Luigi Fiorani storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta

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Atti e rendiconti Collana a cura di Caterina Fiorani 1 Fondazione Camillo
Roma
Caetani

luigi FioRani

stoRiCo di Roma Religiosa e dei Caetani di seRmoneta a cura di CateRina FioRani e domeniCo RoCCiolo Roma 2013 edizioni di stoRia e letteRatuRa

Prima edizione: maggio 2013

isBn 978-88-6372-436-3

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ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

xi salut i bruno toscano xvii giacomo antonelli xviii
farina xix
palermo xxi
vendittelli
ricerca
INDICE DEL VOLUME Presentazione
raffaele
luciano
marco
xxii la
negli archivi
3
caterina fiorani, «Un archivista filosofo»
15
pagano,
ricerche
nell’Archivio Segreto Vaticano 33 manola ida venzo, Le fonti nell’Archivio di Stato di Roma 41 domenico rocciolo, I documenti dell’Archivio Storico del Vicariato e le «Ricerche per la storia religiosa di Roma» 55
marco buonocor e, Le ricerche nella Biblioteca Apostolica Vaticana
sergio
Le
di Luigi Fiorani
Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013
viii INDICE DEL VOLUME gli studi su roma religiosa luciano osbat, Tra storia della pietà e storia della vita religiosa 69 massimiliano ghilardi, Gli «Studi romani» e l’antichità cristiana 85 anna esposito, Le confraternite romane nel Medioevo 107 paola vismar a, La chiesa di Roma nell’età della Controriforma 115 mirella mombelli castracane, Le confraternite romane: la lotta al pauperismo e i conflitti con lo Stato italiano 131 stefania nanni, Sacralizzare gli spazi, sacralizzare i cuori. Sociabilità devota e missione nuova 181 marina caffiero, Le conversioni: modelli, strategie, pratiche 193 mario rosa, Luigi Fiorani e gli studi sul Settecento religioso romano 205 mario tost i, La Chiesa di Pio VI e la rivoluzione 217 annibale zambarbier i, Chiesa romana e tempi nuovi, da Leone x III a Pio x I 229 lidia piccioni, Chiesa e società civile nella Roma contemporanea: tra rete territoriale e resistenza 239 le pubblicazioni sui caetani di sermoneta manuel vaquero piñeiro, Sermoneta e Ninfa tra medioevo ed età moderna: linee di ricerca sulle signorie laziali 253 angela negro, Le indagini sulla committenza artistica dei Caetani da Siciolante a Batoni 267 franca tagliett i, Il palazzo Caetani alle Botteghe Oscure e la sua storia 271 m assimo cattaneo, Onorato Caetani «uomo enciclopedico e illuminato» del Settecento europeo 285
ix INDICE DEL VOLUME margherita palumbo, Tommaso Campanella e i Caetani 301 massimo colesant i, L’ ironia di don Filippo e l’amicizia con Stendhal 321 paul op de coul, Ricerca in corso sulla vita e l’opera di Roffredo Caetani 333 sophie levi e, La corrispondenza di Marguerite Caetani 345 daniele menozzi, Conclusioni 353 Bibliografia di Luigi Fiorani 363 Indice dei nomi 373

Questo volume onora la memoria di Luigi Fiorani venuto a mancare il 3 dicembre 2009. Contiene gli atti del convegno che la Fondazione Camillo Caetani, la Biblioteca Apostolica Vaticana, l’Istituto Nazionale di Studi Romani e la Società Romana di Storia Patria, gli hanno voluto dedicare ad un anno di distanza dalla morte: il 3-4 dicembre 2010. Il colloquio si è svolto a Palazzo Caetani e ha visto la partecipazione di archivisti e di storici, i quali hanno presentato le loro relazioni nell’ambito di tre sessioni: la prima rivolta alle fonti che egli ha esaminato negli archivi e nelle biblioteche di Roma e del Vaticano, la seconda riservata agli studi che ha realizzato sulla storia religiosa di Roma e la terza destinata ai saggi che ha promosso e pubblicato nelle collane della Fondazione Camillo Caetani.

Nel ricordare la vastità degli interessi che hanno contraddistinto la sua attività di storico, i relatori hanno rilevato l’entità cospicua dei suoi lavori e la costante disponibilità con la quale, in qualità di direttore degli archivi della Biblioteca Apostolica Vaticana e della Fondazione Camillo Caetani, ha agevolato gli studi. La profonda conoscenza che ha avuto delle fonti e l’ampiezza delle competenze che gli sono state riconosciute negli ambienti eruditi, lo hanno reso un interlocutore di primo piano per ricerche di ampio respiro su breve e lungo periodo.

Per volontà delle istituzioni promotrici il convegno ha avuto un taglio scientifico ed è stato caratterizzato da una prospettiva delimitata al solo ambito dei suoi scritti, rimandando ad altra occasione l’analisi degli impegni che ha assunto nella vita della Chiesa di Roma, specialmente a partire dagli anni Sessanta. È emersa, pertanto, la rilevanza di un lavoro storiografico realizzato con passione nell’arco di oltre quaranta anni, per molti versi innovativo, inizialmente rivolto alle antichità cristiane e successivamente incentrato su Roma religiosa e sui Caetani di Sermoneta nell’età moderna e contemporanea. Alcuni temi della sua produzione scientifica, purtroppo, non sono stati compresi nel programma, ma è stata una scelta obbligata e almeno parzialmente giustificata dalla quantità dei suoi lavori, dalla varietà e vastità dei suoi progetti di ricerca. Dopo le relazioni sulle sue indagini

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PRESENTAZIONE
Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013

nell’Archivio Caetani, nella Biblioteca Apostolica Vaticana, nell’Archivio Segreto Vaticano, nell’Archivio di Stato di Roma e nell’Archivio Storico del Vicariato, uno spazio adeguato è stato dato alla riflessione sul legame che ha unito la sua proposta di storia religiosa di Roma alla storia della pietà insegnata da don Giuseppe De Luca. Sono noti i suoi richiami alla grande lezione offerta dal fondatore dell’«Archivio italiano per la storia della pietà» e i suoi contributi per una storia letta dal basso e dal concreto umano: un terreno di ricerca, che a metà degli anni Settanta era ancora da dissodare e soprattutto era privo di efficaci strumenti di lavoro e di discussione metodologica. Sulla base di questi presupposti si sono succeduti interventi su argomenti discussi nelle «Ricerche per la storia religiosa di Roma» e in altre sedi di studi storici: la pietà tridentina e barocca, l’esperienza religiosa delle confraternite, le strutture della Chiesa di Roma nell’età della Controriforma, il pauperismo, la sacralizzazione degli spazi destinati alla vita religiosa, le conversioni, il Settecento religioso, i rapporti tra la Chiesa di Pio VI e la Rivoluzione francese, il modernismo, il ministero di Pio XI vescovo di Roma, Roma religiosa durante l’occupazione tedesca.

Allo stesso modo, la sessione sui Caetani ha privilegiato l’itinerario che ha percorso per far convergere l’interesse dei ricercatori sulla storia di un casato, che molto aveva dato alla Chiesa, alla società e alla cultura italiane. Con le collane «Quaderni» e «Studi e documenti d’archivio» della Fondazione Camillo Caetani ha valorizzato le preziose testimonianze documentarie che gli erano affidate e ha divulgato aspetti di una vicenda familiare strettamente intrecciata alla storia di Roma e dell’Italia centro-meridionale. Dinamiche politiche, sociali e culturali, vita religiosa, questioni territoriali, patrimoniali e istituzionali, espressioni del gusto artistico, sono rientrate nel vasto giro d’orizzonte che ha compiuto sulla Gens Caietana. Il convegno ha tenuto conto di una parte delle ricerche che ha favorito o firmato: dalle ricognizioni su Ninfa e Sermoneta tra medioevo ed età moderna alla committenza artistica dei Caetani, dalla storia del palazzo alle Botteghe Oscure ai rapporti di Tommaso Campanella con alcuni membri della famiglia, dalla figura dell’erudito settecentesco Onorato all’ironia espressa da Filippo Caetani con i suoi acquerelli, fino all’opera musicale del duca Roffredo e al considerevole progetto letterario sostenuto dalla principessa Marguerite Chapin Caetani. Al termine del colloquio una relazione conclusiva ha legato i temi emersi e gli aspetti esaminati e ha messo in evidenza il pregio di un’attività di ricerca pluridecennale volta a contribuire al rinnovamento degli studi, in particolare di quelli storico-religiosi.

PRESENTAZIONE xii

Chiudiamo questa breve presentazione esprimendo la nostra profonda gratitudine alle istituzioni, alle studiose e agli studiosi, che hanno aderito all’iniziativa.

caterina fiorani domenico rocciolo

Riportiamo qui il programma del convegno: «Fondazione Camillo Caetani, Biblioteca Apostolica Vaticana, Istituto Nazionale di Studi Romani, Società Romana di Storia Patria: Luigi Fiorani storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta a un anno dalla morte, Colloquio a Palazzo Caetani, Roma 3-4 dicembre 2010. Venerdì

3 dicembre, apertura dei lavori e indirizzi di saluto: Bruno Toscano, Presidente della Fondazione Camillo Caetani; Giacomo Antonelli, Vice Presidente della Fondazione Camillo Caetani; Raffaele Farina, Cardinale Archivista e Bibliotecario di S. R.

C.; Paolo Sommella, Presidente dell’Istituto Nazionale di Studi Romani (sostituito da Luciano Palermo); Letizia Pani Ermini, Presidente della Società Romana di Storia Patria (sostituita da Marco Vendittelli). Sessione I: La ricerca negli archivi Presiede Paola Pavan (Archivio Storico Capitolino). Caterina Fiorani (Fondazione Camillo Caetani), «Un archivista filosofo»; Marco Buonocore (Biblioteca Apostolica Vaticana), Le ricerche nella Biblioteca Apostolica Vaticana; Sergio Pagano (Archivio Segreto Vaticano), Le ricerche nell’Archivio Segreto Vaticano; Manola Ida Venzo (Archivio di Stato di Roma), Le fonti nell’Archivio di Stato di Roma; Domenico Rocciolo (Archivio Storico del Vicariato di Roma), I documenti dell’Archivio Storico del Vicariato di Roma. Sessione II: Gli studi su Roma religiosa. Presiede Cristina Carbonetti Vendittelli (Università di Roma “Tor Vergata”). Luciano Osbat (Università della Tuscia), Tra storia della pietà e storia della vita religiosa; Massimiliano Ghilardi (Istituto Nazionale di Studi Romani), Gli “Studi romani” e l’antichità cristiana; Anna Esposito (Sapienza Università di Roma), Le confraternite nel medioevo; Paola Vismara (Università di Milano), La Chiesa di Roma nell’età della Controriforma; Mirella Mombelli Castracane (Sapienza Università di Roma), Le confraternite romane, la lotta al pauperismo e i conflitti con lo Stato italiano; Stefania Nanni (Sapienza Università di Roma), «Sacralizzare gli spazi, sacralizzare i cuori»; Marina Caffiero (Sapienza Università di Roma), Conversioni: modelli, strategie e pratiche; Mario Rosa (Scuola Normale Superiore di Pisa), Settecento religioso; Mario Tosti (Università di Perugia), La Chiesa di Pio VI e la Rivoluzione; Annibale Zambarbieri (Università di Pavia), “Chiesa romana” e tempi nuovi, da Leone x III a Pio x I; Lidia Piccioni (Sapienza Università di Roma), Chiesa e società civile nella Roma contemporanea: tra rete territoriale e Resistenza. Sabato 4 dicembre, Sessione III: Le pubblicazioni sui Caetani di Sermoneta. Presiede Giuseppe Monsagrati (Sapienza Università di Roma). Manuel Vaquero Piñeiro (Università di Perugia), Sermoneta e Ninfa tra medioevo e età moderna; Angela Negro (Soprintendenza SPSAE e per il Polo Museale della Città di Roma), Le indagini sulla committenza artistica dei Caetani:

PRESENTAZIONE xiii

da Siciolante a Batoni; Franca Taglietti (Sapienza Università di Roma), Il Palazzo alle Botteghe Oscure e la sua storia; Massimo Cattaneo (Università di Napoli Federico II), Onorato Caetani “uomo enciclopedico e illuminato” del Settecento europeo; Margherita Palumbo (Biblioteca Casanatense), Campanella e i Caetani; Massimo Colesanti (Fondazione Primoli), L’ironia di Filippo Caetani; Paul Op De Coul (Universiteit Utrecht), Ricerca in corso sulla vita e l’opera di Roffredo Caetani; Sophie Levie (Radboud Universiteit Nijmegen), La corrispondenza di Marguerite Caetani; Daniele Menozzi (Scuola Normale Superiore di Pisa), Conclusioni ».

Biografia di Luigi Fiorani.

Nasce a Roma il 25 aprile 1938. Compie gli studi ginnasiali e liceali, frequenta i corsi di biblioteconomia, archivistica, paleografia e diplomatica alla Scuola Vaticana e nel 1963 si laurea in Lettere all’Università di Roma. Nel 1964 l’Istituto Nazionale di Studi Romani gli affida la rubrica della sua rivista dedicata alle antichità cristiane. Insegna materie letterarie all’Istituto Magistrale Braschi di Subiaco, il 1 febbraio 1964 diviene archivista della Fondazione Camillo Caetani e il 1 settembre 1969, con la medesima qualifica di archivista, entra nei ruoli della Biblioteca Apostolica Vaticana. Dopo aver pubblicato nel 1956 un saggio sull’arte di Mario Barberis ed aver dedicato i suoi primi studi alle antichità cristiane, si interessa alla storia religiosa di Roma e alle vicende dei Caetani di Sermoneta in età moderna e contemporanea. Nel 1975 fonda i «Quaderni della Fondazione Camillo Caetani», nel 1977 esce il primo numero della sua collana «Ricerche per la storia religiosa di Roma», nel 1989 inaugura una nuova serie di pubblicazioni con il titolo «Studi e documenti d’archivio» della sopraddetta Fondazione. Nel partecipare a numerose attività di ricerca, stringe rapporti di collaborazione con istituzioni culturali e università italiane e straniere. Nel 1992 riceve la nomina di socio ordinario della Società Romana di Storia Patria e nel 2000 diviene membro ordinario dell’Istituto Nazionale di Studi Romani. Il 3 dicembre 2009 muore improvvisamente a Roma.

PRESENTAZIONE xiv

SALUTI

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Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013

bruno toscano

A causa della mia assenza per precedenti impegni di lavoro fuori Roma, Giacomo Antonelli mi fa l’onore di leggere queste righe che aprono il Colloquio promosso e organizzato dalla Fondazione Camillo Caetani, dedicato all’opera di Luigi Fiorani.

Fiorani è stato per molti anni, al fianco di Giacomo Antonelli, la guida culturale della Fondazione. Nelle varie forme in cui si è svolta l’attività della Fondazione, a cominciare dalle iniziative editoriali, la sua impronta era inconfondibile. L’ Archivio Caetani, ‘cuore’ storico e emblema della nostra Istituzione, è essenzialmente, nella sua attuale struttura, una sua realizzazione. La dimestichezza con lo sterminato patrimonio di carte ha fatto sì che egli diventasse quasi un intrinseco di Casa Caetani medievale e moderna, un perno di quella che un tempo nei casati aristocratici si chiamava la ‘famiglia’, in cui egli rivestiva il ruolo di memoria. A questa sua qualità dobbiamo attribuire la particolare affettività che ci sembra di sentire nei suoi numerosi ritratti di personaggi della Famiglia, un approccio ‘caldo’ che d’altra parte non ha mai velato il rigore delle relative ricerche, che costituiscono una parte assolutamente non trascurabile della sua produzione scientifica.

Profondo impegno filologico e ‘simpatia’ per l’argomento avvalorano ma anche animano la parte più cospicua e senza dubbio più nota della sua opera di storico. Spero che sia permesso di affermarlo a chi non è in senso stretto un addetto ai lavori. Gradi di oggettività e di immedesimazione convivevano in armonia nella ricerca di Fiorani, rivolta prevalentemente alla storia religiosa, e l’effetto di questa armonia è avvertito anche dal lettore non storico, che rimane colpito soprattutto dalla compattezza del risultato complessivo: la umanizzazione dell’Istituzione ecclesiastica – la Chiesa romana dell’età moderna – studiata meno nel suo corpo dottrinario che nella sua composizione culturale e sociale; meno nei grandi avvenimenti che nell’ordinario delle comuni aspirazioni e dei contrasti.

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Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013

Le correnti interne di pensiero, allineato o trasgressivo, e le relative strategie e pratiche di espulsione o di conversione; l’azione, fra norma e droga, di figure singolari; le aggregazioni a fini di beneficenza e di carità; l’apporto dei laici; il ruolo delle confraternite: tutta questa materia, e molto altro ancora, che Fiorani affrontava richiamandosi agli esiti più avanzati della riflessione storiografica europea e italiana, viene allo scoperto grazie al suo tenace scavo di storico di razza.

La sorte ha voluto che, a dare il primo saluto ai graditi ospiti di questo convegno a lui dedicato, fosse uno storico dell’arte, una disciplina spesso tacciata di astrattezza e di soggettività. La verità è che la storia dell’arte non è più quella di una volta e a cambiarla, nel secolo ormai scorso, è stata anche l’attenzione al lavoro degli storici. Di storici come Luigi Fiorani.

Non voglio che in questo volume che raccoglie gli atti del Convegno dedicato a Luigi Fiorani manchi un mio personale ricordo. Luigi Fiorani, giovanissimo, è approdato alla ‘Domus Caietana’, quale preposto all’archivio, nei primi anni Sessanta. Io lo raggiunsi molti anni dopo, prima come legale della famiglia e poi coinvolto da Hubert Howard (marito di Lelia Caetani già deceduta) nella Fondazione Camillo Caetani (il coinvolgimento, è durato, in varie vesti, alcuni decenni). Luigi Fiorani operava nell’Archivio Caetani dapprima ‘part’ (la mattina era impegnato nell’Archivio della Biblioteca Vaticana) e poi, venuto meno quell’impegno ‘full time’. Sotto l’aspetto professionale ho sempre ammirato in lui non solo la cultura (che andava ben oltre quella specialistica) ma anche il suo impegno e la sua versatilità nel dar vita alle tante e tanto variegate pubblicazioni della Fondazione, il rigore nella cura dell’archivio (da alcuni giudicato eccessivo ma che tale non era dati i risultati) e l’attenzione prestata ai frequentatori dell’archivio (ma, giustamente, solo se studiosi seri e non, come diceva, ‘perditempo’). Al rapporto strettamente professionale si è subito aggiunto, e sempre più consolidato, un rapporto di amicizia che lo induceva la sera, quando tornavo dal Palazzo ad accompagnarmi a casa e nel percorso parlavamo di tutto: di storia e dei suoi lavori per le Edizioni di Storia e Letteratura, di religione (io ero ‘fuorigioco’ in quel campo ma mi aveva interessato il ‘modernismo’ e Luigi mi fece avere un biglietto con cui un messo del Vicariato riferiva della presenza a Roma, in casa nostra, del ‘modernista’ umbro don Brizio Casciola venuto in incognito per incontrare Buonaiuti) e nel passeggiare non mancavano i commenti su fatti (specie se

SALUTI xviii

non commendevoli) e persone (ad alcune Luigi non lesinava la sua ironia che poteva essere anche caustica). Negli ultimi tempi Luigi fu affiancato dalla figlia Caterina (che costituisce una sua preziosa eredità) ed a me divertiva osservare che il padre nutriva un po’ di apprensione per quella più giovane presenza superata però dalla soddisfazione paterno-professionale.

Inutile dire quale colpo fu per me e per quanti gli erano vicini la sua improvvisa scomparsa.

Altro ‘colpo’ (ma positivo) fu vedere nella chiesa di San Saturnino, tanta gente commossa e raccolta nel dolore per l’ultimo saluto e nel sentire tante affettuose e partecipi parole. Le meritava.

Signor Vice-Presidente della Fondazione Caetani, Avv. Giacomo Antonelli, Signor Vice-Presidente dell’Istituto di Studi Romani, Prof. Luciano Palermo

Signor Vice-Presidente della Società Romana di Storia Patria, Prof. Marco Vendittelli

Cari Amici tutti,

Vi auguro buona giornata e vi saluto cordialmente, anche a nome dell’Archivio Segreto Vaticano e della Biblioteca Apostolica Vaticana, in primo luogo del personale tutto di ambedue le istituzioni che qui rappresento insieme a S.E. Mons. Sergio Pagano, Prefetto dell’Archivio e al Prof. Marco

Buonocore, Scriptor e Capo Archivista della Biblioteca. Di ambedue le istituzioni porto l’adesione cordiale ai lavori del Colloquio.

Voglio dare un saluto particolare e affettuoso alla Signora Fiorani, Silvana, e ai suoi figli Caterina, Malvina e Agostino.

S.E. Mons. Pagano e il Prof. Buonocore vi presenteranno Luigi Fiorani, protagonista di questo nostro incontro, come ricercatore rispettivamente nell’Archivio Segreto e nella Biblioteca Vaticana. A me tocca il gradito compito di ricordare rapidamente il significato della presenza di Luigi Fiorani in Biblioteca Vaticana, un ricercatore sì, ma anche un Maestro di scienza e di vita.

Egli ha lavorato in Biblioteca Vaticana per trentaquattro anni, dal 1969 al 30 settembre del 2003, nella sezione Archivi dal 1969 al 1972, e come Capo del Catalogo dal 1972 al 1977, quando è stato nominato Scriptor e Capo della

SALUTI xix
raffaele farina

Sezione Archivi della Biblioteca Vaticana. Sono stati anni vissuti intensamente, come sanno bene quelli che lo hanno conosciuto. Nella direzione della Sezione Archivi del Dipartimento dei manoscritti, dal 1977 al 2003, in ben venticinque anni, ha dato prova di serietà d’impegno e di alta professionalità nella gestione della ricerca individuale e dei progetti, nei quali era abile a coinvolgere amici e colleghi; e di grande senso di equilibrio nei rapporti con il personale e gli utenti della Biblioteca, fedele all’istituzione e alla Santa Sede in modo attivo e positivamente costruttivo.

Sono noti i suoi studi sul modernismo e sulla figura di mons. Giuseppe De Luca, del quale ha seguito gli insegnamenti per la storia della pietà. Sconosciuto però è il suo impegno e l’indispensabile aiuto a me fornito, nel decennio della mia Prefettura della Biblioteca Vaticana, per il rientro formale e fisico in essa, nella Biblioteca, del ‘Fondo Carteggi De Luca’: 146 contenitori con complessive 1.146 cartelline. Per questo adempimento la Biblioteca Vaticana è grata a lui, nonché alla famiglia De Luca, in particolare alla compianta Nuccia, sorella di don Giuseppe De Luca e alle nipoti Donatella e Giovanna Rotundo.

Luigi è stato per me un amico fraterno e sincero. Mi è stato vicino, in tutti i sensi, soprattutto nei difficili inizi del mio mandato di Prefetto della Biblioteca. Di grande umanità, epperò schivo, riservato, intenzionalmente due passi indietro, e tuttavia efficace e tempestivo quando correva in aiuto a persone bisognose, ad amici. Nonostante ci vedessimo quasi ogni giorno, ci scrivevamo brevi biglietti, invece di usare più semplicemente il telefono.

Ve ne leggo uno, significativo del suo modo di essere e di comportarsi (tav. 1):

Biblioteca 27 novembre 2000

Caro Don Farina, quando poco fa sono venuto a portare l’invito per il Consiglio della Fondazione non sapevo ancora nulla circa il “misfatto”. Poi sono sceso, e alla cassetta della posta c’era il tuo biglietto con l’annuncio [della nomina a membro Ordinario dell’Istituto di Studi Romani]. Speravo vivamente che il tentativo, di cui ti sei generosamente incaricato, non andasse in porto. Così non è stato; pazienza. Non mi rimane che esserti grato, perché, in fondo, non si tratta di entrare a far parte di una associazione a delinquere; anzi, il contrario. Vuol dire che andando insieme alle riunioni ci conforteremo a vicenda.

Ancora grato, e cari saluti. Fiorani

SALUTI xx

il testo a stampa del biglietto1 mi rende pensoso: non per la “santità” delle cose che accadono, ma per la debolezza della nostra risposta.

Eminenza Reverendissima, Eccellenza Reverendissima, Chiarissimi Professori, amiche ed amici,

a nome del Presidente dell’Istituto Nazionale di Studi Romani, Prof. Paolo Sommella, nella mia veste di Vicepresidente dell’Istituto sono lieto di portare ai presenti il saluto più cordiale ed augurare a Voi tutti un sereno svolgimento dei lavori. Con vivo piacere, anche per via dell’affetto che mi legava a Luigi Fiorani, ho accettato di sostituire questa mattina il Prof. Sommella, impegnato in una improcrastinabile riunione in Università. Vi porto, assieme alle sue scuse per l’imprevedibile assenza, il suo saluto più cordiale ed affettuoso.

Quando alcuni mesi fa il Collega Domenico Rocciolo e la Dott.ssa Caterina Fiorani hanno proposto al nostro Istituto di partecipare all’organizzazione dell’incontro, senza esitazioni la Giunta direttiva ha accolto la proposta. E lo ha fatto non solo per ricordare uno dei suoi membri più attivi e presenti degli ultimi anni, ma soprattutto per rendere omaggio alla sua poliedrica figura di studioso e uomo di cultura. Come ascolteremo più tardi da una delle relazioni del pomeriggio, dall’archivio del nostro Istituto sono emersi interessanti documenti circa le fasi iniziali della carriera di ricercatore di Fiorani, che noi tutti oggi celebriamo per essere stato uno dei più sensibili studiosi della religiosità romana della prima età moderna. La Rivista «Studi Romani», organo dell’Istituto dal 1953, ha accolto – sin dal lontano 1964 – i suoi primi scritti e di ciò oggi sento di potere in qualche modo farne vanto. In quegli anni, come ascolteremo nel pomeriggio, Fiorani non era ancora uno specialista dell’età moderna o contemporanea, occupandosi al contrario di antichità cristiane. Nominato nel corso della Presidenza di Mario Petrucciani Socio corrispondente dell’Istituto nel novembre del 1996, fu nominato Membro ordinario dello stesso Istituto quattro anni più tardi, nel novembre dell’anno 2000. Dai suoi primi scritti della metà degli anni Sessanta del passato secolo alla sua nomina a Membro ordinario trascorsero circa 35 anni, un periodo lunghis-

SALUTI xxi
1 Fiorani si riferisce alla testata a stampa del biglietto da me scritto, di cui purtroppo non ricordo il testo.

simo durante il quale Fiorani non cessò mai di frequentare l’Istituto e le sue attività culturali. Di ciò vogliamo dare la nostra testimonianza con la nostra più sincera gratitudine. E vorrei, inoltre, aggiungere che personalmente ho sempre in me tanti ricordi dei miei incontri con Luigi Fiorani, iniziati quando, più di trenta anni fa, in compagnia di Paolo Brezzi mi cominciai ad avvicinare all’Istituto di Studi Romani; ricordo il suo sorriso e le sue parole, sempre attente e misurate. Ma non devo rubare altro tempo prezioso ai lavori della mattinata. Vi rinnovo pertanto l’augurio di un sereno svolgimento dei lavori che, come avrebbe certamente desiderato Fiorani, riflettono un amplissimo arco cronologico e un vastissimo spettro di tematiche culturali. Sono le stesse tematiche che Fiorani, con rara puntualità e profondità, ebbe modo di affrontare nei suoi studi e che hanno fatto di lui una delle figure più singolari ed ammirabili della cultura romana del secondo dopoguerra e dei nostri anni. Nel ricordo commosso di Luigi Fiorani, vi formulo nuovamente gli auguri più sinceri per un proficuo svolgimento dei lavori.

Per oltre trent’anni Luigi Fiorani è stato Socio della Società romana di storia patria (corrispondente dal 16 gennaio 1979 e ordinario dall’11 maggio 1992). Anche per questo il Sodalizio, che oggi sono chiamato a rappresentare, ha voluto onorare la memoria del compianto studioso, promuovendo l’odierna giornata di studi congiuntamente agli altri Istituti pubblici e privati che hanno avuto la fortuna di avvalersi del contributo intellettuale, scientifico e umano di Luigi Fiorani.

In queste occasioni le parole di circostanza sfumano nella vaghezza retorica e si ripetono seguendo formule certe e consolidate.

Non esito dunque ad abbandonarle, come abbandono la mia figura istituzionale di Vice-presidente della Società romana di storia patria, per approfittare dell’occasione per ricordare – se pur molto, molto brevemente – l’amico Luigi Fiorani.

Con lui ho avuto la fortuna e l’onore di collaborare in varie occasioni.

Fu lui che mi invitò a partecipare al Convegno su Ninfa del 1988, che per me significò l’occasione per aprire un nuovo filone di ricerca.

E soprattutto fu lui che mi spinse ad intraprendere l’edizione critica dell’inedito statuto duecentesco di Sermoneta, il cui manoscritto è conservato nell’archivio della famiglia Caetani, del quale Luigi è stato custode accorto, ma non geloso, più che mai aperto alla sua consultazione.

