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La crescita c’è, soprattutto grazie all’export, ma i segnali di incertezza sono tanti. Questo, in estrema sintesi, il messaggio principale che arriva dalle mille e più imprese meccaniche che aderiscono a Anima Confindustria.
Secondo i dati elaborati dall’Ufficio Studi di Anima Confindustria, l’intero comparto reagisce alla crisi facendo segnare un incremento (stimato) della produzione del 5,3% nel 2022. Un dato che va letto nel contesto generale di aumento del tasso d’inflazione degli ultimi dodici mesi (+7,1% dati Istat) e di forti rincari dei costi delle materie prime.
Il dato di crescita del 2022 arriva dopo il record del 2021, quando la ripresa post pandemia aveva fatto segnare un +14,7%.
Non possiamo però ignorare – è l’opinione di Anima Confindustria – l’aumento vertiginoso dei costi di produzione per le imprese: per 2 aziende su 5 oltre il 40%.
Per più di un’impresa su due si prevede una riduzione dei profitti che supera il 10% nel secondo semestre del 2022, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. La spinta del commercio con l’estero rimane un punto di forza cruciale. Il valore totale delle esportazioni del settore meccanica arriva quest’anno a 30,9 miliardi di euro, con una crescita del 5,1% rispetto all’anno scorso.
Il presidente Mario Nocivelli ha presentato 5 proposte nel Manifesto della meccanica per il 2023:
1. la tutela dell’export
2. l’incentivazione di tecnologie d’avanguardia come fattore abilitante della transizione green
3. l’efficienza energetica a 360°
4. l’orientamento del mercato verso criteri di qualità tecnologica e di rispetto delle norme vigenti
5. la valorizzazione e professionalizzazione del fattore umano che dà valore al comparto.
IL FUTURO DELLE TECNOLOGIE ALIMENTARI: I NUMERI DELL’EXPORT
L’Osservatorio Machinery Nomisma ha prodotto una ricerca sui dati dell’export nel settore delle tecnologie per il Food & Beverage e per il Packaging, in occasione di Cibus Tec Forum.
Nel primo semestre del 2022 l’Italia ha esportato tecnologie per il Food & Beverage per un valore di 1.722 MLN euro, con una variazione tendenziale rispetto all’anno precedente del +7,8%, confermandosi primo paese esportatore a livello mondiale, prima di Germania, Paesi Bassi e USA. Nei primi sei mesi del 2022, i principali importatori di tecnologia italiana sono stati gli USA (174 MNL euro, var. +4,2%), seguiti da Francia (136 MLN euro, var. +8%) e Germania (121 MLN euro, var. +24,8%). Le tipologie di macchine per il settore alimentare maggiormente esportate sono state: apparecchi per la preparazione di bevande calde o per cottura/riscaldamento degli alimenti (595 MLN euro), macchine per la panificazione/pasticceria o per la preparazione di pasta (338 MLN euro) e più in generale, macchine per la preparazione o fabbricazione industriale di alimenti e bevande (224 MLN euro).
Per quanto riguarda l’export di macchine per il packaging, nel primo semestre del 2022 l’Italia si colloca al secondo posto nella classifica internazionale, dopo la Germania (2.689 MLN euro), con un valore di 2.500 MLN euro (-5,4% rispetto all’anno precedente); seguono Cina, Paesi Bassi e Stati Uniti. Anche in questo caso, sono gli Stati Uniti i primi importatori, per un valore di 373 MLN euro (anche se con una var. del -6,21%), seguiti da Francia, per un valore di 217 MLN euro (in grande crescita: +20,8%) e Germania, per un valore di 172 MLN euro.
Ogni anno, a partire dal 2010, con un valore di 52 miliardi nel 2021, l’export agroalimentare italiano ha guadagnato 5,9% arrivando a rappresentare una quota sul valore dell’export agroalimentare mondiale del 3%. L’importanza dell’agroalimentare sul totale delle esportazioni italiane di merci è cresciuta nel decennio, passando dall’8,2% nel 2012 al 10,1% nel 2021. La pandemia, l’aumento dei costi e le questioni geopolitiche hanno modificato lo scenario, a ciò si aggiungono i cambiamenti climatici, il tema della sostenibilità, quello della logistica e delle infrastrutture irrigue. Sono considerazioni espresse dal direttore generale di Ismea Maria Chiara Zaganelli nel corso del Made in Italy Summit del Sole 24 Ore e Financial Times in collaborazione con Sky Tg24 su ‘Sfide e prospettive internazionali per il settore Food & Wine italiano’.
• Il 42% delle persone afferma che la loro principale preoccupazione è il costo della vita
• Il 40% afferma che comprerà più cibo in scatola per superare l’aumento del costo della vita
• L’85% sarebbe più propenso ad acquistare prodotti in imballaggi di metallo sapendo che è riciclabile al 100%
• Il 54% pensa che le aziende che adottano imballaggi in metallo stiano facendo la cosa giusta per l’ambiente.
È quanto emerge da un sondaggio realizzato per conto di Eviosys, colosso del packaging in metallo, e condotto da Focaldata nel settembre 2022. I campioni erano costituiti da 500 partecipanti provenienti da Regno Unito, Francia, Germania e Spagna, costituendo un campione a livello europeo di 2.000 partecipanti.
Il 73% degli intervistati, secondo il sondaggio, pensa che le aziende non stiano facendo abbastanza per contrastare l’inquinamento da plastica. Il 70% degli europei ha affermato di preoccuparsi del tipo di imballaggio a loro disposizione e, con l’aumento dell’educazione alla vita sostenibile e al riciclaggio, la domanda di opzioni di packaging circolare aumenterà rapidamente.
• Produzione di Snacks Innovativi a Base Proteica: Ampia gamma di nuove possibilità tecnologiche per snacks a base di carne, prodotti ALT-MEAT, snacks per animali da compagnia...
• Cambio totale di paradigma nella Disidratazione attraverso Flusso Laminare: Con distribuzione del flusso d’aria estemamente omogenea Disidratazione a basse ed alte temperature Capacità per cottura in umido e a secco... pastorizzazione fino a 90ºC
• Pompa di Calore dal disegno COMPATTO: Minimo impatto ambientale Massima efficienza energética
• Disegno unico e COMPATTO: Dimensioni ottimizzate per volume e spazio occupato
Installazione Plug & Play Completamente equipaggiato senza necessità di aggiungere altre utilities
• Disidratazione INTELLIGENTE 4.0: Modulo di Gestione dell’Energia
L’elezione del consiglio direttivo di Anima ha visto assegnare un nuovo mandato a Marco Nocivelli, presidente della federazione dal 2019. L’incarico sarà assunto a marzo 2023, allo scadere di quello attuale, e avrà durata biennale in relazione all’eccezionalità del periodo pandemico coinciso con il primo mandato, che ha bloccato temporaneamente molti tavoli di lavoro. Riconfermati anche i vicepresidenti Pietro Almici, con delega ai Rapporti Economici, Bruno Fierro all’Internazionalizzazione, Alberto Montanini per le Politiche Industriali e Roberto Saccone con delega alle Relazioni Esterne.
CREAgritrend, il bollettino trimestrale messo a punto dal CREA, con il suo Centro di Ricerca Politiche e Bioeconomia ha diffuso i dati relativi alla produzione agroalimentare. Cresce la performance economica anche nel II trimestre 2022, con un aumento del PIL nei confronti del trimestre precedente (+1,1%) e in termini tendenziali (+4,7%), pur registrando una flessione del valore aggiunto di agricoltura (- 1,1% in termini congiunturali e - 0,7% rispetto al medesimo trimestre dell’anno 2021). In crescita sia i consumi nazionali (+1,7%), con l’aumento della spesa delle famiglie per beni durevoli del 3,7%, sia gli investimenti fissi lordi (+1,7% rispetto al trimestre precedente).
Rispetto allo stesso periodo del 2021, si è verificato un aumento sia dell’indice della produzione che di quello del fatturato: per l’industria alimentare rispettivamente +5,7% (con picco a aprile) e +21,8% nel complesso (e +33,9% sui mercati esteri). Le esportazioni agroalimentari nel II trimestre 2022 hanno superato i 15 miliardi di euro e, rispetto al II trimestre del 2021, crescono del +19%, confermando l’ottimo andamento rilevato nei trimestri precedenti, con incrementi compresi tra +11% della Svizzera fino a +36,5% della Spagna.
Sul precedente numero di Ingegneria Alimentare, la notizia relativa al nuovo packaging sostenibile delle carni irlandesi riportava erroneamente una caratteristica non conforme al prodotto. ABP Food Group comunica che i l packaging è sostenibile, completamente riciclabile e con il 75% di plastica in meno ma NON è compostabile.
Un recente rapporto di ricerca di The Business Research Company stima che quest’anno il mercato globale degli imballaggi riciclabili raggiungerà i 28,3 miliardi di dollari di valore con un tasso di crescita del +7,2% rispetto al 2021 e toccherà, nel 2026, quota 34,2 miliardi di dollari. Gli imballaggi ecologici emergono quindi come una tendenza chiave nel mercato in quanto possono essere biodegradabili, riutilizzabili, non tossici e costruiti con materiali riciclati. L’uso d’imballaggi ecocompatibili viene sempre più privilegiato proprio perché è in grado di ridurre l’impronta di carbonio e promuove uno stile di vita verde che aiuta a risparmiare energia e prevenire l’inquinamento. Due terzi dei consumatori, infatti, considerano fondamentale la riciclabilità del packaging al momento dell’acquisto.
Secondo l’Osservatorio Immagino GS1, in un solo anno sono cresciuti del 5% i prodotti che comunicano esplicitamente sull’etichetta come gestire le confezioni dopo il consumo (il 35,9% del totale della GDO).
Ecco le 10 più curiose tendenze nel settore del green packaging riportate dalle principali testate internazionali:
1. Alghe marine: le alghe marine sono un ingrediente naturale e sostenibile per gli imballaggi monouso; commestibili e biodegradabili al 100%.
2. Imballaggi idrosolubili: realizzati in alcool polivinilico (PVOH), si dissolvono a contatto con l’acqua calda, garantendo ai prodotti protezione e sostenibilità.
3. Stampa in 3D: grazie a questa tecnologia, l’imballaggio può essere stampato completamente o parzialmente intorno al prodotto con la plastica, in modo da utilizzare solo il materiale necessario.
4. Materiali a base di cellulosa: la cromatogenia rende qualsiasi prodotto a base di cellulosa permanentemente idrofobo, proteggendo il prodotto senza sacrificare la sostenibilità.
5. Fibra stampata: questo metodo consente la personalizzazione con diversi materiali, inchiostri e lacche, rimanendo riciclabile e senza sprechi.
6. Cartone d’erba: alternativa agli imballaggi in plastica è riciclabile e compostabile al 100%, con una lavorazione delle materie prime priva di sostanze chimiche.
7. Packaging piantabile: la carta da seme completamente biodegradabile viene creata utilizzando carta riciclata e semi selvatici; quando l’imballaggio raggiunge la fine del suo ciclo di vita, può essere piantato per far crescere nuova vita.
8. Letame di mucca: partendo dal letame di mucca è possibile produrre imballaggi privi di plastica.
9. Carta d’ostrica: realizzata con prodotti di scarto riciclati, la carta ostrica è ottenuta da residui di scarto del processo di produzione della pelle.
10. Plastica di mais: completamente biodegradabile, questo materiale è stato utilizzato per produrre materiali di imballaggio come i sacchetti per alimenti, in alternativa alla plastica.
Si chiamerà Academy del Prosciutto e sorgerà a Langhirano (PR) a fianco dell’Istituto scolastico Gadda. È il nuovo progetto finanziato dalla Provincia di Parma e altri finanziatori pubblici e privati, tra cui l’azienda Frigomeccanica, leader mondiale sul mercato della refrigerazione, che ha donato 2 celle frigorifere, e un vero prosciuttificio didattico che non si limiterà soltanto a simulare il processo di produzione ma farà in modo di creare un ponte tra formazione e impresa.
La struttura, infatti, accoglierà i laboratori dell’Academy del Prosciutto, un Laboratorio Territoriale per l’Occupabilità (Lto) specifico per il settore del prosciutto di Parma, che avrà lo scopo di salvaguardare le competenze tecniche specialistiche connesse alla filiera del Prosciutto, preparare figure professionali competenti e metterle in contatto col mondo dell’offerta.
I lavori inizieranno prima della fine del 2022 e il termine è previsto per il prossimo anno scolastico.
L’edificio sarà composto di un laboratorio con 3 celle frigorifere e un’aula per le lezioni attrezzata con impianti di salagione.
Con PIC 99 DRW (con stampo da 1100) è possibile posizionare e assemblare pezzi interi o muscoli siringati all’interno di un volume che riproduce lo stampo di produzione. È possibile controllare il peso complessivo dei pezzi inseriti grazie ad un sistema di pesatura con celle di carico ad elevata precisione e un display. Questo permette di ottenere barre insaccate di lunghezza costante.
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L’intera community di All4Pack è consapevole della necessità di una transizione ecologica: l’88% ritiene che l’uso di imballaggi più rispettosi dell’ambiente sia una questione prioritaria.
- Le ragioni principali di questa transizione sono le aspettative dei consumatori (69%), i vantaggi in termini di immagine (56%) e i cambiamenti legislativi (49%).
- Al contrario gli elementi più difficili da superare riguardano il costo dell’utilizzo di materiali di imballaggio rispettosi dell’ambiente (63%), la disponibilità (43%) e la qualità dei materiali (37%). Le barriere sono percepite maggiormente dalle industrie utilizzatrici (43%) rispetto ai fornitori (27%).
- La carta/cartone (77%) e la plastica (73%) restano i principali materiali utilizzati per gli imballaggi. I biomateriali sono ancora poco utilizzati (18%).
Tuttavia, alla domanda sulla natura dei materiali utilizzati nei prossimi due anni, la community di All4Pack sembra avere una visione
precisa (solo lo 0,5% degli intervistati risponde “non sa “):
- L’uso dei biomateriali è destinato ad esplodere: il 37% degli intervistati afferma di voler iniziare ad utilizzare i biomateriali nei prossimi due anni.
- Anche carta e cartone dovrebbero avere il vento in poppa: il 46% dei decisions maker intervistati afferma di volerne utilizzare di più.
- Dovrebbe verificarsi un vero e proprio calo nell’uso della plastica: il 32% prevede di ridurre l’utilizzo di questa risorsa; tuttavia, pochi intendono smettere di utilizzarla (5%). L’uso di metallo, vetro e legno dovrebbe rimanere relativamente stabile.
- Le industrie utilizzatrici sono quasi unanimi sull’importanza di utilizzare materiali d’imballaggio più rispettosi dell’ambiente: l’88% ritiene che la questione sia una priorità.
- Oltre il 50% dei fornitori di imballaggi ritiene che sia una priorità assoluta utilizzare materiali più rispettosi dell’ambiente. I fornitori francesi sembrano essere in anticipo (il 100% considera la questione piuttosto o completamente prioritaria).
- Per le industrie utilizzatrici, le aspettative dei consumatori (68%) sono la ragione principale che porta all’uso di materiali di imballaggio più rispettosi dell’ambiente,
re (83%). Seguono i vantaggi in termini di immagine (59%), di cambiamenti normativi (43%) e la volontà dei manager (35%), soprattutto nelle grandi aziende.
- Per i fornitori, le stesse prime tre ma con risultati diversi: con il 71%, le aspettative dei consumatori sono il motivo principale che porta all’uso di materiali di imballaggio più rispettosi dell’ambiente. Al secondo posto (57%) seguono i cambiamenti legislativi, seguiti dai benefici in termini di immagine (55%). Molti francesi considerano prioritario il tema degli imballaggi più rispettosi dell’ambiente (media del 74% sui primi tre).
- Per le industrie utilizzatrici, il principale ostacolo all’uso di materiali di imballaggio
più rispettosi dell’ambiente è chiaramente il costo (66%), in particolare in Francia (71%). In misura minore, anche la disponibilità (43%) e la qualità dei materiali (43%) rappresentano dei temi problematici per molte aziende.
- Per i fornitori, se il costo dei materiali è anch’esso l’ostacolo principale all’utilizzo di materiali di imballaggio più rispettosi dell’ambiente (57%), seguito dalla disponibilità dei materiali (41%), l’importo dell’investimento necessario per l’utilizzo di tali materiali è il terzo ostacolo (29%), soprattutto per le aziende con 50 dipendenti o più (40,5%).
- Per le industrie utilizzatrici, i biomateriali sono attualmente ancora relativamente
poco utilizzati (14,8%). La carta/cartone (86%) e la plastica (75,8%) rimangono la norma. Il vetro è attualmente utilizzato principalmente nell’industria alimentare (34,7%).
- Per i fornitori, il numero di produttori di imballaggi in biomateriali è ancora piuttosto basso (22,9%) rispetto ai fornitori di imballaggi in plastica (69,9%) e cartone (62,7%).
- Entro 2 anni, molte industrie utilizzatrici intendono ridurre l’uso della plastica (34%) ma il materiale non scomparirà: il 74% intende ancora utilizzarla. Allo stesso tempo l’utilizzo dei biomateriali dovrebbe registrare una forte crescita (+39% intende iniziare ad utilizzarli) e dovrebbe aumentare anche quello della carta/cartone (il 48% intende utilizzarne di più). Ad eccezione della plastica, tutti i materiali di imballaggio sono in aumento nell’industria alimentare.
