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SICUREZZA ALIMENTARE
MERCATI E CONSUMI
RELAZIONE SCIENTIFICA
Passione
in ogni piatto.
INNOVAZIONE ALIMENTARE IN TUTTE LE SUE FORME, CON IL SISTEMA MODULARE ALL-IN-ONE
Il sistema di formatura FS 525 combina due tecnologie di
per una varietà infinita
Per ulteriori informazioni, vedere: www.handtmann.com/food
M Y IDE A. M Y S O LU T I O N.
ATTUALITÀ: Una questione aperta
SICUREZZA ALIMENTARE: Escherichia coli produttori di tossine Shiga (STEC)
Direttore responsabile: Cristina Filetti
Direttore CommerCiale: Luca Codato - codato@ecod.it
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Hanno Collaborato: Raffaele Aliverti; Michele Amorena; Emanuela Cristelli; Katia Debiasi; Cristina La Corte; Rosaria Lucchini; Angela Mucciolo; Claudio Mucciolo; Giuseppe L. Pastori; Giulia Weiss.
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LA PAROLA ALL’ESPERTO: Prodotti di salumeria al passo con i tempi - La Mortadella Bologna IGP si rifà
look per venire
attenti alla qualità
CONSUMI:
della tracciabilità dei prodotti alimentari
A...
SCIENTIFICA dagli archivi di Ingegneria Alimentare: Omaggio al Prof. Carlo Cantoni - Uso dell’ozono per la disinfestazione di acari nei prodotti di salumeria
E SOCIETÀ: Inquinamento ambientale
fertilità della natura
E INFORMATICA
E LEGISLAZIONE: Materiali e oggetti a contatto con gli alimenti - I principali oneri imposti dalla normativa
Il comparto del Culatello di Zibello DOP, che riuni sce 23 produttori, per circa 300 occupati tra addetti diretti e lavoratori legati all’indotto, si conferma in buona salute: secondo i dati diffusi dal Consorzio di Tutela, nel primo semestre 2022 i Culatelli di Zibello avviati alla produzione tutelata che certifica la DOP sono stati 56.552, con un incremento del 27,4% ri spetto al pari periodo dello scorso anno. Ammonta a 23,8 milioni di euro, il fatturato al consumo: rispetto al 2020, la crescita a valore è stata in doppia cifra, su periore al 22%.
I dati diffusi dal Consorzio di Tutela del Culatello di Zibello DOP certificano che, nel 2021, i Culatel li destinati all’affettamento sono stati 37.983, pari al 48,6% della produzione annuale. Soltanto dieci anni fa, nel 2012, questa percen tuale era ferma all’1,3%. Al consumo, nel 2021, il segmento del pre-affettato incide per un valore di 10,3 milioni di euro. Il canale di commercializzazione principale del Culatello di Zibello DOP è quello del normal trade, con una quota pari al 60% del comparto. La grande distribuzione organizzata rappresenta il restante 40%.
In crescita, dopo due anni difficili, a causa delle dinamiche innescate dall’emergen za sanitaria da Covid-19, è anche la quota export. Con l’esclusione dell’Italia, che vanta da sola una quota di mercato del 75%, i Paesi dell’area UE (in primis Francia e Germania), insieme con la Svizzera, rappresentano l’88% dell’export del Cula tello di Zibello DOP. Seguono, in questa speciale classifica, il Nord America, con Canada e Stati Uniti (6%), il Giappone e l’Oriente (4%) e il Regno Unito (2%).
Velati, azienda leader di apparecchiature e linee com plete per la produzione di salumi sarà rappresentata in Canada da Handtmann Canada Limited.
Due grandi aziende in partnership per incrementare la produttività delle aziende canadesi nella realizza zione di prodotti di alta qualità secondo la tradizione italiana. Assistenza al cliente e efficienza nelle conse gne saranno i punti di forza che Handtmann e Velati metteranno in primo piano attraverso la professiona lità dei loro team.
EASYFAIRS E FIERA DI PARMA PER SOLIDS
COMPOSTABILE E RICICLABILE
Un imballaggio 100% riciclabile e compostabile per rispondere alla crescente at tenzione e consapevolezza green degli italiani.
ABP Food Group, azienda particolarmente impegnata nella riduzione dell’im patto ambientale della produzione di carne bovina a tutti i livelli, ha lanciato un nuovo packaging sostenibile per la carne irlandese, completamente compostabile e con il 75% di plastica in meno. ABP figura inoltre tra i fondatori del programma di sostenibilità agroalimentare Origin Green, che coinvolge il 90% della produzio ne di food&beverage irlandese all’insegna della salvaguardia dell’ambiente e che quest’anno festeggia i suoi primi 10 anni.
Secondo i dati raccolti da Bord Bia, ente governativo per lo sviluppo dei mercati di esportazione dei prodotti food&beverage irlandesi, per il 46% degli italiani ciò che mettiamo nel carrello della spesa può avere un impatto ne gativo sull’ambiente. Negli ultimi due anni, il Bel Paese si è dimostrato tra i più consapevoli in materia di consumi ali mentari, considerando che più della metà degli intervistati (56%) ha dichiarato che la sostenibilità è tra gli elementi che ne influenzano maggiormente le scelte in fatto di cibo. Il 76% appartiene alla categoria dei cosiddetti “scrutini sers”, per i quali prendersi qualche istante tra le corsie del supermercato per valutare attentamente i propri acquisti è cruciale.
Il packaging sostenibile va ad aggiungersi al metodo di allevamento in armonia con la natura e all’alimentazione grass-fed, già da tempo i maggiori punti di forza della pro duzione irlandese di carne bovina, nonché tra i fattori che più influenzano le scelte d’acquisto dei consumatori di carne italiani. Benessere umano, animale e ambien tale sono strettamente connessi tra loro, e da sempre si uniscono per dare vita alla carne di manzo “buona per natura”.
Firmato l’accordo fra Fiere di Parma e Easyfairs per organizzare a Parma la fiera “Solids”, dedicata alle soluzioni per la movimentazione, la lavorazione, lo stoccaggio, l’analisi e il trasporto di materiali granulari fini e grossolani. L’evento è rivolto a operatori pro fessionali delle industrie di trasformazione, chimica, farmaceutica, mineraria, estrattiva, alimentare e man gimistica, metallurgica, del vetro e del riciclo. Si terrà nel 2023, dal 14 al 15 giugno. “Solids” viene già organizzata in varie città europee: Dortmund, Anversa, Rotterdam, Zurigo e Cracovia. Per l’Italia è stata scelto il quartiere fieristico di Fiere di Parma. Easyfairs è un gruppo paneuropeo con sede a Bruxelles, conta 750 dipendenti, organizza più di 200 eventi in 14 Paesi ed è attualmente una delle 20 principali società di eventi al mondo; Solids è uno dei suoi brand.
La Spagna si colloca al terzo posto, dopo i Paesi Bassi e il Regno Unito, nella classifica stilata da ProVeg Inter national dei cinque Paesi europei che si impegnano maggiormente nella carne di coltura, un prodotto con un grande potenziale per migliorare la competitività e la sostenibilità dell’industria della carne in Europa.
Dopo la Spagna, l’elenco è completato da Germania e Francia. Nel mercato nazionale, c’è un forte soste gno alla ricerca sul potenziale salutistico della carne coltivata. Essendo il Paese con il più alto consumo di carne pro-capite in Europa, la Spagna ha il potenziale per diventare un attore importante nel settore dell’a gricoltura cellulare. Il concetto di carne coltivata è stato a lungo discusso in Europa. Nel dicembre 2020, l’Agenzia alimentare di Singapore (SFA) ha approvato la vendita del pollo della startup californiana Just Eat, prodotto con l’agricoltura cellulare. È stata la prima, e rimane l’unica, autorità di regolamentazione al mon do ad approvare un prodotto a base di carne coltivata per la vendita sul mercato.
SPAGNA, IL SUCCESSO DELLE CARNI COLTIVATE
VELATI IN CANADA CULATELLO DI ZIBELLO DOP, CRESCE LA PRODUZIONE
MOVIPLUS 4.0
SIRINGATURA, THE NEXT
· Connettività totale 4.0: Siringatura del futuro
· Sistema di siringatura autoregolato: precisione senza pari
· Tecnologia SPRAYPLUS®: distribuzione della salamoia senza eguali
· Aumento dei Cicli operativi: Aumento della Produttività
· Disegno pratico e igienico
RICERCA E MISURE ANTIFRODE
Inaugurato a Cuneo il Centro Interdipartimen tale di Ricerca sul Cibo ed Antifrode (CIBAN). Il centro, frutto della collaborazione dei Diparti menti di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari, di Giurisprudenza, di Management e di Veterinaria dell’Università di Torino, risponde alle attuali ne cessità di superare le sfide che il sistema del cibo deve affrontare con un approccio di tipo multidi sciplinare.
In particolare, il CIBAN si propone di:
1. creare un ecosistema territoriale, comprendente grandi gruppi, piccole e medie imprese e start up legate alla trasformazione industriale, ed altri attori rilevanti nel sistema del cibo e delle filiere collegate, al fine di sviluppare partnership capaci di condurre progetti strategici e attrarre finanzia menti pubblici e privati;
2. rafforzare le azioni di ricerca applicata e di trasfe rimento tecnologico dell’Università di Torino verso le imprese del settore agro-alimentare, del sistema del cibo e antifrodi;
3. favorire l’accesso alle attrezzature scientifiche delle Infrastrutture di Ricerca funzionali allo sviluppo di attività di ricerca per applicazioni rilevanti nell’industria, di interesse per il sistema delle imprese e finalizzate, in particolare, alla ri cerca collaborativa;
4. promuovere processi di incubazione ed accele razione di start up innovative;
5. sviluppare percorsi di formazione curriculare, professionalizzante e continua, volta al poten ziamento delle competenze strategiche per il settore agro-alimentare anche in cooperazione con le aziende;
6. aumentare la visibilità del comparto agro-ali mentare attraverso la comunicazione e gestione di eventi di promozione;
7. monitorare le proposte di normazione europea in materia agroalimentare e antifrodi al fine di elaborare e proporre le norme che tengano con to delle peculiarità dell’agricoltura italiana e dei prodotti agricoli italiani.
EXPORT: 2021 ANNO RECORD PER L’AGROALIMENTARE ITALIANO
Il 2021 segna un primato sia per le importazioni agroalimentari, che raggiungono il va lore record di 48,28 miliardi di euro (+13,6%), sia per le esportazioni, che superano per la prima volta i 50 miliardi (+11,3). La maggiore crescita dell’import rispetto all’export agroalimentare interrompe il trend positivo della bilancia agroalimentare, passata da un deficit di oltre 6,5 miliardi di euro (2014) a +2,86 miliardi nel 2020. La contrazione nel 2021 è tuttavia contenuta per la bilancia, che rimane superiore ai 2 miliardi di euro. È quanto emerge dal Rapporto 2021 sul commercio estero dei prodotti agroalimentari, realiz zato dal CREA, con il suo Centro di Ricerca Politiche e Bioeconomia. In generale, nel 2021 si riscontra un aumento dei valori medi unitari degli scambi, con netti incrementi in valore ai quali spesso corrispondono aumenti più contenuti, o an che riduzioni, delle quantità scambiate. UE e Nord America si confermano i principali mercati di riferimento per le esportazioni agroalimentari dell’Italia, con quote del 57,7% e 13,2% rispettivamente. Dal lato delle importazioni - oltre all’UE che copre il 68%Asia e Sud America sono le altre principali aree di approvvigionamento dell’Italia. I netti incrementi in valore degli scambi agroalimentari riguardano quasi tutti i principali paesi partner dell’Italia; sia i clienti tra cui Germania (+7,1%), Francia (+8,3%) e Stati Uniti (+14,2%), sia i fornitori tra cui Francia (+11,5%) e Spagna (+12%). Nel 2021 gli effetti della Brexit sugli scambi agroalimentari sono evidenti: le importa zioni dell’Italia dal Regno Unito sono quasi dimezzate rispetto al 2020 e la crescita delle esportazioni (+1,6%) è nettamente inferiore a quella verso gli altri principali mercati di destinazione.
CRESCONO LE ESPORTAZIONI DALLA COLOMBIA
Il ministero dell’Agricultura y Desarrollo Rural della Colombia ha reso noto che nei primi sei mesi dell’anno in corso, il settore agricolo e dell’allevamento del Paese, unitamente a quello agroindustriale, hanno esportato prodotti per un valore complessivo di 6.116 mi lioni di USD, facendo registrare un aumento del +38,8% rispetto ai 4.406 milioni riporta ti nello stesso periodo del 2021. In proposito, il ministro ha evidenziato che, in questi sei mesi, le forniture colombiane all’estero di beni derivanti dai settori in oggetto hanno inciso nella misura del 21,4% sul valore complessivo delle esportazioni del Paese. I principali paesi destinatari sono stati in ordine gli Stati Uniti, i Paesi Bassi, il Belgio, la Germania, il Canada, la Spagna, il Giappone, il Regno Unito, l’Italia e l’Egitto.
Il Ministero dell’agricoltura e dello sviluppo rurale (MADR) ha previsto nuovi finanziamenti per gli allevatori, in seguito ad un incontro tra il Ministro, i rappre sentanti dei diversi fondi di garanzia e della CEC Bank. I sostegni sono necessari in seguito agli effetti negativi dell’emergenza Covid, della peste suina africana e, re centemente, dell’esplosione dei prezzi delle utenze. I prestiti concessi agli allevatori mirano alla costituzione di scorte di materie prime foraggere e avranno un tasso di interesse massimo pari al livello dell’indice ROBOR a 6 mesi, a cui si aggiun ge un margine del due per cento. L’importo dei prestiti concessi agli agricoltori sarà di un massimo di 3 milioni di euro, mentre la garanzia dei fondi di garanzia è espressa, incondizionata e irrevocabile. Questa garanzia rappresenta l’80% del valore del prestito, senza superare i 2,5 milioni di euro. I beneficiari di questo aiu to eccezionale da parte dello Stato sono gli allevatori di suini o pollame, persone fisiche autorizzate, imprese individuali e familiari e/o giuridiche, titolari di attività sanitarie-veterinarie autorizzate con partecipazioni commerciali. I crediti saranno concessi in determinate condizioni.
L’Istituto Brasiliano di Geografia e Statistica (IBGE) ha diffuso i dati relativi alla macellazione di bovini da apri le a giugno 2022: 7.322 milioni di capi, con un incre mento del 2,7% rispetto allo stesso periodo del 2021, secondo i dati contenuti nelle “Indagini trimestrali sulla produzione di macellazione, latte, cuoio e uova di gallina”. L’IBGE ha inoltre comunicato la produzione di 1.929 milioni di tonnellate di bovini abbattuti nel secondo trimestre. Il volume rappresenta un aumento del 2,3% rispetto al secondo trimestre 2021. Rispetto al primo trimestre si registra un aumento del 5,1%. Nel Paese da aprile a giugno sono stati macellati anche 1.493 miliardi di polli, che hanno rappresentato un calo del 2% rispetto allo stesso periodo del 2021 e del 3,4% rispetto al primo trimestre di quest’anno, secon do l’IBGE. Il peso accumulato delle carcasse è stato di 3,625 milioni di tonnellate nel secondo trimestre, in aumento dello 0,6% rispetto allo stesso periodo del 2021 e in diminuzione del 3,7% rispetto al risultato del primo trimestre 2022. La macellazione dei suini, infine, è aumentata del 6,6% tra aprile e giugno rispetto allo stesso trimestre del 2021, a 13.999 milioni di capi. Rispetto al primo trimestre dell’anno si registra un au mento del 2,6%. Il peso accumulato delle carcasse di suini ha raggiunto 1,3 milioni di tonnellate nel secondo trimestre, con un aumento del 6% rispetto allo stesso periodo del 2021 e del 4,5% rispetto al primo trimestre di quest’anno.
È nato il 1 settembre scorso, con la partecipazione del CREA, il National Biodi versity Future Center (NBFC), la più poderosa iniziativa di ricerca e innovazione sulla biodiversità mai tentata in Italia.
Il NBFC si focalizza sul tema prioritario a livello nazionale e internazionale della biodiversità attraverso una rete, coordinata dal CNR e composta da 48 partner, scelti tra Università, Organismi di Ricerca, Fondazioni e Imprese, in base alla loro comprovata leadership scientifica, tecnologica, etica e di mercato. Il progetto prevede un finanziamento di oltre 320 milioni di euro per i primi tre anni (20232025) ed il coinvolgimento di oltre 1.300 ricercatori degli Enti partner.
Il contributo del CREA risulterà rilevante per monitorare, preservare, ripristinare e valorizzare la biodiversità negli ecosistemi terrestri della Penisola. In particolare, il CREA ricoprirà un ruolo cardine per fornire strumenti innovativi ed efficaci al mondo della ricerca, ai cittadini e ai decisori politici, così da metterli in condizione di conoscere e contrastare l’erosione della diversità biologica, quantificare i servizi ecosistemici e realizzare azioni volte alla conservazione e al ripristino della biodi versità in tutto il Mediterraneo. Inoltre, si lavorerà all’individuazione di soluzioni innovative per raggiungere i target del Green Deal in materia di biodiversità.
Altre attività di cui si occuperà il CREA riguarderanno gli ambienti terrestri e d’ac qua dolce, tra cui il monitoraggio a lungo termine degli ecosistemi forestali con particolare attenzione alla sua biodiversità funzionale in risposta ai cambiamenti globali e alle pratiche di gestione. Sarà effettuata una diagnosi precoce della pre senza di specie aliene invasive e lo studio delle loro interazioni con la componente autoctona.
Nei 3 anni di attività previsti, il NBFC mirerà a formare una nuova classe di ricer catori con competenze multidisciplinari, che rendano l’Italia una nazione di rife rimento per lo studio e la conservazione della biodiversità, creando, al contempo, consapevolezza e partecipazione da parte della società civile nei confronti della tutela e valorizzazione dell’ambiente.
