquanta. La guerra è alle spalle ma nessuno ne ha dimenticato le ferite. La Repubblica è giovane, il Paese ha voglia di crescere eppure nel profondo Sud nessuno conosce gli anni d’oro nascenti dell’economia italiana.
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Castellaneta, un puntino nella campagna pugliese a una manciata di chilometri dal mare, c’è un borgo antico circondato da campi e uliveti dove i più sono donne, vecchi e bambini; in gran parte senza lavoro, gli uomini hanno cercato fortuna al Nord o all’estero. In Francia come il papà di Lino, emigrato per mantenere la famiglia rimasta al paese, la moglie e il piccolo Angelo, Lino come lo chiamano tutti. Il bambino di nove anni che incontriamo tra le pagine di questo libro, il-
lustrato con la consueta ironia da Sara Not, Bambini si diventa in uscita per Einaudi Ragazzi (pagine 186; 14,50 euro), l’autobiografia infantile che Angelo Petrosino, oltrepassati i settanta, regala a se stesso e ai bambini di oggi. Con uno sguardo di verità mai privo di leggerezza e tenerezza per il bambino che è stato in tempi tanto difficili per il Sud e per il Paese. Quasi un tributo dovuto ai suoi lettori con cui da sempre ha un filo diretto e che da sempre lo interrogano sulla sua infanzia. Come viveva, come andava a scuola, come giocava, che amici aveva, cosa leggeva, dove andava in vacanza, come ha scoperto di voler fare lo scrittore? Da oltre trent’anni Petrosino racconta con i suoi libri i bambini di oggi, accompagnandone la crescita e l’evoluzione: il mondo di Valentina non era più quello di Jessica e le sue fatiche non sono state quelle dei contemporanei Francesco e Marta, protagonisti freschi freschi del suo ultimo romanzo, Fratello e sorella per forza. Sempre da scrittore ha aiutato i bambini a capire il loro mondo e quello degli adulti, a interpretarne i bisogni e i sogni che coltivano, senza nostalgie o confronti saccenti con la propria esperienza del tipo «Eh, ai miei tempi…».
Foto di Angelo Petrosino per l’espatrio
«Ho vissuto in un tempo completamente diverso da quello attuale – racconta a Il Pepeverde Angelo Petrosino – gli anni Cinquanta del secolo scorso e in un paesino del Sud. Eppure proprio perché così strana ai loro occhi la mia infanzia ha sempre incuriosito i bambini che ho incontrato e incontro, o i miei scolari, spesso sconcertati dai confronti sulle diverse abitudini, sulle cose che li circondano e sono mancate alla mia generazione come sulle libertà di cui abbiamo goduto. Ma se oggi sono lo scrittore per bambini e ragazzi che i miei lettori conoscono, se ho potuto parlare di loro dalla loro parte, non è solo perché per quarant’anni il mestiere di insegnante mi ha permesso di conoscere tanti bambini e tante sto-
La nonna di Angelo con le sue vicine e i loro figli
IL GIORNALE DEI GENITORI rie. È anche grazie al bambino che sono stato e che racconto nel libro. Il Lino intraprendente, coraggioso, curioso, che non si lamenta, non si spaventa e non piange, che cerca di alleviare le fatiche di sua mamma, cercando di mettere insieme scuola, casa, lavoro e gioco, senza mai sentirsi sfortunato. Cresciuto senza libri ma in mezzo alle storie che un nonno, un narratore formidabile, gli raccontava facendogli venire i brividi nella schiena». Perché spesso avevano a che fare con i morti che poi popolavano i suoi sogni. «Non è dunque un caso – continua Angelo Petrosino – se tutti i miei personaggi bambini possiedono quella grande forza interiore che è stata la mia e quella che mi ha salvato. Ho avuto un’infanzia difficile economicamente ma viva. Infelice mai. A pensarci mi sorprendo ancora. Ho vissuto in case gelide che trasudavano umidità, riposavo in un letto dalle lenzuola bagnate, per terra non avevamo mattonelle ma pietre grezze che mia madre si ostinava invano a pulire. Avevo poco da mangiare e ho patito la fame, nonostante questo godevo di una energia robusta. Presto mi sono trovato un lavoro dopo la scuola come garzone dal barbiere, tenevo pulite le macchinette dei capelli e svuotavo le sputacchiere, affogavo i pidocchi nel petrolio. Ma quel mondo affollato dagli uomini del paese e pieno di chiacchiere e di storie mi appassionava. Ho fatto anche il garzone del sarto; guadagnavo poco ma quel che bastava per potermi comprare qualche biscotto, le figurine e i fumetti che il maestro disapprovava ma io adoravo. Riuscivo persino a dare qualcosa anche a mia mamma. Non mi commiseravo, anzi provavo un grande orgoglio per quello che riuscivo a fare da solo». Questa del resto, di essere diventato il capofamiglia, di stare attento alla mamma e non farla preoccupare mai, era stata la consegna del papà prima di partire per la Francia: «Aiuta tua madre, non farla arrabbiare, e quando ti dice di fare una cosa, ubbidisci, anche se non ti va. Lo so che hai solo nove anni, ma devi cominciare a fare le cose da grandi».
Ora è chiaro perché Petrosino si definisce un bambino nato adulto. Perché a sei, sette, otto anni le cose da grandi le faceva ma senza soffrirne. «Mi sentivo utile e forte – continua lo scrittore – e poi mi piaceva ascoltare i discorsi degli adulti. Ho sempre pensato che forse le mie radici di scrittore affondano in quella curiosità per l’imprevedibile mondo adulto che mi ha sempre appassionato. Sono cresciuto circondato da operai, contadini, muratori, barbieri, ciabattini, quasi tutti analfabeti. La scuola non mi piaceva tanto, scrivere neppure. Girovagare in campagna, rincorrere le lucertole, salire sugli alberi, mangiare quel che si trovava nei campi, quello sì che mi piaceva e forse avrei potuto anche scriverne ma a scuola tutto questo non contava. Una cosa è certa, mai ho immaginato che avrei potuto diventare scrittore. Da bambino non avevo sogni, né potevo immaginare un mondo diverso da quello in cui il destino mi aveva fatto nascere. Sebbene duro e faticoso non mi è mai parso ostile. Se non fosse stata per la possibilità offerta a mio padre di ricongiungersi alla famiglia, e per noi di raggiungerlo in Francia, non avrei mai visto il mondo fuori Castellaneta. Non avrei conosciuto persone e lingue diverse, sperimentato la voglia di studiare e scoperto la passione di scrivere. Sarei diventato anch’io, chissà, barbiere, sarto, muratore o contadino».
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Castellaneta (Taranto), anni Cinquanta: il salone del barbiere
Adulto di una comunità chiusa e legata alle tradizioni, dove la religione s’intrecciava alla superstizione, la generosità al pettegolezzo, la lotta per la vita alla dignità della morte, la durezza dei doveri e l’obbedienza imposte ai bambini alla libertà concessa loro di vivere la libertà della strada. Il grande privilegio di quei tempi». Ma per Angelo il destino ha deciso diversamente, presentandogli l’occasione di imboccare una strada diversa. Il viaggio verso Parigi che gli ha aperto nuovi orizzonti, e soprattutto sogni. Un cambiamento radicale nella sua vita, la fine dell’infanzia. Ma questa è un’altra storia.
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EDUCAZIONE E APPRENDIMENTO
Generazioni a confronto
Che fatica essere adulti! di Paola Parlato
Un tempo educare era un compito quasi naturale: regole chiare e condivise, coccole (ma non troppe) e qualche bacchettata se la ricetta non aveva funzionato. Oggi educare è un compito molto più complesso, vediamo perché.
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n papà si è rivolto a un servizio di ascolto per genitori chiedendo aiuto: la sua bambina di dieci anni resta attaccata al suo cellulare fino alle tre di notte e lui non sa cosa fare. Un altro genitore ha indirizzato il seguente messaggio al gruppo genitori del liceo di sua figlia: «Il nostro istituto ha molti difetti, nessuno lo mette in dubbio, un preside al limite della follia, molti insegnanti demotivati, che non hanno saputo neppure fare tesoro dell’entusiasmo dei ragazzi per la prima volta nella storia felici di tornare a scuola dopo la pandemia, insegnanti spesso incapaci di proporre attività e metodi di insegnamento all’altezza delle necessità dei ragazzi. Questa è la scuola che abbiamo, niente insegnanti alla Robin Williams in L’attimo fuggente, bisogna fare buon viso a cattivo gioco e far valere i diritti dei ragazzi. Ineccepibile. Ma proviamo ad assumere per un momento un altro punto di vista. Sarà colpa della scuola se tutti, ma proprio tutti e sempre, i nostri ragazzi abbassano le mascherine, e lo fanno con un atteggiamento sprezzante e privo di qualsiasi preoccupazione per le conseguenze del loro gesto? Vogliamo incolpare la scuola se uno studente con tono beffardo dice al professore “siamo qui per farvi impazzire”, o se si mette a suonare la chitarra durante le lezioni? Questa è esuberanza, come la chiamano molti, oppure mancanza di rispetto per se stessi e per gli altri, e totale incapacità di comprendere e
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apprezzare dei valori che dovrebbero far parte del corredo morale di tutti? Va bene difendere i diritti dei nostri figli, ma questo non può diventare una giustificazione a tutto. Secondo me il rischio è di delegittimare agli occhi dei nostri figli tutta la scuola, i professori, l’osservanza delle regole, proprio quello che loro dovrebbero imparare a rispettare più di tutto. Credo che il messaggio che i professori ci stanno lanciando sia proprio questo, di stare dalla loro parte, non perché non sbagliano mai o sono perfetti, ma per non delegittimare agli occhi dei nostri figli tutto quello che rappresentano. Troviamo il coraggio di chiedere semplicemente che vengano fatte rispettare le regole, perché la cosa più importante da insegnare ai ragazzi è quella che le loro azioni, se sbagliate, portano a delle conseguenze, anche gravi, delle quali devono assumersi la responsabilità». Nel racconto Il Pannello, Erri De Luca descrive il braccio di ferro ingaggiato nell’anno scolastico 1966/67 da una classe di liceali che rischiarono la bocciatura in massa pur di non denunciare alcuni compagni, rei di aver smontato il pannello della cattedra per guardare le gambe di una giovane supplente. De Luca così descrive il comportamento – netto e unanime – delle famiglie: «Nessun retroterra familiare si mostrò comprensivo nei confronti della colpa, nessuno sostenne almeno un poco i diritti al silenzio di fronte al ricatto. Nessuno: tempi tutti d’un pezzo, non
era solo a scuola il campo del dovere, esso si estendeva a tutta la piccola vita privata. Da adulto ho visto le famiglie difendere figli colpevoli di stupro e di linciaggio, un tempo invece stavano dalla parte dell’accusa. Se un ragazzo non si trova di colpo solo al mondo, mai cresce. Forse era difficile essere giovani in quei tempi anche se, per misericordia, non lo sapevamo. Molte più cose di oggi, in quegli anni erano considerate importanti, molto del futuro di ognuno si decideva sui banchi di quelle scuole».1 Ce n’è abbastanza per un ampio e complesso esame, ma riflettere su questi temi può condurre su un campo minato. Il discorso sull’adolescenza è difficile, controverso e peri-
coloso, un terreno su cui si sono misurati gli studi di psicologia, pedagogia e sociologia, ma anche un vasto campionario di luoghi comuni e banalità, dai sostenitori della «età più bella che ha il diritto di esprimersi e crescere in libertà» ai nostalgici del bastone e la carota come stile educativo. L’adolescenza non è una definizione biologica – o lo è solo in parte – ma una categoria sociale. La storia ha conosciuto epoche in cui l’infanzia non esisteva come età specifica e le bambine e i bambini altro non erano che donne e uomini in miniatura, cui non si risparmiavano gli stessi doveri degli adulti. Fino a non moltissimi anni fa l’adolescenza coincideva con la pubertà e si concludeva intorno ai quindici anni, età limite per intraprendere lavori di apprendistato; intorno ai venti anni di solito si metteva su famiglia. Negli ultimi anni è nata la definizione «adolescenza ritardata», che include sarcasticamente
in questa fascia persino giovani alle soglie dei quaranta che, per ragioni economiche (molti arrivano a questa età ancora in attesa del primo impiego) o culturali (il mito della giovinezza intramontabile, l’omologazione di costumi e stili di vita tra diverse generazioni) permangono a lungo in una sorta di limbo, rimandando sempre più in avanti scelte adulte e assunzione di responsabilità. Vale comunque la pena di restringere il campo dell’analisi a quella fascia di ragazzi che hanno fra i tredici e i diciotto anni. Educare ieri e oggi La parola “educare” non ha in sé nulla di coercitivo, educare vuol dire condurre fuori, chi educa dovrebbe aiutare i ragazzi a essere se stessi, a scoprire e utilizzare lungo la crescita le proprie potenzialità, a costruirsi idee, convincimenti, principi, modelli di pensiero e di comportamento. Ma le famiglie degli alunni del liceo di quei lontani anni ’60 del secolo scorso e il papà della piccola iperconnessa sono lontani fra di loro anni luce. Oggi non sono come un tempo solo gli adulti di riferimento a educare, se una volta i modelli erano i genitori, i maestri e le buone o cattive compagnie, oggi educano le famiglie e il gruppo dei pari, educano i media, educano i social, educa l’intero universo in cui gli adolescenti sono immersi e che determinerà in buona misura le donne e gli uomini che saranno da adulti. Un tempo i modelli proposti erano accettati o rifiutati nel corso della crescita, si poteva scegliere di imitare il modello, criticarlo, diventare altro. Si trattava però di modelli solidi, capaci di durare nel tempo, contrastarli richiedeva consapevolezza e autonomia, perché i modelli, giusti o sbagliati, erano quasi sempre condivisi da tutti gli adulti. Genitori e maestri di un tempo condividevano gli stessi principi educativi, che restavano pressoché immutati da un secolo all’altro e venivano applicati in modo spesso rigido, ma con grande convinzione e serenità. Gli adulti, quale che fosse il loro livello culturale, erano portatori di principi incrollabili ed era una mis-
sione assicurarne la trasmissione alle generazioni successive. A partire dal secondo dopoguerra si sono avuti cambiamenti straordinari nel campo della scienza, della tecnologia, dei modelli economici, culturali e sociali, e soprattutto a una velocità mai conosciuta prima nella storia dell’umanità. E i cambiamenti non potevano non ripercuotersi nel campo dell’educazione. Oggi la situazione è profondamente cambiata, il molteplice è la cifra del nostro tempo, un molteplice che può essere grande ricchezza se gestito con consapevolezza e ordinato secondo opportune gerarchie, viceversa può generare caos e disorientamento. E se sempre più spesso gli educatori sono deboli o inefficaci nel loro ruolo è soprattutto perché sollecitati da modelli diversi in direzioni diverse. I genitori sono spesso fragili e spaventati, temono che i figli possano vivere i divieti come mancanza di affetto e di disponibilità, temono che non accontentarli possa generare in loro frustrazione o comportamenti devianti, temono soprattutto di non essere all’altezza del compito e si rifugiano spesso in una gratificante condiscendenza. «Un no non è necessariamente un rifiuto dell’altro o una prevaricazione, ma può invece dimostrare la fiducia nella sua forza e nelle sue capacità. È il necessario corollario del dire sì: entrambi sono importantissimi».2 Perché i ragazzi hanno bisogno anche dell’ostacolo, del limite che li spinga a misurarsi, della contrapposizione che qualche volta significa per loro «mi prendo cura di te, credo che non sia giusto e perciò non ti lascerò sbagliare e non ti lascerò solo». Ma bisognerebbe per questo che gli adulti recuperassero le loro certezze e che fossero capaci essi stessi di mettere ordine nel caos delle ridondanze in cui siamo immersi tutti.
Note 1
Erri De Luca, In alto a sinistra, Feltrinelli, Milano, 1994. 2 Asha Phillips, I no che aiutano a crescere, Feltrinelli, Milano, 2010.
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INTERVISTE e INTERVENTI
Rilettura dell’opera di De Amicis
Quel che oggi resta del Cuore Non ci sono bellezza e arte che compensino un unico istante di vera infanzia. Heinrich Böll
di David Baldini
Taluni libri sono definiti “classici” per la semplice ragione che non risentono dell’ingiuria del tempo. La loro longevità è, di conseguenza, la migliore garanzia nei confronti degli effimeri mutamenti imposti dalle mode e dai gusti del tempo. Giorgio Pasquali, ad esempio, circa un trentennio fa, scriveva: «Due anni or sono, che ne avevo sessantadue, dopo un intervallo di molti decenni, ho ripreso in mano Cuore di De Amicis per rileggerlo con un ragazzetto di ott’anni e mezzo, cui del resto non era nuovo»1 .