- Un numero significativo di utilizzatori di imballaggi prevede di ridurre l’uso della plastica (28%) ma pochi smetteranno di utilizzarla (3,6%). L’uso dei biomateriali dovrebbe essere ampiamente democratizzato (56,6%) e l’uso della carta/cartone aumenterà (66,3%). Le evoluzioni secondo i mercati di riferimento dovrebbero essere simili, anche se l’offerta di biomateriali dovrebbe aumentare ulteriormente sul mercato agroalimentare. Il 64% intende utilizzare questo materiale tra due anni (contro il 24% che attualmente lo utilizza).
La produzione e il mercato degli alimenti biologici è in rapida crescita in tutto il mondo. Alimenti, che per essere certificati, devono soddisfare standard ben precisi e definiti a livello continentale. In particolare, non è consentito l’utilizzo di pesticidi sintetici, antibiotici e modifiche genetiche (EPRS, commissione europea 2020). Grazie al rispetto di tali norme, i consumatori percepiscono gli alimenti biologici come più sani e nutrienti dei rispettivi alimenti convenzionali (Seufert et al.; 2017), e sono disposti a pagare un premium price per il loro acquisto (Katt et al.; 2020).
Il mercato globale dei prodotti alimentari biologici ha raggiunto la quota di 106 miliardi, con una crescita del +597% negli ultimi vent’anni (FiBL & IFOAM, febbraio 2020). Inoltre, si stima che raggiungerà i 620 miliardi entro il 2026, con un tasso di crescita annuale composto di oltre il 16% (Ashaolu, 2020). Data la rapida crescita del settore e le previsioni prospere riguardo il futuro sviluppo, è fondamentale approfondire il com-
portamento dei consumatori biologici, indagando le loro credenze, necessità e la loro conoscenza di tale mercato.
La preferenza degli alimenti biologici si ritrovano infatti in convinzioni legate a più alti livelli di sicurezza, salubrità, gusto e rispetto ambientale ed animale (Aertsens et al.; 2009). Nonostante tali motivazioni siano utilizzate per giustificare il premio di prezzo, non sono in realtà presenti sufficienti prove scientifiche che attestino relazioni causali tra consumo biologico e una migliore salute, né che confermino pericolose differenze di rischio con il consumo di alimenti convenzionali, soprattutto nei paesi sviluppati (Smith-Spangler et al.; 2012).
Apprendendo da ricerche di mercato come i consumatori siano disinformati sul mondo biologico e ammettano di raccogliere le proprie informazioni principalmente da fonti mediatiche e non scientifiche (Wunderlich & Gatto, 2015; Scozzafava et al., 2020), il presente lavoro si propone di analizzare l’impatto relativo alle mancate evidenze scientifiche
Il mercato globale dei prodotti alimentari biologici ha raggiunto la quota di 106 miliardi, con una crescita del +597% negli ultimi vent’anni
dei benefici biologici e sulla disponibilità dei consumatori a pagare. Se da un lato infatti sono presenti numerosi contributi in letteratura che approfondiscono la relazione tra cibo biologico o convenzionale e willingness to pay (WTP) – disponibilità a pagare il prezzo massimo che il consumatore comprerà per unità di prodotto (Fu et al., 1999; Vlosky et al., 1999; Corsi & Novelli, 2002; Smed & Jensen, 2003; Liu et al., 2015; Wang et al., 2019), ad oggi nessuna ricerca si è ancora proposta di analizzare il reale impatto che le informazioni scientifiche riguardo l’alimentazione biologica possano avere sulle convinzioni dei consumatori, le quali supportano a loro volta l’alta disponibilità a pagare per tali prodotti. Se è infatti vero, soprattutto recentemente, che i consumatori siano scettici sulle certificazioni e
Nel nostro paese la pandemia ha favorito una svolta green, responsabile di una crescita di tali consumi del 4,4%, che ha fatto raggiungere al mercato la cifra record di 3,3 miliardi a fine 2020
i meccanismi di controllo (Thogersen et al., 2019), è lecito aspettarsi dei chiarimenti in merito all’affidabilità e l’alta qualità percepita dei prodotti biologici.
Il presente lavoro mira a verificare due effetti: - gli effetti del tipo di prodotto (biologico vs non biologico) sulla WTP dei consumatori e il modo in cui tale relazione sia mediata dalla qualità percepita; - e l’effetto di moderazione del tipo di informazione fornita ai consumatori (relativo alla mancanza di benefici empirici dimostrati del bio) sugli effetti diretti ed indiretti (tramite la qualità percepita) del tipo di prodotto sulle variabili dipendenti.
certificazione e all’uso di indicazioni riferite alla produzione biologica nell’etichettatura e nella pubblicità, nonché le norme relative ai controlli aggiuntivi rispetto a quelli stabiliti dal regolamento (UE) 2017/625. Esso si applica a decorrere dal 1° gennaio 2021.
allevamento e coltivazione finalizzati a sostenere la salute dell’intero ecosistema (Meemken & Qaim, 2018).
Il regolamento (CE) n. 834/2007 è abrogato. Tuttavia, tale regolamento continua ad applicarsi ai fini del completamento dell’esame delle domande pendenti di paesi terzi, conformemente all’articolo 58 del presente regolamento. I riferimenti al regolamento abrogato si intendono fatti al presente regolamento.
Il movimento biologico nasce all’inizio del XX secolo in risposta alla crescente urbanizzazione e al massivo utilizzo di prodotti agrochimici, promuovendo nuovi metodi di
Con il passare del tempo la costante crescita del settore ha reso necessaria l’adozione di regolamenti ben definiti per l’etichettatura biologica che, al fine di essere certificata, deve oggi rispettare una serie di standard qualitativi. Il regolamento UE sulla produzione biologica prevede infatti l’osservanza di alcuni principi chiave quali il divieto dell’utilizzo di pesticidi chimici e antibiotici, il rifiuto di organismi geneticamente modificati e la rotazione delle colture (EPRS, commissione europea 2020).
La produzione biologica viene definita come un sistema di gestione e produzione agroalimentare basato sull’interazione “tra le migliori pratiche ambientali, un alto livello di biodiversità, salvaguardia delle risorse naturali e applicazione di rigorosi criteri in materia di benessere degli animali” (REGOLAMENTO (UE) 2018/848 DEL PARLAMENTO
E DEL CONSIGLIO del 30 maggio 2018 relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio).
Il presente regolamento fissa i principi della produzione biologica, stabilisce le norme relative alla produzione biologica, alla relativa
Si può affermare che i driver di acquisto degli alimenti biologici siano tanto razionali quanto emotivi, e guidati dalla convinzione di una maggiore qualità, gusto e sicurezza dei prodotti certificati rispetto a quelli convenzionali
Grazie al crescente interesse dei consumatori verso temi di sostenibilità, salute e benessere sociale, i prodotti biologici sono visti oggi dai consumatori come una valida alternativa ai corrispettivi convenzionali, rispetto ai quali sono considerati più sani e sicuri (Nagaraj, 2021).
Il mercato dei prodotti alimentari biologici è in costante crescita. A partire dal 1999, il valore del mercato mondiale di questi alimenti è aumentato esponenzialmente, passando dai 15,2 miliardi di dollari di inizio secolo fino ai 106 miliardi del 2019 e registrando così un +597% del suo valore (FiBL & IFOAM, febbraio 2020).
Una crescita analoga si ritrova nel mercato italiano che negli ultimi vent’anni ha più che decuplicato il suo valore, passando da circa 130 milioni a 3 miliardi nel 2019 (Rapporto Coop 2019, settembre 2019).
Sempre parlando del mercato italiano, è molto interessante analizzare i dati più recenti riguardanti il consumo di alimenti biologici correlati all’emergenza Covid-19. Nel nostro paese la pandemia ha infatti favorito una svolta green, responsabile di una crescita di tali consumi del 4,4%, che ha fatto raggiungere al mercato la cifra record di 3,3 miliardi a fine 2020 (ISMEA-SINAB, 2020).
A confermare l’ascesa dei prodotti biologici vi sono anche dati relativi alla GDO (Grande Distribuzione Organizzata) i quali, riportando
incrementi nelle vendite biologiche dei supermercati di circa l’11% durante il periodo di lockdown, ritraggono una società sempre più attenta alle proprie scelte alimentari (FiBL & IFOAM, 2021).
Infine, volendo guardare al futuro, il mercato mondiale dei prodotti biologici si dimostra solido ed attrattivo, in quanto si stima raggiungerà il valore di 620 miliardi di dollari entro il 2026, con un tasso di crescita annuale composto (CAGR) del 16% (Ashaolu, 2020).
Come dimostrato dalle attuali tendenze alimentari e dai trend di mercato, i consumatori sono sempre più interessati all’acquisto e al consumo di cibo biologico.
Secondo la letteratura scientifica, sono tre i driver principali che guidano l’acquisto del biologico: sicurezza, edonismo ed universalismo (Aertsens et al., 2009).
• La sicurezza risulta essere il driver più importante, e riguarda la salubrità percepita dei prodotti nonché l’assenza di elementi chimici utilizzati per la produzione.
• Anche l’edonismo gioca un ruolo fondamentale nel guidare le scelte, e concerne la convinzione di un gusto e di un’esperienza migliore durante il consumo.
• Infine l’universalismo, che riguarda la protezione della natura ed il benessere degli animali, gioca un ruolo fondamentale per i consumatori più regolari e gli adolescenti (Mondelaers et al., 2009).
Andando più nello specifico, possiamo avvalerci della teoria dei valori di consumo (Sheth, Newman e Gross, 1991) per analizzare più approfonditamente le motivazioni che spingono all’acquisto di tali prodotti. Secon-
Gli allevamenti biologici hanno ancora ampi margini di miglioramento, soprattutto per quanto riguarda la salute degli animali stessi
do tale teoria i consumatori percepiscono diversi valori relativi ad un prodotto, e questa percezione è in grado di influenzare la loro motivazione all’acquisto. La teoria dei valori di consumo suggerisce dunque che la scelta sia influenzata da cinque diversi tipi di valori di consumo:
1. funzionale
2. sociale
3. emozionale
4. circostanziale
5. epistemico.
Applicando la teoria al contesto di nostro interesse, il valore funzionale dei prodotti biologici si dimostra essere il driver principale per l’acquisto (Kushwah et al., 2019), e fa riferimento a una serie di attributi molto im-
portanti quali gli aspetti sensoriali (es. gusto, aspetto, freschezza), la sicurezza alimentare, migliori valori nutrizionali e attributi salutari connessi al mondo bio (Rahnama, 2017).
Se si prende invece in considerazione il valore sociale, gli alimenti biologici sono in grado di creare un’immagine di sé positiva dei consumatori che, cercando approvazione e sostegno esterno, spesso scelgono l’acquisto di questi prodotti con il fine di ridurre la pressione sociale (Ditlevsen et al., 2020).
Per quanto riguarda il valore emozionale, questo fa riferimento alla convinzione che gli alimenti biologici siano più sicuri e meno rischiosi dei rispettivi convenzionali (Kushwah et al., 2019), mentre relativamente al valore epistemico ci si riferisce alla familiarità e alla curiosità connesse con la produzione biologica (Truong et al., 2021).
Infine il valore circostanziale, relativo alla convenienza e accessibilità dei prodotti in termini di tempo, luogo e prezzo, funge spesso da barriera all’acquisto e soprattutto per quel target di consumatori che non ha ancora piena fiducia nei confronti delle certificazioni (Truong et al., 2021).
Si può dunque affermare che i driver di acquisto degli alimenti biologici siano tanto razionali quanto emotivi, e guidati dalla convinzione di una maggiore qualità, gusto e sicurezza dei prodotti certificati rispetto a quelli convenzionali.
SU SALUTE ED ECOSISTEMA
A guidare le scelte dei consumatori in favore degli acquisti biologici sono in larga parte convinzioni relative alla salute, alla sicurezza, al gusto e al rispetto ambientale ed animale. È interessante a questo punto approfondire l’argomento analizzando le basi scientifiche di questi driver di consumo, per capire in
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quale misura tali convinzioni siano oggettive e in che misura siano invece socialmente oggettivate.
Analizzando la letteratura riguardante l’impatto del biologico sulla salute umana, si apprende come in realtà non siano presenti sufficienti prove scientifiche dimostranti la relazione causale tra il consumo biologico e una migliore salute (Meemken & Qaim, 2018).
Le prove disponibili supportano la convinzione dei consumatori che la produzione biologica comporti una minore esposizione ai pesticidi, sia più rispettosa dell’ambiente e aiuti il benessere degli animali. Tuttavia l’attuale esposizione ai pesticidi degli alimenti convenzionali non è mai stata definita come pericolosamente negativa (Brantsæter et al., 2017). Se è infatti vero che il cibo biologico contiene livelli inferiori di agenti chimici (Baranski et al., 2014), è altrettanto vero che questa differenza diventa rilevante per la salute umana in base al tipo e alla quantità di agenti chimici utilizzati nell’agricoltura convenzionale. Nei paesi sviluppati, dove le normative sui pesticidi sono relativamente rigide, le differenze di rischio per il superamento dei limiti massimi consentiti sono trascurabili (Smith-Spangler et al., 2012).
L’idea di “biologico” alimenta il valore percepito dei prodotti, senza che questo sia totalmente giustificato da studi scientifici
Inoltre, seppur ci siano delle differenze di composizione tra cibi biologici e convenzionali, come una minor concentrazione di nitrati e maggiore presenza di vitamina C in favore del biologico, non è comunque dimostrata la relazione di tali benefici con una salute generalmente migliore (Huber et al., 2011).
Per quanto invece riguarda il benessere degli animali, nell’agricoltura biologica questi non possono essere allevati utilizzando ormoni o stimolanti per la crescita, e deve essere sempre consentito loro l’accesso ad aree esterne (Suratman, 2015). Queste attenzioni garantiscono un effettivo migliore benessere degli allevamenti.
Tuttavia, gli allevamenti biologici hanno ancora ampi margini di miglioramento, soprattutto per quanto riguarda la salute degli animali stessi. Anche se le normative europee hanno un grande potenziale per la salvaguardia del loro benessere, non sono ad oggi ancora in grado di esserne una garanzia su larga scala. Questi regolamenti si concentrano infatti su richieste a monte che non sono quasi mai integrate da valutazioni dei risultati finali (Wagner et al., 2021).
Trattando brevemente anche della sosteni-
bilità ambientale delle coltivazioni biologiche, queste assicurano un uso responsabile delle risorse naturali e il rispetto del suolo e della biodiversità. Queste coltivazioni garantiscono un minor impatto ambientale negativo su singola unità produttiva ma, avendo rese medie del 25% inferiori rispetto alle colture tradizionali, è anche vero che su larga scala necessitano di un fabbisogno agricolo molto maggiore, responsabile di una significativa perdita di habitat naturali (Meemken & Qaim, 2018).
Infine, per quanto riguarda la percezione degli alimenti biologici come più gustosi e saporiti, diversi blind test hanno dimostrato che i consumatori non sappiano realmente distinguere, in assenza di etichetta informa-
tiva, i prodotti coltivati biologicamente dai rispettivi convenzionali (Brantsæter et al., 2017).
In generale, seppur si possano dimostrare associazioni statisticamente significative tra acquisto di cibo biologico ed una migliore salute, ciò di per sé non è sufficiente perché sia stabilita una relazione causale. Il consumo biologico è infatti strettamente collegato ad altri indicatori di salute e stile di vita degli acquirenti, i quali sono statisticamente più istruiti, hanno un reddito maggiore, un indice di massa corporea (BMI) inferiore e seguono diete più sane rispetto ai consumatori di alimenti convenzionali, rispetto ai quali sono anche più attivi fisicamente (Brantsæter et al., 2017).
L’aumento delle dimensioni del mercato biologico ha portato a una serie di studi sul comportamento di acquisto dei consumatori nei confronti dei prodotti alimentari e sui fattori che condizionano la disponibilità a pagare un premio di prezzo per gli alimenti stessi (Wang et al., 2019).
Negli ultimi anni, la crescente consapevolezza dei clienti nei confronti di temi quali dieta, salute, qualità e un maggiore accesso alle informazioni relative alle tecnologie di produzione hanno fatto lievitare la domanda di mercato per prodotti di “alta qualità” che sapessero garantire standard produttivi elevati. In questo contesto, l’etichetta biologica si è saputa affermare come valida risposta a queste insicurezze, certificando un processo produttivo normato che negli anni è stato in grado di garantire quote e valore di mercato (Willer et al., 2019).
Secondo la letteratura, i valori di “sicurezza” e “qualità” degli alimenti sono infatti i driver principali che giustificano un aumento della willingness to pay (WTP) dei consumatori, seguiti da altri fattori sempre correlati con la produzione biologica, quali un miglior gusto e il rispetto ambientale e animale (Fu et al.,1999; Vlosky et al., 1999; Corsi & Novelli, 2002; Smed & Jensen, 2003; Liu et al., 2015; Wang et al., 2019).
Inoltre, le statistiche riportano che in Europa circa il 48% della popolazione si dica propenso a pagare di più per prodotti con ingredienti biologici e naturali (PwC, 2019).
Volendo infine analizzare il valore attribuito al mondo biologico anche a livello neuroscientifico, uno studio con risonanza magnetica funzionale (fMRI) ha dimostrato che la sola visione della certificazione biologica ha effetto a livello celebrale provocando una significativa attivazione dello striato ventrale (Linder et al., 2010).
L’attivazione di quest’area, associata ad anticipazioni positive, può essere utilizzata come ulteriore conferma della preferenza dei consumatori nei confronti dei prodotti biologici, preferenza che si concretizzerebbe poi empiricamente in una maggiore disponibilità a pagare per disporne (Contreras-Rodriguez et al., 2020).