Il Consorzio Zampone e Cotechino Modena IGP, in collaborazione con il Comune di Modena e la Regio ne Emilia-Romagna, ha indetto la settima edizione del Concorso nazionale di cucina “Lo Zampone e il Co techino Modena IGP degli chef di domani”, nell’ambi to della 11a edizione della Festa dello Zampone e del Cotechino Modena IGP, che si terrà sabato 10 dicem bre in Piazza Roma a Modena. Il concorso, rivolto agli studenti degli Istituti Professionali Statali per i Servizi dell’Enogastronomia e l’Ospitalità e le Scuole e Istituti Alberghieri di formazione professionale, consiste nella preparazione di un piatto a scelta tra antipasto, primo, secondo o dessert, utilizzando e valorizzando lo Zam pone Modena IGP o il Cotechino Modena IGP. Scopo dell’evento è valorizzare i due prodotti modenesi e ren derli protagonisti di abbinamenti nuovi e originali, che invoglino i consumatori a sperimentare ricette diverse dal solito e ad aumentare le occasioni di consumo.
Tra tutti gli Istituti partecipanti, ne verranno selezionati 10 che prenderanno parte alla finale, che si terrà sabato 10 dicembre a Modena.
La Giuria – composta dal Presidente del Consorzio Zampone e Cotechino Modena IGP, Paolo Ferrari, dallo chef Massimo Bottura, insieme ad altri rappre sentanti del mondo istituzionale, economico ed enogastronomico della città di Modena – esaminerà le 10 ricette finaliste e stilerà la classifica dei 3 Istituti vincitori.
BIODIVERSITÀ: NUOVO PROGETTO AL VIA
ZAMPONE E COTECHINO MODENA IGP
BRASILE, AUMENTA LA PRODUZIONE DI CARNE ROMANIA, FINANZIAMENTI AGLI ALLEVATORI
VI ASPETTIAMO AL CIBUS TEC FORUM 25-26 OTTOBRE, PARMA
Una questione aperta Secondo
i dati provvisori diffu si da ISTAT relativi al mese di agosto 2022, sono l’energia elettrica e il gas mercato libero che producono l’accelerazione dei prezzi dei beni energetici non regolamentati e che, insieme con gli alimentari lavorati e i beni durevoli, spingo no l’inflazione a un livello (+8,4%) che non si registrava da dicembre 1985 (quando fu pari a +8,8%).
Accelerano, così, l’inflazione al netto degli energetici e degli alimentari freschi (+4,4%; non era così da maggio 1996 quando fu +4,7%), al netto dei soli beni energetici (+4,9%; non era così da aprile 1996) e la cre scita dei prezzi del cosiddetto “carrello della spesa” (+9,7%; un aumento che non si osser vava da giugno 1984).
Aumentano le spese e l’intera filiera alimen tare si trova a fronteggiare aumenti unilate rali da parte dei fornitori di imballaggi come il vetro che costa oltre il 30% in più rispet to allo scorso anno, più 35% per le etichet te, 45% per il cartone, 60% per i barattoli di banda stagnata, fino ad arrivare al 70% per la plastica, secondo l’analisi Coldiretti Filiera Italia e Unaproa. L’impennata dei prezzi dei carburanti rischia di scatenare una tempesta sui costi della logistica.
È innegabile che, reduci da una pandemia che ha piegato la schiena ai cittadini e alle imprese, ci troviamo ad affrontare una situa zione resa ancor più difficile da venti di guer ra e crisi energetica.
Gli ultimi comunicati diffusi da Anima Con findustria rivelano tutta la sofferenza dell’in dustria meccanica italiana, di cui il presiden te Marco Nocivelli denuncia la gravità: “A partire dallo scorso anno, stiamo vivendo una fase di forte e inarrestabile crescita dei prezzi, causata dalla difficoltà per le imprese di reperire materie prime e microchip, da un aumento dei costi logistici, e dall’incremento vertiginoso dei costi di energia e gas natu rale in seguito allo scoppio della guerra in Ucraina. In autunno le previsioni sono anco ra più pessimistiche: sono attesi nuovi rincari energetici, mentre l’inflazione dei mesi scor si sulle materie prime continuerà a colpire i prezzi al consumo. È necessario supportare il tessuto industriale italiano e agire in maniera decisa, a livello nazionale e comunitario”. Andrea Salati Chiodini, presidente di As sofoodtec, rincara la dose: “Il rincaro delle
materie prime incide moltissimo sui costi del nostro comparto produttivo. Materiali essen ziali per produrre i nostri macchinari come processori, motori, microchip e materie prime scarseggiano (tra cui inox, alluminio e rame) e quei pochi in commercio hanno raggiunto, a causa di aumenti, prezzi in tripla cifra (nella maggior parte dei casi).
Nei prossimi mesi la situazione potrebbe di ventare fatale per molte industrie e i loro in dotti. La nostra filiera è una colonna portante dell’economia italiana e deve essere sorretta da interventi statali che arginino gli effetti di questo momento drammatico“.
Gli imprenditori italiani, però, non si perdono d’animo, come testimonia Stefano Borgo, titolare dell’azienda vicentina specializzata in macchine per la lavorazione delle carni: “La nostra azienda segue un programma di progettazione annuale per poter offrire alla nostra clientela attrezzature all’avanguar dia. In questo modo crediamo e vediamo la possibilità di fare fronte alle varie difficoltà. A livello commerciale abbiamo incrementato le nostre collaborazioni con nuovi partner per essere più presenti nel mercato nazio nale e internazionale. Purtroppo, mi rendo conto che molte volte questo non può ba stare, causa le grosse difficoltà di risorse che vengono tolte alla nostra clientela. Vedi cari
energia elettrica ecc. Stiamo vivendo anni veramente difficili, dal 2020 siamo stati messi a dura prova con il COVID-19, poi la guerra, ora i vari rincari di gas, combustibili, energia elettrica. Tutto questo aggiunto a una ge stione politica in continua situazione nega tiva. Comunque, voglio continuare a pensare positivo: tutti insieme possiamo creare un paese migliore”.
Positivo e improntato alla collaborazione propositiva, anche l’atteggiamento di Mario Pirola, titolare di Tecnobrianza, che dichia ra: “Il mercato, oggi, è molto difficile; i nostri clienti devono sostenere costi aggiuntivi im portanti ma noi abbiamo lavorato bene nel corso degli anni e adesso possiamo dire che gli sforzi si ripagano. I costi aumentati delle materie prime influenzati dai rincari dell’e nergia impattano sulla filiera e per questo, per aiutare la nostra clientela, non applichia mo una politica di prezzo ma una politica riferita al materiale disponibile a magazzino. Inoltre, poiché è evidente che i nostri clienti risentono di un clima di incertezza nel futuro che li potrebbe costringere a scelte spesso drastiche, affinché non si debba intaccare la qualità del prodotto finito, cerchiamo di mantenere aperto il dialogo in un’ottica di collaborazione, fornendo ampiezza di gam ma e assistenza costante”.
LIMENTAR
CULTURE MICROBICHE “MADE IN ITALY”
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PER LA VALORIZZAZIONE DELLA BIODIVERSITÀ
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Bioagro offre una vasta gamma di starter per le produzioni dei salumi
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UNA GAMMA DI FERMENTI CHE PUÒ SODDISFARE LE DIVERSE ESIGENZE DEL CLIENTE IN TERMINI DI QUALITÀ ORGANOLETTICA, DI VELOCITÀ DI ACIDIFICAZIONE E DI SICUREZZA SANITARIA
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Escherichia coli produttori di tossine Shiga (STEC)
Rischio per la salute umana associato al consumo di alimenti contaminati da STEC
Escherichia coli è un batterio bastoncellare
Gram negativo, appartenente alla famiglia del le Enterobacteriaceae, presente normalmente nel microbiota gastrointestinale di uomo e animali.
Essendo normalmente presente nell’appa rato intestinale degli animali e dell’uomo è considerato un indicatore di igiene nell’im presa alimentare, o meglio di contaminazio ne fecale. Infatti dall’intestino può essere rila sciato nell’ambiente, contaminare l’acqua o gli alimenti quali verdure ed ortaggi. Durante le normali operazioni di macellazione (evi scerazione, spellatura e manipolazione del le carcasse) può contaminare le carni degli animali, così come durante la mungitura può essere contaminato il latte con materiale fe cale o con attrezzature contaminate. Non va dimenticato inoltre l’operatore che può rap presentare un’importante fonte di contagio degli alimenti qualora non applichi corrette
prassi di igiene durante la manipolazione e lavorazione degli alimenti, sia per quanto riguarda l’igiene personale che l’igiene delle attrezzature e dell’ambiente di lavoro. Optimum di crescita di Escherichia coli è rappresentato da substrati a pH neutro (pH 6-7), ma si moltiplica anche in condizioni molto varie tra 4,4 e 10 unità di pH, e con valori di acqua libera del substrato espressa in attività dell’acqua ≥ a 0,95 (Desmarchelier PM & Fegan N, 2003). Optimum di tempera tura tra 35-40°C, alcuni ceppi cominciano a moltiplicarsi già a 8°C nel latte, mentre altri ceppi sopravvivono fino a 46°C. Il metodo di riferimento ISO 16649, indicato dal Reg (CE) 2073/2005 e successive modifiche e integra zioni sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari, per la verifica dell’igiene del processo produttivo, prevede proprio la temperatura di incubazione a 44°C per la cre scita del batterio.
Una volta raggiunto l’alimento, il batterio può trovare facilmente condizioni favorevo li alla sua sopravvivenza e moltiplicazione. Diventa pertanto fondamentale ricordare l’importanza anche del mantenimento del la catena del freddo, per la conservazione dei prodotti che necessitano refrigerazione: sbalzi di temperatura a valori maggiori di 1015°C, potrebbero favorire la moltiplicazione di Escherichia coli nell’alimento e creare le basi per una tossinfezione alimentare, quali per esempio la nota “diarrea del viaggiatore”, ma non solo.
Infatti, sebbene generalmente Escherichia coli sia innocuo, alcune varianti possono rive larsi patogene per l’uomo ed essere causa di enteriti e sintomi diarroici. Infezioni extrain testinali non sono molte diffuse, ma possono interessare il tratto urinario, o altri organi con lo sviluppo di peritonite, mastite, setticemia, meningite o polmonite da Gram negativi (Kaper et al, 2004).
Sulla base dei sintomi, delle caratteristiche di virulenza e dei meccanismi di patogenicità sono stati definiti alcuni patotipi di Escheri chia coli quali Enteropatogeni (EPEC), Esche richia coli Enterotossigeni (ETEC), Escherichia coli Enteroaggregativi (EAEC), Escherichia coli Enteroinvasivi (EIEC), Escherichia coli Aderen ti diffusivi (DAEC), Escherichia coli Aderenti invasivi (AIEC), Escherichia coli Produttori di Verocitotossine o Tossine Shiga (VTEC o STEC), che esprimono le loro diverse abilità
nell’ aderire, invadere e danneggiare le cel lule della mucosa intestinale, causando vari sintomi più o meno gravi. Recentemente l’at tenzione si è rivolta in particolare agli Esche richia coli STEC (Croxen et al, 2013), respon sabili di infezioni gravi nell’uomo, associate alla produzione di tossine enteriche Shiga (stx). Tali microrganismi sono in grado di co lonizzare ed erodere la mucosa intestinale, invadere il circolo sanguigno e agire sulla microcircolazione del colon e del rene, ed eventualmente in alcuni distretti del sistema nervoso centrale.
Negli ultimi anni infatti malattie gravi nell’uo mo sono state associate ad Escherichia coli STEC particolarmente patogeni, come per esempio i sierogruppi O157, O26, O111, O103 e O145 definiti “top-5”. Tale classifica zione si basa sugli schemi di Kauffman, per cui Escherichia coli può essere classificato in sierotipi sulla base di normali costituenti del la struttura cellulare batterica, quali gli anti geni di superficie somatici (O), flagellari (H) e capsulari (K). Come riportato anche in un recente documento dell’EFSA (Autorità Eu ropea della Sicurezza Alimentare) sono noti almeno 188 diversi antigeni somatici O e 56 antigeni flagellari H (EFSA BIOHAZ 2020). Nello stesso report si sottolinea tuttavia che la classificazione in sierotipi, sulla base di an tigeni somatici O e flagellari H, non neces sariamente definisce la virulenza del ceppo batterico. Infatti spesso i fattori di virulenza (fattori di aggregazione o di adesione, tossi ne, …) sono espressi da altri geni, alcuni dei quali sono presenti su elementi mobili, cioè non risiedono necessariamente nel genoma batterico. Pertanto alcuni fattori di virulenza possono quindi con facilità essere “persi” o “acquisiti” per trasferimento da un batterio all’altro: tali meccanismi possono spiegare come mai lo stesso sierogruppo può quin di ospitare differenti geni virulenti, possibile
causa di sintomi differenti e di malattie più o meno gravi (EFSA BIOHAZ 2020).
Per esempio, la patogenicità dei sopraccitati “top-5” (O157, O26, O111, O103 e O145) di pende proprio dalla produzione di tossine Shiga, composti di natura polipeptidica, pre
senti in due varianti note come stx1 e stx2. La tossina stx1 è molto simile alla citotossina prodotta da Shigella dysenteriae sierotipo I (O’Brien et al, 1982), da cui prende il nome perché si differenzia per un solo aminoaci do. La tossina stx2 condivide invece con stx1
RICERCA DI E. COLI STEC (ISO/TS 13136:2012)
La ricerca di E. coli STEC si basa sulla metodica ISO/TS 13136:2012 “Microbiology of food and animal feed Real-time polymerase chain reaction (PCR)-based method for the detection of food-borne pathogens Horizontal method for the detection of Shiga toxin-producing Escherichia coli (STEC) and the determina tion of O157, O111, O26, O103 and O145 serogroups”.
Tale metodo è riportato nel Reg (CE) 2073/2005 e smi per la ricerca di STEC in semi germogliati, quale parametro di sicurezza alimentare, ed è indicato anche nella linea guida per i controlli ufficiali (atti 212/CSR del 10 novembre 2016) per il latte crudo, prodotti a base di latte crudo e per i preparati a base di carne Tale indagine è raccomandabile per verificare la sicurezza di partite di carne da destinarsi alla preparazione di carpaccio o tartare o per insaccati freschi da consumare crudi.
Il metodo consiste in una prima fase di screening basata sulla ricerca dei geni sxt1, stx2 ed eae, mediante PCR real time, per identificare la presenza di marcatori di STEC.
In caso di positività alla prima fase, segue l’isolamento batterico e la verifica che i microrganismi isolati siano effettivamente Escherichia coli portatori dei geni stx1 e/o stx2 e/o eae
Inoltre si procede all’identificazione dei sierogruppi O157, O111, O26, O103 e O145, i cosiddetti top-5, sempre mediante PCR real time
Il risultato può così essere espresso:
• STEC non rilevati in 25 g (assenza di positività alla prima fase). Alimento conforme, adatto al consumo.
• STEC rilevati in 25 g (positività alla prima fase e conferma microbiologica per la presenza di Escherichia coli portatori dei geni stx1 e/o stx2 e/o eae; non sono stati identificati i sierogruppi top-5). L’alimento, soprattutto se consumato tal quale, senza cottura, è da considerare a rischio e non destinato al consu mo. È utile rivedere le prassi igieniche e l’approvvigionamento della materia prima.
• Specifico sierogruppo (O157, O111, O26, O103 e O145) rilevato in 25 g (positività alla prima fase e conferma microbiologica per la presenza di Escherichia coli portatori dei geni stx1 e/o stx2 e/o eae; con identificazione anche dello specifico sierogruppo tra i top-5). L’alimento, anche se consumato previa cottura, è da considerare a rischio e non idoneo al consumo. Il lotto di produzione va individuato e ritirato dalle vendite. Verificare la distribuzione del prodotto. È utile rivedere le prassi igieniche e l’ap provvigionamento della materia prima.
• Rilevazione presuntiva di STEC o specifico sierogruppo (O157, O111, O26, O103 e O145) in 25 g (positività alla prima fase per la presenza di marcatori genici stx1 e/o stx2, ma senza la conferma mi crobiologica, cioè mancato isolamento del microrganismo). L’alimento è idoneo al consumo, anche se il produttore dovrebbe valutare le prassi igieniche e l’approvvigionamento della materia prima.
meno del 60% di aminoacidi. Tali Escherichia coli, proprio per la presenza di tossine Shiga sono chiamati anche STEC. Il report EFSA sul le zoonosi del 2021 considera STEC una delle maggiori cause di malattie a trasmissione alimentare, la quarta causa in Europa dopo Campylobacter e Salmonella; sono infatti in grado di causare problemi gastrointestinali, anche severi, come la colite emorragica e infezioni extraintestinali quale la sindrome emolitico-uremica (SEU) (Ochoa & Cleary, 2003).
Le tossine Shiga erano note anche come Vero citotossine, sulla base della loro azione citotossica sulle cellule VERO (Konowalchuk et al 1977). Per cui in letteratura è facile sentir parlare di VTEC, cioè Escherichia coli produt tori di tossine Vero citotossiche.
Dallo studio scientifico di Bettelheim e col leghi del 2014 è stato stimato che i sierotipi di Escherichia coli produttori di tossine Shiga (stx1 o stx2 o entrambi) possono essere oltre 1000. Infatti le tossine possono presentarsi a loro volta con diversi sottotipi, indicati con le lettere dell’alfabeto. Sono note almeno 5 sot totipi stx1 (stx1a, stx1b, stx1c, stx1d, stx1e) e 12 stx2 (stx2a-stx2l), ma lo studio delle caratte ristiche genetiche, attraverso i rapidi metodi di sequenziamento del genoma microbico, consente il riconoscimento di nuovi sottotipi e nuove varianti in modo veloce. Escherichia coli produttore di almeno una delle varianti di tossine Shiga, va considerato patogeno per l’uomo (EFSA BIOHAZ 2020).