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n questo caso, la ri-lettura dell’opera deamicisiana da parte dell’illustre filologo rappresenta senza dubbio – per l’originalità delle condizioni in cui era avvenuta – una sorta di verifica a «quattro mani», nella quale – immaginiamo – un ruolo non secondario dovette essere svolto dal «ragazzetto» (il nipote). Possiamo arguire che, in quella occasione, il “sessantaduenne” Pasquali abbia avuto modo di verificare – sia pure in modo “riflesso” – non solo le reazioni prodotte dalla lettura del libro in quel bambino, ma probabilmente anche in se stesso, anche se non ne conosciamo il giudizio. Ma, al di là degli aspetti privati, occorre anche tener conto di quelli pubblici. Ce lo ha ricordato Michele Serra in un articolo comparso su “la Repubblica” alcuni anni fa, dal titolo La maestra che lasciò l’eredità alla sua classe. In esso il giornalista vi commentava uno specifico fatto di cronaca riguardante la maestra abruzzese (di Chieti) Ilia Pierantoni, la quale aveva
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lasciato in eredità ad una sua vecchia classe del 1971 – una 1ª elementare di Orogna – venticinquemila euro. Il lascito comportava però l’obbligo, da parte dei destinatari, di rispettare due vincoli: quello di non poter usare la somma a titolo individuale e quello che essa fosse utilizzata dagli alunni – all’epoca signori poco più che quarantenni – per finalità esclusivamente be-
nefiche. A fronte di un tal episodio, Serra non ha esitato a parlare di «banalità del bene», parodiando così, con una ardita inversione di segno, la celebre espressione usata da Hannah Arendt con riferimento ad Adolf Eichman («la banalità del male»).2 Inoltre, riportando la notizia, Serra non ha potuto fare a meno di individuare – quale modello “archetipico” di riferimento dell’episodio – proprio l’Edmondo De Amicis di Cuore. Del resto, il riferimento letterario era quasi d’obbligo, se si pensa che in un altro articolo dello stesso giornale, un alunno, riandando con la memoria ai bei tempi andati, riportava un aneddoto – che più deamicisiano non si potrebbe –, sempre con riferimento alla
INTERVISTE e INTERVENTI maestra Pierantoni. Questa, rivolgendosi ai suoi alunni, così li esortava: «La mattina, quando vi alzate, pensate subito a sbrigare le faccende basilari: fate il letto, pulite la vostra stanza e poi venite a scuola». Ebbene, come non sentir riecheggiare, in queste parole, gli ammonimenti del sempre moraleggiante Bottini-padre, impegnato quant’altri mai, con le sue “lettere”, ad educare – a suon di prescrizioni tassative – suo figlio Enrico? Ma, tralasciando considerazioni generali ed entrando nel merito della questione, occorre ricordare che Cuore, nel quale è descritto un intero anno scolastico di 140 anni fa (1881-82), non fu un libro scritto di getto. Ebbe
al contrario una lunga e complessa gestazione, come lo stesso De Amicis rivela in una lettera da lui indirizzata il 2 febbraio 1878 all’editore milanese Treves. Queste le sue parole: «Ho in testa un libro nuovo, originale, potente, mio – di cui il solo concetto m’ha fatto piangere di contentezza e di entusiasmo… Mi son detto: per fare un libro nuovo e forte bisogna che lo faccia con la facoltà nella quale mi sento superiore agli altri – col cuore. Ho letto i volumi del Michelet. L’ultimo fu l’Amour. Tutta la mia anima si è ridestata. Ecco il mio libro, dissi. Il cuore di vent’anni, la ragione dei trenta… un’opera per tutti, d’una sincerità irresistibile, piena di conso-
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lazioni, d’insegnamenti e di emozioni, che faccia piangere, che rassereni e dia forza, una tesi indiscutibile, da doversi subire per forza, da tutti. Oh, come la sento nei nervi e nel sangue!»3 E tuttavia, al di là dell’apologetico fervore dei “vent’anni” –, cui è associata, da parte dell’ Autore, la visione di un’età genuina, generosa, ma anche “mitica” –, il termine «cuore», usato in quel modo polisenso, finisce per diventare generico, per non dire equivoco. Di tono troppo vago, ad esempio, rimane la definizione di «cuore» inteso come «identità» profonda, quasi l’Autore volesse indicare con essa, un po’ sulle orme di Rousseau, il nucleo pri-
FUORITESTO
ELOGIO DELLA LETTURA CORTA di Paola Parlato el nostro paese c’è stata una felice stagione, tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni Duemila, in cui le case editrici Mondadori e El hanno creato le collane “Shorts” e “Corti”, libri da 60 a non più di 110 pagine, che raccontavano storie personali di ragazzi in crisi o alle prese con il primo amore, temi sociali e politici come la Shoah o il terrorismo. Ricordiamo Cinema Lux di Janine Teisson, del 1998, tenera storia di amore, cinema, musica e cecità; Quel giorno pioveva di Paola Zannoner, del 2002, che narra con ritmo incalzante la bomba di piazza della Loggia a Brescia, con le parole e lo sconcerto di una ignara studentessa quattordicenne; Soldati di Leila Sebbar, del 2004, che mette a nudo i danni morali di tutte le guerre; L’ ultima estate di Barbara Garlaschelli, del 1998, una vacanza diventa rito di passaggio per un gruppo di adolescenti. E fuori dalle citate collane vale la pena di citare Il vento di Santiago, ancora di Zannoner, un romanzo breve in cui alcuni liceali, per aiutare un compagno spiato da una anziana donna, si mettono a indagare e quasi per caso scoprono la storia dei desaparecidos e di una sanguinosa dittatura che solo pochi anni prima ha funestato il loro paese. Per molti ragazzi, soprattutto se sono arrivati all’adolescenza senza avere avuto un incontro felice con i libri, l’approccio alla lettura rappresenta una dif-
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ficoltà insormontabile. La lettura è lentezza e riflessione, ma i ragazzi di oggi sono abituati a una comunicazione sempre più veloce e superficiale. E non è vero, non lo è quasi mai, che l’imposizione, la lettura di un libro proposta come compito, come dovere sia un mezzo efficace per introdurre i ragazzi al piacere di leggere. È forse per questa ragione che negli ultimi decenni si è sentito così forte il bisogno di elaborare tecniche di animazione e di promozione della lettura sempre più numerose e sofisticate. Proprio perché leggere un libro può essere una fatica ingrata per i ragazzi – soprattutto per i non lettori – bisognerebbe proporre loro in una prima fase libri soprattutto brevi. Un ragazzo non avvezzo alla concentrazione è difficile che possa reggere, alla sua prima esperienza, la lettura di un testo lungo. Non solo, la storia deve essere ben scritta e avvincente nel contenuto, il linguaggio agile e brillante, il giovane lettore deve essere catturato da questa esperienza nuova al punto da
volerla ripetere, da sentire il desiderio di leggere un altro libro. Il libro breve sembra più facile da ideare e da scrivere ma non è così. Un tema stimolante, un intreccio coinvolgente e una scrittura chiara, tutto in non più di un centinaio di pagine, sono il prodotto di un autore esperto. E se un libro ha queste caratteristiche può trattare anche tematiche spinose, argomenti sociali o storici o problematiche individuali, continuando a incontrare il favore dei ragazzi.
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INTERVISTE e INTERVENTI
mordiale della natura umana. Pertanto, fatte salve le definizioni – diciamo così scontate – di «generosità» e di «coraggio»4 associate al «cuore», tutte le altre rimangono quanto meno generiche ed indefinite. In Il nostro maestro, ad esempio, il termine «cuore» viene utilizzato per indicare «l’interiorità più profonda»5;. In Vanità, invece, esso viene usato con il senso di «indole ed istintività»6, un’accezione senza dubbio più sfumata e neutra della precedente. In Una palla di neve il cuore assume la connotazione di «lealtà»7. In In casa del ferito, esso diviene l’equivalente di «coscienza»8, e infine, in Il vaporino, finisce per essere sinonimico di una generosa attitudine al dono.9 Quando poi il padre di Enrico, in una delle sue lettere (Mia madre), vuol rimproverare il figlio per uno sgarbo ricevuto, non trova di meglio che far riferimento all’«anima», ricorrendo ad una metafora, dal forte impatto emotivo: «La tua parola irriverente m’è entrata nel cuore come una punta d’acciaio». Ebbene, pur nella sua approssimazione, la sequela di definizioni sopra riportate, relative al «cuore», ci consente di fare un po’ di chiarezza – anche in un’epoca che, quale è la nostra, potremmo dire post-freudiana.10 Due sono infatti i nodi più significativi su cui si è esercitata la critica deamicisiana. Il primo è quello che riguarda la struttura del libro. Il punto dolens di esso risiede infatti – essenzialmente – nella mancata compenetrazione tra il primo momento (quello della cronaca) ed il secondo (quello della morale). Ancora recentemente Vittorio Spinazzola, ripercorrendo le tappe della grande narrativa italiana per ragazzi, non mancava di osservare come, in ragione di una trama «molto policentrica», l’«impianto diaristico», che consentiva a De Amicis «di articolare una narrazione lunga, di tipo corale», finisse poi per parcellizzarsi «in segmenti di rapida lettura», combinati insieme «con sapienza ingegneresca». Il rischio implicito in questa opera-
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zione, come riconosceva l’illustre critico, era ovviamente quello che, «alla sbrigliatezza spregiudicata dell’intreccio», si sovrapponesse «una moralità appiccicata a forza dall’esterno»11. Non è azzardato insomma affermare che, oggi come ieri, il problema fondamentale di Cuore deve essere ricercato in quella “separatezza” tra le varie parti del libro, a causa della quale il piano del diario di Enrico non riesce a interagire in modo convincente con quello delle «lettere familiari». Di conseguenza, mentre per Spinazzola (ed altri) tale giustapposizione è, nonostante tutto, da interpretare in modo positivo – in quanto l’«accettazione di quest’alea conferisce saldezza energetica al progetto testuale» –, per altri è da giudicare quanto meno debole, o tale da chiamare in causa non solo l’apparato formale del libro, ma anche quello concettuale. Il secondo punto riguarda la prospettiva dalla quale occorre collocarsi per comprendere appieno il capolavoro deamicisiano. In tal caso, il focus dell’attenzione deve essere concentrato, a nostro giudizio, su quell’età di transizione, quale fu quella post-unitaria nel quale De Amicis si trovò a vivere e ad operare. Questa, caratterizzata da uno spirito pubblico nazionale, ancora in formazione, è stata non a caso felicemente sintetizzata da Alberto Asor Rosa in quell’immagine efficacissima di un’ «Italia bambina»12, della quale Cuore di Edmondo De Amicis e Pinocchio di Carlo Collodi costituiscono lo specchio più fedele. E tuttavia anche questo giudizio non può essere considerato come definitivo. Esso non spiega, ad esempio, le ragioni del successo, nazionale ed internazionale, che Cuore e Pinocchio hanno riscosso nel corso del tempo, a segno di quella “classicità” che non ha mai lasciato insensibile il pubblico dei lettori, tanto piccoli quanto adulti. Per questi ultimi, poi, a parte le motivazioni sociologiche o psicologiche, c’è da tener conto di un elemento “esistenziale”, che forse, più di ogni altro, serve a spiegarci l’interesse e la “curiosità” di Pasquali, del resto comune a
tutti quegli adulti che si trovano alle prese con un romanzo per ragazzi. Alludiamo a quel richiamo irresistibile del “fanciullino” pascoliano che, presente in ciascuno di noi, vuole che il tempo che “fu” si intrecci – nostalgicamente – con il tempo che “è”. Si tratta di quel tipo di nostalgia coinvolgente che lo scrittore tedesco Heinrich Böll ha riassunto con una espressione semplice ma chiarificatrice: «non ci sono bellezza e arte che compensino un unico istante di vera infanzia».13 E chi oserebbe dargli torto? Note 1
G. Pasquali, Introduzione a Il “Cuore” di De Amicis, Garzanti, Milano 1978. Poco prima, anche L. Tamburini non aveva disdegnato di “rivisitare” Cuore, in modo quanto mai produttivo (si veda “Cuore” rivisitato, in Cuore, Einaudi, Torino 1972) 2 L’espressione riprende, con un segno rovesciato, il titolo del celebre libro di H. Arendt, La banalità del male, Feltrinelli, Milano 1965. 3 M. Mosso, I tempi del “Cuore”. Vita e lettere di Edmondo De Amicis, Mondadori, Milano 1925. 4 In Il nostro maestro, si dice “Mostratemi che siete ragazzi di cuore”. 5 […] “son certo che nel vostro cuore, m’avete già detto di sì”. 6 “Ebbene è vano; ma non ha mica cattivo cuore Votini”. 7 “Dammi la tua parola di ragazzo di cuore e d’onore che lo faresti”. 8 “…vattene pure col cuore in pace”. 9 “A Precossi piace il tuo treno. Egli non ha giocattoli. Non ti suggerisce nulla il tuo cuore?” 10 S. Freud scoprì l’inconscio con l’opera Die Traumdeutung (L’interpretazione dei sogni) del 1900. 11 V. Spinazzola, Pinocchio & C. La grande narrativa per ragazzi, il Saggiatore, Milano 1997. Chi sembra aver sottovalutato il problema ci sembra invece Lorenzo Gigli, uno dei maggiori biografi del De Amicis. A proposito della struttura di Cuore egli infatti scriveva: “Che importa se lo schema del Cuore è troppo semplice, se la invenzione è ingenua?” (E. Gigli, Edmondo De Amicis, Utet, Torino 1965). 12 A. Asor Rosa, La cultura, vol. IV, Storia d’Italia, Einaudi, Torino 1975. 13 H. Bőll, Croce senza amore, Mondadori, Milano 2004.
INTERVISTE e INTERVENTI
“365 Storie”, libreria di Matera
Quel lettore che annusava i libri
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un’analisi razionale basata su criteri di fattibilità e sostenibilità d’impresa. Il bacino più interessante di utenza è Matera, capoluogo di provincia che può racchiudere in sé le “attese” dei residenti, di chi vive in provincia e nella vicina Puglia, dei turisti di passaggio e, allo stesso tempo, nutrire le speranze – e il sogno – di diventare man mano un punto di riferimento per tutti.
Una scommessa vinta?
di Giuseppe Assandri
Avevo sentito parlare della libreria “365 storie” e mi sono messo in contatto con le libraie, le sorelle Anna Felicia e Iolanda Nardandrea. Abbiamo dialogato a distanza, con l’impegno preso a visitare la città di Matera e la libreria, appena possibile. Partiamo dall’inizio…
L
a libreria ha una data di nascita precisa: il 17 dicembre 2016 a Matera, nel Rione san Biagio del Sasso Barisano. Un’apertura prenatalizia, incoraggiata da familiari e amici in un momento dell’anno di grande impegno per tanti librai. Da tempo l’idea di gestire una libreria per ragazzi si era affacciata nelle loro vite, pur essendo impegnate in altri percorsi professionali. Com’è nata l’idea? Anna Felicia racconta l’infanzia in un paese della provincia materana, il trasferimento dopo il liceo in una città universitaria, a Roma, dove hanno vissuto a lungo. L’idea di aprire una libreria prende concretezza quando, tornate a vivere in Basilicata, si sono rese conto che non esisteva a Matera e in provincia una li-
breria dedicata esclusivamente ai bambini e ai ragazzi. Per colmare il vuoto, serve coraggio e aiuto concreto. Il progetto è stato sostenuto dai familiari e dagli amici più intimi delle libraie, quelli su cui si può sempre contare per un’impresa che da cinque anni gestiscono insieme, condividendo competenze, energie e passioni. E il nome della libreria? Iolanda spiega che è scaturito dal titolo di un libro comune a molte infanzie: 365 Storie di Kathryn Jackson e Richard Scarry (un’edizione Mondadori del 1976), presente nella libreria di casa, un regalo del padre ad Anna Felicia, alle prese con le sue prime letture. Prima di aprire i battenti, le due sorelle hanno fatto bene i conti, attraverso
Dopo cinque anni, si può almeno dire che sia stata raggiunta una parte degli abitanti di Matera e dei paesi della provincia che forse ancora più del capoluogo desideravano una libreria specializzata per bambini e ragazzi e l’hanno adottata. “365 storie” è diventata inoltre un punto fermo per molti pugliesi, intercettato anche dai turisti sensibili ai libri. La scelta di essere una libreria indipendente, ovvero di proposta, è stata netta e prescinde dal luogo geografico. Sarebbe stata la stessa in qualsiasi altra città, perché fondata su un’idea precisa di infanzia e adolescenza e su una consapevolezza ancor più netta di dare voce, attraverso la scelta di precisi libri, a una visione del mondo o almeno del mondo in cui si vorrebbe vivere. Il fatto che Matera sia stata Capitale della Cultura 2019 non ha influito particolarmente sulla vita della libreria, se non per la risonanza dell’evento che ha fatto arrivare più visitatori in città. Quali sono state le scelte di fondo per gestire la libreria? Le libraie spiegano su cosa hanno puntato. E a cosa hanno rinunciato, scegliendo di non dare spazio a giochi, giocattoli, cartoleria e affini, ma di preservare l’importanza di offrire una scelta di buoni libri, studiando i cataloghi di piccole, medie e grandi case editrici, ricercando nell’editoria di progetto che risponde a precisi criteri di qualità, bellezza, e accessi aperti e inclusivi. Cosa conta di più per il successo una libreria? Tante cose: la presenza di buoni libri, certo, ma anche gli spazi e senza sottovalutare mai l’importanza delle relazioni umane alla base di questo mestiere. Anna Felicia e Iolanda credono che una
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INTERVISTE e INTER-
libreria debba cercare di essere un terreno comune da coltivare assieme a bambini e adulti, nel tentativo di guadagnare il riconoscimento del proprio ruolo nella scelta di un libro per i propri figli, per i propri alunni o per sé. I librai come un supporto prezioso nella costruzione di progetti di promozione della lettura e un luogo fisico dove vivere esperienze formative per piccoli e grandi lettori.
Che cos’è “365 Storie”? Iolanda lo riassume così: «È una libreria per bambini e ragazzi, da 0 a 16 anni, ma è al tempo stesso un luogo di incontro e di scoperta per tutti, senza limiti di età». Una nuova sezione aperta da poco è dedicata agli albi illustrati e ai graphic novel anche per i giovani e il pubblico adulto. Bisogna sfatare cliché e radicate abitudini per farli entrare in una libreria per bambini, ma con il passa parola, si amplia il numero dei lettori. La fascia di lettori più presente è quella dei piccoli lettori, accompagnati da genitori o nonni e quella della scuola primaria. Saper accogliere le famiglie, lasciando sfogliare (con cautela!) ai piccoli gli albi, ben raggiungibili dagli scaffali montessoriani ad altezza di bambino. Ma con ostinazione le libraie insistono nel proporre buoni libri anche ai preadolescenti. Lavorando bene con le scuole si arriva a intercettare anche questa fascia di lettori. Il rapporto con le scuole è cruciale, da costruire con pazienza, mirando alla continuità. Buoni frutti sta dando questa collaborazione con alcuni istituti com-
prensivi della provincia, come quello di Siliano e la convenzione annuale con l’istituto di Valsinni, per la costruzione e lo sviluppo di biblioteche scolastiche, letture e incontri con autori, ma solo se c’è un prima e un dopo. Come quelli con Silvana Gandolfi, Bruno Tecci, Susanna Mattiangeli e con Daniele Aristarco con il quale è stato realizzato un progetto rivolto ai detenuti del carcere. In che modo la libreria si sente parte di una rete, che connette e crea ponti? «Attualmente, 365 Storie è associata a IBBY Italia, sezione italiana dell’organizzazione internazionale no-profit fondata nel 1953 da Jella Lepman con lo scopo di garantire e difendere il diritto alla lettura, in particolare nelle aree disagiate e remote. Fare rete con diversi soggetti (istituzionali e non) è vitale per la sopravvivenza di un’impresa commerciale e culturale, sempre pericolosamente a rischio di estinzione. Soprattutto perché oggi si ritiene sempre più spesso di poter accedere a ogni conoscenza con un click» sostengono le libraie, convinte dell’im-
portanza di collaborare senza competere, includendo ogni anello della filiera del libro, che ha approfittato degli stanziamenti assegnati coi decreti del Ministro della Cultura e del Fondo d’emergenza per l’acquisto straordinario di libri da parte delle biblioteche presso almeno tre librerie del territorio, ha rappresentato un eccezionale sostegno. Durante l’estate, in questi due anni di pandemia, sono stati riavviati gli incontri di “Io vago e divago!”, il nostro gruppo di lettura per bambini e bambine da 8 a 10 anni, grazie alla generosa offerta di uno spazio verde, protetto e all’aperto, in cui darsi appuntamento. Incontri settimanali che hanno avuto per noi il solo scopo di tenere vivo e saldo il legame con una comunità di lettori e lettrici che abbiamo visto crescere in questi primi cinque anni di vita della libreria. E poi sono nati due progetti di promozione del libro e della lettura in altri spazi verdi della Regione: nella campagna della provincia materana con il progetto “Saremo alberi”, ispirato e dedicato all’omonimo libro tattile di Mauro L. Evangelista, e “Cammini d’autore” nel Parco Nazionale del Pollino. Progetti realizzati in collaborazione con enti locali (l’amministrazione comunale di Ferrandina), associazioni del territorio (l’associazione culturale ArtePollino), autori e professionisti operanti nel mondo dell’infanzia. In questi tempi di forzato ma necessario distanziamento, è bello ricordare le parole di un giovanissimo lettore sorpreso ad aggirarsi in libreria con il naso nascosto tra le pagine di un libro: «A me i libri piacciono proprio perché posso annusarli».