SALUTI xxii

Non solo Luigi si rese disponibile e mi fornì tutto l’aiuto possibile per portare a termine l’impegnativo lavoro, ma volle pure che esso fosse pubblicato nella collana «Studi e documenti d’archivio», da lui ottimamente curata. Ma a queste più concrete attestazioni della sua generosa disponibilità, per le quali sempre gli sarò grato, potrei aggiungerne tante altre, fatte di incontri, di scambi di opinioni, di idee e di progetti di ricerca e pubblicazioni, tra gli ambienti ovattati della Biblioteca Vaticana e dell’Archivio Caetani. E anche per queste ‘chiacchierate’ serberò sempre un piacevole ricordo di Luigi.

SALUTI xxiii

LA RICERCA NEGLI ARCHIVI

Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

«UN ARCHIVISTA FILOSOFO»

Alla morte del duca Onorato Caetani, il 2 settembre 1917, i figli (Leone, Roffredo, Gelasio, Giovannella, Michelangelo) ereditarono, oltre all’ingente patrimonio, anche l’archivio di famiglia, un bene davvero cospicuo e sicuramente particolare, sia nell’amministrazione che nella custodia. Legalmente l’archivio avrebbe dovuto essere diviso tra i cinque eredi superstiti, in quote diverse: vigeva infatti il diritto di primogenitura e Leone avrebbe dovuto ottenere la quota maggiore di proprietà. Il 14 luglio 1919 Gelasio, il Caetani più incline agli studi storici, inviava ai suoi fratelli una «proposta in ordine all’archivio di famiglia»1 in quanto riteneva che «esista qualche diversità d’opinione riguardo alla quota ereditaria che spetta ad ognuno nell’archivio»2. Egli ribadiva che «il nostro archivio forma nel suo insieme un monumento storico di grandissimo valore; per il modo stesso con il quale si è formato e per il nesso storico della maggior parte dei documenti, forma un tutto indivisibile»3. Sempre Gelasio ricordava ai fratelli che «questo complesso di documenti rappresenta tutta la storia e tutte le tradizioni della Casa e dal punto di vista morale ha un valore uguale per ognuno di noi fratelli. (…) È quindi un dovere nostro verso i nostri antenati di cercare che la memoria di un così lungo e glorioso passato non venga meno» 4. Egli esortava i suoi fratelli: «dobbiamo fare di tutto perché l’archivio rimanga integro come collezione di documenti e che mai possa venire distrutto né dal fuoco, né dalla ignoranza od incuria delle genti»5. Poi l’intendimento finale: «io perciò sono del parere che siano messi da parte gli interessi individuali e che, animati da buoni sentimenti fraterni e da un senso del dovere morale

1 Archivio Caetani (d’ora in poi AC), Fondo Generale, Gelasio Caetani, 14 luglio 1919.

2 Ibidem.

3 Ibidem.

4 Ibidem.

5 Ibidem.

2013

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

caterina
fiorani
Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura,

che ci incombe, si venga a degli accordi tra noi, più o meno sulle seguenti basi: i fratelli si impegnano di lasciare l’archivio indiviso vita loro durante»6. La visione di Gelasio era corretta: superare le divisioni per non separare le carte. Egli quindi inviava la «proposta» ai fratelli e, anche se non immediatamente, gli giungevano le risposte. Tre giorni dopo, il 17 luglio 1919, la sorella rispondeva «alla proposta riguardo all’archivio della nostra Casa» dicendosi «pienamente d’accordo (…) su tutti i vari punti (…) prospettati»7. Dello stesso tenore la risposta datata 25 marzo 1920 del primogenito Leone che, oltre ad acconsentire alla proposta di Gelasio, affermava anche che non aveva difficoltà a che Gelasio pubblicasse «i documenti del nostro archivio»8. I fratelli stabilivano anche che, per valorizzare adeguatamente le carte, non fosse sufficiente la pubblicazione dei documenti cui si stava accingendo don Gelasio ma occorreva anche garantire un solido servizio di consultazione per studiosi e ricercatori. Affinché fossero state salve le due urgenze di conservazione e di consultazione, i fratelli convenivano che l’archivio avrebbe goduto di maggiore fruizione se fosse stato trasportato presso lo Stato vaticano in uno dei due istituti culturali, l’Archivio Segreto Vaticano o la Biblioteca Apostolica Vaticana. Scelsero la Biblioteca. Presero quindi contatti con i referenti, sia laici che ecclesiastici, per organizzare la cessione delle carte. Prima del trasferimento occorsero numerosi passaggi istituzionali, tra cui l’acquisizione del consenso dello Stato italiano e soprattutto il positivo assenso dello Stato vaticano. Gelasio fu molto attivo nel prendere accordi con le autorità vaticane per il trasferimento, ma proprio verso la conclusione dell’intesa, egli venne improvvisamente a mancare9. Roffredo decise di dare corso all’intendimento del fratello. La positiva risposta della BAV venne raccolta da Roffredo quando, il 7 novembre 1934, mons. Enrico Carusi riferiva del «sovrano compiacimento del S. Padre nell’accettazione dell’offerta di sì cospicuo materiale storico qual è l’archivio della Sua illustre famiglia»10.

6 Ibidem.

7 AC, Fondo Generale, Giovannella Caetani, 17 luglio 1919.

8 AC, Fondo Generale, Leone Caetani, 25 marzo 1920. Qui Leone si riferisce al lavoro di storico che Gelasio di lì a poco avrebbe intrapreso e che avrebbe portato alle stampe del volume della Genealogia, dei tre volumi della Domus Caietana, dei sei volumi di Regesta Chartarum e del volume postumo di Varia.

9 Nel frattempo, il primogenito Leone (1869-1935) era già emigrato in Canada in volontario esilio per dissenso con il contemporaneo regime politico, ma, prima di partire, aveva dato piena libertà d’azione ai fratelli per la gestione dell’archivio. Cfr. su di lui f. gabrieli, Dizionario Biografico degli Italiani, 16, Roma 1973, pp. 185-188.

10 Archivio della Fondazione Camillo Caetani (d’ora in poi AFCC), BAV, 7 novembre 1934.

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Ottenuto il primo assenso dalle autorità vaticane, si rendeva necessario il consenso dello Stato italiano. Il 2 dicembre 1934 Roffredo scriveva al capo del governo «per impetrarne l’alto assenso»11. Il 7 dicembre 1934 Mussolini poteva affermare che apprezzava «il pensiero da lei avuto d’informarmene, e sono favorevole a che, in conformità dell’intento del compianto don Gelasio, ella traduca in atto il sopraccennato disegno»12

Nel gennaio del 1935 l’archivio, dunque, passava in BAV e l’evento venne evidenziato con grande eco nella stampa cittadina. Il trasferimento, inoltre, si rivelò provvidenziale perché preservò l’archivio dai disastri del secondo conflitto mondiale. Conclusa la guerra, il prefetto della BAV, mons. Anselmo Albareda, sollecitava il duca Roffredo perché riteneva che l’Archivio avrebbe avuto bisogno di una revisione: «sono venuto alla persuasione che sarebbe ora sommamente opportuna una revisione dello stato presente in cui si trova l’Archivio della Sua illustre casa, depositato presso questa Biblioteca»13. Proponeva quindi al duca di affidare la revisione a persona di sua fiducia che lavorava in Vaticana da alcuni anni «con piena nostra soddisfazione»14. Era il prof. Pio Pecchiai. Roffredo sulla stessa lettera annotava la risposta: «accettando, 24/5/1946»15. Pecchiai quindi si trovò a lavorare presso la BAV sui fondi archivistici Caetani ma remunerato da Casa Caetani: «per cinque giorni alla settimana, con retribuzione oraria di £80»16. L’ anno seguente l’accordo tra la BAV e il duca Roffredo sarà di dividere a metà il carico dello stipendio per l’archivista: «rimane inteso che metà della detta retribuzione è a carico dell’Amministrazione di questa Biblioteca»17.

Ma se pure l’archivio era uscito indenne dal conflitto mondiale, la casata non aveva subito la stessa felice sorte: la guerra aveva portato con sé anche la tragedia della scomparsa di Camillo, figlio di Roffredo e ultimo erede, colui che avrebbe proseguito il nome e la tradizione della famiglia. Questo lutto gravissimo impose a Roffredo lunghe riflessioni sulla sorte delle carte, del patrimonio immobiliare e in definitiva su tutta la proprietà della Casata. Nella tormentata minuta del testamento, Roffredo affermava: «dopo maturo e lungo esame delle condizioni in cui è venuta a trovarsi la mia famiglia (…)

11 AFCC, Roma, 2 dicembre 1934-XIII. A SE il Cavaliere Benito Mussolini, capo del governo, primo ministro segretario di Stato, firmato Roffredo Caetani.

12 AFCC, Roma, 7 dicembre 1934-XIII.

13 AFCC, Città del Vaticano, 22 maggio 1946.

14 Ibidem.

15 Ibidem.

16 Ibidem.

17 AFCC, Città del Vaticano, 22 marzo 1947.

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voglio che sia istituita una Fondazione che in perpetuo dovrà essere chiamata “Fondazione Camillo Caetani”»18. Egli decise infatti che la fondazione si sarebbe costituita come erede di tutti i beni sia patrimoniali che documentari e che sarebbe stata intestata al figlio tanto amato e prematuramente scomparso. A questo scopo, alla metà degli anni Cinquanta, volle quindi trasferire nuovamente l’intero archivio nell’originario palazzo a Botteghe Oscure. Questo cambiamento di sede costituì di fatto il passaggio principale per la costruzione della Fondazione Camillo Caetani. Il duca Roffredo, oltre ad occuparsi del trasferimento, stabilì anche quali spazi l’archivio avrebbe occupato nel Palazzo e stabilì che l’archivista che aveva lavorato sulle carte in BAV avrebbe dovuto prestare servizio anche a Botteghe Oscure. Infine, Roffredo stabilì che sarebbe stato affiancato al prof. Pecchiai un giovane che ne avrebbe potuto proseguire l’opera archivistica. Venne così introdotto il dott. Gian Luigi Marchetti dal 1° novembre 1955 fino al 30 ottobre 1963, giorno in cui, a causa del felice esito di un concorso, Marchetti rassegnava le dimissioni dalla Casa Caetani e intraprendeva la carriera scolastica. I duchi erano di nuovo nella condizione di trovare un altro giovane da affiancare all’anziano Pecchiai. In quegli anni, faceva parte del Consiglio di Amministrazione della Fondazione il vice-prefetto della Biblioteca Vaticana, mons. Josè Ruysschaert, cui si rivolse il duca Roffredo per avere informazioni circa un apprendista da inserire sulle carte. Il vice-prefetto propose il nome di Luigi Fiorani, che aveva incontrato come studente presso i corsi di archivistica e diplomatica. Fiorani, grazie all’ottima segnalazione ottenuta dal prelato, venne accolto dai duchi e così, il 20 gennaio 1964, l’amministratore Federico Bracco inviava allo studente la lettera ufficiale di assunzione «a partire dal 1° febbraio 1964 e per un periodo di prova fino al 31 luglio 1964»19. Dopo tale data «a discrezione del Consiglio della Fondazione verrà convalidata o revocata la Sua assunzione senza alcun obbligo per il Consiglio»20. Dal 1° febbraio 1964, dunque, Fiorani lavora presso la FCC come archivista, con l’obbligo dell’apertura dell’archivio di mattina dalle 9 alle 13, compreso il sabato.

Così lo ricorda Marchetti, dopo una breve visita al suo primo luogo di lavoro: «qualche impressione di come trovai l’Archivio la scorsa estate. Giudicai il dottor Fiorani un giovanotto intelligente e ordinato. È chiaro che non può avere ancora una buona specializzazione nel campo della paleografia e della archivistica: è troppo poco che fa quel mestiere. Ma, essendo

18 AFCC, Testamenti, s.d.

19 AFCC, Roma, 20 gennaio 1964.

20 Ibidem

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laureato in lettere, dispone del titolo di studio più idoneo per quel genere di attività. Sono certo che, se vorrà, potrà raggiungere una forma perfetta. È molto giovane e ha tempo per farsi le ossa. L’ archivio era in ordine e ogni cosa al suo posto e molto ben spolverata»21.

Agli esordi lavorativi di Fiorani, il duca Roffredo era deceduto da un anno e in sua vece operavano, come presidente della Fondazione, la figlia donna Lelia e il marito di lei, Mr. Hubert Howard. Per accordo con i superiori, Fiorani era tenuto a redigere periodicamente resoconti o brevi relazioni sul suo operato. Le prime relazioni raccontavano di timide giornate di spolveratura, di riordino, di sistemazione del materiale, eventuale applicazione di insetticida «non più in polvere ma a blocchi: cioè canfora e via di seguito… (il che comporta un miglioramento nella consultazione dei pacchi in quanto non necessitano più di una preventiva spolveratura e di nuova, dopo la consultazione, applicazione di insetticida»)22. Il periodo di ‘spolveratura’ procedette dal ’64 al ’68, ma non fu un periodo infruttuoso: sono quattro anni in cui Fiorani maneggia continuamente documenti, li sfoglia, li organizza; inoltre il costante scandaglio dei cassetti gli permette di conoscere approfonditamente e capillarmente la tipologia delle carte, il contenuto e la preziosità delle informazioni. È sicuramente in questo periodo che si sarà imbattuto nei cosiddetti ‘autografi celebri’ di Tasso o di Annibal Caro o nelle accorate lettere del filosofo Tommaso Campanella al cardinal Antonio Caetani per ricevere da lui protezione. Avrà sicuramente letto, conosciuto e ordinato molte delle corrispondenze del duca secentesco Francesco IV insignito del Toson d’Oro o dei manoscritti miniati che riportano i primi statuti della città di Sermoneta. È in questo periodo che legge e studia il carteggio di mons. Onorato da cui scaturisce, nel ’69, la pubblicazione Onorato Caetani, un erudito romano del Settecento, in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Studi Romani. Il carattere di Fiorani, attento al particolare, all’analisi puntuale, alla limatura del testo, obbligava la Fondazione al pagamento al detto istituto di un sovrapprezzo, perché l’autore aveva proceduto oltre i tre giri di bozze pattuiti. Se la Fondazione accettava un versamento non previsto, davvero Fiorani aveva ampiamente meritato la fiducia dei duchi nella cura e nella gestione dell’archivio, tanto che già nell’aprile 1968 poteva affermare che «naturalmente durante la mia assenza l’archivio rimarrà chiuso; né Osvaldo né altri dovranno entrarvi. Io porto via le chiavi»23.

21 AFCC, Marchetti a Hubert Howard, Imola, 14 ottobre 1964.

22 AFCC, relazioni generali, s.d.

23 AFCC, Roma 24 aprile 1968.

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Il lavoro fin qui avviato riuscì a svolgersi senza cambiamenti fino a quando la Biblioteca Vaticana non bandì una selezione di personale per un posto di archivista. L’ occasione non sfuggì a Luigi Fiorani, ma si aprì per lui un dilemma: lasciare la Fondazione o perdere l’occasione della BAV? Non poté scegliere: l’impiego presso la Vaticana era troppo vantaggioso; ma né Fiorani né la Fondazione desideravano interrompere un rapporto ormai solido e proficuo. Le lettere che Fiorani e Howard si scrissero in questo frangente esprimono stima ma anche l’amarezza di doversi lasciare. Il dispiacere di Hubert Howard è esternato nell’accorata minuta che raccoglie i suoi pensieri prima della stesura definitiva:

Caro Fiorani, come avevo a dirLe, mi rammarico molto della Sua decisione di volere ritirarsi da un pieno impiego con la Fondazione Camillo Caetani, ma personalmente non mi sento di volere ostruire la possibilità di una ameliorazione nella Sua posizione e trattamento. Mi dispiace che Lei creda che non l’avrebbe avuto altrettanto con la Fondazione Camillo Caetani, e che ci lascia dopo avere fatto un così utile ed interessante ricerca tra le carte di mons. Onorato Caetani, che prometteva molto per l’avvenire 24 .

Fiorani, ricevuto un tale attestato di stima, ebbe un ripensamento e subito dopo si aprì una complessa contrattazione tra il sig. Howard, donna Lelia e il Consiglio della Fondazione per trovare una formula soddisfacente che riuscisse a salvare gli interessi scientifici della Fondazione e quelli lavorativi di Luigi Fiorani. Si pervenne alla conclusione che Fiorani avrebbe mantenuto il suo posto di archivista ma svolgendo il lavoro nelle ore pomeridiane dalle 16 alle 19 e 30. Il 31 agosto 1969 i duchi congedarono mio padre dall’assunzione a tempo indeterminato per riassumerlo il giorno seguente come contrattista, in quanto ormai era ben chiaro che il legame tra le due parti era diventato tale che non si desiderava più rescinderlo.

Il periodo ‘pomeridiano’ dal ’69 in poi non provocò un’interruzione nel lavoro fino ad allora svolto. Ma avevamo lasciato Fiorani immerso nella polvere e ora lo ritroviamo immerso nello studio di quelle carte che via via aveva dissepolto e quasi ‘scoperto’.

È in questi anni che egli fa proprio il punto 1 dello statuto della Fondazione, che fissa lo scopo dell’istituzione non solo nella conservazione dell’Archivio ma anche nella doverosa apertura agli studiosi. Fiorani immaginava cioè la Fondazione come propulsore di studi e dunque avviava «un organico lavoro di studio e di ricerca, a partire, naturalmente, da un censimento e da una sistemazione dei numerosi fondi archivistici conservati presso la Fondazione, il tutto accompagnato da una

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24
AFCC, minuta di HH a LF, s.d. La stesura definitiva è del 28 gennaio 1969.

pubblicazione periodica specializzata che possa coagulare le buone volontà, e i tanti giovani ricercatori»25. Dava quindi corso alla sistemazione dei fondi Caetani che ancora risultavano in disordine: il primo inventario è del 1973 dopo il riordinamento dei 300 mastri del Fondo Amministrativo. Ma è in questi anni che intuiva che non poteva più aspettare a far partire una riflessione storiografica sulle fonti che custodiva e che aveva a disposizione. Inventava quindi le conferenze, immaginandole come lezioni seminariali di uno studioso che analizzasse un aspetto particolare della vita o della storia della famiglia Caetani. Fiorani, dunque, presentava al Consiglio tale progetto culturale e la rosa dei relatori scelti per ogni lezione. Il Consiglio, constatato il solido impianto, approvava il piano di lavoro e forniva a Fiorani pieno appoggio. Le prime conferenze studiarono il Caetani più noto e che di fatto fondò il potere economico e politico della famiglia: Bonifacio VIII. Al pontefice sono dedicate infatti le conferenze di Morghen e di Stickler che analizzarono anche l’aspetto pastorale dell’istituzione del giubileo del 1300. Nella convinzione che ciò che veniva detto in quei pomeriggi di studio non avrebbe dovuto perdersi ma rimanere fissato nella forma scritta, Fiorani stabiliva che i resoconti delle conferenze dovessero essere raccolti nei Quaderni. I Quaderni della Fondazione Camillo Caetani sono la prima collana che Fiorani istituiva presso la Fondazione. Come esplicita il titolo, i volumi sono di taglio breve; il primo, del 1975, e il secondo, del 1977, riportano le già citate conferenze di Morghen e di Stickler, quasi a sancire e a ribadire che la forte ascesa della famiglia si ebbe con il papa Bonifacio VIII. Nel 1981 la conferenza proposta all’«amico»26 Kristeller sullo studio delle glosse del codice Caetani di Dante produce il terzo Quaderno. Il quarto Quaderno, uscito nel 1983, riporta la storia e la critica dell’opera artistica di Girolamo Siciolante da Sermoneta a cura di John Hunter, Teresa Pugliatti e Luigi Fiorani. Nel biennio 1985-86 usciranno tre Quaderni: il primo sul ruolo di Marguerite Caetani nella letteratura europea, a cura dell’olandese Sophie Levie, il secondo sull’attività politica e diplomatica del cardinale Enrico Caetani a Bologna, a cura di Andrea Gardi, e il terzo sull’antica città di Ninfa, a cura della studiosa belga Lidie Hadermann Misguich. L’ ultimo Quaderno, sugli aspetti della comicità a Roma nell’ultimo Cinquecento, testo di Roberto Zapperi, vedrà la luce molto tempo dopo, nel 1995, quando già si erano aperte altre collane di studio e diversi gruppi di ricerca. Il piano

25 l. fiorani, Aspetti della vita religiosa a Sermoneta, in Sermoneta e i Caetani. Atti del convegno della Fondazione Camillo Caetani, Roma-Sermoneta-Ninfa, 16-19 giugno 1993, a cura di l. fiorani, Roma 1999, pp. 269-298, qui a nota 65.

26 AFCC, Roma, 1981.

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di lavoro immaginato da Fiorani era approvato sia dal Consiglio che dal presidente Mr. Howard e, grazie a questa autorizzazione, Fiorani poteva organizzare una squadra operativa che, se pur limitata numericamente, ottenne risultati di grande produttività. Prestava la sua opera, a quei tempi, Osvaldo Carpifave in qualità di factotum, di lavoratore manuale, per il quale mio padre ha parole di grande stima: il 13 agosto 1971 così Fiorani tranquillizzava il sig. Howard nelle continue relazioni estive indirizzate al superiore: innanzitutto vorrei rassicurarla che tutto al Palazzo si svolge normalmente: Osvaldo compie, anche se un po’ appannato e assonnato per il gran caldo, il suo dovere di sorveglianza con molta attenzione. Egli mi sembra che rappresenta un punto fermo su cui si può contare e aver fiducia tra tutto il personale del palazzo C 27 .

I resoconti e le notizie sulla vita e l’attività dell’Archivio avvengono in forma scritta soprattutto d’estate, quando Lelia e Hubert si trasferivano in villeggiatura in luoghi più freschi di quelli romani. Ed è a conclusione di questi resoconti che troviamo spesso annotazioni davvero ironiche sul gran caldo urbano:

per finire un consiglio: ed è che sia Lei che Donna Lelia facciate una riserva la più ampia possibile di fresco e di venticello, da poterne poi godere quando rientreranno in Roma, dove almeno in questo periodo, si troverebbe a disagio anche un San Lorenzo!28

E ancora:

e suppongo che le fresche brezze e l’aria adeguatamente ossigenata dai boschi e dalla natura di questo appartato ricovero sia[no] senz’altro più confortante di una Roma, in cui, è vero, gli angeli barocchi si danno più del solito a fantastici svolazzi sulle facciate e sulle cuspidi delle chiese, ma nulla impedisce che ci si senta un po’ tutti – come Lei afferma – “galline soffocate dal gran caldo”29.

È in questa lettera che Fiorani diventa più investigativo, più filosofo. È ormai un anno che ha trovato impiego presso la BAV, la routine è ormai definita, e ora si ferma a riflettere. È il primo settembre 1970, e al rientro dalle ferie estive scrive a Hubert Howard, ma forse anche a se stesso:

ritrovarmi tra le antiche carte, cui ormai ho consegnato parte di me stesso non è senza un sottile e umano piacere, meglio così: vuol dire che sta rafforzando in me la dimensione dell’archivista filosofo, cosa rara in tempi nei quali dai documenti del

27 AFCC, Roma, 13 agosto 1971.

28 Ibidem.

29 AFCC, Roma, 1° settembre 1970.

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passato non sembra derivare agli uomini e ai giovani nostri contemporanei se non un sentimento di fastidio e talvolta di invincibile ripulsa 30

È ancora più interessante che questa lettera così investigativa contenga anche le affermazioni tanto ironiche sopra citate, quasi a rinsaldare una confidenza, una stima, e a questo punto direi un’amicizia tra Fiorani e Hubert Howard.

Il decennio 1980-1990 si apre con la nascita della collana Studi e documenti d’archivio perché ormai è chiaro che non è sufficiente la collana dei Quaderni a rappresentare l’attività scientifica della Fondazione Camillo

Caetani: i Quaderni sembrano troppo piccoli, troppo magri. Fiorani intendeva scandagliare i cardini, gli snodi e la complessità della storia della famiglia

Caetani. Il numero 1 della nuova collana ripropone il tema dell’attività di curatrice che Marguerite prodigò, tra il ’24 e il ’32, a «Commerce», la rivista letteraria da lei voluta e ideata. Affida lo studio nuovamente a Sophie Levie, collegando in questo modo le due collane dei Quaderni e Studi e documenti d’archivio. Questo numero esce in proprio e senza sovraccoperta, poi Fiorani dedicherà uno standard preciso alla nuova collana. Il numero 2 del 1990 esce con gli Atti del convegno su Ninfa: per analizzare la storia e la vita del giardino di Ninfa, Fiorani organizzava il 7, l’8 e il 9 ottobre 1988, non più una conferenza ma un convegno di tre giorni tra il palazzo Caetani di Roma, il castello di Sermoneta e il giardino di Ninfa. Chiedeva e otteneva che uno dei moderatori del convegno fosse Giorgio Bassani e chiedeva e otteneva che la Fondazione finanziasse tre pullman per il trasporto degli invitati da Roma a Ninfa. In occasione dell’allestimento di questo volume, Fiorani stabiliva che ogni testo edito dalla Fondazione, avrebbe avuto una sovraccoperta. Il logo rimaneva lo stesso ma ora sceglieva una casa editrice che potesse dare una diffusione e una maggiore visibilità alla Fondazione. Per gli Atti di Ninfa optava per una sovraccoperta verde, poi proseguirà con una sovraccoperta blu (il colore dello stemma Caetani) con un passepartout che incorniciasse un’immagine illustrativa del contenuto del singolo volume.

Negli anni ’90 la collana vede una fitta produzione: con scadenza quasi annuale esce un volume. Nel 1993 Marco Vendittelli analizzava l’evoluzione degli statuti di Sermoneta tra i secoli XII e XIV. Nel 1995 Fiorani tornava nuovamente a Bonifacio VIII e accoglieva nella sua collana l’edizione critica, a cura di Jean Coste, del processo a carico di Bonifacio VIII. Nel 1996 John Hunter riprendeva il suo studio su Girolamo Siciolante e – di nuovo collegando la collana Studi e documenti d’archivio ai Quaderni – produceva il catalogo completo delle opere attribuite all’artista. Nel 1997 escono due volumi uno

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30 AFCC, Roma, 1° settembre 1970.

a cura di Fulvio Tessitore sull’analisi critica degli studi orientali di Leone Caetani, il fondatore degli studi islamistici in Italia e il secondo di Stephan Toussaint di nuovo su tematiche dantesche. Nel 1998 Sylvie Pollastri ripercorreva l’evoluzione del ramo della famiglia Gaetani di Fondi, analizzando fonti non solo nell’Archivio Caetani ma nell’Archivio di Stato di Napoli e di altre importanti famiglie nobili. Ma Fiorani non era ancora soddisfatto. Ancora avvertiva che la storia Caetani non era stata analizzata fino in fondo, non era stata sviscerata: inventava dunque un nuovo convegno, questa volta incentrato sul centro politico del ducato Caetani: Sermoneta. Tra il 16 e il 19 giugno 1993 raccoglieva quaranta relatori che analizzeranno la storia di Sermoneta tra le età medioevale e moderna mettendone in luce la vita sociale, artistica e religiosa. Il volume degli Atti di 701 pagine è il n. 9 della collana e la copertina è rappresentata sul frontespizio del nostro convegno.

Dal n. 10, uscito nel 1999, si analizza nuovamente la figura di Marguerite Caetani con la pubblicazione di Stefania Valli dei corrispondenti italiani della rivista «Botteghe Oscure», voluta dalla principessa Caetani tra il 1948 e il 1960. Era intendimento di Fiorani di pubblicare l’intero corpus dei corrispondenti e degli autori che parteciparono alle due riviste create dal genio di Marguerite Caetani. Fiorani aveva individuato nella persona di Jacqueline Risset la specialista di letteratura cui potesse far riferimento un gruppo di studiosi che avrebbero trascritto e annotato criticamente i vari settori linguistici dei corrispondenti della principessa riguardo alla rivista «Botteghe Oscure». A questo progetto è infatti legato il volume n. 13, uscito nel 2006, che riporta l’analisi critica e la trascrizione dei testi in lingua francese di quella rivista, a cura di Laura Santone e Paolo Tamassia, sotto la direzione scientifica della già citata Risset. Il numero 11 del 2004, riporta l’inventario dell’archivio personale dell’islamista Leone Caetani, conservato presso l’Accademia Nazionale dei Lincei per volontà testamentaria di Leone stesso. Paola Ghione e Valentina Sagaria Rossi ne hanno capillarmente curato il riordinamento e l’introduzione. L’ anno seguente la collana si arricchisce della ristampa dei ricordi della vedova di Michelangelo Caetani, il noto dantista vissuto nel corso dell’Ottocento: la nuova, ampia premessa è curata da Giuseppe Monsagrati. Gli ultimi due volumi riportano gli Atti dei due convegni tenutisi nell’ottobre 2006. Il primo a cura di Germana Ernst e Caterina Fiorani sulla figura del filosofo Tommaso Campanella, a lungo protetto dai Caetani, e il secondo sull’attività narrativa di uno dei protagonisti della rivista «Botteghe Oscure» quale fu Guglielmo Petroni; Massimiliano Tortora ne curava sia il convegno che gli atti.

La apparente disomogeneità della collana, dovuta alla varietà di argomenti trattati, trova giustificazione nella omogeneità della documentazione. È la documentazione Caetani che, attraversando numerosi secoli, è disparata, ma in

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fondo sempre fedele a se stessa: è l’attestazione dei processi storici della famiglia Caetani. La collana istituita da Fiorani aveva questo scopo: rendere visibili, grazie all’approfondimento e allo studio, i vari temi che di volta in volta si evidenziavano nell’Archivio Caetani. È la documentazione da cui Fiorani intendeva partire: studi che si basassero sull’Archivio erano inseriti in quella collana perché analizzavano, spiegavano, portavano alla luce proprio ‘fenomeni’ Caetani.