Un’altra caratteristica importante di patoge nicità di STEC è la presenza di fattori di ade sione, quale per esempio la proteina intimina codificata dal gene eae. Tale proteina media l’adesione del batterio alla superficie delle cellule intestinali con alterazione del loro ci toscheletro. Ciò comporta la perdita dell’or letto a spazzola delle cellule intestinali, ridu zione dell’assorbimento dell’acqua a livello intestinale e produzione di diarrea acquosa, caratteristica della lesione “attaching-effa cing”. Alcuni ceppi STEC, deficitari del gene eae e quindi non produttori di intimina per ché privi del locus genico LEE (Locus of en terocyte effacement), possono presentare altri fattori che permettono al microrganismo di aderire comunque alle cellule dell’ospite, come per esempio il gene aggr codificante per un fattore di aggregazione (Boisen et al, 2014) piuttosto che consentire sempre di esprimere la loro virulenza.
PERCHÉ PARLIAMO DI STEC?
Il primo importante focolaio di malattia tra smessa dagli alimenti, riconducibile a conta minazione da STEC, risale al 1982, negli Stati Uniti. L’alimento contaminato da Escherichia
coli sierotipo O157:H7 era un hamburger poco cotto. Da quel momento in poi vari fo colai associati alla contaminazione da STEC, in particolare O157, si sono verificati e nel 1993 tale germe è stato riconosciuto come patogeno rilevante per la salute pubblica. Implementando piani di monitoraggio spe cifici per STEC è stato possibile riconoscere svariati sierotipi di E. coli patogeni definiti “STEC non-O157” che si stima possano cau sare fino al 50% delle infezioni da STEC (EFSA BIOHAZ 2020).
Bovini e ovicaprini rappresentano il serba toio di E. coli STEC in quanto fa parte della normale microflora intestinale. L’infezione umana è spesso causata dall’ingestione di alimenti o acqua contaminati da contenuto intestinale dei ruminanti: la carne in parti colare può contaminarsi in seguito a povere pratiche igieniche durante la macellazione, per la presenza di animali con la cute ecces sivamente sporca, durante l’eviscerazione e lacerazione del tratto intestinale che può
comportare imbrattamento della carcassa, per scarsa attenzione da parte dell’operatore o per scarsa igiene degli ambienti di lavora zione e del personale addetto.
Va evidenziato che la dose infettante è molto bassa, il periodo di incubazione varia da 3 a 8 giorni. I sintomi comprendono gastroente rite acuta, spesso accompagnata da febbre e vomito. La gravità della diarrea è determinata da diversi fattori: sierotipo, tipologia di tossi ne prodotte e altre caratteristiche di virulen za del batterio, dose infettante ed età del paziente. I bambini sotto i 5 anni sono i più a rischio di sviluppo della malattia, mentre i neonati sono ad alto rischio di morte dovuta a disidratazione e setticemia. L’uso di antibio tici per il trattamento della malattia è spesso controindicato in quanto potrebbe stimolare il rilascio delle tossine e portare ad un peg gioramento della malattia con una potenzia le evoluzione in sindrome emolitico-uremica (ECDC 2021).
La sindrome emolitico-uremica (SEU) è una
malattia acuta rara che rappresenta la causa più importante di insufficienza renale acuta nell’età pediatrica. Sul piano clinico è caratte rizzata dalla comparsa di tre sintomi: anemia emolitica, trombocitopenia e insufficienza renale (a causa della quale molto spesso i pa zienti colpiti devono ricorrere alla dialisi). Può avere un decorso grave, in alcuni casi con esi to fatale, e può essere causa di conseguenze a lungo termine (ISS epicentro 2021).
La segnalazione di focolai di origine alimen tare causati da STEC è obbligatoria in Euro pa e, da quanto descritto nel report sulle zoonosi di EFSA relativo al 2019 e del 2020, emerge che, nel corso degli anni 2015-2019, l’infezione da STEC risulta avere una tenden za crescente. Nel 2020 in Europa sono stati confermati ben 4446 casi di infezione umana da STEC, rendendolo la quarta causa di infe zione gastrointestinale associata al consumo di alimenti contaminati (EFSA, 2021). L’infe zione da STEC, inoltre, è confermata avere un trend stagionale, con maggior numero di casi tra maggio ed ottobre, rispetto al resto dell’anno.
A livello europeo nel 2020, gli alimenti più comunemente contaminati da STEC risulta no essere carne di differenti tipologie (3,4% sul totale dei campioni di alimenti analizza ti), seguiti da latte e prodotti lattiero caseari, soprattutto ottenuti da latte crudo (2,1%) e vegetali (0,1%) (EFSA, 2021).
Per quanto riguarda la matrice carne bovina, 81,5% dei campioni analizzati provenivano da impianti di macellazione, di sezionamen to o di lavorazione, mentre il 18,2% erano stati prelevati alla vendita al dettaglio. Pur considerando che la fonte di contamina zione della carne è molto probabilmente il macello, i dati confermano invece che il maggior numero di positività si riscontra nei punti vendita (2,6% del totale).
Un altro dato interessante ricavato dal re
port EFSA riguarda la contaminazione delle carni dei piccoli ruminanti (capre e pecore): 11,4% dei campioni di carne fresca è risultata positiva. Tale dato riflette anche la filiera di macellazione e distribuzione dello specifico settore. Anche la carne di cervo presenta dati allarmanti. Di 90 campioni analizzati a livello europeo, 26,7% sono risultati contaminati. Anche carne fresca proveniente da maiale, pollo o altri animali da allevamento è risul tata positiva per STEC, riscontrato nel 5,4% dei campioni analizzati. Così come il 2,9% dei preparati a base di carne analizzati è risultato contaminato con STEC.
Questo deve fare riflettere sull’importanza delle buone prassi igieniche e sulle buone pratiche di lavorazione per contenere la pro liferazione batterica e ridurre il più possibile la cross contaminazione. L’interruzione della catena del freddo consente a questi micror ganismi di moltiplicarsi, l’uso promiscuo di attrezzatura (taglieri, coltelli e contenitori) o la scarsa attenzione con la manipolazione e l’igiene delle mani, consente loro di diffon dersi nell’ambiente. Nel report EFSA emerge che solo il 17,7% degli STEC isolati dagli ali menti appartiene ai sierogruppi top-5, men tre la maggior parte risulta essere non-O157, tra i quali numerosi sono gli alimenti con taminati da STEC riferibili ai 20 sierogruppi maggiormente riscontrati in infezioni umane nel periodo 2016-2019.
COSA SAPPIAMO DELLE NOSTRE PRODUZIONI?
È recente l’introduzione della ricerca di STEC nei piani di campionamento in autocontrol lo per l’industria della carne nelle regioni del Triveneto. Nel corso del 2020, 2021 e 2022, nell’ambito dei piani di autocontrollo, sono stati analizzati 85 campioni per la ricerca di STEC (carne fresca o congelata, preparati a base di carne) prevalentemente carne bovi na, proveniente soprattutto dai laboratori di sezionamento o di lavorazione, quale con trollo della carne in entrata.
Nella maggior parte dei campioni non sono stati rilevati STEC. Tuttavia va segnalato che gli unici campioni positivi sono stati 5 cam pioni di carne di cervide selvatico (vedi tabel la 1), corrispondente al 5,9% del totale. È sta ta inoltre riscontrata “rilevazione presuntiva” (vedi box) senza quindi conferma microbio logica in 6 campioni di carne: uno di bovino, 4 di cervo e 1 non dichiarata.
I dati del Triveneto non si discostano poi tan to dai dati europei del report sulle zoonosi di EFSA. I sierogruppi identificati apparten gono ai top-5. La carne di cervidi selvatici, proveniente da centri di lavorazione carne di selvaggina, presenta una alta probabilità di risultare contaminata, così come emerge anche dal report EFSA. Proprio per tali ragio ni, come già ricordato in precedenza, è ne cessario prestare molta attenzione nel con tenere la cross contaminazione tra alimenti di natura diversa, ridurre l’uso promiscuo di attrezzature, strumenti e superfici, applicare corrette prassi igieniche e verificare l’efficacia delle procedure di sanificazione.
Sebbene i dati relativi alla carne di animali domestici non rivelino contaminazione da STEC, a differenza della carne di selvatici ab battuti a caccia, è necessario promuovere la sorveglianza sugli STEC nelle carni, anche in considerazione del fatto che il consumatore è sempre più propenso a piatti a base di ali menti crudi o poco cotti, o cotti a basse tem perature, pertanto potenzialmente pericolo si per la sopravvivenza di forme microbiche patogene quali Escherichia coli STEC.
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Prodotti di SALUMERIA al passo con i tempi
La Mortadella Bologna IGP si rifà il look per venire incontro alle esigenze di consuma tori attenti alla qualità e alla salute
Giuseppe L. Pastori - Tecnologo AlimentareI maiali del Medioevo erano però ben diversi da quelli attuali: erano piccoli, magri, snelli, abituati alla vita dei boschi e incrociati spesso con i cugini selvatici, i cinghiali
Ognivolta che di questi tempi parliamo di salu mi e di carni, c’è sempre qualcuno che mette in discussione il loro valore come complemento nu trizionale di una dieta salutare. Tralasciando i motivi ideologici che spesso sono alla base di queste convinzioni, talvolta mirate alla convenienza di promuovere altri tipi e stili di alimentazione, i prodotti di salumeria rap presentano per gli Italiani un qualcosa che risponde al connubio tra cibo buono e gu stoso, da non far mancare a tavola, e cultura enogastronomica del territorio a cui siamo legati.
Le carni trasformate e le carni in generale contribuiscono alla dieta per il loro elevato valore nutrizionale, fatto di proteine facil mente assimilabili, amminoacidi essenziali, vitamine del gruppo B (presenti in natura
solo nelle carni e nei loro derivati), minerali importanti come ferro eme e zinco. Tuttavia il loro consumo è legato anche agli aspetti edonistici e culturali. Il nostro Paese ha infatti sviluppato fin dai tempi antichi una vocazio ne a trasformare e conservare le carni diversi ficando le produzioni su una base territoriale estesa: basta pensare ai numerosi prodotti DOP e IGP (vantiamo il più elevato numero di prodotti certificati a base di carne in Europa, tra quelli a Indicazione Geografica, disci plinata da specifici riconosci menti europei) e ai molteplici altri prodotti che sono elencati nelle liste dei Prodotti Agroali mentari Tradizionali (PAT), rico nosciuti dal Ministero su base regionale.
1Catone il Censore nel II sec. a.C. descri ve nel suo De Agri Cultura la procedura di salagione del prosciutto crudo. Apicio (famoso cuoco del I sec. d.C., a cui si deve una raccolta di 10 libri nota come De re coquinaria) descrive la produzione della lucanica - da non confondere con la luganega attuale, tipica del Nord Italia, che è una salsiccia fresca insaccata in un budello ovino di piccolo calibro, lungo e stretto dal gusto più dol ce – e di molti preparati e arrosti a base di carne. La descrizione della salsiccia lucana ci viene riportata anche da altri autori, tra cui Varrone e Marziale.
La storia della salumeria italiana vanta lonta ne origini. Ne abbiamo traccia grazie ai ritro
vamenti archeologici o perché con l’avvento dei Romani ci sono le prime testimonianze scritte sui sistemi di conservazione e produ zione¹. Ai Longobardi stanziatisi stabilmente nell’Alto Medioevo sia nella Pianura Padana che nel Sud d’Italia dobbiamo l’intensificarsi degli allevamenti suinicoli – per lo più alleva ti in semilibertà nei boschi – e le conoscenze sulle tecniche di affumicatura. Per almeno un millennio dalla fine dell’Impero Romano la produzione è rimasta immutata nelle tecni che di lavorazione e nel tipo di allevamento, in genere circoscritto alle piccole comunità rurali. Ma anche se i salumi più pregiati fini vano sulle tavole dei nobili (che però abbon davano soprattutto di carni di cacciagione), la carne conservata diventava scorta per i nuclei familiari allargati dei contadini, per al lietare e rendere meno povera la loro mensa. L’abbondanza di sale (recuperato dalle saline costiere della penisola o ricavato da miniere di salgemma e sorgenti saline di affioramen to) e il microclima con inverni freddi e asciutti, permetteva ai norcini, cioè coloro che erano pratici di macellazione e lavo razione delle carni, di passare di comunità in comunità per la lavorazione del maiale, quan do da novembre in poi iniziava la stagione della macellazione per farne prodotti da conser vare. I maiali del Medioevo erano però ben diversi da quelli attuali: erano piccoli, magri,
parola all’esperto
snelli, abituati alla vita dei boschi e incrociati spesso con i cugini selvatici, i cinghiali. Intorno agli anni a cavallo del 1500, diversi autori [1-2] danno testimonianza di alcune ricette di salumi ancora legate però a prepa razioni culinarie di immediata produzione. Si deve a Vincenzo Tanara nel 1664 [3], che di professione fa l’agronomo, un volume che tratta di diversi prodotti della salumeria, come li intendiamo ancora adesso. Nell’ope ra è riportata la descrizione dettagliata della mortadella, anche per quanto riguarda la tecnica di preparazione e di stufatura. Pare tra l’altro che il termine “mortadella” derivi dalle parole latine “murtatum”, ossia carne pestata nel mortaio, o “myrtatum”, cioè insac cato di carne lavorata con bacche di mirto. Nel 1661 è invece il card. Farnese a redigere un primo disciplinare che detta le regole per la produzione di un salume a pasta cotta di sole carni di maiale, a cui si fa risalire la pro duzione della mortadella attuale. Tuttavia dobbiamo attendere ancora il XIX secolo, perché con l’apertura dei primi opifici che impiegano il vapore per dare forza mo trice a nuove macchine, inizi la prima vera e propria trasformazione della lavorazione del le carni suine. Il processo passa così da do mestico ad artigianale e industriale e richie de una certa standardizzazione delle materie prime per ottenere prodotti più uniformi. È più o meno verso la metà dell’Ottocento che prende piede, dapprima nella pianura lombarda e poi in quella emiliana e nelle al tre regioni del Nord, l’allevamento stabulare, abbandonando quello semibrado praticato nelle piccole comunità rurali. Veniva gene ralmente praticato a fianco dei caseifici, di cui utilizzava il siero – sottoprodotto otte
nuto dalla lavorazione di formaggi e latticini – come mangime per i maiali, sviluppando nuove sinergie. Questa evoluzione la si nota anche nella produzione libraria: da un lato si continuano a scrivere libri di ricette di cuci na che trattano della preparazione, dall’altro vengono stampati trattati tecnici sull’alleva mento e sulla produzione delle carni trasfor mate.
In Italia si ebbe la necessità di ibridare le raz ze locali poco produttive con maiali dalla struttura più massiccia come la Large White
L’obiettivo di rendere la qualità della carne via via più omogenea e di migliore aspetto, ha voluto dire ibridare le razze autoctone a partire da fine ‘800 con razze di importazione
inglese per dare carni di qualità migliori. Si diede così vita, dopo diversi incroci, alla raz za da cui deriva oggi il nostro suino pesante italiano identificato da una sua precisa linea genealogica gestita da ANAS [4].
Lo stesso accadde nel resto d’Europa. Ad esempio, in Olanda e in Danimarca (i due Paesi che più hanno sviluppato il concetto industriale di allevamento del maiale) l’o biettivo di rendere la qualità della carne via via più omogenea e di migliore aspetto, ha voluto dire ibridare le loro razze autoctone a partire da fine ‘800 con razze di importa zione per ristabilire razze pure Landrace. An che questi Paesi hanno fatto uso della Large White inglese, ma mentre da noi la linea di produzione del suino pesante italiano si è
evoluta verso un maiale maturo di peso non inferiore ai 160 kg, nel resto d’Europa la sele zione ha portato ad avere maiali di peso no tevolmente inferiore (massimo 120 kg) con meno grasso sul dorso.
I SALUMI ITALIANI SEMPRE AL PASSO CON I TEMPI
Nel corso del XX secolo si iniziano a com prendere meglio le funzioni fisico-chimiche delle molecole e le loro interazioni in matrici complesse, la microbiologia buona e quella dannosa, la fisiologia umana e la biochimica degli alimenti. Così la scienza medica moder na, derivata da studi sugli animali, applica le conoscenze biochimiche all’assunzione di ingredienti alimentari con la salute.
È proprio all’inizio degli anni ’50 del secolo scorso che gli studi sulla fisiologia umana mettono in relazione le raccomandazioni nutrizionali con un consumo alimentare più adeguato per la popolazione di riferimento, che porta a definire i concetti di Dieta Medi terranea, le linee guide di sana alimentazione e la piramide alimentare, dove la carne e i prodotti da essa derivati – seppure racco mandati in moderate quantità di consumo – trovano il loro posto.
Con la ripresa industriale degli anni ’50 e l’au mento del reddito pro-capite delle famiglie, i consumi subiscono un’accelerata e cambia in modo radicale il modo di mangiare. La crescita del consumo di alimenti come la carne, i salumi e gli altri prodotti di origine animale, è determinata anche dal fatto che i pediatri riscoprono questi alimenti come im portante fonte di nutrimento per sostenere la crescita dei bambini dalla tenera età fino all’adolescenza. Offrono fonti proteiche con amminoacidi essenziali, vitamine e minerali facilmente assimilabili anche nell’età della vecchiaia e in particolari stadi della vita (gra vidanza, alimentazione degli sportivi, ecc.).