INTERVISTE e INTERVENTI
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In visita al Museo Rodari con Pino Boero
Nel cuore di Omegna e con Omegna nel cuore di Ferdinando Albertazzi
Sabato 23 ottobre 2021. A Omegna, in via Carrobbio 45, nei pressi del Palazzo di Città, ha aperto i battenti il Museo intitolato a Gianni Rodari…
L
’ha ideato e curato Pino Boero, “frequentatore” di lungo corso dell’universo rodariano, scandagliato nelle sue molteplici sfaccettature con l’appassionata acutezza e la brillante limpidezza così adescanti nelle sue opere dedicate. Dalla fondamentale Una storia, tante storie: guida all’opera di Gianni Rodari, titolo di riferimento ormai da trent’anni (uscito nel 1992, è stato ristampato nel 2010), a L’alfabeto di Gianni, pubblicato nel centenario della nascita (1920) e firmato in collaborazione con Walter Fochesato, riflettori accesi
su «Episodi poco noti e curiosità, tra vita e letteratura». E proprio Pino Boero accompagna i lettori di Pepeverde in visita al Museo, incamminandosi «nel dedalo di vie del rione Vaticano, così chiamato per l’atmosfera di antico mistero che si respira tra i palazzi. Dove il nuovo Museo restituisce vita a una costruzione del settecento su due piani, di proprietà comunale, destinata negli ultimi decenni ad abitazione popolare. L’idea di allestirlo è nata dalla volontà del Comune di ricordare in modo importante e duraturo lo scrittore che, andato via
nell’infanzia, è rimasto tutta la vita legato alla città natale». Insomma con Omegna nel cuore. Chi ha raccolto l’invito del Comune? «Il Parco della Fantasia dedicato a Rodari, in funzione da vent’anni e il Premio omonimo di Letteratura per l’infanzia, hanno “passato il testimone” al gruppo di lavoro istituto dall’amministrazione comunale. Composto dal sindaco Paolo Marchioni, dall’assessore alla Cultura Sara Rubinelli, dall’architetto Fabrizio Bianchetti (per il restauro architettonico dell’edificio), da Alberto Poletti direttore del Parco, da Luca Vergerio responsabile del settore Cultura del Comune e da me, incaricato della curatela». Qual è stata la sfida più impegnativa che ha dovuto affrontare curando gli exibit del Museo? «Per me, abituato al linguaggio della critica ricco di note e di riferimenti, è stata adeguare il mio “registro”, non solo lessicale, alle esigenze di una comunicazione diversa, affidata alle “magie” della tecnologia. Molto utile e opportuno, al riguardo, lavorare a
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INTERVISTE e INTERVENTI
stretto contatto con i giovani specialisti di auroraMeccanica, che hanno contribuito a “tradurre” le mie idee e le mie scelte antologiche in “realtà virtuali” in grado di stupire il visitatore. Voglio pensare che Rodari, sempre attento alle novità anche comunicative, peraltro al suo tempo limitate, sarebbe contento del risultato».
fronte alle emozionanti immagini di Gianni Rodari che parla del suo mondo, della “fantastica”, della scuola, dei suoi ricordi. È questa l’unica installazione in cui si palesa la figura dello scrittore; per tutto il resto del Museo è esclusivamente e volutamente il suo pensiero, ad avere campo libero».
Vanno segnalati altri contributi?
Quindi si prosegue…
«Un ruolo di rilievo nello sviluppo del progetto hanno avuto la società auroraMeccanica di Torino, che ha realizzato gli exhibit interattivi, e gli uffici comunali, che hanno coordinato ottimamente ogni fase operativa nonostante la difficoltà e le distanze imposte dalla pandemia. Il Museo è ora affidato ai responsabili del “Parco della Fantasia Gianni Rodari” che, sulla scia del pensiero rodariano, integreranno le attività ricreative e didattiche delle due realtà».
«Al primo piano, grazie ad apparecchi telefonici originali degli Anni Sessanta appositamente adattati, il pubblico può ascoltare una selezione di notissime Favole al telefono. Uno degli apparecchi, a dimostrazione del rilievo internazionale dello scrittore, fa ascoltare le favole in alcune delle lingue straniere in cui sono state tradotte. Lettori d’eccezione, alcuni traduttori di spicco: dallo scrittore francese Bernard Friot all’americano Tony Shugaar, alla giapponese Aya Yoshitomi».
Ed eccoci al Museo…
E non è tutto!
«Al piano terra i visitatori possono immergersi nel contesto storico e geografico della vita di Rodari. Nell’installazione “Lago in Rima” viene raccontato, tramite la tecnica del videomapping, il territorio del Lago d’Orta; i luoghi del Cusio e i paesi del lago sono presentati attraverso le parole dello scrittore che, com’è noto, ha dedicato al suo territorio il romanzo C’era due volte il Barone Lamberto. Significativo, l’incipit: “In mezzo alle montagne c’è il lago d’Orta. In mezzo al lago d’Orta, ma non proprio a metà, c’è l’isola di San Giulio.” Il percorso espositivo continua con “Omegna Creativa”, un pannello in cui prendono magicamente vita gli oggetti di design e artigianato creati dalle maestranze di Omegna ed esportati in tutto il mondo, per un’ulteriore immersione nello scenario in cui nacque Rodari».
«Allo stesso piano, riprendendo la tecnica del binomio fantastico di Grammatica della Fantasia, troviamo il “Binomio elettrico”: consente di mettere in relazione due parole apparentemente estranee tra loro per sollecitare la fantasia dei visitatori, piccoli e grandi, a inventare nuove storie. Poco distante, un grosso macchinario con rulli, ingranaggi e specchi (unica attrazione non virtuale), permette l’originale lettura di una Favola al rovescio».
Ma non solo… «Spezza il ritmo della corsa di fantasia il tavolo interattivo “Io chi sono, chi sono io?”: ci si ferma a riflettere, di
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Altre attrattive? «Il percorso è completato da “A inventar storie”, una videoscenografia, sempre interattiva, in cui mescolare liberamente i personaggi e le ambientazioni rodariane, all’insegna di nuovi spunti narrativi. Inoltre, dalla ricca “Biblioteca della Fantasia”, una libreria interattiva incentrata sulla produzione letteraria di Rodari». Sono previste iniziative, o magari la-
boratori, per le classi in visita? «Durante le visite guidate, grandi e piccoli sono invogliati a esplorare, toccare, ascoltare, manipolare le varie postazioni. Le installazioni solleticano la fantasia, perché “Nella realtà si può entrare dalla porta principale o infilarvisi (è più divertente) da un finestrino”. Ogni gioco, all’interno del Museo, è perciò un’occasione per far nascere nuove storie e racconti: tanti gruppi, a partire dalle scolaresche, si stanno già divertendo. Comunque non tutto finisce con l’ultima installazione: i gruppi possono continuare l’esperienza rodariana iscrivendosi a laboratori ludo-linguistici, passeggiate fantastiche e “trekking narrativi nei boschi” condotti dagli animatori del Parco». Senza contare gli eventi… «Ogni fine settimana, il Parco della Fantasia organizza “Avventure per Famiglie”, che riempiono il Museo di piccoli e grandi visitatori, di ritorno dalla Ludoteca del “bambino di gesso” o dall’isola del Barone Lamberto. Sotto Natale scorso, si è tenuto anche un evento speciale: la “Notte al Museo”, per scoprire racconti e filastrocche a lume di candela».
I GRANDI CLASSICI DELLA PEDAGOGIA
«EDUCATORI DI IERI E DI OGGI» È la nuova collana delle Edizioni Conoscenza dedicata a grandi classici della pedagogia, il cui messaggio è ancora attuale e può avere una significativa influenza sul pensiero pedagogico contemporaneo.
EDUCATORI DI IERI E DI OGGI
EDUCATORI DI IERI E DI OGGI
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GIUSEPPE LOMBARDO RADICE
ANTONIO BANFI
LEZIONI DI DIDATTICA
LA FILOSOFIA DELL’EDUCAZIONE
LORENZO CANTATORE
MASSIMO BALDACCI
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SCRITTI SCELTI
Introduzione e cura di
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E RICORDI DI ESPERIENZA MAGISTRALE
Introduzione e cura di
Edizioni Conoscenza
Edizioni Conoscenza
A cura di Lorenzo Cantatore, pp. 450, € 20,00 (Di prossima pubblicazione)
A cura di Massimo Baldacci, pp. 208, € 14,00
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dorso 15 pp192 dorso 15 pp224
con il CESME (centro studi sul marxismo e l’educazione) e con il CREIFOS (Centro di ricerca sull’educazione interculturale e la formazione allo sviluppo). Per questa collana ha curato il volume di Dina Bertoni Jovine, L’educazione democratica. Scritti scelti di pedagogia e didattica (2019).
(Dall’introduzione di Elena Zizioli)
L’EDUCAZIONE DEMOCRATICA
Comitato Scientifico:
Introduzione e cura di EDOARDO PUGLIELLI
Anna Ascenzi, Massimo Baldacci, Dolores Lidia Cabrera Pérez, Marco Catarci, Maura Di Giacinto, Massimiliano Fiorucci, Dolores Limón Domínquez, Chiara Meta, Simonetta Polenghi, María Teresa Pozo SCRITTI SCELTI Llorente, Edoardo Puglielli, Maria Grazia DI Riva,PEDAGOGIA E DIDATTICA Simonetta Ulivieri, Jordivolume Vallespirvengono Soler, riproposti alcuni scritti di Ettore Gelpi entro In questo Angela Maria Volpicella, Elena Zizioli
i quali si collocano le sue riflessioni sulla funzione e il ruolo dell’educazione degli adulti nella fase storica della globalizzazione. Introduzione e cura diporta con sé sono Gli effetti più preoccupanti che la globalizzazione individuati da Gelpi nella crisi delle democrazie, nel tragico ritorno della EDOARDO PUGLIELLI guerra, nell’espansione di crisi umanitarie ed ecologiche, nei crescenti e drammatici flussi migratori, nell’intensificazione dello sfruttamento Questa collana «Educatori di ieri e di delle condizioni di lavoro, nella del lavoro e nel deteriorarsi oggi» ha l’obiettivo di riproporre operepiù retrive e gerarchizzanti (razzismi, riabilitazione delle ideologie che hanno sessismi, avuto un integralismi, ruolo fondamentale nazionalismi), nella subordinazione delle attività nella storiadidel pensiero pedagogicoaleprincipio di competitività globale. ricerca e di formazione che, ancoraSono oggi,proprio consentono di questi pesanti cambiamenti che inducono Gelpi ad sviluppare nuove riflessioni sia sulle elaborare una «teoria critica dell’educazione degli adulti» da cui teorie pedagogiche sia sulle prassi scaturisce una pedagogia della resistenza che, dal rifiuto di una educative del passato,sempre ma anche formazione più di ridotta a «cultura d’impresa», a «management comprendere più a fondo le delle risorse umane», stimola negli adulti la ricerca delle condizioni contraddizioni del presente. storiche capaci di dare significato e senso all’esistenza umana: una La cura di ogni volume è affidata a un ricerca che permette agli adulti di accedere a quella che Gelpi esperto del settore con lo scopo di cultura». presentare definisce al lettore«educazione le linee interpretative
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Edizioni Conoscenza Euro 14,00 (IVA compresa)
A cura di Roberto Sani, pp. 232, € 15,00
ETTORE GELPI
GLOBALIZZAZIONE LAVORO FORMAZIONE DEGLI ADULTI
A cura di Elena Zizioli, pp. 224, € 15,00
A cura di Edoardo Puglielli, pp. 312, € 15,00
EDIZIONI CONOSCENZA Informazioni : www.edizioniconoscenza.it Tel. 065813173 È possibile acquistare i libri direttamente dal sito
Francesca Borruso, Lorenzo Cantatore, Carmela Covato, Donatello Santarone
Comitato Scientifico: Anna Ascenzi, Massimo Baldacci, Dolores Lidia Cabrera Pérez, Marco Catarci, Maura Di Giacinto, Massimiliano Fiorucci, Dolores Limón Domínquez, Chiara Meta, Simonetta Polenghi, María Teresa Pozo Llorente, Edoardo Puglielli, Maria Grazia Riva, Simonetta Ulivieri, Jordi Vallespir Soler, Angela Maria Volpicella, Elena Zizioli
SCRITTI SCELTI
Introduzione e cura di
EDOARDO PUGLIELLI
più attuali dei singoli Autori e di offrire un breve apparato critico e bibliografico.
Edizioni Conoscenza
EDUCATORI DI IERI E DI OGGI
Collana diretta da:
Edizioni Conoscenza
Edizioni Conoscenza
Edizioni Conoscenza
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Euro 15,00 (IVA compresa)
EDUCATORI DI IERI E DI OGGI
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ELENA ZIZIOLI Roma Tre. Presso lo stesso dipartimento collabora
ETTORE GELPI DINA BERTONI JOVINE Francesca Borruso, Lorenzo Cantatore, GLOBALIZZAZIONE, Carmela Covato, Donatello Santarone LAVORO, FORMAZIONE DEGLI ADULTI
GLOBALIZZAZIONE LAVORO, FORMAZIONE DEGLI ADULTI
Edoardo Puglielli è docente di Filosofia e Scienze umane nella scuola secondaria di secondo grado, dottore di ricerca in Pedagogia e, attualmente, presso il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi
assegnista di ricerca Introduzione e cura di
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UN ANNO A PIETRALATA
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EDUCATORI DI IERI E DI OGGI
Collana diretta da:
ETTORE GELPI
ALBINO BERNARDINI
EDUCATORI DI IERI E DI OGGI
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EDUCATORI DI IERI E DI OGGI Ettore Gelpi (Milano, 1933 - Parigi, 2002) è uno degli autori più importanti della cultura pedagogica contemporanea. Ha lavorato per molti anni come responsabile delle politiche dell’educazione degli adulti e della formazione permanente in varie organizzazioni internazionali come l’Unesco, il Consiglio d’Europa, l’Ocse, la Comunità Europea. È stato presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Ecap-Cgil e della Fédération internationale des Ceméa. È stato Professore invitato in numerose università nel mondo intero (Paris I Sorbonne, Kyoto, João Pessoa, Firenze, Barcellona, ecc.). Le sue opere sono state tradotte in oltre venti lingue. Nel 2002 ha ricevuto il Premio Kameoka per l’educazione permanente attribuito dall’Università di Kyoto.
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[...] Bernardini, dall’itinerario umano e intellettuale ricco e complesso, arriva all’esperienza d’insegnamento nella periferia romana con una chiara e precisa idea di scuola. Da qui non solo la denuncia appassionata di un’istituzione che all’inizio degli anni Sessanta, nonostante i dettami costituzionali, non riusciva ancora a includere, ma anche una proposta concreta di un piano di lavoro, di uno stile d’insegnamento che scommette Introduzione e cura disulle capacità e sulle potenzialità dei bambini, che ci lascia assaporare il gusto ROBERTO SANI dell’impegno e avvertire la passione della quotidiana scoperta per garantire proprio a quei bambini uno spazio di civiltà, liberandoli dall’ignoranza e dalla miseria non solo materiale. Quello che più colpisce in Bernardini è l’innervare i metodi didattici di valori civili, riuscendo a restituirci un modello di docente completo: la militanza non disgiunta dalla continua e costante ricerca didattica [...].
UN ANNO A PIETRALATA
SET TECENTO PEDAGOGICO E RIFORMATORE
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ALBINO BERNARDINI
Introduzione e cura di ELENA ZIZIOLI
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Elena Zizioli insegna Pedagogia professionale e Pedagogia della narrazione presso il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi “Roma Tre” dove collabora con il CREIFOS (Centro di ricerca sull’educazione interculturale e sulla formazione allo sviluppo), con il Laboratorio St.E.L.I. (Storia dell’Educazione e Letteratura per l’infanzia) e fa parte del Consiglio Scientifico del Museo della Scuola e dell’Educazione “Mauro Laeng”. Si è occupata di storia dell’educazione, di temi come l’istruzione e la formazione nel contesto carcerario, con specifico riguardo alla detenzione al femminile, ed è costantemente impegnata a studiare la narrazione come dispositivo di inclusione indagando i diversi immaginari della e sull’infanzia negli odierni contesti multiculturali. È membro di comitati editoriali di collane e riviste e ha all’attivo monografie, saggi e articoli.
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Scritti di: SCIPIONE MAFFEI, GASPARO GOZZI, ALBINO BERNARDINI RINALDO CARLI, GAETANO FILANGIERI UNGIAN ANNO A PIETRALATA E MATTEO GALDI
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EDUCATORI DI IERI E DI OGGI Albino Bernardini (Siniscola 1917, Tivoli 2015) si diploma nel 1940 all’Istituto Magistrale di Nuoro. Durante la seconda guerra mondiale partecipa alle campagne d’Albania, Grecia e Jugoslavia. Nel 1942 riceve il suo primo incarico, insegna nelle scuole elementari di Siniscola e da qui ha inizio un’ininterrotta quanto unica e intensissima esperienza pedagogica. A partire dal 1945 si dedica infatti interamente alla scuola e nel 1960 entra a far parte del MCE (Movimento di Cooperazione Educativa). Un anno a Pietralata è il suo primo libro, pubblicato nel 1968,che ispirerà il film Diario di un maestro che lo renderà famoso. La prefazione fu affidata a Gianni Rodari, amico al quale il maestro sardo rimarrà legato fino alla sua scomparsa nel 1980. Seguiranno poi sempre sulla sua esperienza magistrale altri tre testi: Le bacchette di Lula (1969), La scuola nemica (1973) e La supplente (1975). Bernardini è anche l’inventore delle «storie senza finale», ovvero racconti e favole che non vengono appositamente conclusi, per dare modo ai piccoli lettori di inventarsi un finale tutto loro. Tra le narrazioni per bambini si segnalano: Bobby va a scuola, La banda del bolide, Tante storie sarde, Le avventure di Grodde, II palazzo delle ali, Un viaggio lungo trent’anni e, il suo ultimo libro scritto a 90 anni, Tre ragazzi e un cane. Ha ricevuto lettere dai bambini di tutta Italia e decine di premi e riconoscimenti e, nella sua lunga carriera, ha svolto, per ragioni scolastiche e culturali, numerosissime visite in varie scuole italiane ed estere. Ha collaborato con vari quotidiani tra i quali “l’Unità”, “Paese Sera” e “l’Unione Sarda”.
Edizioni Conoscenza
A cura di Edoardo Puglielli, pp. 192, € 14,00
Questa collana «Educatori di ieri e di oggi» ha l’obiettivo di riproporre opere che hanno avuto un ruolo fondamentale nella storia del pensiero pedagogico e che, ancora oggi, consentono di sviluppare nuove riflessioni sia sulle teorie pedagogiche sia sulle prassi educative del passato, ma anche di comprendere più a fondo le contraddizioni del presente. La cura di ogni volume è affidata a un esperto del settore con lo scopo di presentare al lettore le linee interpretative più attuali dei singoli Autori e di offrire un breve apparato critico e bibliografico.
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INTERVISTE e INTERVENTI
Premio Arpalice Cuman Pertile
C’era una volta e c’è ancora la città delle fiabe di Beatrice Masini e Liliana Contin
Grazie all’Amministrazione comunale di Marostica (Vicenza ), molta attenzione viene posta da anni all’opera di Arpalice Cuman Pertile, scrittrice per ragazzi e non solo. È infatti alla 30^ edizione il “Premio Nazionale di Letteratura per l’infanzia Marostica Città di fiabe - Arpalice Cuman Pertile”, riservato a testi inediti rivolti a bambini e ragazzi dai 3 ai 14 anni (il Regolamento è consultabile nel sito www.marosticacittadifiabe.it). In occasione dell’ultima edizione, il Comune di Marostica ha voluto dedicare alla scrittrice anche un’importante mostra dal titolo “Sulle tracce di Arpalice tra passato e futuro”. Pubblichiamo qui di seguito un commento di Beatrice Masini sui risultati dell’ultimo Premio e una nota biografica della scrittrice di Liliana Contin.