Nel mercato alimentare è sempre stata data molta importanza allo studio delle motivazioni d’acquisto.
I driver delle scelte alimentari sono stati approfonditi da diversi autori, i quali hanno rivelato che a giocare un ruolo protagonista nelle decisioni di acquisto sono gli attributi di credenza (Vermeir & Verbeke, 2008; Moor et al., 2014; D’Amico et al., 2016).
WTP e qualità percepita sono risultate variabili tra loro correlate, per cui la qualità percepita non è solo più alta in presenza di un prodotto bio, ma funge anche da mediatore nella relazione che intercorre tra tipo di prodotto e disponibilità a pagare per lo stesso
Gli attributi di credenza sono una categoria di attributi relativi a un’ampia gamma di elementi immateriali che, per loro stessa natura, non possono essere verificati dai consumatori nemmeno dopo il consumo (es. sicurezza ambientale, salubrità degli alimenti, origine del prodotto, condizioni di produzione etc.) (Moser et al., 2011).
In questo contesto i prodotti biologici possono essere descritti come beni con attributi di credenza che ne determinano un alto valore (Wunderlich et al., 2018). L’idea di “biologico” alimenta infatti il valore percepito dei prodotti, senza che questo sia totalmente giustificato da studi scientifici (Brantsæter et al., 2017).
Come sostenuto in precedenza, le motiva-
zioni che determinano una più alta WTP nei confronti del cibo biologico, come salute e qualità, non hanno mai trovato sostegno in solide evidenze empiriche (Meemken & Qaim, 2018). Sarebbe dunque interessante studiare in che modo la disponibilità a pagare dei consumatori si modificherebbe in relazione ad un disclosure relativo alla mancanza di benefici reali di tali prodotti. La maggior parte dei consumatori riferisce infatti di aver raccolto le proprie informazioni relative al mondo bio da fonti mediatiche piuttosto che da entità scientifiche, il che indica un basso livello di conoscenza dell’argomento (Wunderlich & Gatto, 2015; Scozzafava et al., 2020).
Nel mercato alimentare, la qualità è uno dei principali fattori in grado di influenzare la WTP dei consumatori e di garantire un’ottima conseguente redditività aziendale (Konuk, 2019). A questo riguardo, la letteratura scientifica enfatizza due tipi di qualità: la qualità oggettiva e la qualità soggettiva o percepita. Mentre la qualità oggettiva è concettualizzata come “l’effettiva superiorità o eccellenza tecnica dei prodotti” (Zeithaml, 1988, p.4), la qualità percepita si riferisce invece al “giudizio del consumatore sull’eccellenza o supe -
riorità complessiva di un prodotto” (ivi, p.3). Come appena sostenuto, il cibo biologico è un bene il cui valore è in gran parte determinato da attributi di credenza, ovvero da caratteristiche non verificabili dopo il consumo (Wunderlich et al., 2018). Dunque, è lecito sostenere che una maggiore disponibilità a pagare per disporre di alimenti biologici sia determinata da un’intrinseca percezione di qualità nei confronti dei prodotti stessi. Revisionando la letteratura, si è appreso come gran parte delle percezioni dei consumatori nei confronti del mondo biologico derivino da convinzioni relative a salute e protezione animale ed ambientale, che alimentano a loro volta la convinzione di una qualità generalmente più alta (Aertsens et al., 2009; Rahnama, 2017; Kushwah et al., 2019). Sappiamo inoltre che, come illustrato precedentemente, i consumatori hanno una conoscenza molto superficiale ed una visione irrealistica dei benefici biologici (Wunderlich & Gatto, 2015; Scozzafava et al., 2020).
Ad oggi, infatti, il corpus di ricerche che indaga i driver di consumo biologico si avvale per lo più di metodologie tradizionali che, analizzando le esplicite preferenze d’acquisto, non hanno mai approfondito quanto queste preferenze siano condizionate da credenze con scarse basi scientifiche, in grado di influenzare la disponibilità a pagare.
Partendo dal presupposto che i consumatori siano scarsamente informati sui benefici empiricamente dimostrati degli alimenti biologici (Wunderlich & Gatto, 2015; Scozzafava et al., 2020), questo studio ha infatti voluto
indagare quanto le informazioni scientifiche relative agli effettivi benefici potessero influenzare la WTP.
In primo luogo, i risultati sperimentali hanno confermato come la certificazione biologica sia in grado di stimolare una più alta WTP rispetto ai prodotti che non presentano alcuna certificazione. (Lund et al., 2006; Tranter et al., 2009; Olesen et al., 2010; Linder et al., 2010; Liu et al., 2015; Wang et al., 2019; Willer et al., 2019; Britwum et al., 2021).
Tali risultati avvalorano il modello di mediazione proposto: WTP e qualità percepita sono risultate variabili tra loro correlate, per cui la qualità percepita non è solo più alta in presenza di un prodotto bio, ma funge anche da mediatore nella relazione che intercorre tra tipo di prodotto e disponibilità a pagare per lo stesso. Dunque la qualità percepita, intesa come il giudizio del consumatore sull’eccellenza o superiorità complessiva di un prodotto (Zeithaml, 1988, p.3), si dimostra elemento cruciale nelle scelte alimentari in grado di assicurare elevati premium price, anche a monte di verifiche sulla vera qualità oggettiva.
I risultati in letteratura, dimostrano più alte willingness to pay e qualità percepita per i prodotti biologici rispetto ai convenzionali (Lund et al., 2006; Tranter et al., 2009; Olesen et al., 2010; Linder et al., 2010; Liu et al., 2015; Wang et al., 2019; Willer et al., 2019; Britwum et al., 2021).
Ha inoltre confermato come la certificazione biologica sia direttamente correlata alla qualità percepita del prodotto.
Ricerche precedenti hanno infatti dimostrato che i prodotti biologici siano “beni di credenza”, ovvero caratterizzati da attributi immateriali non verificabili, come salubrità, condizioni di produzione etc. (Vermeir & Verbeke, 2008; Moor et al., 2014; D’Amico et al., 2016; Truong et al., 2021).
Inoltre, i consumatori non si informano tendenzialmente in modo approfondito di ciò che la produzione biologica implica (Wunderlich & Gatto, 2015; Scozzafava et al., 2020), fidandosi delle influenze mediatiche che ragionevolmente sponsorizzano questo mercato alimentare in rapida crescita.
Date tali premesse, i consumatori, se informati degli effettivi limitati benefici del bio, attribuiscono al prodotto una qualità inferiore e sono disposti a pagare meno per disporne. Queste qualità e WTP inferiori possono essere interpretate come segnali che confermano la disinformazione dei consumatori, e dunque come prova della loro facile influenza. Questa facile influenza è da interpretare come allarme relativo alla fedeltà del segmento di consumatori biologici, per cui i
loro acquisti potrebbero essere rapidamente messi in discussione da informazioni in contrasto con le loro attuali convinzioni. Nel mercato alimentare inoltre, poiché i consumatori non possono misurare direttamente la sicurezza del cibo che acquistano, la fiducia nel prodotto diventa un fattore determinante nel ridurre la complessità della scelta e diminuire il rischio e l’incertezza (Kjærnes et al., 2007; Roosen et al., 2015).
Se i consumatori acquistano biologico per motivazioni non totalmente giustificate sul piano empirico, significa che queste motivazioni vanno indagate ad un piano più profondo rispetto alla consapevolezza razionale. I consumatori scelgono il biologico per bisogno di sicurezza (Wang et al., 2019), e se questa sicurezza non ha il fondamento che si crede ciò non è comunque in grado di far crollare le radicate credenze degli acquirenti, che comunque sono convinti ci debba essere una qualche superiorità qualitativa associata alla certificazione.
Data la rapida crescita del settore e le previsioni prospere riguardo il futuro sviluppo, è fondamentale approfondire il comportamento dei consumatori biologici, indagando le loro credenze, necessità e la loro conoscenza di tale mercato (Fu et al., 1999; Vlosky et al., 1999; Corsi & Novelli, 2002; Smed & Jensen, 2003; Liu et al., 2015; Wang et al., 2019).
Dal punto di vista manageriale questo può avere grande rilevanza, in quanto il logo biologico è una grafica di fantasia che riporta la semplice scritta “bio”, senza riportare ulteriori elementi di affidabilità come quelli sanciti dall’Unione Europea. I manager potrebbero utilizzare questa informazione per indagare in che modo le informazioni alimentari sul loro packaging possono essere intese come
garanzie di qualità peculiari del prodotto, senza l’utilizzo di un’etichetta riconosciuta e non differenziabile.
È vero infatti che anche i moderni sistemi alimentari biologici sono oggi costituiti da lunghe catene di produzione, le quali causano separazione tra consumatori e coltivatori, riducendo la conoscenza e il coinvolgimento dei consumatori nella produzione (Kjaernes, 2012; Meyer et al., 2012). Ciò aumenta l’incertezza dei consumatori sui rischi alimentari (Meyer et al., 2012), suscitando scetticismo verso gli enti certificatori e i controlli svolti in diversi paesi (Grunert et al., 2015; Thogersen et al., 2019). Per ovviare a questo problema, i produttori biologici dovrebbero concentrarsi su una comunicazione volta all’aumentare la fiducia dei consumatori, minimizzando l’incertezza. Per farlo, si potrebbe pensare a campagne comunicative che mostrino in modo trasparente i processi di produzione e la localizzazione delle colture, con relativo impegno verso l’ambiente e gli animali. Anche l’aggiunta di informazioni relative alle metodologie di produzione e reale impatto ambientale potrebbero essere utili, soprattutto per i consumatori più diffidenti nei confronti di ciò che le certificazioni garantiscono.
Il presente studio, sebbene abbia prodotto risultati molto interessanti, porta con sé alcune intrinseche limitazioni rilevanti per i decision-makers.
In primo luogo, per ragioni pratiche, la willingness to pay misurata fornisce dati dichiarati e non effettivi, che potrebbero essere solo parzialmente rappresentativi della reale disponibilità a pagare dei consumatori.
Bibliografia disponibile presso la redazione e gli autori
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UNA GAMMA DI FERMENTI CHE PUÒ SODDISFARE LE DIVERSE ESIGENZE DEL CLIENTE
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IN TERMINI DI QUALITÀ ORGANOLETTICA, DI VELOCITÀ DI ACIDIFICAZIONE E DI SICUREZZA SANITARIA
LIMENTAR
IN TERMINI DI QUALITÀ ORGANOLETTICA, DI VELOCITÀ DI ACIDIFICAZIONE E DI SICUREZZA SANITARIA
L’allevamento dei suini è sottoposto a precise regole di processo, stabilite secondo normativa e controllate dagli organismi preposti. Sono tre le fasi di processo per ottenere la produzione di salumi: allevamento, macello, prosciuttificio
Dott. Mario Paiani, Medico Veterinario, UdineL’allevamento dei suini comprende la scelta genetica della linea maschile e femminile individuata dai consorzi di produzione (PARMA, SANDANIELE, VENETO, TOSCANO, NORCIA, ecc.) e controllata dagli organismi di controllo ODG (OR.C.A.): quest’ultimo ricevuta l’istanza di riconoscimento presentata dal produttore di suini verifica la sede dello stesso, che deve essere situato in determinate regioni, e altri requisiti previsti dalla normativa italiana vigente. A completamento, procede all’attribuzione del codice di identificazione che corrisponde al tatuaggio applicato su entrambe le cosce lato esterno mediante punzoni che riportano la provincia, il mese di nascita, il numero assegnato all’allevatore. Il dispositivo di adattamento del disciplinare della denominazione di origine protetta prosciutto di Parma, prosciutto di San Daniele eccetera, prevede una serie di manuali che codificano le verifiche specifiche da effet-
tuare presso gli allevamenti di riproduzione e gli allevamenti ingrasso con il personale addetto ai controlli. I controlli effettuati dall’OR.CA prevedono anche che il proprio personale effettui delle verifiche specifiche sul tipo genetico, la verifica dei certificati attestanti che i Verri utilizzati per la riproduzione siano iscritti al libro genealogico italiano, oppure su un registro riproduttori suini ibridi ufficialmente riconosciuto, o a un libro genealogico estero riconosciuto: tutti questi controlli di conformità rimandano ad allegati e certificati rilasciati dai rispettivi libri genea-
Il dispositivo di adattamento del disciplinare della denominazione di origine protetta prevede una serie di manuali che codificano le verifiche specifiche da effettuare presso gli allevamenti di riproduzione e gli allevamenti ingrasso con il personale addetto ai controlli
logici. Inoltre, il personale addetto ai controlli effettua, su una percentuale di campione, la posizione del tatuaggio andando a verificare una serie di dati quali il numero complessivo dei suinetti nati suddivisi per mese, il numero dei suinetti venduti o trasferiti nello stesso periodo, la destinazione dei suinetti venduti o trasferiti a un ingrassatore oppure a un allevamento intermedio. Tutta questa documentazione utile e presente in allevamento, comprese le eventuali certificazioni di tipo sanitario, vengono trasferite direttamente alla banca dati dell’organismo di controllo.
Le verifiche citate sono effettuate a campione e comprendono:
1. Il numero delle scrofe produttive utilizzate ai fini della DOP
2. il numero dei suini tatuati nel periodo predeterminato
3. il numero dei posti parto, accertandone la consistenza in modo informale nel corso del sopralluogo
4. la verifica dell’utilizzo dei punzoni omologati
5. la verifica che la posizione del tatuaggio sia stata effettuata su entrambe le cosce posteriori del suinetto nella porzione laterale in corrispondenza del bicipite femorale
6. che il tatuaggio sia stato eseguito in maniera tecnicamente corretta, tale da assicurare una buona visibilità anche postmortem
7. che il tatuaggio sia stato apposto sui suinetti nati presso lo stesso allevamento
8. che il tatuaggio posto sui suinetti riproduca effettivamente il codice di identificazione assegnato a quell’ allevamento
9. che il tatuaggio sia stato apposto entro 30 giorni dalla nascita dei suinetti
10. che il tatuaggio apposto sui suinetti rechi il codice che riproduce la effettiva mensilità di nascita degli stessi.
Le tre fasi dell’allevamento –allevamento, svezzamento e ingrasso – sono sottoposte a verifiche specifiche in relazione alla particolare tipologia di tali allevamenti
Per ogni sezione di verifica e controllo in singolo allevamento, un incaricato dell’OR.C.A redige l’apposito rapporto utilizzando i modelli di cui all’allegato 1; questo rapporto, compilato in ogni sua parte in duplice copia, può essere integrato con altri tipi di informazione a seguito dell’attività svolta nel corso del sopralluogo. Questo rapporto viene acquisito dall’OR.C.A con una frequenza mensile e va ad integrare l’archivio dei dati. Le tre fasi dell’allevamento – allevamento, svezzamento e ingrasso – sono sottoposte a verifiche specifiche in relazione alla particolare tipologia di tali allevamenti. Al fine di consentire una valutazione di congruità e rispondenza dei vari fattori produttivi in rapporto alla situazione esistente e alla movimentazione.
Le certificazioni uniche di conformità (C.U.C.) devono comprendere il timbro e la firma del certificante, l’indicazione di quale sia il destinatario del macello che effettivamente attua l’abbattimento degli animali, la corrispondenza del numero dei suini certificati con il numero dei suoi anni effettivamente spediti al macello e rispondenti ai requisiti previsti dalla DOP, l’indicazione completa dei codici di tatuaggio dell’allevamento di origine, l’indicazione sintetica del tipo genetico prevalente, la coincidenza della data di rilascio della C.U.C. con quella degli altri documenti di accompagnamento degli stessi suini al macello, la correttezza delle modalità delle
eventuali operazioni di annullamento a qualsiasi titolo effettuate.
Questa certificazione deve fare particolare riferimento a:
1. luogo di destinazione
2. data di rilascio esistenza di un solo documento di accompagnamento per ogni singola C.U.C. rilasciata
3. peso medio della partita definito dal rapporto tra peso complessivo del numero di suinetti certificati
4. età dei suini che viene desunta dalla lettera identificativa del mese di nascita riportato nel tatuaggio
5. identificazione anagrafica dell’allevamento ed effettiva provenienza dei suini certificati.
Tutti questi dati sono raccolti in un apposito rapporto di cui all’allegato 2, redatto in
duplice copia con frequenza mensile che andranno a integrare l’archivio dei dati già in possesso dell’organismo di controllo.
Lo stato dell’arte prevede una serie di verifiche a campione con l’invio alla banca dati dell’ORCA di rapporti redatti dai verificatori da effettuarsi mensilmente presso le tre fasi dell’allevamento (nascita- svezzamento- ingrasso). L’utilizzo del microchip alla nascita del suinetto, che viene applicato in sala parto dopo aver inserito i rispettivi microchip del maschio e della femmina che hanno generato con la nidiata entro il trentesimo giorno la data del parto, permette, con un’unica operazione, di identificare il singolo suino di entrambe le cosce e l’inserimento del dato nella banca dati nazionale (BDN) attualmente gestita per conto del Mipaf dalla sezione IZS di Teramo.
Questa banca dati è utilizzata anche dal servizio sanitario nazionale (SISVET) a fini sanitari, profilassi, prelievi di campioni per il piano
Lo stato dell’arte prevede una serie di verifiche a campione con l’invio alla banca dati dell’ORCA di rapporti redatti dai verificatori da effettuarsi mensilmente presso le tre fasi dell’allevamento
nazionale residui, e per la prevenzione delle malattie infettive tipiche del suino.