A quell’epoca, la produzione industriale di molte specialità di salumeria non veniva più fatta solo per conservare un alimento come nei secoli precedenti, ma per con sentirne il consumo in tempi relativamente brevi e portarlo sulla tavola di tutti i giorni. Alcuni salumi come la mortadella sono di ventati così prodotti di largo consumo. Le lavorazioni venivano fatte inizialmente con formulazioni più povere che in passato, per rendere la mortadella un alimento piuttosto economico destinato ad un pubblico molto ampio. Le prime formulazioni industriali non eccellevano tanto in qualità perché insieme a carni di maiale si utilizzavano anche frazioni di carne bovina e altri mammiferi (triti da la vorazione delle carni e tagli meno nobili) per abbassare il costo di produzione: il panino
In Italia, dalla fine degli anni Cinquanta, il boom economico contribuisce ad incrementare i consumi di carne, che diventano il simbolo di una nuova libertà e di emancipazione dalla povertà
con la mortadella è stato il classico esempio di cibo veloce e a buon mercato dell’allora classe operaia. In Italia, dalla fine degli anni Cinquanta, il boom economico contribuisce ad incre mentare i consumi di carne, che diventano il simbolo di una nuova libertà e di emancipa zione dalla povertà. In questi anni l’industria della carne risponde aumentando le produ zioni per soddisfare la domanda crescente, mentre negli allevamenti si punta all’effi cienza anche se la produzione italiana non è in grado di sostenere tutto ciò che viene trasformato. Dagli anni Ottanta in poi i con sumi si stabilizzano e nel mondo occidentale si inizia a parlare di alternative alla carne, si crea una nuova sensibilità legata ai temi eti ci, come il benessere animale e l’attenzione all’ambiente. Alla carne si inizia ad imputare un ruolo negativo sia perché gli allevamenti sono ritenuti corresponsabili nell’emissione di gas climalteranti e nel degrado ambienta le, sia perché un consumo in eccesso incide sui costi del sistema sanitario in relazione diretta con l’insorgere di alcune patologie e forme tumorali. Ciò è più evidente però in
Paesi in cui il consumo di carne è maggiore che in Italia, dove i livelli di moderazione nel consumo suggeriti dalla dieta mediterranea non paiono dimostrare la stessa relazione. Nel frattempo, in più di 70 anni fino ad oggi, la qualità della carne è notevolmente miglio rata sotto l’aspetto nutrizionale. Ha infatti be neficiato del miglioramento delle tecniche di allevamento e dei concetti di nutrizione animale, non più basata su pastoni utili solo
Il contenuto dei grassi nel suino, negli anni ’80, si è ridotto del 30%, migliorando altresì la sua qualità, diminuendo la frazione di acidi grassi saturi a favore di quelli insaturi più salutari
la parola all’esperto
per l’ingrasso ma su razioni e diete bilanciate, che hanno portato ad avere carni più magre. Il contenuto dei grassi nel suino, negli anni ’80, si è ridotto del 30%, migliorando altresì la sua qualità, diminuendo la frazione di acidi grassi saturi a favore di quelli insaturi più sa lutari. Inoltre anche le conoscenze tecniche della produzione e della conservazione han no contribuito a migliorare l’immagine dei salumi. L’industria ha focalizzato l’attenzione sulle esigenze del consumatore che ha pre so coscienza di vari aspetti nutrizionali, di un approccio salutare più attento ai propri biso gni limitando gli eccessi e – in questi ultimi decenni – di un deciso orientamento basato sui principi etici (attenzione al benessere ani male e sostegno delle politiche ambientali). E alla luce di questo ha richiesto carni di qua lità sempre migliore.
In effetti uno studio effettuato da INRAN (oggi CREA) e SSICA (Stazione Sperimenta le per l’Industria delle Conserve Alimenta ri) ha messo in evidenza come, dal 1993 al 2011, i salumi italiani abbiano migliorato il loro valore nutrizionale, diventando ancora più nutrienti e in linea per un’alimentazione moderna, migliore rispetto al passato. Sono prodotti con meno grassi, con meno coleste rolo, meno sale e conservanti, potenziando la quantità e la qualità del contenuto di pro teine, vitamine, minerali e acidi grassi essen ziali [5].
Anche dal punto di vista istituzionale l’in troduzione nel 1992 a livello europeo di un regolamento che stabilisce il protocollo dei prodotti ad Identificazione Geografica (IG), di cui possono godere i prodotti DOP e IGP [6-7], va nella direzione di tutelare la qualità delle produzioni, riconoscendone le peculia rità legate al territorio e alla tradizione. Della certificazione DOP/IGP beneficiano ben 43 prodotti italiani della salumeria: 21 DOP e 22
parola all’esperto
IGP, che rappresentano il numero maggiore di prodotti di origine animale certificati all’in terno della UE.
Del resto in Italia il desiderio di salvaguardare la specificità delle nostre produzioni rispetto a quelle degli altri Paesi in Europa e nel mon do spingeva già per avere questi riconosci menti. Basti pensare che uno dei prodotti più consumati e riconosciuti nel mondo come la Mortadella di Bologna, protetta dal marchio IGP, per differenziarsi da molti altri prodotti simili già da tempo aveva definito di usare solo carni suine negli impasti dichiarandolo nel proprio disciplinare: di tutte le produzioni tra le tipologie degli insaccati quelle che im piegano un solo tipo di carne sono sempre sinonimo di migliore qualità e bontà.
I Disciplinari di Produzione sono il docu mento che definisce passo dopo passo l’in tero ciclo di produzione, nonché specificano l’area territoriale in cui la lavorazione deve avvenire. Forniscono inoltre la documenta zione storica e attestano il suo legame con le tradizioni di quella precisa area geografica, giustificando così la richiesta e la concessio ne della tutela. Il prodotto IG viene certificato e protetto attraverso il riconoscimento giuri dico dello Stato membro e quindi dell’Euro pa, che lo recepisce emanando un apposito regolamento, non prima di averlo sottoposto a una serie di esami e all’approvazione senza impedimenti di tutti gli altri Stati membri.
LA MORTADELLA BOLOGNA IGP SI RIFÀ IL LOOK: MODIFICA IL DISCIPLINARE PER ESSERE PIÙ ATTENTA AI BISOGNI DEI CONSUMATORI
Come già menzionato, i prodotti della salu meria attuali sono molto diversi da quelli del
Se oggi un’azienda vuole fare un prodotto a ridotto contenuto di sodio, può sostituire parzialmente il cloruro di sodio con quello di potassio, senza modificare l’equilibrio del prodotto
più recente passato, poiché le carni stesse hanno migliorato la loro composizione in termini di qualità organolettica, incremen tato il contenuto proteico e ridotto il grasso.
A beneficiarne maggiormente sono state le carni suine, quelle cioè che hanno il più largo impiego nella trasformazione nei prodotti di salumeria. In seguito a una riduzione del con tenuto dei grassi, si è migliorato progressiva mente l’equilibrio tra grassi saturi e insaturi e questi ultimi sono passati dal 30% al 60% dei grassi totali; si è ridotto il deposito lipidico nel muscolo limitandolo al tessuto adiposo.
I salumi, considerando che il loro apporto nutrizionale è del tutto simile a quello della carne, hanno beneficiato del miglioramento organolettico delle carni sotto il profilo nu trizionale in linea con le esigenze moderne di dieta equilibrata e salutistica, in un quadro orientato alla riduzione o all’eliminazione di additivi e conservanti.
Anche il contenuto salino dei prodotti ha beneficiato di una generale riduzione, stante sia l’orientamento dei consumatori a ridur re questo ingrediente nella dieta per avere bassi tenori di sodio (poiché alti livelli di so dio sono associati all’ipertensione), sia per il miglioramento delle tecnologie legate alla conservazione. Storicamente, infatti, il sale non era solo un ingrediente, ma veniva uti lizzato prevalentemente come conservante e per rendere più funzionali alcuni processi.
Tuttavia in molti prodotti cotti la conserva zione è oggi garantita proprio dall’impiego delle tecnologie e da elementi con proprietà antiossidanti: e già lì, l’uso del sale è molto più ridotto rispetto a quello impiegato nei salami e negli stagionati. Inoltre, grazie alle più recenti conquiste scientifiche applicate al settore, se oggi un’azienda vuole fare un prodotto a ridotto contenuto di sodio, può sostituire parzialmente il cloruro di sodio con quello di potassio, senza modificare l’equi librio del prodotto. E per quanto riguarda il conferimento di sapore, il sale può essere ri dotto utilizzando altri ingredienti come spe zie o aromi dal gusto umami.
La stessa industria di trasformazione si è resa disponibile ad offrire prodotti in linea con le raccomandazioni salutistiche e nutrizionali dettate dalla comunità scientifica, riformu lando le ricette nel rispetto dei vari discipli nari di produzione dei salumi DOP e IGP e delle procedure di lavorazione tramandate fino ai giorni nostri.
La prova è l’offerta dei prodotti a basso con tenuto di sodio che nei salumi, nell’arco di quasi un ventennio (dal 1993 al 2011), ha portato alla riduzione del sale dal 4 al 47% a seconda del prodotto: nel caso della mor tadella Bologna IGP la variazione registrata è stata del 20%.
Questo percorso è in continua evoluzione e i Consorzi di tutela che sono attenti a questi segnali provenienti dal mercato e dai consu matori, possono modificare i Disciplinari di produzione per renderli più adatti ai tempi, pur nel rispetto della tradizione e della voca zione produttiva dei territori nel valorizzare le proprie eccellenze.
È quello che ha fatto il Consorzio Italiano Tu tela della Mortadella Bologna IGP, presentan do nel febbraio 2021 una proposta di modifi ca del Disciplinare di produzione, che è stato approvato dall’Unione Europea il 9 giugno scorso e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 22 giugno 2022 [8]. L’esigenza della modifica del Disciplinare di produzione – secondo il presidente del Consorzio italiano Tutela, Guido Veroni – è dovuta all’obiettivo di adeguare l’IGP ai nuovi stili alimentari dei consumatori, continuando nel percorso di valorizzazione dell’immagine di un salume sano e nutriente, che in passato aveva già visto l’eliminazione del glutamma to e l’impiego dei soli aromi naturali.
Le principali modifiche del Disciplinare ri guardano il contenuto del sale che è consen tito con il limite massimo del 2,8%, l’aumento del tenore proteico minimo che adesso deve essere del 14,5%, oltre all’esplicito divieto di utilizzo dei polifosfati, di coadiuvanti tec nologici e di sostanze con effetti coloranti.
Anche l’impiego degli aromi naturali è stato consentito nella dose massima dello 0,3%. Questo salume è riconosciuto come prodot to a marchio tutelato IGP dal 1998, mentre dal 2001 è attivo il Consorzio Italiano Tute la Mortadella Bologna, che ha il compito di promuovere le produzioni e difendere il marchio dalle contraffazioni. La zona di pro duzione della Mortadella Bologna IGP com prende, secondo il disciplinare, i territori del le seguenti regioni o province: l’Emilia-Romagna, il Lazio, il Piemonte, la Lombardia, il Ve neto, la provincia di Trento, la Toscana e le Marche.
La produzione si caratteriz za per l’uso di materie prime esclusivamente di origine su ina (che vengono utilizzate per ottenere prodotti della massima qualità). I tagli che più frequentemente si usa no sono la spalla del suino, la cui percentuale nella frazione carnea magra dell’impasto è massima nelle mortadelle di qualità superiore; i triti del suino, cioè i tagli derivanti dalla sezionatura delle mezze quando si rifilano prosciutti, lombi, coppa, ecc.; il grasso cubettato, cioè i “lardelli”, che oggi sono prevalentemente ricavati dal grasso di gola che è il più duro tra i grassi del ma iale e che è preferito rispetto a quello di schiena.
La tecnica di lavorazione, sep pur praticata con sistemi mo derni, è quella più legata alla tradizione e prevede:
• la triturazione delle carni magre, fatta nel tritacarne, passando attraverso una serie di coltelli e piastre con fori di diverso diametro, di cui almeno uno deve avere fori del diametro non supe riore a 0,9 mm. In Italia si usa il tritacarne e non il cutter, come in analoghi prodotti fatti in Europa e nei Pae si extraeuropei, perché la farcia che si ottiene non si deve emulsionare ma deve restare omogenea per lega re meglio i cubetti di grasso;
• il grasso di gola, tagliato nel la tipica forma del cubetto, viene lavato accuratamente con acqua calda per elimi
nare dalla sua superficie le frazioni di acidi grassi oleose con basso punto di fusione, che potrebbero nuocere formando delle sacche di grasso e dare untuosità della fetta; la farcia di carne e i lardelli sono amalga mati insieme nell’impastatrice perché si distribuiscano uniformemente. Si aggiun gono sale e altri ingredienti, spezie (con pepe in grani e/o pistacchi), aromi; dopo l’impastatura con tempi variabili,
l’impasto viene trasferito all’insaccatrice. Si utilizzano sia involucri naturali (vesciche) che artificiali. Diversi sono i calibri che si possono ottenere: sul mercato è possibile reperire mortadelle calibrate da 350-500 g fino a quelle da 80-100 kg, che talvolta fan no bella mostra di sé in esposizione nelle gastronomie e salumerie d’eccellenza; la cottura è la fase più delicata del proces so; questa va ottimizzata in funzione del
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tipo di stufa, del calibro delle mortadelle e di quanto è carica la stufa. Le stufe sono normalmente in muratura, il calore viene trasmesso a secco mediante riscaldamen to dell’aria per contatto indiretto con il va pore. Le mortadelle devono raggiungere i 70°C al cuore con tempi di cottura variabili in funzione della pezzatura: si dice che una volta raggiunta la temperatura di esercizio della camera occorra considerare 1 ora per chilogrammo di prodotto. Una cottura ge stita male per eccesso di calore, può avere influenze sul colore alterando il naturale colore rosato e causare parziale fusione dei lardelli;
• terminata la cottura la mortadella viene raffreddata mediante docciatura con ac qua fredda e successivamente portata in cella di raffreddamento per essere ulte riormente raffreddata e stabilizzata a una temperatura inferiore ai 10°C.
E dopo la fase del raffreddamento la morta della è pronta per essere servita e gustata: a fette, a pezzettoni o cubetti, da sola con il pane o in preparati gastronomici con altri ingredienti.
Il merito della produzione industriale è stato quello di rendere popolari alimenti come i salumi, facendo in modo che finissero sulle tavole di tutti
CONCLUSIONI
La sfida che accompagna oggi la salumeria italiana è quella di garantire non solo la qua lità organolettica delle proprie produzioni in termini di sicurezza e salubrità (argomento che si dà già per scontato) a partire dall’im piego di materie prime selezionate, ma an che di considerarle in un contesto più ampio. Si deve tener conto della valorizzazione dei contenuti nutrizionali (in un quadro funzio nale alla dieta e alla salute) e degli aspetti etici della produzione cui i consumatori di mostrano attenzione, riguardo l’ambiente, la sostenibilità, il benessere degli animali da cui
BIBLIOGRAFIA
si ottengono carni, latte, uova e loro derivati. In questo contesto la comunicazione al con sumatore sulle caratteristiche del prodotto che risponde a queste nuove richieste diven ta fondamentale.
In passato, l’esigenza era principalmente quella di conservare la carne o di farne un prodotto tanto eccellente ma troppo costo so, come erano le mortadelle del ‘600 che potevano essere consumate solo da un ri stretto gruppo di persone appartenenti alle classi sociali più abbienti. Il merito della pro duzione industriale è stato quello di rendere popolari alimenti come i salumi, facendo in modo che finissero sulle tavole di tutti. All’inizio dell’era industriale, ma soprattut to dopo la Seconda Guerra Mondiale con la forte crescita della domanda di alimenti dall’alto valore biologico (come sono le car ni e i salumi), la produzione di massa è stata declinata nei termini di produttività ed effi cienza: al punto che gli allevamenti di suini nostrani non erano più in grado di soddisfare la domanda in crescita di carni da trasforma re in salumi (perché a differenza di quelli eu ropei erano già orientati alla produzione di un suino pesante adatto alla trasformazione di prodotti tipici della nostra salumeria). Ci si è quindi rivolti all’importazione di carni suine dal mercato comunitario. La nascente consapevolezza di fornire un prodotto che fosse attento anche ai bisogni nutrizionali e ai criteri di salute pertinenti la dieta di cia scuno, ha portato – negli anni successivi – a migliorare la qualità delle carni e a prestare più attenzione alle esigenze espresse dai consumatori.
Prodotti come la mortadella, diventati popo lari perché a buon mercato ma di qualità non eccelsa in quanto fatti con carni miste poco pregiate di suino, bovino e altri mammiferi, sono stati rivalutati e hanno via via riacqui stato una loro nobiltà. Tutto ciò grazie a una maggiore consapevolezza dei produttori che, consorziandosi e poi entrando nei circu iti tutelati a marchio DOP e IGP, hanno saputo stare al passo con i tempi nel fornire ciò che i consumatori chiedevano. Hanno cambiato le loro abitudini alimentari in ragione della salute e con maggiore consapevolezza di un
loro ruolo attivo quando si è creata una co scienza etica più incline alla ecosostenibilità.
Le carni negli ultimi 70 anni sono migliorate dal punto di vista organolettico e nutriziona le. È stata incrementata la loro componente proteica, riducendo il grasso e aumentando la presenza di vitamine e minerali. Sono così diventate, insieme ai salumi, dei prodotti do tati di attività probiotiche e nutraceutiche. È stata anche posta una maggiore attenzione alla riduzione dell’uso degli additivi chimi ci e del sale, sostituendoli con trattamenti tecnologici che garantissero una migliore conservabilità o la loro sostituzione con an tiossidanti di origine naturale. Tutto questo ha portato a una riformulazione delle ricette di tutta la gamma della salumeria. Lo sviluppo tecnologico, unito a maggiori conoscenze biochimiche degli elementi in funzione nutrizionale, ha portato i Consorzi di tutela del circuito DOP e IGP alla modifica dei rispettivi Disciplinari di produzione, per adeguarli alle nuove circostanze. È quello che ha fatto anche il Consorzio Ita liano Tutela Mortadella Bologna che si è visto approvare nel corso del 2022 l’ultima modifi ca al Disciplinare (altre ne erano state fatte in passato) che valorizza la proposta della Mor tadella Bologna IGP più attenta ai bisogni del consumatore che chiede un prodotto al passo con i tempi. Se la Mortadella Bologna è tornata ad essere un salume pregiato, fatto solo di carni suine, lo si deve all’attenzione che i produttori rivolgono al mercato.