Dalla fine degli anni ’90 in poi, oltre ai volumi della collana, Fiorani si appassionava a grandi progetti, a grandi temi che lo impegnavano per un ampio arco di anni. La trascrizione e l’edizione critica dell’inventario manoscritto dei beni di Onorato II Gaetani d’Aragona portava alla pubblicazione dell’Inventarium Honorati Caetani. Quotidianamente Fiorani discuteva con l’autrice Sylvie Pollastri sui criteri di trascrizione dal latino: la difficoltà era tale che il progetto vedeva la luce nel 2006, dopo oltre cinque anni dalla sua ideazione. Il volume Palazzo Caetani. Storia, arte e cultura, del 2007, è davvero complesso perché Fiorani doveva gestire oltre ai molti relatori, anche l’apparato iconografico, e questo gli farà varare il volume dieci anni dopo il primo incarico. Sono progetti che si accavallano su più lavori, che si intersecano con altri volumi, spessissimo lasciati e ripresi o discussi con il Consiglio che interviene per qualche modifica.

A queste serie già ampie di lavori, aggiungeva, dal Duemila in poi, l’ultimo tassello di studi. Aveva iniziato a elaborare l’edizione del III volume della Domus Caietana. La Domus, varata dallo storico di casa Gelasio, nasce come la storia analitica della famiglia Caetani, narrata dall’anno Mille fino al 1599. Questo progetto però si interrompe bruscamente a causa della prematura scomparsa del Caetani. Diventa quindi un impegno, sancito anche dallo statuto della Fondazione, quello di completarne l’opera. Fiorani individuava i relatori e gli argomenti, per sé si ritagliava uno studio dal titolo Clero, monache, cardinali, incentrato sempre nel vasto ambito di studi – la storia religiosa – che tanto lo appassionava. Il progetto giungeva fino alla convocazione dei partecipanti, nel giugno 2008, poi ebbe la sua definitiva interruzione.

Un’ultima lettera voglio citare, non datata ma presumibilmente del 1986. Fiorani riporta al suo superiore le attività svolte nell’anno affermando: «operiamo con un rinnovato impegno a fare della Fondazione sempre più quello che vogliamo che sia: un centro culturale a servizio degli studiosi di tutto il mondo»31.

Non posso che concordare e fare mie queste parole.

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31 AFCC, sd.

LE RICERCHE NELLA BIBLIOTECA A POSTOLICA VATICANA*

Ancor prima di conseguire la laurea presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” nel 1963 con una tesi di archeologia cristiana sugli amboni e la liturgia siriaca del V-VI secolo, Luigi Fiorani aveva frequentato i corsi di archivistica, paleografia, diplomatica e biblioteconomia della Scuola Vaticana, ottenendo il diploma in quest’ultima disciplina nel 1961. Contemporaneamente al breve periodo in cui insegnava materie letterarie nell’Istituto Magistrale Braschi di Subiaco, su incarico della famiglia Caetani si dedicava alla sistemazione e al riordino di quell’archivio così da essere assunto presso la stessa dal 1 febbraio 1964: la quotidiana palestra di scrutinio e di scandaglio delle fonti archivistiche ivi conservate e le conoscenze acquisite nel corso degli anni lo maturarono non poco nel metodo e nella ricerca, facendo di lui, appena trentenne, un punto di riferimento nella Roma di quel tempo per competenza e sensibilità. Quando pertanto, in base alla definizione del nuovo organico della Biblioteca Vaticana approvato nel 1968, venne a proporsi la nomina ad archivista in uno dei posti di III categoria, con lo specifico incarico di ordinare, inventariare e valorizzare i diversi materiali d’archivio sia ecclesiastici sia familiari, sembrò naturale e quasi scontato al Viceprefetto Mons. José Ruysschaert ed al Reverendo Romeo De Maio, allora Direttore della Scuola di Biblioteconomia, segnalare al Cardinale Bibliotecario Eugenio Tisserant ed al Prefetto Alfonso Raes proprio Luigi Fiorani: i proponenti non solo lo conoscevano personalmente ma avevano avuto modo di stimarlo per la serietà, la proficua applicazione al lavoro, l’attivo e ordinato spirito di ricerca e di servizio; tali qualità intellet-

* Ringrazio Cesare Pasini, Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, per avermi consentito di poter consultare il fascicolo Fiorani. Schedario personale conservato presso l’Archivio della Prefettura; a Christine Maria Grafinger il grazie per la sua disponibilità. Per la stesura del presente contributo sono ricorso anche ai colleghi Luigi Cacciaglia ed Andreina Rita per utili informazioni e suggerimenti. Di nuovo li ringrazio.

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

marco buonocore
Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013

tuali erano inoltre in perfetta sintonia con la sua formazione morale, talmente buona da infondere al giovane studioso un sincero spirito di apostolato (erano messi in evidenza, inoltre, i suoi interessi rivolti all’insegnamento di studenti bisognosi nonché la sua attiva partecipazione al movimento di Azione Cattolica di Roma). Tutto questo veniva riassunto in un biglietto di presentazione redatto il 24 gennaio 1969 da Mons. Luigi Rovigatti, per numerosi anni parroco di Fiorani alla Natività di Nostro Signore Gesù Cristo di Roma, allora Vescovo Ausiliare di Tarquinia – Civitavecchia –Porto e Santa Rufina. Ma ancora di più veniva sottolineato ed ampliato dalla lettera del 6 febbraio scritta da Paolo Brezzi, allora Direttore dell’Istituto di Scienze Storiche della Facoltà di Magistero di Roma, indirizzata al Prefetto Raes (lettera annunciata dallo stesso Fiorani nella richiesta d’assunzione presso la Vaticana datata 25 gennaio 1969). La voglio qui di seguito riportare perché riassume a tutto tondo lo spessore culturale e la rettissima ed esemplare condotta morale di Fiorani nonché il sicuro vantaggio scientifico, come fu, che ne sarebbe derivato alla Vaticana nel caso si fosse realizzato il tanto auspicato stabile inquadramento nell’organico dell’istituzione pontificia:

Dichiaro di conoscere da vari anni il dott. Luigi Fiorani e di averne sempre apprezzato le qualità intellettuali e morali di non comune levatura.

Il Fiorani è ben preparato ad affrontare severi studi storici in diversi periodi cronologici, conosce la paleografia e le altre scienze ausiliari, ha lunga pratica di archivi, ma egli non limita i suoi interessi culturali al passato essendo assai sensibile alla problematica più attuale ed aperta in materia religiosa. Ciò – senza distrarlo dall’impegno scientifico al quale si è totalmente votato con entusiasmo ammirevole – lo arricchisce di esperienze e rende più viva la sua ricerca.

Il Fiorani ha un’ottima preparazione anche in archeologia cristiana e nella Patristica, ma ormai sembra definitivamente orientato verso l’indagine storica con speciale riguardo al secolo XVIII, del quale va scoprendo aspetti mal noti perché volontariamente trascurati da chi intendeva presentare un preciso – ma inesatto e parziale – quadro di quel tempo. Con rigore di metodo e abbondanza di documentazione originale, equità di giudizio, acume di analisi, il Fiorani prosegue questi studi e si può essere sicuri degli ottimi risultati che conseguirà a non lunga scadenza. Se a queste eminenti qualità intellettuali, si aggiunge la cordialità, la modestia, la generosità del giovane, il suo spirito di apostolato (estrinsecatosi anche in iniziative d’insegnamento verso studenti bisognosi), la sua condotta rettissima ed esemplare, si può con tranquilla coscienza conchiudere che il Fiorani può costituire un prezioso acquisto per chiunque intenda impegnarlo in lavori di ufficio e di studio nell’ambito della cultura cattolica.

Con tali credenziali (il giudizio di Brezzi, così come impostato, ben si sarebbe allineato ad analoghi positivi giudizi concorsuali per eventuali cattedre in ambito universitario) la Vaticana, pertanto, poteva disporre di ulteriori

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certezze nel ritenere il candidato personalità sicura e fidata nel rendere quei servizi scientifici tanto attesi dagli incaricati dell’ufficio di archivista. Il 17 giugno del 1969 al cardinale Tisserant fu fatto pervenire il biglietto (n. 134045) di Sua Santità Paolo VI, firmato dal Cardinale Segretario di Stato Giovanni Villot, con la nomina ad Archivista della Biblioteca Apostolica Vaticana (mai prima di allora la Biblioteca Vaticana aveva avuto nel proprio organico tale figura professionale); il 1° settembre Fiorani prende ufficialmente possesso dell’incarico a carattere continuativo inquadrato al grado III della tabella allora vigente. Due anni dopo viene nominato Direttore aggiunto al Servizio del Catalogo degli stampati (con biglietto Prot. n. 189531 del 12 ottobre 1971 firmato dal Sostituto della Segreteria di Stato Sua Eccellenza Mons. Giovanni Benelli): la proposta era stata avanzata il 5 ottobre dal Prefetto Alfonso Stickler, dal momento che il precario stato di salute dell’allora Direttore, Prof. Mario Gout, e la repentina scomparsa di un impiegato del medesimo ufficio, il Sig. Vittorio Bergomas, aveva causato un tracollo al Catalogo – così scrive testualmente Stickler – già in precedenza impoverito da varie vicissitudini che avrebbero necessitato pronti e radicali interventi. Nei cinque anni che mantenne ad interim questo incarico, Fiorani dimostrò ancora una volta, senza nulla togliere all’impegno quotidiano per l’Archivio, tutto il suo amore e tutta la sua dedizione verso l’Istituzione ben amalgamandosi con i colleghi del reparto ed attivandosi per l’avanzamento della catalogazione, non solo quella corrente ma anche quella storica (proprio in quell’anno, infatti, fu dato inizio con la partecipazione di Massimo Ceresa alla inventariazione del ricchissimo fondo a stampa della biblioteca del Cardinale di York, che, come si sa, era stata trasferita alla Biblioteca Apostolica Vaticana, unitamente all’Archivio della Curia di Frascati, a seguito dei bombardamenti dei primi mesi dell’anno 1944 dolorosamente subiti dalla città di Frascati. Tale fondamentale, provvidenziale e tempestivo recupero permise a tutto questo patrimonio librario di essere salvato e conservato in un luogo idoneo ed appropriato1). Il 14 marzo 1978 viene promosso al IV grado previa l’autorizzazione della Segreteria di Stato trasmessa in data 9 marzo al Cardinale Bibliotecario Antonio Samorè dal Segretario di Stato Giovanni Villot (Prot. n. 329621). Cinque anni più tardi con Biglietto di nomina pontificia dell’1 dicembre 1983 firmato dal Segretario di Stato Agostino Casaroli venne accettata la proposta avanzata l’11 novembre sempre da Stickler, divenuto ProBibliotecario di Santa Romana Chiesa non-

1 Vd. m. buonocore, La biblioteca del Cardinale Henry Stuart Duca di York dal codice Vaticano Latino 15169, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 2007 (Studi e testi, 440); La Biblioteca del Cardinale Enrico Benedetto Clemens Stuart Duca di York a Frascati 1761-1803, a cura di m buonocore – g cappelli, Roma, Gangemi, 2008.

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ché ancora Prefetto della Biblioteca Vaticana, di promozione al V grado, lo stesso in cui era inquadrato il collegio degli Scrittori (l’autorizzazione fu del 9 dicembre, Prot. n. 121031). Il 24 luglio dell’anno successivo ottiene il titolo di Commendatore di S. Gregorio Magno (Prot. n. 4017-18/ON).

Il 25 aprile 2003 Luigi Fiorani compiva 65 anni, limite previsto, come ratificato dal “Regolamento Generale della Curia Romana”, per la cessazione del servizio (è, infatti, del 1 aprile di quell’anno la lettera del Segretario dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica Sua Eccellenza Mons. Claudio Maria Celli, mediante la quale si comunicava tale scadenza al Cardinale Bibliotecario Jorge María Mejia). Ma dal momento che Luigi Fiorani era ancora impegnato nella conclusione di un lavoro di estrema importanza per la Santa Sede, cioè l’inventario amministrativo dei fondi archivistici della Vaticana come richiesto dalla legge dello Stato della Città del Vaticano n. 355 del 25 luglio 2001 sulla tutela dei beni culturali, il Prefetto Raffaele Farina, ora Cardinale Bibliotecario, chiese tre giorni dopo la ricezione della missiva il prolungamento del servizio fino al 30 settembre (Prot. 2003/0713/P-QF76), proroga che venne accettata e firmata il 23 aprile (n. 372975) da mons. Claudio Maria Celli Segretario dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. Luigi Fiorani, pertanto, continuò il suo incarico fino al 30 settembre di quell’anno.

1 settembre 1969 – 30 settembre 2003. Trentaquattro anni di ufficiale servizio dedicati interamente alla Biblioteca Vaticana ed in particolare alla Sezione Archivi. Ma anche dopo la quiescenza Luigi Fiorani vi tornava spesso, con l’intento di concludere altri lavori ormai prossimi alla stesura definitiva, di riprendere progetti appena iniziati, di ricucire, insomma, le fila di un discorso che mai in lui si era sopito con quell’amore, quella dedizione, quella competenza, quella discrezione, che sempre l’hanno distinto e caratterizzato in tutta la sua carriera professionale. E per noi suoi colleghi nella convivenza quotidiana fatta della normale attività in Biblioteca, quasi una “studiosa compagnia” per riprendere un sintagma caro a Federico Cesi, per noi suoi amici, e per me in particolare suo successore nella direzione della Sezione Archivi, l’incontro tra le mura vaticane con Luigi Fiorani era sempre occasione di crescita culturale ed umana. Molti hanno avuto modo di sperimentarne le qualità, le competenze, i ragionamenti, la profondità di analisi e sintesi, qualità mai disgiunte da un affabile e talvolta ironico colloquiare spesso segnato da profondi racconti di vita, da cui sempre traspariva quella stessa umanità che ha sempre cercato nelle tante figure delineate nelle sue ricostruzioni storiche: ed anche in occasione del pranzo a lui offerto il 7 ottobre 2003 dalla Biblioteca Vaticana per il suo pensionamento non mancò di dimostrare, appunto, tutta questa sua alta humanitas.

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Qual è l’eredità scientifica che Luigi Fiorani ci ha lasciato nell’ambito dei suoi studi archivistici, ma non solo, della Biblioteca Vaticana? Sarà bene, credo, spiegare innanzitutto in cosa consiste l’Archivio della Biblioteca Vaticana che Fiorani diresse per così numerosi anni 2 .

Le circa 100.000 unità archivistiche, disposte in oltre 2000 metri lineari di scaffalatura, fanno della Sezione Archivi (costituitasi fisicamente nel 1978; cf. Attività della Santa Sede 1978, Città del Vaticano 1979, p. 773) un tesoro prezioso per la storia della cultura europea del secondo millennio. Come si sa, organici fondi di manoscritti fin dalla loro costituzione avevano spesso incorporato intere serie di documenti pubblici e privati relativi alle attività politiche o religiose del fondatore di una determinata biblioteca. La Vaticana, quantunque sviluppatasi accanto all’Archivio Segreto Vaticano, raccoglie ricchissime serie documentarie incorporate in biblioteche private: si pensi ai carteggi diplomatici del fondo Barberini, alle pergamene o a quelle, greche e latine, che costituiscono alcuni testimoni della serie degli attuali manoscritti Vaticani latini, e infine al fondo Introiti-Esiti, raccolta dei libri di conti della Casa pontificia e complementare a quello, assai più consistente, conservato nell’Archivio Segreto. Con l’intento di una più efficace conservazione e gestione di questi materiali, non certo per separare le serie documentarie incorporate nei fondi manoscritti, la Vaticana avvertì l’esigenza di creare una sezione separata ed indipendente per i fondi di natura propriamente ed esclusivamente archivistica, dove trovassero la loro naturale collocazione i veri e propri grandi archivi (o consistenti spezzoni di essi) pervenuti in tempi e circostanze diversi. Questo fu il motivo, come abbiamo precedentemente indicato, della nomina di Luigi Fiorani a dirigere tale nuova sezione della Vaticana.

2 l cacciaglia, Archivi di famiglie nella Biblioteca Vaticana, in Archivi e archivistica a Roma dopo l’Unità: genesi storica, ordinamenti, interrelazioni. Atti del convegno, Roma, 12-14 marzo 1990, Roma, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, 1994 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Saggi, 30), pp. 380-403; p. vian, Frammenti e complessi documentari nei fondi manoscritti della Biblioteca Vaticana, ibidem, pp. 404-441; m. buonocore, De Archivo Bibliothecae Apostolicae Vaticanae adnotationes nonnullae, in Visita del Santo Padre Benedetto x VI alla Biblioteca Apostolica Vaticana (25 giugno 2007), Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 2007, pp. 30-32; id., La Sezioni Archivi, in Conoscere la Vaticana. Una storia aperta al futuro, a cura di a m piazzoni – b jatta, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 2010, pp. 47-51; Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Apostolica Vaticana, I-II, a cura di f. d’aiuto – p. vian, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 2011 (Studi e testi, 466-467), sub vocibus. Si consulti anche il sito <http://www.vaticanlibrary.va/home.php?pag=sezione_archivio>.

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Alla fine dell’Ottocento e nel corso del secolo appena trascorso furono versate nella Vaticana, unitamente alla biblioteche Barberini, Boncompagni, Borghese e Chigi, importanti fondi archivistici provenienti da famiglie gentilizie romane o comunque legate da stretti vincoli all’Urbe, famiglie che per varie ragioni e a diversi livelli erano state a contatto con il governo e gli affari della Chiesa. Nel 1902 entrarono le raccolte dei Barberini (congiuntamente ai manoscritti ed agli stampati); oltre ai documenti sulla storia della famiglia, è conservato tutto il posseduto relativo alle numerose abbazie di cui i cardinali Barberini erano stati commendatari, i volumi del monastero dell’Incarnazione di Roma, detto delle Barberine, ed altre raccolte di famiglie strettamente associate, pervenute per via di matrimoni ed eredità, come quelle dei Salviati e dei Colonna di Sciarra, uno spezzone dell’Archivio Colonna (complementare dell’Archivio Colonna oggi a Subiaco, del ramo di Paliano), la computisteria del card. Pietro Ottoboni junior († 1740). Nel 1940 venne depositato dalla Basilica Vaticana, dove era rimasto fin dalle origini, l’Archivio del Capitolo di S. Pietro, secondo il desiderio di Pio XI e poi di Pio XII. Il fondo costituisce uno dei più importanti complessi documentari della Sezione Archivi della Biblioteca Vaticana, per la vastità di materie trattate, per la storia culturale e religiosa, artistica ed edilizia della Basilica, complemento indispensabile dell’Archivio della Reverenda Fabbrica, tra cui la serie delle circa 78 capsae, che raccolgono pergamene e carte legate in fascicoli, con documenti dal X secolo (fra cui la famosa bolla di Bonifacio VIII per il Giubileo del 1300), e la quantità veramente considerevole di documenti collegati alla gestione del patrimonio immobiliare posseduto ed amministrato dall’istituzione canonicale. Sono incorporate intere raccolte documentarie di istituzioni collegate con il Capitolo, come l’archivio della confraternita di S. Egidio, le carte del Seminario Romano, delle chiese di S. Caterina della Rota e S. Biagio a via Giulia. Insieme all’archivio del Capitolo sono giunte anche le 123 cartelle di mons. Angelo Costaguti (1755-1822), canonico di S. Pietro.

Nel 1944, per essere messo al riparo dalle distruzioni belliche, giunse l’Archivio Chigi, legato soprattutto all’attività di Alessandro VII (Fabio Chigi), con circa 25.000 unità datate tra i secoli XII e XX, tra cui alcuni disegni di Gian Lorenzo Bernini. L’ archivio e i disegni provenivano dal palazzo baronale dei Chigi ad Ariccia, dove erano stati trasportati nel 1918 dal romano Palazzo Chigi in seguito alla vendita di questo al Governo italiano.

Nella nostra Sezione si conservano inoltre archivi o spezzoni d’archivi di altre basiliche romane (come è noto, la maggior parte degli archivi dei capitoli delle basiliche romane è depositata presso l’Archivio Storico del Vicariato): S. Anastasia, S. Angelo in Pescheria, S. Maria in Cosmedin, S.

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Maria in Via Lata, S. Maria ad Martyres o Pantheon, Archivio del Capitolo di S. Maria Regina Coeli.

Altro fondo di notevole spessore è quello dei Notai d’Orange, così denominato perché costituisce l’antico archivio dei registri dei notai (documenti datati tra il 1311 e il 1557) del Principato di Orange, che rogavano contemporaneamente in località del Contado Venassino. La documentazione costituisce una fonte assai preziosa per la ricostruzione della storia sociale della Provenza. Esso fu acquisito dalla Vaticana nella prima metà del XX secolo, per scambio con l’Archivio Segreto Vaticano, ove era sino ad allora conservato, essendovi stato versato insieme ai documenti della cancelleria avignonese. Entrambe le collezioni – quella della cancelleria e quella notarile – provenivano infatti dagli archivi papali di Avignone.

Estremamente eterogeneo e di grande interesse è il fondo denominato Raccolta Patetta dal nome di colui che lo costituì e da cui prende il nome la sede della nostra Sezione Archivi: lo storico di diritto italiano Federico Patetta (Cairo Montenotte, 16 febbraio 1867 – Alessandria, 28 ottobre 1945). Aveva raccolto un’ingente quantità di autografi, manoscritti, pergamene e stampati, che alla sua morte seguirono strade diverse. La parte più cospicua, costituita dagli autografi, dai manoscritti e dalle pergamene, fu donata per disposizione testamentaria nell’immediato secondo dopoguerra alla Biblioteca Vaticana. Il fondo ora della Biblioteca Vaticana è attualmente suddiviso in quattro sezioni: Autografi e Documenti, Manoscritti, Pergamene e Raccolta Patetta. Nella Sezione Archivi sono conservate le Pergamene e la Raccolta Patetta. A questi si aggiungano gli archivi, ancora non consultabili di Egilberto Martire (1887-1952) e della Curia di Frascati sopra ricordato. Per questo enorme materiale gli studiosi potevano già fruire di inventari manoscritti più o meno analitici, che tuttavia non coprivano l’imponente massa documentaria. Il lavoro intrapreso da Fiorani fu innanzitutto quello di avviare il preliminare lavoro d’identificazione all’interno dei fondi, al fine di ricostruire e sistemare l’originaria pertinenza, dal momento che numerosi elementi attinenti ad una medesima serie archivistica durante i vari trasferimenti subiti erano stati spostati dalla loro originaria posizione. Tale paziente e poco visibile scrutinio archivistico, tra l’altro quanto mai difficoltoso nonché insidioso, lo impegnò assiduamente: cercò, anche coadiuvato dal suo ed ora mio fedele sodale il dott. Luigi Cacciaglia, di ricostituire, sistemare e ripristinare intere serie andate disperse, descrivendo con competenza e precisione numerosi fondi che in questo modo per la prima volta ebbero la possibilità della consultazione.

Esaminava, studiava le buste non ancora ordinate, rinveniva registri e fascicoli appartenenti ai fondi, provvedeva a ricollocarli al loro posto

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naturale e a redigere le relative annotazioni nei rispettivi inventari, non esimendosi mai, quando necessario, dal sistemare il materiale così reperito ed ordinato in buste con le opportune camicie. In questo modo riesce a mettere in ordine la I serie del fondo Abbadie dell’Archivio Barberini (sopra ricordato) composto di 377 unità, di cui mi sono avvalso presentandone la fotocopia dell’inventario settecentesco con i relativi rimandi e la consistenza numerica dei fogli (per un totale di 104687 fogli), che trasmettono anche importanti notazioni sulla loro amministrazione, sui rapporti intessuti con i sinodi diocesani e sulle visite apostoliche. Compila nel 1971 l’indice sommario delle prime 1163 Pergamene Patetta. Inventaria e numera l’Archivio della Basilica di S. Anastasia mettendone a disposizione del pubblico nel 1975 la redazione dattiloscritta. L’ anno successivo elabora l’inventario della Computisteria Ottoboni (168 unità archivistiche), inventario pertinente all’archivio contabile-amministrativo del cardinale Pietro Ottoboni (1667-1740) con istrumenti notarili, filze di pagamento, libri mastri e altri registri e carte di natura amministrativa. Quindi redige l’inventario sommario della “coda” dei Manoscritti Patetta 2910-4688 latori di notizie su archivi di famiglie e di Comuni. Tra il 1978 ed il 1980 mette a disposizione la riedizione in sei volumi degli inventari dei quattro Indici dell’Archivio Barberini (Indice I, II, III e IV ) offrendo una più agile segnatura ai 1251 elementi per il primo, ai 4167 per il secondo, ai 694 per il terzo, ai 1697 per il quarto, in sostituzione di quella antica assai macchinosa ed ormai non più congruente con le moderne dinamiche archivistiche (l’originale, compilato probabilmente dall’archivista Sante Pieralisi dopo il 1836, e copiato dal computista di casa Barberini, Prospero Mallerini, sostituiva un precedente inventario settecentesco dal titolo Index variorum; a margine di questa riedizione approntata da Fiorani è dattiloscritta la nuova segnatura, costituita dalla sezione e dal numero di catena, che sostituisce, appunto, la vecchia segnatura topografica, suddivisa in indice, credenzone, cassetta, mazzo). Nel 1980 consegna l’inventario dell’Archivio di S. Angelo in Pescheria. Nel 1982 il suo interesse si rivolge alla Computisteria sempre dell’Archivio Barberini offrendo la nuova descrizione dei 1238 elementi che la costituiscono. È bene sottolineare che tutti questi inventari sono corredati da utilissimi indici nonché da numerose aggiunte e correzioni che di volta in volta Fiorani apponeva sulle relative copie. Nel febbraio 1987 mette a disposizione, rivedendoli e controllandoli, i quattro volumi dattiloscritti dell’Archivio del Capitolo di San Pietro compilati da Pio Pecchiai tra il 1945 ed il 1948, apportando nei volumi come sempre numerose aggiunte, integrazioni e correzioni (nel quarto, in particolare, riporta la nuova e più ampia inventariazione dell’archivio della Confraternita di S. Egidio inserito in quello del suddetto Archivio). Molte delle sue energie

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vengono devolute all’inventariazione degli Autografi Patetta, l’imponente raccolta suddivisa in 741 cartelle: tra il 1990 ed 1992 elabora il catalogo dattiloscritto delle cartelle 111-168 (da Bondacci a Capellis) in collaborazione con Ubaldo Sulis, archivista presso l’Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia “Paolo VI” (con Ubaldo Sulis, così mi indica Caterina Fiorani, Luigi Fiorani era legato da amicizia sincera dai primi anni del 1960; a lui si rivolgeva per la correzione delle schede e per ulteriori ricerche di archivio ai fini di una precisa identificazione dei personaggi). In occasione del Grande Giubileo dell’anno 2000, segue l’edizione della Bolla di Bonifacio VIII del 22 febbraio 1300 desunta dall’esemplare Arch. Cap. S. Pietro caps. I, fasc. 1 n. 8, tradotta per l’occasione in tredici lingue (questa pubblicazione si inseriva in un suo grande progetto che si sarebbe dovuto concretizzare in una mostra con relativo catalogo in cui sarebbero stati dettagliatamente discussi ed illustrati i Giubilei a cominciare, appunto, da quello del 1300; sull’argomento si veda, comunque, il volume 16 degli Annali della Storia d’Italia [Torino, Einaudi, 2000], intitolato Roma, la città del Papa: vita civile e religiosa dal giubileo di Bonifacio VIII al giubileo di Papa Wojtył a, curato con Adriano Prosperi, e nello stesso il contributo a firma di Fiorani Charità et pietate. Confraternite e gruppi devoti nella città rinascimentale e barocca, pp. 269-298). Redige, inoltre, numerose “voci” dei fondi dell’Archivio per la Guida curata da Paolo Vian e Francesco D’Aiuto, la quale è ora in grado di svelarci ulteriori tasselli in aggiunta a quanto le fondamentali ricerche prima di Jeanne Bignami Odier del 19733 (ST 272) ed ora di Nicoletta Mattioli Háry del 20094 (ST 455) ci hanno trasmesso. Nel 2005, infine, sebbene ormai in pensione, consegna i cinque volumi delle cartelle 169-240 (da Capello a Dallari) degli Autografi Patetta.

Sono tutti strumenti che oggi consultiamo quotidianamente, grazie ai quali siamo messi nella condizione di navigare con sicurezza in un mare così ricco di informazioni altrimenti ignorate o di difficile se non impossibile riscontro. Quante volte, inoltre, siamo dovuti ricorrere alla sua competenza e alla sua disponibilità per risolvere determinate questioni, per ricercare ed identificare un determinato documento archivistico disperso tra i fondi della Vaticana? Quando, ad esempio, nei primi anni del 1980, da poco assunto

3 La bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie x I. Recherches sur l’histoire des collections de manuscrits (avec la collaboration de josé ruysschaert), Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1973 (Studi e testi, 272).

4 The Vatican Library and the Carnegie Endowment for international peace. The history, impact, and influence of their collaboration (1927-1947), Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 2009 (Studi e testi, 455).