Contro la guerra e per l’immaginazione di Beatrice Masini Arpalice, la signora a cui è intitolato questo Premio, aveva la fiaba fin nel nome. È bello onorarla con una scelta di storie e rime che in qualche modo rispecchiano le sue prese di posizione così precise: contro la guerra e per l’immaginazione, sempre. Qui alcune note sui vincitori della trentesima edizione del premio: non tutti, perché tra primi classificati e segnalati sono davvero tanti, ma quelli più vicini allo spirito di Arpalice. Affrontare l’attualità della cronaca con le rime è un azzardo, il pericolo dello zucchero in eccesso è sempre lì. Eleonora Bellini ci parla di una mamma e
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una bimba migranti, colte in un attraversamento, e schiva il pericolo scegliendo un registro asciutto, essenziale. «La bimba dorme nel rosso giubbotto/trema la mamma, arranca il canotto». C’è un rapido ottimismo in questa avventura che concentra un viaggio esistenziale in una manciata di versi e proprio per questo ha il pregio di riuscire a fermare l’attenzione di chi legge. Dal mondo grande al mondo piccolo: Michela Guidi parla della solitudine conquistata della crescita con un ritmo veloce e preciso, tra rime e assonanze, inseguendo la concitazione del pensiero di un bambino che fa i suoi passi nel mondo e corre rischi, e chiede proprio quello al suo grande: lasciami andare, non passarmi la tua ansia, quando io azzardo per favore ridi, solo così posso crescere.
Marostica, la piazza degli scacchi.
Rosella Guglielmetti ci racconta in prosa un’altra storia di migrazione, senza contorni precisi, potrebbero essere gli anni trenta o cinquanta del secolo scorso (si accenna a una guerra finita), o molto molto prima. Non è importante, perché il realismo non sta lì: sta nell’attitudine di questa bambina, Giuditta detta Titta, che vive con la nonna, e non è poi così male, c’è la campagna, c’è un cane; ma Titta è sempre in attesa dei genitori lontani. Quando l’attesa si prolunga ecco che arriva il dubbio: «Si sono dimenticati di me, non mi vogliono più, forse hanno una nuova bambina americana. Ma perché?» E poi l’ingegno: come in una fiaba, dalle situazioni difficili si esce inventandosi qualcosa, e Titta trova un modo per far arrivare le sue parole molto lontano. E come in una fiaba, funziona. Dunque è realistica la cornice, è un po’ magica la soluzione, ma tutto si chiude con l’abbraccio di un papà ritrovato, e questo è vero, almeno per Titta. C’è una strega che invece è una vecchina e basta, una principessa (fin dal nome: Smeralda) con l’ansia del lieto fine, e una metamorfosi attraverso la malia delle storie nel racconto fantastico di Daniela Gatto: Cesira, la strega del bosco, smonta piano piano i desideri banali di Smeralda raccontandole fiabe discutibili, e Smeralda per parte sua comincia ad apprezzare tante piccole cose, il valore del fare,
INTERVISTE e INTERVENTI l’autonomia, e una semplice verità: l’amore ha tante facce e non porta necessariamente il cappello piumato di un principe azzurro. Una sorta di controfiaba, e di questi tempi ne ascoltiamo tante, che ha il pregio della semplicità.
Una donna nuova per lo sviluppo culturale delle donne di Liliana Contin Arpalice Cuman Pertile (Marostica 1876-1958) era una “donna nuova”, coerente con le proprie convinzioni e i propri ideali di giustizia, di libertà, di fratellanza e di pace che non tradì mai e che cercò di trasmettere alle giovani generazioni di alunni e di maestri. La città di Marostica le ha dedicato una mostra, frutto di uno studio approfondito della sua vita e delle sue opere. La ricerca, finalizzata all’esposizione, ha messo in luce il suo spessore morale e culturale, le scelte coraggiose e le vicende personali che hanno fortemente condizionato la sua esistenza. Arpalice studiò sotto la guida di Severino Ferrari e di Guido Mazzoni, allievi del Carducci. Fu la prima donna
Arpalice Cuman Pertile
laureata di Marostica. Iniziò subito a insegnare e si immerse nell’ambiente vicentino ricco di stimoli in cui instaurò rapporti importanti con lo scrittore Antonio Fogazzaro, con il provveditore Paolo Lioy, con il politico Fedele Lampertico e con molte altre personalità, in particolare intellettuali, cattolici e laici, che sostenevano idee emergenti allora anche a livello nazionale, idee tese al riscatto di coloro che, a causa di posizione sociale, povertà, sesso, rimanevano ai margini della società. Solo la scuola e l’educazione potevano affrancare queste persone, dare loro la propria dignità. Il 13 febbraio 1904, Arpalice sposò Cristiano Pertile, anche lui marosticense, docente di lettere al Liceo “Pigafetta” di Vicenza. Il loro fu un legame molto forte, basato sulla condivisione di ideali e di scelte. Insieme lottarono, insieme affrontarono non pochi sacrifici. A Schio e poi a Vicenza era nata la Scuola Libera Popolare, per cui Arpalice prestò volontariamente la sua opera di educatrice per donne e uomini lavoratori. Tenne diverse conferenze serali, in cui trattava diverse tematiche tra cui il ruolo della donna nella storia e nella letteratura, e partecipò alle “mattinate dei bambini” leggendo e istruendo i “figli del popolo”, perché potessero partecipare, come lei sosteneva, «alla grande eredità lasciata dai geni d’Italia». Nell’ambito dell’istituto in cui insegnava, Arpalice collaborò alla gestione della “Biblioteca circolante fra le Operaie”, fondata da don Giuseppe Fogazzaro per promuovere lo sviluppo culturale delle donne. Il merito indiscusso delle Biblioteche Circolanti, che si diffondevano in Italia e in Europa sull’onda degli ideali umanitari nei primi decenni del Novecento, era quello di trasformare il libro in un oggetto per tutti, contribuendo alla grande opera di rigenerazione che stava soprattutto nelle mani di lavoratori e di studenti, da cui sarebbe dipeso il futuro del nostro paese. Dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, in un discorso tenuto il 19
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gennaio del 1915, durante un comizio organizzato dalla Scuola Libera Popolare di Vicenza, Arpalice si schierò apertamente con i neutralisti a favore della pace. Quella sera, come lei stessa racconta nella sua autobiografia (Memorie di due cuori, 1954): «parlai con la stessa anima di una donna che interpreta il pensiero di mille e mille altre donne, tenute lontane dai problemi della vita nazionale, ma esperte nell’intendere la voce della natura, degli affetti più sacri e degli stessi vitali interessi della famiglia, della patria e dell’umanità». Il discorso, applaudito dai neutralisti, fu, naturalmente, molto criticato dagli interventisti e i due coniugi Pertile, accusati di essere antitaliani, vennero trasferiti forzatamente, con obbligo di firma quotidiano, prima a Firenze, poi a Novara, ad Anzio e a Genova. Solo nel 1919, a guerra terminata, tornarono a Vicenza, però nel 1923, poiché non vollero aderire al fascismo, furono esonerati dall’insegnamento. Nel 1929, con l’introduzione del Testo Unico di Stato, i libri di Arpalice furono ritirati dalle scuole. Durante la seconda guerra mondiale, quando i bombardamenti si abbatterono su Vicenza, si trasferì a Marostica dove continuò a scrivere e ad insegnare privatamente. Le bibliografia delle sue opere è visibile in rete.
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INTERVISTE e INTERVENTI
Divulgazione, narrativa e grafica
Il premio libro per l’ambiente di Tito Vezio Viola
Il Premio “Un libro per l’ambiente”, promosso da Legambiente e da La Nuova Ecologia, è giunto alla sua 23a edizione percorrendo negli anni i cambiamenti e l’evolversi dei temi ambientali e della sostenibilità nella editoria per ragazzi, e attraversando insieme il modificarsi dei gusti e delle competenze dei giovanissimi lettori.
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elle scelte definitive sono loro i ragazzi, i veri protagonisti: all’interno delle giurie popolari, costituite nelle classi e nei gruppi di lettura delle biblioteche, esprimono il loro voto determinando i libri vincitori tra le terne proposte nelle due sezioni di divulgazione scientifica e narrativa, precedentemente selezionate dalla giuria di esperti tra i libri candidati al Premio. L’edizione di quest’anno sembra caratterizzarsi, sul piano generale, per due aspetti significativi. Il primo riguarda la tendenza a declinare, con una vasta variabilità di temi e strategie narrative e comunicative, la gran parte dei Sustainable development goals dell’Agenda globale per lo sviluppo sostenibile, a dimostrazione di come la letteratura per l’infanzia di qualità – pur rifuggendo dall’attualismo – è però in grado di essere antenna del presente senza lasciarsi andare a stereotipi e scorciatoie culturali. Il secondo aspetto è quello che emerge da alcuni anni, consolidatosi negli autori ed editori più sensibili: la scelta di evitare una divulgazione ambientale e scientifica prescrittiva e allarmistica, per privilegiare suggestioni esplorative
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anche di fronte alle questioni più complesse, offrendo spesso l’ampiezza delle responsabilità in gioco, da quelle degli Stati a quelle legate ai comportamenti responsabili quotidiani. Va anche sottolineato che il Premio è un punto di osservazione privilegiato, e probabilmente selettivo, quindi gli aspetti di qualità che emergono non sono immediatamente e automaticamente trasferibili all’intera produzione editoriale per ragazzi e ragazze, che in parte mantiene ancora sacche di quelle intenzionalità pedagogiche – come scrive Perry Nodelman – finalizzate a «una grande macchina previsionale che si occupa di modificare, organizzare, pianificare il futuro di bambini e adolescenti». Si vedano i numerosi stupidari per bambini (purtroppo utilizzatissimi dalle scuole) sul Covid-19. A questo proposito, invece, sarebbe interessante valutare se si affaccino primi segnali di come la situazione pandemica, insieme alla finalmente conclamata crisi climatica nelle politiche internazionali, intridano scritture e scelte editoriali, naturalmente al di là dell’instant book, oltre la variabilità dei temi che è stata già sottolineata. Dovremo aspettare
un po’ per approfondire qualche evidenza, per capire meglio se il cambiamento di alcuni paradigmi della conoscenza imposti da questi due aspetti, forse, della medesima frattura storica, impattino e producano innovazioni nella letteratura per l’infanzia per sfidarla in un nuovo processo di co-costruzione della cittadinanza scientifica, come la chiamava Pietro Greco. In lontananza, in una dissolvenza umida che però potrebbe essere un casuale miraggio, appare ad esempio una rinnovata attenzione per le biografie: scienziati e scienziate, migranti, storie di vita di ragazzi e ragazze nelle loro complessità ed esiti, personaggi che hanno incarnato impegno e responsabilità. Fatta la tara delle mode e delle celebrazioni agiografiche, quel che resta potrebbe profilare una nuova funzione della memoria – direbbe Luigi Ciotti una “memoria viva” – che entra in gioco per restituire valori e emozioni di oggi a una lettura significativa del passato, ricostruire quello spessore dell’homo sapiens nella storia naturale messo oggi in crisi dall’attualismo e dal totalizzante attimo del
INTERVISTE e INTERVENTI presente. E insieme, quindi, suggerire un pensiero di futuro, un progetto di impegno di cittadinanza. Altra lontana dissolvenza, con i medesimi rischi di miraggio, sembra essere un nuovo uso di linguaggi, testuali e di immagini, più rigorosi e più competenti. Come se si stia accennando ad abbandonare il timore che i bambini non possano capire parole e concetti della scienza e del mondo a causa della pregiudiziale sulla loro capacità cognitiva ed emotiva, con l’esito spesso di istupidire, banalizzare e togliere fascino alle
parole della scienza e del mondo. Testi più rigorosi fanno capolino nei libri per ragazzi, insieme a un lessico grafico e illustrativo integrato in modo altrettanto rigoroso: finalmente quel gradino più in alto che, sosteneva Rodari, fa della lettura (per tutti, non solo per i bambini e le bambine) una crescita per le domande che pone. Solo viaggiando, prossimamente, potremo vedere se queste dissolvenze sono pozzi o miraggi. I libri sono selezionati da una giuria di esperti che ha il compito di selezionare, tra i volumi che le edizioni can-
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didano al premio, i tre libri ritenuti migliori per le due sezioni: “Divulgazione scientifica” e “Narrativa”. Inoltre assegna il premio speciale per la miglior coerenza grafica-testo, che viene comunicato in sede di premiazione nel mese di maggio, oltre a particolari riconoscimenti e menzioni. La giuria è composta da: Ermanno Detti (presidente), Vichi De Marchi, Walter Fochesato, Alberto Oliverio, Vanessa Pallucchi, Rossana Sisti, Tito Vezio Viola. Il regolamento del Premio è visibile in rete.
LIBRI SELEZIONATI E RICONOSCIMENTI NELL’ULTIMA EDIZIONE DEL PREMIO SEZIONE DIVULGAZIONE SCIENTIFICA
SEZIONE NARRATIVA Lodovica Cima LA VOCE DI CARTA Mondadori
Bruno Cignini, Andrea Antinori ANIMALI IN CITTÀ Lapis
Sabina Colloredo L’ISOLA SENZA MARE Giunti
Beti Piotto, Gioia Marchegiani IN UN SEME. MANUALE PER PICCOLI COLLEZIONISTI DI MERAVIGLIE Edizioni Topipittori Antonella Viola, Federico Taddia VIRUS GAME. DALL’ATTACCO ALLA DIFESA: COME SI PROTEGGE IL CORPO UMANO Mondadori
Robert Westall GOLFO Camelozampa 2) E. Durand- L.Camusso ATLANTE DELLA BIODIVERSITÀ. ECOSISTEMI DA PROTEGGERE Sassi SEGNALAZIONI:
Riconoscimenti della giuria per opere di particolare qualità e valore
PREMIO SPECIALE: all’editore Camelozampa MENZIONE D’ONORE: 1) S. Bordiglioni, ill. di I. Penazzi VOCI DAL MONDO VERDE: LE PIANTE SI RACCONTANO Editoriale Scienza
1) 100 COSE DA SAPERE PER SALVARE IL PIANETA Usborne 2) R. Cooper IL LIBRO SU CLIMA E TEMPO per bambine e bambini curiosi Corraini 3) D. Paladini IO STO CON LE API Terre di Mezzo
Riconoscimenti della giuria per opere di particolare qualità e valore
MENZIONE D’ONORE: F. Tonello, ill. di A. Higuet IL LUNGO VIAGGIO DI CIP E TIGRE Carthusia SEGNALAZIONI: 1) G. Facchini LADRA DI JEANS Sinnos 2) S. Saccucci LA NOTA CHE MANCAVA Giralangolo
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INTERNAZIONALE Le conoscenze alternative e l’influenza dei Social
L’informazione nell’era degli algoritmi di Tiziana Mascia
Le competenze informative tradizionali non sono sufficienti per vincere la battaglia contro i teorici della cospirazione.
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n che misura i giovani – cresciuti con i giganti di Internet come Google, YouTube, Instagram o Facebook – sono consapevoli del funzionamento degli “algoritmi” che tentano di prevedere e influenzare il loro comportamento? Quale ruolo giocano le piattaforme social nel loro apprendimento? Decenni di tentativi e grande impegno per trasformare l’Information Literacy in uno strumento educativo universale non ha impedito, a una porzione significativa della popolazione, di accogliere la disinformazione e, parallelamente, rifiutare le fonti di informazione più affidabili. La ragione di questa débâcle può essere attribuita a vari fattori, fra questi, il fatto che l’Information Literacy non trovi una collocazione specifica all’interno del curriculum scolastico, la mancanza di istruzioni coerenti sulle competenze informative e mediatiche nell’esperienza educativa degli studenti e la difficoltà, da parte degli educatori, di “stare al passo” con l’evoluzione tecnologica e la cultura digitale. Quando bibliotecari e insegnanti hanno adottato per la prima volta l’Information literacy Education e lo sviluppo del pensiero critico come attività educative essenziali per favorire i processi di localizzazione, valutazione e utilizzo delle informazioni, le piattaforme guidate dagli algoritmi – Google, YouTube, Facebook, Instagram e Amazon – non esistevano ancora. Information Literacy e pensiero critico
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sono competenze cruciali per affrontare le questioni che riguardano la conoscenza e l’apprendimento. Tuttavia, il modo in cui tali competenze vengono promosse tende a concentrarsi soprattutto sui bisogni scolastici immediati: ricercare, leggere e valutare i testi e utilizzare il web per la ricerca delle informazioni utili per svolgere le attività assegnate, con situazioni di simulazione in classe non sempre efficacemente applicabili alla complessità del mondo reale. Oggi i giovani studenti hanno la necessità di conoscere il processo di creazione e diffusione dell’informazione da parte dei media e delle piattaforme digitali (inclusi radio, giornalismo, televisione, YouTube, Facebook, Instagram…) per comprendere come possano influenzare l’opinione politica o di altri gruppi di interesse. Già agli inizi del 2000 Christine Pawley pubblicava Information Literacy: a contradictory coupling, una critica incisiva sulla teoria e sulla pratica dell’Information Literacy. Nel suo contributo, la studiosa sosteneva l’esigenza di insegnare agli studenti non solo le pratiche su come ricercare e valutare l’informazione, ma anche la necessità di spiegare “come funziona l’informazione” e di come i contesti sociali ed economici possano influenzare il modo in cui l’informazione viene creata e diffusa. Pawley ha scritto questa critica all’alba del ventunesimo secolo, prima che il Web 2.0 consentisse di sperimentare esperienze sociali e partecipative e prima ancora che i social acquisissero un ruolo così incisivo sulla nostra cultura. Molto è cambiato da allora nel conte-
sto delle nuove tecnologie, ma l’Information Literacy continua ad essere intesa principalmente come l’istruzione su come localizzare, accedere, recuperare, valutare, organizzare ed utilizzare l’informazione. Wikipedia, la piattaforma sociale un tempo considerata dagli educatori come inaffidabile, è diventata oggi un esempio di adesione a una serie di principi su come documentare correttamente l’informazione attraverso obiettività e riferimenti a fonti autorevoli.
Come possono tante persone e così tanti giovani credere a notizie evidentemente false? Ora che le teorie della cospirazione sono seguite dal grande pubblico e si contendono l’attenzione con le informazioni basate su fonti reali, i sostenitori dell’Information Literacy hanno compreso che concentrarsi esclusivamente sul processo di «ricerca e valutazione dell’informazione» non è sufficiente nell’era degli algoritmi e potrebbe avere degli effetti controversi. Profondamente scettici, molti studenti tendono a credere al frutto delle loro ricerche autonome, che possono essere guidate dalle esperienze e credenze personali, piuttosto che affidarsi alle fonti provenienti da testate autorevoli o dai principali organi di informazione. Nello stesso modo in cui la frase Fake news è stata utilizzata per indicare le notizie fasulle dell’informazione tradizionale, ora lo slogan Do the research è onnipresente negli angoli più nascosti del web favorevoli all’informazione alternativa proveniente dalle fonti non istituzionali. Ma quanto sono consapevoli i giovani su come funzionano i giganti di Internet, su come Google, YouTube, Instagram e Facebook possono influenzare le scelte e la diffusione dell’informazione? Nel diluvio quotidiano di notizie digitali, opinioni e pubblicità, c’è una crescente preoccupazione su come gli algoritmi utilizzati dalle principali piattaforme possano influenzare le nostre vite, alimentare le divisioni all’interno della nostra società, fomentare la radicalizzazione, l’estremismo e la sfiducia nell’informazione. Se crediamo che l’Information Literacy possa avere un impatto sulle scelte che si aprono e si offrono ai giovani nel contesto personale, familiare e sociale, allora l’Information Literacy deve includere anche l’istruzione
sui modi in cui le notizie e i flussi di informazione sono modellati e influenzati dagli algoritmi.