Tanara. L’economia del cittadino in villa. Nabu Press (ediz.
ANAS – Ass. Nazionale Allevatori Suini (2022). Mission and Special
https://www.anas.it/files/circolari/202200001.PDF
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6. Regolamento (CEE) n. 2081/92 del Consiglio, del 14 luglio 1992, relativo alla pro tezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari (non più in vigore).
7. Regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari (in vigore).
8. Ministero delle Politiche Agricole Agrarie e Forestali – Provvedimento del 13 gi ugno 2022. Modifica minore del disciplinare di produzione della IGP «Mortadella Bologna». (GU n.144 del 22-6-2022)
Il problema dellaTRACCIABILITÀ dei prodotti alimentari
Angela Mucciolo, Dottore in Scienze e Tecnologie delle Produzioni Animali Claudio Mucciolo, ASL di Salerno, Dipartimento di Prevenzione Area Sud - Servizio Igiene Alimenti di O. A.Lalegge europea sugli alimenti definisce la “tracciabilità” come la capacità di tracciare e seguire un prodotto, attraverso tutte le fasi della produzione, trasformazio ne e distribuzione (EU General Food Law Regulation, 2002). La tracciabilità può, quindi, essere intesa come la registra zione dei movimenti “fisici” del prodotto at traverso la filiera di distribuzione (tracciatura logistica), ovvero come la tracciatura “qualita tiva” del prodotto, orientata alla salvaguardia dello stesso. Nel settore agroalimentare si può definire la “food traceability” come par te della gestione logistica degli alimenti in tutte le fasi della distribuzione (supply chain) in modo da rendere possibile la verifica del
la salvaguardia e del controllo di qualità del prodotto (Bosona & Gebresenbet, 2013).
Nel luglio 2000 è stato introdotto e reso ob bligatorio per tutti gli Stati membri dell’Unio ne Europea il regolamento 1760/2000 della Commissione europea per le carni bovine. Esso richiede un’etichettatura contenente tutte le informazioni del prodotto, a partire dal processo di smistamento, alla macellazio ne, fino al confezionamento finale presso il punto vendita.
Questo sistema di tracciamento è il più avanzato nell’Unione Europea, ma presenta ancora grossi difetti. Innanzitutto, le importa zioni da altri continenti non vengono prese in considerazione e restano difficili da rego lamentare. In secondo luogo, ci sono molti
anelli deboli nella catena di condivisione del le informazioni: nessun meccanismo garanti sce la credibilità delle informazioni condivise, e questo si verifica soprattutto tra agricoltore e macellatore. In terzo luogo, l’errore umano e la manipolazione delle informazioni attive rimangono problemi sempre presenti (San der, Semeijn & Mahr, 2018).
Il concetto di tracciabilità per un’agricoltura e delle filiere agroalimentari sicure e sostenibili è considerato una strategia preventiva per la qualità e la gestione della sicurezza alimenta re che contribuisce ad aumentare la fiducia dei consumatori (Tse, Zhang, Yang, Cheng & Mu 2018).
In tema di sicurezza l’industria alimentare è soggetta a pressioni crescenti, tanto che si
è resa necessaria l’adozione di un approccio alla gestione dei rischi e gestione della quali tà denominata “dalla fattoria alla tavola”. Poi ché la legge 178/2002 dell’Unione Europea in materia della tutela alimentare è entrata in vigore nel 2005, la tracciabilità è diventata essenziale per l’industria che fornisce prodot ti alimentari con elevati standard di qualità e sicurezza (Wang X., Li D & O’Brien C, 2009).
Lo sviluppo dei sistemi di tracciabilità dei prodotti alimentari si è dimostrato una sfida importante sia dal punto di vista tecnico che da quello economico. L’approvvigionamento alimentare è una responsabilità condivisa da parte della rete degli attori globali che for niscono alimenti e che condividono la re sponsabilità di fornire informazioni corrette relativamente ai prodotti alimentari (Musso, Risso 2012). Le catene di approvvigionamen to e le reti sono quindi contesti di tracciabili tà dei prodotti alimentari che comportano il recupero delle informazioni sui prodotti, pre cedentemente registrati dagli attori respon sabili di determinati passaggi nella catena di approvvigionamento del prodotto (Engel seth, 2009). Per implementare la tracciabilità del prodotto sono già state utilizzate alcune innovazioni come codici a barre, RFID (Radio Frequency Identification) ed EDI (Electronic Data Interchange) ma è necessario un ulte riore sviluppo di applicazioni tecnologiche sulla tracciabilità nella catena di approvvigio namento (Tan, Yan, Chen & Liu, 2018).
È importante sottolineare inoltre, che le aziende devono rendersi conto che i con sumatori di oggi sono diventati molto più sofisticati e ben informati sui prodotti che acquistano; pertanto, la trasparenza è un requisito che appare sempre più imprescin dibile (Pepe, 2006). In un mondo globaliz zato, in cui le importazioni e le esportazioni sono prassi comune diventa fondamentale la presenza di un sistema di tracciabilità e trasparenza (Traceability and Transparency Sy stem, TTS) globale transfrontaliero. Secondo molti studiosi, i sistemi attuali non possono garantire l’integrità delle informazioni o la trasparenza necessaria per garantire la qua lità e la sicurezza degli alimenti. Una prima soluzione potrebbe essere basata su tecno logie di cloud computing che permettono l’accesso, la controllabilità e la condivisione delle informazioni e i processi di tracciabilità per gli alimenti (Sander, Semeijn, Dominik & Mahr, 2018).
Il problema dell’integrità dei prodotti ali mentari nella catena di fornitura è un tema attuale che spinge verso l’adozione di un modello “farm to fork” capace di garantire, ad esempio, la qualità dei prodotti denominati “halal”, che rappresenta l’insieme delle carat
teristiche dei prodotti alimentari ammessi per il consumo da parte di persone di religio ne musulmana (Soon, Chandia & Regenstein, 2017). Analoghe considerazioni possono es sere fatte anche per persone di altre religioni (ad esempio, per gli ebrei).
FOOD SUPPLY CHAIN E BLOCKCHAIN
Le moderne catene di approvvigionamento stanno diventando sempre più complicate a causa della globalizzazione e per le organiz zazioni diventa sempre più comune esterna lizzare la produzione, la logistica e l’impiego di terze parti specializzate. Tuttavia la com plessità della catena di fornitura si traduce in una maggiore probabilità di frodi sui prodot ti e in una carenza di fiducia tra gli attori par tecipanti alla catena di approvvigionamento (Tan, Yan, Chen & Liu, 2018). Di conseguenza, la contraffazione alimentare è in costante au mento e ciò è diventato un problema per i produttori, i consumatori, i governi e le altre parti interessate.
Nell’ultimo decennio, una serie di scandali ha coinvolto il mercato delle carni in Europa (come quello della carne di cavallo del 2013 e la crisi irlandese della carne suina) eviden ziando l’importanza della sicurezza della car ne e delle norme di qualità per i consumato ri. Lo scandalo delle carni brasiliane all’inizio del 2017 ha avuto un impatto drammatico anche sull’Unione europea, che è il maggiore importatore di pollame brasiliano.
mercati e consumi
Tali situazioni ribadiscono anche la necessità di sistemi di tracciabilità e trasparenza nelle catene di approvvigionamento alimentare (Sander, Semeijn, Mahr, 2018). Anche la Cina negli ultimi anni è stata al centro di frequen ti incidenti di sicurezza alimentare (latte in polvere di bassa qualità, salsa piccante, riso tossico, etc.) causando gravi conseguenze e mettendo in pericolo la salute delle persone (Tse, Zhang, Yang, Cheng & Mu, 2018).
Monitorare e assicurare la catena di approv vigionamento alimentare per comprendere la provenienza dei prodotti è fondamentale al fine di identificare e gestire le fonti di con taminazione nella filiera alimentare in tutto il mondo (Galvez, Mejuto & Simal-Gandara 2018).
Sono già stati resi disponibili alcuni fra mework relativi alla gestione della supply chain di prodotti agroalimentari; essi si basa no su architetture di dati condivise tra i diver si attori impegnati nella SCM (Supply Chain Management). Ad esempio, il progetto FU TURMED si prefigge la realizzazione di un da tabase centralizzato, che metta in relazione tutti i dati dei diversi stakeholder, permetten do la pianificazione dell’intera catena, attra verso la misurazione di flussi e informazioni (Accorsi, Cholette, Manzini & Tufano, 2018).
Il tracciamento dell’origine del prodotto in tegrato dalla tecnologia blockchain trova i suoi campi di impiego in molti settori, ma principalmente nelle catene di approvvi gionamento alimentare. Il monitoraggio del
mercati e consumi
prodotto e degli ingredienti alimentari ha un’importanza particolare quando si verifica no problemi legati a intossicazioni alimenta ri, malattie o altre forme di contaminazione. Blockchain, grazie alla tracciatura di tutti i passaggi nella catena di fornitura, consente un’identificazione molto più rapida e accura ta del punto di origine del problema. Questo rappresenta una vera sfida per i rivenditori di alimenti e fast-food di largo consumo, che devono fornire tutte le informazioni relative alla tracciabilità dei prodotti, per i loro clienti, che di solito non hanno quasi mai una visio ne completa di ciò che accade a monte del la catena di approvvigionamento. Aziende come Walmart, IBM e i loro partner stanno la vorando allo sviluppo di standard e soluzioni per una maggiore sicurezza degli alimenti
dell’attuale catena di approvvigionamento è che i dati sono centralizzati in ciascuno de gli elementi della catena di approvvigiona mento e gli elementi rimanenti non possono vedere le transazioni, non permettendo ai consumatori di verificare la fonte del cibo da acquistare. Si propone dunque un nuovo modello di catena di approvvigionamento tramite blockchain, attraverso il concetto di economia circolare, per eliminare molti degli svantaggi. Con l’aggiunta della blockchain nella filiera agricola tutti i membri della ca tena registrano le loro transazioni all’interno della catena, in modo da consentire maggio re sicurezza e trasparenza nelle transazioni. In Italia alcune imprese operanti nel settore alimentare stanno già applicando la traccia bilità di filiera attraverso la blockchain; tra
la società DNV GL, sta sviluppando MyStory, una soluzione che promuove il brand “from farm to fork”, la cui prima applicazione è rela tiva alla tracciatura del vino italiano. Il servizio WhereFoodComeFrom.com fornisce un ser vizio di certificazione sull’origine di un pro dotto alimentare tramite QR Code. La Pacific Islands Tuna Industry Association (PITIA), in collaborazione con WWF (fao.org), ha avvia to un progetto per la limitazione della pesca illegale del tonno. Grazie ad uno smartphone e al QR Code sulla scatoletta di tonno, il pro getto oggi consente di ricevere informazioni sulla provenienza del pesce, come da quale nave è stato pescato e con quale metodo di pesca (Casaleggio, 2018).
Gli smart contract, implementati attraverso la combinazione con le tecnologie IOT, grazie a sensori applicati ai prodotti, potrebbero essere in grado di tracciare sulle blockchain, tutti i passaggi in maniera intelligente, non solo registrando i cambiamenti relativi al passaggio dei prodotti attraverso la catena di fornitura, ma rendendo anche possibile la verifica di alcune condizioni, come ad esem pio quelle ambientali, che possono fornire informazioni importanti, ad esempio sulla qualità dei prodotti (temperatura, pressione, umidità).
nell’intera filiera alimentare, eseguendo dei test su alimenti come le carni suine o il man go, in paesi che vanno dalla Cina agli Stati Uniti d’America. Secondo Walmart, il monito raggio della catena di approvvigionamento di mango attraverso la blockchain ha ridotto il tempo necessario per rintracciare un lotto di frutta dalla fattoria al negozio da un valore in giorni o settimane a pochi secondi (O’Le ary, 2017).
L’attuale catena di approvvigionamento è un modello di economia lineare che soddisfa direttamente o indirettamente tutte le esi genze, che però presenta alcuni svantaggi come le relazioni tra i membri della catena di approvvigionamento o la mancanza di in formazioni per il consumatore circa l’origine dei prodotti (Casado-Vara, Prieto, De la Prieta, Corchado, 2018). Lo svantaggio principale
questi troviamo alcuni produttori di alimen ti e aziende della grande distribuzione. Ad esempio, il report pubblicato nel novembre 2018 da Casaleggio Associati riporta tutta una serie di best practices: Carrefour è in gra do di fornire - attraverso un QR Code - infor mazioni su molteplici prodotti (tra cui il pollo “bio”). Barilla ha avviato una sperimentazione per la tracciatura dei dati relativi alla coltiva zione del basilico, attraverso la tecnologia blockchain su infrastruttura IBM. La Perugina sta sperimentando la tracciatura dei cioc colatini (Baci) in ottica anticontraffazione. Anche il colosso Alibaba ha avviato un’ini ziativa denominata “Food Trust Framework” che consente ai clienti cinesi di Tmall Global (marketplace di proprietà di Alibaba) di mo nitorare le spedizioni di alimenti provenienti dall’Australia e dalla Nuova Zelanda. In Italia
Al fine di migliorare l’efficienza e la trasparen za delle catene di approvvigionamento da parte delle diverse imprese, sono stati avviati diversi progetti pilota su tecnologie ricon ducibili alla blockchain. Tali progetti pilota riguardano collaborazioni di Nestlé e Wal mart insieme a IBM in materia di sicurezza alimentare e tracciabilità, nonché altri sforzi, in particolare da parte di compagnie maritti me come Maersk, UPS e Fedex (Chang, Chen & Lu, 2019). Sono già stati realizzati alcuni fra mework integrati di tracciabilità di prodotti alimentari, che includono l’impiego di tecno logie blockchain e IOT, mediante l’impiego di sistemi di identificazione (RFID, WSN e GPS), questi registrano e archiviano i dati rilevan ti circa la catena di fornitura dei prodotti. Grazie alla tecnologia RFID, ogni prodotto è univocamente identificato mettendo in relazione l’identità fisica del prodotto con quella virtuale (Tian, 2017). In Italia società come FoodChain (www.food-chain.it), han no deciso di implementare la tecnologia per salvaguardare il “Made in Italy”, coinvolgendo società come Caffè San Domenico e Gruppo T18. FoodChain applica il paradigma “from farm to the fork” puntando alla tracciabilità dei prodotti alimentari dalla materia prima al prodotto finito. FoodChain si basa sull’appli cazione della blockchain di Quadrans (qua drans.io), basata su architettura open source che supera alcuni limiti delle blockchain
come bitcoin e ethereum relativamente alla volatilità dei coin ed al costo energetico (Co sta, Fiori, Sala, Vitale A. & Vitale M., 2018).
I LIMITI DELLA BLOCKCHAIN
L’impiego di smart contract e di sensori (IoT) rappresentano un’evoluzione epocale dei meccanismi di tracciabilità e aggiungono importanti informazioni alla semplice trac ciatura dei passaggi attraverso la supply chain. Grazie a queste tecnologie integrate è possibile aggiungere la dimensione del controllo e certificazione della qualità dei prodotti, mettendo in relazione i fattori am bientali con i requisiti di conservazione di prodotti specifici. La decentralizzazione dei dati e la trasparenza delle informazioni, insite nelle blockchain, inoltre, rendono accessibili le informazioni da parte di tutti gli attori della catena, specialmente i consumatori. In lette ratura, sono stati individuati, documentati e in alcuni casi implementati, diversi framework di integrazione delle tecnologie citate, par tendo dal presupposto che la tracciatura, in un settore così delicato come quello dei prodotti alimentari, sia relativa all’etichetta tura dei prodotti. L’applicazione infatti di “tag RFID” o di QR code, è relativa all’imballag gio dei prodotti e non garantisce l’integrità dell’associazione prodotto-etichetta.
A questo punto ci si chiede: l’applicazione di tecnologie di nuova generazione, nella catena alimentare è in grado di evitare la contraffazione dei prodotti? È in grado di as sicurare che gli imballaggi e i prodotti in essi contenuti siano associati in modo sicuro? È possibile assicurare che le informazioni regi
strate e rese disponibili, siano effettivamente relative ai prodotti e non solo alle etichette poste sugli imballaggi che li contengono?
Certamente è necessario rendere sicure le in formazioni attraverso l’impiego di imballaggi esclusivi, che non possono cioè essere ma nomessi, evitando il rischio di sostituzione di eventuali prodotti degradati, scaduti o con diversa provenienza rispetto a quanto docu mentato. La ricerca dovrebbe progredire in modo da riuscire a identificare i prodotti ali
mercati e consumi
mentari, ad esempio, attraverso l’impiego di nanotecnologie. Oggi la ricerca sulle nano tecnologie rende possibile la manipolazione a livello molecolare e può essere utilizzata negli imballi alimentari, ad esempio per ga rantire una migliore protezione o per rilevare il livello di freschezza dei cibi. È tuttavia ne cessario analizzare le proprietà e le caratteri stiche specifiche dei nanomateriali in vista di potenziali rischi per la salute (European Food Safety Authority, 2019).
L’impiego di microsensori biodegradabili associati agli smart contract e messi in re lazione alla registrazione degli eventi sulle blockchain, ha enormi potenzialità. Potrebbe portare, ad esempio, alla misurazione della temperatura del prodotto, all’umidità e ad altri importanti fattori di qualità. Oggi il costo di questi microsensori è molto elevato, ma in futuro il loro costo potrebbe ridursi sen sibilmente rendendo possibile il loro utilizzo su larga scala e consentendo la realizzazione del collegamento desiderato tra i prodotti alimentari e l’Internet of Things (Schlaefli, 2017).