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alla Vaticana, lavoravo alla stesura dei due volumi della bibliografia dei fondi manoscritti della biblioteca5, a lui mi affidavo per tutte le questioni attinenti alle citazioni dei fondi archivistici e da lui ricevevo sempre cordiale, puntuale e generosa risposta ed illuminanti chiarimenti, mai ex cathedra, propri dello spirito di servizio che sempre lo ha connotato. Ricordo ancora con particolare gratitudine e viva commozione la visita che mi fece fare nella Sezione Archivi, svelandomi un mondo di carte veramente eccezionale e di cui non potevo immaginare l’esistenza. Mai avrei pensato di doverlo sostituire nella direzione dell’Archivio che a suo tempo mi aveva impressionato per la quantità e la qualità della documentazione esistente. Con tutti i colleghi, ripeto, si dimostrò sempre prodigo di consigli e suggerimenti; in particolare con lo staff del suo Archivio: con il già ricordato Luigi Cacciaglia e con Andreina Rita per gli anni 1997-2004, quando la istradò nella revisione di alcune descrizioni sommarie di manoscritti e stampati vaticani di argomento ascetico spirituale, databili in gran parte tra i secoli XVI e XVIII, provenienti dalla Congregazione del Sant’Uffizio, oppure nella costruzione del lavoro (prossimo ad uscire nella collana Studi e testi con il n. 470) Biblioteche e requisizioni librarie a Roma in età napoleonica: cronologia e fonti romane; una ricerca che Fiorani purtroppo non potrà vedere conclusa, ma che ha visto nascere e crescere, che ha caldeggiato anche perché strettamente connessa ad un ambito a lui particolarmente caro: la storia religiosa di Roma. Una ricerca preziosa questa della collega Andreina Rita, che oltre a ricostruire cosa accadde a Roma alle raccolte librarie degli ordini religiosi maschili durante l’occupazione napoleonica, ha rappresentato l’occasione per delineare, a grandi linee, il profilo storico-culturale di molte biblioteche religiose della città altrimenti sconosciute, evidenziando le figure che contribuirono alla loro nascita e al loro sviluppo. Un tassello della storia culturale e religiosa di Roma, un punto di partenza per futuri lavori, ma anche una nuova prospettiva di studio, che ricostruisce il profilo dell’antica raccolta libraria attraverso la documentazione archivistica e attraverso l’identificazione dei manoscritti e dei libri a stampa che la costituivano, considerati come un insieme unitario. Ed è fin troppo scontato ravvisare in questa ricerca della giovane collega le fondamenta di tutto l’ iter culturale di Luigi Fiorani, come del resto ben testimonia la sua partecipazione al monumentale lavoro di scrutinio archivistico di Domenico Rocciolo pubblicato nel 2004 Chiesa romana e Rivoluzione Francese 1789-1799 per la Collection de l’École française de Rome (volume 336), un volume strettamente collegato con la ricerca dello

5 m. buonocore, Bibliografia dei fondi manoscritti della Biblioteca Vaticana (1968-1980), 2 voll., Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1986, (Studi e testi, 318-319).

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stesso anno condotta da Gérard Pelletier ospitata nella medesima collana n. 319 [Rome et la Révolution française. La thèologie et la politique du Saint-Siège devant la Révolution française (1789-1799)].

L’ affermata notorietà di Fiorani in questo specifico settore di studio, la sua posizione nell’ambito della Santa Sede (ricordo che per tanti anni insegnò Archivistica nella Scuola di Biblioteconomia della Vaticana), le sue conoscenze a livello nazionale ed internazionale, quantunque egli fosse, come abbiamo visto, restio a facili ed umane ambizioni e presenzialismi, fanno di Luigi Fiorani in quei decenni personaggio cardine delle ricerche storiche e archivistiche e punto di riferimento per qualunque indagine di settore. Sappiamo tutti di quale spessore fosse il rapporto di amicizia e di stima intessuto con Gabriele De Rosa, maestro, tra l’altro, della storia del movimento cattolico in Italia e così sensibile alla tutela degli archivi ecclesiastici6 , che mi fece conoscere personalmente in anni ormai lontani all’Istituto Luigi Sturzo di Roma, che De Rosa diresse per trent’anni dal 1979 al 2009, anno della sua morte che lo colse l’8 dicembre, cinque giorni dopo che Luigi Fiorani aveva lasciato questa vita terrena, quasi in una sorta di mutuo congedo, quasi a volersi sancire nella triste evenienza la fine di un solidale connubio di studi e di ricerche. Entrambi proiettati verso la ricerca della verità storica, un lungo cammino che si compiace talvolta di una sostanziale problematicità, avevano intrapreso con passione lo studio di questa disciplina attraverso lo scrutinio attento, meticoloso, ponderato delle fonti, con suggerimenti, temi da approfondire, possibili letture critiche presentate sempre con moderazione, con alta competenza, lontano da ogni strumentalizzazione politica.

Ed ancora. Luigi Fiorani si interessa, come si evidenzierà nelle relazioni seguenti, alla situazione degli archivi romani e alla loro salvaguardia e tutela, attivandosi sempre per una loro facile e corretta messa in ordine ai fini della consultazione. Fu così che dopo il 1970 grazie all’amicizia intercorsa con Michele Maccarrone, storico della Chiesa e legato personalmente agli esponenti della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (F.U.C.I.), vennero donati alla Sezione Archivi della Vaticana gli archivi personali di alcuni dirigenti e figure di rilievo di quella istituzione, quali Maria Teresa Balestrino, Maria Carena, Giampietro Dore, Angela Gotelli, Angelo Raffaele Jervolino, Anna Martino, Ugo Piazza, Giandomenico

6 Sulla complessa figura di Gabriele De Rosa, studioso e intellettuale impegnato sul terreno civile e politico-culturale, vd. ora l. billanovich, Gabriele De Rosa (1917-2009).

Itinerario biografico e indirizzo di storia socio-religiosa: una ricostruzione, «Rivista di Storia della Chiesa in Italia», 2011, 1, pp. 3-30.

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Pini, Igino Righetti. Nel 1985 entrò sempre nella nostra Sezione l’Archivio del Circolo San Pietro. Nella lettera trasmessa al prefetto della Vaticana Leonard Boyle in data 14 dicembre 1984, firmata dall’allora Presidente del Circolo nonché Presidente della Consulta dello Stato della Città del Vaticano, il marchese Giulio Sacchetti, si legge: «Nella impossibilità di dare una adeguata sistemazione a tutto il materiale, il Circolo San Pietro avrebbe in animo di depositare presso la Biblioteca Apostolica le carte dell’Archivio dall’anno della fondazione 1869 al 1969 affinché sia messo a disposizione degli studiosi». La richiesta, ovviamente accolta, viene così definita dallo stesso Fiorani in un suo appunto manoscritto, minuta evidentemente da ratificarsi in forma ufficiale dallo stesso padre Boyle: «L’ Archivio del Circolo di S. Pietro è pervenuto in B(iblioteca) V(aticana) donato dall’Associazione del Circolo di S. Pietro, per volontà e decisione unanime dei Soci e del suo Presidente marchese Giulio Sacchetti. Le operazioni di trasferimento, così come l’iniziale proposta si devono all’interessamento del dott. Luigi Fiorani, responsabile della Sezione Archivistica della Biblioteca Vaticana, d’accordo e su istruzione del prefetto P. Leonard E. Boyle».

Naturalmente la padronanza dell’archivio della Biblioteca gli ha consentito di portare all’attenzione del mondo scientifico importanti traguardi della sua ricerca archivistica “vaticana”. Altri valuteranno nello specifico il significato di queste sue pubblicazioni che costituiscono punto di riferimento bibliografico indiscusso, di apprezzare quale sia stata la testimonianza per il progresso, dimostrando ancora una volta come la Vaticana, a motivo della ricchezza ed unicità del suo materiale, rimane luogo d’incontro e di dialogo fra le diverse prospettive culturali e metodologiche internazionali, un eccezionale e stimolante crocevia per il sempre continuo rinnovamento degli studi finalizzati alle indagini sulla tradizione, sulla fortuna, sulla storia dei testi, con evidenti e fin troppo utili ricadute nella metodologia critica e storiografica.

Innumerevoli sono state le pubblicazioni in cui è facile confrontarsi con incursioni sui fondi non solo archivistici della Vaticana a cominciare da Due lettere inedite del Muratori al Crescimbeni edito in Studi Romani (19, 1971, pp. 144-150), dove portava all’attenzione un autografo del fondo Ferrajoli, un codice di S. Maria in Cosmedin ed il Vat. lat. 10368; per poi seguire con Monache e monasteri romani nell’età del quietismo, con cui dava inizio alla sua rivista Ricerche per la storia religiosa di Roma (siamo nel 1977, pp. 63-112), dove per la prima volta veniva riservata attenzione al ricchissimo archivio composto di 200 unità del monastero dell’Incarnazione detto delle

“Barberine” entrato da noi nel 1907 (ora i volumi, i registri e le filze sono

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stati ordinati ed inventariati da Luigi Cacciaglia7); e sempre nella medesima rivista, Astrologi, superstiziosi e devoti nella società romana del Seicento (RSRR 2, 1978, pp. 97-162), Religione e povertà. Il dibattito sul pauperismo a Roma tra Cinque e Seicento (ibid., 3, 1979, pp. 43-131), Le visite apostoliche del CinqueSeicento e la società religiosa romana (ibid. 4, 1980, pp. 53-148), Discussioni e ricerche sulle confraternite romane negli ultimi cento anni (ibid. 6, 1986, pp. 13-106), un’utilissima messa a punto su quella delicata problematica; per finire con Per la storia dell’antiquietismo romano. Il padre Antonio Caprini e la polemica contro i “moderni contemplativi” tra il 1680 e il 1690 apparso in L’ uomo e la storia. Studi storici in onore di Massimo Petrocchi (Raccolta di studi e testi, 153), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1983, pp. 399-443. Tanto altro potrei ricordare di come, a motivo dell’esperienza maturata nel lungo e proficuo ufficio vaticano, sapeva muoversi tra i fondi dell’istituzione pontificia, che ormai era in grado di padroneggiare con ammirata ed invidiata competenza; anche tra le pieghe più remote di un codice riusciva ad escerpire quel dato importante ed inedito alla sua ricerca: fondi come quelli Barberini, Chigi, Ottoboni, Urbinate (ampio ricorso faceva sempre, ovviamente, ai così detti Avvisi di Roma) e Vaticani non erano più restii a concedergli i dati che vi cercava con paziente fiducia.

Altro importante traguardo si ha nel 1985. Come forse ai più è noto, tra il 1598 ed il 1603 (proprio l’anno che vedeva la nascita dell’Accademia dei Lincei) la Congregazione dell’Indice aveva promosso un’indagine tesa a verificare lo stato e la consistenza delle biblioteche conventuali e monastiche allora esistenti in Italia. Tutti, pertanto, padri provinciali e superiori, furono invitati ad effettuare visite e sopralluoghi nelle singole case religiose affinché il censimento del loro posseduto librario, manoscritto e a stampa, fosse non solo avviato in modo sistematico ma anche celermente portato a compimento. Nel corso di cinque anni tutta l’inchiesta fu completata ed il ricco dossier, attraverso le cure del cardinale Agostino Valier, venne depositato presso gli archivi della Congregazione Romana e compattato in sessantuno manoscritti, che dal 1917 vengono a trovarsi tra i fondi della Biblioteca Apostolica Vaticana con la segnatura Vat. lat. 11266-11326, a sèguito dell’interessamento prezioso dell’allora prefetto Achille Ratti, il futuro pontefice Pio XI, assai attento alla salvaguardia, alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio

7 Vd. ora l cacciaglia, L’ archivio del monastero dell’Incarnazione detto delle «Barberine» (1639-1907), in Vite consacrate. Gli archivi delle organizzazioni religiose femminili. Atti dei Convegni di Spezzano (20 settembre 2006) e di Ravenna (28 settembre 2006), a cura di e. angiolini, Modena, Mucchi, 2007 (Atti dei Convegni del Centro studi interregionale sugli archivi ecclesiastici, 11), pp. 303-326.

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culturale della Santa Sede. L’ operazione promossa dalla Congregazione dell’Indice, indubbiamente, voleva verificare fino a che punto un settore così importante come quello dei religiosi si fosse formato – nelle sue letture, nei riferimenti culturali e nei modelli formativi – ai canoni ideali che la chiesa post-tridentina aveva cercato di delineare e di tradurre nella sua struttura e nella concretezza dell’esperienza religiosa, anche sulla base dell’ultima normativa canonica in materia, intendo riferirmi al nuovo Index librorum prohibitorum ufficialmente promulgato da papa Clemente VIII una prima volta il 27 marzo 1596 poi nuovamente il 17 maggio dello stesso anno a causa delle tormentate vicende inerenti alla presenza o meno che nell’Index dovevano avere i volgarizzamenti biblici; una querelle sorta tra l’Inquisizione Romana, che ne aveva sempre osteggiato la presenza, convinta com’era che questi volgarizzamenti avessero contribuito alla propagazione dell’eresia, e la Congregazione dell’Indice, che da posizioni intransigenti era passata ad una posizione favorevole verso una loro vigilata concessione. Gli ordini religiosi che risposero a detta inchiesta, per la maggior parte dell’Italia Settentrionale, furono quasi tutti maschili, non mancando, tuttavia, alcune istituzioni monastiche femminili, nonché orfanotrofi ed ospedali che possedevano, appunto, proprie biblioteche. Sulla base delle nostre acquisizioni furono oltre 7.500 le biblioteche ispezionate (incluse anche alcune biblioteche private, come quella dei baroni di Perdifumo, in Sicilia, titolari di una ricca biblioteca contenente numerosi libri devozionali) ed il totale approssimativo di titoli censiti è stimabile intorno al milione di unità. La schedatura del materiale conservato avveniva in modo non sempre omogeneo a discapito dei criteri di organizzazione catalografica richiesti; sempre, comunque, abbiamo la registrazione dei titoli delle opere, redatta in grafia talvolta non sicura e ferma il che rende l’identificazione spesso di incerta attribuzione. Liste molto fitte affollano questi schedari cartacei manoscritti e la possibilità di un loro confronto offre lo spunto inevitabilmente per interessanti considerazioni di varia natura. Infatti non è difficile recuperare tra le pieghe di questi codici riferimenti ad entità monastiche o conventuali con annesse biblioteche di cui ora si è perso la traccia, oppure presenti unicamente in alcune testimonianze indirette di non sempre sicura identificazione. Tutti questi ricchissimi inventari vennero per la prima volta analizzati e schedati da Maria Magdalena Lebreton, collaboratrice scientifica della Biblioteca Vaticana che tanto operò sui nostri fondi. Alla sua morte avvenuta nel 1978

Fiorani completò il lavoro che, quantunque in stesura ormai avanzata, risultava ancora largamente incompleto e provvisorio. La pubblicazione vide la luce nel 1985 corredata di un copiosissimo indice: Codices Vaticani Latini. Codices 11266-11326. Recensuerunt maria magdalena lebreton et aloisius

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fiorani, [Città del Vaticano], in Bibliotheca Vaticana, 1985 (Bibliothecae Apostolicae Vaticanae codices manuscripti recensiti. Series maior, 41).

Come scrive Fiorani stesso nella densa premessa, queste carte di grande rilevanza documentaria sono tornate a parlare «non già, come una volta, a inquisitori accigliati, ma a chi, più semplicemente, intende indagare e servire la storia». Da quel momento, infatti, l’opera portata a compimento da Fiorani viene sistematicamente sfruttata da chi è interessato alla storia delle biblioteche ed in generale alla cultura degli ordini regolari dell’Italia moderna, fino ad arrivare al Convegno Internazionale di Macerata del 2006 (i cui atti sono stati ospitati nella nostra collana Studi e Testi, 434), intitolato proprio Libri, biblioteche e cultura degli ordini regolari nell’Italia moderna attraverso la documentazione della Congregazione dell’Indice, in cui viene annunciata l’edizione integrale in più volumi sotto la cura di Roberto Rusconi dei codici vaticani descritti da Lebreton – Fiorani (la presentazione di questo ambizioso programma editoriale Le biblioteche degli Ordini regolari in Italia alla fine del secolo x VI e della banca dati realizzata dalle Università di Macerata e di “Roma Tre” nell’ambito del progetto di ricerca Inchiesta della Congregazione dell’Indice dei libri proibiti, 1597-1603 avvenne il 28 ottobre 2009 presso la Sala “Crociera” della Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte di Roma, illustrato nell’occasione dallo stesso Rusconi, Rosa Marisa Borraccini e Giovanna Granata). Ma potrei a lungo regestare titoli bibliografici che sempre hanno fatto riferimento a questo catalogo, un eccezionale strumento per le ricerche di settore, a cui mai si potrà imputare un rapido invecchiamento bibliografico: proprio dell’anno 2010, ad esempio, sono il contributo di Paola Zito Le biblioteche dei Caracciolini nel 1600 (Napoli e Roma) secondo il ms. Vat. lat. 11318 edito negli Atti del Convegno tenuto a Chieti i giorni 11-12 aprile 2008 e curato da Irene Fosi e Giovanni Pizzorusso l’Ordine dei Chierici Regolari Minori (Caracciolini): religione e cultura in età postridentina (rivista Studi Medievali e Moderni, 14, 1, 2010, pp. 317-330), la monografia curata da Pietro De Leo, Rita Aiello e Rita Fioravanti Il patrimonio librario della Certosa dei Santi Stefano e Brunone e sue dipendenze alla fine del x VI secolo (un’opera promossa dal Comitato nazionale per le Celebrazioni del IX centenario della morte di san Bruno di Colonia), che si basa sui ff. 22r-151v del codice Vat. lat. 11276 e quella curata da Rosa Marisa Borraccini Dalla notitia librorum degli inventari agli esemplari. Saggi di indagine su libri e biblioteche dai codici Vaticani latini 11266-11326 (Archivio istituzionale delle pubblicazioni scientifiche e didattiche dell’Università di Macerata).

Abbiamo sottolineato quanto Fiorani avesse nel cuore la Sezioni Archivi della Biblioteca e quanto desiderasse portare a compimento lavori non ultimati al momento del suo congedo. Tornava infatti di frequente in quel

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mondo che l’aveva visto archivista indiscusso, motivato dalla necessità di verificare sugli originali gli appunti e le annotazioni da lui registrati in precedenti scandagli archivistici. Lo vedevamo seduto nella Sala Barberini come un normale studioso, lo accoglievamo in quell’Archivio, che per oltre trent’anni aveva diretto, come un maestro da cui sempre apprendere. Ecco perché è sembrato opportuno nonché doveroso nei confronti dell’illustre studioso pubblicare il suo ultimo ed inedito lavoro condotto sui nostri fondi, da considerarsi testimonianza ulteriore di affetto e di gratitudine verso uno studioso che ha servito con onestà e competenza la Biblioteca Vaticana, consentendo alla comunità scientifica di potersi serenamente confrontare con la eterogenea categoria di documenti conservati nella Sezione Archivi:

Archivio Salviati. Il fondo Salviati della Biblioteca Apostolica Vaticana 8. Ai preliminari e necessari lavori di ordinamento ed inventariazione dei registri ed atti della famiglia Salviati (un totale di 554 elementi), entrati in Biblioteca nel 1902 unitamente all’Archivio della famiglia Barberini, ed alla successiva stesura definitiva a cui tanto gli fu d’aiuto l’amorevole assistenza della sua Silvana, Fiorani dedicò inteso lavoro; un lavoro che sarebbe rimasto inedito se non fosse stato per la sensibilità e la competenza di Caterina Fiorani e Luigi Cacciaglia, i quali ne hanno curato e seguito la pubblicazione che oggi presentiamo. Sarà strumento a cui dovranno d’ora in avanti rivolgersi tutti coloro proiettati alle complesse vicende della famiglia Salviati (e quanto aiuto Fiorani riservò alle ricerche di Pierre Hurtubise9!).

Un’ultima perla della vita di uno studioso che ha dedicato le sue energie alla valorizzazione delle fonti archivistiche, intese sia come documenti ausiliarî della storiografia sia come fatti storici in sé; uno studioso che in tutto il suo percorso scientifico sempre intessuto di profonda humanitas ha indicato alla comunità intellettuale uno stabile ancoraggio dove insistere e un sicuro orientamento verso cui dirigersi, quasi una sorta di carta geografica costellata di tutti i necessari approdi e strumenti utili per farla “parlare”, per farci con lei serenamente dialogare.

La sua attività scientifica, come emergerà nel prosieguo di questo Convegno, si espresse quasi interamente sulla storia religiosa di Roma, dal Cinquecento ad oggi, secondo un metodo di lavoro che univa una larga ricerca archivistica e documentaria a stimoli e suggestioni che privilegiavano la dimensione interiore e vissuta del fenomeno religioso (non per nulla

8 Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, (XVII), Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 2010 (Studi e testi 462), pp. 29-101.

9 p. hurtubise , Une famille-témoin, les Salviati, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1985 (Studi e testi, 309).

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Giuseppe De Luca fu suo punto di riferimento indiscusso). I suoi saggi si incentrarono su alcuni temi particolari, quali la pietà tridentina ed il barocco (il quietismo), la pietà del popolo e la pietà colta dei collegi e delle scuole devote, le confraternite, le missioni della Compagnia di Gesù, la crisi modernista, la città religiosa negli anni del Fascismo. Una storia intesa come una vicenda corale, fatta di uomini e in molti casi di uomini comuni; dunque la storia come espressione di umanità, talvolta non lineare, e perciò affascinante. Luigi Fiorani ci ha insegnato il valore delle fonti, siano esse carte d’archivio, manoscritti o libri a stampa; ci ha insegnato dove cercarle, recuperando in esse, al di là del contenuto, l’umanità che le ha prodotte. E per tutto questo la Biblioteca Vaticana gli è stata sempre fedele compagna.

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LE RICERCHE DI LUIGI F IORANI NELL’ A RCHIVIO SEGRETO VATICANO

Malgrado le tante e tante ricerche condotte da Luigi Fiorani in svariatissimi fondi dell’Archivio Segreto Vaticano per lo spazio di trentanove anni, inutilmente si cercherebbe il suo nome nei registri degli studiosi del medesimo Archivio: egli non vi compare mai.

Il fatto si spiega naturalmente con la figura di Luigi Fiorani, nominato archivista della Biblioteca Apostolica Vaticana il 17 giugno 1969; in tale veste egli godeva di una assai comoda convenzione che esisteva – e ancora esiste – fra l’Archivio Vaticano e la confinante Biblioteca Apostolica: quella di passare direttamente, senza alcuna formalità, dalle sale della Biblioteca a quelle dell’Archivio, e qui compiere con libertà le indagini che avesse voluto, chiedendo anche in prestito le buste, i fascicoli o i volumi di suo interesse, con la semplice compilazione di uno speciale bollettario. Il che Luigi Fiorani ha fatto fino al 30 settembre 2003, quando raggiunse la pensione.

Se non vado errato le prime ricerche che Fiorani compì nei numerosi inventari dei fondi dell’Archivio Pontificio rimontano al 1976, in vista della sua prima monografia, Il Concilio Romano del 1725, pubblicata nel 19771. Con questo studio si può dire che Fiorani istituisse uno stile di ricerca, scegliesse ormai una tematica che lo distinguerà a lungo e cercasse alcuni legami culturali ed editoriali ai quali rimarrà fedele nel prosieguo degli anni.

Lo stile di ricerca è quello che ben conosce chi ha letto i saggi di Fiorani: vaglio della più ampia bibliografia possibile sul tema che intendeva trattare, quindi scandaglio in diverse direzioni anzitutto nei fondi manoscritti dell’Archivio Vaticano e della Biblioteca Vaticana, quindi negli altri archivi e biblioteche di Roma, specie in quelle religiose. Tant’è vero che sul Concilio Romano di Benedetto XIII egli incrocia diversi fondi dell’Archivio Vaticano e della Biblioteca Apostolica, parte dei quali (e di sicura rilevanza) fu egli

1 l. fiorani, Il Concilio Romano del 1725, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1978; l’opera fu edita nel 1977, anche se in copertina è indicato per errore il 1978.

(stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

sergio pagano
Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013 ISBN

stesso a porre in risalto per primo, ivi compresi i «14 codici da tempo messi insieme in una raccolta unitaria (…) totalmente sconosciuti finora», ovvero proprio i 14 manoscritti che oggi formano il fondo denominato «Concilio Romano» dell’Archivio Segreto Vaticano. A dire il vero questo fondo «totalmente sconosciuto» non era, perché ne aveva dato notizia Angelo Mercati, allora prefetto dell’Archivio, in un suo saggio del 1942, ma fu Fiorani che li descrisse e li utilizzò per primo2. Accanto a questo fondo Fiorani ricorse (limitandoci a citare i documenti dell’Archivio Vaticano) al Fondo Albani, al Fondo Bolognetti, al Fondo Fini, alla Segreteria di Stato, Francia, all’Archivio della Nunziatura di Napoli, alle Lettere di cardinali della Segreteria di Stato, alla Secretaria Brevium.

La tematica che Fiorani affrontò in questo suo vasto saggio è quella a cui dedicherà poi l’intera sua vita di studioso: la storia religiosa di Roma, del suo popolo, del suo clero, dei monasteri e conventi, delle case religiose, delle associazioni di pietà (per dirla con il sempre ricordato don Giuseppe De Luca), della carità, dell’erudizione ecclesiastica di grandi figure. Insomma –come scriveva lo stesso Fiorani nella Premessa al primo numero della rivista «Ricerche per la storia religiosa di Roma» – quella «storia religiosa» altra da quella del grande organismo ecclesiale o delle istituzioni curiali romane o della corte; la storia religiosa «vissuta dalla società romana al di fuori delle corti laiche o ecclesiastiche e delle loro politiche, con un ritmo esistenziale che prendeva forma e sostanza dal proprio territorio, dalla propria cultura, dal proprio sistema socio-economico»3.

I legami culturali ed editoriali erano già evidenti in questo lavoro: vicinanza alle Edizioni di Storia e Letteratura di don De Luca (sacerdote e studioso che costituì per Luigi Fiorani un modello e una scuola) e le collane di storia religiosa e sociale dirette allora da Gabriele De Rosa. In seno alle Edizioni di Storia e Letteratura Fiorani volle che nascesse la sua creatura, da lui tanto amata e curata fino alla fine dei suoi giorni, la rivista «Ricerche per la storia religiosa di Roma», progettata nel 1976, il cui primo numero usciva nel luglio dell’anno dopo.

Fu nell’ampio articolo sulle monache e sui monasteri di Roma nell’età del Quietismo, pubblicato nel primo numero delle «Ricerche per la storia religiosa di Roma» 4, che Fiorani individuò un filone di indagine nelle fonti dell’Archivio Pontificio suscettibile, oltre il suo medesimo saggio, di futuri

2 La descrizione dei 14 manoscritti in fiorani, Il Concilio, pp. 11-14.

3 «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 1 (1977), p. 5.

4 l. fiorani, Monache e monasteri romani nell’età del Quietismo, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 1 (1977), pp. 63-111.

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sviluppi per la storia religiosa di Roma, ovvero i preziosi verbali delle visite apostoliche compiute nell’Urbe periodicamente da vari pontefici fra il XVI e il XIX secolo. Egli faceva ricorso nel suo lavoro ai volumi delle visite conservati nell’Armadio VII della Miscellanea (già Misc. Arm. I-x V ), affiancati da documentazione consimile, un tempo nel medesimo Armadio VII, poi passata, a seguito di una maldestra e persino ingiustificabile operazione archivistica, fra i Vaticani latini della Biblioteca Vaticana 5 .

Le visite apostoliche a Roma furono perciò indicate da Fiorani al sottoscritto nel 1978 (appena assunto come Scriptor in Archivio Vaticano) perché ne curassi il censimento e la descrizione per un repertorio di cui egli avvertiva la necessità, pronto a pubblicarlo, come poi fece, nelle medesime «Ricerche»; il che avvenne nel 1980, in parallelo, diremmo, ad un corposo saggio dello stesso Fiorani6. Io stesso, dopo averne riferito a Fiorani, tornai sui documenti delle visite apostoliche con un saggio sugli esposti di Santo Spirito nel primo Ottocento, attingendo in pratica alla visita agli ospedali di Roma condotta da Leone XII dal 1824 al 18287.

Si schiudeva così ai ricercatori, per la buona intuizione di Fiorani, una fonte poco nota dell’Archivio Vaticano, alla quale ricorsero e ricorrono molti fino ad oggi (e non solo per la storia religiosa di Roma), tanto che anche di recente è stata nuovamente rilevata l’importanza della documentazione sulle visite apostoliche8.

Seguendo (io credo) un programma di studi settoriali sempre più specifici in ambito della pietà cristiana vissuta a Roma, Fiorani volle dedicare nel

5 Si veda in argomento s pagano, L’ Archivio Segreto Vaticano e la prefettura di Angelo Mercati (1925-1955). Con notizie d’ufficio dai suoi «Diari», in Dall’Archivio Segreto Vaticano. Miscellanea di testi, saggi e inventari, V, Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, 2011, pp. 73-113.

6 id., Le visite apostoliche a Roma nei secoli x VI-x Ix. Repertorio delle fonti, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 4 (1980), pp. 317-464; l fiorani, Le visite apostoliche del Cinque-Seicento e la società religiosa romana, ibidem, pp. 53-148.

7 s pagano, Gli esposti dell’ospedale di S. Spirito in Sassia nel primo Ottocento, ibidem, 3 (1979), pp. 353-392.