La tracciabilità mediante microchip permette l’identificazione univoca del singolo soggetto e delle singole cosce che verranno utilizzate nella filiera della DOP, azzerando
La tracciabilità mediante microchip permette l’identificazione univoca del singolo soggetto e delle singole cosce che verranno utilizzate nella filiera della DOP
la possibilità di errore legata al fattore umano ed eliminando una serie di interventi (ore/uomo) quantificati in decine di ore con l’acquisizione del 100% del campione trattato e non più nella modesta percentuale del 10%. In seguito, l’invio dei dati avverrebbe in forma automatica a tutte le personalità giuridiche coinvolte nel controllo e nella certificazione.
L’allevatore può abbinare alle varie fasi descritte una serie di dati relativi al singolo suino mediante operazione di lettura del microchip e singola operazione.
Sala parto
• Classificazione dei genitori
• accoppiamento con relativo incrocio genetico
• diagnosi di gravidanza
• data presunta parto
• data parto
• numero nati vivi
• numero maschi nati
• numero femmine nate
• peso medio alla nascita della nidiata
• pareggiamento della nidiata
• data vaccinazione e/o eventuale terapia effettuata
• peso dei singoli suinetti nell’invio allo svezzamento
• formazione dei gruppi omogenei per lo svezzamento
• numero nati morti e/o eliminati.
Svezzamento
• Peso del singolo suinetto all’arrivo
• formazione del gruppo omogeneo per box
• incremento del peso corporeo giornaliero (indice di conversione)
• alcuni dati indice di benessere animale, quali movimentazione, abbeverata, sonno/veglia, aggressività/gioco
• presenza di ammoniaca nell’ambiente
• trattamenti sanitari e di profilassi sul singolo suino
• cambi di alimentazione, tipologia di mangime utilizzato
• peso di invio del singolo suinetto alla fase di ingrasso.
Ingrasso
• Peso del singolo suinetto all’arrivo
• formazione del gruppo omogeneo per box
• incremento del peso corporeo giornaliero (indice di conversione)
• alcuni dati indice di benessere animale,
quali movimentazione, abbeverata, sonno/veglia, aggressività/gioco
• presenza di ammoniaca nell’ambiente
• trattamenti sanitari e di profilassi sul singolo suino
• cambi di alimentazione, tipologia di mangime utilizzato
• peso di invio del singolo suino al macello.
La raccolta di tutti questi dati avviene attraverso il rilevamento a mezzo di una antenna che stimola il chip, lo identifica e carica il dato raccolto via blue-tooth a quell’animale nella banca dati locale.
Espressione della tipicità locale, il salame è uno dei prodotti nazionali che identificano la tradizione norcina e la cultura popolare. La storia del Salumificio Santini è una storia italiana, famigliare e genuina come il suo prodotto
di Marina CaccialanzaUn’azienda di medie dimensioni, nata da un’attività di macelleria e diventata, negli anni e con costanza e impegno, una realtà semi-industriale che mantiene però le caratteristiche di artigianalità che l’hanno ispirata.
Piero Santini ci tiene a sottolineare come il Salumificio Santini, Torre de’ Picenardi (CR), sappia gestire volumi di produzione significativi con metodi basati sulla manualità e l’artigianalità, nel rispetto delle tipicità del prodotto e con la cura antica che l’hanno ispirato.
“Il nostro prodotto di punta è il salame –racconta Piero Santini – e, malgrado oggi la produzione, per evidenti esigenze commerciali, comprenda numerosi altri prodotti di salumeria come prosciutti cotti e crudi, salamelle, coppa o fiocchetto, ma l’elenco sarebbe lungo, il salame rimane il nostro fiore all’occhiello. Questa è un’azienda nata
e cresciuta in famiglia: mio padre era un commerciante di bestiame e aprì una macelleria in paese dove, all’epoca, era un’attività molto diffusa: pensate che in un paesino di 300 anime c’erano ben 4 macellerie. Alla sua scomparsa prematura, fu mia madre a portare avanti il lavoro finché sono subentrato io nel 1975 con l’idea di ampliare l’attività di macellazione dei maiali e norcineria guidato dalla voglia di conoscere e approfondire ogni aspetto di questo mestiere che ancora oggi mi appassiona”.
Voglia di conoscenza dunque, intraprendenza e l’intuizione che le condizioni erano favorevoli alla crescita guidano Piero Santini che, poco a poco, incrementa la produzione e l’assortimento. Il salto di qualità negli anni novanta con la realizzazione di un nuovo stabilimento che oggi ospita la produzione dei prosciutti cotti: “Passo dopo passo, con cautela, ho cercato di assecondare l’andamento del mercato e nel 2010 ho inaugurato la prima parte dello stabilimento attuale, terminato l’anno scorso. È stato un percorso lento ma realizzato con coerenza, valutando
attentamente le situazioni e i cambiamenti: del resto, non si può fare bene e in fretta”. Oggi il Salumificio Santini è composto di una quaranta persone e produce 800/900
tonnellate di prodotto finito – 200 quintali la settimana – nel rispetto di quelle pratiche artigianali che l’hanno ispirato. Una produzione che potrebbe soddisfare volumi più ampi ma rimane volutamente contenuta per man-
tenere alta la qualità; prodotti realizzati con budello naturale legato a mano, materie prime esclusivamente italiane del circuito DOP della val Padana e nazionali. Ogni giorno la carne fresca viene conferita allo stabilimento dai macelli della zona.
Il 95% per prodotto viene distribuito sul mercato nazionale, prevalentemente nel nord Italia poi nel centro sud, soprattutto Puglia, Campania e, da poco, Sicilia. Il nord è il mercato più vivace, per motivi storici, perché le zone di Cremona, Mantova e la Brianza sono tradizionalmente quelle dove il salame e il cotechino sono più consumati. L’Italia, infatti, vanta una varietà di tipologie di salami molto ampia e la localizzazione tipica è una caratteristica ben definita. Spiega Piero Santini: “Nell’arco di 30/40 km, in Lombardia per esempio, possiamo trovare un gran numero di tipologie di salami diverse, dal cremonese al mantovano, dal cremasco al casalasco: in Italia forse sono 200 i salami realizzati nel rispetto delle tradizioni, con metodi, gusti differenti secondo le zone. Una produzione a macchia di leopardo che riempie la penisola. Dalle nostre parti, però, il salame è una vera specialità”.
Un prodotto prelibato ma difficile da realizzare, il salame, e che richiede una specializzazione accurata e l’attuazione di pratiche ben definite: “Il salame è per definizione il prodotto più difficile da realizzare – Piero Santini ci tiene ad essere chiaro su questo punto – occorre tenere presente un’infinità di varianti critiche. Non bastano la qualità della materia prima e la maestria del norcino, essendo un prodotto macinato, ossia spezzettato e triturato, è sottoposto a molti problemi di tipo igienico sanitario in quanto soggetto a rischio di contaminazione batterica molto più di un prodotto realizzato con carni intere. Il banco di lavoro, i coltelli, i contenitori, l’ambiente stesso devono essere accuratamente sanificati per limitare il contagio. A questo scopo, oltre alle pratiche igieniche rigidamente attuate, si effettuano analisi sulla carne e si monitorano costantemente le condizioni ambientali: i batteri ogni due ore si riproducono con una crescita esponenziale che deve essere controllata. Oggi disponiamo di tecnologie altamente specializzate che permettono l’assoluta sicurezza e il controllo ottimale. Il prodotto realizzato risulta, se non sterile, con cariche bassissime e assolutamente salubre. Il nostro compito però non finisce qui: il salame deve essere anche buono, non basta che sia sicuro. Il segreto, dunque, è avere la capacità di valorizzarlo anche dal punto di vista organolettico, coglierne e interpretarne le caratteristiche. Fa parte della nostra missione: perpetuare il patrimonio italiano”.
Conferme di posizionamento, nuove iniziative, referenze studiate ad hoc, il comparto resiste, vivace e propositivo.
Il settore dei salumi mantiene la sua posizione nel panorama economico e produttivo italiano e mondiale. Le aziende italiane evolvono, guardano al futuro e mantengono alto il vessillo del made in Italy.
“Autentico Gusto Toscano”: è questo il claim scelto dal Consorzio del Prosciutto Toscano DOP per presentarsi ai media. Prodotto in possesso della certificazione DOP da oltre 25 anni, il Prosciutto Toscano si può considerare uno dei pilastri della gastronomia toscana. Da disciplinare, la zona di produzione comprende l’intero territorio della Regione Toscana: i 21 produttori associati al Consorzio di Tutela sono dislocati tra Arezzo, Firenze, Pistoia e Siena. In quest’area, il clima è perfetto per la stagionatura, perché caratterizzato da un’alta frequenza di giornate di sole e dalle brezze, venti temperati di terra e di mare che soffiano su un territorio che la catena degli Appennini protegge dai venti di tramontana. Se nel tempo le tecniche di produzione si sono evolute, sempre nel rispetto della tradizione, il fil rouge tra passato e presente è rappresentato dalla naturalità del Prosciutto Toscano DOP. Il Prosciutto Toscano DOP è al 100% naturale, privo di additivi e conservanti. Gli unici, selezionati, ingredienti sono la carne suina - ottenuta da suini pesanti italiani allevati in Toscana e in Regioni limitrofe come Emilia-Romagna, Marche, Umbria, Lazio e Lombardia -, il sale, il pepe, l’aglio. Importanti le piante aromatiche: mirto, ginepro, lentisco e altre essenze che contribuiscono ad arricchire il sapore del Prosciutto Toscano DOP e a donargli un aroma inconfondibile. Il Prosciutto Toscano DOP ha ingiustamente la fama di prosciutto salato. A esprimersi sulla questione è il Direttore del Consorzio, Emore Magni: «Scontiamo un retaggio del passato. Oggi è più corretto dire che il Prosciutto Toscano DOP si caratterizza per il sapore delicatamente sapido. Per fornire un dato, oggi molti produttori di Prosciutto Toscano DOP utilizzano una percentuale di sale intorno al 6%, anche se il disciplinare di produzione prevede limiti più alti. Per avere un termine di paragone, il Prosciutto di Parma DOP e il Prosciutto di San Daniele DOP hanno un contenuto di sale compreso, rispettivamente, tra 4,2% e 6,2% e tra 4,3% e 6,0%. È importante sapere che, in un prosciutto, la sapidità aumenta man mano che questo si asciuga perdendo l’umidità a causa della stagionatura prolungata: questo spiega perché un Prosciutto di Parma DOP, caratterizzato da una umidità più alta, che discioglie maggiormente il sale, risulta più dolce rispetto a un Toscano DOP (umidità più bassa, che fa sentire di più la sapidità)».
LAB è il nuovo portale online del Consorzio del Prosciutto di San Daniele che funge da laboratorio digitale e raccoglitore di contenuti multimediali che, attraverso la totale immersione nel metaverso, permette di esplorare il mondo del Prosciutto di San Daniele DOP.
L’obiettivo del Consorzio è quello di esprimere i valori dell’eccellenza e della sostenibilità, raccontando, all’interno di un’ambientazione virtuale che riproduce fedelmente alcuni spazi di un prosciuttificio, il processo di produzione del San Daniele DOP, portando l’utente a vivere il brand in un modo totalmente nuovo, immersivo e coinvolgente.
L’utente, attraverso un avatar, può visitare un salone di stagionatura, interagire con l’ambiente circostante e accedere a una serie di video e slide che illustrano le varie fasi di produzione del Prosciutto di San Daniele DOP. Il portale sarà costantemente implementato con nuovi contenuti e lo spazio creato nel metaverso sarà continuamente aggiornato con nuove aree esplorabili: a breve, ad esempio, sarà possibile visitare una ricostruzione di “Vento”, l’installazione immersiva multisensoriale che il Consorzio ha presentato alla scorsa edizione del Fuorisalone, svoltasi a giugno a Milano. Infine, durante gli eventi itineranti organizzati dal Consorzio sarà possibile provare l’esperienza del metaverso per mezzo di un visore di realtà virtuale.
Veroni porta per la prima volta a New York una mortadella da 300 kg. Lo scorso mese di ottobre, infatti, lo storico salumificio di Correggio è approdato sulle rive del fiume Hudson in occasione del New York City Wine & Food Festival (NYCWFF), il più grande evento enogastronomico della Grande Mela.
Per l’occasione, Veroni ha presentato al pubblico una mortadella taglia extralarge, prodotta con carne di altissima qualità, spalla per la parte rosa e gola per la parte bianca, cotta lentamente oltre 36 ore, per esaltarne il sapore. Non solo la produzione, anche il taglio della mortadella per un know-how d’eccezione: nei 3 giorni di Grand Tasting la regina dei salumi è stata dispensata ai visitatori dopo un’accurata suddivisione a spicchi e poi a cubetti, un vero e proprio rito eseguito da un’esperta promoter Veroni, rigorosamente emiliana. La mortadella è un prodotto che per l’azienda rappresenta un culto e che deve il suo successo a una ricetta ultracentenaria che oggi è sempre più richiesta nei mercati internazionali. Ma il tratto distintivo dei salumi Veroni sta nella loro autenticità: Veroni importa negli USA i salumi realizzati nei sei stabilimenti italiani che poi vengono affettati e distribuiti nel centro di affettamento di Logan, nel New Jersey. Una strategia vincente che già a partire dalla fine del 2021 negli States ha determinato la leadership dello storico salumificio italiano nel comparto degli affettati a libero servizio. Afferma Marco Veroni, presidente Veroni USA. “Il culto del gusto italiano nasce proprio da prodotti come la mortadella che hanno un profondo legame con il territorio e che vantano una lunga tradizione, per la mortadella si parla addirittura del 1600. Negli anni abbiamo mantenuto l’antica ricetta e la cura maniacale che dedichiamo a mortadelle come quella portata a NY, valorizzandone la qualità superiore grazie all’evoluzione tecnologica di cui siamo protagonisti”.
Era il lontano 1992 quando i 17 produttori originari costituirono il Consorzio Tutela Speck Alto Adige, amministrato dalla Camera di Commercio di Bolzano, per promuovere e tutelare un prodotto con una storia centenaria, vero e proprio emblema dell’Alto Adige. Oggi, il Consorzio festeggia 30 anni, un anniversario importante per un prodotto che ha fatto la storia. Prodotto popolare, che nasce dalla necessità di conservare a lungo la carne fresca, per poi consumarla tutto l’anno, lo speck è anche il trait d’union tra due culture produttive: quella mediterranea del prosciutto, che prevede l’essicazione all’aria, e quella nordeuropea, che predilige l’affumicatura. Una simbiosi che lo rende inconfondibile e che gli è valso, a partire dal 1996, il sigillo di qualità “Indicazione Geografica Protetta” (IGP) da parte dell’Unione Europea. Certificazione che l’UE rilascia solo dopo serratissimi controlli, dimostrando che lo Speck Alto Adige IGP è un prodotto, innanzitutto, di qualità. È infatti quest’ultima, insieme alla
passione per la tradizione, a guidare i 28 produttori, oggi tutelati dal Consorzio, che salvaguardano il marchio attraverso un attento monitoraggio del mercato. Una tutela che si dimostra fondamentale per continuare a produrre un prodotto di qualità e in continua crescita. Oggi, il Consorzio tutela gli interessi di 28 produttori di Speck Alto Adige IGP e tra le sue attività di competenza rientrano la politica di qualità, la tutela del marchio e le iniziative promozionali, che sono regolamentate da linee guida dell’Unione Europea (Reg. 510/2006), dello Stato (Legge 526/99) e della Provincia Autonoma di Bolzano.
Lo Speck Alto Adige IGP, si mantiene stabile nelle vendite in GDO, dove viene venduto il 65% della produzione, seguita dal discount con il 22%, il dettaglio (5,6%), la gastronomia (5,3%) e l’ingrosso (3,8%).
Nei primi anni dalla certificazione IGP (1996) si è notato un considerevole aumento di produzione. Se nel 2001 sono state prodotte e certificate 1,9 milioni di baffe di Speck Alto Adige IGP, si registra nel 2021 una produzione di quasi 2,9 milioni. Dato significativo, poi, è quello relativo alle confezioni di speck preaffettato: dai 22,7 milioni prodotti nel 2011 ai 46 milioni del 2021, con un valore che è più che duplicato, a dimostrazione della chiara
Citterio presenta il cotechino bencotti 100% italiano con un astuccio in carta 100% riciclabile. Citterio, in occasione delle prossime feste natalizie, propone una veste aggiornata per il suo cotechino bencotti. La storica azienda italiana di salumi rilancia sul mercato un prodotto di alta qualità da gustare nelle occasioni speciali.
Il Cotechino firmato Citterio, alimento senza glutine e senza derivati del latte, adatto a tutti i gusti e palati, è da oggi 100% italiano e si ottiene esclusivamente da materie prime selezionate.
Il cotechino bencotti Citterio nasce dall’impasto di selezionate carni suine alle quali si aggiungono la caratteristica cotenna e una sapiente miscela di sale e spezie che conferiscono al prodotto, all’ atto della degustazione, una consistenza morbida ed un profumo delicato. Realizzato all’interno dello stabilimento di S. Stefano Ticino (Mi), il cotechino è un prodotto creato con l’utilizzo di oltre 4.000 pannelli fotovoltaici che consentono dunque di risparmiare energia e di rispettare l’ambiente, anche grazie all’astuccio in carta, 100% riciclabile, che contiene lo stesso cotechino.