CONCLUSIONI
La possibilità di impiegare nella food supply chain la tecnologia emergente blockchain, associata all’utilizzo di dispositivi IOT che impiegano sistemi RFID o codici QR per permettere una completa tracciabilità del la filiera dei prodotti (from farm to the fork), intesa non solamente come la registrazione dei passaggi tra i diversi attori coinvolti nel
mercati e consumi
la catena distributiva, ma anche come l’ag giunta di una dimensione di controllo qualità (ad esempio, le condizioni in cui la merce è trasportata, importante per la certificazione della sicurezza alimentare). Vista l’importanza della tecnologia blockchain, definita “disrup tive” da parte della comunità tecnico-scienti fica, ci potranno essere importanti evoluzioni e impieghi delle soluzioni DLT in tutti i campi. Tuttavia, l’applicazione di questa tecnologia in settori dell’economia reale, necessita di alcune considerazioni che pongono l’atten zione su alcuni limiti. In primo luogo, l’impiego della tecnologia in generale, e della blockchain in partico lare, porta a un aggravio di costi, che non sempre sono giustificabili con i benefici in dotti. Nelle tecnologie DLT infatti, il costo di “mining”, relativo alla creazione di nuovi blocchi della catena, porta a un costo con siderevole di energia elettrica, che si riper cuoterebbe inevitabilmente sui costi del prodotto. Più che di una riduzione dei costi, promessa dalla blockchain quindi, attraver so la disintermediazione, si tratterebbe solo di una traslazione dei costi. Da qui ne con segue che il costo dei benefici portati dalla blockchain possa essere giustificato solo su determinati prodotti, dove il prezzo non è il fattore principale per la scelta dei beni, come ad esempio, nel campo diamantifero, dove è più importante la qualità e la provenienza dei prodotti, rispetto al prezzo finale. Se par liamo di prodotti alimentari a “basso costo” come ad esempio nel settore agricolo, non è sempre vero che l’aggravio dei costi per
l’impiego delle nuove tecnologie sia sem pre sostenibile. Un altro rischio è dovuto alla fluttuazione del valore dei “token” o “coin” che sono alla base del funzionamento delle cate ne a blocchi. Negli ultimi anni abbiamo assi stito al mercato delle criptovalute che han no fatto registrare una fluttuazione del loro valore, prestandosi a speculazioni finanziarie di ampia portata. La volatilità delle criptova lute potrebbe rappresentare un grave rischio per la definizione del valore delle materie alla base del settore in questione, turbando
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• Min H. (2019). Blockchain technology for enhancing supply chain resilience. Busi
in modo considerevole le economie che su di esse si basano.
Per ridurre i rischi di costi elevati per il mi ning o per evitare la fluttuazione del valore dei coins, sono state citate soluzioni (come Quadrans), generate da i cosiddetti “fork” di blockchain pubbliche (ethereum in questo caso). Osservando le quotazioni di questo cosiddetto “stablecoin” però, non siamo certi che il valore resti inalterato nel tempo, pre sentando comunque elementi di volatilità (Min, 2019).
Un altro limite per l’impiego della blockchain nel settore agro-alimentare è la non elevata cultura degli attori coinvolti, in campo tec nologico, così come la scarsa diffusione del digitale.
L’impiego di tecnologie così avanzate, pre suppone la disponibilità di tecnologie co siddette “di base” come smartphone, tablet e reti di connessione: il famoso “digital divide”. Questo potrebbe rappresentare una impor tante barriera all’impiego con successo del le tecnologie in questione. L’altro aspetto critico è relativo ai meccanismi antifrode, che dovrebbero assicurare che le etichette (oggetto della tracciatura) e i prodotti che esse accompagnano, non siano dissociabili, quindi manomissibili e di conseguenza non garantire i prodotti.
In conclusione, riteniamo che la ricer ca e la sperimentazione della tecnologia blockchain, anche per il settore della Food Supply Chain, sia di fondamentale importan za e foriera di ulteriori sviluppi molto interes santi.
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È ancora attuale la tecnica di affumicatura per la conservazione degli alimenti?
La risposta secca è più no che sì! Perciò ve diamo di capire meglio il perché di questa risposta a metà.
L’affumicatura come tecnica di conserva zione degli alimenti è stata applicata fin dai tempi antichi principalmente nella la vorazione della carne e del pesce. Oggi non è più utilizzata a questo scopo ma come tecnica di aromatizzazione, estesa anche ai formaggi e alle verdure. Tipica delle regioni del Nord Europa che, non avendo modo di disporre del sale come conservante primario né di un clima particolarmente favorevole alla stagio natura, la applicavano per conservare gli alimenti al fine di farli durare più a lungo.
Tuttavia rispetto al metodo di conservazio ne sotto sale, l’affumicatura altera decisa mente il sapore del cibo e ne modifica, in parte, le qualità organolettiche.
Prima dell’avvento della refrigerazione e dei più moderni metodi di conservazione degli alimenti, l’affumicatura fu per molti secoli fondamentale per il sostentamento di intere popolazioni. La scoperta, come è sempre accaduto nella storia dell’uomo, sarebbe stata del tutto casuale poiché i nostri antenati l’avrebbero appresa affumi
cando involontariamente i cibi appesi alle pareti delle caverne, con il fuoco utilizza to per scaldarsi e cuocere la cacciagione. In Italia sarebbe stata introdotta come tecnica di lavorazione e alternativa alla salagione, dalle popolazioni barbariche stanziatesi stabilmente nel nostro Paese dal VI secolo d.C. in poi, sembra ad opera dei Longobardi che la praticavano abitual mente insieme all’allevamento del maiale. L’affumicatura consiste nell’esporre ali menti come pesce o carne ai fumi della le gna (assieme – se si vuole – ad erbe aroma tiche come l’alloro, il rosmarino, il timo, le bacche di ginepro, ecc.), generati durante un processo di combustione lento ed in completo, ovvero senza la fiamma. L’affu micatura non prevede l’esposizione diretta del pesce o della carne alla fiamma, che altrimenti cuocerebbe le carni, ma soltan to ai fumi, i quali contengono particolari sostanze che agiscono come antimicrobi ci. Queste sostanze sono note oggi come fenoli, carbonili, acidi organici e sostanze antiossidanti che agiscono sui grassi. Spesso l’affumicatura veniva associata all’essiccamento per disidratazione (che comporta una consistente perdita dei li
quidi e degli essudati), tuttavia al giorno d’oggi – ai fini della conservazione – si preferiscono altre tecnologie più sicure, in quanto l’azione antimicrobica del fumo è blanda rispetto ad altri sistemi che im piegano sia sistemi fisici, come la pastoriz zazione e il confezionamento sottovuoto, sia sistemi biochimici come l’uso di con servanti naturali e additivi e le pratiche di fermentazione. Fondamentale poi al fine di creare un ulteriore ostacolo alla crescita microbica, il mantenimento degli alimenti alle basse temperature di refrigerazione. Le tecniche di affumicatura classiche ap pena accennate sono in linea di massima tre e variano in base alla temperatura del fumo impiegato e alla durata del processo:
1. Affumicatura a freddo: l’alimento viene trattato con fumo tra i 20 e i 25°C e il processo può durare da pochi giorni ad alcune settimane. Questa tecnica viene utilizzata per l’affumicatura del salmone e di altri pesci semi grassi e grassi come le aringhe e il pesce spada.
2. Affumicatura a caldo parziale: il proces so viene condotto tra i 25 e i 45-50°C (tal volta anche qualche grado in più). Viene utilizzata per affumicare salumi come il prosciutto crudo (tipico in Italia quello di Sauris), lo speck, la pancetta, il pastra mi o il cosciotto tipo praga ed insaccati come il salame ungherese e i würstel, prima della stagionatura o cottura.
3. Affumicatura a caldo: impiega fumo con temperature tra i 60 e i 90°C, utilizzata per lo più per prodotti di pronto consumo.
La legna impiegata per l’affumicatura non deve essere resinosa (da escludere i legni contenenti resine). Vanno evitati anche le gni impregnati di solventi e collanti, verni ciati o colorati.
I legni più utilizzati sono il faggio e le
chiedetelo a...
querce e chi vuole conferire dei particolari aromi utilizza l’abete bianco. Si trovano in forma di trucioli, segatura o blocchi per es sere trattati in apparecchiature generatori di fumo o tal quali direttamente nella ca mera (nel caso della segatura).
L’industria alimentare tratta oggi (da mol ti anni ormai) l’affumicatura come tecnica moderna di aromatizzazione degli alimen ti (per carne, pesce, formaggi e verdure): alcuni prodotti di salumeria tra quelli nominati e altri ancora sono caratterizzati proprio dal trattamento di affumicatura e riconosciuti come tali per questa peculia rità.
In alternativa all’impiego diretto del legno, può venire utilizzato il fumo liquido, che è un condensato del fumo primario da cui si ottengono le componenti aromatiche del fumo prodotto naturalmente: deve rispet tare determinati criteri stabiliti da precisi regolamenti europei, al fine di eliminare i componenti del fumo più dannosi per la salute umana. Il fumo liquido può essere applicato all’alimento per nebulizzazio ne, docciatura, immersione, aggiunto ne gli impasti o disperso nelle salamoie per
iniezione, in modo da conferire l’aroma e il sapore caratteristico tipico del prodot to affumicato. Può essere utilizzato anche come base per la produzione di altri aromi. Proprio come alternativa, soprattutto per i prodotti meno pregiati, possono anche es sere impiegati degli aromi di affumicatura da inglobare negli impasti degli insaccati o dispersi nelle salamoie per iniezione. La legge tutela il consumatore riguardo il tipo di trattamento adottato, se cioè viene utilizzata una tecnica di affumicatura con il metodo classico o un aromatizzante come il fumo liquido.
In etichetta troveremo infatti la dicitura “prodotto affumicato” o semplicemente “affumicato”, se il prodotto è stato trattato con la tecnica di affumicatura tradizionale; invece i prodotti trattati con fumo liquido o con un aroma derivato da questo, dovran no riportare nella lista degli ingredienti la specifica voce “aromatizzanti di affumica tura” o “aroma di affumicatura ricavato da…” indicando la specie legnosa d’origi ne (per esempio, faggio, quercia, ecc.), in ordine di quantità rispetto agli altri com ponenti della ricetta.
È poi noto che dalla combustione incom pleta dei legni (nel caso il processo non sia gestito nel modo corretto si possono originare fiamme, che all’interno del loro nucleo raggiungono temperature molto elevate) possono derivare potenzialmente rischi per il consumatore per il formarsi di sostanze chimiche, note come IPA (Idrocar buri Policiclici Aromatici) che comprendo no numerose molecole, tra cui il benzo(a) pirene e il benzo(a)antracene, alle quali vengono attribuite azioni cancerogene e tossiche. Ecco perché la legislazione euro pea (Regolamento (UE) n. 835/2011) stabi lisce i tenori massimi di IPA che possono essere presenti nei prodotti affumicati. In ogni caso c’è da stare tranquilli nella gestione dell’affumicatura degli alimen ti, perché la formazione degli IPA avviene quando la materia organica è esposta a temperature elevate con la presenza di fiamma (da 350°C in su), pratica evitata nel le affumicature controllate di cui abbiamo parlato e in quelle in cui si usano genera tori di fumo esterni. Inoltre il consumo dei prodotti affumicati è abbastanza margina le, nell’ottica di un consumo moderato.
A partire dal numero di marzo 2022 di Ingegneria Alimentare abbiamo creato questa rubrica per rendere omaggio a una persona che ha dato lustro al mondo della ricerca scientifica nel settore delle carni e dei salumi e che ha onorato la nostra rivista della sua collaborazione per molti anni. Abbiamo raccolto, dietro ripetute richieste dei lettori, un campionario dei suoi scritti e gli articoli più rappresentativi dell’opera del Prof. Carlo Cantoni, ancora attuali e di enorme importanza scientifica, saranno pertanto ripubblicati sulle pagine di Ingegneria Alimentare per dare modo a coloro che non hanno potuto goderne in passato di attingere dall’immensa esperienza del Professore e approfondire le proprie conoscenze. Speriamo che l’iniziativa sia gradita a quanti hanno avuto modo di conoscere il Prof. Carlo Cantoni e, soprattutto, ai più giovani che non ne hanno avuto la possibilità dalla sua scomparsa. Alcuni passaggi sono stati aggiornati ma il valore degli studi – potrete constatare – resta straordinariamente attuale.
Buona lettura, l’Editore e la redazione
Uso dell’ozono per la disinfestazione di acari nei prodotti di salumeria
Carlo Cantoni, Luca Maria Chiesa, Serena MilesiPartite di salame infestate da acari sono state trattate con ozono per la disinfestazione da acari e altri insetti. L’ozono, alle concentrazioni di 0,15-0,20 p.p.m., ha dimostrato di possedere una potente attività acaricida.
Potential use of ozone for insect disinfestation of dry salami
In this study the potential use of ozone per insect disinfestation of dry salami were tested. The gaseus ozone at low level 0,15-0,20 p.p.m. has been able to kill acarus fauna, which are present on the surfaces of dry salami.
Gli acari spesso si localizzano negli alimenti conservati e negli ambienti di lavoro come nei magazzini di conservazione, nelle stanze di stagionatura, nelle fattorie e in altri am bienti di lavorazione degli alimenti. Hughes (1976) ha elencato più di 60 specie di acari contaminanti gli alimenti conservati. Gli acari appartengono al phylum Artropodi (subphylum Chelicerati), sottoclasse Arac nida, da cui si distinguono per la ridotta o assente segmentazione addominale.
Questi organismi tassonomicamente ap partengono all’ordine Astigmata che com prende circa 60 famiglie. Di queste, tre sono quelle più importanti: Pyroglyphidae, Aca ridae e Glycyphagidae. I generi più comuni sono Dermatophagoides, Euroglyphus, Aca rus, Tyrophagus, Blomia, Cheyletus, Andro laelaps.
Le specie di acari più frequenti negli alimen ti conservati sono Tyrophagus putrescentiae (Schrank), Tyrophagus longior (Gervais),
Tyrophagus entomophagus (Laboulbenia) e Acarus siro L. (tutti Acaridae), Suidasia pontificia (Oudemans), che sono Suidasi dae, Dermatophagoides pteronyssinus (Trues sart), Dermatophagoides farinae (Hughes) e Euroglyphus maynei (Coleman) che appar tengono ai Pyroglyphidae, Glycyphagus do mesticus (De Geer), Lepidoglyphus destruc tor (Schrank) e Gohieria fusca (Oudemans) che sono compresi nei Glycyphagidae (Ol sen, 1998; Thind e coll., 2001).
L’acaro Tyrophagus putrescentiae è la specie più diffusa e infesta gli alimenti conservati e stagionati con elevato contenuto protei co e lipidico come formaggi, bacon, speck, salami, prosciutti, arachidi, uova essiccate, farine e alcuni cereali (Hughes, 1976; Hill, 2002).
Il tempo di generazione di un acaro è di 10 giorni, variando però da 9,5 a 130 giorni a seconda delle condizioni ambientali. La temperatura ottimale di crescita è di 25°C
DAGLI ARCHIVI DI INGEGNERIA ALIMENTARE - LE CARNI
(variando tra 8,5°C sino a 36°C) e l’UR ot timale dell’ambiente è di 80-90%. Un acaro adulto vive per 2-5 mesi (Hill, 2002).
Nei prodotti alimentari stagionati tendono ad aggregarsi sulla superficie (Olsen, 1998).
Morfologicamente gli acari hanno picco lissime dimensioni, sono visibili tuttavia all’occhio nudo, hanno una cuticola bian chiccia liscia e brillante, l’intensità di colo razione delle appendici dipende dal tipo di alimento. Il corpo dell’acaro, oltre che dagli arti, è caratte rizzato da un grosso addome con il 50% di umidità, che si essicca rapidamente al dimi nuire della UR ambientale (60% UR).
Si ritiene che l’habitat origi nario degli acari sia da iden tificarsi nei nidi di imenotteri, nei suoli dei pascoli, nei ter reni coltivati con alfa alfa, nei silos di grano, nella paglia, nei nidi di uccelli e negli alveari, trovando, poi, un ambiente favorevole per lo sviluppo nelle stanze di stagionatura di insaccati e salati (prosciutto, speck, coppe ecc.).
Nei loro ambienti naturali gli acari contaminanti le derrate alimentari sono considerati quali consumatori del mate riale vegetale in decomposi zione e della flora micetica, cioè di miceti dei generi Euro tium, Aspergillus, Penicillium, Alternaria, Mucor. Tra i vari acari T. putrescentiae è la spe cie più fungivora.
Quanto ai prodotti carnei sta gionati come prosciutti crudi stagionati, speck, coppe, pan cette arrotolate e salami a lun ga stagionatura, le condizioni fisiche-ambientali di umidità e di temperatura (80% e più di UR e 12-14°C) favoriscono la moltiplicazione degli acari sulle superfici, determinando così un problema molto im portante da affrontarsi soprat tutto per i produttori spagnoli e italiani.
Sebbene non pericolosi per il consumatore per ingestione, la presenza di questi parassiti, visibili a occhio nudo, sulla superficie dei salumi, annulla la possibilità di vendita dei prodotti perché rifiutati dai
consumatori e, soprattutto, è vietata per leg ge nei vari Stati della Unione europea. Nei prosciutti spagnoli (iberici) le specie di acari riscontrate sono state Tyrophagus pu trescentiae (Schrank) (Astigmata, Acaridae), Tyrolichus casei (Oudemans), Tyrophagus longior (Gervais) e Tyrophagus palmarum (Oudemans) (Acaridae), Carpoglyphus lac tis (L.) (Carpoglyphidae), Glycyphagus do mesticus (De Geer) (Glycyphagidae), Tyro
borus Lini (Oudemans) (Acaridae).
Accanto a questi, è stata segnalata la pre senza anche di acari non astigmati come Cheyletus eruditus (Schrank) e Cheleto morphs lepidoterum (Shaw) (Prostigmata Cheyletidae) e Androlaelaps casalis casalis (Berlese) (Mesostigmata, Dermanyssidae) e Blattisocius dendriticus (Berlese) (Mesostig mata, Ascidie). Tutte quest’ultime specie sono presenti perché sono predatori degli
VACUUM TUMBLERS
BRINE
acari tipici precedentemente elencati, dei quali si cibano (Ramos, 1999).