8 «Dopo l’intensificarsi e l’approfondirsi degli studi sulle chiese di Roma (…), si rende sempre più necessario attingere in modo più specifico e capillare alle fonti descrittive manoscritte e specialmente a quelle finora meno sfruttate, tra cui si debbono ricordare, tra l’altro, le Sacre Visite Apostoliche dell’Archivio Segreto Vaticano, ormai di facile consultazione dopo la accuratissima catalogazione proposta a suo tempo da S. E. mons. Sergio Pagano, Prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano, e comparsa nel vol. IV del periodico Ricerche per la storia religiosa di Roma, del 1980» (f. guidobaldi – c. angelelli, La «Descrittione di Roma» di Benedetto Mellini nel codice Vat. Lat. 11905, con la collaborazione di l. spadaro e g. tozzi, Città del Vaticano, Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, 2010, pp. 5-6).

LE RICERCHE DI LUIGI FIORANI NELL’ARCHIVIO SEGRETO VATICANO 35

1984 un intero numero delle «Ricerche» ad una vasta disamina delle confraternite romane con un ampio spazio cronologico, dal movimento francescano del Duecento fino alla Roma di fine Ottocento9. Suo il compito, che si assumeva ad ogni numero della rivista, di inquadrare il fenomeno specifico nel più ampio panorama della vita religiosa romana10. Per la prima volta in questo volume venivano censiti e variamente descritti dagli autori gli archivi delle confraternite presenti in Archivio Vaticano ed anche Fiorani su questi si soffermava nel citato suo saggio: Gonfalone, SS. Crocifisso in S. Marcello, Beata Vergine della Cintura ai SS. Trifone e Camillo de Lellis, S. Maria della Pietà dei Carcerati (studiata da Vincenzo Paglia fin dal 1980).

Il «tema inesauribile e largamente inesplorato delle confraternite romane» (sono parole di Fiorani) venne ripreso nel 1985 con il numero 6 delle «Ricerche», interamente dedicato ad un vastissimo e ragionato repertorio degli archivi delle confraternite romane, bilancio e premessa insieme di nuove fasi di ricerca. Ancora una volta Fiorani tracciava una panoramica degli studi sulle confraternite romane degli ultimi cento anni11. Erano censiti e descritti, ovviamente, gli anzidetti archivi delle confraternite romane posseduti dall’Archivio Segreto Vaticano (schede di Giulia Barone, Sergio Pagano, Vincenzo Paglia).

Ad una bolla di Alessandro VI del 20 dicembre 1499 al penitenziere maggiore ricorreva Fiorani per il suo saggio sugli anni santi del XVI e XVII secolo12.

Al fondo Albani, alla Miscellanea, al fondo Gesuiti, alla Congregazione della Visita Apostolica nell’Archivio Vaticano ricorse Fiorani (fra altre fonti) per il suo saggio sull’identità del prete romano del 198813.

In vista di un numero monografico delle «Ricerche» che Fiorani volle dedicare al Modernismo romano nel 1990 parlammo a lungo del «disperso» archivio di mons. Umberto Benigni, figura primaria dell’intransigentismo

9 La storiografia confraternale e le confraternite romane, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 5 (1984); saggi di g barone, p pavan, a esposito, s di mattia spirito, l fiorani, v paglia, g mira, m borzacchini, a serra, m piccialuti caprioli, a cavallaro, s rossi, c strinati e a. vannugli.

10 l. fiorani, L’ esperienza religiosa nelle confraternite romane tra Cinque e Seicento, ibidem, pp. 155-196.

11 id , Discussioni e ricerche sulle confraternite romane negli ultimi cento anni, ibidem, pp. 11-105.

12 id , Gli anni santi del Cinque-Seicento e la confraternita della SS. Trinità del Pellegrini, in Roma sancta. La città delle basiliche, a cura di m. fagiolo – m. l. madonna, Roma, Gangemi, 1985, pp. 85-90 (ASV, A.A., Arm. I-x VIII 1499).

13 l. fiorani, Identità e crisi del prete romano tra Sei e Settecento, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 7 (1988), pp. 135-212.

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modernista alla curia di Pio X e di Benedetto XV. Tanto il sottoscritto che Fiorani eravamo a conoscenza di una «voce» che voleva quelle carte essere custodite nell’Archivio Vaticano, nei cui fondi però non erano mai apparse. Toccò a me il fortunato ritrovamento del cosiddetto Fondo Benigni, «oscurato» alla ricerca storica perché conservato entro anonimi contenitori «Buffetti», privi di titoli esterni; ne diedi subito comunicazione a Fiorani, che volle la primizia per la sua rivista14 e ne anticipò i frutti nel suo saggio nelle «Ricerche» del medesimo 199015. In questo medesimo articolo Fiorani ricorreva per la prima volta in maniera più estesa che in precedenza all’archivio della Segreteria di Stato per gli anni 1900-1922.

Sempre nel 1990 abbiamo un breve lavoro di Fiorani sulle edicole sacre nella vita religiosa di Roma fra XVI e XVIII secolo, pubblicato nel Catalogo dell’omonima mostra a Palazzo Braschi16; in esso Fiorani fa ricorso ancora alla Miscellanea dell’Archivio Vaticano (Armadio VII) per cavarne notizie dai verbali delle visite apostoliche.

In altri due saggi del 1990 e del 1999 Fiorani fece un ragionato uso delle Relationes dioecesium della Congregazione del Concilio per ciò che riguardava Velletri e Terracina17

Con il saggio Città religiosa e città rivoluzionaria (1789-1799), pubblicato nel 199218, Luigi Fiorani spostava la sua attenzione di storico sulla Roma dei papi durante la bufera giacobina e poi napoleonica; campo di indagine che amplierà in altri saggi successivi, anche con la collaborazione di Domenico Rocciolo. Qui Fiorani affronta alcuni fondi dell’Archivio Vaticano legati allo specifico soggetto, quali la Segreteria di Stato di fine Settecento (nelle

14 s pagano, Documenti sul modernismo romano dal Fondo Benigni, ibidem, 8 (1990), pp. 223-300; id., Il Fondo di mons. Umberto Benigni dell’Archivio Segreto Vaticano. Inventario e indici, ibidem, pp. 347-402.

15 l. fiorani, Modernismo romano, 1900-1922, ibidem, pp. 75-170, specialmente pp. 159-168.

16 id , Le edicole nella vita religiosa di Roma tra Cinque e Settecento, in Edicole sacre romane. Un segno urbano da recuperare, a cura di l cardilli, Roma, Fratelli Palombi Editori, 1990, pp. 96-106.

17 id. La vita religiosa a Ninfa nelle visite pastorali post tridentine, in Ninfa una città, un giardino. Atti del Colloquio della Fondazione Camillo Caetani, Roma-Sermoneta-Ninfa, 7-9 ottobre 1988, Roma, «L’ Erma» di Bretschneider, 1990, pp. 178-179 (Velletri); Aspetti della vita religiosa a Sermoneta nell’età moderna, in Sermoneta e i Caetani. Dinamiche politiche, sociali e culturali di un territorio tra Medioevo ed Età moderna. Atti del Convegno, RomaSermoneta, 16-19 giugno 1993, a cura di l. fiorani, Roma, «L’ Erma» di Bretschneider, 1999, pp. 292, 294-298 (Terracina).

18 id., Città religiosa e città rivoluzionaria (1789-1799), «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 9 (1992), pp. 65-154.

LE RICERCHE DI LUIGI FIORANI NELL’ARCHIVIO SEGRETO VATICANO 37

sue serie Spagna, Venezia, Francia, Germania), l’archivio della Nunziatura a Venezia, quello della Congregazione dei Riti, della Delegazione in Paraguay e Uruguay (detta impropriamente Delegazione Di Pietro), il fondo Epoca Napoleonica (Italia). Si trattava però di una investigazione in certo modo preliminare, che nei lavori successivi che Fiorani riserverà ancora alla rivoluzione francese sarà di molto ampliata e meglio strutturata.

Nel 1995 Fiorani contribuiva alla rilettura critica della figura del barnabita Giovanni Semeria con un importante saggio dal titolo Semeria «romano»; qui usava ancora alcune fonti dell’archivio della Segreteria di Stato19

Per loro conto le «Ricerche», sempre nel 1998, volgevano altra volta pagina e si occupavano con un numero monografico delle «conversioni e strategie della conversione a Roma nell’età moderna». Fiorani illustrava il fenomeno per il XVI e XVII secolo con un saggio di ben 96 pagine 20, nelle quali, quanto all’Archivio Pontificio, muovendosi con agilità fra i fondi dell’Età moderna e barocca anche nel particolare tema delle conversioni al cattolicesimo, sapeva trovare nuovi apporti documentari, come l’archivio dell’Ospizio dei Convertendi, di cui io stesso allora stavo curando l’inventario e un saggio annesso, che pubblicai nello stesso numero delle «Ricerche»21, un prezioso volume della Miscellanea, Armadio II e ancora alcuni volumi di Decreta delle visite apostoliche a Roma.

Nel 2000 si pubblicava il volume XVI degli Annali della Storia d’Italia Einaudi, curato da Luigi Fiorani e Adriano Prosperi: Roma, la città del papa22; il volume accoglieva contributi diversi sulle sfaccettature della vita religiosa e civile di Roma dal 1300 al 2000 e Fiorani ritagliò per sé ancora l’argomento a lui caro della pietà del popolo: «Charità et pietate», ovvero l’azione delle confraternite e dei gruppi di devoti nell’Urbe rinascimentale e barocca 23. Facendo qui profitto dei suoi precedenti studi sull’argomento, il Nostro ripercorreva le fonti confraternali dell’Archivio Vaticano, l’archivio della Congregazione della Visita Apostolica e la grande Miscellanea.

19 id , Semeria «romano» (1880-1895), «Barnabiti studi», XII (1995), pp. 7-86 (specialmente p. 65).

20 id., Verso la nuova città. Conversione e conversionismo a Roma nel Cinque-Seicento, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 10 (1998), pp. 90-186.

21 s pagano, L’ Ospizio dei Convertendi di Roma fra carisma missionario e regolamentazione ecclesiastica (1671-1700), ibidem, pp. 313-390; id , L’ archivio dell’Ospizio Apostolico dei Convertendi all’Archivio Segreto Vaticano. Inventario, ibidem, pp. 455-544.

22 Roma, la città del papa. Vita civile e religiosa dal giubileo di Bonifacio VIII al giubileo di papa Wojtyła, a cura di l. fiorani e a. prosperi, Torino, Einaudi, 2000.

23 l. fiorani, «Charità et pietate». Confraternite e gruppi devoti nella città rinascimentale e barocca, ibidem, pp. 431-476.

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Alle fonti della Rivoluzione francese tornava Fiorani, con Domenico Rocciolo, nel corposo e denso volume dell’École Française di Roma, pubblicato nel 2004, dal titolo Chiesa Romana e Rivoluzione francese, 1789179924. L’ elenco delle sigle degli archivi e delle biblioteche compulsate dagli autori, che troviamo alle pp. 7-8 del volume, dice la serietà e la vastità di una indagine delle fonti, compiuta in tutte le direzioni praticabili. Quanto all’Archivio Segreto Vaticano si può ben dire che non sia sfuggito a Fiorani e Rocciolo nessun fondo documentario utile: essi ricorrono al vasto archivio della Segreteria di Stato (vari anni dell’Epoca moderna, Francia, Spagna, Germania, Baviera, Fiandra, Firenze, Venezia, Savoia, Cardinali, Vescovi e Prelati, Particolari, Spogli di Cardinali e Officiali di Curia, Legazione di Avignone, Legazione di Bologna, Legazione di Ferrara, Legazione di Romagna, Epoca Napoleonica Italia, Epoca Napoleonica Francia, Epoca Napoleonica Cardinali e Governo, Epoca Napoleonica Biglietti, Emigrati), quindi ad alcuni archivi delle nunziature apostoliche (Vienna, Colonia, Germania, Polonia, Lucerna), all’archivio della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari (soprattutto nella serie Francia), ancora alla Miscellanea (vari Armaria), alle Epistolae ad Principes, al Fondo Garampi, al fondo Repubblica Romana I, alla Segreteria dei Brevi, all’archivio della Congregazione del Concilio e a quello dei Vescovi e Regolari.

In chiusura del volume Domenico Rocciolo ha pubblicato un utilissimo Repertorio delle fonti vaticane «per la storia dei rapporti tra Roma, le corti europee e la Francia rivoluzionaria» relativamente agli anni 1789-179925.

In tale repertorio le fonti dell’Archivio Vaticano già citate nel corso della trattazione sono puntualmente riprese e illustrate, direi anzi censite con precisione, foglio a foglio.

Due anni appresso, nel 2006, dopo un’attesa di otto anni, dovuta a questioni editoriali e amministrative, usciva il numero 11 delle «Ricerche», ancora incentrato sulla Roma religiosa nell’età della Rivoluzione francese. Luigi Fiorani si ritagliava questa volta uno spazio assai più modesto che in precedenza, soltanto 18 pagine, che impegnava per illustrare la Roma «democratizzata»26. È questo uno dei pochissimi lavori di Fiorani dove, presumo per ragioni di tempo, non vengono impiegate fonti dell’Archivio Vaticano.

24 l fiorani – d rocciolo, Chiesa Romana e Rivoluzione francese, 1789-1799, Rome, École française, 2004.

25 Ibidem, pp. 525-854.

26 l. fiorani, Roma democratizzata. La basilica di S. Pietro, il Vaticano e la Rivoluzione, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 11 (2006), pp. 85-103.

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Un balzo cronologico di più d’un secolo viene impresso alle «Ricerche» nell’ultimo numero apparso, quello del 2009, dedicato alla «Chiesa, mondo cattolico e società civile durante la Resistenza». Fiorani si riserva di trattare un tema a lui molto caro: Roma città aperta (la città nel 1943-1944)27. Evidentemente egli non cita qui alcuna fonte dell’Archivio Vaticano perché queste sono consultabili a tutt’oggi fino al febbraio 1939 e non oltre. Fiorani, come altri storici, benché assetati di conoscere le fonti del pontificato di Pio XII quando saranno aperte alla consultazione, deve accontentarsi, come fa, di quel poco (che poi forse poco non è) già edito per gli anni dell’ultima guerra in Actes et documents, undici volumi a tutti noti 28 .

Quando la morte prematuramente e improvvisamente colse Luigi Fiorani (3 dicembre 2009), troncando altri progetti di studio che egli aveva in mente, mi risulta stesse lavorando su materiale dell’archivio del nunzio in Italia

Francesco Borgongini Duca all’Archivio Segreto Vaticano e forse aveva in mente di preparare per le «Ricerche» un numero monografico sulla Roma dominata dal fascismo, almeno fino al 1939, anno oltre il quale non è per ora possibile accedere alle fonti vaticane. Suppongo che quel materiale egli abbia consegnato a qualche suo collaboratore, e forse potremo vederlo edito ormai, purtroppo, in memoriam. Pochi saggi di Fiorani non menzionano fonti dell’Archivio Vaticano e noi ovviamente non ne abbiamo qui fatto parola. Questo il quadro che mi è riuscito di tratteggiare sulle molte ricerche di Luigi Fiorani nei fondi dell’Archivio Vaticano, alcuni dei quali – come ho detto – egli contribuì in certa misura a «scoprire», mentre di altri fu fecondo «dispensatore», guidando verso quelle strade nuove e promettenti della ricerca storica giovani e meno giovani suoi collaboratori che a lui devono riconoscenza.

27 id., Roma città aperta, 1943-1944, ibidem, 12 (2009), pp. 23-104.

28 Actes et documents du Saint Siège relatifs à la seconde guerre mondiale, 11 voll. (in 12 tomi), Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1965-1981.

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LE FONTI NELL’ A RCHIVIO DI STATO DI ROMA

Nel ricordare la figura ancora vivida in noi di Luigi Fiorani vorrei porre l’accento, per quanto riguarda il mio ambito di competenze, soprattutto su quegli aspetti del suo operato che hanno in qualche modo precorso quelle che sarebbero divenute di lì a poco tendenze condivise negli ambienti della ricerca sulle fonti o preposti alla loro conservazione. In primo luogo, la consapevolezza in lui molto avvertita che la peculiarità del territorio romano, contrassegnato dall’esistenza di un policentrismo conservativo recante i segni della storia passata e presente, territoriale e nazionale, dovesse necessariamente indurre organi statali, centri di ricerca, enti pubblici e privati, a mettere in campo una concertazione di risorse materiali e culturali. Difatti, ripercorrendo oggi la sua opera, ci si rende conto di come costantemente fosse ad essa sotteso un disegno di intercomunicabilità fra i vari centri di conservazione e di ricerca presenti in Roma, chiamati per sua iniziativa di volta in volta intorno a un tavolo per quelli che venivano definiti ‘colloqui’, ma che grazie al suo impulso mettevano radici profonde nell’humus intellettuale della città1.

Si apriva, proprio a cavallo degli anni ’80 del secolo scorso, una stagione in cui gli istituti di conservazione e di cultura, sia laici che religiosi, accantonando le reciproche diffidenze, iniziavano a rimuovere i recinti che dal 1870 in poi erano stati eretti a difesa ognuno del proprio ambito di competenze e di influenza. Dietro la spinta di rinnovate tendenze storiografiche si avvertiva, non solo dai ricercatori ma anche dagli stessi soggetti conservatori, l’esigenza di una circolarità del sapere e di una condivisione di risorse che rendesse possibile l’approccio ai nuovi percorsi di una storia non solo politica e quindi basata sui documenti ufficiali, ma anche sociale, delle mentalità, delle religioni, dei sentimenti.

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

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1 La rivista «Ricerche per la storia religiosa di Roma» fu il contenitore e insieme il propulsore di tale disegno. Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013

Gli archivi statali, proprio in quegli anni, rimettevano in discussione quel progetto conservativo centrato sulla salvaguardia della documentazione di provenienza statale che, delineatosi dopo la formazione dello Stato unitario, era stato fino agli anni ’60 del Novecento più volte ribadito dalla legislazione archivistica. E veniva emergendo, anche per effetto di più articolate esigenze storiografiche, l’attenzione verso le fonti non statali: archivi di parrocchie, di opere pie, di istituzioni assistenziali, culturali, economiche e così via. Entrato in crisi il modello di Stato accentrato e burocratico tardo ottocentesco, da parte dell’amministrazione archivistica cominciavano a rivedersi le strategie conservative fino ad allora messe in atto e sancite da una legislazione anch’essa affetta da vizi centralisti e burocratici 2. Se proprio a partire dal 1981 vedeva la luce quel grande monumento alla storia istituzionale e politica che era appunto la Guida generale degli Archivi di Stato italiani3, la quale necessariamente privilegiava le fonti statali conservate negli Archivi di Stato, contemporaneamente però si rivolgeva l’attenzione alla documentazione di carattere privato e si metteva in essere la Guida degli archivi di famiglie e persone4, che mirava a individuare su tutto il territorio nazionale la presenza di carte prodotte da soggetti privati. E, sempre per iniziativa della stessa Amministrazione archivistica in collaborazione con enti e istituti di ricerca, si dava corpo a operazioni di censimento e valorizzazione di singole tipologie di documentazione non statale, quali ad esempio la Guida agli Archivi della Resistenza (1983), la Guida degli Archivi lauretani (1985-1986), la Guida degli archivi economici a Roma e nel Lazio (1987).

Per quanto riguarda gli archivi religiosi, dalle accese fasi di contrapposizione del passato si andava sviluppando nel tempo un progressivo processo

2 Il d.p.r. 30 settembre 1963 n. 1409 nell’art. 1 precisava «È compito dell’Amministrazione degli archivi di Stato: a) conservare: 1) gli archivi degli Stati italiani pre-unitari; 2) i documenti degli organi legislativi, giudiziari ed amministrativi dello Stato non più occorrenti alle necessità ordinarie del servizio; 3) tutti gli altri archivi e singoli documenti che lo Stato abbia in proprietà o in deposito per disposizione di legge o per altro titolo; b) esercitare la vigilanza: 1) sugli archivi degli enti pubblici; 2) sugli archivi di notevole interesse storico di cui siano proprietari, possessori o detentori, a qualsiasi titolo, i privati». Non venivano menzionati nella legge gli archivi ecclesiastici e per lungo tempo fu dibattuta la questione se dovessero considerarsi archivi di enti pubblici o di privati.

3 Ministero per i beni culturali e ambientali-Ufficio centrale per i beni archivistici, Guida generale degli Archivi di Stato italiani, voll. 1-4, 1981-1986.

4 Ministero per i beni culturali e ambientali-Ufficio centrale per i beni archivistici, Archivi di famiglie e di persone. Materiali per una guida, voll- I-III. Il primo volume fu edito nel 1991, mentre il secondo e il terzo furono pubblicati rispettivamente nel 1998 e nel 2009.

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di convergenza fra Stato e Chiesa teso a stabilire una disciplina comune5. Le modifiche al Concordato lateranense del 1929, sottoscritte il 18 febbraio 1984 e ratificate con legge 25 marzo 1985 n. 121, introducevano il principio di un’intesa tra i competenti organi delle due parti per favorire e agevolare la conservazione e la consultazione degli archivi di interesse storico e delle biblioteche di enti e istituzioni ecclesiastiche. Lo Stato italiano, bloccato per lungo tempo da un’interpretazione estensiva dell’art. 30 del Concordato del 1929, aveva fino ad allora rinunciato alla tutela degli archivi ecclesiastici, e le stesse leggi archivistiche del 1939 e del 1963 non contemplavano tali archivi tra quelli sottoposti a vigilanza6. La revisione dei Patti lateranensi costituiva la premessa per successivi accordi tra le due parti: pertanto nel 1996 veniva sottoscritta un’intesa di carattere generale tra il Ministero per i beni culturali e la Conferenza episcopale italiana, (denominata ‘intesa VeltroniRuini’, d.p.r. 26 settembre 1996) e più tardi, nel 2000, veniva siglata un’intesa relativa ad archivi e biblioteche di enti e istituzioni ecclesiastiche (‘intesa Melandri-Ruini’, d.p.r. 16 maggio 2000). Quest’ultima, in 10 articoli, definiva distintamente per gli archivi e per le biblioteche sia gli interventi della Chiesa, sia gli interventi dello Stato, sia quelli da svolgersi in collaborazione tra le due parti7. Tali accordi costituiscono a tutt’oggi il quadro normativo di riferimento per i rapporti tra Stato e Chiesa per quanto attiene alla consultazione e alla conservazione del patrimonio documentario e librario di enti e istituzioni ecclesiastiche. Essi consentono di disciplinare in modo organico tutte le attività implicite al progetto di conservazione, comunicazione e trasmissione della memoria: dalla inventariazione al restauro, all’accesso al pubblico, al recupero dei materiali illecitamente sottratti, alla cooperazione per interventi di emergenza in caso di calamità.

5 Per un quadro dell’evoluzione dei rapporti fra Stato e Chiesa per quanto riguarda gli archivi ecclesiastici si vedano: o bucci, Gli archivi ecclesiastici di fronte alla legislazione statale, Dalle leggi eversive alle modificazioni del concordato, «Archiva Ecclesiae», XXVIIIXXXIX (1985-1986), pp. 73-100; m grossi, Gli archivi della Chiesa cattolica, in Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, Storia d’Italia nel secolo ventesimo. Strumenti e fonti, a cura di c. pavone , vol. III, 2006, pp. 323-353.

6 La legge 22 dicembre 1939 n. 2006 Nuovo ordinamento degli archivi del Regno istituiva le Soprintendenze archivistiche, cui era attribuita la funzione di vigilanza sugli archivi non statali di rilevante interesse storico; successivamente il d. p. r. 30 settembre 1963 n. 1409 Legge archivistica, ridefiniva il numero e l’area di competenza di tali organismi.

7 Intesa tra il ministro per i Beni e le Attività Culturali e il presidente della Conferenza Episcopale Italiana relativa alla conservazione e consultazione degli archivi di interesse storico e delle biblioteche degli enti e delle istituzioni ecclesiastiche, Roma, 18 aprile 2000.

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Il vigente Codice dei beni culturali del 2004 recepisce tali orientamenti, dedicando alla materia l’art. 9. Beni culturali di interesse religioso, in cui si ribadisce la validità dell’accordo di modifica del Concordato lateranense e delle successive leggi emanate sulla base delle intese sopra citate. Pertanto agli archivi appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche in cui siano conservati documenti di data anteriore agli ultimi settanta anni, nonché a quelli dichiarati di notevole interesse storico ai sensi della normativa vigente, il Ministero fornisce, tramite le proprie Soprintendenze archivistiche, collaborazione tecnica e contributi finanziari per la dotazione di attrezzature, la redazione di inventari, il restauro di documenti, ecc8.

Si è aperta dunque una stagione di intensa collaborazione tra il Ministero per i beni e le attività culturali e la Conferenza episcopale italiana, che ha dato l’avvio a una notevole quantità di interventi tesi a salvaguardare, valorizzare e permettere il godimento dei beni culturali di proprietà ecclesiastica. Il percorso così intrapreso ha dato luogo a iniziative di rilievo, sia a livello locale che nazionale, e notevoli progetti sono stati realizzati in questi ultimi anni dalle istituzioni ecclesiastiche di concerto con l’Amministrazione archivistica. Ricordiamo la Guida degli Archivi diocesani d’Italia (1990-1998), la Guida degli Archivi capitolari d’Italia (2000-2006) e inoltre numerose iniziative in ambiti territoriali specifici9.

Il dialogo tra l’Amministrazione archivistica e le autorità religiose ha visto il suo punto più alto nella recente iniziativa della x VIII Giornata nazionale dei beni culturali ecclesiastici: archivi e biblioteche a 10 anni dall’Intesa, tenutasi a Roma il 18 maggio 2011, in cui sono state presentate le imprese realiz-

8 Il Codice, riprendendo la definizione di «beni culturali di interesse religioso appartenenti ad enti ed istituzioni della Chiesa cattolica» non scioglie la vexata quaestio della natura degli archivi ecclesiastici all’interno dell’ordinamento giuridico italiano, oscillante tra l’assimilazione a enti pubblici o a soggetti privati, che ha dato luogo a una fiorente letteratura in proposito, cfr. g feliciani, Il regime giuridico dei beni archivistici ecclesiastici, «Archiva Ecclesiae», XXX-XXXI (1987-1988), pp. 115-130; g dammacco, La natura giuridica degli archivi ecclesiastici, «Archivi per la storia», I (1989), pp. 41-60.

9 Per le numerose iniziative in ambito locale rinviamo al sito web della Direzione Generale per gli Archivi alla voce Pubblicazioni. Tra i vari progetti tuttora in corso si segnala Ecclesiae Venetae, finalizzato alla ricognizione e all’inventariazione informatizzata degli archivi ecclesiastici del Veneto, i cui dati sono progressivamente riversati nel Sistema informativo unificato delle soprintendenze archivistiche (SIUSA), che costituisce punto di accesso primario per la ricerca sul patrimonio archivistico non statale pubblico e privato conservato al di fuori degli Archivi di Stato. Un altro importante progetto presente nel sistema è quello relativo al Censimento degli archivi inquisitoriali in Italia, realizzato in seguito all’accordo stipulato con la Congregazione vaticana per la Dottrina della Fede e con il Centro per lo studio dell’Inquisizione dell’Università di Trieste.

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zate o in corso frutto di questa percorso comune. In particolar modo, per quel che riguarda i grandi progetti nazionali, si segnalano la convergenza di interessi finalizzata a far dialogare tra loro il Sistema Archivistico Nazionale (SAN) e il Portale dell’Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici della CEI, nonché la collaborazione messa in campo per la redazione di un codice normativo (Norme italiane per l’elaborazione dei record di autorità archivistici di enti, persone, famiglie), che ha potuto contare sull’apporto dell’Ufficio Nazionale per i Beni Culturali Ecclesiastici.

Da questi pur inesaustivi accenni, ben si comprende quanta strada sia stata compiuta finora nel dialogo e nella cooperazione tra due ambiti che, fino a qualche decennio fa, apparivano arroccati ognuno nel proprio riserbo.

Ebbene, Luigi Fiorani fu un precursore e uno dei protagonisti di questa fase di ‘disgelo’ e il suo modus operandi fece scuola. La modernità della sua visione sta nell’aver saputo interpretare quell’esigenza di valorizzazione degli archivi non statali che appunto a partire dagli anni ’80 del secolo scorso proruppe con consapevolezza e diede luogo a guide, repertori, censimenti, che avevano lo scopo di rendere visibile e fruibile una documentazione fino ad allora relegata in un cono d’ombra.

Il banco di prova della lungimiranza ma anche della fattibilità di questa sua visione ritengo sia stato il poderoso lavoro compiuto sul patrimonio documentario delle confraternite romane, sfociato nei numeri 5 e 6 della rivista «Ricerche per la storia religiosa di Roma»10. Fu un progetto ambizioso, intorno al quale Fiorani aveva riunito studiosi, ricercatori e archivisti allo scopo di rivitalizzare gli studi su tali associazioni, sia per quanto riguardava gli aspetti sociologici, economici e assistenziali, sia per quanto afferiva a quegli elementi spirituali e devozionali spesso trascurati dalla ricerca.