Il packaging, disponibile nel formato da 500 grammi, viene presentato in tre versioni differenti e con tre ricette diverse, da poter replicare anche a casa. Le tre ricette sono: il cotechino in crosta, gli gnocchi al ragù di Cotechino e il crostone di Polenta con Cotechino.
tendenza a prediligere, negli anni, questa tipologia merceologica di Speck Alto Adige IGP. Lo Speck Alto Adige IGP ha saputo cogliere la sfida del cambiamento, proponendo un prodotto che incontrasse le nuove abitudini di consumo.
Grandi soddisfazioni anche nei mercati esteri: lo Speck Alto Adige IGP è infatti uno dei salumi italiani più esportati con una quota di 33,7% di esportazione. In particolare, in Germania (il mercato estero principale, con un dato export del 28,9%), negli Stati Uni (1,9%, al secondo posto) e in Francia (1,4%, al terzo posto). Il Consorzio continua il lavoro di tutelare e registrare i marchi anche all’estero, garantendo così a tutti i consumatori la facile reperibilità – davvero ovunque – del prodotto.
Diciamoci la verità, quando acquistiamo del prosciutto cotto in vaschetta (o un salume in generale) ci aspettiamo che la fetta si presenti compatta, omogenea e di colore abbastanza uniforme; poi al palato ci piace che abbia una buona masticabilità e non ci dia la sensazione di un qualcosa di poco consistente e poco gradevole. Quando andiamo a fare la spesa ci facciamo condizionare anche dai nostri sensi: la vista e l’olfatto ci aiutano a scegliere un prodotto alimentare, giudicandolo positivamente se fresco e appetibile. Nel prodotto in vaschetta, solo la vista può aiutarci ma talvolta capita che buona parte del prodotto sia celato dall’etichetta, dall’immagine e dal logo del produttore. A volte poi – fatta salva la scelta della marca – diamo un’occhiata sommaria (fidandoci appunto dei nostri sensi) e se il colore ci va bene, di un rosa che siamo abituati ad accettare, prendiamo quella vaschetta di prosciutto cotto senza farci caso. Però poi a casa magari la fetta non si presenta perfettamente integra e uno dei muscoli pare essere più spugnoso – e appunto meno consistente – degli altri.
Occorre innanzitutto ricordare che nel prosciutto cotto che troviamo in vendita preconfezionato affettato, sia nel tipo di “alta qualità” che in quello “scelto”, la fetta deve presentarsi avendo chiaramente identificabili almeno tre dei quattro muscoli principali (semitendinoso, semimembranoso, quadricipite e bicipite femorale) della coscia intera del suino (come specificato nel Disciplinare dei prodotti di salumeria: DM 21/09/2005 modificato dal DM 26/05/2016).
La non uniformità e soprattutto la mancata compattezza in alcune parti della fetta, che si presenta come sbriciolata, spugnosa al
contatto e di colore molto più pallido, è dovuta il più delle volte ad una alterazione che interviene nei muscoli dell’animale appena dopo la macellazione, nel passaggio che attraverso il rigor mortis e la successiva frollatura li trasforma in carne. È una condizione che si verifica soprattutto nel suino, quando gli animali sono esposti a stress prima della macellazione o è legata alle caratteristiche genetiche dell’animale (alcune specie come la Pietrain Belga e la Landrace sono più predisposte), che porta ad avere carni cosiddette PSE (pale, soft, exudative – cioè pallide, soffici, essudative) ed è dovuta esclusivamente al pH finale raggiunto nelle carni.
Nelle normali condizioni, quando l’animale viene macellato, la circolazione sanguigna si interrompe e viene a mancare l’ossigeno necessario per stimolare l’aerobiosi muscolare. Le cellule in anaerobiosi utilizzano però ancora le riserve di glicogeno presente nel muscolo (fino ad esaurimento) per ricavare energia e come effetto secondario producono acido lattico, che porta a un progressivo ma lento calo del pH. Quando l’animale è in vita il pH nei muscoli è compreso tra 6,7 e 7,2; dopo il processo del rigor mortis (che si manifesta nell’arco di 12-24 ore), la carne ottenuta da animali in buono stato di salute e non stressati ha un pH finale di 5,5-5,8.
Gli effetti della sindrome PSE si manife-
stano invece subito dopo la macellazione: quando gli animali sono stressati, rilasciano improvvise scariche di adrenalina che portano ad una rapida glicolisi post mortem e a un notevole accumulo di acido lattico, che porta il pH misurato a 45 minuti (pH45) a valori di 5,2-5,5 e a valori del pH finale più bassi del normale. Questo elevato tasso glicolitico che è correlato con l’elevata temperatura corporea della carcassa (35-40°C), porta ad una parziale denaturazione di alcune proteine muscolari. Ciò fa sì che sia compromessa la capacità delle proteine muscolari di trattenere l’acqua, poiché il pH è vicino al loro punto isoelettrico. La conseguente perdita di liquidi (essudazione) conferisce alla superficie dei tagli un aspetto umido e la consistenza risulta essere più flaccida. Quando l’acqua viene rilasciata dal muscolo anche i pigmenti (mioglobina) vengono rilasciati ed è questo il motivo per cui la carne presenta un colore più chiaro (pallido). La condizione PSE la si riscontra soprattutto nel lombo e in alcuni muscoli della coscia del suino, pertanto la carne PSE non è adatta per essere utilizzata nella produzione di prosciutti stagionati e tanto meno nei prosciutti cotti (a meno di utilizzare additivi che hanno la funzione di trattenere l’acqua e che nei tipi di “alta qualità” non possono venire usati). La carne PSE la si può utilizzare per la produzione di salsicce fresche
e cotte in ragione di una percentuale di impiego limitata, rispettivamente e indicativamente del 30% e del 20%.
Le carni PSE assumono un’importanza rilevante in termini economici per le industrie perché il loro impiego comporta: - un aumento delle perdite in stagionatura (maturazione) fino al 5%; - un aumento delle perdite di cottura fino al 20%; - un aumento dal 6 al 10% delle perdite di essudazione nella carne fresca.
La carne PSE continua a essere uno dei principali problemi di qualità che colpisce principalmente le vendite di prodotti freschi, causando un rifiuto da parte dei consumatori e perdite economiche e di immagine di marca per i grandi produttori di carne.
La variazione di pH, quando l’acidificazione dopo le 24 ore dalla macellazione si mantiene su valori superiori a quelli dell’indice di normalità attorno a 6-6,3, è alla base di un’altra anomalia, nota come DFD (dry, firm, dark – cioè asciutta, dura e scura).
La carne DFD si osserva principalmente nei bovini e in misura minore nelle carcasse dei suini e si verifica quando gli animali sono esposti a stress prima della macellazione (animali stanchi, affaticati, trasportati su lunghe distanze, in carenza di alimentazione e abbeveraggio, ecc.), senza avere origine di tipo genetico. Ciò determina l’esaurimento delle riserve di glicogeno, così che – di conseguenza – la glicolisi post mortem sarà ridotta e la formazione di acido lattico più bassa, che porta ad avere un pH finale più alto (6-6,3).
Questo fattore determina una minore possibilità di conservare la carne perché favorisce lo sviluppo di microrganismi deterioranti.
La carne DFD, presentandosi asciutta e scura, non sempre è accettata dai consumatori; la qualità organolettica risulta compromessa anche dalla mancanza di sapore e aroma
che determina una ridotta percezione del gusto. Inoltre la carne ha una minore capacità di diffusione del sale durante la stagionatura e questo fattore ne impedisce l’uso per la produzione di prosciutto crudo. Tuttavia conferisce alla carne una grande capacità di legare l’acqua, il che ne garantisce la possibilità di un impiego maggiore nella produzione del prosciutto cotto e delle salsicce cotte rispetto alla carne PSE
perché il prodotto perderà meno acqua in cottura. A differenza della sindrome PSE che mantiene i suoi caratteri distintivi in modo permanente, l’incidenza della DFD può essere ridotta qualora gli animali – prima della macellazione – siano stabulati in recinti non troppo freddi, liberi da correnti d’aria e adeguatamente alimentati e abbeverati, in modo da ricostruire la loro riserva di glicogeno.
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Da: INGEGNERIA ALIMENTARE - LE CARNI n. 15 - GIUGNO 2007 DAGLI ARCHIVI DI INGEGNERIA ALIMENTARE - LE CARNI
A partire dal numero di marzo 2022 di Ingegneria Alimentare abbiamo creato questa rubrica per rendere omaggio a una persona che ha dato lustro al mondo della ricerca scientifica nel settore delle carni e dei salumi e che ha onorato la nostra rivista della sua collaborazione per molti anni. Abbiamo raccolto, dietro ripetute richieste dei lettori, un campionario dei suoi scritti e gli articoli più rappresentativi dell’opera del Prof. Carlo Cantoni, ancora attuali e di enorme importanza scientifica, saranno pertanto ripubblicati sulle pagine di Ingegneria Alimentare per dare modo a coloro che non hanno potuto goderne in passato di attingere dall’immensa esperienza del Professore e approfondire le proprie conoscenze. Speriamo che l’iniziativa sia gradita a quanti hanno avuto modo di conoscere il Prof. Carlo Cantoni e, soprattutto, ai più giovani che non ne hanno avuto la possibilità dalla sua scomparsa. Alcuni passaggi sono stati aggiornati ma il valore degli studi – potrete constatare – resta straordinariamente attuale.
Buona lettura, l’Editore e la redazioneSono riportate le concentrazioni di ocratossina A rilevate sulla superficie esterna di insaccati crudi stagionati. Talvolta si sono riscontrate concentrazioni elevate. Negli impasti non è presente ocratossina A. È segnalato il metodo più idoneo per eliminare la tossina dai budelli.
Ochratoxin A on the bowels of dry seasoned meat surface
The concentrations of ochratoxin A, which are sintetized by moulds on the surfaces of salami bowels, have reported. Sometime these are very high. The ochratoxin A is not present in the meats. The most efficient method to eliminate the toxin has reported.
Durante la stagionatura dei prodotti carnei, come prosciutti e insaccati, si sviluppano diverse specie fungine rappresentate da più ceppi e alcune sintetizzano l’ocratossina A (OTA), cioè una tossina metabolita secondaria di alcune specie di Penicillium e di Aspergillus. Tra le specie produttrici si elencano solitamente solo P. verrucosum, P. nordicum e A. ochraceus.
I dati presenti nella letteratura specifica dimostrano, però, che altri penicilli e miceti fungini possono produrre la tossina, come è stato segnalato in un lavoro pubblicato precedentemente (Cantoni e coll., 2007; Comi e coll., 2007). Da tempo la questione della presenza di OTA nei prodotti carnei derivati occupa l’attenzione di produttori e ricercatori del settore.
La corretta stagionatura degli insaccati
avviene in condizioni di umidità relativa (U.R.) e di temperatura (T) rispettivamente inferiori all’85% e 15°C. Ma in particolari condizioni ambientali (in genere con umidità elevata), si può verificare la produzione di ocratossina A per opera della flora micetica sviluppatasi sui budelli nel periodo successivo all’asciugatura, specialmente durante la stagionatura. La quantità di tossina è tanto più elevata quanto più lunga è la stagionatura, e quindi riguarda salami che ne richiedono una di più di trenta giorni.
La presenza di OTA sulla superficie esterna degli insaccati non costituisce certamente un rischio per la salute pubblica, in quanto l’OTA non risulta presente negli impasti (Spotti e coll., 1999; Cantoni e coll., 2004; Cantoni, 2006; Comi e coll., 2007). Però, se è presente in quantità elevata può essere causa di errori analitici durante il campiona-
Eurotium repens Penicillium nalgiovensis
Eurotium rubrum Penicillium oxalicum
Penicillium aurantiogriseum
Penicillium olsonii
Penicillium solitum Penicillium chrysogenum
Penicillium verrucosum Penicillium viridicatum
Penicillium brevicompactum Penicillium hirsutum
Penicillium chrysogenum Penicillium expansum
Penicillium expansum Penicillium commune
Penicillium griseofulvum Penicillium verrucosum
Penicillium commune Penicillium griseofulvus Penicillium gladioli Penicillium nordicum
Penicillium nalgiovense Eupennicillium crostaceum
Penicillium viridicatum Eurotium amstelodamii Penicillium waksmanii Eurotium rubrum
Aspergillus candidus Aspergillus ochraceus Aspergillus penicilloides
Alternaria alternata
Scopulariopsis flava
Spotti e coll. (2001) Cantoni e coll. (2007)
mento del salame per il controllo analitico, a seguito del trascinamento involontario dalla superficie all’impasto durante la separazione del budello.
Dati sulla concentrazione di ocratossina A sulla superficie esterna del budello sono stati in parte già pubblicati (Cantoni, 2006); tuttavia, allo scopo di disporre di un quadro più completo della situazione, si è deciso di eseguire una serie di analisi su salami di diverse produzioni; inoltre, si è presa in considerazione la possibilità di ridurre o eliminare la tossina dalla superficie mediante aspirazione, soffiatura, lavaggio più spazzolatura.
Campioni esaminati
Sono stati analizzati n. 101 salami così distribuiti: 55 di produzione artigianale (aziende con meno di 15 lavoratori) e 46 di produzione industriale.
Per valutare l’efficacia dei trattamenti fisici sono stati analizzati 19 campioni prima e dopo i trattamenti sopra segnalati. Oltre ai salami sono stati analizzati budelli contenenti bresaole (n. 12) e coppe (n. 12).
La determinazione di ocratossina A è stata eseguita utilizzando sia la tecnica di Spotti e coll. (1999), sia quella descritta da Matrella e coll. (2006).
Tabella 2 - Concentrazioni di ocratossina A rilevate nella superficie di budelli di salami durante la stagionatura e la messa in commercio
Nella tabella 1 sono elencate le specie micetiche isolate da prosciutti crudi e da salami prodotti nel nord Italia.
Nella tabella 2 sono riportate le concentrazioni di ocratossina A riscontrate sulla superficie di budelli durante la stagionatura
(60-90 giorni e oltre) e in salami in commercio.
Nella tabella 3 è indicata l’efficacia dei vari interventi tecnici adottati per ridurre le concentrazioni di ocratossina A dalla superficie. Nella tabella 4 sono indicate le quantità di ocratossina A riscontrate sugli involucri di bresaole e coppe.
Tra tutti i miceti identificati, la produzione di ocratossina A è dovuta ad alcune specie di penicilli quali: P. oxalicum, P. olsonii, P. chrysogenum, P. viridicatum, P. verrucosum, P. nordicum, Eurotium amstelodamii. Ad essi devono essere aggiunti Aspergillus versicolor e Aspergillus ochraceus, quest'ultimo isolato tuttavia più saltuariamente. Nel solo caso riscontrato la concentrazione di ocratossina è risultata pari a 1134 μg/kg.
In base ai risultati ottenuti in queste indagini e sopra riportati, è possibile dimostrare quanto l’ocratossina A sia ampiamente diffusa sulla superficie degli insaccati, soprat-
Tabella 4 - Concentrazioni di ocratossina A riscontrate sugli involucri di bresaole e coppe stagionate (μg/kg)
Legenda: n.r. = non rilevato n. quantità
Bresaole 12 n.r. Coppe 12 1,8 (2) n.r. (10)
Legenda: n.r. = non rilevato
tutto nella fase di stagionatura, come causa della sintesi micetica.
Nei prodotti pronti per il consumo, le concentrazioni sono drasticamente ridotte per effetto dei trattamenti di bonifica adottati dai produttori. Fra i trattamenti, il più efficace sperimentato è senz’altro quello basato sull’impiego di un’idonea macchina spazzolatrice con azioni combinate di lavaggio e spazzolatura. Le differenze osservate tra le produzioni artigianali e quelle industriali, sia come percentuali di positività sia come quantità di contaminazione sono riconducibili ad interventi di bonifica meno efficaci usati dai produttori artigianali.
Circa la presenza della ocratossina A sulla superficie degli insaccati, in tutto il mondo vengono segnalati casi di contaminazione degli alimenti, tra i quali cereali e prodotti a base di cereali, leguminose, caffè, birra, succo d’uva, uva passita, vino, prodotti a base di cacao, frutta con guscio e spezie. Inoltre, la contaminazione dei mangimi può comportare la presenza di residui di OTA nelle frattaglie commestibili e nel siero del sangue animale; i livelli di contaminazione di carne, latte e uova sono tuttavia inesistenti o trascurabili.
Nonostante gli sforzi volti a ridurre la presenza di questa micotossina negli alimenti, al momento non sembra evitabile un certo grado di contaminazione. Poiché la presenza di ocratossina A in prodotti di salumeria è stata accertata di nuovo e, talvolta, in quantità elevata, è opportuno considerare la questione dettagliatamente. Il primo aspetto riguarda la distribuzione della contaminazione della ocratossina A: questa è localizzata sulla superficie dei salumi. Infatti, le muffe si sviluppano solo superficialmente
producendo tossine e la loro penetrazione è limitata a budello e cotenna, quindi a pochi millimetri dalla superficie (Cantoni e coll., 1987; Spotti e coll., 1999, 2001).
Il suo reperimento all’interno potrebbe essere conseguente al trascinamento della tossina durante il prelievo della aliquota da esaminare (Cantoni e coll., 2004; Matrella e coll., 2006), ma quando lo si è accertato, le quantità determinate sono risultate di livello insignificante dal punto di vista tossicologico. Le autorità competenti, tenendo conto dei dati recenti dell’esposizione alla OTA di consumatori europei derivate dalla
dieta, hanno stabilito una eventuale tossicità a partire dal superamento di 120 μg/kg (TWI) peso corporeo.
