Parola di Dio
...nella vera L
Camminando con fede 2/2013
4
a vera grandezza si rivela nell’umiltà dell’uomo che si apre alla saggezza. Anzi, quanto più uno è grande e ricco di doni, tanto più profonda deve essere la consapevolezza di aver ricevuto da Dio e quindi la sua umiltà. Eppure, nonostante che sia ridicolo chi fa sfoggio dei doni di Dio come fossero suoi personali, molti sono gli uomini orgogliosi e superbi. Proprio per questa insensatezza radicata nel profondo della persona, per la misera condizione del superbo non c’è rimedio. L’unico rimedio è ascoltare con orecchio attento e meditare profondamente la parola del Signore (le parabole). L’atteggiamento umile, che sa porsi al livello di tutti gli uomini, non è solo una saggezza umana, ma è anche una virtù autenticamente religiosa, che ci fa trovare grazia davanti al Signore. Questo atteggiamento interiore di semplicità diventa un appello anche sulle labbra di Paolo: «Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri, non nutrite desideri di grandezza; volgetevi piuttosto a ciò che è umile. Non stimatevi sapienti da voi stessi» (Rom 12, 16). «Il credente si rallegra di appartenere a Dio e comprende che è grazia di Dio l’essere in sua compagnia. Egli non si domanda se è degno o no di appartenergli, allo stesso modo che un bambino non si domanda se è degno o no di prender parte a un convito di adulti, si rallegra semplicemente per le buone cose e per la buona compagnia che lo tratta gentilmente. Egli è in questo un esempio per noi figli di Dio, a cui viene data una cosa così bella. Naturalmente “senza merito”; in che modo avremmo potuto “meritarlo”? E tuttavia ci sentiamo bene in questa compagnia e non abbiamo bisogno di sentirci stranieri» (Hans Urs von Balthasar). Anche l’evangelista Luca nel racconto di un pranzo “in casa di uno dei capi dei farisei” da parte di
Gesù sottolinea che non è un semplice mettersi a tavola per mangiare. Si tratta di un rito sociale, di un banchetto solenne, anche per discutere insieme di argomenti “seri”, a volte religiosi, soprattutto quando un rabbino era tra gli ospiti. Gesù accetta di partecipare ad una di queste riunioni e, da osservatore attento e predicatore concreto ed efficace, prende lo spunto dalle piccole cose per costruire il suo messaggio: «osservando come gli invitati sceglievano i primi posti, disse loro una parabola: “Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più ragguardevole di te e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: Cèdigli il posto! Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto”. Gesù trasforma questa norma di urbanità e di astuzia in una esortazione religiosa e teologica. Gesù offre una regola per l’ingresso nel suo regno. L’arrivismo, l’orgoglio, l’autosufficienza, il fariseismo sono un impedimento; la semplicità, l’umiltà, il rispetto della giustizia sono, invece, le condizioni ideali per l’ingresso. La regola della mensa del regno è, secondo una costante tradizione biblica, una sola: “chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”. Il Regno esige che l’uomo non si ritenga giusto dinanzi a Dio, ma che rinunzi ad ogni pretesa di auto-giustificazione. Quello che mi farà ottenere un posto nella comunione con Dio è non la mia giustizia, ma la sua grazia che mi dice: “Amico, passa più avanti”.» Questa corsa al primo posto è una delle malattie più diffuse. Nel privato e nel pubblico, nella cultura e nella società, anche nella Chiesa, in tutto ciò che facciamo siamo malati di questa ansia del primeggiare, e restiamo puntualmente delusi: il nostro amor proprio ha più fame di prima, dopo che è stato soddisfatto. Vorremmo passare di applauso in applauso, di complimen-