Il risultato fu notevole – dimostrando quanto fosse produttiva la sua intuizione di una rete di competenze –, sia per gli studi compiuti e di cui altri parleranno in questo volume, sia per il repertorio delle fonti confraternali che in quell’occasione fu realizzato. Sul piano storiografico, gli studi effettuati ebbero il pregio di mettere a fuoco le origini delle confraternite romane, la loro evoluzione e incardinamento nel tessuto cittadino, il loro ruolo nei vari ambiti dell’assistenza e delle strategie dotali; fecero luce sugli aspetti economici e patrimoniali, ma anche, e proprio da parte di Luigi Fiorani, andarono a indagare i nodi più profondi, le corde più intime di tali sodalizi, le modalità in cui l’aspirazione religiosa e le pratiche devozionali si

10 Al tema delle confraternite furono dedicati il vol. 5 Le confraternite romane. Esperienza religiosa, società, committenza artistica, 1984, e il vol. 6 Storiografia e archivi delle confraternite romane, 1985, ambedue a cura di l fiorani

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intrecciavano e si combinavano con il tessuto sociale e la storia della città. Sul piano più strettamente documentario, il Repertorio delle fonti confraternali costituisce a tutt’oggi un risultato sorprendente, data la dispersione che tale documentazione aveva subito nel corso del tempo. Nell’introduzione al Repertorio, Fiorani commentava con sconforto: «La nostra città, come l’abbiamo ereditata dopo tante violenze e manomissioni e dopo tanti sconvolgimenti urbanistici e demografici, è davvero un’altra città (…) le sue memorie storiche, il suo passato hanno subito colpi assai rudi. Molte chiese appartenute alle comunità confraternali non esistono più, e presso quelle esistenti si trova raramente un archivio, o perchè trasferito in altri istituti della città, o perchè malauguratamente disperso. Quando c’è, è assai spesso collocato in locali di fortuna, malandati ed esposti all’aggressione delle intemperie».

Il censimento, condotto sul territorio romano, doveva dar conto di quanti fossero gli archivi confraternali e dove fossero allocati, quantificandone la consistenza e disegnando la fisionomia dell’archivio attraverso una griglia predefinita di serie documentarie. Il rigore ma anche la flessibilità nell’utilizzo di tali criteri fece sì che in tempi brevi, per la complessità dell’operazione, il repertorio fosse completato e stampato, permettendo di riunire le sparse membra di queste comunità in un’unità virtuale, e dotandoci così di uno strumento di lavoro indispensabile11.

La descrizione delle tipologie documentarie presenti in ognuno di questi archivi o nuclei, pur con le ben note difficoltà di separare la documentazione dei sodalizi confraternali da quella delle istituzioni caritatevoli e assistenziali da essi gestite o delle corporazioni di arti e mestieri di cui facevano parte, ci restituisce un affresco vivido di tali organismi, delle regole che governavano la loro vita associativa, del ruolo da essi svolto nelle varie pieghe del sociale, ci fornisce insomma molteplici spunti per approfondire gli aspetti ancora inesplorati di una realtà così ricca e complessa.

E ancora, vorrei ricordare un’altra iniziativa di Luigi Fiorani, alla quale l’Archivio di Stato di Roma fu chiamato a collaborare: gli studi sulla Roma

11 Presso l’Archivio di Stato di Roma è conservato un nucleo consistente di documentazione relativa ad alcune confraternite, spesso lacunosa e frammista alla documentazione prodotta dagli ospedali che esse gestivano. Tali archivi sono conservati a titolo di deposito in quanto la legislazione postunitaria, pur disponendo l’incameramento dei beni delle confraternite romane, riconobbe però loro la personalità giuridica e la facoltà di conservare le loro chiese con l’obbligo di mantenervi il culto (l. 30 luglio 1896 n. 943). Questa situazione permise alle confraternite di mantenere i loro archivi. Documenti sciolti si trovano anche nel fondo Camerale III, nella serie Roma: confraternite e altre pie istituzioni

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religiosa travolta dal ciclone della rivoluzione giacobina12. Anche in questo caso, a fronte di una letteratura vasta sull’argomento, il suo intento fu quello di sollecitare lo scandaglio di nuove fonti per andare a verificare sul campo quale fosse stato l’impatto reale della rivoluzione sulle strutture religiose, sia per quanto riguardava i risvolti materiali (i patrimoni immobiliari, artistici, librari) sia per quelli più strettamente religiosi e pastorali. In quell’occasione, conquistata dall’ampio respiro del progetto e dall’attenzione riservata alle fonti documentarie, mi sobbarcai un’impresa alquanto impegnativa, data la mole di lavoro che comportava: quella di censire i monasteri femminili conservati presso il nostro Archivio per un lasso di tempo che comprendesse gli anni immediatamente precedenti e quelli immediatamente successivi alla Repubblica romana13. E come spesso avviene, le operazioni di scandaglio condotte sistematicamente su tipologie documentarie omogenee aprono scenari di grande suggestione e forniscono inediti spunti di ricerca. Lo spoglio capillare della documentazione ci permise, seppur parzialmente14, di verificare quale fosse stato l’impatto reale della legislazione religiosa sui monasteri femminili, quanti fossero i monasteri effettivamente soppressi, quali gli effetti postumi sulla loro sopravvivenza. Dall’esame di leggi ed editti sembrava che, almeno a Roma, la soppressione dei monasteri femminili fosse stata un fenomeno ridotto. Le leggi di soppressione, emanate in

12 Il seminario di studio Roma religiosa nell’età rivoluzionaria 1798-1799 ebbe luogo a Roma nei giorni 21-23 ottobre 1999 e gli atti furono pubblicati in «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 11 (2006). Già il vol. 9 della rivista, pubblicato nel 1992, era stato dedicato alle problematiche religiose nel periodo giacobino Deboli progressi della filosofia. Rivoluzione e religione a Roma, 1780-1799

13 I risultati dello spoglio effettuato sugli archivi dei monasteri femminili conservati nell’Archivio di Stato di Roma furono pubblicati nel saggio g. antonetti – m. i. venzo, I monasteri femminili al tempo della Repubblica. Indagine nella documentazione conservata presso l’Archivio di Stato di Roma, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 11 (2006), pp. 259-301. Va menzionata inoltre l’indagine effettuata dalla collega Maria Grattagliano sulle fonti di ospedali e confraternite, che permise di portare alla luce cronache e resoconti inediti, documenti di straordinario interesse per la drammaticità e la vivacità del linguaggio con cui furono scritti dai protagonisti di quegli eventi, cfr. m. grattagliano, Archivi di ospedali e confraternite, ibidem, pp. 237-258.

14 Va tenuto presente che gli archivi dei monasteri romani conservati nell’Archivio di Stato di Roma sono incompleti e lacunosi a causa degli smembramenti e dispersioni che subirono in alcuni momenti cruciali: nel periodo napoleonico, quando molti monasteri vennero soppressi o accorpati ad altri, e più tardi, all’indomani della legge del 19 giugno 1873 n. 1402 che estendeva alla provincia di Roma la legge del 7 luglio 1866 n. 3036 sulla soppressione delle corporazioni religiose e sulla conversione dei loro beni immobili, quando con una serie di leggi eversive furono confiscati dallo Stato unitario.

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rapida successione, riguardavano soprattutto i conventi maschili, ma già nel decreto del 21 fiorile anno VI (10 maggio 1798) erano compresi i monasteri femminili e, per Roma, diventarono sicuramente esecutivi per S. Anna alle Quattro Fontane e per S. Silvestro in Capite. Seguirono le notificazioni del 14 e 15 maggio 1798 che invitavano i religiosi, sia uomini che donne, a fare l’inventario dei loro beni prima di abbandonare la vita monastica, mentre con la legge del 15 giugno 1798 (27 pratile anno VI) furono stabiliti alcuni vantaggi per i religiosi di ambedue i sessi che avessero abbandonato la vita monastica. Con la legge del 14 luglio 1798 (26 messifero anno VI) vennero soppressi ben 187 conventi e successivamente con la legge dell’11 settembre 1798 ( 25 fruttifero anno VI) furono soppressi 4 conventi romani, due dei quali femminili. La successiva legge del 21 aprile 1799 riguardava 32 conventi sparsi sul territorio della Repubblica, alcuni dei quali erano collocati a Roma. Nella stessa data con la legge n. 176 furono soppressi altri 84 conventi, mentre con la legge del 18 maggio 1799 si dettarono norme ulteriori sulle monache che avessero lasciato i monasteri15. Dalla disamina effettuata delle leggi sembrava che, almeno a Roma, la soppressione dei monasteri femminili fosse stata un fenomeno ridotto. Ma potevano considerarsi attendibili le stime ricavate dalla legislazione? Alcuni commentatori dell’epoca riferivano di soppressioni attuate in sordina, senza pubblicazione di leggi o editti, e d’altra parte alcune di quelle soppressioni erano state poi revocate. Lo spoglio sistematico della documentazione dei singoli monasteri ci mise in grado di ricostruire gli avvenimenti con maggiore precisione. Si prenda il caso delle monache di S. Anna alle Quattro Fontane, monastero compreso nell’editto del 21 fiorile anno VI, sopra menzionato. Sappiamo sicuramente che esse dovettero lasciare il loro edificio alla cavalleria francese e che perciò furono ospitate presso le clarisse di S. Silvestro in Capite. Lo stesso monastero di S. Silvestro venne soppresso di lì a poco e le monache furono destinate a quattro conventi dello stesso ordine. Con una supplica all’ambasciatore francese Bertolio esse riuscirono però a far revocare il decreto e a tornare in possesso dei loro beni16.

15 Per la legislazione si veda Collezione di carte pubbliche, proclami, editti, ragionamenti ed altre produzioni tendenti a consolidare la rigenerata Repubblica romana, Roma 1798-1799, per il Cittadino Luigi Perego Salvioni, vol. I-IV. Per ulteriori approfondimenti della normativa in materia religiosa rinviamo a: m battaglini, La soppressione dei conventi nella Repubblica romana giacobina, «Palatino», IX (1965), 1-3; v. de marco, Aspetti della legislazione giacobina in materia ecclesiastica durante la Repubblica romana, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 9 (1992).

16 ASR, Clarisse in S. Silvestro in Capite, b. 5034, fasc. 3

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L’ esame della documentazione originale, incrociata con le le fonti legislative e con le cronache coeve17, ci permise così di disegnare un quadro più preciso degli avvenimenti dal quale si arguiva che, a differenza di quanto sarebbe avvenuto negli anni successivi (1810-1814), l’impatto delle leggi soppressive sui monasteri era stato alquanto limitato. Le leggi di soppressione non sempre erano state attuate, molti conventi avevano ottenuto una revoca, pochi altri, pur non menzionati nei decreti soppressivi, erano stati sgombrati e accorpati. Dalle testimonianze documentarie emergeva però l’affresco dolente delle comunità religiose risospinte in un’esistenza grama, minacciate dall’incertezza del futuro e soprattutto logorate dalle ristrettezze economiche. Non solo infatti negli anni precedenti alla Repubblica, nel tentativo di scongiurare l’arrivo dei francesi, avevano dovuto privarsi di molta parte dei loro argenti e oggetti preziosi, ma tanto più nel presente erano gravate dalle pesanti contribuzioni che il nuovo Stato imponeva di volta in volta e dalle continue richieste di forniture (camicie per i soldati, calzature, bende per i feriti), a cui si aggiungevano spesso le sottrazioni arbitrarie di oggetti preziosi. Per di più, le rendite provenienti dai luoghi di monte si erano drasticamente abbattute e così pure le entrate consuete derivanti ai monasteri dal ruolo tradizionalmente svolto di educandati per le fanciulle abbienti. Scorrendo le note degli approvvigionamenti e i resoconti contabili ci si rendeva conto di come le suore, oltre che a ridurre radicalmente il proprio tenore di vita, fossero state costrette a chiedere prestiti, spesso a vendere fondi e immobili e qualche volta a utilizzare le doti delle religiose (che non sempre sarebbero state in grado di reintegrare). I documenti censiti ci rimandavano un quadro universale di desolazione, ma anche testimoniavano la volontà di resistenza di queste comunità. Note di approvvigionamenti, suppliche, resoconti … quelle scritture, ognuna nel proprio microcosmo, erano le voci di una storia corale che ci permettevano, con la loro autenticità, di calarci nella vita quotidiana delle singole comunità religiose e qualche volta nell’esistenza

17 Tra le fonti narrative, sono particolarmente rilevanti il già citato Diario romano di g a. sala nonché le memorie richiamate da v. e. giuntella nel suo La giacobina Repubblica romana (1798-1799). Aspetti e momenti, «Archivio della Società romana di storia patria», LXXIII (1950), in cui vengono citate le seguenti fonti narrative: Memorie dell’Avvocato Antonio Galimberti dell’occupazione francese in Roma dal 1798 alla fine del 1802 (manoscritto conservato nella Biblioteca Nazionale di Roma); Relazione del cardinale Antonelli su l’avvenuto in Roma dal 1798 al 1799 (conservato nel Fondo Falzacappa presso la Biblioteca Vallicelliana di Roma); Memorie da servire per il Diario di Roma in tempo di Rivoluzione e di Sede vacante (nel Codice Vaticano Latino 10629); Memorie storiche sulle principali cagioni e circostanze della rivoluzione di Roma e Napoli, s.e., 1800, attribuite generalmente a Francesco Valentinelli.

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dei

singoli individui. Era questo uno degli intenti che maggiormente stavano a cuore di Luigi Fiorani, ben esplicitato nella Presentazione del primo numero di «Ricerche per la storia religiosa di Roma»: scrivere la storia della società religiosa romana letta dal basso e saldata al suo contesto umano, al di fuori delle corti ecclesiastiche e laiche e delle loro politiche.

Quella della monaca Matilde Braccucci (anche Bracucci) è una delle tante piccole storie sullo sfondo di una Roma in fiamme: la suora aveva chiesto il permesso di uscire dal convento di S. Margherita nel febbraio del 1799, ma per farlo doveva vestire abiti secolari dato il divieto di circolare in abiti religiosi. Suo fratello era stato condannato a morte, non viene detto il perché. Apprendiamo che la suora «agendo atque operando» ottenne per suo fratello la revoca della pena di morte e avrebbe voluto a quel punto rientrare in convento, però le sorelle si rifiutavano di accoglierla adducendo a motivo il fatto che avesse vestito abiti secolari. La suora venne accolta allora nel monastero di S. Lucia in Selci, che intentò causa al monastero di provenienza per ottenere la dote spettante alla suora18.

Questa vicenda individuale, come le altre di cui si hanno fonti dirette, getta ulteriore luce su un altro fenomeno del biennio giacobino, quello delle secolarizzazioni, strettamente connesso agli episodi di soppressione dei conventi. Infatti, i dati delle secolarizzazioni incrociati con quelli delle soppressioni realmente avvenute ci rivelano come le fughe nel «mondo» delle religiose romane fossero spesso dovute alla chiusura del proprio convento, al disagio di essere separate dalle consorelle e inserite in un’altra comunità. A Roma, in base alle fonti finora disponibili, si può affermare che il fenomeno fosse stato di portata limitata, nonostante gli incentivi di carattere materiale promessi dalla legge19. I decreti di secolarizzazione o piuttosto i permessi di uscita dal convento, sono stati quantificati in circa 40, di cui 37 conservati nell’Archivio Storico del Vicariato, rispondenti ad altrettante richieste di ottenere una «licentia dimittendi habitum ecclesiasticum»20. Spesso sono legati alla chiusura del convento, qualche volta – quando è stato possibile

18 ASR, Agostiniane in S. Lucia in Selci, b. 3687, fasc. 7. La vicenda è stata poi ulteriormente indagata da f. balboni in Roma riscopre un gioiello: Santa Margherita porta d’Oriente e d’Occidente, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2008, pp. 245-249.

19 Cfr. la legge relativa «alli Religiosi dell’uno, e l’altro Sesso, che valendosi delle facoltà loro accordate dalla Legge 21 fiorile abbandoneranno la vita monastica» del 15 giugno 1798 (27 pratile anno VI) e le notificazioni in merito (in particolar modo quella del 26 fiorile anno VI, ASR, Bandi, b. 506 bis).

20 i. ranzato, La secolarizzazione delle religiose nella Roma giacobina, «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 1994, 1, pp. 120-145.

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seguire il percorso delle religiose – sono riconducibili ad alcuni motivi particolari come nel caso della Braccucci, eccezionalmente corrispondono a una adesione delle religiose alle idee giacobine 21. È quest’ultimo il caso delle tre sorelle Luzi che, abbandonato il monastero dei SS. Cosma e Damiano, svolsero un ruolo politicamente attivo creando un loro ‘salotto povero’ luogo di incontro di rivoluzionari e patrioti 22. Si può ritenere dunque che la tenuta della «città religiosa» di fronte alla «città rivoluzionaria», per dirla con Fiorani 23, fosse tenace e che al processo di scristianizzazione auspicato dai rivoluzionari si contrapponesse una reazione anti-rivoluzionaria che passava anche attraverso i conventi femminili. L’ immagine di una religione cattolica assediata, in cui si rinnovavano gli elementi del martirio cristiano, sarebbe stata tramandata negli anni della Restaurazione attraverso le memorie e le cronache delle religiose rimaste fedeli ai voti.

Quel primo suggestivo approccio alle scritture religiose femminili trovò poi il suo proseguimento in un progetto di più ampio respiro messo in campo dall’Osservatorio su storia e scritture delle donne 24 , che rivolse le sue ricerche alla realtà dei monasteri romani per i quali, nonostante alcuni studi pioneristici, rimanevano in sospeso molti interrogativi: la loro composizione sociale, il rapporto tra spiritualità e retaggio culturale delle monache, le loro reti di relazioni, e, ancora, il nesso tra gli edifici a l’as-

21 A riprova di questa tesi Ranzato, nel saggio sopra citato, riporta il caso delle tre suore bolognesi Emilia Fantaguzzi, Teresa Pignoni e Teresa Unelli che, cacciate dal monastero di S. Pietro Martire di Bologna il 30 giugno 1798, cercarono asilo nella stessa Bologna nel monastero di S. Giovanni Battista ma cacciate anche da lì nel febbraio 1799 furono costrette a secolarizzarsi e tornare alle proprie case ove stettero circa 4 anni prima di approdare al monastero dei SS. Domenico e Sisto (la loro vicenda è ricordata da suor Dolara nelle sue Memorie).

22 Una delle sorelle, Caterina, fu arrestata nel 1800 con l’accusa di «spargimento di voci sediziose contro il legittimo governo pontificio», cfr. gli atti del processo in ASR, Giunta di Stato, b. 5, fasc. 87.

23 l fiorani, Città religiosa e città rivoluzionaria (1789-1799), «Ricerche per la storia di Roma», 9 (1992), pp. 65-154.

24 L’ Osservatorio su storia e scritture di donne a Roma e nel Lazio fu costituito nel 2000, per iniziativa dell’Archivio di Stato di Roma, della Sapienza-Università di Roma e di altri istituti culturali romani, con la finalità di censire e studiare le testimonianze scrittorie delle donne a partire dal XV secolo. Il progetto di censimento, condotto sugli archivi e le biblioteche romane, diretto da Marina Caffiero e da chi scrive, ha prodotto finora oltre 4.500 schede, in parte consultabili sul Web collegandosi all’ homepage dell’Archivio di Stato di Roma oppure alla voce Osservatorio su storia e scritture delle donne a Roma e nel Lazio (indirizzo: http://193.205.249.68:8080/scritturedidonne/index.jsp.). Per dar conto delle scritture più interessanti, è stata creata una collana di monografie intitolata La memoria restituita. Fonti per la storia delle donne, Viella, Roma, nella quale sono stati al momento pubblicati 7 volumi e altri due sono in corso di stampa.

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setto urbanistico, la riconfigurazione degli spazi interni all’indomani della Riforma, e così via 25. Tra le scritture religiose riportate alla luce e pubblicate nel corso del progetto messo in campo dall’Osservatorio, oltremodo significative appaiono le Memorie di suor Anna Vittoria Dolara, che scrisse la cronaca del monastero dei SS. Domenico e Sisto nel periodo giacobino e napoleonico26 . La lettura di questa fonte ci permette di acquisire ulteriori elementi e riscontri non solo per confermare o ampliare i dati relativi alle soppressioni e secolarizzazioni avvenute nel biennio giacobino27, ma anche e soprattutto per ricostruire, dal punto di vista dei soggetti coinvolti, il clima che si viveva all’interno delle comunità religiose. Naturalmente, nell’approccio a questa tipologia documentaria va tenuto presente che, per quanto si tratti di scritture personali, purtuttavia esse risentono di condizionamenti che ne inficiano la spontaneità. Come un’avvertita e consapevole messe di studi ha evidenziato in questi ultimi anni, le scritture nate in ambito conventuale pur essendo destinate a una fruizione interna tradiscono però l’intento agiografico e celebrativo e, finalizzate a trasmettere la memoria della comunità, esaltano i caratteri di autorappresentazione, collocandosi pertanto in una linea di confine tra interno ed esterno, tra privato e pubblico28 . Con i suoi ritratti delle priore, con le minuziose descrizioni della socialità monastica, la Cronaca di suor Dolara assolve

25 Su tali problematiche si vedano d. rocciolo, La costruzione della città religiosa: strutture ecclesiastiche a Roma tra la metà del Cinquecento e l’Ottocento, in Storia d’Italia, Annali, 16: Roma, la città del papa. Vita civile e religiosa dal giubileo di Bonifacio VIII al giubileo di papa Wojtił a, a cura di l fiorani – a prosperi, Torino, Einaudi, 2000, pp. 376-393; m caffiero, Il sistema dei monasteri nella Roma barocca. Insediamenti territoriali, distribuzione per ordini religiosi, vecchie e nuove fondazioni, «Dimensioni e problemi della ricerca storica» 2008, 2, pp. 69-102.

26 I primi risultati delle ricerche orientate sulla religiosità femminile furono pubblicati in Scritture di donne. La memoria restituita, a cura di m caffiero – m i venzo, 2007, primo numero della sopra citata collana. Successivamente, nella stessa collana, ben due volumi sono stati dedicati alle scritture religiose: Le cronache di Santa Cecilia. Un monastero femminile a Roma in età moderna, a cura di a. lirosi, edito nel 2009, e La rivoluzione in convento. Le Memorie di Anna Vittoria Dolara (secc. xVIII-xIx), a cura di s. ceglie, con un saggio di s. cabibbo, edito nel 2011.

27 Il manoscritto di suor Dolara fu già consultato da Ranzato nel citato La secolarizzazione delle religiose nella Roma giacobina

28 Sulle insidie di una lettura acritica dei libri dei conventi, si vedano il saggio introduttivo di e. brambilla, Scrivere in monastero, in lirosi, Le cronache di Santa Cecilia, pp. 9-29, nonchè m. caffiero, Le scritture della memoria femminile a Roma in età moderna: la produzione monastica, in Memoria, famiglia, identità tra Italia e Europa nell’età moderna, a cura di g ciappelli, Bologna, Il Mulino, 2009, pp. 235-268.

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perciò la duplice funzione di custode della memoria e di historia salutis che prosegue ininterrotta attraverso gli accidenti del secolo29. « Colombe allontanate dal nido, pellegrine raminghe da un luogo all’altro dolorosamente e pazientemente disposte ad assecondare i rivolgimenti del secolo e della storia, le monache di S. Domenico e quelle degli altri monasteri romani di cui ci danno notizie le Memorie, si configurano così come eroiche vestali di una romanità cristiana, che restano fedeli al loro statuto, che difendono il territorio, che sovvengono con i loro mezzi e le loro relazioni alle ferite inferte ai luoghi di cui sono custodi»30

E d’altra parte, pur dando voce ai sentimenti corali delle consorelle sparse nei tanti conventi, il punto di vista di suor Dolara, poetessa nei ranghi dell’Arcadia e valente miniaturista, si rivela più complesso e sofisticato. Se alla caduta della Repubblica giacobina una monaca di S. Maria della Purificazione poteva annotare con semplicità «Le suore si recarono al monastero di S. Lucia in Selci per andare a vedere le truppe che venivono a liberare Roma dalli Francesi»31, e poi continuare con la narrazione di una vita quotidiana che riprendeva i suoi ritmi, ben più avvertito e guardingo era l’atteggiamento di suor Dolara, che mostrava di non fare grande differenza fra le truppe repubblicane e quelle borboniche «… essendo la Truppa Napolitana subentrata alla Francese nel Monastero, servivasene ancor essa in qualità di Ospedale Militare. Molti perciò furono i danni riportati dal Monastero durante il soggiorno che vi fecero questi nuovi Abitatori, quali tolsero, e fracassarono nel poco tempo che vi fecero soggiorno tutto quel poco che era rimasto illeso nelle mani de’ Francesi»32.

Oggi dunque, disponiamo di una considerevole quantità di fonti dirette destinate a incrementarsi, sia perchè è vivo e fecondo l’interesse della storiografia per i monasteri femminili, sia anche per l’impulso dato dalla storia di genere a questo ambito di ricerca33. Inoltre, un apporto vitale perviene

29 Così cabibbo in La rivoluzione in convento. Le Memorie di Anna Vittoria Dolara, p. 36.

30 Ibidem, p. 36.

31 ASR, Clarisse di S. Maria della Purificazione, b. 4971, fasc. 1.

32 ceglie, La rivoluzione in convento, p. 145.

33 Ricordo alcuni fondamentali studi sulle scritture religiose femminili: e b weaver, Le muse in convento.La scrittura profana delle monache italiane (1450-1650) in Donne e fede. Santità e vita religiosa in Italia, a cura di l scaraffia – g zarri, Roma-Bari 1994; s cabibbo, Scrivere in monastero nel x VII secolo, in Esperienza religiosa e scritture femminili tra Medioevo ed età moderna, a cura di m. modica vasta, Catania 1992; a. prosperi, Diari femminili e discernimento degli spiriti: le mistiche della prima età moderna in Italia, «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 1994, 2, pp. 77-103; g zarri, Le scritture religiose, in Carte

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oggi dalle stesse comunità monastiche femminili, che non solo aprono i loro archivi ai ricercatori ma si fanno promotrici di studi esse stesse. Così l’associazione ‘Lettere dal monastero’, alla quale aderiscono molti conventi, si è costituita proprio con lo scopo di svolgere, incentivare e divulgare studi sull’attività del monachesimo, in particolar modo femminile, dalle origini fino ai nostri giorni e promuovere la pubblicazione delle fonti 34

Il dialogo che si è instaurato in questi ultimi decenni tra la comunità laica degli studiosi e quella ecclesiastica ha prodotto, come si vede, frutti considerevoli e, ritengo, lo dobbiamo in gran parte alle premesse poste da Luigi Fiorani.

di donne. Per un censimento regionale delle scritture delle donne dal x VI al xx secolo, a cura di a. contini – a. scattigno, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2005, pp. 45-58; vanno menzionati inoltre gli studi condotti nell’area campana dalla Fondazione Valerio per la storia delle donne, mentre per quanto riguarda l’area specificamente romana rimandiamo al citato saggio di caffiero, Le scritture della memoria femminile a Roma in età moderna

34 L’ associazione ha sede in Roma presso il monastero delle benedettine di S. Cecilia in Trastevere. La recente pubblicazione curata da m. carpinello, Lettere dalla Trappa, in cui sono raccolte le lettere della Beata Gabriella monaca del Monastero delle trappiste di Vitorchiano, costituisce il primo volume di una nuova collana delle edizioni San Paolo Lettere dal monastero

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domenico rocciolo

I DOCUMENTI DELL’ ARCHIVIO STORICO DEL VICARIATO E LE «RICERCHE PER LA STORIA RELIGIOSA DI ROMA»

Luigi Fiorani conosceva bene l’Archivio Storico del Vicariato di Roma e ne aveva chiara la funzione istituzionale. In una nota al volume Chiesa romana e Rivoluzione francese pubblicato nel 2004 scriveva: è l’Archivio «dove confluisce la documentazione del governo pastorale e amministrativo della diocesi di Roma, a capo della quale è posto il Papa che si avvale della collaborazione del cardinale vicario»1. Ricordo la disinvoltura con la quale mi indicava i documenti che potevano essere utili ai nostri studi. Il suo interesse per i fondi diocesani cresceva intorno alla metà degli anni Settanta, quando avviati i contatti con esperti studiosi fondava le «Ricerche per la storia religiosa di Roma». Nella premessa al primo numero del 1977 spiegava gli obiettivi di quella che «solo impropriamente e per ragioni pratiche» poteva essere definita una rivista. A suo parere la dimensione religiosa restava ancora una realtà da sondare a fondo. Le considerazioni che raccoglieva negli ambienti di studio convergevano nel fatto che la storia delle istituzioni curiali avesse sottratto attenzione alla dimensione più propria della religiosità romana. Ne ricavava l’esigenza che la ricerca dovesse essere fondata su uno scavo documentario analitico, il più possibile ampio e sorretto da un piano programmatico unitario, paziente e insofferente di risultati immediati. Il termine storia religiosa richiedeva una netta differenziazione dalla storia ecclesiastica e dalla storia sociologica e una volta sganciato da presupposti ideologici, apologetici e pastorali, doveva tenere conto della storia del popolo, della società, delle strutture e delle mentalità. Nella suddetta premessa affermava: «le strutture diocesane di governo, le organizzazioni parrocchiali, le confraternite e le istituzioni laicali, le espressioni liturgiche e devozionali, le visite pastorali, il clero e la cultura teologica, la carità e l’assistenza, l’amministrazione dei patrimoni ecclesiastici, la demografia e

1 l. fiorani – d. rocciolo, Chiesa romana e Rivoluzione francese, Rome, École française, 2004, p. 17.