Cosa sono gli algoritmi? Gli algoritmi sono delle procedure basate su regole utili a risolvere determinati problemi; da quando la parola Google è diventata sinonimo di “cercare online” l’idea degli algoritmi si è diffusa fra il grande pubblico. È stato allora che siamo diventati più consapevoli di come il codice intelligente del computer possa influenzare le nostre scelte quotidiane, consigliandoci i film da guardare su Netflix, ricordando le nostre preferenze di acquisto su Amazon e identificando i
l’epistemologia. Eppure, la maggior parte degli algoritmi non sono semplici da rilevare perché non si possono vedere, sentire o toccare. Una sequenza di righe di codice, complesse e poco trasparenti per un utente medio, stabiliscono così delle decisioni fulminee sui nostri percorsi di navigazione e sulle nostre scelte. Gli algoritmi non sono intrinsecamente buoni o cattivi, i loro effetti dipendono da chi e per quali obiettivi sono stati programmati, così come e quanto gli utenti del web interagiscono con questi algoritmi, e da come verrà utilizzata l’enorme quantità di dati personali che possono raccogliere e conservare. Gli algoritmi hanno anche un’influenza che non è sempre possibile
Internet modella i nostri comportamenti L’infrastruttura tecnica che influenza il modo in cui acquisiamo informazioni e modella la nostra conoscenza e le nostre convinzioni è cambiata in modi che sono in gran parte invisibili al pubblico. l’Information Literacy deve obbligatoriamente includere anche la comprensione di quegli algoritmi che modellano il nostro ambiente informativo e non c’è dubbio che sarà difficile spostare la narrazione da un’enfasi del ricercare, valutare e utilizzare le informazioni in un ambiente scolastico a un’istruzione che promuove una più ampia comprensione degli algoritmi e di come le informazioni fluiscono e si diffondono attraverso i sistemi e le architetture web. Ma è tempo di rivedere completamente gli obiettivi e invitare insegnanti, educatori e bibliotecari a raccogliere la considerevole sfida di comprendere quelle forze tecnologiche e sociali che modellano la circolazione di notizie e delle informazioni nella nostra società contemporanea. Fonti consultate per scrivere questo articolo
nostri amici tra i follower di Facebook. Google ha iniziato a utilizzare le “tracce digitali”, che tutti noi lasciamo quando navighiamo su Internet, per trarre profitto dalla pubblicità personalizzata e profilata. Facebook ha costruito la sua reputazione sulla sua “piattaforma social” e sulla sua capacità di creare interconnessioni tra le persone online attraverso collegamenti guidati da vari indici e metriche che analizzano i nostri “amici” e le nostre preferenze ogni volta che clicchiamo su “mi piace” a qualche articolo che leggiamo. L’ascesa di quella che è ampiamente conosciuta come “l’era degli algoritmi” ha sicuramente avuto un profondo impatto sulla società, sulla politica, sulle notizie e sul-
prevedere poiché il loro uso ha sempre maggiori effetti sociali e politici. Piattaforme social come Facebook, Twitter e Instagram ci permettono di condividere foto, notizie personali e link con dei perfetti sconosciuti che si trovano dall’altra parte del mondo, ma che forse hanno interessi simili ai nostri. Ma non solo, gli algoritmi sono spesso usati per filtrare le notizie sul mondo, influenzando potenzialmente le decisioni su cosa compriamo e chi votiamo, così le conseguenze di quei sistemi progettati per condividere le informazioni in modo virale possono diventare una seria minaccia alla diffusione e alla corretta comprensione dell’informazione e quindi alla democrazia.
– Christine Pawley. (2003). Information Literacy: A Contradictory Coupling. The Library Quarterly: Information, Community, Policy, 73(4), 422–452. hiip://www.jstor.org/stable/4309685 – EAVI. (2021, June 17). Infographic: Beyond Fake News – 10 Types of Misleading News – Seventeen Languages. EAVI Media Literacy for Citizenship. hiips://eavi.eu/ beyond-fake-news-10-types-misleadinginfo/ – Fister, B. (2021, February 18). How Librarians Can Fight QAnon. The Atlantic. hiips://www.theatlantic.com/education/ar chive/2021/02/how-librarians-can-fightqanon/618047/ – Hobbs, R. (2020). Propaganda in an Age of Algorithmic Personalization: Expanding Literacy Research and Practice. Reading Research Quarterly. https://doi.org/10.1002/ rrq.301 – IFLA. (2022). International Federation of Library Associations and Institutions. Www.Ifla.Org. hiips://www.ifla.org – Project Information Literacy. (2020). Algorithm Study (January 15, 2020) – Project Information Literacy. hiips://projectinfo lit.org/publications/algorithm-study/
Informazioni : www.edizioniconoscenza.it Tel. 065813173 È possibile acquistare i libri direttamente dal sito Pepeverde n. 13/2022 49
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BIBLIOTECHE
La Biblioteca di Borgomanero
Quando leggere troppo fa bene Intervista a Giovanni Cerutti, di Ferdinando Albertazzi
La Biblioteca di Borgomanero è il polo centro-rete del Sistema bibliotecario del Medio Novarese. Tra l’altro: visite di classi tutte le settimane, prestiti per la durata dell’anno scolastico, volontarie propongono letture animate per le differenti fasce di età.
L
’idea di innestare la Sezioni Ragazzi nelle biblioteche pubbliche cominciò a germogliare, qui da noi, intorno agli Anni Trenta del secolo scorso. A Venezia già nel 1926 e poco dopo a Cremona, artefice Virginia Carini Dainotti che, successivamente, ebbe un ruolo di primo piano nella costituzione dell’Area Ragazzi della biblioteca di Borgomanero (Novara), allestita in spazi autonomi all’avanguardia per ambientazione, organizzazione e funzionalità. Una biblioteca, quella di Borgomanero, dunque molto guardata durante i suoi primi cinquant’anni. Li sta festeggiando timonata con appassionata dedizione, ormai da un paio d’anni, da Giovanni Cerutti, per di più brillante quanto coltivato indagatore dei “passaggi storici”, che ripercorre per i nostri lettori. «La biblioteca sorse per esplicita volontà testamentaria di Achille Marazza, che alla morte (1967) ha lasciato alla città di Borgomanero le sue proprietà, tra cui la villa settecentesca e il parco che la circonda, con l’esplicito vincolo di costituire e continuare a finanziare una biblioteca pubblica e di destinare il parco a uso pubblico. Dirigente di spicco della Resistenza italiana, rappresentante della Democrazia cristiana nel Cln Alta Italia, stretto collaboratore di Alcide De Gasperi e presente in tutti i governi da lui presieduti, sottosegretario alla Pubblica Istruzione nel ministero Parri e nel primo ministero De Gasperi, Marazza ebbe l’opportunità di frequentare Luigi De Gregori (papà del cantautore Francesco) e, appunto, Virginia Carini Dainotti. Che lo introdussero alla concezione della Public Library anglosassone, un cardine del passaggio dallo stato liberale a una democrazia compiuta».
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In che senso? «Be’, quel passaggio, così decisivo, era ritenuto impraticabile senza la diffusione, il più capillare possibile, delle opportunità di accedere agli strumenti della cultura. In questa prospettiva, l’istituzione di un’autonoma sezione dedicata ai ragazzi – così come lo scaffale aperto, accorgimento pensato per abbattere qualsiasi barriera di accesso alla conoscenza, senza contare la scelta di testi adeguati ai contesti culturali in cui erano inserite le biblioteche e la riqualificazione del mestiere di bibliotecario, che diventava il tramite tra il cittadino e il mondo della cultura – era uno dei punti qualificanti, architrave di tutto il sistema». Una visione lungimirante… «Certamente, benché del tutto estranea alle culture politiche e alle ideologie dominanti in Italia fino agli Anni Ottanta. Non per niente la Carini Dainotti era un’azionista, per giunta torinese, e Marazza un esponente del popolarismo degasperiano solidamente liberale, presto finito in minoranza nel partito di massa costruito da Fanfani. In un’Italia per cui i diritti sociali e la redistribuzione della ricchezza (anche, se non soprattutto, quella non prodotta) facevano perno sulla promozione della responsabilità individuale e della sfera di diritti connessa, l’idea che compito primario della collettività fosse dotare ciascuno di strumenti di valutazione autonoma veniva considerata reazionaria: se il futuro è la rivoluzione, le libertà borghesi sono solo una finzione; se il soggetto è la collettività, gli spazi di pensiero autonomo sono decadenti». In quale contesto socio-culturale è stata calata la biblioteca? «La Borgomanero del 1971 era, come ora, una cittadina di circa ventimila abitanti, con un’economia florida basata prevalentemente sul commercio, senza grosse emergenze sociali ma refrattaria a grandi slanci e visioni. Una comunità dove lo studio era percepito soprattutto come mezzo per salire la scala sociale – ingegneri, medici e avvocati – e la vita culturale una bizzarrìa aliena. Ricordo ancora lo sguardo desolato di mio padre quando, qualche anno dopo,
BIBLIOTECHE gli confidai che mi sarebbe piaciuto molto studiare lettere o filosofia. “Vai troppo in biblioteca – mi disse – leggere troppo non fa bene”». Com’è stata accolta? «Una parte rilevante della città era sostanzialmente ostile e non avrebbe voluto accettare il lascito: temeva di accollarsi inutilmente un lusso superfluo e improduttivo. Ma i beni che si sarebbero ereditati accettando i vincoli erano così ingenti che, seppur dopo aspre discussioni in città, le resistenze si sfilacciarono». Da due anni è la sua biblioteca: quali, le direttrici-guida? «Per ora mi sono mosso in due direzioni. Dapprima ho voluto stabilizzare i contratti (bandendo i concorsi quando necessario), che ora sono tutti a tempo pieno e indeterminato. Si è trattato di trovare le risorse, con il comune e muovendomi in altre direzioni perché sono arrivato in un momento di ricambio generazionale gestito, come usa ora, ricorrendo a contratti a tempo. Adesso, invece, siamo un gruppo affiatato di giovani sotto i trentacinque anni (a parte me…) molto coeso, al cui interno ciascuno gestisce con crescente autonomia i progetti che contribuisce ad attivare». La seconda direzione, invece? «Mi sono adoperato per riportare in primo piano la vocazione originaria della nostra Fondazione facendo crescere, all’interno e in città, la consapevolezza della tradizione di cui siamo eredi». E scollinando il presente? «I prossimi passi saranno il reperimento di fondi sufficienti per investire nella formazione permanente dei bibliotecari, con soggiorni in altre istituzioni di rilievo in Italia e all’estero, e l’ampliamento dell’organico per riportarlo alla consistenza originariamente definita dalla Carini Dainotti e purtroppo successivamente “sforbiciata”…». Rapporti con le altre biblioteche del territorio? «Da circa trentacinque anni siamo il polo centro-rete del
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Sistema bibliotecario del Medio Novarese, cui afferiscono circa venti piccole biblioteche. Grazie alla stabilizzazione della responsabile siamo in un momento di grande espansione di questa attività, con iniziative decentrate sul territorio e costituzione di tavoli di progettazione comune. Del resto stiamo cercando di superare l’idea del centro che fornisce servizi e consulenze, per passare a un modello di biblioteca diffusa». Oggi la biblioteca di Borgomanero è un riferimento per i giovani lettori? «La biblioteca dei ragazzi continua senza flessioni a essere un punto di riferimento per scuole e famiglie. L’integrazione con gli istituti scolastici del territorio, non solo della città, è in constante crescita». Quali, le iniziative “a corredo”? «Oltre ad avere visite di classi tutte le settimane, facciamo prestiti per la durata dell’anno scolastico di circa cinquanta volumi con i cosiddetti “vagoncini”, in quanto i libri vengono trasportati in appositi contenitori su ruote. Inoltre organizziamo molte iniziative diversificate, da svolgere direttamente nelle scuole. La mattina del sabato, poi, un gruppo di volontarie, coordinate dalla responsabile della sezione ragazzi, propone delle letture animate per le differenti fasce di età». Eventi di spicco per i 50 anni? «A causa della emergenza sanitaria il programma del Cinquantenario, previsto ovviamente per l’anno scorso, si compirà in questo 2022. Per ricordare i cinquant’anni dalla data di inizio delle attività, il 6 febbraio 2021 abbiamo comunque tenuto una cerimonia alla presenza della giunta e dei presidenti della Fondazione che si sono susseguiti in questi anni. Per il prossimo mese di maggio, intanto, è in calendario un convegno dedicato alla Public Library e alla nascita della Fondazione, mentre per fine anno è già previsto un convegno dedicato al futuro delle biblioteche, la nostra compresa. Ma molto altro bolle in pentola!...».
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STUDI E RICERCHE
Lettura delle opere di Alberto Burri
La redenzione della materia di Paolo Gheri
Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995) ha voluto collocare nel Palazzo Albizzini della sua città natale le sue opere, in spazi da lui stesso prescelti. Con la fondata convinzione che tra quelle opere e il loro contenitore spaziale ci dovesse essere una coerenza e un equilibrio assoluto, tali da rendere il racconto della sua avventura leggibile e affascinante. Qui di seguito una lettura, una sorta di guida per capire il senso profondo della sua arte.
A
Città di Castello (PG), antica e bella città, nel palazzo Albizzini, sobrio e severo nelle sue linee di contenuta eleganza quattrocentesca, c’è un libro di diciotto capitoli (le sale) e 89 pagine (le opere). Alcuni capitoli hanno solo tre o quattro pagine, altri ne hanno dieci o più, e trattano di argomenti solo apparentemente molto diversi, ma che in realtà tutte parlano di uno stesso argomento: la redenzione della materia.1 Di come, attraverso lo sforzo creativo di un solo artista, Alberto Burri, materie molto diverse, organiche e inorganiche, vili, modeste, scartate e dimenticate, vengono recuperate, manipolate, assemblate, scomposte e ricomposte fino ad ottenere un coerente discorso poetico. Ecco, la coerenza e l’unitarietà, l’eleganza di queste pagine sono esemplari, come lo sono sempre le pagine dei capolavori. Ma procediamo con ordine. Entriamo in questo palazzolibro e cominciamo a leggere le sue pagine, a volte piccole, molto piccole, a volte grandi o molto grandi, ma tutte caratterizzate da grande equilibrio ed eleganza. Non possiamo qui leggerle tutte, ma solo alcune più rappresentative di uno stile singolare, invitandovi a fare da soli o in piccola compagnia questo viaggio straordinario in questo meraviglioso libro. Il libro inizia nel 1948 e termina del 1989, e racconta una lunga e tormentata vicenda creativa: una lotta incessante, titanica, irriducibile, con la materia grezza, insignificante,
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dura e resistente, per darle una forma significativa, armoniosa, poetica. All’inizio c’è una grande pagina a tutta parete che funge da introduzione: è il Pannello Fiat (fig.1) che riassume un po’ tutti i temi del libro: materie, spazi, tensioni, rapporti tra colori e spazi, dimensioni e geometrie. Una sorta di indice. Ma più che un indice è piuttosto un progetto visionario e profetico di ciò che l’artista aveva in mente, essendo stato realizzato quasi all’inizio della sua carriera, nel 1950, e contiene in una grande sintesi tutta la sua futura poetica. «Non ho mai fatto nulla di nuovo, le mie tematiche, le forme e le materie dei miei periodi e cicli sono già tutte in nuce nei miei primi lavori, con il tempo le ho solo sviluppate», così spiega l’artista secondo una testimonianza diretta.2 Nel primo capitolo (Sala I) ci sono quattro pagine che trattano di catrami e di nero. Leggiamo la prima pagina, Nero 1 (fig. 2) del 1948. È la più piccola di tutte, ma riassume e
1. Pannello Fiat, 1950.
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ricapitola, e per certi versi anticipa, un lungo e complesso discorso di materie espressive. Ci mostra una materia densa, scura e lucida, magmatica, corrugata e screpolata, su cui dialogano e galleggiano diverse forme colorate: un piccolo tocco rosso vivo luminoso e una finestrella quadrata di un azzurro profondo e tenerissimo, unici due colori vivi, concetti precisi che rimandano a un mondo primordiale in ebollizione che qui ha trovato un suo quieto equilibrio. È l’inizio di un viaggio pieno di promesse. Saltiamo al capitolo cinque (Sala V), ove sono cinque pagine che trattano di sacchi e di stoffe nere. Sono pagine molto coerenti e omogenee, pur trattando la materia in modi molto variati, una sorta di variazioni sul tema. È qui una pagina sorprendente, grande, orizzontale Tutto Nero, 1956 (fig. 3) che occupa da sola un’intera parete. A prima vista un insieme rilevato e contorto di materia nera e lucida, sono frammenti di stoffe varie e plastiche, verniciati, composti e assemblati in un potente insieme coerente che ci racconta del faticoso lavoro di manipolazione di questi materiali per renderli esteticamente significativi ed espressivi, e ci ricorda potentemente bassorilievi e figure di scultura classica. Soffermiamoci sull’ultima pagina: Sacco 5P del 1953 (fig. 4). La materia trattata è fondamentalmente stoffa, proveniente da oggetti di tipo comune, appunto sacchi per contenere merci di vario tipo, ma qui sono ricomposti in modo tale che possiamo leggere in modo preciso e con grande evidenza la trama della iuta di cui sono composti, una trama che, sfilacciata, strappata, scucita e ricucita, e ricomposta in uno spazio equilibrato e disteso con una scalatura di colori ocra e marroni così sobri, ci racconta l’avventuroso percorso di una materia così vile e modesta per conquistare uno spazio elegante e poetico. Ma vediamo anche che la mano dell’artista è intervenuta direttamente assemblando, scomponendo e ricomponendo con il solo uso delle dita e forse di qualche strumento tagliente. Più avanti, al capitolo sette (Sala VII), quattro pagine ancora di stoffe e sacchi. Nella prima, Two Shirts, 1957 (fig. 5), una grande pagina doppia ci parla ancora di stoffa ma in modo completamente diverso: si riconoscono bene due frammenti di vere camicie bianche, assemblati e distesi in un bianco deserto mag-
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matico, parzialmente crettato, rugoso, impastati con una materia bianca e gessosa, con bordi sporgenti, tipo bassorilievo, un equilibrio perfetto di forme, rilevate e incavate, monocromo che rimanda al rigore geometrico di certe formelle di cattedrali gotiche, reinterpretato in modo sorprendentemente nuovo e moderno. La storia di quest’opera è singolare e ci dice qualcosa del suo autore. Gli fu commissionata da un’azienda americana che produceva camicie, per la sede di Los Angeles. L’artista si fece mandare dalla ditta delle camicie bianche che utilizzò per il quadro, ma ai committenti non piacque e lui fu molto contento di tenere per sé l’opera a cui teneva molto.
2. Nero 1, 1948.
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3. Tutto Nero, 1956.
Procedendo incontriamo la plastica, un materiale moderno e industriale per eccellenza, un grande problema per l’inquinamento ai nostri giorni: ma qui l’intervento del fuoco purificatore, con la fiamma ossidrica maneggiata con estrema perizia dall’artista, ha creato una pagina di estrema suggestione Rosso plastica 1964, capitolo
5. Two Shirts, 1957.
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dieci (Sala X) (fig.6), un impatto cromatico e plastico di grande espressività, è una materia che “canta”, che grida tutta la sua drammatica bellezza. Quest’opera può contenere lontani riferimenti a corpi vivi, straziati e sanguinolenti; come altre opere possono suggerire territori desolati, sconnessi e lacerati, come alcuni Sacchi parti-
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4. Sacco 5P, 1953.
