STORIA
Il Giubileo del 1900 e le montagne In occasione del Giubileo del 1900 alcune comunità montane furono protagoniste dell’evento innalzando croci e monumenti sulle vette di casa: simboli di fede ma anche di spirito di comunità di Oscar Gaspari*
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er il Giubileo del 1900 le comunità locali di una ventina e più montagne italiane decisero di innalzare croci e monumenti a Cristo Redentore. Quelle comunità pagarono di tasca propria monumenti in bronzo, in ghisa, croci grandi e piccole che poi portarono in vetta coi carri trainati da buoi o a spalla, a seconda delle possibilità e del peso. La maggior parte degli storici ha considerato quel Giubileo come un evento marginale, oppure come un fallito tentativo di rivincita del Vaticano sul Regno d’Italia che aveva “usurpato” il potere temporale del papa, ma non era così. Quelle croci erano simboli di fede, ma anche di unione delle comunità delle montagne, dimenticate da tutti, comunità che volevano partecipare al Giubileo e mostrare la loro capacità di iniziativa. In alcuni casi, tra quelli studiati, i promotori locali dell’evento, guide delle comunità, erano gli stessi che aprivano banche popolari, cooperative e latterie sociali. Era quello il momento in cui i montanari si organizzavano per il difficile e complesso futuro del Novecento, erano gli anni di Leone XIII, il papa che aveva mobilitato i cattolici in favore dei lavoratori. I VENTI SECOLI DA CELEBRARE Il comitato romano per il Giubileo, per celebrare l’evento, aveva proposto di portare nelle cime un piccolo ricordo, venti souvenir quanti erano i secoli dalla nascita di Cristo: furono i montanari a voler fare molto di più. Quasi rispondendo alla sfida delle comunità locali, il comitato decise di promuovere tre monumenti vicino a Roma e quindi, per esso, i più importanti. Di quei tre monumenti uno non venne mai costruito e gli altri due si trovano in cattive condizioni: non hanno resistito alla sfida del tempo perché pressoché estranei alle comunità vicine. Questa notizia è uno dei frutti di un’indagine promossa dal Cai nel 2017 che, attraverso la collaborazione di alcune delle sezioni più vicine ai mo52 / Montagne360 / febbraio 2022
numenti, ne ha fatto conoscere lo stato. Hanno resistito per 120 anni i manufatti innalzati con sottoscrizioni popolari e costruiti grazie allo sforzo comune di donne e uomini delle montagne che hanno contribuito poi anche a ricostruzioni e restauri, oggi grazie anche al contributo del Club alpino italiano e dell’Associazione nazionale alpini (Ana). La Croce dell’Orsaro, e altre croci vicine nei monti dell’Appennino parmense, per esempio, vennero innalzate da un cattolico del Cai, Giuseppe Micheli, un appassionato montanaro che fondò e guidò la prima associazione “Giovane Montagna” e fece parte del Consiglio centrale del Cai nel 1946-47. E la Croce dell’Orsaro è ancora lì. IERI E OGGI Come sono ancora lì il Cristo del Mombarone tra Piemonte e Val d’Aosta, che nel dicembre 2021 ha celebrato centovent’anni dall’innalzamento e trent’anni dalla ricostruzione, avvenuta grazie all’iniziativa dell’Ana locale; come il Cristo del Monte Altino, nel Lazio meridionale; come il Cristo del Saccarello nelle montagne di Imperia, particolarmente caro al Cai dove, in occasione della tradizionale festa agostana, nel 2009 è stato firmato il “Giu-
Sotto, Festa per il Cristo del Mombarone; donne, probabilmente, portatrici di calce (immagine gentilmente concessa da Margherita Barsimi Sala, Mombarone. Un simbolo per tre comunità, Biellese, Canavese, Valle d’Aosta, Ivrea, Litografia Bolognino, 2016) A destra, pellegrinaggio annuale in occasione della Festa della Madonna della neve; 5 agosto 1905 (immagine gentilmente concessa da Margherita Barsimi Sala)