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013

la statistica, l’urbanistica religiosa, il rapporto chiese-rioni, la mentalità e il comportamento delle masse religiose, il senso della morte e l’amore della vita, la superstizione, sono alcuni temi tra gli innumerevoli che si potrebbero qui indicare»2. Intendeva dare respiro ad una storia religiosa costruita sulle fonti, comprese quelle dell’Archivio Storico della Diocesi di Roma. Pur ritenendo immaturi i tempi per lavori storici diretti, che dovevano essere preceduti da censimenti di materiali e da raccolte di fonti inedite, decideva di dare comunque alle «Ricerche» un’articolazione in sezioni: la prima destinata ai saggi, la seconda riservata ai documenti e la terza assegnata agli inventari. Quest’ultima veniva inaugurata da Renata Tacus con un lavoro sull’archivio di S. Maria in Cosmedin, conservato proprio nell’Archivio del Vicariato3.

Parlandomi dell’archivio dell’Arciconfraternita della Dottrina Cristiana, Luigi raccontava che aveva contribuito a riordinarlo con suggerimenti e istruzioni, perché ne fosse redatto l’inventario, pubblicato in seguito da Antonio Fiori nel secondo numero della collana4. Per lui il valore di quel lavoro non stava soltanto nell’aver riordinato faldoni, volumi e registri, ma «nell’aver offerto agli studiosi la descrizione di carte archivistiche rilevantissime su cosa era stato fatto a Roma sul piano catechistico, sui metodi dell’insegnamento religioso, sulla dislocazione delle scuole della dottrina cristiana, sulle strutture organizzative e sul patrimonio su cui poteva contare il sodalizio»5. Considerava opportuno quel sussidio archivistico per riaprire

2 Presentazione, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 1 (1977), pp. 5-6. Nella recensione pubblicata il 16 novembre 1977 su «L’ Osservatore Romano» con il titolo Ricerche per la storia religiosa di Roma, Agostino Lauro osservava: «Non esisteva finora uno strumento, che con taglio scientifico consentisse di avere un’idea plausibile e documentata di quella tipologia particolarissima di cui risulta caratterizzata la società romana che attraverso i secoli ha vissuto ed espresso il fenomeno religioso in modi e forme suoi propri… È evidente, che il periodico, al di là delle enunciazioni di principi e di programmi astratti, intende passare con immediatezza concreta ai risultati delle attività di studio, di documentazione e finanche di identificazione delle innumerevoli fonti archivistiche esistenti in città, per chiarire i termini della realtà, del flusso ininterrotto e della circolazione continua delle persone, dei fatti, delle idee e delle cose nei loro nessi col fenomeno religioso».

3 r. tacus, L’ archivio di Santa Maria in Cosmedin presso l’Archivio Storico del Vicariato. Inventario, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 1 (1977), pp. 331-348.

4 a fiori, L’ archivio dell’Arciconfraternita della Dottrina Cristiana presso l’Archivio Storico del Vicariato, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 2 (1978), pp. 363-423.

5 Premessa, ibidem, p. 9. Carmelo Capizzi salutava così l’uscita del secondo volume: «Già la sola lettura dei titoli e la loro distribuzione organica lasciano intuire che queste Ricerche intendono promuovere la storia religiosa di Roma a tutti i livelli effettuali e documentali, da una parte, e metodologici, dall’altra. Dalle sintesi panoramiche suggerite dai dati finora accertati si giunge sino alle prime esplorazioni dei fondi archivistici, finora ignoti o poco noti. Ciò

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il discorso su un tema centrale della storia di Roma nell’età moderna: quello dell’istruzione cristiana del popolo 6. A suo modo di vedere, rendere fruibili quei documenti voleva dire che finalmente potevano essere riconsiderati gli interventi di alfabetizzazione compiuti a favore delle fasce sociali più deboli. L’ inventario doveva essere di stimolo per nuovi studi che dessero finalmente voce ai ceti poveri. Su questo obiettivo si misurava il cammino delle «Ricerche», che dovevano essere attente a cogliere le testimonianze ignorate, ma importanti, delle realtà sofferte dagli umili e dagli emarginati. Alla massa degli indigenti – proseguiva Luigi – sarebbe stato dedicato un numero monografico della collana, perché lo scopo era quello di intrecciare la storia religiosa di Roma alla storia della pietà7, e l’argomento, da questo punto di vista, era ancora tutto da affrontare. Una storia letta dal basso avrebbe guardato ai diseredati della terra, a quelli che non avevano avuto voce né avevano dettato le regole: un taglio disciplinare che avrebbe indotto gli storici a pesare le ricadute delle scelte compiute dai detentori e gestori del potere. Il terzo volume, uscito nel 1979, penetrava l’ombra del pauperismo che si era alzata come «una cappa oscura sulla società romana dell’età moderna». La descrizione dell’archivio dell’Arciconfraternita della Madonna del Soccorso, S. Giuliano e Missioni sembrava utile, perché nel contesto dell’associazionismo laicale romano, quella compagnia si era distinta per l’impegno assunto a favore dei poveri, non disgiunto da opere di religione, come l’istruzione catechistica e la devozione. Così Renata Tacus, in forma di articolo archivistico, la presentava agli studiosi8. Dunque, se la pubblicazione dei due precedenti inventari rispondeva all’intento di «avvia-

che il lettore rileva subito con soddisfazione è l’esemplare impegno scientifico che caratterizza i singoli contributi, alcuni dei quali, a chi ha esperienza in materia, rivelano fatiche lunghe e logoranti »: recensione, «La Civiltà Cattolica», 1980, 2, p. 203.

6 Sull’argomento si era fermi a studi ormai lontani; cfr. f. pascucci, L’ insegnamento religioso in Roma dal Concilio di Trento ad oggi, Roma, Scuola Tip. Pio X, 1938 e g franza, Il catechismo a Roma e l’Arciconfraternita della Dottrina Cristiana, Alba, Ed. Paoline, 1958.

7 Negli anni successivi su don Giuseppe De Luca, storico della pietà e fondatore delle Edizioni di Storia e Letteratura, sarebbero usciti diversi suoi articoli: cfr. l. fiorani, Pietà, storia, Chiesa in don Giuseppe De Luca contemporaneo, «L’ Osservatore romano», 19 marzo 1982, p. 9; id., intervento alla Tavola rotonda su Giuseppe De Luca sacerdote e scrittore, estratto da «Sociologia», rivista di scienze sociali dell’Istituto Luigi Sturzo, XVI (maggiodicembre 1982), 2/3, pp. 211-212; id., Don Giuseppe De Luca, prete e studioso nella cultura italiana del Novecento, «Nuovo dialogo», 18 novembre 1983; id., Le lettere di don Giuseppe De Luca al Seminario Romano (1911-1921), «Archivio italiano per la storia della pietà», 19 (2006), pp. 7-49.

8 r. tacus, L’ archivio dell’Arciconfraternita della Madonna del Soccorso, S. Giuliano e Missioni. Inventario, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 3 (1979), pp. 395-420.

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re la messa in opera di una guida alle fonti per una storia religiosa di Roma più articolata, di prospettare, prima ancora che ipotesi di lavoro, i materiali e i documenti che le rendevano possibili»9, questa volta la scelta cadeva su «un archivio inedito, formatosi a ridosso dell’attività caritativa e assistenziale di una delle tante compagini della città»10. Il pauperismo veniva considerato una testimonianza da riscoprire per avvicinarsi al dramma vissuto da innumerevoli esseri umani travolti da squilibri sociali ed economici11, per alleviare il quale la Chiesa era scesa in campo, in ogni epoca storica, anche la più recente. Proprio questa consapevolezza induceva Luigi a tenere aperte le «Ricerche» al periodo contemporaneo. Richiami insistenti ai miseri attraversavano le pagine del saggio di Mario Benigni sulla pastorale nella borgata di Torpignattara tra il 1904 e il 1932. Questo contributo denso di dati e costruito sulle carte delle visite apostoliche del primo Novecento12 rifletteva l’evoluzione di Torpignattara da campagna scarsamente abitata a zona di intenso popolamento, sotto la spinta di un’ondata immigratoria che moltiplicava gli effetti di un’estrema povertà. Altri articoli apparsi nella collana avevano dato conto di ricerche compiute sul Novecento13, mentre Luigi, per il momento, si era limitato a destinare alle «Ricerche» solo saggi sull’età moderna: quello sulle monache e i monasteri romani nell’età del quietismo14, quello sugli astrologi, la superstizione e i devoti nel Seicento15 e quello sulla religione, la povertà e il dibattito sul pauperismo tra Cinquecento e Seicento16. Si era

9 Presentazione, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 1 (1977), p. 7.

10 Premessa, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 3 (1979), p. 10.

11 Altrove scriveva: «La storia del Settecento romano è dunque la storia dove i veri protagonisti sono non soltanto i grandi e i potenti, ma i poveri e gli umili con la loro inquietante e massiccia presenza in tutte le espressioni della vita cittadina»: l. fiorani, Il secolo xVIII, in Riti cerimonie feste e vita di popolo nella Roma dei papi, Rocca San Casciano, Cappelli, 1970, p. 227.

12 m. benigni, La pastorale nelle borgate romane. Torpignattara tra il 1904 e il 1932, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 3 (1979), pp. 181-218.

13 Ricordo i lavori di i f turvasi, Le trattative per la «riconciliazione» di Romolo Murri in un documento di Giuseppe Fuschini e di g morello, Lettere di Antonietta Giacomelli a Egilberto Martire sul caso Murri, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 1 (1977), pp. 301-312 e 315-327 e di p. gaiotti de biase, La nascita dell’organizzazione cattolica femminile nelle lettere di Cristina Giustiniani Bandini al Toniolo, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 2 (1978), pp. 225-271.

14 l fiorani, Monache e monasteri romani nell’età del quietismo, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 1 (1977), pp. 63-111.

15 id., Astrologi, superstiziosi e devoti nella società romana dei Seicento, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 2 (1978), pp. 97- 162.

16 id., Religione e povertà. Il dibattito sul pauperismo a Roma tra Cinque e Seicento, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 3 (1979), pp. 43-131. Tra l’altro, in questo arti-

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servito soprattutto di fonti vaticane, ma agli autori ai quali aveva chiesto di collaborare, aveva suggerito di lavorare in archivi diversi e in particolare in quello del Vicariato. Ricordo il saggio di Carla Sbrana sugli stati delle anime del Cinquecento e Seicento17, quello di Teresa Sardelli sui processi del Tribunale del Cardinale Vicario sul buon costume nell’Ottocento18 , l’edizione di documenti riguardanti la mentalità teologica e scientifica sulla moda femminile nel secolo XVII curata da Fabriciano Ferrero19, l’edizione firmata da Jean Coste di un documento di grande rilevanza storica sulle missioni svolte nel 1703 nella campagna romana, conservato nella Biblioteca Vaticana, ma corredato di note sulle fonti vicariali 20 .

Viene da chiedersi, allora, quando Luigi cominciasse a frequentare l’Archivio Storico del Vicariato. Se guardiamo ai suoi scritti risaliamo al 1972, ad una rassegna di studi sul Settecento romano. Nel presentare il lavoro di Fabriciano Ferrero sull’eremitismo romano tra il XVIII e il XIX secolo21 affermava di condividere il parere dell’autore, che le principali fonti sugli eremiti nell’Urbe si trovassero proprio nell’Archivio diocesano. Anzi, rimproverava bonariamente a Ferrero di non conoscere il tomo 82 del fondo Segreteria intitolato Varie memorie, contenente notizie sugli eremiti: una fonte che evidentemente considerava importante 22. Va notato che il varo delle «Ricerche» avveniva cinque anni dopo e che in quella rassegna del 1972 Luigi mostrava di muoversi già con agio nell’Archivio diocesano di S. Giovanni in Laterano.

Vi è un altro aspetto, poi, che mi sembra di dover rilevare. Se per scrivere i suoi articoli Luigi ricorreva ai documenti dell’Archivio Segreto Vaticano, della Biblioteca Apostolica Vaticana, dell’Archivio di Stato e di altri grandi e piccoli

colo, citava il tomo terzo del fondo Segreteria, nel quale aveva trovato fonti sui poveri e i «Raccordi per li religiosi che sono stati deputati alla visita de gli hospedali» (ff. 17-18v): un documento, che gli era utile per allargare la riflessione sull’assistenza religiosa prestata ai malati e soprattutto ai malati poveri ricoverati negli ospedali.

17 c sbrana, Le registrazioni degli stati delle anime nelle parrocchie romane tra Cinque e Seicento, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 1 (1977), pp. 41-62.

18 t. sardelli, I processi sul buon costume istruiti dal Tribunale del Vicariato di Roma nell’Ottocento, ibidem, pp. 113-171.

19 f. ferrero, Mentalità teologica e mentalità scientifica sulla moda femminile del secolo x VII, ibidem, pp. 231-256.

20 j coste, Missioni nell’Agro romano nella primavera del 1703, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 2 (1978), pp. 165-223.

21 f. ferrero, San Clemente Maria Hofbauer CSSR y el eremitismo romano del siglo x VIII y x Ix, «Spicilegium historicum Congregationis Ssmi Redemptoris», 1969, 2, pp. 225-353; (1970), 1, pp. 129-209; (1970), 2, pp. 330-370.

22 l fiorani, Settecento romano (rassegna di studi), «Studi romani», XX (1972), 4, p. 550.

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ROMA»

archivi e biblioteche della città, è vero, anche, che le fonti del Vicariato gli consentivano di legare, più di altre, gli insegnamenti di don Giuseppe De Luca alle ricerche che intendeva compiere su Roma religiosa. Ricordo le lunghe conversazioni che tenevamo su questo argomento23 e ancora oggi leggo con piacere le sue parole su don Giuseppe De Luca, la cui erudizione non aveva avuto «altro significato se non quello di un ascolto interiore mai interrotto, mai distaccato da ciò che era stata la vicenda umana»24. Nella sostanza Luigi voleva recuperare il passato per legarlo al presente: aveva un’idea molto precisa di fare storia. Su questo concetto insisteva in varie occasioni e particolarmente a Grado nel 1991 durante un convegno dedicato al tema Ricerca storica e Chiesa locale in Italia. Risultati e prospettive 25. Dal suo punto di vista la ricerca delle fonti non era solo la manifestazione di una passione interiore, ma era il riflesso di un progetto ideale, che generava interesse per la verità storica, quella più nascosta e meno visibile. D’altra parte, non a caso nel quarto numero delle «Ricerche» uscivano saggi imbastiti su documenti diocesani, come quelli di Fiorenza Gemini sulla parrocchia di S. Lorenzo in Damaso nel Settecento26 e quello di Guerrino Pelliccia sulle scuole di catechismo e per fanciulle nel Seicento27, che seguivano alla tavola rotonda intitolata Nuove fonti per la storia religiosa di Roma alla quale partecipavano, tra gli altri, Eugenio Sonnino e Andrea Riccardi, che parlavano entrambi delle fonti vicariali. Sonnino interveniva sui registri parrocchiali come fonti di assoluta rilevanza per la storia demografica e Riccardi accennava alle fonti della diocesi per ricostruire aspetti e passaggi centrali della vita religiosa a Roma nell’età contemporanea. A quella tavola rotonda prendeva parte anche Arnaldo D’Addario con un contributo sugli archivi delle confraternite28: un argomento che Luigi seguiva da tempo e riguardo al quale stava guidando un’équipe di ricerca.

23 Per avere un’idea della consistenza di queste sue opinioni si veda la voce che scriveva su Roma, in Dizionario degli Istituti di Perfezione, VII, Roma, Edizioni Paoline, 1984, coll. 1985-1990.

24 Intervento alla Tavola rotonda su Giuseppe De Luca sacerdote e scrittore, «Sociologia», XVI (1982), 2/3, p. 212.

25 l. fiorani, Storia religiosa di Roma. Note intorno a recenti esperienze di ricerca, in Ricerca storica e Chiesa locale in Italia. Risultati e prospettive, Atti del I x Convegno di Studio dell’Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa, Grado 9-13 settembre 1991, Roma, Dehoniane, 1995, p. 258.

26 f gemini, Aspetti sociali e religiosi della parrocchia di San Lorenzo in Damaso nel Settecento, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 4 (1980), pp. 149-174.

27 g. pelliccia, Scuole di catechismo e scuole rionali per fanciulle nella Roma del Seicento, ibidem, pp. 237-268.

28 Tavola rotonda sulle Nuove fonti per la storia religiosa di Roma, ibidem, pp. 13-52.

DOMENICO ROCCIOLO 60

I risultati dello scavo archivistico che alcuni anni prima aveva avviato non tardavano ad uscire. Se il quinto volume delle «Ricerche», infatti, raccoglieva saggi «in vista di una ricerca complessiva sulla religione nelle confraternite romane»29, il sesto presentava il censimento degli archivi delle confraternite che erano stati individuati nella città, conservati in sedi maggiori e minori, compresi quelli custoditi nell’Archivio Storico del Vicariato di Roma 30. La passione che Luigi metteva in questo lavoro trovava la sua diretta espressione in un articolo che pubblicava nella rivista «Archiva Ecclesiae»31, nel quale spiegava che non si trattava di provvedere ad un «riordino complessivo degli archivi ecclesiastici, cosa del resto auspicabilissima e in molti casi urgentemente reclamata dalla precarietà di molte raccolte documentarie», ma di valorizzare una «logica conseguenza di un programma di ricerche sulla storia religiosa» elaborato «sulla base di una comune esigenza nella quale varie sollecitazioni erano venute a confluire, non ultima la grande lezione di don Giuseppe De Luca». Coglieva, in sostanza, l’esigenza di un progetto di tutela e di utilizzazione delle fonti. Per questo organizzava riunioni all’Archivio del Vicariato per far nascere la commissione diocesana per gli archivi: proposta che trovava la sua realizzazione poco più tardi, per volontà del cardinale Ugo Poletti, mediante decreto del 10 maggio 198332. Alla commissione costituita da esperti di diritto e di archivistica spettava il compito di censire gli archivi delle parrocchie, dei conventi, dei movimenti ecclesiali e delle pie associazioni 33 . Ricordo di aver preparato centinaia di schede contenenti denominazioni di istituti e indirizzi. Volevamo raggiungere archivi grandi e piccoli di enti del passato e del presente per assicurarli a tutela. L’ impresa era entusiasmante, ma anche troppo ambiziosa e presto ci accorgevamo che non potevamo

29 l. fiorani, L’ esperienza religiosa nelle confraternite romane tra Cinque e Seicento, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 5 (1984), p. 173. Segnalo che in v paglia, Le confraternite e i problemi della morte a Roma nel Sei-Settecento, pp. 197-220, sono citate molte fonti dell’Archivio diocesano.

30 Cfr. il Repertorio degli archivi delle confraternite romane, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 6 (1985), pp. 175-430.

31 l. fiorani, Inventari di fondi archivistici per la storia religiosa di Roma, «Archiva Ecclesiae», XXVI-XXVII (1983-1984), pp. 193-207.

32 Cfr. «Rivista diocesana di Roma», 1983, 3, p. 630.

33 Cfr. d rocciolo, Commissione diocesana per salvare gli archivi ecclesiastici, «Avvenire», 30 ottobre 1983, p. 23. La commissione era composta da mons. Pietro Garlato (presidente), Luigi Fiorani (segretario), Giulio Battelli, Germano Gualdo, Arnaldo D’Addario, mons. Agostino De Angelis, mons. Gabriele Crognale e padre Diego Beggiao. Alle riunioni ero presente anch’io in qualità di uditore.

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DI ROMA»

portarla a termine. Seppure Luigi veniva dal successo del censimento degli archivi delle confraternite, il nuovo progetto richiedeva tempi e disponibilità che non avevamo. Vorrei rammentare le parole che scriveva sul senso di quel lavoro, ossia che «scoprire e inventariare un archivio non era solo dare voce a una massa informe di carte, ma significava far emergere una realtà, dare voce a una storia spesso ignota o appena avvertita»34. Nelle intenzioni di Luigi si trattava di formare «una sorta di laboratorio in cui formulare ipotesi, individuare metodi e campi di lavoro». Se la preferenza era «per una storia non altisonante, per una storia degli umili e degli emarginati che non avevano parlato nei grandi discorsi e nelle grandi storie, ma che invece avevano spesso lasciato traccia del loro passaggio nelle monotone carte di un archivio», allora s’imponevano il censimento e la descrizione delle fonti, in grado di rispondere alle domande di una nuova storiografia. Con questi propositi elaborava le tipologie degli inventari da pubblicare nelle «Ricerche». Le descrizioni richiedevano pochi elementi essenziali: numeri di segnatura, titoli, datazioni, consistenza, formati e qualche rapido dato sui contenuti dove era possibile darlo. Nell’Archivio Storico del Vicariato gli inventari compilati con questa metodologia e poi pubblicati, sono consultati e apprezzati ancora oggi. Ricordo, tra gli altri, quello del fondo dell’Arciconfraternita di S. Maria dell’Orazione e Morte curato da Maria Chiabò e Luciana Roberti 35, ma segnalo anche l’apprezzamento degli studiosi per le 49 schede su 130 pubblicate nel citato repertorio riguardanti gli archivi delle confraternite conservati proprio in quell’Archivio. Luigi osservava: «ci sembra che il servizio offerto, sia con la rassegna storiografica, sia con l’ampia sezione archivistica, abbia non solo la possibilità di venire incontro alle domande poste dalle nuove ricerche, ma di farne emergere tante altre, aprendo così la via a una conoscenza più diretta, più interna ai fenomeni che hanno segnato in profondità e in larghezza intere pagine della nostra storia locale e contribuito in maniera determinante alla formazione dei comportamenti e della mentalità religiosa». Auspicava, in altri termini, nuovi sviluppi di ricerca e mi sembra di poter dire che, in effetti, quei fenomeni, quei comportamenti e quelle mentalità a cui accennava, riconducevano a temi ancora da affrontare, tra i quali non poteva mancare quello del clero impegnato nel ministero pastorale, nella predicazione, nell’amministrazione dei sacramenti e nelle opere di carità. Luigi decideva, non a caso, di dedicare il numero settimo delle «Ricerche» proprio alla storia

34 fiorani, Inventari di fondi archivistici, p. 196.

35 m. chiabò – l. roberti, L’ Arciconfraternita di S. Maria dell’Orazione e Morte. Inventario dell’archivio, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 6 (1985), pp. 109-174.

DOMENICO ROCCIOLO 62

del prete romano dall’età postridentina alla metà del Novecento. Nel suo saggio affrontava aspetti centrali della vita degli ecclesiastici, come la pietà, la cultura e la missione36 , si soffermava sulla riorganizzazione della diocesi dopo il Tridentino sulla base dello «spoglio degli atti ufficiali conservati nell’importante fondo Segreteria dell’Archivio del Vicariato»37, esaminava i dati delle listae status animarum, che per lui, come per altri studiosi, costituivano «le fonti principali per lo studio della popolazione romana nelle sue diverse componenti dalla fine del Cinquecento al 1870»38 . In qualità di responsabile di redazione dava spazio ad altri contributi imbastiti sui documenti del Vicariato, come quelli di Michele Manzo sul prete romano tra la missione del 1958 e il sinodo del 196039 e quello di Fortunato Iozzelli sul drammatico memoriale di mons. Domenico Jacobini sulle «ombre» scese sui preti romani disorientati e intimiditi dal potere politico all’indomani dell’unificazione 40. A quel settimo numero partecipavo anch’io con un repertorio di fonti sul Pontificio Seminario Romano Maggiore e a questo proposito mi tornano in mente i suoi numerosi e preziosi consigli mentre procedevo nel mio lavoro 41 .

Ritengo che la pubblicazione di quel numero monografico lo portasse a interessarsi più da vicino alla storia contemporanea. Si spiegherebbe in tal modo la scelta di affrontare la controversia modernista, che «aveva lacerato le coscienze, disorientato le istituzioni ecclesiastiche, diviso l’opinione pubblica di ogni tendenza». Il numero ottavo, dedicato al modernismo, usciva nel 1990. Nel suo saggio citava molte fonti del Vicariato per parlare di Ernesto Buonaiuti, del Seminario Romano, di Giovanni Genocchi, della reazione antimodernista e della linea adottata dai cardinali vicari Lucido Parocchi, Pietro Respighi e Basilio Pompili42. La consultazione del fondo Imprimatur e di altre carte correlate, gli consentiva di affermare che

36 l fiorani, Identità e crisi del prete romano tra Sei e Settecento, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 7 (1988), pp. 135-212.

37 Ibidem, p. 138.

38 Ibidem, p. 139. Sulle listae status animarum cfr. e. sonnino, Le registrazioni di stato a Roma tra il 1550 e il 1650: gli stati delle anime e le «liste» di stati delle anime, in Fonti della demografia storica in Italia. Atti del seminario, 1971-1972, a cura del Comitato Italiano per la Demografia Storica, I/I, Roma, Cisp, 1974, pp. 171-200.

39 m manzo, Il prete romano tra la missione del 1958 e il sinodo del 1960, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 7 (1988), pp. 251- 286.

40 f. iozzelli, Una relazione di Domenico Jacobini sulla riforma del clero romano dopo il 1870, ibidem, pp. 331-386.

41 d. rocciolo, Fonti per la storia del Seminario Romano, ibidem, pp. 389-469.

42 l fiorani, Modernismo romano, 1900-1922, ibidem, 8 (1990), pp. 75-170.

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ROMA»

presso l’Archivio generale del Vicariato (oggi nell’Archivio Storico) aveva attinto utili materiali nelle diverse serie di documenti della Segreteria e dell’Ufficio II (disciplina del clero e del popolo cristiano) ordinati per materia; vi aveva trovato numerosi documenti, lettere di assistenti, statuti, relazioni, verbali, riguardanti le diverse organizzazioni laicali e l’Azione Cattolica tra il primo Novecento e il 193243. Questa documentazione gli dava modo di riflettere sul ministero universale del Papa strettamente associato a quello di pastore e di vescovo della Chiesa locale, perché –sottolineava durante un convegno – il Papa è tale in quanto radicato nella comunità cristiana di Roma, succedendo a Pietro che l’aveva fondata e consacrata con il suo sangue 44 .

Quello del Papa come pastore della Chiesa universale e come vescovo della Chiesa particolare era un tema al quale desiderava dedicarsi. Le sue ricerche lo riconducevano alle fratture politiche e religiose della fine del Settecento. Prendeva l’occasione del bicentenario della Rivoluzione francese per riportare le «Ricerche» ad un contesto di età moderna. Nel numero nove intitolato «Deboli progressi della filosofia». Rivoluzione e religione a Roma, 1789-1799 proponeva una rilettura delle posizioni del clero e del Vicariato, ma soprattutto dell’atteggiamento e delle decisioni del Papa45. I documenti dell’Archivio del Vicariato lo interessavano perché mettevano in evidenza la crisi e il malessere di una città turbata, fedele a Pio VI, ma lacerata dall’occupazione straniera. Cercava di interpretare i significati delle grandi processioni volute da Papa Braschi, dei miracoli mariani del 1796, dei sussulti della coscienza collettiva, dei contrasti tra i sostenitori delle istanze rivoluzionarie e delle istituzioni ecclesiastiche. Si soffermava a descrivere le «sante e pacifiche armi» del Papa, ossia la preghiera e la devozione di fronte alla rivoluzione. Nella premessa al volume spiegava le ragioni della pubblicazione di un dossier di documenti del Vicariato per «riaprire il discorso sul versante religioso dell’età rivoluzionaria, sul vissuto devoto e popolare, al di fuori della prospettiva centrale, ma ormai piuttosto logora, del conflitto tra lo Stato e la Chiesa» 46 . Il repertorio di fonti che mi chiedeva doveva offrire «un preciso servizio per ricostruire la storia della Chiesa locale e in fin dei conti una parte non piccola della storia della città

43 Ibidem, p. 428.

44 id , Un vescovo e la sua diocesi. Pio xI, «primo pastore e parroco» di Roma, in Achille Ratti, Pape Pie xI, Actes du colloque, Rome, 15-18 mars 1989, Rome, École française, 1996, p. 423.

45 id., Città religiosa e città rivoluzionaria (1789-1799), «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 9 (1992), pp. 65-154.

46 Ibidem, p. 11.

DOMENICO ROCCIOLO 64

nell’ultimo Settecento». Nella sezione documenti e inventari uscivano due miei contributi: uno dedicato, appunto, ai documenti dell’Archivio diocesano sulla vita religiosa prima e durante la Repubblica romana e l’altro sulle fonti conservate nel medesimo Archivio, per gli anni 1798-179947.

Con la pubblicazione di quel volume ritenevo che il tema dei rapporti Chiesa-Rivoluzione fosse ormai fuori dai suoi programmi per le «Ricerche». Invece, dopo aver dedicato nel 1998 il numero dieci alle conversioni e alle strategie di conversione a Roma nell’età moderna48 , nel 2006 usciva il numero undici contenente gli atti di un seminario su Roma religiosa nell’età rivoluzionaria che avevamo organizzato all’Istituto Luigi Sturzo nel 1999. L’ iniziativa presentava nuovi approcci alla teologia e alla politica religiosa, alle istituzioni ecclesiastiche, alla società religiosa e alle fonti del periodo rivoluzionario. Ricordo che in quella circostanza e presumibilmente sull’onda dell’entusiasmo per l’esito del seminario, Luigi mi parlava della sua intenzione di fondare un istituto di studi storico-religiosi su Roma proprio nell’Archivio storico diocesano.