6. Rosso Plastica, 1964.
colarmente ruvidi e dimessi hanno fatto dire a qualcuno che richiamano alla mente il saio di San Francesco conservato ad Assisi.3 Ma queste interpretazioni sono sempre state respinte con sdegno da Burri, che non ha mai dato titoli alle sue opere limitandosi a designarle con termini semplici sempre riferiti alle materie o ai colori con cui erano fatte: Sacchi, Plastiche, Ferri, Nero, Rosso, Legno ecc. «Le parole non mi sono d’aiuto – affermava l’Artista – quando provo a parlare della pittura. Questa è un’irriducibile presenza che rifiuta di essere tradotta in qualsiasi altra forma di espressione: una presenza nello stesso tempo imminente e attiva.»4 Ci sono anche pagine con materie organiche, come il legno (Legno, 1959). Qui l’intervento dell’artista si è limitato ad assemblare alcune strisce di legno rettangolari con sfrangiature ai lati corti, ma quello che ci mostra e ci racconta questa pagina è il disegno naturale del legno, con le sue venature, nodi e macchie dovuti al lavorio della materia vivente, esposta e sviscerata nel suo intimo, e sempre ricomposta in un equilibrio geometrico perfetto. Vi sono più avanti anche pagine di ferro (Grande Ferro, 1960). Grandi fogli di lamiera grezza, tagliati e saldati insieme a formare una superficie variegata, omogenea e armonica, con modesti interventi superficiali di colore o di bruciature color ruggine. Ci sono infine molte altre pagine che trattano altre materie come il cellotex, una sorta di tavole di truciolato per l’in-
dustria del mobile, che diventano superfici pittoriche per raccontare luci e colori, geometrie e arditi equilibri spaziali per mezzo della stesura uniforme di colori brillanti e della scarnificazione di parte della superfici per renderle porose e opache. La lettura di queste pagine si basa naturalmente sul riconoscimento, sulla memoria e sulla sensibilità, ma soprattutto sulla percezione visiva e tattile che vengono potentemente attivate e ci fanno scoprire nuovi valori espressivi della materia.
Note 1
L’espressione è stata mutuata da Umberto Eco che ne parla a proposito dell’arte di Giorgio Morandi in Morandi. Gli acquerelli, Electa, Milano, 1990, p.27. 2 Cfr. T. Fortuni, Alberto Burri. L’amicizia, prefazione di B. Corà, Maschietto Editore, Firenze, 2016, p. 188. 3 L’affermazione è di Maurizio Calvesi in: Alchimia della materia, Intervista a Maurizio Calvesi in Alberto Burri la mia Umbria, é fuaié 01, Ponte San Giovanni, Perugia, 2005, p. 69. Secondo un’altra testimonianza il paragone con il saio del santo sarebbe stata fatta da Cesare Brandi, cfr. T.Fortuni, Alberto Burri, cit. p. 24. 4 Alberto Burri la mia Umbria, é fuaié 01, cit. p. 38.
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Le schede Ilaria Antonini, Barbara Balduzzi Marco Scalcione ADESSO TI PRENDO Minibombo, Reggio Emilia, 2021 pp. 44, € 13,90 Da 2 anni Ecco la nuova storia uscita dalle sei mani che ben conosciamo per un altro titolo di successo di Minibombo, Un sasso nella strada. Questa volta gli autori ci portano dentro a un inseguimento al cardiopalma: un giaguaro dallo sguardo decisamente affamato vede una piccola scimmia che, per fortuna, non ci pensa due volte a darsela a gambe! Ma davvero tutto è quello che sembra? Osserviamo, corriamo con loro, tifiamo per preda o predatore e poi… bisognerà aspettare l’ultima pagina per sapere come andrà a finire. E come spesso capita nei sempre riusciti albi di questa casa editrice, il finale lascerà a bocca aperta. Le tavole ad acquerello di Marco Scalcione, spesso monocromatiche con chiari particolari di altri colori, attirano l’attenzione e la curiosità dei più piccini che si divertiranno a esplorare la giungla, attenti ai particolari. La storia di Ilaria Antonini e Barbara Balduzzi è ben strutturata, con poche parole ed efficaci onomatopee. Il racconto di un’avventura con un ritmo incalzante che attrae e invoglierà il bambino a riaprire il libro non appena chiuderà l’ultima pagina. E allora saranno i piccoli che “leggeranno” poi la storia, facilmente mandata a memoria, ai grandi: Un libro che ben si presta per avvicinare alla lettura e al libro, per mo-
menti gioiosi, per coccole tra mamma/papà e bambino. Clelia Tollot Jeanne Ashbé MICHI E MEO SCOPRONO IL MONDO. IL MATTINO E LA SERA Babalibri, Milano, 2021 pp. 18 (x2), € 13,00 Da 2 anni
Con la tenerezza che caratterizzano il tratto di Ashbé tornano il piccolo Michi e il suo pupazzo Meo. Divisi in due volumetti per il risveglio e la preparazione della nanna (ma contestualmente ne vengono pubblicati anche due su pappa e bagnetto) i bambini sono accompagnati attraverso le sole immagini a riconoscere i gesti necessari per affrontare le varie fasi della giornata. Il pupazzo Meo è animato dallo sguardo del piccolo Michi e insieme acquisiscono – non senza qualche inciampo col dentifricio o un po’ di marmellata – l’autonomia per prepararsi. La chiarezza delle illustrazioni e delle espressioni dei personaggi, uniti al piccolo formato e ai bordi arrotondati, fa di questi volumetti un’ottima occasione per introdurre i piccolissimi all’oggetto libro, indicando gli oggetti e inventando piccole storielle e dialoghi. Nadia Riccio
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Ruth Krauss, Marc Simont IL GIORNO FELICE Camelozampa, Monselice (PD), 2022 pp. 32, €16,00 Da 3 anni Di questo capolavoro va assolutamente apprezzata la poesia del testo della grandissima Ruth Krauss, tra gli autori di libri per bambini più celebrati di tutti i tempi. Con le eleganti illustrazioni di Marc Simont, apparentemente in bianco e nero, siamo poi intrappolati nel racconto. Con poche parole l'autrice riesce a raccontare perfettamente il momento magico in cui l'inverno cede il passo alla primavera, descrivendo il senso di attesa che accomuna i tantissimi animali protagonisti di questa storia. Scende la neve, molti animali dormono profondamente. Ma gli scoiattoli, le marmotte, gli orsi, le chioccioline si svegliano! Annusano qualcosa nell'aria e iniziano a correre. Cosa ci sarà di nuovo in mezzo alla neve? Inaspettato e significativo il finale. David Carotenuto Chris Naylor-Ballesteros ELVIS E OTTO L’amicizia vince! Terre di mezzo, Milano, 2022 pp. 32, € 15,00 Da 3 anni È davvero delizioso il nuovo albo, il cui autore è già nella lista d’onore dell’IBBY nella sezione
albi illustrati, per il suo Cosa c’è nella tua valigia? (Terre di mezzo, 2019). Anche grazie alla traduzione di Sara Ragusa, il lettore e l’ascoltatore, specialmente se piccoli, sono subito catturati dal racconto e seguono Elvis nei suoi ragionamenti: semplici, ma non per questo meno profondi. Elvis è una piccola volpe molto amica dell’orso Otto, al quale ha fatto a maglia una bella sciarpa fucsia, mentre lei indossa una bella cuffietta azzurra con pompon. Si capisce subito che quegli indumenti giocheranno un ruolo nella storia, ma al momento non si sa come. Elvis confida subito al lettore che il suo amico Otto si sente molto bravo a giocare a nascondino, invece è un disastro! Lo dimostrano i disegni pastello che ritraggono l’orso Otto tra i rami di un albero spoglio o maldestramente celato dietro un masso. Ma Otto dice che avrebbe bisogno di più tempo per nascondersi e Elvis è d’accordo, perché sa che al suo amico piacerebbe tanto vincere. Seguiamo con simpatia le fasi del gioco, i numeri della conta che si snodano fino a cento, sovrapposti a elementi paesaggistici semplici ed efficaci, e seguiamo il filo di lana fucsia che si è impigliato nell’albero, svolgendosi dalla sciarpa di Otto lungo tutto il percorso, fino al suo nascondiglio. Elvis ha trovato subito l’indizio, sta per stanare Otto e vincere ancora, ma si ferma. L’immagine della massa colorata del filo riavvolto e il musetto pensoso di Elvis dicono tutto: «Anche se è bello vincere è ancora più bello
vedere il mio amico contento». Ed ecco l’orso più felice del mondo, quando Elvis gli grida «Mi arrendo!». Ora toccherà a Otto cercarlo, ma Elvis ha una cuffietta di lana azzurra… Franca De Sio Korney Čukovskij Lucie Müllerova CROCODILO Trad. di Daniela Almansi Ylla DUE PICCOLI ORSI Trad. di Carla Ghisalberti Orecchio Acerbo, Roma, 2021 pp. 40, € 15 cadauno Da 3 anni Fausta Orecchio (Acerbo) non cessa di stupirci e deliziarci con i suoi albi, stavolta due diversi per provenienza, età anagrafica, autori, linguaggio formale soprattutto, non per soggetti, però. Crocodilo si potrebbe definire (con non molta originalità) una “chicca”: Cǔkowskij (18821969) – oltre che poeta, traduttore, anglista, critico letterario e saggista – è stato autore di storie in versi per bambini con animali protagonisti giocate sul nonsense alla Carroll. Sono versi scintillanti, ora liberi e ora in rima come quelli del «Corrierino», che si avvalgono di una traduzione non meno brillante e creativa di Daniela Almansi, che immaginiamo abbia molto faticato, ma sicuramente si sia anche molto divertita, e che meriterebbe di essere terzo nome in copertina. Paradossalmente (sempre nei dintorni di Carroll siamo), il testo fu scritto nel 1916, ma negli anni Tranta la censura sovietica lo giudicò anticomunista e se lo tolse dai piedi fino al 1981, quando venne “riabilitato”. Quale la colpa? Si narra di una
guerra all’ultimo sangue (è un modo di dire) fra l’esercito di animali guidato da Crocodilo per liberare i compagni dello zoo di Leningrado e quello di bambini capitanato da Vania: insomma, ingiustizia e guerra, pace e libertà. Tutta un’altra forma di linguaggio, invece, è quella di Ylla, nome d’arte dell’austriaca Camilla Koffler (1911-1955). Ancora di animali si parla: la storia, molto semplice e delicata, mostra l’avventurosa giornata di due piccoli orsi, fratello e sorella, che muovono i primi passi fuori dalla tana in primavera. L’inizio è quello tipico di una fiaba popolare: la mamma dice ai due di non allontanarsi, inutilmente però, anche se non c’è l’antagonista, il villain, ma il lieto fine sì: Mamma non lo faccio più. La novità è rappresentata, appunto, dal linguaggio, fotografico, con poche righe scritte in basso. Le immagini Ylla danno emozione e stupore, narrano una fiaba animata, visiva, che soddisfano l’obiettivo dell’artista di raccontare il nostro mondo in forma animale e noi di guardarlo e un poco capirlo, forse. Fernando Rotondo Veronica Truttero ESPRIMI UN DESIDERIO Sinnos, Roma, 2021 pp. 44, € 13,00 Dai 3 anni
C’era una volta il Lupo… ma è cattivo? Sicuri? Qui ha messo su famiglia ed è il giorno del suo compleanno. Come in ogni festa che si rispetti bisogna soffiare sulle candeline. Lui soffia con tutto il fiato che ha in corpo e pensa al suo desiderio. « Vorrei, vorrei…» i tanti personaggi che ha incontrato nelle fiabe! Due croccanti fratellini, quella bambina con il cappuccetto rosso, i rotondi porcellini… ma li vorrebbe come commensali o pietanze? Resta il mistero. Un albo pieno di aria, particolari da scoprire, personaggi delle fiabe. Le splendide tavole sono state selezionate per la mostra «Eccellenze italiane. La nuova generazione degli illustratori italiani per ragazzi» promossa da Bologna Children’s Book Fair. Un libro ad alta leggibilità che con poche parole coinvolge i piccoli lettori. I bambini si divertiranno a scoprire i personaggi, ad osservare il caos, quasi trascinati anch’essi dentro la tromba d’aria che porta in un vortice fiabe e personaggi e che farà gridare «Tutti al riparo! Si salvi chi può!». E alla fine tutti a cercare di scoprire, nella foto finale scattata da mamma lupo, se… manca qualcuno? Il Lupo ha un’espressione troppo soddisfatta! Clelia Tollot Katerina Gorelik Le indagini di Scerloc e Uozzon IL MISTERO DELL’UOVO PERDUTO Le indagini di Scerloc e Uozzon IL DENTE MISTERIOSO La Margherita, Cornaredo, 2022 pp. 40 (cad.), € 12,00 (cad.) Da 5 anni Vivace, coinvolgente e intelligente è l’arte narrativa di Katerina Gorelik, le cui storie sono pubblicate dai più noti editori in molti paesi. Le sue illustrazioni accurate e fantastiche raccontano tanto quanto le sue parole, dimostrando quanto possa essere efficace possedere entrambi i linguaggi per “catturare” i bambini. Nelle due storie di questa miniserie in giallo i due cani protagonisti, Scerloc e Uozzon, sono impegnati ovviamente a investi-
gare per risolvere casi. Nel mistero dell’uovo perduto Uozzon sta scavando in giardino cercando gli ossi che aveva nascosto. Ma trova un uovo, a chi apparterrà? I due investigatori si recano al pollaio. Un tripudio di galline li accoglie: c’è chi stende il bucato, chi sorseggia il caffè, chi spara un uovo nella stufa e chi sulla testa di Uozzon. Al centro un gallo corrucciato, i pulcini in una culla con i sonaglini, fuori una volpe sbircia da un buco della parete. È solo l’inizio dell’indagine, ma è già un carosello di immagini e “sotto storie” curiose e divertenti che si protrarrà per tutto il libro. La ricerca durerà a lungo, svelando anche sconosciute caratteristiche biologiche di molti animali. Il finale non sarà scontato, ma frutto di una disponibilità all’accoglienza. Con lo stesso spumeggiante stile narrativo (basta per tutte la tavola degli animali che surfeggiano al mare) ne Il dente misterioso i due detective partiranno dal ritrovamento di un pezzo di dentino per scoprire chi ha mangiato la torta di compleanno dell’oca Lella. Sottoposti a indagine, tutti gli animali invitati esporranno le loro caratteristiche in fatto di denti. Parole e illustrazioni allegramente coinvolgenti accompagnano il piccolo lettore verso altre informazioni e curiosità zoologiche. Un finale a sorpresa lancerà la storia verso l’indagine successiva. Franca De Sio Fabrizio Tonello, Aurélia Higuet IL LUNGO VIAGGIO DI CIP E TIGRE Carthusia, Milano, 2021 pp. 40, € 15,90 Da 5 anni Cip e Tigre, due felini molto diversi che, chissà come, si ritrovano a compiere un viaggio insieme. Entrambi sembrano
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LE SCHEDE
fuori luogo, in cammino verso una meta che appare più chiara alla tigre, mentre la gattina Cip è carica di malinconia per un passato domestico che le torna in sogno. È un viaggio duro il loro, Tigre è braccata, le distanze sono troppo lunghe, la fame e il freddo li incalzano. A un certo punto la loro strada incrocia quella di tanti profughi e viene interrotta da filo spinato, da muri, da guardie armate… Il tratto rapido, talvolta appena accennato di Higuet, restituisce il dolore e lo sgomento nello sguardo dei tanti profughi che si accalcano ai confini e porta in primo piano l’assurda disumanità insita nell’agire delle guardie di confine, nei muri tirati su per arginare e respingere chi si mette in cammino spinto dalla necessità. Per Cip e Tigre, quando tutto sembra perduto, è un atto inatteso, vero inno alla disobbedienza civile, che arriva a salvarli. Ma che ne sarà di tutti gli altri? Gli autori esprimono un punto di vista chiaro, una condanna inequivocabile alle politiche migratorie degli stati europei. Un albo bello in cui risuonano, in ogni pagina, i valori della solidarietà e della giustizia sociale. Nadia Riccio Michal Rusinek, Joanna Rusinek PICCOLE POESIE DI FAMIGLIA Trad. Linda Del Sarto Mimebù, Sesto San Giovanni, 2021 pp. 208, € 15,50 Da 5 anni
Un fratello poeta e una sorella illustratrice si cimentano nella ricostruzione dell’albero genealogico della loro famiglia. Ne vien fuori una serie di versi ritmati, divertenti, di aneddoti buffi e calembour su coloratissime illustrazioni. Un volume carico di ironia, nell’immaginare parenti fantastici nel corso dei secoli, ma anche di tenerezza, là dove si coglie che i riferimenti sono realistici. Il lavoro di traduzione è stato accurato, per restituire la musicalità allegra dei versi. Una bella raccolta, che può essere letta ad alta voce dagli adulti o approcciata da soli. Il volume è accompagnato da alcune interessanti note “per i grandi”, sul lavoro degli autori e delle curatrici. Nadia Riccio Serena Ballista BEAVER, COME CASTORO Illustrazioni di Martina Paderni Settenove, Cagli (PU), 2021 pp. 32, € 14 Da 5 anni Dopo quella di Virginia Woolf, Serena Ballista e Martina Paderni ci offrono una nuova biografia illustrata di una importante femminista del secolo scorso. Castoro in lingua inglese si dice beaver, parola che ha una certa assonanza con Beauvoir. Così da bambina, quella che sarebbe diventata la celebre filosofa Simone de Beauvoir, si guadagnò il soprannome di Castoro, come lei stessa racconta nel libro Memorie di una ragazza perbene. E pare che la Beauvoir non solo non se la sia mai presa ma che abbia fatto anzi vanto del suo il soprannome che le era stato affibbiato. Il castoro è un animale forte e ostinato, proprio come lo era Simone, un animale impegnato a costruire dighe e a deviare il corso dei fiumi come Simone fu impegnata a “deviare” il corso che il canoni del costume imponevano al
comportamento, come il divieto per le ragazze di avere una bicicletta. Quella bicicletta tanto desiderata e regolarmente negata diventa simbolo di una ostinata rivolta, quella che porterà nel corso di un secolo le donne da emarginate e sottomesse a protagoniste e artefici del proprio destino. Paola Parlato Alessandro Riccioni Simona Mulazzani IO SONO IL MIO NOME Carthusia, Milano, 2021 pp. 36, € 15,90 Da 5 anni Chi siamo noi? Quale e quanta forza c’è nel nostro nome? Il protagonista di questa storia intensa, a tratti struggente, è un bambino che, ancor prima di essere ossa e carne è nel suono del suo nome evocato dalla madre. E il suo nome è carico della memoria della sua gente, dei colori della sua terra. Ma poi inizia il viaggio, un viaggio duro, doloroso, nel quale il bambino perde una ad una le lettere del suo nome perché nel travaglio della traversata perde parte della sua identità, dei suoi affetti… finché non raggiunge un approdo, una nuova terra nella quale poter ricucire le lettere del proprio nome come i lembi della propria storia. Se per il piccolo Amin c’è un’occasione, una speranza di futuro, non possiamo, leggendo, non pensare ai tanti bambini perduti nel mare, dei quali non conosceremo mai neppure i nomi. La scrittura di Riccioni è una prosa poetica cui le tavole di Mulazzani, a tutta pagina, con colori caldi e linee avvolgenti fanno da controcanto. Un libro molto bello che fa dell’empatia la chiave per innescare una riflessione oggi più che mai necessaria. Nadia Riccio
Tomi Ungerer ZLOTY Trad. Sara Saorin collana “Le piume” Camelozampa Monselice, 2022 pp. 40, € 16,00 Da 5 anni Una fiaba contemporanea sovversiva e spiazzante, scritta e illustrata da un gigante della letteratura per bambini, Tomi Ungerer (1931-2019), vincitore dell’Hans Christian Andersen Award e di tanti altri premi. Un vero e proprio classico che Camelozampa torna meritoriamente a far conoscere ai lettori italiani, bambini (e anche adulti). La storia – che ha per protagonista una ragazzina che indossa un casco da motociclista invece di un cappuccetto rosso – si chiama Zloty e cavalca uno scooter. Come nella celeberrima fiaba dei Grimm, attraversa il bosco per andare a trovare la nonna malata e incontra avventurosamente tanti personaggi che attingono all’immaginario fiabesco: Kopek, un gigante molto piccolo e Samowar, un nano molto grande. Che sorpresa: sono tutti e due alti come lei. E poi si imbatte nel lupo, che sembra proprio quello di Cappuccetto Rosso: è ferito e Zloty se lo carica in spalla e lo porta a casa della nonna per curarlo. Ed eccoli tutti e due a letto curati e intrattenuti da Zloty, con l’aiuto del gigante e del nano, come in una famiglia atipica fondata sulla diversità e la cooperazione. Ma ecco l’imprevisto: la disastrosa eruzione del vulcano che semina distruzione e paura. E qui si scatena una gara di creativa solidarietà, nel dare soccorso, rimuovere le macerie, prendersi cura e fare festa, la festa dei lillà, sotto un tendone da circo portato dai giganti. Giganti e nani fanno parte della vita degli altri e lavorano insieme in un centro benessere. I disegni
LE SCHEDE evocano ambienti e situazioni vintage, mescolando elementi grotteschi, antichi e contemporanei, con umorismo e allegria. Un albo che invita e superare pregiudizi e stereotipi, praticando l’incontro e la solidarietà. Giuseppe Assandri Oliver Jeffers NOI SIAMO QUI DRITTE PER VIVERE SUL PIANETA TERRA 2018 COSE DA FARE DRITTE PER IL NOSTRO FUTURO INSIEME 2021 Zoolibri, Reggio Emilia pp. 44, € 16,00 Da 5 anni Oliver Jeffers, nato in Australia e vissuto in Irlanda del Nord, ora in giro per il mondo con moglie e due bambini piccoli, è un autore e illustratore di culto nel mondo ipercreativo della letteratura per ragazzi. Ha scritto con costanza quasi un libro all’anno, senza perdere mai il suo tratto grafico inconfondibile: figure di bambini e oggetti stilizzati, esili, in precario equilibrio su gambe sottilissime, sempre in cerca di qualcosa: un posto nel mondo, una stella, un aquilone, una risposta a troppe domande. La grande semplicità delle storie narrate è solo apparente: dietro e dentro ad esse sono nascosti significati molto profondi. Il primo libro è un prezioso vademecum per orientarsi nel mondo, illustra le meraviglie dell’universo e della Terra, dai pianeti alle profondità marine, la moltitudine delle persone che abitano il pianeta, arricchendolo con la loro diversità. Nel secondo libro padre e figlia costruiscono una casa, un rifugio speciale in cui custodire tutto l’amore, riposare, giocare, difen-
dersi dai nemici, ma anche accoglierli, sedersi tutti intorno a un tavolo e chiedersi scusa reciprocamente. Nel 2020 è stato realizzato un bellissimo film animato tratto da Noi siamo qui, per celebrare la Giornata della Terra, diretto dal regista Philip Hunt; Jeffers ne è produttore esecutivo, oltre che ideatore.