Di tutte le specie elencate, tuttavia le più rappresentate sono Acarus siro, Tyrophagus putrescientiae, T. longior e T. casei (Garcia, 2004).
Per i prodotti italiani sull’argomento esisto no pochi lavori, sebbene, l’inconveniente sia frequente. Le specie identificate in prosciutti crudi e in salami sono più limitate ed è stata segnalata la presenza di Tyrophagus longior (Gervais) (Dimidiatus longior e Dimidiatus infestans, Berlese), Acarus siro, Tyrophagus putrescentiae (d’Aubert e coll., 1983).
Per controllare ed eliminare la crescita degli acari sono stati sperimentati vari trattamenti fisici, chimici e biologici di seguito elencati.
METODI FISICI
• Rigorosa pulizia degli ambienti di lavora zione
• barriere meccaniche alle aperture per evi tare l’ingresso di acari
• eliminazione meccanica alla fine del pe riodo di stagionatura mediante aspirazio ne o con lo spazzolamento
• modificazione delle condizioni ambientali
• trattamento con radiazione (raggi γ)
• atmosfera modificata.
METODI CHIMICI
In molte occasioni i metodi fisici non sono risultati sufficienti per controllare le popo lazioni di acari per cui si è ricorso all’uso di acaricidi di sintesi chimica. È ovvio che i prodotti impiegabili devono avere una bassissima tossicità per l’essere umano, de vono garantire una minima attività residuale e non devono influenzare le caratteristiche organolettiche dei prodotti. In genere si im piegano per i vegetali.
I prodotti chimici utilizzati si dividono in fumiganti e non fumiganti. I primi sono gas tossici.
Tra tutti questi prodotti il bromuro di metile è quello più efficace.
FEROMONI
La loro applicazione è oltremodo complessa e non sembra realizzabile nel settore delle carni.
CONTROLLO BIOLOGICO
Richiede la utilizzazione di predatori, patogeni attivi contro gli acari contaminanti e anch’esso non è praticabile nel settore specifico.
METODI ALTERNATIVI
Prodotti di origine botanica. Monoterpeni. Sono composti terpenoidi presenti negli oli vegetali.
RCls. Sono inibitori della sintesi della chi tina e antagonisti della sintesi dell’ormone della muta.
Altri composti vegetali. Principi attivi ot tenuti per estrazione dall’albero del Neem (Azadirachta indica) (Meliaceae) un meta bolita dell’attinomicete Saccharopolyspora spinosa
Tra le categorie di composti citate, le sostan ze più attive sono:
• azadiractina, un limonoide naturale estratto dall’albero del Neem (Azadira chita indica), riduce la crescita degli acari
• piriproxifene che è un analogo dell’ormo ne giovanile e sopprime l’embriogenesi, agendo sulla metamorfosi e la formazione dell’adulto
• esaflumorone che inibisce la sintesi della chitina indispensabile per la formazione della cuticola
• spinosad che è composto da due principi attivi, la spinosina A e la spinosina D, ed è elaborato da Saccharopolyspora spinosa Agisce sul sistema nervoso degli insetti provocando la contrazione attiva dei mu scoli e, quindi, la paralisi dell’insetto (Ra mos, 1999).
Utilizzo dell’ozono. Tra tutti i metodi an tiacari indicati solo l’intervento meccanico consente la totale eliminazione degli acari, ma richiede tempo e, quindi, un certo costo. Per distruggere gli acari nei salumi stagiona ti si è, quindi, pensato di utilizzare l’ozono che per il suo potere ossidante riesce letale per gli insetti.
L’ozono è la molecola triatomica dell’ossige no. È un gas instabile composto da tre atomi di ossigeno O₃ presente allo stato naturale nell’atmosfera. Si forma nella stratosfera, nello smog fotochimicamente e dalle lampa de sterilizzatrici UV, negli archi elettrici con elevato voltaggio e negli impianti di irraggia mento gamma.
Alla temperatura ambientale, l’ozono si de compone rapidamente e così non si accu mula senza una produzione continua (Pe leg, 1976; Miller e coll., 1978).
L’ozono è l’ossidante più potente a nostra disposizione (il più potente è il fluoro), è dieci volte più potente del cloro, e consente di distruggere virus, batteri, protozoi e altri organismi viventi con grande efficacia.
Alla temperatura ambientale l’ozono è inco lore e ha un odore pungente caratteristico, simile a quello che si avverte nell’aria fre sca dopo un temporale con fulmini (Coke, 1993). Si percepisce nettamente a concen trazioni di 0,01-0,05 p.p.m. (Miller e coll., 1978).
Industrialmente l’ozono viene prodotto da macchine apposite mediante il cosiddetto “effetto corona”, cioè facendo fluire una cor rente elettrica tra un conduttore a potenzia le elettrico elevato e un fluido neutro circo stante, generalmente l’aria.
L’effetto si manifesta quando il gradiente di potenziale supera un determinato valore sufficiente a provocare la ionizzazione del fluido isolante (aria), ma insufficiente per ché si inneschi un arco elettrico.
Una volta ionizzato, il fluido diventa plasma e conduce elettricità.
Il circuito elettrico si chiude quando la ca rica elettrica trasportata dagli ioni giunge lentamente al punto di riferimento del gene ratore, solitamente la terra.
La produzione dell’effetto corona implica l’impiego di due elettrodi, uno appuntito per aumentare la ionizzazione (la punta di un ago o un filo sottile) e uno a bassa curva tura (una placca o la terra stessa).
L’ozono distrugge microrganismi e taluni insetti mediante la progressiva ossidazione di componenti vitali delle cellule, ossidan do, dapprima, i gruppi sulfidrilici e gli ami noacidi, gli enzimi, i peptidi e le proteine, frantumandole in corti peptidi.
Successivamente l’ozono ossida gli acidi grassi polinsaturi in perossidi acidi (Victo rin, 1992). All’ossidazione dell’envelope batterico o della cuticola degli insetti segue la rottura delle cellule, la fuoriuscita del con tenuto cellulare e la morte dell’organismo ossidato.
L’uso dell’ozono come insetticida è stato provato nei confronti di insetti contaminan ti il grano conservato (Qassem, 2006) e con prove di laboratorio nei confronti di Ephe stia kuhniella (Zell) (Isikber e coll., 2006).
L’ozono in concentrazioni di 0,07 g/m³ si è rivelato capace di uccidere gli adulti di Si tophilus granarius L., Sitophilus oryzae L. e Rhizoperta dominica dopo 5-10 ore di espo sizione. La morte di adulti di Tribolium con fusum Duv e di Oryzaephilus surinamensis risultò pari al 50% dei soggetti dopo 15-20 ore di esposizione, ma la morte totale di tut te le specie di insetti è stata ottenuta sommi
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nistrando 1,45 g/m³ ozono dopo un’ora di esposizione al gas (Qassem, 2006).
Praticamente gli stessi risultati sono stati ot tenuti in laboratorio nei confronti di E. kuh niella da Isikber e coll. (2006).
Precedentemente a questi due lavori Leesch e coll. (2004) hanno constatato l’effetto in setticida dell’ozono, come alternativa del metilbromuro, nei confronti delle uova, lar ve e degli insetti adulti. L’effetto letale fu ri scontrato con concentrazioni ambientali di gas variabili e lo stesso effetto letale risultò rafforzato dall’aggiunta del 5-7% di CO₂.
SCOPO DEL LAVORO
Con questo lavoro si è voluto sperimentare l’effetto nei confronti di acari contaminan ti partite di salami, utilizzando le modalità operative descritte di seguito.
MATERIALI E METODI
Luoghi di applicazione. L’ozono è stato distribuito in cinque salumifici i cui salami, durante la stagionatura negli appositi locali, presentavano sulle superfici copiose popola zioni di acari.
Distribuzione dell’ozono. L’ozono, pro dotto dalla macchina Cocinelle GCG di Albino (Bg) con effetto corona, veniva in sufflato nelle stanze di stagionatura dall’alto in quantità di 6 g/200 quintali di salame, in modo da raggiungere una concentrazione
BIBLIOGRAFIA
ambientale di 0,15-0,20 p.p.m. La distribu zione dell’ozono veniva effettuata per 7-15 gg. Il trattamento era interrotto appena os servata la mortalità degli acari.
RISULTATI
Con il trattamento indicato e per i tempi di applicazione suggeriti si è ottenuta l’elimi nazione totale degli acari dalla superficie e quindi la disinfestazione completa come si rileva osservando le fotografie 1 e 2. In fatti nella prima, la fauna degli acari è ben evidente mentre nella seconda risulta la sua assenza.
Deve essere segnalato che durante il tratta mento si osserva pure la drastica riduzione della flora micetica, che ritorna normale al termine del trattamento e dopo la morte de gli acari. Ciò si verifica sia per l’effetto diret to dell’ozono sulla vitalità dei miceti, sia per l’uccisione degli acari fungivari.
Considerato l’effetto riscontrato costante mente nei vari stabilimenti, si ha ragione di ritenere valido l’uso dell’ozono quale acari cida, precisando, inoltre, che il gas non ha dimostrato alcun effetto ossidativo nei con fronti dei salami.
Oltre ai lavori citati, numerosi lavori speri mentali, hanno dimostrato l’efficacia dell’o zono, non solo quale potente disinfestante, ma anche come battericida (Kim e coll., 1999; Mahapatra e coll., 2005)
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Inquinamento ambientale e fertilità della natura
Angela Mucciolo, Dottore in Scienze e Tecnologie delle Produzioni Animali Claudio Mucciolo, ASL Salerno, Dipartimento di Prevenzione – Area Sud, Servizio Igiene Alimenti di O.A. Michele Amorena, Facoltà di Bioscienze e Tecnologie Agroalimentari e Ambientali – Università degli Studi di TeramoL’effettodell’inquinamento am bientale sulla fertilità (sia ma schile che femminile) è uno dei temi oggetto di maggiore attenzione e sul quale la scien za ha raggiunto un parere con corde: il calo della fertilità è uno dei segnali più evidenti dell’alterato rapporto fra l’essere umano e l’ambiente in cui vive. Associato a questo e su cui gli scienziati sono altrettanto concordi, vené un altro: nei paesi industrializ zati o in via di sviluppo il terreno agricolo sta diminuendo la fertilità, ed è in atto un proces so di desertificazione.
È possibile cogliere un importante nesso causa le fra “aridità” del suolo e “diminuita fertilità” del le forme viventi; appare sempre più evidente come gli effetti avversi sulla fertilità del suolo e su quella degli organismi animali siano do vuti entrambi all’inquinamento. Mantenere la vitalità, intesa come capacità riproduttiva e/o trasmissione di materiale genetico del pianeta Terra sta diventando sempre più difficile. Il termine agricoltura deriva dal latino agricul tura, da ager, agri «campo» e cultura «coltiva zione».
L’agricoltura rappresenta l’arte e la pratica di coltivare il suolo allo scopo di ottenerne pro dotti per l’alimentazione umana e animale, e anche altri prodotti utili alla vita quotidiana; in senso lato include anche l’allevamento e costituisce, insieme con altre attività come la produzione di manufatti e il commercio, il fon
damento dell’economia dei popoli. Lo scopo basilare dell’agricoltura è comunque quello di ottenere prodotti dalle piante, da utilizzare soprattutto a scopo alimentare.
In economia, l’agricoltura rientra nel settore primario (definizione in Treccani.it – Vocabo
lario Treccani on line, Istituto dell’Enciclopedia Italiana.URL consultato il 24/2/2021). Quindi l’agricoltura deriva da un rapporto complice fra l’uomo e la natura, dove l’attività antropica soddisfa i bisogni della natura, dove le esigen ze dell’uomo si adattano a quelle del suolo e viceversa, dove la natura, in cambio di un rapporto armonico, offre all’uomo i frutti per il suo sostentamento e lo mantiene in salute.
Così, attorno al 10.000 a.C, dopo la glaciazio ne, l’uomo inizia la coltivazione delle piante (arboree, erbacee), l’allevamento degli animali e l’utilizzo delle foreste.
Il progresso delle tecniche agricole va di pari passo con lo sviluppo tecnologico umano, con l’acquisizione di nuove conoscenze e di tecniche di coltivazione. Da un’agricoltura che nasce e si sviluppa come agricoltura di sussi stenza, si passa ad un’agricoltura di mercato, dove i prodotti vengono all’inizio scambiati, e poi venduti per acquisire altri beni. Questo nuovo approccio comporta un’agricoltura estensiva prima, quindi basata sul latifondo, e poi un’agricoltura di tipo intensivo e specia lizzata, sempre più meccanizzata, con uso di fertilizzanti e tecniche di ingegneria genetica,
cioè l’agricoltura industriale, con l’unica fina lità della commercializzazione del prodotto della terra con il massimo profitto. Il sistema agricolo industriale è un sistema aperto, con trariamente al passato, nel quale solo con l’ausilio di concimi chimici, fitofarmaci, mac chinari ad alta tecnologia e perfino colture geneticamente modificate è possibile ottene re un prodotto redditizio.
Il nuovo modello di gestione agricola inten siva, cosiddetta convenzionale (ma non si ca pisce con chi si sia stabilita una convenzione) si contrappone alla tradizione agricola. L’agri coltura convenzionale si caratterizza con uno scarso uso di fertilizzanti organici, una estre ma velocità dei processi di mineralizzazione dei residui colturali, attraverso la combustione diretta e le lavorazioni dei suoli.
A tutto questo si aggiunge la crescente urba nizzazione, che comporta uno squilibrio fra la sostanza organica asportata dai terreni dalle produzioni agricole e quella che dovrebbe tornare ad essi dai residui dei prodotti con sumati altrove. Non ritorna al suolo la massa organica costituita dai residui degli alimenti (frutta, ortaggi, ecc.) perché dispersa nelle grandi discariche urbane non differenziate (www.sias.regione.sicilia.it). E una delle con seguenze è proprio la perdita di fertilità del suolo, cioè la desertificazione.
La desertificazione è stata definita a livello in ternazionale, secondo la Convenzione delle
Nazioni Unite per la Lotta alla Desertificazione (UNCCD, 1984), come il processo che porta ad un “degrado irreversibile dei terreni coltiva bili in aree aride, semiaride a asciutte subumide in conseguenza di numerosi fattori, comprese le variazioni climatiche e le attività umane”. In effetti essa consiste in un processo molto più complesso che conduce alla progressiva per dita di fertilità e capacità produttiva dei suoli, fino agli estremi risultati in cui i terreni non possono più ospitare organismi viventi, flora e fauna. È un fenomeno molto lento, ma an che nelle fasi intermedie, ancor prima dell’e ventuale drammatico epilogo del “deserto”, comporta molte conseguenze negative sulle caratteristiche dei suoli, in termini di capacità di sostenere la vita (compresa quella “gestita” dall’uomo, cioè l’agricoltura e gli allevamenti) e contribuisce in maniera determinante alla ri duzione delle biodiversità e della produttività biologica globale. Le variazioni climatiche e le attività umane come quelle a cui ormai ci ha portato la co siddetta agricoltura convenzionale sono la causa di questa perdita di fertilità. A solo titolo di esempio della magnitudo dell’intervento dell’uomo, basti citare FAOSTAT: in un ettaro di agricoltura convenzionale vengono usati in Italia circa 100 chilogrammi di pesticidi e ferti lizzanti di sintesi all’anno, pari a circa 1,3 miliar di di chili l’anno sul territorio agricolo italiano, circa 14 Kg per abitante. Il consumo totale di prodotti di sintesi per l’agricoltura a livello mondiale nel 2017 è stato di 6.052.563.338 Kg/ anno pari a circa 80 Kg a testa, comprendendo anche coloro che non hanno nulla da man giare. Questi sono i numeri che conosciamo e bastano a farci comprendere che l’uso della chimica in agricoltura è un problema enorme, che riguarda tutto il pianeta (FAOSTAT 2017; http://www.fao.org/faostat/en/#data, sezione inputs).
In più, sappiamo che il contributo dell’agricol tura alla produzione dei gas serra mondiali è aumentato nel corso degli anni, dai 39 miliardi di tonnellate del 1990 ai 49 miliardi di tonnel late del 2004 (+25,6%). Questo incremento è imputabile perlopiù all’uso dei fertilizzanti, allo sviluppo della zootecnia, alla produzione di reflui e all’uso di biomassa per la produzio ne di energia. Il 40% della superficie terrestre è destinato ad attività agricole e di pastori
BIBLIOGRAFIA
zia, senza contare che le foreste coprono un ulteriore 30% per quasi 4 miliardi di ettari. E, secondo i dati, l’agricoltura (13,5%) è fra le principali fonti di gas serra, dopo le attività di fornitura di energia (26%), industria (19%), deforestazione e utilizzo dei terreni (17,4%), e prima del settore dei trasporti (13%) (Intergo vernal Panel on Climate Change, IPCC, IPBESIPCC Co-Sponsored Workshop: Spotlighting Interactions of the Science of Biodiversity and Climate Change, 2020).
La tragica trasformazione dell’agricoltura por ta, come conseguenza, la produzione di un cibo che provoca malattie agli uomini e agli animali, mette a rischio la salute degli agricol tori, distrugge il suolo e contamina le acque superficiali e sotterranee.
Ma veniamo alla salute dell’uomo in questo contesto, ed in particolare la sua capacità di riprodursi e di continuare la permanenza del genere umano sulla faccia della terra, in una parola cosa è successo alla sua fertilità.
Un’importante revisione della letteratura (Le vine et al, 2017) ha messo in evidenza che vi è stato un calo molto significativo nel nume ro di spermatozoi negli uomini in età fertile nei Paesi industrializzati, che ha comportato la perdita del 50-60% della fertilità in Nord America, Europa, Australia e Nuova Zelanda fra il 1973 e il 2011. Il progressivo declino del numero di spermatozoi in tossicologia può essere considerato come “il canarino nella mi niera di carbone”, cioè un preciso segnale che l’ambiente in cui l’uomo vive comporta rischi di effetti tossici severi.