Nonostante lo scarso apporto della tossina da parte dei prodotti carnei è opportuno limitarne le concentrazioni residue, sottoponendo gli insaccati a trattamenti di bonifica realmente efficaci, intervenendo anche con studi appropriati per individuare una muffa non tossigena da utilizzare come starter per impedire lo sviluppo delle muffe tossigeniche, in quanto l’impiego attuale di Penicillium nolgiovensis non risulta efficace a tale scopo.
• Cantoni C., Rossetti R., Comi G., Ameno E. (1987) Industrie Alimentari, 22, 690-692
• Cantoni C., Cozzi M., Stella S. (2004) Industrie Alimentari, 43, 2527
• Cantoni C. (2006) Arch. Vet. Ital., 57, 169-180
• Cantoni C., Comi G., Chiesa L.M., Iacumin L. (2007) Industrie Alimentari, 46, 16-19
• Comi G., Iacumin L., Chiesa L.M., Manzano M., Giusto C., Cantoni C. (2007) Int. Symp. Meat Safety, Valencia, pp. 82-85 (Eds. P. Fito & F. Toldia)
• Matrella R., Monaci L., Milillo F., Palmisano F., Tantillo M.G. (2006) Food Control, 17, 114-117
• Spotti E., Cacchioli C., Colla F., Beatrisotti M., Zanardi S. (1999) Industria Conserve, 74, 113-124
• Spotti E., Chiavaro E., Pari E., Busolli C. (2001) Industria Conserve, 76, 167-183
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Il tema del benessere animale continua ad essere d’attualità tra gli argomenti dell’agenda comunitaria. L’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, ha infatti pubblicato i primi pareri scientifici relativi al mandato ricevuto lo scorso anno dalla Commissione Europea, in vista di una revisione più organica dell’intero corpo legislativo sul benessere degli animali nell’Unione europea. Si tratta di un tema cardine della strategia UE “dal produttore al consumatore” (Farm to Fork o F2F) che intende rivedere la normativa vigente tenendo conto anche dei progressi scientifici sull’argomento e della sensibilità dei cittadini europei sui temi etici e ambientali. A luglio 2022 è infatti stato pubblicato il primo rapporto sulla modalità di allevamento del suino, seguito a settembre da cinque pareri scientifici che individuano specificatamente le necessità di tutelare il benessere animale nel trasporto dei piccoli ruminanti (ovini e caprini), degli equidi (cavalli e asini), dei bovini (vacche e vitelli), dei suini e degli animali posti in contenitori, che comprendono sia i
volatili domestici e da cortile (polli, galline ovaiole, tacchini, oche, anatre, quaglie, ecc.) che i conigli.
La legislazione europea sul benessere degli animali, soprattutto di quelli da allevamento ai fini prevalente dell’impiego alimentare, è stata per decenni tra le più avanzate nel riconoscere gli animali quali essere senzienti e pertanto portatori di diritto. Ne ha fatto così un caposaldo della politica dell’Unione Europea tale da rendere esplicito nel Trattato di Lisbona del 2007 sul funzionamento della UE questo concetto (art. 13 del TFUE). Tuttavia la normativa si è rivelata poco omogenea e soprattutto non applicata da tutti gli Stati membri in modo univoco. Per alcune specie e singole categorie di animali – le galline ovaiole, i suini e le scrofe, i vitelli – le norme europee hanno portato a miglioramenti nel definire i criteri minimi di protezione in allevamento, durante il trasporto e al momento della macellazione, contribuendo a rendere migliore per la collettività i parametri qualitativi delle carne e riducendo l’impiego di antibiotici. In altri casi l’assenza di requisiti spe -
cifici e la vaghezza di alcuni provvedimenti adottati (alcuni risalenti a più di vent’anni fa e non aggiornati), si è dimostrata lacunosa nel far rispettare gli standard del benessere animale. Le impostazioni date negli anni ’80 del secolo scorso, pur basate sui criteri delle “cinque libertà” che descrivono le condizioni che gli animali dovrebbero avere quando sono sotto il controllo umano (libertà dalla fame, dalla malnutrizione e dalla sete; libertà dalla paura e dal disagio; libertà dallo stress da calore e dal disagio fisico; libertà dal dolore, dalle ferite e dalle malattie; libertà di esprimere le proprie caratteristiche comportamentali) [1], non sono più attuali perché alcuni regolamenti sono stati interpretati in modo generico e senza particolari controlli e uniformità da parte dei diversi Stati membri. Queste lacune sono già state evidenziate da un pronunciamento della Corte dei Conti Europea. In una relazione speciale del 2018 la Corte affermava infatti che sebbene le azioni della UE avessero avuto sotto certi aspetti un esito positivo, la loro attuazione ha subito ritardi, persistendo debolezze in ambiti critici riguardanti il benessere degli animali in azienda, durante il trasporto e al macello [2]. Anche il Parlamento Europeo si è pronunciato nel 2021 per una chiarezza delle norme che disciplinano queste attività, sottolineando che l’attuale legislazione dell’UE non è pienamente applicata in tutti gli Stati membri. Dovrebbe quindi essere chiarita per garantirne un’applicazione più uniforme, non tanto per inasprirle o estenderle, considerando che le pratiche per migliorare il benessere animale comportano costi di produzione più
Per alcune specie e singole categorie di animali le norme europee hanno portato a miglioramenti nel definire i criteri minimi di protezione in allevamento, durante il trasporto e al momento della macellazione
elevati e un aumento di carico di lavoro degli allevatori [3].
Per questi motivi si rende necessario revisionare l’intero corpo legislativo sul benessere animale integrando i contributi dell’EFSA, basati su dati scientifici, valutazioni d’impatto e un approccio specie per specie, con i contributi di tutte le parti interessate della filiera e tenendo conto della sensibilità mutata dei cittadini europei riguardo i temi etici e ambientali.
Oggi il panorama mira ad un’impostazione differente rispetto al passato, basata sui principi stabiliti nel Green Deal Europeo che definisce le principali iniziative politiche da prendere per rendere l’Europa climaticamente neutra entro il 2050. È qui che si inserisce il programma “Farm to Fork”, che mira a sottolineare l’importanza di un tipo di agricoltura sostenibile e quindi di un’alimentazione sana. Tutto ciò è collegato anche a norme riguardanti l’allevamento. Un esempio in questa direzione è la richiesta di eliminazione graduale delle gabbie per le galline ovaiole, avanzata da 1,5 milioni di cittadini europei tramite l’iniziativa “End the Cage Age” [4]: questa è una di quelle nuove sensibilità che mettono in luce la necessità di un rinnovamento della legislazione europea. Oltretutto l’applicazione di sistemi di allevamento più rispettosi del benessere animale, con maggiori spazi a disposizione, riduzione dell’impiego di farmaci (salvo che non siano strettamente necessari) e interventi per ridurre gli stress da trasporto, giovano alla qualità delle carni e hanno un impatto positivo sulla qualità e sulla salubrità dei prodotti destinati al consumatore: il presupposto infatti non è legato solo alla produttività estrema dell’allevamento intensivo, quanto al concetto che un animale allevato in modo
corretto e rispettando il suo benessere produce di più e meglio.
L’ottica di intervento si fonda sul fatto che la sicurezza della filiera alimentare è direttamente connessa al benessere degli animali allevati per la produzione di alimenti. Ciò dipende in gran parte da come essi vengono gestiti dall’uomo, ma è necessario dare un supporto legislativo adeguato, rinnovandolo alla luce di ricerche e dati scientifici più ag-
L’applicazione di sistemi di allevamento più rispettosi del benessere animale giovano alla qualità delle carni e hanno un impatto positivo sulla qualità e sulla salubrità dei prodotti destinati al consumatore
giornati. Bisogna inoltre fornire delle linee guida perché le pratiche di allevamento in Europa siano orientate alla sostenibilità coinvolgendo l’intera filiera produttiva.
In questo contesto sono arrivati i primi pareri scientifici di EFSA sul benessere degli animali da allevamento come richiesto dalla Commissione Europea nell’ambito della strategia F2F.
Il primo parere scientifico di EFSA pubblicato a luglio riguarda i diversi aspetti di allevamento che interessano il benessere dei suini [5]: scrofe e scrofette asciutte prima del parto, scrofe da parto con lattazione e svezzamento dei suinetti fino alla decima settimana di età, allevamento dei suini fino all’età della macellazione, verri.
Dai sistemi di allevamento utilizzati in Europa sono state identificate la casistiche più rilevanti che inficiano il benessere, sono state analizzate le relative misure fattibili (Animal Based Measures, ABM) e sono stati elencati i pericoli che hanno conseguenze sulle condizioni di salute degli animali. Inoltre, a partire dagli ABM sono state raccomandate misure per prevenire o correggere i pericoli e/o mitigare le conseguenze che questi hanno sul benessere animale.
Vengono anche fornite raccomandazioni sui criteri quantitativi o qualitativi per rispondere a domande specifiche sul benessere dei suini legate alla molatura dei denti, alla castrazione e al morso della coda, tenendo conto dell’iniziativa dei cittadini europei “End the Cage Age”.
Il parere offre infine indicazioni sulla macellazione, suggerendo le ABM più appropriate da utilizzare per il monitoraggio del benessere in azienda delle scrofe da macellare e dei suini da allevamento.
Le problematiche più importanti riguardano principalmente la limitazione dei movimenti, i problemi del riposo, lo stress di gruppo, l’incapacità di eseguire comportamenti esplorativi o di foraggiamento, la fame prolungata. A queste si possono aggiungere per l’allevamento in paddock all’aperto lo stress da freddo per i suinetti in lattazione e svezzamento, problemi gastroenterici legati alla nutrizione e per tutti il morso della coda.
Per le scrofe e le scrofette asciutte prime del parto limitatamente ai problemi del riposo si raccomanda di tenere pulito il pavimento del box o di fornire lettiere; tuttavia si osserva che la restrizione al movimento e l’impossibilità di poter compiere comportamenti esplorativi non possono essere mitigati se non facendo uscire gli animali dalle stalle. Gli unici veri problemi da osservare con cura sono associati al comportamento competitivo in gruppo (cioè lo stress di gruppo e la fame prolungata) che derivano anche dalla situazione in cui si trovano gli animali. I rimedi prescritti vanno valutati in funzione del tipo di stabulazione (di gruppo al coperto o sistemi di paddock all’aperto), dell’omogeneità degli animali (riducendo al minimo i trasferimenti di scrofe che causano la non familiarità dei vicini, rimuovendo gli animali aggressivi o prepotenti, curando le scrofe che presentano ferite), raggruppando animali di dimensioni simili. Per tutti vale che buone pratiche di mescolamento dei soggetti derivante da una buona progettazione del recinto (fig. 1), con una buona alimentazione e gestione in generale, hanno conseguenze positive associate al benessere.
Secondo i suggerimenti dell’EFSA, le scrofe
da parto e i suinetti in fase di lattazione non dovrebbero essere più alloggiati in gabbie da parto, ma in recinti da parto. Lo spazio minimo disponibile per la scrofa deve essere di circa 6,6 m² per ottenere una mortalità dei suinetti paragonabile a quella di un sistema di gabbie da parto. Ciò equivale a circa 7,8 m² di dimensioni totali del recinto (è raccomandato uno spazio maggiore per migliorare le possibilità di locomozione della scrofa). Si riconosce che è necessario un periodo di adattamento per passare dagli attuali sistemi utilizzati per le singole scrofe, ma l’allevato-
Le problematiche più importanti riguardano principalmente la limitazione dei movimenti, i problemi del riposo, lo stress di gruppo, l’incapacità di eseguire comportamenti esplorativi o di foraggiamento, la fame prolungata
re e il personale devono essere formati per ridurre al minimo i compromessi in termini di benessere durante il periodo di transizione dalle gabbie da parto. I sistemi temporanei (fig. 2) di gabbie da parto possono essere efficaci per mantenere la sopravvivenza dei suinetti (prevenzione rischio da schiacciamento) ma non possono essere consigliati come sistema di transizione nell’azienda agricola a meno che non abbia già le dimensioni uguali a quelle del futuro recinto per il parto libero (e possa essere rimosso dopo i primi giorni dalla nascita).
Le scrofe e le scrofette vanno incoraggiate a soddisfare la loro motivazione intrinseca di
costruire un nido, mettendo a disposizione almeno il giorno prima del parto, materiali come paglia a stelo lungo o tagliata a lungo, fieno e foraggio di fieno, in quantità tale da consentire un giaciglio funzionale. L’uso del sistema artificiale di allevamento come conseguenza di grandi cucciolate può avere valore solo adattando la dimensione media delle cucciolate dell’allevamento alle capacità fisiche dei suinetti e a quelle della scrofa, attraverso la selezione genetica, che è demandata alle diverse organizzazioni di allevamento. Per garantire la sopravvivenza dei suinetti e una buona longevità della scrofa, occorre puntare ad ottenere dimensioni ottimali della cucciolata, buona vitalità dei suinetti, bassa variabilità del peso alla nascita, buon comportamento materno, buona conformazione delle zampe e buona qualità della mammella. Affinché l’allevamento sia sostenibile in termini di longevità della scrofa, la selezione per la dimensione della cucciolata dovrebbe essere limitata a un numero medio di 12-14 suinetti nati vivi. Nello svezzamento dei suinetti si deve tenere conto di tenere gli animali in spazi adeguati. Se confinati in spazi insufficienti per i maialini
ne vengono limitati i movimenti, impedito il riposo, si possono avere disturbi locomotori (zoppia) legati allo stress di gruppo, tutti problemi che portano conseguenze sul benessere. In queste condizioni di spazi ridotti, di alta velocità dell’aria o di cattivo ricambio (elevati livelli di ammoniaca), di cattivo stato di salute e di carenze nella composizione del mangime, si associano le problematiche del morso della coda. Mettere in atto soluzioni che risolvono queste situazioni critiche aumenta di fatto il benessere animale e permette di mettere in atto misure specifiche preventive per evitare che gli animali si mordano la coda.
Secondo i suggerimenti dell’EFSA, le scrofe da parto e i suinetti in fase di lattazione non dovrebbero essere più alloggiati in gabbie da parto, ma in recinti da parto
In linea di massima il taglio della coda e la castrazione non devono essere eseguiti a meno che non si rendano necessari e dopo attenta valutazione del rischio a livello di cucciolata. In tali casi si deve provvedere il prima possibile e le operazioni devono essere svolte da personale competente in condizioni igieniche appropriate e con la dovuta sensibilità nei confronti dell’animale per evitare il rischio di infezioni. Queste operazioni non devono essere eseguite senza anestesia e analgesia a causa delle gravi conseguenze sul benessere dei suinetti anche in tempi successivi, almeno finché la ferita non si è cicatrizzata.
IL
A settembre sono stati pubblicati cinque pareri specifici con raccomandazioni per migliorare il benessere degli animali durante il trasporto. Tali pareri sono stati presentati alla Commissione Europea per coadiuvare la
L’EFSA per ciascun gruppo di animali ha definito limiti precisi per le temperature che devono essere mantenute all’interno del veicolo e ha indicato tolleranze minime per lo spazio da riservare agli animali
revisione del nuovo corpo legislativo sul benessere degli animali nella UE, definito dalla strategia F2F. L’attuale legislazione sul trasporto degli animali è più recente di quella degli altri regolamenti: è entrata in vigore nel 2005 e ha beneficiato già di studi e di proposte di Commissioni costituite per applicare al meglio i regolamenti e per rendere meno traumatico il trasporto. Il lavoro recente di EFSA contribuisce a rendere esplicite determinate soluzioni per garantire un livello di benessere più elevato degli animali. I pareri hanno riguardato nello specifico ogni singola specie di allevamento di grossa taglia: i piccoli ruminanti (ovini e caprini) [6], i bovini (vacche e vitelli) [7], gli equidi (cavalli e asini) [8], i suini [9]; e gli animali trasportati in contenitori, compresi i volatili domestici (polli, galline ovaiole, tacchini, ecc.) e i conigli [10]. Di tutti, a partire dalle singole necessità, sono state analizzate le conseguenze delle varie fasi di trasporto legate al benessere, i pericoli che potrebbero inficiarlo e gli indicatori diretti (ABM) che è possibile determinare per valutarle.
Le raccomandazioni generali indicano nell’aumento degli spazi a disposizione, nell’abbassare le temperature massime e nella riduzione dei tempi di viaggi, i principali elementi per migliorare il benessere degli animali durante il trasporto e laddove ciò non sia possibile di adottare specifiche azioni per garantirlo.
L’EFSA per ciascun gruppo di animali ha definito limiti precisi per le temperature che devono essere mantenute
all’interno del veicolo e ha indicato tolleranze minime per lo spazio da riservare agli animali, descrivendo anche altre conseguenze sul benessere durante il trasporto come la fame, la sete e la stanchezza. Ecco un dettaglio delle più significative azioni da osservare per garantire il benessere animale (con riferimento al trasporto prevalente su gomma; per altro si rimanda ai documenti specifici).
- Per evitare un impatto negativo sul benessere degli animali dovute alle condizioni microclimatiche durante i viaggi gli ovini dovrebbero essere trasportati nella loro “zona di comfort termico” la cui soglia superiore relativa allo stress da calore è stimata a 25°C.
- Al fine di ridurre il rischio di conseguenze
per il benessere per l’esposizione alle alte temperature, all’interno dei veicoli non si dovrebbero superare le temperature critiche di 28°C per gli animali con vello e di 32°C per quelli tosati.