che girò le principali città tedesche. Quella che vedono Anneliese e Peter nella bella fanta-vera ricostruzione di Stinson e Lafrance. Poi fondò la Jugendbibliotek, la prima Biblioteca Internazionale per ragazzi del mondo, alla quale si ispirò la Biblioteca internazionale De Amicis di Genova e il Centro studi a cui collaborò attivamente la figlia Anne Marie Mortara Lepman.
Valentina De Propris Claudine Galea, Goele Dewanckel TITÙ Trad. Francesca Lazzarato Orecchio Acerbo, Roma 2021 pp. 56, € 17,00 Da 6 anni La storia di Titù è per certi versi struggente: un bambino che non parla mai, indubbiamente speciale, guarda il mondo con occhi attenti ai colori, ai suoni, alla meraviglia della varietà; gli adulti non lo comprendono, faticano ad accettarlo per come è, gli gridano contro ciò che dovrebbe essere e fare, gli vomitano addosso la propria frustrazione che, nello straordinario esperimento grafico, diventa nere nubi di parole dai caratteri cubitali… I pensieri di Titù invece sono slanci poetici espressi in un minuto corsivo. Mentre gli adulti sono via via più grigi, tristi, dai volti contratti in ghigno, Titù continua a inseguire la bellezza delle cose. «Sono fatti di ruggine, i grandi» pensa. E allora sceglie di restare nel proprio mondo, tanto più bello. È un albo complesso, che attraverso una netta contrapposizione grafica mostra due visioni del mondo apparentemente inconciliabili e ci guida a riflettere sulla diversità e la nostra capacità di accoglierla e rispettarla. Nadia Riccio
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Kathly Stinson, Marie Lafrance LA SIGNORA DEI LIBRI Trad. Alessandro Perrone Capano Lapis, Roma, 2022 pp. 40, € 14,50 Da 6 anni Siamo in Germania nell’immediato dopoguerra. Le donne con le scope e le mani cercano di rimuovere le macerie. Tutti hanno fame, c’è la fila dove si distribuiscono zuppe calde, Anneliese trova per terra una buccia d’arancia e la dà al fratellino Peter. I due, attirati dalla gente in un grande edificio, entrano anche loro sperando di trovare cibo, ma ci sono libri, tanti, colorati, belli, in lingua straniera però. Peter cerca Winnie-the-Pooh che gli leggeva papà, ma si accontenterebbe anche dell’elefante Babar. Una signora gentile gli dice che non può prestarglielo, ma lui può tornare ancora quando vuole. A casa trovano la solita zuppa d’orzo. I bambini tornano ancora e la Signora dei Libri, come la chiamano tutti, mostra loro, deliziati, le edizioni purtroppo non ancora in lingua tedesca: la storia di Pippi, una bambina svedese che ha un cavallo e una scimmietta, di Pinocchio, un burattino di legno italiano, di Heidi, piccola svizzera che vive in montagna, del toro Ferdinando che amava i fiori e non gli piaceva combattere. La pace. La Signora dei Libri è esistita veramente – come spiegano sinteticamente alla fine cinque pagine scritte con chiarezza in caratteri molto grandi e leggibili anche da bambini piccoli –, si chiamava Jella Lepman, ebrea fuggita all’avvento di Hitler e tornata per contribuire alla rinascita di una nuova Germania libera e democratica, cominciando dai bambini e dai libri, che chiese in dono a tutti i Paesi del mondo e che espose in una grande mostra
Fernando Rotondo Lodovica Cima VIA DEL SORRISO Illustrazioni di Giulia Dragone Il Castoro, Milano, 2021 pp. 120, € 13,50 Da 6 anni In via del sorriso 123 abitano alcuni bambini con le loro famiglie e anche una ex maestra e una baby sitter, ma soprattutto c’è Angelo, uno straordinario portiere e il suo cane Poldo. Angelo sembra stare in quella casa da sempre, ne conosce ogni angolo e ogni segreto, è molto affettuoso soprattutto con i piccoli abitanti, che accompagna con paterna dolcezza nella crescita rispondendo alle loro curiosità, guidandoli alla scoperta del mondo intorno a loro. Il libro è diviso in dodici capitoli che corrispondono ai dodici mesi dell’anno; di ciascun mese vengono descritte le caratteristiche, il clima, le festività, le attività più adatte alla stagione, si parla di sport, di vacanze, delle mille cose che caratterizzano la vita quotidiana e i bambini vivono, giocano, crescono curiosi e sereni sotto l’occhio vigile e affettuoso di Angelo. Insomma, quello di via del sorriso 123 è un condominio in cui viene voglia di trasferirsi! Una lettura istruttiva, piacevole e rasserenante per i più piccini e non solo. Paola Parlato
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LE SCHEDE
FUORITESTO
AVVENTURE DAL PIANETA BLU di Giuseppe Assandri
na storia davvero originale proveniente dall’Islanda parla ai bambini e agli adulti che li accompagnano nella scoperta del mondo, complicato e contraddittorio. Non è un racconto di fantascienza, anche se è ambientato in un lontano pianeta, il pianeta blu. Un pianeta che nessuno conosce, ancora da scoprire. Un pianeta che è abitato solo da bambini, piccoli e grandi, grassi e magri, destinati a non diventare mai adulti. I bambini sono liberi e felici di fare tutto ciò che vogliono e possono giocare tutto il giorno. Il pianeta è selvaggio, non privo di pericoli, ma tutti sono amici e ogni giornata è nuova di zecca. Brimir e Hulda sono grandi amici e trascorrono le giornate tra giochi, risate, avventure e scoperte. Ma…ci vuole qualcosa che metta in moto la storia, un fatto nuovo ed imprevisto. Un giorno atterra sul pianeta un’astronave, con un unico passeggero. Chi sarà? Forse un mostro, un invasore, un nemico? È uno strano uomo che dice di chiamarsi Fracasso Di Spazio, commesso viaggiatore di
e donare la felicità. Che fortuna straordinaria essere stati scelti per poter approfittare di una simile offerta speciale! Ma sarà proprio così? C’è un prezzo da pagare perché l’uomo – che appartiene alla strana specie degli adulti – pretende in cambio dei suoi doni un po’ della giovinezza dei bambini. A poco a poco tutto si trasforma in un incubo e la vicenda si dipana in una sfida e un’avventura tra magia e realtà fatta di egoismo e generosità, capace di toccare le menti dei lettori di ogni età, per la trama, lo stile e gli immaginifici disegni a colori.
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Beverly Cleary CARO MR. HENSHAW illustrazioni di Maria Giròn e Vittoria Della Torre, Trad. Susanna Mattiangeli Il Barbagianni Editore, Roma, 2021 pp.136, € 13.90 Da 9 anni Beverly Cleary è stata una grande autrice americana (da poco morta all’età di 104 anni), dichiarata “leggenda vivente” dalla Library of Congress, con 85 milioni di copie vendute nel mondo, quasi sconosciuta in Italia. Caro Mr. Henshaw ha vinto la Newbery Medal nel 1984. Si tratta di un originale romanzo epistolare, capace di stabilire una vicinanza emotiva tra il lettore e il
aspirapolvere spaziali e distributore di biglietti da visita ai bambini, che promette di far avverare tutti i sogni, anche i più sfrenati,
giovane protagonista, Leigh Botts, una ragazzo di undici anni che sta attraversando un periodo difficile, dopo il divorzio dei genitori e il trasferimento in una desolata cittadina dove non conosce nessuno. Leigh comincia a scrivere lettere all’autore di un libro che ha molto amato alla scuola elementare. Con lui si stabilisce un rapporto di penna intenso e sorprendente, in cui chi scrive prede sempre più confidenza e consapevolezza di sé e delle proprie emozioni, manifestando quel si agita nella sua mente: paure, insicurezza, timori ma anche desideri e aspirazioni. E la scoperta che la scrittura può essere un mezzo per crescere, riflettere, coltivare i propri talenti. Nonostante alcune situazioni e ambientazioni siano un po’ datate, il libro mantiene tutta la sua freschezza e capacità di parlare ai preadolescenti di oggi e di toccare le corde delicate e profonde di chi sta per lasciarsi alle spalle l’infanzia. Di Mr. Henshaw non conosciamo le risposte ma ciò non impedisce al lettore di immedesimarsi e rispecchiarsi nel
Andri Snaer Magnason LA STORIA DEL PIANETA BLU illustrazioni di Andrea Antinori trad. Maria Cristina Lombardi collana “I Miniborei” Iperborea, Milano, 2022 pp.192, € 13.50 Da 8 anni.
protagonista e voce narrante, che nelle lettere e pagine di diario mescola toni seri e commoventi ad altri ironici e leggeri. I disegni interni in bianco e nero e font ad alta leggibilità ne fanno un libro per tutti, da consigliare e regalare. Giuseppe Assandri Bruna Cases, Federica Seneghini SULLE ALI DELLA SPERANZA Collana “One shot” Piemme, Milano, 2022 pp. 192, € 14,00 Da 9 anni È questo il tempo in cui persone capaci e di buona volontà affiancano quelle poche che conservano nei loro ricordi l’esperienza della persecuzione degli ebrei, perché possano ancora essere ascoltate e ammonire contro l’indifferenza. Federica Seneghini, genovese giornalista del «Corriere della Sera», ha affiancato e sostenuto Bruna Cases, che pure ancora si impegna a fare incontri nelle scuole, insieme a suo ma-
rito, che ha vissuto la stessa persecuzione. Era intelligente, molto sensibile e ebrea, quella bambina che a nove anni cominciò a vedere quello che di strano e di assurdo stava accadendo. Bruna vede Milano trasformarsi, vive la violenza delle leggi razziali, lo scoppio della guerra, i bombardamenti. Nell’incertezza dell’esistenza, sente il bisogno di scrivere per fermare il ricordo della paura, della fuga, delle lunghe giornate in esilio e infine della consolazione del ritorno. La sua famiglia fu più fortunata della famiglia Segre, alla frontiera svizzera riuscì a passare, ma fu ancora lunga l’attesa: a Stabio, a Bellinzona, a Lugano, prima di tornare a casa. La copia anastatica del suo diario
è riprodotta nel libro. Per i nostri ragazzi, leggere cosa è stato scritto da questa lontana loro coetanea potrebbe essere più illuminante di alcuni libri di storia. Franca De Sio Lia Levi DAL PIANTO AL SORRISO Piemme, Milano, 2021 pp. 80, € 14,00 Da 9 anni È il regalo della casa editrice per il novantesimo compleanno dell’autrice, la pubblicazione di questa piccola storia ritrovata da Lia Levi nel risvolto della copertina del diario della propria madre. Ma forse è anche il regalo della stessa madre alla scrittrice di adesso, quasi un ringraziamento postumo a quella bambina di allora, che lo aveva scritto in pochi mesi, accuratamente copiato in bella scrittura e donato ai propri genitori nel febbraio del 1945, per l’anniversario del loro matrimonio. Lia Levi racconta che i suoi genitori non furono colpiti dal suo dono e che del “roman-
zetto” scritto allora non ricordava affatto l’argomento. Di manoscritti ritrovati è piena la letteratura, ma questi pochi fogli saltati fuori per caso dopo più di settanta anni meritano attenzione. Testimoniano la precoce vena letteraria della Levi, la voglia di una adolescente di inventarsi una storia, seppure ambientata nella triste realtà di guerra che aveva vissuto, e il bisogno di scrivere un finale lieto, tutto riassunto nel titolo che premette alla dedica ai genitori. La famiglia ebrea inventata dalla piccola Lia è molto unita, può far conto sull’aiuto di amici e conoscenti che li accolgono e li nascondono. Il padre sarà preso prigioniero, tornerà solo dopo la liberazione di Roma,
comparendo alla moglie che prega nel tempio. Marcella è la figlia grande e coraggiosa, Bobi è il fratellino vivace e imprudente. Se la storia è inventata non lo sono i comportamenti e le emozioni descritte, comuni a tante situazioni e a tante persone in quel periodo. Dopo aver raccontato del ritrovamento, la Levi fa seguire alla storia una sua conversazione con l’autrice, la se stessa bambina. Alla fine è riprodotto il manoscritto originale. Il risultato è un singolare intreccio tra letteratura e sentimenti. Franca De Sio Raffaele Capperi BRUTTO E CATTIVO DeA, Milano, 2021 Collana “Le gemme” pp. 208, € 15 Da 9 anni Libro drammaticamente attuale e fortemente autobiografico. Raffaele Capperi, l’autore, è affetto dalla sindrome di Treacher Collins, una malattia rara che comporta terribili deformità del
cranio e del viso. Capperi dichiara «Il mondo è stato cattivo con me. Fin da bambino il mio aspetto ha generato reazioni esagerate e di disprezzo. Ho pianto in silenzio per non pesare sui miei genitori. Sono stato preso in giro da coetanei e adulti. Il bullismo mi ha fatto male, mi sentivo disprezzato. Non sapevo davvero cosa fare per non essere visto. Mi hanno chiamato mostro e alieno, ridendo alle mie spalle. Ma perché tutto questo? Dopo tanti anni di vita passata a nascondermi, ho avuto il coraggio di mostrare il mio viso sui social. Ed è proprio lì che ho ricevuto gli attacchi più terribili. Oggi vorrei riuscire a dire basta al bullismo. Nessuno dovrebbe accanirsi contro chi ha il coraggio di mostrare
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NELLE STORIE IL TEMPO NON SVANISCE di Paolo Gheri
saac B. Singer pubblicò nel 1966 il suo primo libro per ragazzi Zlateh. La Capra e altre storie, una raccolta di sette racconti che uscì in Italia per la Bompiani nel 1970. Il futuro premio Nobel per la letteratura (1978) nella breve introduzione scrive: «I bambini si meravigliano del tempo che passa tanto quanto gli adulti. Che cosa succede a un giorno dopo che è finito? Dove vanno a finire i nostri ieri con le loro gioie e i loro dolori? La letteratura ci aiuta a rievocare il passato e le sue atmosfere. Per il narratore, ieri è ancora qui, come lo sono gli anni e i decenni passati. Nelle storie il tempo non svanisce, e nemmeno gli uomini e gli animali. Per lo scrittore e i suoi lettori tutte le creature vivono per sempre. Ciò che è successo tanto tempo fa è ancora presente. È con questo spirito che ho scritto questi racconti…. Dedico questo libro ai molti bambini che non hanno avuto la possibilità di diventare grandi a causa di stupide guerre e di persecuzioni crudeli». Dopo decenni che il libro non era più in ca-
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talogo, ora Adelphi pubblica una nuova edizione molto accurata, rilegata in tela bianca con decorazioni in oro e sovraccoperta a colori, arricchita da numerose splendide illustrazioni del Maurice Sendak. Il libro è ormai un classico e come tale rivela ancora tutta la sua freschezza fatta di semplicità, di umorismo e di nostalgia. I racconti, ambientati quasi tutti a Chelm, in un mondo lontano e fantastico di remoti vil-
laggi di comunità ebraiche della Polonia, terra in cui era nato Singer a Leoncin nel 1903, sono popolati di personaggi indimenticabili, assurdi, divertenti e sciocchi, che vivono a contatto diretto con la natura, con i capricci della natura, con gli animali. Tutti hanno a che vedere con la creazione, con la fede, con la vita e con la morte, con la bontà e la cattiveria, e tutti terminano con un finale di redenzione. Le illustrazioni che accompagnano i racconti sono disegni in bianco e nero delicatissimi e preziosi, e interpretano alla perfezione il contenuto e lo stile delle storie. Un caso esemplare di perfetta corrispondenza tra il testo e le immagini. Isaac Bashevis Singer Zlateh. La Capra e altre storie Illustrazioni di Maurice Sendak trad. di Elisabetta Zevi Adelphi, 2021 pp.102, € 18 Da 8 anni
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la propria diversità». L’esperienza di Capperi è un’esperienza estrema, la sua “diversità” è vistosa ed estrema ma il dolore, la frustrazione, l’umiliazione che scaturiscono dal continuo sentirsi derisi e rifiutati è identico per ogni vittima di bullismo. Per ogni ragazzo che trova la forza di reagire e di riprendersi la propria vita tanti, troppi continuano a vivere a testa bassa la propria sofferenza, talvolta fino ad epiloghi estremi. Purtroppo, come dimostra l’esperienza dell’autore, l’amplificazione mediatica determinata dai social il più delle volte aumenta solo drammaticamente il dolore e la frustrazione dei ragazzi vittime di bullismo.
della comunità. Un seme di Mirabella varca l’oceano, quando una famiglia sceglie di emigrare, un nuovo albero crescerà anche in America e infine una talea ripercorrerà il viaggio al contrario per essere trapiantata a Varsavia. Harasimowicz riesce a narrare le atrocità più crude, senza sconti, mantenendo sempre vivo il seme della speranza, della rinascita, della forza della memoria. È un libro sulla Storia, quella dei libri di scuola, perfetto per avvicinarsi a temi scabrosi; ma è anche un libro sulla capacità di accettare il ciclo dell’esistenza: alla morte segue nuova vita e la memoria può nutrire la nostra realtà, così come fanno i dolci frutti dell’albero di mirabelle.