Il dottor Luigi Montano, uro-andrologo della ASL di Salerno e presidente della SIRU, la So cietà Italiana di Riproduzione Umana, ha stu diato siti a rischio come la Terra dei Fuochi e l’area di Taranto: la frammentazione del DNA spermatico (una forma di danno genetico al DNA dello spermatozoo che può causare problemi di fertilità e di sviluppo embrionale) di centinaia di adulti maschi sani, non fuma tori, non bevitori abituali, non consumatori di droghe, residenti da almeno 5 anni nelle aree di reclutamento e non esposti profes sionalmente, è significativamente più elevata
1. Brunetti M., Buffoni L., Lentini G., Mangianti F., Maugeri M., Monti F., Nanni T., Pas torelli R., 2005. Climate variability in Italy in the last two centuries. UCEA - Ufficio Centrale di Ecologia Agraria, Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura, Roma.
2. Vento D., Epifani C., Di Giuseppe E., Esposito S., 2005 - Analysis of italian pre cipitation regimes with reference to extreme events. UCEA - Ufficio Centrale di Ecologia Agraria, Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura, Roma.
3. Levine et al, 2017.Temporal trends in sperm count: a systematic review and meta-
nei soggetti provenienti dalle zone inquinate rispetto a quella dei soggetti provenienti da zone sicure.
L’inquinamento ambientale non nuoce sol tanto alla fertilità maschile, ma anche a quella delle donne. La fertilità della donna dipende dalla precisa e appropriata sincronizzazione delle ovaie e delle funzioni ormonali; qualsiasi disregolazione altera l’efficienza dell’ovulazio ne e quindi la possibilità di una gravidanza. Gli studi sugli effetti degli inquinanti sulla ri produzione femminile descrivono di solito gli effetti di un singolo agente, mentre le donne, come tutta la popolazione generale, sono esposte ogni giorno ad una combinazione di diverse sostanze tossiche nocive. Pertan to, anche se la concentrazione di un singolo agente può essere bassa, l’azione sinergica dei diversi inquinanti, insieme a fattori predispo nenti, possono aumentare il rischio di alterare la fertilità. Studi recenti hanno evidenziato che l’inquinamento ambientale e i cambiamenti climatici aumentano significativamente il ri schio di difetti alla nascita, soprattutto dopo un’esposizione prolungata. Il momento in cui avviene l’esposizione e la durata dell’esposi zione materna stessa alle complesse miscele di inquinanti ambientali, compresi i pesticidi, possono invalidare il sistema neuroendocrino fetale (Canipari et al, 2020).
Le conseguenze dell’inquinamento ambien tale sulla salute umana ci fanno concludere che un ecosistema salubre può sicuramente contribuire alla capacità riproduttiva delle di verse specie viventi. In tutto questo si inseri sce il tema della salute della terra per la salute dell’uomo. L’agricoltura biologica considera i potenziali impatti negativi sull’ambiente e la società che le pratiche agricole possono de terminare. Eliminando l’utilizzo di prodotti di sintesi quali i fertilizzanti chimici, i pesticidi, i farmaci veterinari, le sementi geneticamente modificate, conservanti, additivi, ecc., sosti tuendoli con pratiche agricole specifiche per ogni coltivazione, che aumentino la fertilità del suolo e prevengano l’infestazione e le ma lattie delle piante, sicuramente si favorisce la salute dell’uomo.
regression analysis Human Reproduction Update,Vol.23, No.6 pp. 646–659, 2017. Advanced Access publication on July 25, 2017 doi:10.1093/humupd/dmx022.
4. Luigi Montano, Paolo Bergamo, Maria Grazia Andreassi and Stefano Lorenzetti. The Role of Human Semen as an Early and Reliable Tool of Environmental Im pact Assessment on Human Health. 2018 http:// dx.doi.org/10.5772/intecho pen.73231.
5. Canipari R, De Santis L, Cecconi S. Female Fertility and Environmental Pollu tion. International Journal of Environmental Research and Public Health. 2020; 17(23):8802. https://doi.org/10.3390/ijerph17238802.
Soluzioni per operare in maniera efficiente
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ALCUNI DETTAGLI DELLA SOLUZIONE CSB-SYSTEM PER IL MAGAZZINO
Il sistema calcola le quantità ottimali di componenti, semilavorati o prodotti finiti per una certa produzione o spedizione e automaticamente segnala all’operatore il raggiungimento delle scorte minime. “In questo modo, si raggiunge la copertura del 100% dei componenti necessari per la produzione e/o distribuzione, con il mi nimo impegno di capitale possibile. Ciò significa che i costi per gli stock di magaz
zino possono essere ridotti di circa il 30%”, spiega Andrè Muehlberger, direttore della filiale italiana del gruppo. Il CSB-System, inoltre, tiene conto in maniera flessibile di diverse variabili: si va dalla gestione di più unità di misura, quali numero di pezzi, chilogrammi (con gestione del calo peso), cartoni, pallets, giostre, carrelli, alla gestio ne di più date di scadenza, sia interne che esterne; la gestione delle etichette EAN 13, EAN128, SSCC, gli inventari e la valo rizzazione delle giacenze, la gestione FIFO e LIFO, statistiche e fatturazione di costi di stoccaggio a terzi, sono tutte funzionalità presenti nella soluzione standard.
TRACCIABILITÀ GARANTITA
La tracciabilità completa di tutti gli arti coli in entrata in magazzino, è organizza ta tramite Sistema Informativo Lotti (SIL) grazie a speciali parametri, quali codice
partita, data partita, codice lotto. Da que ste informazioni si generano poi, in base ad una struttura predefinita, i nuovi lotti per i prodotti semilavorati e finiti, riportati sul documento di trasporto che sarà con segnato al cliente. Dal controllo del flusso degli articoli, si possono trarre conclusioni su tempi di giacenza dei prodotti ed eva sione degli ordini.
INVENTARI E CONTROLLO DELLE GIACENZE
Il CSB-System consente la stesura dell’in ventario sia con procedimento standard che con scanner. È possibile anche rea lizzare un inventario permanente grazie all’esecuzione online del protocollo delle necessarie liste d’inventario. Per quanto riguarda il controllo delle giacenze, il CSBSystem calcola una giacenza media di ma gazzino sempre allineata ai consumi reali. Scendendo più nel dettaglio, si possono gestire giacenze bloccate a quarantena o perché non ancora autorizzate dal con trollo qualità, giacenze di sicurezza, gia cenze minime, giacenze teoriche, giacen ze massime e merce impegnata, grazie alla comunicazione tra i reparti acquisti, magazzino, produzione e vendite. La con seguente riduzione al minimo delle scorte si ripercuoterà positivamente sull’esposi zione finanziaria dell’azienda, riducendola.
VALORIZZAZIONE
DEL MAGAZZINO
Spesso può essere utile valorizzare nei periodi non inventariati i movimenti di carico (al costo di acquisto o di produzio ne) e scarico, e le giacenze di magazzino. Per fare ciò, il CSB-System determina una giacenza iniziale teorica, partendo dall’ul timo inventario fisico prima della data di inizio e conteggia poi tutti i movimenti fino alla data di fine, valorizzando i singoli movimenti con la logica di valorizzazione definita nel sottogruppo merci (costo ef fettivo, FIFO, LIFO oppure media aritmeti ca ponderata).
GESTIONE DEPOSITI ESTERNI
È anche possibile gestire i costi di loca zione del magazzino stesso, inclusi sta bilimenti o depositi esterni e le spese di magazzinaggio, con suddivisione libera mente definibile di corsie, piani scaffali e scompartimenti (xyz).
STATISTICHE DI MAGAZZINO
Le statistiche sono strumenti flessibili di analisi dei consumi di magazzino. Sono utili per verificare gli obiettivi posti dalla
direzione ma soprattutto forniscono in tempo reale ai responsabili di reparto le informazioni necessarie per poter reagire senza perdite di tempo a situazioni criti che. È utile menzionare che il CSB-System dispone anche di una soluzione Compu ter Integrated Manifacturing (CIM) com pleta di interfacce per sistemi correnti di gestione di magazzini automatici e di tra sporto.
L’IMPLEMENTAZIONE DI NUOVE TECNOLOGIE
I magazzini sono già un tema centrale del piano Industria 4.0: si pensi alle enormi scaffalature controllate dall’IT, ai carrelli elevatori automatici, alla robotica o an che alla realtà aumentata nella prepara
zione ordini. La trasformazione digitale sta aprendo nuove possibilità per ridurre i costi, aumentare la competitività, garan tire la qualità dei prodotti e rendere più efficiente lo stoccaggio degli alimenti. Il gruppo CSB-System supporta i suoi clienti con soluzioni consolidate nella pratica sia nell’automazione attraverso la tecnologia robotica che nella fornitura di informazio ni sui dispositivi mobili. Tuttavia, l’ERP CSBSystem, disponibile anche in cloud-service, manterrà sempre il suo ruolo di colonna portante all’interno della struttura IT di un’azienda.
Referente CSB-System:
Andrè Muehlberger, Direttore CSB-System S.r.l. www.csb.com
Materiali e oggetti a contatto con gli alimenti
Avv. Cristina La Corte, Avvocato Studio Gaetano ForteConl’acronimo MOCA si fa rife rimento ai materiali e oggetti a contatto, o che possono venire a contatto, con gli ali menti quali, ad esempio, gli imballaggi o i materiali da imballaggio, i contenitori per il trasporto, i macchinari per la trasformazione dei prodot ti alimentari, le pellicole di plastica, le scatole della pizza, così come gli utensili da cucina, posate, stoviglie e quant’altro possa “toc care” alimenti e bevande durante le fasi di produzione, trasformazione, conservazione, preparazione e somministrazione.
I MOCA sono oggetto di numerosi interven ti normativi di matrice sia comunitaria che nazionale, tenendo sempre presente che, in base ai principi di gerarchia delle fonti del di ritto, i primi prevalgono sempre sui secondi in caso di contrasto.
L’interconnessione tra alimento e materiale a contatto è sempre stata oggetto di attenzio ne da parte del legislatore ed anche dell’o pinione pubblica, soprattutto in seguito ad alcune vicende balzate agli onori della cro
naca quali il noto caso ITX , ossia la conta minazione da isopropiltioxantone degli ali
menti confezionati in contenitori in Tetrapak causata dalla migrazione della sostanza dal colorante dell’inchiostro.
E, in effetti, il caposaldo attorno a cui ruota tutta la disciplina sui MOCA è che gli stessi debbano essere SUFFICIENTEMENTE INERTI da escludere il trasferimento di sostanze ai prodotti alimentari in quantità tali da mettere in pericolo la salute umana o da comportare una modifica inaccet tabile della composizione dei prodotti alimentari o un deterioramento delle loro caratteristi che organolettiche.
I MOCA devono inoltre essere prodotti in conformità alle buone pratiche di fabbrica zione.
Le GMP (Good manifacturing practices) sono “aspetti di assicurazione della qualità che as sicurano che i materiali siano costantemente fabbricati e controllati, per assicurare la con formità alle norme ad essi applicabili e agli standard qualitativi adeguati all’uso a cui sono
I principali oneri imposti dalla normativaGli autori sono responsabili delle opinioni espresse negli articoli e delle relative bibliografie
destinati, senza costituire rischi per la salute umana o modificare in modo inaccettabile la composizione del prodotto alimentare o pro vocare un deterioramento delle sue caratteri stiche organolettiche” (art. 3/1 let. a) del Reg. 2023/2006).
MATERIALI E OGGETTI ATTIVI E INTELLIGENTI
Unica eccezione alla regola dell’inerzia dei MOCA è prevista per i c.d. materiali e oggetti attivi o intelligenti, ossia materiali e oggetti destinati a prolungare la conservabilità o mantenere o migliorare le condizioni dei prodotti alimentari imballati.
Essi sono concepiti in modo da incorporare deliberata mente componenti che rila scino sostanze nel prodotto alimentare imballato o nel suo ambiente, o le assorbano dagli stessi o che controllino le condizioni del prodotto ali mentare imballato o del suo ambiente.
Trattasi di imballaggi che, di fatto, interagiscono diret tamente con l’alimento, ad esempio, cedendo sostanze per contrastare l’azione dei microrganismi, assorbendo sostanze indesiderate (es. umidità o liquidi) o monito rando lo stato di conservazio ne del prodotto.
Gli imballaggi “attivi” e “intelli genti” possono essere inoltre concepiti in maniera reattiva, ad esempio cambiando colore quando il prodotto in essi con tenuto si trova in cattivo stato di conservazione.
Sono inoltre in grado di permettere una maggiore conservazione del prodotto determinata da modifiche chi miche favorevoli; gli imballag gi attivi sono, infatti, in grado di impedire la formazione di gas che danneggiano l’ali mento attraverso, ad esempio, captatori di ossigeno o etilene, o di liberare agenti conservan ti o antiossidanti.
Le sostanze deliberatamen te incorporate in materiali e oggetti attivi, destinate a essere rilasciate nei prodotti alimentari o nell’ambiente in
forni di cottura/affumicatura o di arrostimento Ellermatic
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cui si trovano, sono considerate ingredienti ai sensi della normativa sull’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari. Nel caso in cui tali materiali o oggetti attivi modifichino la composizione o le caratteri stiche organolettiche dei prodotti alimentari, essi devono ottemperare alla normativa vi gente in materia di additivi oggi contenuta nel Reg.to 1333/2008.
In ogni caso, i materiali e gli oggetti attivi non possono comportare modifiche del la composizione o delle caratteristiche dei prodotti alimentari tali da poter fuorviare i consumatori, ad esempio coprendone il de terioramento.
DICHIARAZIONE
DI CONFORMITÀ
Al fine di rafforzare il coordinamento e la responsabilità dei fornitori in ciascuna fase della fabbricazione, le persone responsabili devono documentare la conformità alle nor me vigenti in una dichiarazione di confor mità messa a disposizione dei loro clienti. È quindi previsto che nelle fasi di commercia lizzazione diverse dalla vendita al consuma tore finale, i materiali e gli oggetti, siano o no a contatto con prodotti alimentari, devono essere accompagnati da una dichiarazione scritta conformemente all’articolo 16 del re golamento (CE) n. 1935/2004¹
La dichiarazione di conformità serve a tra
smettere le informazioni necessarie a ga rantire il mantenimento della conformità lungo la catena commerciale e comprende, pertanto, una serie di informazioni utili alle parti interessate e verificabili dalle Autorità deputate al controllo.
In ciascuna fase della fabbricazione la docu mentazione, che è alla base della dichiarazio ne di conformità, deve essere pertanto tenu ta a disposizione delle autorità competenti per l’applicazione della normativa.
In linea generale la dichiarazione di confor mità deve contenere almeno i seguenti ele menti:
• un’esplicita dichiarazione di conformità alla normativa di riferimento generale e alla normativa specifica,
• indicazioni sull’identità del produttore,
• indicazioni sull’identità dell’importatore,
• indicazioni sul tipo di materiale utilizzato ed eventuali limitazioni d’uso,
• data e firma del responsabile.
Deve essere inoltre disponibile una docu mentazione appropriata a supportare e di mostrare quanto presente nella dichiarazio ne (per es. risultati delle prove, calcoli, etc..) sulla base dell’analisi del rischio.
La dichiarazione di conformità dei MOCA alle norme loro applicabili deve essere rilasciata dal PRODUTTORE o, in caso di assenza della stessa dichiarazione, da un laboratorio pub blico di analisi.
L’utilizzatore in sede industriale o commer ciale deve essere fornito della dichiarazione del produttore ed accertarsi della conformità alle norme nonché della idoneità tecnologi ca allo scopo cui l’oggetto è destinato.
Le norme specifiche comunitarie hanno inoltre introdotto, come nel caso delle plasti che e delle ceramiche, il concetto più gene rale che la dichiarazione di conformità deve essere rilasciata dall’operatore commerciale (anche denominato economico o di set tore) legalmente definito come la persona fisica o giuridica responsabile di garantire il rispetto delle disposizioni del regolamento 1935/2004 nell’impresa posta sotto il suo controllo, intendendo per impresa ogni sog getto pubblico o privato, con o senza fini di lucro, che svolga attività connesse con qua lunque fase della lavorazione, della trasfor mazione e della distribuzione dei materiali ed oggetti.
ETICHETTATURA
Sul versante etichettatura si osserva infine che, i materiali e gli oggetti non ancora en trati in contatto con gli alimenti al momento dell’immissione sul mercato sono corredati da:
• la dicitura “a contatto con prodotti alimen tari” o una indicazione sul loro impiego specifico (es. macchina da caffè, botti glia di vino, cucchiaio per minestra) o il simbolo
La dicitura “a contatto con prodotti alimentari” o l’indicazione dell’impiego specifico non è obbligatoria per gli oggetti che, per le loro caratteristiche, sono chiaramente destinati ad entrare in contatto con i prodotti alimen tari (es forchette di plastica, bicchieri ecc).
• Se necessarie, speciali istruzioni da osser vare per garantire un impiego sicuro e adeguato;
• il nome e la ragione sociale e l’indirizzo o la sede sociale del fabbricante, del trasforma tore o del venditore responsabile dell’im missione sul mercato, stabilito all’interno della Comunità;
• un’adeguata etichettatura o identificazio ne che assicuri la rintracciabilità del mate riale od oggetto;
• (in caso di materiali ed oggetti attivi): le informazioni sugli impieghi consentiti ed altre informazioni pertinenti (es: nome, quantità sostanze rilasciate dalla compo nente attiva).
Con il marchio MEATin verranno messe in evidenza le aziende che presentano
INGREDIENTI, ATTREZZATURE E TECNOLOGIE PER LA PRODUZIONE DI SALUMI