- Per quanto riguarda i limiti del viaggio sono stati osservati cambiamenti fisiologici associati alla fame e alla sete dopo 12 ore di trasporto.
- Al fine di evitare disturbi come la fame e la sete prolungate nelle fasi successive del trasporto, il mangime e l’acqua devono essere forniti facilmente durante la fase di preparazione prima del viaggio.
- Per il trasporto su strada devono essere considerate l’umidità e la temperatura sul mezzo: la temperatura all’interno dei veicoli non deve superare i 25°C. I veicoli dovrebbero perciò essere dotati di sensori che registrano le condizioni microclimatiche il più vicino possibile alla posizione dei bovini.
- Nel programmare la durata del viaggio si deve tenere conto di cambiamenti fisiologici associati alla sete dopo 9 ore e associati alla fame indicativamente dopo 12 ore di trasporto: al superamento di tali limiti i bovini devono essere scaricati in condizioni di comfort termico ed essere forniti di cibo e acqua, oltre ad essere fatti riposare in modo adeguato.
- Le vacche in lattazione devono essere munte ogni 12 ore.
Per quanto riguarda il trasporto degli equini il parere raccomanda solo lo scenario specifico per il trasporto di cavalli ed asini in lunghi viaggi verso i macelli. Le prime raccomandazioni indicano che il trasporto dei cavalli deve
avvenire per gruppi di animali già omogenei tra loro al fine di evitare eventi traumatici. Deve essere osservata anche particolare cura prima del trasporto, nella manipolazione e nel carico dalle aree di transito per garantire che il cavallo non le associ alla paura che può portare a stress.
- Per quanto riguarda le condizioni microclimatiche del trasporto, queste sono le stesse suggerite per i bovini, con il limite di 25°C.
- Il benessere dei cavalli trova giovamento da uno spazio aggiuntivo sia in larghezza che in lunghezza. Anche lo spazio verticale deve essere adeguatamente considerato perché il cavallo mantenga la postura della testa in posizioni bilanciate.
- Particolarmente sensibile per i cavalli risulta essere il rischio di disidratazione e fame per cui si raccomanda di abbeverarli e alimentarli ad libitum ad intervalli regolari di non più di 4 ore per un periodo di 30 minuti, a veicolo fermo.
I suini sono particolarmente soggetti a stress da trasporto e gli effetti negativi sul benessere associati a paura, dolore, disagio, fatica (se i suini non sono trasferiti da piccoli per ingrasso/allevamento), hanno conseguenze altamente rilevanti sulla qualità delle carni, se lo spostamento avviene per la macellazione.
- Le principali misure preventive riguardano la creazione e la manutenzione di strutture adeguate per la stabulazione prima e dopo il trasporto, l’evitare il carico dei mezzi nelle ore più calde, l’istruzione degli addetti alla movimentazione degli animali.
- Per quanto riguarda le condizioni microclimatiche durante il trasporto, la sensibilità allo stress termico varia da una categoria all’altra dei suini:
a) per le scrofe la zona di comfort termico è stimata a 20°C, mentre quella critica su-
periore va oltre i 22°C; b) per i suini da finissaggio le temperature di comfort e critiche sono stimate a 22°C e 25°C; c) per i suini da svezzare di circa 30 kg il comfort è stimato a 25°C, la temperatura critica oltre i 30°C.
- Per eliminare lo stress di gruppo e le lesioni che ne derivano occorre ridurre il più possibile la durata del viaggio e aumentare lo spazio a disposizione sia orizzontale che verticale per permettere una adeguata ventilazione (anche meccanica all’occorrenza se le temperature superano i livelli della zona di comfort).
- I disagi da sete portano a disidratazione dopo 8 ore di trasporto (anche quando i mezzi sono dotati di abbeveratoi molti animali non possono o non sono in grado di bere) mentre quelli da fame si manifestano dopo 12 ore di prolungata privazione del cibo. Oltre questi tempi si devono prevedere soste e riposo in luoghi idonei in postazioni di controllo, evitando il possibile contatto con altri animali con il rischio di contrarre malattie.
a) Trasporto avicoli in generale. Il problema principale che nuoce al benessere è strettamente legato allo spazio a disposizione, alla temperatura effettiva all’interno dei contenitori di trasporto (stress da caldo o da freddo), alla fame e alla sete prolungata in funzione della durata del viaggio.
- A riguardo di quest’ultimo aspetto gli esperti scientifici osservano che a partire dalla 6a ora di sospensione del mangime e dell’acqua gli animali iniziano ad esaurire le riserve metaboliche e oltre le 12 ore di astinenza la fame prolungata porta alla disgregazione delle cellule intestinali; la sete prolungata porta invece all’aumen-
to della creatinina plastica. Tali condizioni sono dannose per il loro benessere (e ovviamente per la qualità della carne se gli animali sono macellati subito dopo il trasporto). Le soluzioni raccomandate, poiché i volatili non possono essere alimentati nelle gabbie di trasporto, è che la durata massima del viaggio non deve superare le 12 ore (10 ore per le galline a fine carriera). - Per quanto riguarda le temperature di trasporto, i criteri di sicurezza e rischio di stress da calore sono indicizzati in rapporto alla temperatura del bulbo secco e all’umidità relativa all’interno dei contenitori.
Per il pollame sono stati convalidati due indici, la temperatura equivalente apparente (AET) e l’indice di comfort entalpico (ECI), che combinano tra loro anche la temperatura a bulbo secco e l’umidità relativa. Se si usa l’indice AET, valori inferiori a 40 rappresentano una zona sicura, per valori compresi tra 40 e 65 i rischi da stress di calore aumentano, per valori superiori a 65 si entra in una zona di pericolo.
Usando l’indice ECI, valori inferiori a 48,0 kJ/kg sono perfetti per una zona di comfort; superando questa soglia i rischi aumentano e al di sopra di 57,6 kJ/kg i meccanismi che i volatili possono mettere in atto per far fronte allo stresso di calore diventano meno efficaci entrando in una zona critica.
b) Trasporto dei pulcini di 1 giorno. Il trasporto dei pulcini di un giorno è particolarmente critico, per lo stress da movimentazione, da caldo e freddo e perché la sospensione prolungata di mangime e acqua nuoce gravemente alla loro salute e al loro benessere. Il suggerimento è quello di trasportare solo uova fecondate per poi farle schiudere nel luogo di allevamento definitivo.
c) Trasporto dei conigli. Per i conigli è raccomandato che durante il trasporto possano stare in posizione ventrale con le zampe
1. Farm
EFSA è stata chiamata ad aggiornare i pericoli insiti nel trasporto, a individuare degli indici per misurare qualitativamente e quantitativamente le conseguenze del benessere, a fornire raccomandazioni per prevenire, correggere o mitigare i pericoli che sono motivo di stress per la salute degli animali e per la qualità delle carni
anteriori estese e quelle posteriori piegate verso il corpo, in posizione di riposo ma con spazio a sufficienza perché possano cambiare posizione. L’altezza dei contenitori per il trasporto deve comunque consentire ai conigli di mantenere le orecchie erette in modo naturale quando sono seduti: le gabbie con altezza di 35-40 cm consentiranno ai conigli da macello (fino a 3 kg) e ai conigli da riproduzione (tra 4,5 e 6 kg) di stare seduti con le orecchie erette.
- Per quanto riguarda il controllo delle temperature all’interno dei contenitori, EFSA suggerisce di controllare la temperatura del bulbo secco e dell’umidità e di calcolare il loro rapporto in un indice di temperatura-umidità (THI): l’indice THI inferiore a 27,8 garantisce una zona sicura, se compreso tra i valori di 27,8 e 28,9 il rischio di stress da calore aumenta (zona di allerta), mentre se è superiore a 28,9 rappresenta un pericolo per il loro benessere.
- La durata del trasporto in funzione della fame e della sete non deve superare le 12 ore. Oltre le 12 ore di astinenza dal mangime, la fame prolungata comporta una sicura perdita di peso.
Il trasporto di animali, sia quelli di specie in libertà che di animali in contenitori è da sempre considerato un aspetto critico per il benessere degli animali, soprattutto per quelli destinati al macello.
I rischi di stress psico-fisico sono prevalentemente legati alla preparazione prima del trasporto, al carico e allo scarico degli animali in tutte le fasi del viaggio, alle condizioni che si trovano all’interno dei mezzi (per lo spazio a disposizione, il microclima e le temperature che si generano, la possibilità o meno di venire abbeverati e alimentati perché gli animali sono sensibili a sete e fame e periodi prolungati di astinenza possono nuocere alla loro salute), alla durata del viaggio nonché alle condizioni di riposo necessarie in aree attrezzate se la trasferta è molto lunga.
Per questo EFSA è stata chiamata ad aggiornare - per ciascuna specie o categoria di animali presa in considerazione - i pericoli insiti nel trasporto, a individuare degli indici per misurare qualitativamente e quantitativamente le conseguenze del benessere (basate sugli animali, ABM), a fornire raccomandazioni per prevenire, correggere o mitigare i pericoli che sono motivo di stress per la salute degli animali e per la qualità delle carni laddove gli animali sono poi destinati al macello.
Tutte queste valutazioni pubblicate nei pareri scientifici divulgati da EFSA (a cui ne seguiranno altri per fornire indicazioni sui sistemi di allevamento, oltre a quello già pubblicato sull’allevamento dei suini) formano un corollario per la stesura dei nuovi regolamenti sul benessere animale che saranno emanati a partire dal 2023. Il concetto cardine legato alla strategia F2F si basa sul riconoscimento che le buone pratiche volte ad aumentare il benessere degli animali, anche se comportano nuovi oneri da affrontare, non solo riducono sofferenze inutili patite dagli animali ma contribuiscono anche a renderli più sani. Viene infatti diminuito lo stress che incide sulla qualità delle carni e si prevengono forme di debilitazione fisica che sono potenzialmente causa di malattie veicolate con gli alimenti, soprattutto nella fase più critica che precede la macellazione e la successiva lavorazione delle carni.
tific Opinion on the welfare of small ruminants during transport. EFSA Journal 2022;20(9):7404, 101 pp. https://doi.org/10.2903/j.efsa.2022.7404
2. Corte dei Conti Europea (2018). Il benessere degli animali nell’UE: colmare il divario tra obiettivi ambiziosi e attuazione pratica. Relazione speciale n. 31/2018. https://op.europa.eu/webpub/eca/special-reports/animal-welfare-31-2018/it/
3. Parlamento europeo – Commissione AGRI (2021). Relazione di attuazione sul benessere degli animali negli allevamenti (relatore: J. Decerle) – A9-0296/21. https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/A-9-2021-0296_EN.html
4. Communication from the Commission on the European Citizens’ Initiative (ECI) “End the Cage Age” (2021/C 274/01).
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/PDF/?uri=OJ:C:2021:274:FULL&fro m=EN
5. EFSA AHAW Panel (EFSA Panel on Animal Health and Welfare). (2022). Scientific Opinion on the welfare of pigs on farm. EFSA Journal 2022; 20(8):7421, 319 pp. https://doi.org/10.2903/j.efsa.2022.7421
6. EFSA AHAW Panel (EFSA Panel on Animal Health and Welfare). (2022). Scien-
7. EFSA AHAW Panel (EFSA Panel on Animal Health and Welfare). (2022). Welfare of cattle during transport. EFSA Journal 2022;20(9):7442, 121 pp. https://doi. org/10.2903/j.efsa.2022.7442
8. EFSA AHAW Panel (EFSA Panel on Animal Health and Welfare). (2022). Scientific Opinion on the welfare of equidae during transport. EFSA Journal 2022;20(9):7444, 113 pp. https://doi.org/10.2903/j.efsa.2022.7444
9. EFSA AHAW Panel (EFSA Panel on Animal Health and Welfare). (2022). Scientific Opinion on the welfare of pigs during transport. EFSA Journal 2022;20(9):7445, 108 pp. https://doi.org/10.2903/j.efsa.2022.7445
10. EFSA AHAW Panel (EFSA Panel on Animal Health and Welfare). (2022). Scientific Opinion on the welfare of domestic birds and rabbits transported in containers. EFSA Journal 2022;20(9):7441, 188 pp. https://doi.org/10.2903/j. efsa.2022.7441
Iproduttori di alimenti non hanno vita facile: devono tener testa ad una concorrenza globale in cui catene di approvvigionamento più complesse vanno di pari passo con le maggiori aspettative di consumatori e rivenditori circa capacità di consegna, qualità
e sostenibilità dei prodotti. Allo stesso tempo, l’aumento dei costi dell’energia e delle materie prime, continuano a mettere sotto pressione i margini di guadagno. In questo contesto aprire nuovi canali di vendita e portare avanti la digitalizzazione potrebbe essere di grande aiuto, consape -
voli del fatto che l’impiego di un ERP all’avanguardia resta il prerequisito essenziale. In generale, l’ERP CSB-System consente di perseguire quattro obiettivi strategici: guidare la crescita dell’azienda attraverso le tecnologie digitali, aumentare la sua competitività attraverso processi più intelligenti, sfruttare i dati per processi decisionali più rapidi e migliorare la resilienza grazie all’ottimizzazione dei processi.
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La forza di molte aziende alimentari risiede nella leadership di prodotto. Ma que -
sta non può esistere senza la conoscenza accurata dei processi di produzione. Le applicazioni MES e CIM del CSB-System hanno la principale funzione di gestire e controllare produttività dello stabilimento. La gestione coinvolge la gestione e spedizione degli ordini, gli avanzamenti in quantità e tempo, il carico a magazzino, nonché il collegamento diretto ai macchinari. La manutenzione predittiva e le soluzioni robotiche rendono il tutto ancora più intelligente. In questo contesto, anche l’elaborazione industriale delle immagini svolge un ruolo importante nell’automazione della fabbrica: con CSB-Eyedentifier® è possibile automatizzare le fasi di inserimento, identificazione, smistamento e destinazione degli articoli; il CSB-ImageMeater®, invece, offre un metodo innovativo per una classificazione commerciale obiettiva e trasparente delle carcasse suine, con automatizzazione completa del processo.
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migliore qualità o ancora se ci sono “punti oscuri” nella tracciabilità.
L’efficienza dei processi di gestione e la gestione flessibile della catena di approvvigionamento sono diventate molto più importanti durante la pandemia. Ma ad un’analisi più attenta, intervenire su queste criticità si è rivelato estremamente strategico: l’ERP CSB-System contribuisce ad affrontare le sfide presenti ma è anche uno strumento per poter agire in caso di eventi imprevisti e fluttuazioni del mercato: la pianificazione delle vendite, per esempio, impone previsioni per il futuro che si basano su dati provenienti dalla capacità di stoccaggio, dall’ottimizzazione delle scorte, dalla pianificazione dei giri di consegna, e così via. In altre parole, il mo-
nitoraggio digitale completo della creazione del valore aggiunto, dal ricevimento della merce alla consegna del prodotto, rende la catena di produzione il più flessibile possibile e ne migliora la resilienza.
Numerosi studi riportano che per essere competitivi, non c’è modo di aggirare la digitalizzazione. Già oggi il successo delle aziende alimentari si basa sul concetto di ottimizzazione continua supportata dall’IT. Scegliere le soluzioni collaudate CSB-System contribuisce a contrastare l’aumento dei costi di processo a vantaggio di una maggiore efficienza e verso l’Industria 4.0.
Referente CSB-System: Andrè Muehlberger, Direttore CSB-System S.r.l. www.csb.com
La gestione degli allergeni da possibili contaminazioni crociate e la redistribuzione (donazioni) degli alimenti
del 2016 in quanto, da allora ad oggi, sono state effettuate diverse revisioni della normativa pertinente, ad esempio l’introduzione del controllo degli allergeni e della cultura della sicurezza alimentare quali requisiti previsti nel Reg. 852/2004 in seguito alla modifica introdotta dal Reg. 2021/382, e delle norme internazionali, il provvedimento definisce il proprio scopo e ambito di applicazione.
L’obiettivo del documento è quello facilitare e armonizzare l’applicazione dei requisiti dell’UE in materia di corrette prassi igieniche (GHP) e di procedure basate sui principi del sistema dell’analisi dei pericoli e punti critici di controllo (HACCP) nell’ambito dei sistemi di gestione per la sicurezza alimentare (FSMS), offrendo orientamenti pratici.
b) ruolo guida nella produzione di alimenti sicuri e nel coinvolgimento di tutti i dipendenti in prassi di sicurezza alimentare; per ruolo guida si intende la percezione della misura in cui i dirigenti dell’OSA sono in grado di coinvolgere il personale nelle prestazioni e nella conformità in materia di sicurezza alimentare per soddisfare i requisiti in materia di sicurezza degli alimenti e garantire una reazione adeguata ai rischi, alle anomalie e alle circostanze mutevoli;
Sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 16.09.2022 è stata pubblicata la COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE 2022/C 355/01 relativa all’attuazione dei sistemi di gestione per la sicurezza alimentare riguardanti le corrette prassi igieniche e le procedure basate sui principi del sistema HACCP, compresa l’agevolazione/la flessibilità in determinate imprese alimentari, che aggiorna e sostituisce la Comunicazione di analogo contenuto adottata nel 2016. Si precisa innanzitutto che trattasi di documento di orientamento non giuridicamente vincolante, a differenza dei requisiti di legge indicati nella quarta sezione dello stesso (in primis le norme contenute nel Reg. 852/2004 in materia di igiene degli alimenti, il Reg. 178/2002 e 931/2011 per quel che concerne la rintracciabilità dei prodotti).