Paola Parlato Nadia Riccio Cezary Harasimowicz MIRABELLA. LA STORIA RACCONTATA DA UN ALBERO Illustrazioni di Marta Kurczewska Trad. Laura Rescio Mimebù, Sesto San Giovanni, 2021 pp. 216, € 15,50 Da 9 anni Questo bellissimo romanzo di Harasimowicz attraversa decenni di storia della Polonia con uno sguardo originale e commovente, quello di una pianta. Le vicende della comunità ebraica di Varsavia, la vita quotidiana di un quartiere, gli amori, le nascite, le tragedie della guerra, la ricostruzione e poi le disillusioni del socialismo reale… tutto viene filtrato dall’osservazione di un albero di susine Mirabelle. In realtà l’autore costruisce un filo narrativo ancora più sottile, poiché l’io narrante passa da una generazione all’altra di alberi che, di madre in figlia, si avvicendano sullo stesso terreno, tramandando la memoria dei luoghi e
Jacqueline Van Maarsen LA TUA MIGLIORE AMICA ANNE Trad. Anna Patrucco Becchi San Paolo, Milano, 2022 pp.190, € 16,00 Da 9 anni Un libro tradotto solo ora in italiano che ci permette di conoscere Anne Frank da un altro punto di vista. Non si tratta dell’ennesimo libro “su” Anne Frank, divenuta sempre di più una figura cristallizzata, quasi un’icona o una sorta di santa e martire della Shoah. Un destino comune a personaggi che, loro malgrado, sono diventati degli eroi, perdendo i tratti più comuni e “umani” e assumendo sempre di più il ruolo di “vittima”. Jacqueline Van Maarsen, ragazza olandese coetanea di Anne Frank ha un padre ebreo e vive da sempre ad Amsterdam. La sua è una famiglia agiata e con i suoi occhi ripercorriamo – a partire dalla festa per il suo sesto compleanno – gli avvenimenti quotidiani che si susseguono. I giochi, le giornate a scuola, i momenti di divertimento e di vacanza. Ma anche la scoperta progressiva di che cosa significa essere “ebreo” (suo padre non è praticante e la madre è francese), le notizie su Hitler e i nazisti e la natura misteriosa di quel che viene chiamato antisemitismo. Anche in Olanda ci sono seguaci di Hitler e con lo scoppio della guerra e l’occupazione nazista
tutto cambia rapidamente. E poi c’è l’incontro con Anne e la loro amicizia. Un’amicizia vera e sincera, quella tra Anne e “Jacque”. Anne, che non era una persona facile e accomodante, parla sempre bene di lei e la considera la sua migliore amica, come scrive nel suo album nel marzo del 1942 e nella sua lettera d’addio che Jacque leggerà solo in seguito. La loro quotidiana frequentazione dura sino a quel giorno in cui la famiglia Frank scompare, nascosta nell’“alloggio segreto”, facendo credere di essere fuggita in Svizzera, sino alla deportazione ad Auschwitz. Attraverso il racconto di un’amica fortunata a cui tutto andrà bene, scopriamo due vite intrecciate e parallele. Ed è emozionante leggere il racconto e vedere le fotografie di famiglia, il biglietto di invito a vedere un film a casa Van Maarsen, l’album delle dediche. Sino al finale, in cui, a guerra finita, Jacqueline incontrerà il padre di Anne, unico sopravvissuto, e scoprirà cosa è veramente accaduto alla sua amica. Il diario che il papà ha custodito diverrà il più famoso e letto del mondo. Ma questo libro ci restituisce di Anne un’immagine più intima, autentica e priva di retorica. Giuseppe Assandri
Liliana Segre SCOLPITELO NEL VOSTRO CUORE A cura di M. Palumbo, Ill. da P. Valentinis Piemme, Milano, 2021 pp.112, €. 16,50 Da 10 anni Dove portano le impronte che in seconda, terza di copertina e relativi risguardi a poco a poco si rimpiccoliscono e si allontanano? Suggeriscono un cammino, fatto e da fare. Quello di Liliana Segre:
dall’innocenza all’orrore e poi all’impegno, agli incontri con i ragazzi che vivranno e faranno il futuro. Le righe sottili e fitte di Pia Valentinis suggeriscono le nuvole, i chiaroscuri degli abiti, dei grembiuli scolastici. Celesti, fanno da sfondo a piccole foto dai bordi bianchi (Liliana con il papà al mare, con il nonno Pippo, con il marito Alfredo), si arrestano sulla sagoma bianca dell’alunna “diversa”, l’ebrea. Bianche, nere e grigie si fanno le righe, i tratti quasi sospesi e sorpresi a dover citare l’assurdo, l’inaccettabile. La scelta di accompagnare la storia, già uscita nel 2018, con un nuovo progetto grafico è efficace. Conferma che in quest’epoca di predominante linguaggio visuale è necessario usare anche le immagini per provocare empatia. Il titolo risalta in campo bianco a forma di cuore, è scritto in rosso, come il sangue pulsante di un cuore che nutre speranza. È inscritto in un ramificare di arbusti spogli e cilestrini, che richiamano il sereno del cielo e per metà si accendono di giovani fiori colorati. «Questa è una storia che finisce bene», dice spesso la Segre quando racconta. Il suo linguaggio è diretto e sincero, spiega che deve prendere coraggio ogni volta per raccontare l’assurdo. Lo fa anche per non sentire la vergogna «che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista [...] e che la sua volontà [...] non abbia valso a difesa». (P. Levi, La tregua). Finisce bene, questa storia, perché una nonna tenace è qui a insegnare ciò che sempre più in pochi insegnano. Lo fa con esempi attuali. L’indifferenza verso i poveri, i malati e i perdenti è come quella che l’ha colpita nei primi anni delle leggi razziali; gli scafisti di oggi sfruttano i disperati come facevano i contrabbandieri con gli ebrei che volevano fuggire in
LE SCHEDE Svizzera; è stata una clandestina e ha usato documenti falsi, stava per oltrepassare la rete che la divideva dalla libertà ed è stata respinta, come anche oggi accade a molti. E spiega che i genitori possono essere fragili, possono essere dei perdenti e avere bisogno di essere aiutati dai figli, come suo padre nel carcere di San Vittore. La Segre vuole che sia scolpito nel cuore dei giovani che l’indifferenza è gravissima e complice, che bisogna lottare contro la menzogna, essere sempre vigili e forti, confidare sempre di essere capaci di reagire. Dobbiamo molto a Liliana Segre. Noi tutti italiani siamo riconoscenti per il dono ricevuto. Dobbiamo dirlo a quel padre che, nella cella 202, chiedeva scusa a sua figlia per averla messa al mondo. Franca De Sio Igiaba Scego FIGLI DELLO STESSO CIELO Piemme, Casale Monferrato, 2021 pp. 191, € 14 Da 10 anni «Colonialismo fa rima con egoismo, nipote. Un po’ come quando vedi un bel dolce nella vetrina di un pasticciere e non hai i soldi per comprarlo. Co-
sciato un solco profondo e ancora dolente. È importante che i ragazzi conoscano a fondo anche i soprusi e le ingiustizie, gli aspetti più terribili di un regime che consente che un paese sia schiavo e ignorante al solo scopo di poterlo dominare senza doverne rispondere. Paola Parlato
minci a desiderare tutto di quella torta. Ma è di qualcun altro, mica te la puoi prendere senza permesso. Eppure questo è ciò che è capitato alle nostre terre in Africa, Asia, America Latina...». Igiaba, la scrittrice e protagonista di questa storia, una notte incontra in sogno suo nonno Omar che non ha mai visto. E suo nonno la conduce in una esplorazione attraverso la storia del suo paese, la Somalia, assoggettata nel secolo scorso dagli italiani. In particolare nonno Omar vuole far conoscere alla sua giovane nipote quanto sia duro vivere senza libertà, senza dignità, senza potersi più sentire un popolo autonomo, in grado di fare le proprie scelte. La dominazione italiana della Somalia, insieme alla lunga avventura fascista è una delle pagine buie della nostra storia. E anche se il colonialismo non esiste quasi più nel mondo ha la-
Michael Morpurgo IL FIGLIO DI GULLIVER Illustrazioni di M. Foreman Trad. Rullo M. Piemme, Casale Monferrato, 2021 pp. 240, € 14,00 Da 10 anni
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Omar è costretto a imbarcarsi da solo, con la speranza che presto sua madre possa raggiungerlo in Inghilterra, dallo zio Said. Omar resta solo con le sue paure e le sue speranze, poi arriva la tempesta e l’orrore del naufragio! Quando per Omar sembra non esserci più speranza le sorti del destino si capovolgono e il ragazzo ne uscirà cresciuto e umanamente arricchito. È una storia dolorosa, uguale a tante storie drammaticamente vere del nostro tempo ed è per questo importante che anche i ragazzi più giovani le conoscano e imparino da queste a riflettere. Paola Parlato
Omar ha solo dodici anni, è nato in Afghanistan, un paese che era stato bello e felice ma poi conflitti e tirannie lo hanno devastato per oltre quarant’anni, rendendolo un posto triste e pericoloso, da cui si desidera solo fuggire. E Omar insieme a sua madre lascia la sua casa e la sua terra alla ricerca di un luogo e di un futuro migliore. Ma per chi fugge il cammino è lungo e faticoso. Le intemperie, gli stenti, l’incertezza del domani, gli sciacalli delle disgrazie altrui senza coscienza né pietà rendono la fuga più incerta e dolorosa e
FUORITESTO
NATA MASCHIO di Nadia Riccio
I
l romanzo di Baugstø introduce un tema delicato e complesso, spesso divisivo: l’identità di genere. Un romanzo breve nel quale si parla di amicizia, di adolescenza e della difficoltà di trovare il proprio modo di essere nel mondo. Il punto di vista è quello di una ragazzina cresciuta secondo valori solidi, ma che spesso non si sente all’altezza dei contesti in cui si ritrova. Nella sua vita arriva l’enigmatica Leona, nuova compagna di classe. La vicenda è apparentemente semplice e ruota tutta intorno al “segreto” di Leona, che è nata maschio ma ha iniziato il suo percorso di transizione verso un’identità femminile. La dimensione istituzionale, tutta scandinava, con l’educazione sessuale che fa parte dei programmi scolastici fin dalla primaria, appare lontana anni luce dalla
quella nostrana, in cui i diritti LGBTQ e ogni tematica legata al sesso sollevano aspre polemiche nell’opinione pubblica. Proporre questo testo in traduzione italiana è allora
ancor più importante, perché offre una visione equilibrata e empatica del tema. L’altro messaggio, altrettanto forte, è l’invito a trovare il coraggio di fare ciò che si ritiene giusto, anche a costo di trovarsi isolati, poiché il più delle volte la ragione dei forti può esser sconfitta da piccoli atti di coraggio: non tutti nasciamo leoni, ma non dobbiamo rinunciare a ruggire di fronte alle ingiustizie. Line Baugstø DOBBIAMO ESSERE LEONI Trad. Sara Culeddu Mimebù, Sesto San Giovanni, 2021 pp. 152, € 14,50 Da 11 anni
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LE SCHEDE
Anna Romano CORPO UMANO Illustrazioni di Tambe Collana «Adesso lo so!» Editoriale Scienza, Firenze-Trieste, 2021 pp. 160, € 14,90 Da 10 anni Com’è fatto il corpo umano? Come funziona? Quali sono i segreti del DNA e dell’ereditarietà? Che succede durante il sonno? Perché si piange, si arrossisce, si ride? Cos’è il body painting? Qual è la storia dei vaccini? Cos’è il giuramento di Ippocrate? Tanti interrogativi e tante risposte scientifiche: la proposta di un’enciclopedia al tempo dei social un’impresa non da poco, di sicuro una sfida. Ricco di informazioni per esplorare il corpo umano, il volume si apre con una panoramica introduttiva sull’evoluzione della vita e dell’uomo. Accanto ad argomenti strettamente di anatomia (struttura delle cellule, tessuti, organi, apparati) sviluppa anche aspetti del corpo in rapporto alla genetica, ai comportamenti, alle emozioni, alla cultura, alla parità di genere, allo stile di vita e all’inquinamento: una visione del corpo “aggiornata”, riferita al quotidiano. A conclusione di ogni capitolo è presente una brevissima, efficace, sintesi in un piccolo box «Adesso lo so!», titolo
anche dell’enciclopedia, che il volume inaugura; vi è, inoltre, una finestra con la spiegazione di una “curiosità” legata all’argomento trattato. Chiaro, equilibrato nella struttura, con immagini di immediata decodificazione, spesso accompagnate da didascalie, ha una grafica accattivante, curata, mai invadente ed è corredato di tavole anatomiche e mappe a doppia pagina, di un sommario di facile
consultazione e di un glossario, che approfondisce i termini specifici più complessi. Il linguaggio è adeguato e rigoroso, i termini scientifici sono evidenziati in neretto, così che il lettore ne colga immediatamente la peculiarità. Lucia Zaramella
Rafael Salmerón L’AQUILONE DI NOAH trad. Daria Podestà Collana “I Geodi”, Uovonero, Crema 2022 pp. 240 € 15,00 Da 12 anni Cracovia 1939, i tedeschi hanno invaso la Polonia, inizia anche qui la discriminazione degli ebrei. Noah Buamann è un polacco, ma è anche ebreo e soprattutto è un bambino speciale, diverso dagli altri, chiuso nel suo mutismo e indifferente al mondo. Neppure i medici sanno dire perché: «Magari è questo, magari è quello, le corde vocali atrofizzate…». Sembra che niente riesca a scalfirlo, niente riesca fargli provare un po’ di felicità. Solo un oggetto ci riesce: il suo aquilone che lui sa far volare con maestria nel cielo cupo. La sua è una famiglia disgregata, l’unico a occuparsi di lui è il suo fratello Joel, il gigante dal cuore buono. Quando le persecuzioni divampano, gli ebrei sono confinati nel ghetto e i Baumann dividono una sistemazione di fortuna con degli estranei: gli Hiller, una famiglia allegra, serena. Grazie a loro i due fratelli proveranno il calore e l’affetto di una famiglia. C’è anche un altro uomo dall’animo gentile, un giocattolaio solitario, «medico, chirurgo, rabbino degli aquiloni»,
che è sul punto di suicidarsi per la disperazione, e viene fermato sull’abisso dalla dolcezza silenziosa di Noah che tiene in mano il suo unico tesoro, l’aquilone.
Nessuno farà ritorno da Auschwitz: solo Noah, magro come un uccellino, senza parole. Suo fratello Joel ha cercato di resistere fino all’ultimo per proteggerlo, ma Noah lo ha visto steso a terra, con gli occhi chiusi. Joel, il gigante buono e amico, la sua famiglia, non si rialzerà piú. Splendida l’immagine di copertina: un bambino con una stella gialla sul braccio che porge un aquilone rosso a un soldato nazista che impugna un fucile.
FUORITESTO
IL RAGAZZO AFGANO di Valentina De Propris
a vera distanza fra la gente non c’entra con la geografia. C’entra soltanto con la testa e con il cuore». Le parole della nonna, piene di saggezza, risuonano nella testa di Aziz, un ragazzo afgano in fuga dal suo paese dilaniato dalla guerra e dalla violenza dei talebani, dopo aver perso la madre in un’azione militare americana; la bella Adila, che in afgano vuol dire “giusta”, viene uccisa da una raffica di mitra durante un’azione per catturare i terroristi. «Il nuovo nome di mamma è Danno collaterale », si ripete Aziz, mentre con il padre e lo zio percorre la lunga e pericoloso rotta balcanica, per raggiungere l’Europa e ricominciare a vivere. La sua storia si intreccia con quella di Mattia, un coetaneo italiano che vive i problemi
«L
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comuni della sua età: una ragazza che non lo nota, di cui è perdutamente innamorato; la scuola, dove si sente soffocare; la famiglia, apparentemente felice, ma che na-
sconde una verità da cui i genitori vogliono tenerlo lontano. I destini dei due ragazzi si incroceranno in una lunga notte in cui avverrà la svolta decisiva delle loro vite, con un colpo di scena finale ben congegnato. L’autrice alterna le voci dei due personaggi con maestria e sensibilità, spesso usando il linguaggio e la scelta delle parole come un filo per legare le vicende tra loro; in questo si rivela dotata di uno stile poetico e profondo, che arriva al cuore del lettore. Antonella Sbuelz QUESTA NOTTE NON TORNO Feltrinelli, Milano, 2021 pp. 256, € 15,00 Da 13 anni
NOVITÀ NOVITÀ
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LE SCHEDE
Novità EDIZIONI CONOSCENZA
Una storia tenera e commovente che non fa sconti nella narrazione e che non nasconde la durezza della tragedia, ma è carica di poesia, e mentre descrive la complessità delle relazioni umane invita a non perdere la speranza neppure nelle situazioni più difficili. Clelia Tollot AA.VV. IL LIBRO DELLA FILOSOFIA PER RAGAZZE E RAGAZZI Trad. Angela Ricci Gallucci, Roma, 2021 pp. 142, € 18,50 Da 12 anni È molto bello e ben concepito questo libro di introduzione alla filosofia per i più giovani. La struttura del testo, suddiviso in cinque sezioni, è tutta articolata attraverso domande, che vanno dall’esistenza del mondo all’esperienza dei sensi, dalle forme del pensiero alla nozione di soggettività fino ai principi della morale. Ogni questione è affrontata presentando le risposte diverse che sono state date nel corso del tempo, riportando i ragiona-
na felice sintesi tra teoria pedagogica e U lavoro didattico sul campo, richiamandosi agli studi di Dewey e Freinet e alle ricerche delle pedagogiste Ferreiro e Teberosky, le autrici e l’autore – Beatrice Bramini, Giuliano Franceschini, Lia Martini – spiegano come l’apprendimento della lingua scritta e delle competenze nella lettura siano la condizione primaria della cittadinanza attiva. vvicinare i bambini alla meravigliosa scoperta della scrittura e della lettura fin dalla scuola dell’infanzia con metodologie di-
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dattiche non autoritarie ma basate sugli interessi spontanei dei bambini. Un percorso affascinante che prende le mosse dai primi scarabocchi per diventare disegno, scrittura e pensiero razionale, quindi sistema di comunicazione e relazione. fogliando queste pagine si svelerà, come in un bellissimo racconto, il processo di crescita dei bambini che avviene senza forzature, ma accompagnandoli a scoprire i loro talenti e le loro inclinazioni. Senza esclusioni e in comunità.
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Beatrice Bramini, Giuliano Franceschini, Lia Martini DISEGNI, SCRITTURE, LETTURE Collana “Orientamenti” Interamente illustrato a colori pp. 232, €18.00 Per ordinarlo inviare un e-mail a: commerciae@edizioniconoscenza.it
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menti di singoli pensatori, citando aneddoti e esperimenti, coinvolgendo sempre il lettore a riflettere sulla propria esperienza personale. Di molti filosofi sono presenti schede biografiche. La veste grafica è accattivante, molto ricca di immagini. L’impegno degli autori dà vita a testi di estrema chiarezza che non risultano mai banali. Nadia Riccio
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Martedì, 22 marzo 2022, ore 10,30 - 12,30 – Bologna Fiera del Libro per Ragazzi, Sala “VIVACE” Carla Ida Salviati – A scuola con Mario Lodi Valentina De Propris – Crearono un passero e lo chiamarono Cipì Coordina Clelia Tollot Ai presenti sarà fatto omaggio dell’ultimo numero del “Pepeverde”