NUOVE ASCENSIONI a cura di Carlo Caccia
Restiamo umani Sotto la città di Lecco e il lago, sopra la parete del San Martino. Un bastione verticale allo stesso tempo solare e sinistro, con la gigantesca ferita della frana del 1969 accanto alla quale, tra il 2020 e il 2021, Luca Schiera e Dimitri Anghileri hanno firmato una linea di grande impegno, lunga 250 metri e con difficoltà fino all’8b rosa d’altri tempi, quella di Antonio Stoppani (1824-1891). Come quando, ne Il Bel Paese, scrive che il San Martino «è un monte fantastico. Tutto una rupe, nuda, aspra, angolosa, degna di campeggiare in un’epopea di giganti. La città di Lecco si appoggia da tramontana a quello stempiato macigno» che, «slanciandosi ritto come un muraglione ciclopico», la difende dai «gelati aquiloni (venti settentrionali, ndr)». Il fianco occidentale del San Martino, che è l’estrema propaggine meridionale del gruppo delle Grigne, s’innalza direttamente dai 197 metri del lago ai 1046 della vetta – che diventano 1479 proseguendo fino alla sommità del Coltignone – ed è «come una bastia di pietroni a picco, quasi dappertutto inaccessibili. Da mezzodì, ove la montagna è più nuda, sporge innanzi la fronte, e nel mezzo di questa si apre un antro spazioso, come una gran cicatrice o come l’occhio di Polifemo». Così all’epoca dello Stoppani, quasi un secolo prima che da questa “fronte” - una larga parete arancione, inconfondibile elemento del paesaggio lecchese – si staccasse un’enorme frana: una tragedia in piena notte, il 23 febbraio 1969, con le macerie che investirono in pieno un’abitazione uccidendo sette persone.
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ALPINISMO EROICO Osserviamo la muraglia: a destra dell’antro antico, che è proprio simile a un occhio, spicca un’altra inquietante incisione giallastra, profonda e verticale, che incuriosisce chi non ne conosce l’origine. E chi invece è al corrente della storia, si stupirà scoprendo che alcuni temerari – prima Giorgio Anghileri, attorno al 1990, e altri in seguito – si sono cacciati proprio là dentro, spingendosi anche piuttosto in alto a dispetto della pessima qualità della roccia. Alpinismo eroico? Mai 72 / Montagne360 / febbraio 2022
come quello raccontato il 27 ottobre 1934 su “Il Popolo di Lecco” – era il settimanale fascista locale, autentica miniera di notizie arrampicatorie – che con prosa ben più marziale di quella dello Stoppani parla delle «vittorie del manipolo crodaiolo» e della «severa e caratteristica parete sud del nostro S. Martino. Non è necessario alterare la realtà con aggiunte di strapiombi inverosimili – continua –. Superare 200 metri di parete come quella è un’impresa che pochi possono tentare e pochissimi condurre a compimento». Insomma: roba per gente come Vittorio Panzeri e Augusto Corti, che alcuni giorni prima – presumibilmente il 21 ottobre, domenica – avevano assaltato quella «arcigna e nuda e solidamente compatta» muraglia, capace di resistere «per 12 ore ai tentativi, obbligando gli audaci a piantare nella sua epidermide dolomitica ben 40 chiodi, di cui 15 sono
stati lasciati». La nuova via, «giudicata di 6° grado», fu dedicata al maggiore e medaglia d’oro al valor militare Giovanni Randaccio, fatalmente ferito nel maggio 1917 durante la Decima battaglia dell’Isonzo. L’esatta ubicazione dell’itinerario, forse mai ripetuto, è incerta: se non alterato dalla frana del 1969, potrebbe stare alla sua sinistra, dove negli anni Settanta del secolo scorso furono rinvenuti alcuni chiodi. TEMPI MODERNI Da allora, con l’accresciuta attenzione alle strutture di bassa quota – restando nei paraggi di Lecco ricordiamo la Corna di Medale, l’Antimedale, il Pilastro Rosso e le altre pareti del lago –, anche la Sud del San Martino ha visto l’apertura di altri itinerari tra i quali quello, diventato classico, di Luigi Savini, Giacomo Manenti e Guido Ceregalli (1996). Il