Ciononostante, la Comunicazione 2022 fornisce strumenti ed esempi a tutti gli operatori del settore alimentare sul modo in cui applicare i requisiti dell’UE, e può essere integrata da orientamenti a livello settoriale e nazionale ai fini della sua diretta applicazione in stabilimenti specifici. Resta fermo il principio della responsabilità primaria degli OSA in materia di sicurezza alimentare. Dopo una introduzione in cui si dà atto dell’esigenza di aggiornare la Comunicazione
Particolare attenzione è prestata alla flessibilità prevista nell’applicazione delle GHP e delle procedure basate sui principi del sistema HACCP, tenendo conto della natura dell’attività e delle dimensioni dello stabilimento.
Tra gli esempi di GHP appare opportuno soffermarsi su alcuni aspetti che sono stati di recente oggetto di aggiornamento del Reg. 852/2004 sull’igiene dei prodotti alimentari, ad opera del Reg. 2021/382 (in vigore dal 24.03.2021), per quanto riguarda la cultura della sicurezza alimentare, la gestione degli allergeni alimentari e la ridistribuzione degli alimenti.
Il capitolo XI bis dell’allegato II del regolamento (UE) n. 852/2004, come modificato dal Reg. 382/2021, fa riferimento alle seguenti componenti di una cultura della sicurezza alimentare: a) impegno da parte della dirigenza e di tutti i dipendenti alla produzione e alla distribuzione sicure degli alimenti; i requisiti relativi all’impegno da parte della dirigenza sono ulteriormente elaborati e definiti nel regolamento (CE) n. 852/2004; per impegno da parte dei dipendenti si intende la percezione del grado di impegno e di coinvolgimento nell’ambito della sicurezza alimentare di tutti i dipendenti dell’OSA;
c) consapevolezza, da parte di tutti i dipendenti dell’impresa, dei pericoli per la sicurezza alimentare e della sua importanza; la consapevolezza è la percezione della misura in cui tutto il personale di un OSA è a conoscenza dei rischi relativi alla sicurezza alimentare nell’ambito dei propri compiti e li tiene sotto controllo;
d) comunicazione aperta e chiara tra tutti i dipendenti dell’impresa, nell’ambito di un’attività e tra attività consecutive, all’interno di un sito produttivo o di diverse sedi di un OSA, compresa la comunicazione di deviazioni e aspettative; la comunicazione si riferisce alla percezione del grado di trasferimento o diffusione delle informazioni relative alla sicurezza alimentare all’interno dell’organizzazione; e) disponibilità di risorse sufficienti per garantire la manipolazione sicura e igienica degli alimenti; per risorse sufficienti si intende la percezione della misura in cui l’OSA dispone di mezzi materiali e immateriali necessari per operare in modo da garantire la sicurezza alimentare (ad esempio tempo, personale, infrastrutture, istruzione/formazione e procedure).
Il regolamento (CE) n. 852/2004 stabilisce pertanto l’obbligo giuridico per gli OSA di attuare la cultura della sicurezza alimentare, che dovrebbe essere verificata dall’autorità competente. In quest’ambito la formazione rappresenterà spesso lo strumento più importante ai fini del conseguimento di una buona cultura della sicurezza alimentare o dell’adozione di un’azione correttiva nel caso in cui siano rilevate carenze durante la valutazione della portata della cultura della sicurezza alimentare.
Poiché le componenti della cultura della sicurezza alimentare possono essere soggette ad aspetti di percezione diversa dentro l’organizzazione, la verifica della cultura della sicurezza alimentare dovrebbe essere effettuata verificando dati oggettivi, ad esempio le prassi di igiene alimentare, la formazione seguita dal personale, il controllo della documentazione relativa al flusso di informazioni e agli scambi tra dipendenti e dirigenti o il controllo delle prestazioni come i risultati degli audit interni, l’analisi microbiologica, il follow-up delle non conformità ecc. È possibile organizzare un’indagine utilizzando un questionario che andrebbe inviato al maggior numero possibile di dipendenti e compilato da quanti più possibile. Nel testo della comunicazione è fornito un esempio di questionario volto a verificare i cinque aspetti – attinenti alla dirigenza, alla comunicazione, all’impegno e coinvolgimento, alla consapevolezza ed alle risorse – coinvolti nell’implementazione di una cultura della sicurezza alimentare. Come detto, l’attuazione di una cultura della sicurezza alimentare può essere oggetto di verifica da parte dell’Autorità competente attraverso audit previsti per accertarsi che l’OSA abbia ottemperato all’obbligo giuridico fissato dal Regolamento (UE) 2021/382.
Durante l’audit gli OSA devono dimostrare che tutto il personale è a conoscenza delle questioni concernenti la sicurezza alimentare pertinenti per i propri compiti e che è attuata una cultura della sicurezza alimentare adeguata.
Il revisore può verificare la cultura della sicurezza alimentare ricorrendo agli strumenti seguenti: - controllo delle indagini sulla cultura della sicurezza alimentare (ad esempio tramite questionari) effettuate nello stabilimento o nel gruppo di stabilimenti che svolge la stessa attività; - colloqui e osservazione; - controllo delle conoscenze del personale interpellato sull’importanza di fornire alimenti sicuri e adeguati; - controllo del comportamento e dell’atteggiamento dei dipendenti in materia di igiene degli alimenti;
- controllo dell’impegno da parte della dirigenza e della comunicazione con gli altri reparti; - controllo del ruolo guida nel coinvolgimento di tutto il personale nelle prassi di sicurezza alimentare; - controllo delle risorse.
In un’ottica di flessibilità, un audit approfondito e specifico per la cultura della sicurezza alimentare è consigliato per le grandi imprese o per i gruppi di stabilimenti che svolgono le stesse attività all’interno di un settore o di uno stesso gruppo di imprese mentre, per i piccoli OSA, il revisore può valutare la consapevolezza del personale attraverso l’osservazione e i colloqui con il personale pertinente
Il Reg. 382/2021 ha modificato il Reg. 852/2004 introducendo:
- nell’allegato I (dedicato alla prodizione primaria) parte A, sezione II, il seguente punto 5 bis: «Le attrezzature, i veicoli e/o i contenitori utilizzati per la raccolta, il trasporto o il magazzinaggio di sostanze o prodotti che provocano allergie o intolleranze di cui all’allegato II del regolamento (UE) n. 1169/2011 non devono essere utilizzati per la raccolta, il trasporto o il magazzinaggio di alimenti che non contengono tali sostanze o prodotti a meno che tali attrezzature, veicoli e/o contenitori non siano stati puliti e controllati almeno per verificare l’assenza di eventuali residui visibili di tali sostanze o prodotti.».
- nell’allegato II (relativo alle fasi successive alla produzione primaria), capitolo IX il seguente punto 9: «Le attrezzature, i veicoli e/o i contenitori utilizzati per la trasformazione, la manipolazione, il trasporto o il magazzinaggio delle sostanze o dei prodotti che provocano allergie o intolleranze, di cui all’allegato II del regolamento (UE) n. 1169/2011, non devono essere utilizzati per la trasformazione, la manipolazione, il trasporto o il magazzinaggio di prodotti alimentari che non contengono tali sostanze o prodotti, a meno che tali attrezzature, veicoli e/o contenitori non siano stati puliti e controllati almeno per verificare l’assenza di eventuali residui visibili di tali sostanze o prodotti.».
La Comunicazione in esame indica che, nella PRODUZIONE PRIMARIA, raccolta o macellazione, la gestione degli allergeni dovrebbe tenere conto di quanto segue per prevenire o ridurre al minimo il rischio di contaminazione da allergeni:
- sensibilizzare i produttori primari sull’uso di prodotti (ad esempio colture non intenzionalmente contaminate da crescione di sedano o di senape), substrati (ad esempio paglia di cereali utilizzata per la coltivazione di funghi) e prodotti fitosanitari, comprese le sostanze di base (ad esempio solfiti), che sono riconosciuti come allergeni;
- valutare attentamente la rotazione delle colture, in particolare se i prodotti (allergeni) delle colture precedenti possono contaminare quelle nuove;
- evitare e controllare la contaminazione incrociata durante la raccolta, la macellazione (ad esempio tuorlo d’uovo nelle galline ovaiole macellate, cereali nel gozzo del pollame), la manipolazione, il magazzinaggio e il trasporto.
Nelle FASI SUCCESSIVE DELLA PRODUZIONE ALIMENTARE, per prevenire o ridurre al minimo il rischio di contaminazione da allergeni, è opportuno considerare quanto segue:
- prestare attenzione alle materie prime in entrata, compresa la richiesta di specifiche sui relativi ingredienti, qualora non siano evidenti; nel caso in cui sia segnalata la presenza di allergeni indesiderati nelle materie prime, il fornitore dovrebbe quantificarli (mg di proteina allergenica/kg di alimento) per consentire al produttore di alimenti di applicare la valutazione dei rischi;
- se sono utilizzati allergeni regolamentati o prodotti che li contengono come materie prime o ingredienti, è opportuno garantire che il personale sia sensibilizzato in merito alla gestione degli allergeni e prestare particolare attenzione al corretto magazzinaggio (minimo rischio di contaminazione incrociata di altri prodotti), all’etichettatura degli allergeni e all’applicazione delle ricette di questi prodotti;
- dovrebbero essere previste procedure per impedire lo scambio di prodotti (materie prime, prodotti intermedi e prodotti finiti) e di etichette;
- è opportuno applicare misure rigorose per ridurre al minimo la contaminazione incrociata tra prodotti potenzialmente contenenti allergeni regolamentati e altri prodotti senza allergeni o contenenti allergeni diversi. La segregazione andrebbe applicata utilizzando, ove possibile, linee di produzione, recipienti e locali di magazzinaggio separati (ad esempio, se del caso, imballaggi chiusi), ricorrendo a una specifica metodologia di lavoro/ordine di produzione, ad esempio mediante la programmazione – produzione a fine giornata di prodotti con (la maggiore quantità di) allergeni –, sensibilizzando (formazione specifica) i lavoratori e garantendo il rispetto delle norme di igiene prima del ritorno al lavoro dopo le pause per mangiare o bere;
- è opportuno prestare attenzione al potenziale di contaminazione incrociata anche nelle fasi preparatorie (rimozione degli imballaggi, manipolazione preliminare e pesatura degli ingredienti ecc.) e nelle fasi successive alla produzione, ad esempio nel trasporto alla rinfusa.
In tutte le fasi in cui non è possibile effettuare controlli periodici che verifichino l’assenza di detriti visibili, è opportuno rivolgere maggiore attenzione alla frequenza e all’efficacia della pulizia delle attrezzature.
È importante anche la convalida/verifica del metodo di pulizia.
La portata delle misure di controllo per la prevenzione della contaminazione incrociata degli allergeni deve essere elaborata in base al numero e alla quantità di allergeni utilizzati, alla complessità della manipolazione (ad esempio trasformazione con miscelazione rispetto a manipolazione pura di alimenti preimballati), al numero di cambi di prodotto (rischio di contaminazione incrociata) nonché alla frequenza e alla solidità (di facile applicazione o meno) delle procedure di pulizia.
LABELLING (“può contenere grano, latte, uova….”)
Conformemente al regolamento (UE) n. 1169/2011 l’etichettatura obbligatoria si applica solo quando i prodotti o le sostanze allergeniche incluse nell’allegato II del citato provvedimento sono stati aggiunti intenzionalmente come ingredienti o coadiuvanti tecnologici.
Le informazioni relative alla presenza eventuale e non intenzionale negli alimenti di sostanze o prodotti che provocano allergie o intolleranza possono essere fornite su base volontaria.
In attesa dell’adozione di tali disposizioni armonizzate, gli operatori del settore alimentare sono tenuti a garantire che tali informazioni, ove fornite, non inducano in errore il consumatore o non siano ambigue né confuse per quest’ultimo.
L’etichettatura precauzionale degli allergeni deve essere utilizzata solo quando non è possibile attuare efficacemente una strategia preventiva e il prodotto può presentare un rischio per i consumatori allergici.
Si tratta di una dicitura separata che si trova accanto all’elenco degli ingredienti e che dovrebbe basarsi sui risultati di un’adeguata valutazione dei rischi, condotta dal produttore di alimenti, per valutare la presenza eventuale e non intenzionale di allergeni.
È importante precisare che tale “precautionary allegen labelling”(PAL) non deve mai essere uti-
lizzata come alternativa all’adozione di misure preventive.
Favorire le donazioni alimentari è una priorità nel quadro del piano d’azione per l’economia circolare della Commissione europea come mezzo per evitare gli sprechi alimentari e promuovere la sicurezza alimentare, in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.
Le donazioni alimentari possono avere luogo in qualsiasi fase della catena alimentare, quando si registra un eccesso di produzione/scorte, ma spesso avvengono a livello di commercio al dettaglio.
In particolare nel commercio al dettaglio, tali alimenti possono essere vicini alla data di scadenza, e l’eventuale presenza di altri pericoli deve essere prevenuta adottando ulteriori GHP.
Per questo motivo sono state intraprese diverse iniziative per garantire una ridistribuzione sicura degli alimenti, sebbene sia di fondamentale importanza prevenire i rifiuti alimentari il prima possibile:
- introduzione di un capitolo specifico V bis «Ridistribuzione di alimenti» nell’allegato II del regolamento (CE) n. 852/2004, contenente le condizioni per una ridistribuzione sicura degli alimenti destinati alle donazioni;
A tal proposito si ricorda che il capitolo V bis dell’allegato II del regolamento 852/2004 come modificato dal Reg. 382/2021 dispone che:
CAPITOLO V bis Ridistribuzione degli alimenti Gli operatori del settore alimentare possono ridistribuire alimenti a fini di donazione alimentare alle seguenti condizioni:
1) gli operatori del settore alimentare devono verificare sistematicamente che gli alimenti sotto la loro responsabilità non siano dannosi per la salute e siano adatti al consumo umano conformemente all’articolo 14, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 178/2002. Se l’esito della verifica effettuata è soddisfacente, gli operatori del settore alimentare possono ridistribuire gli alimenti conformemente al punto 2:
- per gli alimenti ai quali si applica una data di scadenza conformemente all’articolo 24 del regolamento (UE) n. 1169/2011, prima della scadenza di tale data;
- per gli alimenti ai quali si applica un termine minimo di conservazione conformemente all’articolo 2, paragrafo 2, lettera r), del regolamento (UE) n. 1169/2011, fino a tale data e successivamente; o
- per gli alimenti per i quali non è richiesto un termine minimo di conservazione conformemente all’allegato X, punto 1, lettera d), del regolamento (UE) n. 1169/2011, in qualsiasi momento
2) Gli operatori del settore alimentare che manipolano gli alimenti di cui al punto 1 devono
valutare se gli alimenti non siano dannosi per la salute e siano adatti al consumo umano tenendo conto almeno dei seguenti elementi:
- il termine minimo di conservazione o la data di scadenza, assicurandosi che la durata di conservazione residua sia sufficiente per consentire la sicurezza della ridistribuzione e dell’uso da parte del consumatore finale;
- l’integrità dell’imballaggio, se opportuno; - le corrette condizioni di magazzinaggio e trasporto, compresi i requisiti applicabili in materia di temperatura;
- la data di congelamento conformemente all’allegato II, sezione IV, punto 2, lettera b), del regolamento (CE) n. 853/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, se applicabile;
- le condizioni organolettiche;
- la garanzia di rintracciabilità conformemente al regolamento di esecuzione (UE) n. 931/2011 della Commissione, nel caso di prodotti di origine animale - i venditori al dettaglio possono congelare le carni fresche di ungulati domestici (bovini, suini, ovini, caprini), pollame e lagomorfi in vista della loro ridistribuzione a fini di donazioni alimentari, a determinate condizioni, conformemente a una recente modifica del regolamento (CE) n. 853/20041. Il vantaggio di tale operazione deve essere bilanciato con taluni rischi microbiologici che potrebbero verificarsi con il congelamento e lo scongelamento; - la sezione 5 della comunicazione della Commissione sulle attività di commercio al dettaglio contiene ulteriori orientamenti su questi aspetti igienici relativi alla ridistribuzione degli alimenti e alle donazioni alimentari. Gli orientamenti includono raccomandazioni specifiche per ulteriori GHP relative ai seguenti aspetti:
- controllo della conservabilità; - gestione di alimenti restituiti; - valutazione ai fini delle donazioni alimentari, compresa la valutazione della conservabilità residua;
- congelamento di alimenti destinati a donazione.
1Le carni destinate al congelamento devono essere congelate senza indebito ritardo, tenendo conto del periodo di stabilizzazione eventualmente necessario prima del congelamento. Gli operatori del settore alimentare che svolgono un’attività di vendita al dettaglio possono tuttavia congelare le carni per la loro ridistribuzione a fini di donazioni alimentari alle seguenti condizioni i) per le carni alle quali si applica una data di scadenza conformemente all’articolo 24 del regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, prima della scadenza di tale data; ii) senza indebito ritardo, fino a una temperatura pari o inferiore a –18 °C; iii) garantendo che la data di congelamento sia documentata e indicata sul’etichetta o con altri mezzi; iv) escluse le carni che sono già state congelate in precedenza (carni scongelate); e v) conformemente alle condizioni stabilite dalle autorità competenti per il congelamento e il successivo impiego come alimenti. Le carni non confezionate devono essere immagazzinate e trasportate separatamente dalle carni imballate, a meno che il magazzinaggio o il trasporto non avvengano in tempi diversi o in maniera tale che il materiale di confezionamento e le modalità del magazzinaggio o del trasporto non possano essere fonte di contaminazione delle carni.