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Il Tramonto del CUC Cuba dice addio alla doppia valuta: una promessa di uguali opportunità, ma ad un prezzo ancora non chiaro di Simone Poggi
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el 1994 la situazione economica dell’Isla Grande era di profonda crisi, soprattutto per l’implosione dei Paesi del blocco sovietico, i principali sostenitori economici e politici del regime. Cuba infatti vendeva a tali Paesi prodotti a prezzi concordati, in cambio di puntuali sovvenzioni. Fidel Castro decise allora di puntare sul turismo, creando un’ulteriore valuta in aggiunta al CUP (o peso comune): il CUC (o peso convertibile). Questo costituiva un’alternativa al dollaro, poi ritirato nel 2004, ma mai divenuto del tutto illegale. Il CUC sarebbe rimasto allineato al dollaro americano con una quotazione 1 ad 1. Lo Stato cubano, primo operatore economico del Paese, avrebbe continuato a pagare i dipendenti pubblici in CUP, valuta con la quale sarebbe stato possibile acquistare beni di prima necessità e comuni, prodotti internamente. Lo Stato tuttavia poteva vendere internamente in CUC prodotti importati,
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facendo così scorta di moneta forte estera. Oltre allo Stato, altri enti, principalmente dediti al turismo e al commercio con l’estero, potevano avere accesso al CUC. La conversione dei CUP in CUC era possibile al cambio di 25:1, oltre ad una tassa governativa. La moneta forte ha negli anni dato linfa vitale a L’Avana, anche se di fatto si è rapidamente venuta a creare una vera e propria molteplicità di tassi di cambio, secondo la quale nel settore statale vi era sostanziale parità tra CUP, CUC e dollaro (1:1:1), mentre per il grande pubblico il tasso di cambio era effettivamente di 25 CUP per ogni CUC o dollaro. Questa realtà ha distorto per anni la contabilità delle società statali, dove il CUP e il CUC sono stati fusi come un’entità unica nei libri contabili, rendendo difficile, ad esempio, determinare lo stato reale dell’economia cubana. In aggiunta, l’esito di-