Chiudo questo mio intervento ricordando la sua fermezza nel voler dedicare il numero dodici delle «Ricerche» al tema Chiesa, mondo cattolico e società civile durante la Resistenza. Con tenacia raccoglieva testimonianze

47 d. rocciolo, Documenti sulla vita religiosa prima e durante la Repubblica romana e id., Le fonti dell’Archivio Storico del Vicariato sulla Repubblica romana (1798-1799). Repertorio e indici, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 9 (1992), pp. 383-448 e 451-514. Luigi aveva parzialmente utilizzato quelle fonti in occasione di un colloquio a Chantilly nel 1986 dedicato alle pratiche religiose nell’Europa rivoluzionaria e poi nel convegno che aveva organizzato all’Istituto Luigi Sturzo nel 1990 sulla rivoluzione nello Stato della Chiesa, cfr. l. fiorani, Note sulla crisi religiosa a Roma durante la Repubblica giacobina (1798-1799), in Pratiques religieuses dans l’Europe révolutionnaire (1770-1820), Actes du colloque, Chantilly 27-29 novembre, réunis par p. lerou et r. dartevelle sous la direction de b. plongeron, Turnhout, Brepols, 1988, pp. 112-122 e id , Aspetti della crisi religiosa a Roma durante la Repubblica giacobina, in La Rivoluzione nello Stato della Chiesa 1789-1799, a cura di l fiorani, Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 1997, pp. 253-297.

48 Nel volume venivano pubblicati saggi sul passaggio di ebrei, musulmani e cristiani non cattolici alla Chiesa romana, sulle missioni e sui catechismi nel Settecento, in certa misura impostati sulle fonti del Vicariato. Mi riferisco ai contributi di m. procaccia, «Bona voglia» e «modica coactio». Conversioni di ebrei a Roma nel secolo x VI, di c canonici, Condizioni ambientali e battesimo degli ebrei romani nel Seicento e Settecento, di m cattaneo, Per una religione convertita. Devozioni, missioni e catechismi nella Roma del Settecento, dello stesso l. fiorani, Verso la nuova città. Conversione e conversionismo a Roma nel CinqueSeicento, nonché ai miei Documenti sui catecumeni e neofiti a Roma nel Seicento e Settecento e L’ archivio della Pia Casa dei Catecumeni e Neofiti di Roma, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 10 (1998), pp. 207-234; 235-271; 273-310; 91-186; 391- 452 e 545- 582.

LE «RICERCHE PER LA STORIA RELIGIOSA
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DI ROMA»

sulla tragedia della guerra49. Mi chiedeva di pubblicare un contributo sulle fonti del Vicariato ed io volentieri accoglievo il suo invito trascrivendo le pagine del bollettino Vita parrocchiale stampato dalla Pontificia Opera per la Preservazione della Fede e della Provvista di Nuove Chiese in Roma nei mesi di occupazione tedesca, tra il settembre 1943 e il giugno 194450. Con questo volume e il suo saggio su Roma, città aperta, Luigi esprimeva tutto il suo ripudio per la violenza e per ogni comportamento che calpestasse la persona umana 51. Non intendeva fermarsi con gli studi, anzi raccoglieva documenti per un nuovo numero, che voleva intitolare Chiesa e fascismo a Roma negli anni Trenta52 .

49 l. fiorani, Roma, città aperta, 1943-1944, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 12 (2009), pp. 23-104.

50 d rocciolo, Le parrocchie di Roma e la guerra. Pagine del bollettino “Vita parrocchiale”. Settembre 1943-giugno 1944, ibidem, pp. 467-507.

51 Come ha sottolineato V. Paglia, Ricordo dello storico Luigi Fiorani. Roma città chiusa alla violenza, «L’ Osservatore romano», 25 aprile 2010, p. 4.

52 Il volume è in preparazione e presto vedrà la luce. Conterrà l’abbozzo di testo che Luigi ci ha lasciato.

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GLI STUDI SU ROMA RELIGIOSA

Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

TRA STORIA DELLA PIETÀ E STORIA DELLA VITA RELIGIOSA

Quando Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo mi hanno chiesto se ero disponibile a collaborare per un convegno che riflettesse sul lavoro di Luigi Fiorani, sono stato felice di rispondere di sì per la stima che ho avuto ed ho per questo amico e anche per spiegare il fatto, che per più di trent’anni, egli aveva lasciato il mio nome tra i componenti della Direzione di «Ricerche per la storia religiosa di Roma». Sulla stima non ho nulla da aggiungere; sulla mia presenza nella Direzione della rivista voglio dire qualcosa e, per questa via, aggiungerò qualche considerazione sul tema del rapporto tra storia della pietà e storia religiosa che è stato materia di interesse comune. La Direzione della rivista, sin dalla sua nascita, era composta da Giacomo Martina, Michele Monaco, Alberto Monticone, Massimo Petrocchi, Leopoldo Sandri e da Luciano Osbat. Del gruppo ero l’unico ad essere ancora ‘garzone di bottega’ nel campo accademico, poi non ero un romano, non mi ero mai occupato di Roma e della sua storia religiosa, non ho mai scritto un articolo che sia stato pubblicato su «Ricerche per la storia religiosa di Roma». Eppure per 35 anni ho fatto parte di quella Direzione1. Per dire qualcosa di questa incongruenza è necessario che spieghi come e quando è avvenuto il mio incontro con Luigi Fiorani e, anche attraverso di lui, con la storia della pietà e con la storia della vita religiosa.

A partire dal 1975 è iniziata la mia collaborazione con Giovanni Antonazzi prima e con Romana Guarnieri poi, collaborazione che si è consolidata quando è stato creato il Centro di ricerche per la storia dell’Alto Lazio2. Antonazzi

1 Alla Direzione della rivista sono venuti a mancare negli anni Massimo Petrocchi, Leopoldo Sandri e Michele Monaco. Dal n. 11 la Direzione è stata riorganizzata con l’ingresso di Gabriele De Rosa e dello stesso Luigi Fiorani; dal n. 12 anche con Francesco Malgeri e Vincenzo Paglia.

2 Il primo incontro con Antonazzi a Vicarello è del giugno 1975 quando, da quasi tre anni (settembre 1972), Antonazzi aveva avviato contatti in vista della creazione di un Centro

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

luciano osbat
Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013

aveva voluto il Centro di ricerche per dare concretezza a quella «storia prevalentemente umile o dell’«umile Italia» che egli faceva discendere direttamente da don Giuseppe De Luca. Il Centro di ricerche si poneva come una via non alternativa ma complementare a quell’altra prestigiosa che stava proseguendo sotto le cure allora di Romana Guarnieri e cioè l’«Archivio italiano per la storia della pietà». In un breve ma importante articolo che Antonazzi aveva scritto per la «Rassegna degli studi e delle attività culturali nell’Alto Lazio» nel 1983 e che abbiamo voluto riprendere nel volume che gli è stato dedicato un anno dopo la sua morte nel 20083, egli spiegava quale sarebbe stata la storia al centro degli interessi di questa nuova associazione. La storia della società contadina dell’Alto Lazio, «una storia dalla quale sono assenti, o al più compaiono solo come di riflesso e mai in veste di protagonisti, nomi prestigiosi, vicende clamorose, intrighi politici. La stessa vita della nostra gente è colta più nella dimessa veste dei fatti di ogni giorno che nel solenne paludamento delle grandi occasioni» 4. Proseguiva poi l’articolo chiarendo come questa società contadina-preindustriale, in Italia, fosse oggetto di ricerche da parte di coloro che si muovevano sul terreno della ricostruzione di una storia della vita religiosa con un taglio prevalentemente antropologico oppure storico-religioso. E faceva il nome di Alfonso Maria Di Nola e di Gabriele De Rosa come capiscuola delle due tendenze. «De Rosa – aggiungeva Antonazzi – in varie occasioni, ha dichiarato di aver preso l’avvio, oltre che da Le Bras, da don Giuseppe De Luca, suo maestro e amico. È un giusto riconoscimento, del quale va preso atto. Vorremmo, tuttavia, precisare, sia pure entro gli angusti limiti di queste pagine, che l’intuizione e la visione storica di De Luca si pone al di là e al di sopra del piano sociologico, e lo trascende in una prospettiva assai più vasta e feconda, fino a raggiungere una visione teologica della storia»5. E proseguiva tracciando un profilo di De Luca, spiegando la sua nozione di pietà e chiarendo quanto fosse ampio

che era destinato in un primo momento alla gioventù studiosa di Morlupo (Roma) poi era diventato il progetto per un Centro giovanile di studi che aveva allargato la prospettiva ad un territorio più ampio, forse il nord della provincia di Roma. Questo progetto si trasforma ancora dopo il mio arrivo accanto ad Antonazzi e Guarnieri e diviene il Centro di ricerche per la storia dell’Alto Lazio. Il Centro giovanile di studi viene costituito nel 1975; il Centro di ricerche per la storia dell’Alto Lazio è costituito nel 1977 con atto notarile. Le riunioni del suo direttivo e le conferenze per gli studiosi a Palazzo Lancellotti, a Roma, sono cominciate nei primi mesi del 1976.

3 Giovanni Antonazzi tra storia e memoria, Manziana, Vecchiarelli Editore, 2008.

4 g. antonazzi, Pietà e ricerca storica. La storia locale, «Rassegna degli studi e delle attività culturali nell’Alto Lazio», 4 (1983), p. 6.

5 Ibidem, p. 10.

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il campo che si apriva davanti alle indagini di quel genere perché «la nozione di pietà, come è descritta (non definita) da De Luca, consente una vastità di ricerca, almeno a primo aspetto, sconfinata, poiché “espressione di pietà può essere naturalmente tutto, purché esprima questa pietà”: da un corale di Bach e un adagio di Beethoven a una edicoletta al canto della strada, dalla cupola di Michelangelo e la crocifissione del Masaccio alle confraternite della Buona Morte, da una pagina di Tolstoi e di Dostoievski a una povera e malamente impressa immaginetta devota, dal libro d’ore splendidamente miniato al libriccino di preghiere della nonna consunto dall’uso, dall’Ospedale di Santo Spirito al De rerum natura di Lucrezio. Deliberatamente De Luca non restringe la storia della pietà ai soli testi letterari. Ogni testimonianza fa storia; storia della pietà, se è testimonianza di pietà»6. E nella parte conclusiva del suo testo, come indicazione di ricerche da sviluppare in questa ottica della storia della pietà, egli suggeriva la storia delle chiese come luogo della preghiera, dell’amore e del dolore; la devozione mariana; il culto dei santi attraverso le preghiere, i canti, gli ex-voto, i santini che ad essi erano rivolti; le leggende popolari a contenuto religioso e la liturgia, le manifestazioni della pietà nel mondo del passato e nel presente7.

Il mio contatto con Antonazzi e Guarnieri era avvenuto tramite Gabriele De Rosa che avevo conosciuto alla metà degli anni Sessanta e che aveva reso possibile il mio inserimento all’Università di Salerno, prima come borsista nel 1968 e poi come assistente ordinario dal 1970. Dal 1971 avevo cominciato a collaborare con Romeo De Maio, incaricato e poi ordinario di Storia moderna nella Facoltà di lettere di quella Università, ma avevo continuato a collaborare con De Rosa sia a Salerno (per la «Rivista di studi salernitani» e poi con il Centro studi per la storia del Mezzogiorno) che a Roma dove lo incontravo alle Edizioni di Storia e Letteratura. È molto probabile che sia stato De Rosa a segnalare ad Antonazzi la mia esistenza quando questi ha cominciato a parlare della sua intenzione di lasciare il suo posto di alta responsabilità a «Propaganda Fide» e ritirarsi a Morlupo per fare nel piccolo quello che De Luca aveva immaginato di fare a livello internazionale con l’«Archivio», cioè creare un centro per lo studio della storia della pietà8.

6 Ibidem, p. 12.

7 Ibidem, pp. 16-19.

8 Nel Diario che Antonazzi ha tenuto per molti anni, alla data dell’11 giugno 1975 è riportato: «Vicarello. Incontro con il prof. Luciano Osbat (già visto a Palazzo Lancellotti). Base per il lavoro del Centro Studi». L’ annotazione è in f. brunetti – p. vian, Fra Morlupo e Propaganda Fide. Un profilo bio-bibliografico di Giovanni Antonazzi (1913-2007) in Giovanni Antonazzi tra storia e memoria, p, 136.

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La mia storia di ricercatore, sino ad allora, si era sviluppata a partire dagli interessi per la storia del movimento cattolico tra fine Ottocento e Novecento (tesi di laurea prima, poi articoli sulla «Rivista di studi salernitarni») ed era passata a questioni di storia moderna in parte per esigenze di ‘scuderia accademica’ (dal 1971 ero assistente ordinario presso la cattedra di Storia moderna retta da Romeo De Maio, come già detto) e in parte per convinzione personale che mi portava a capire la storia dell’età moderna come premessa necessaria della storia post-unitaria. De Maio avrebbe voluto fare di me uno studioso dell’Inquisizione, a partire dal ‘Processo agli ateisti’ per continuare con Giuseppe Valletta e altri processi nel clima difficile della Napoli a cavallo tra XVII e XVIII secolo. Ne sono venuto fuori – da quegli anni 1971-1976 – con un grande interesse per gli archivi ecclesiastici (non solo per quelli dell’Inquisizione) e poi per gli archivi delle istituzioni di governo a livello territoriale come gli archivi dei governatori, dei comuni, delle parrocchie, delle diocesi. L’ interesse per gli archivi significava in primo luogo studiare le istituzioni che li avevano creati e poi le stratificazioni del tempo e delle ricerche che li avevano condizionati, infine le opportunità che offrivano oggi agli studiosi di cogliere in maniera profonda il senso degli avvenimenti. Fin da quando avevo cominciato ad occuparmi di processi dell’Inquisizione mi era risultato evidente che il tema che mi appassionava non era la condanna dell’imputato, ma era l’insieme delle norme e delle procedure che regolavano il funzionamento del tribunale e l’impatto del processo non solo e forse non tanto sui processi culturali quanto sui processi sociali e sulla storia della vita religiosa del territorio. In questo senso avevo avviato un nuovo sistema di schedatura dei processi dell’Inquisizione a Napoli che aveva destato l’interesse di Armando Saitta (allora era interessato anche ad un ‘onomasticon’ dell’Inquisizione romana e per il quale lavorai a Napoli sul fondo del Tribunale del Sant’Ufficio di quel Viceregno per un breve periodo) e che avevo presentato in qualche articolo9. L’ archivio storico locale, l’archivio ecclesiastico come fonte principale per la ricostruzione di una storia sociale e di una storia religiosa che era ancora quasi del tutto

9 Il più antico contributo in argomento è stato l’articolo Sulle fonti per la storia del S. Ufficio a Napoli alla fine del Seicento, «Ricerche di storia sociale e religiosa», 1 (1972), pp. 419-427; il più recente è stata la comunicazione dal titolo Le carte processuali dell’inquisizione di Napoli: problemi archivistici e problemi storiografici sul tappeto, in L’ Inquisizione romana in Italia nell’età moderna. Archivi, problemi di metodo e nuove ricerche. Atti del seminario internazionale. Trieste, 18-20 maggio 1988, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivisitici, 1991, pp. 263-293.

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assente nel panorama degli studi italiani. A questo volevo dedicare i miei studi e così ho fatto, per buona parte, sino ad oggi.

L’ interesse per gli archivi storici locali, ecclesiastici e civili, si sposava in qualche modo con il progetto di Antonazzi. E fin dai primi passi quello degli archivi e delle prime ricerche che si potevano condurre a partire dagli archivi indagati e ordinati è diventato l’occupazione prevalente del Centro di ricerche per la storia dell’Alto Lazio, inizialmente non giudicato con grande favore da Antonazzi e da Romana Guarnieri che vedevano allontanarsi la possibilità di tradurre nella concretezza la loro ipotesi di ricerche di storia della pietà fin da subito. Dopo la creazione del Centro di ricerche per la storia dell’Alto Lazio le riunioni settimanali con loro per programmare e verificare l’andamento del lavoro (conferenze, intervento negli archivi, prime piccole ricerche, costruzione della biblioteca, etc.) sono durate per più di un decennio. Sono cominciate nei primi mesi del 1976 (una annotazione autografa di Antonazzi, alla data del 4 marzo 1976, dice «Prima riunione del Centro Studi nella nuova sede in Palazzo Lancellotti»)10 e vedevano la presenza di Giovanni Antonazzi, Romana Guarnieri, Elisa Curri Naldini (che era la nostra Segretaria), Mario Sciarra (che era il Bibliotecario) e del sottoscritto. Solo nel 1987 la sede del Centro è stata spostata a Morlupo. Da allora gli incontri con Antonazzi sono proseguiti settimanalmente, quelli con Romana si sono diradati e poi sono cessati quasi del tutto e comunque, quando avvenivano, erano nella sua casa di Via delle Fornaci, a Roma.

È nella fase di avvio del Centro di ricerche per la storia dell’Alto Lazio che nasce l’incontro con Luigi Fiorani. Quando si svolge la Tavola rotonda, il 16 dicembre 1976, che poi sarà pubblicata nel primo numero di «Ricerche per la storia religiosa di Roma», Antonazzi e la Guarnieri erano presenti a quell’incontro: vi ero anch’io e a quella data era già nata una intesa con Luigi per il comune interesse per gli archivi ecclesiastici e gli archivi storici locali. Ma non credo proprio che questa condivisione sia stata la ragione per cui Luigi mi ha chiesto di far parte del gruppo che seguiva la impostazione della sua rivista. Credo piuttosto che la stessa richiesta possa essere stata fatta ad Antonazzi e che Antonazzi mi abbia in qualche modo ‘prestato’ come garante del suo interesse per l’iniziativa che stava per nascere ma anche per differenziare quella che era l’impostazione che Luigi voleva dare alla sua rivista da quella che Antonazzi stava dando al suo Centro di ricerche11.

10 g. antonazzi, Diario 1976, alla data: Morlupo, Archivio Antonazzi.

11 Probabilmente la presenza di Luigi Fiorani alle Edizioni, anche in vista della presentazione del progetto e poi della pubblicazione di «Ricerche», oltre che con De Rosa e con Maddalena De Luca e Romana Guarnieri, lo aveva messo in contatto con Antonazzi.

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La Premessa al primo numero di «Ricerche per la storia religiosa di Roma» diceva chiaramente che l’intento era quello di contribuire a costruire una storia della società religiosa romana, «quella vissuta dalla società romana al di fuori delle corti laiche o ecclesiastiche e delle loro politiche, con un ritmo esistenziale che prendeva forma e sostanza dal proprio territorio, dalla propria cultura, dal proprio sistema socio-economico». E poco oltre dettagliava l’attenzione che sarebbe stata data alle «strutture diocesane di governo, le organizzazioni parrocchiali, le confraternite e le istituzioni laicali, le espressioni liturgiche e devozionali, le visite pastorali, il clero e la cultura teologica, la carità e l’assistenza, l’amministrazione dei patrimoni ecclesiastici, la demografia e la statistica (gli “status animarum”), l’urbanistica religiosa, il rapporto chiese-rioni, la mentalità e il comportamento delle masse religiose, “il senso della morte e l’amore della vita”, la superstizione: sono alcuni temi tra gli innumerevoli che si potrebbero qui indicare come momenti di cammino storiografico che si intende percorrere ed espressivi del suo taglio metodologico»12. Era una impostazione molto diversa da quella che Antonazzi aveva pensato per il Centro di ricerche e l’unico riferimento che Luigi Fiorani aveva fatto in quella occasione a De Luca era stato nelle due righe finali quando aveva concluso: «Il nostro lavoro è, dunque, nelle mani dei lettori. Ben consapevoli, con il De Luca, che “quando un libro esce, nulla è finito e qualcosa comincia”»13.

Nell’anno in cui veniva pubblicato il primo numero di «Ricerche» era formalizzato lo statuto del Centro di ricerche per la storia dell’Alto Lazio che, all’art. 2, affermava come suoi obiettivi fossero quelli di «promuovere studi e ricerche sulla storia dell’Alto Lazio…, con particolare riferimento alla vita della società contadina della regione…, favorire la diffusione degli studi in ordine alla storia della pietà anche al di fuori dell’ambito regionale…, costituire una biblioteca specializzata…., promuovere la salvaguardia degli archivi ecclesiastici e civili esistenti nell’Alto Lazio»14. Il programma era molto meno articolato di quello esposto da «Ricerche»: la genericità era voluta perché non vi era una più larga intesa nel direttivo del Centro di ricer-

L’ incontro tra i due (come quelli successivi) è possibile che sia documentato nei Diari che Antonazzi teneva in quegli anni o negli appunti autobiografici che aveva cominciato a raccogliere negli ultimi anni della sua vita.

12 Presentazione, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 1 (1977), pp. 5-7.

13 Ibidem, p. 7.

14 Presentazione, «Rassegna degli studi e delle attività culturali nell’Alto Lazio», 1 (1980), p. 3.

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che su quello che avrebbe costituito poi l’occupazione dominante degli studi all’interno dell’associazione. Fin dai primi anni Antonazzi aveva verificato quanto fosse difficile avere contributi finanziari da privati per un’impresa che perseguiva alte finalità ma che non avrebbe condotto nessun vantaggio (se non morale) agli eventuali sottoscrittori. E quindi aveva accettato di rivolgersi ad istituzioni pubbliche, come la Regione Lazio, su progetti che erano di interesse del Centro di ricerche ma anche di quella istituzione. È anche per questo motivo era nato il progetto ‘Ricerca e sistemazione di fonti per la storia locale’ che per alcuni anni assorbirà buona parte delle energie e delle risorse del Centro di ricerche e sarà all’origine dei convegni di Sutri del 1978 (Lo Stato della Chiesa tra medioevo ed età moderna) e del 1979 (Gli archivi diocesani dell’Alto Lazio). La grande novità del progetto sugli archivi era nel fatto che era una delle prime volte in Italia, la prima nel Lazio, che si procedeva a sistemare e inventariare una serie di archivi comunali di un’area omogenea (quella scelta era a confine tra le Province di Roma e di Viterbo, intorno al Lago di Bracciano) e che contemporaneamente l’attenzione veniva portata a tutti gli archivi di interesse locale, quelli pubblici (di comuni, di università agrarie, di ospedali) e quelli privati (di diocesi, di parrocchie, di conventi e monasteri, di confraternite, di monti di pietà e monti frumentari)15. Quegli enti, quelle istituzioni che lungo l’età moderna avevano regolamentato ogni aspetto della vita quotidiana dei cittadini di un territorio, ora venivano studiati sulle loro carte e per questa via si recuperava una più analitica descrizione di quanto era avvenuto. La storia sociale e la storia religiosa di un territorio diventavano più facili da raccontare se, dopo le fonti raccolte a livello provinciale o centrale, anche quelle locali diventavano disponibili.

Mentre il programma di intervento era portato avanti da me per il Centro di ricerche e da Angela Zucconi per la Fondazione Olivetti16, Antonazzi completava il lavoro che sarebbe apparso nell’VIII° volume dell’«Archivio» e che riguardava Caterina Paluzzi e la sua autobiografia (1573-1645)17. Era

15 Ricerca e sistemazione di fonti per la storia locale, «Rassegna degli studi e delle attività culturali nell’Alto Lazio», 1 (1980), pp. 40-42.

16 Solo trent’anni più tardi dovevo scoprire come si erano intrecciati i destini di don Giuseppe De Luca, Angela Zucconi e Romana Guarnieri negli anni precedenti la II guerra mondiale; cfr. Giuseppe De Luca, Romana Guarnieri. “Tra le stelle e il profondo”. Carteggio 1938-1945, a cura di v. roghi, Brescia, Morcelliana, 2010, passim.

17 Caterina Paluzzi e la sua autobiografia (1573-1645). Una mistica popolana tra san Filippo Neri e Federico Borromeo, a cura di g. antonazzi, «Archivio italiano per la storia della pietà», vol. VIII (1980), stampato nel 1981.

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un esempio particolarmente impegnato nel dare corpo a quelle ‘testimonianze di pietà’ attraverso gli archivi, i monumenti e le tradizioni orali, che discendevano direttamente dagli insegnamenti di De Luca che Antonazzi citava in apertura quando faceva riferimento a quella storia della Chiesa «mirabilissima anch’essa, ma tanto più umile: la storia di una pieve, la storia di una chiesina, la storia di un paese, la storia di una piccola città, la storia della Chiesa nei piccoli fedeli, nelle piccole preghiere. Dico la storia della pietà»18. Un lavoro di alta erudizione quello compiuto da Antonazzi su un testo che vent’anni prima era stato affidato a don Giuseppe De Luca e che egli aveva giudicato non privo d’interesse. Ma un esempio che non aveva altri campioni su cui cimentarsi a meno di non andare per archivi a scoprire testimonianze analoghe o altre, diverse, che fossero comunque riconducibili a quelle manifestazioni dell’amore nella vita dell’uomo che erano la sostanza della pietà deluchiana.

È in questo spazio vuoto, in quest’area di manovra che io ho inserito la mia finalizzazione delle attività del Centro di ricerche ed è lì dove ho trovato piena condivisione di programmi con Luigi Fiorani, pur in ambiti differenti ma non distanti come sono la città e la campagna, Roma e l’Agro romano e il Patrimonio di San Pietro in Tuscia. Negli anni le ricerche sulle visite pastorali, sulle missioni popolari, sui santuari e sui pellegrinaggi, sulle confraternite, sulle feste e sulle tradizioni popolari cominciavano a svilupparsi grazie ai primi dati che si potevano ricavare dal lavoro di scavo negli archivi locali, in quelli diocesani in particolare. Nel 1982 un convegno a Roma, alla Domus Mariae su I santuari: problemi e prospettive di ricerca era stata l’occasione della partecipazione di Luigi Fiorani ad una iniziativa del Centro di ricerche con una sua relazione su Il santuario e la città. L’ attenzione agli archivi diocesani dell’Alto Lazio è stata all’origine di una iniziativa di rilievo nazionale della quale ho avuto in parte la responsabilità. Si era costituita la Sezione Alto Lazio dell’Associazione degli archivisti ecclesiastici, grazie all’impegno e all’interesse di padre Vincenzo Monachino, allora Presidente nazionale dell’Associazione. Tra il 1979 e il 1984 si erano tenuti, oltre i Convegni sugli archivi locali, anche riunioni di quella Sezione che avevano messo a punto il programma di una Guida degli archivi diocesani dell’Alto Lazio che ha contribuito in qualche modo a far nascere all’interno dell’Associazione quel progetto di Guida degli archivi diocesani d’Italia che fu definita nel Convegno di Loreto del 1984 e che trovò avvio

18 antonazzi, Pietà e ricerca storica, p. 11 che riprende l’intervento di De Luca al I convegno dell’Associazione archivistica ecclesiastica; cfr. g. de luca, Epilogo, «Archiva Ecclesiae», I (1958), pp. 134-146.

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negli anni successivi fino a dare come risultati quei tre volumi che saranno poi pubblicati tra il 1990 e il 1998 che rappresentano un momento di svolta nella storia degli archivi ecclesiastici italiani19. Voglio ricordare in particolare un seminario che si era svolto a Viterbo il 2 giugno 1984 sul tema Gli archivi ecclesiastici. Bilancio di esperienze e programmi per il futuro. I relatori erano stati padre Vincenzo Monachino e Luigi Fiorani. Monachino parlò dei tentativi che l’Associazione archivistica ecclesiastica stava facendo per avviare una nuova stagione di attenzione per gli archivi ecclesiastici, sia da parte delle autorità ecclesiastiche che dello Stato. Luigi intervenne sul ruolo fondamentale che avevano gli archivi storici ecclesiastici per avviare una nuova stagione di studi di storia della Chiesa e riassunse il lavoro che da un decennio egli stava promuovendo a Roma per la salvaguardia e la valorizzazione degli archivi ecclesiastici, in particolare di quelli delle confraternite. Ci sono alcune frasi nell’apertura del suo intervento (che era stato registrato e che era stato poi sbobinato) che mi avevano trovato totalmente in consonanza e che ancora oggi mantengono intatto il loro valore. Egli ribadiva, riprendendo le ultime parole dell’intervento di Monachino, che si doveva essere consapevoli di quanto fosse imponente il lavoro che aspettava coloro che volevano riordinare gli archivi ecclesiastici e come fosse necessario non perdere tempo perché quelle raccolte rischiavano di essere definitivamente perdute. E aggiungeva: «La risposta a questa situazione deriva secondo me da una crescita della coscienza archivistica e storica. Nel momento cioè in cui riusciremo a far nascere nella popolazione, nei ceti intellettuali, nella cultura, a far rivivere una coscienza delle proprie radici, della propria storia, delle ragioni del proprio convivere; nel momento quindi in cui le nostre piccole comunità escono dalla disaggregazione cui ci portano tante situazioni del mondo moderno, allora si scopre anche la necessità di custodire gelosamente le proprie radici e quindi la propria documentazione. Di quella documentazione il monumento è un reperto importante ma è ancora più ricca e pregnante la documentazione scritta. In questo momento, allora, si pongono le premesse perché si possa presupporre un futuro più attento e più rispettoso verso quelle raccolte. È sempre una battaglia contro i mulini a vento ipotizzare di voler salvare queste isole documentarie, queste fonti archivistiche, in una società, in una civiltà, in un piccolo contesto urbano dove la sensibilità civile, culturale è molto scarsa. Non si riesce a salvare l’archivio anche se c’è l’esperto, l’appassionato locale che passa tutto il suo

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19 Guida degli Archivi diocesani d’Italia, a cura di v monachino, e boaga, l osbat, s palese, vol. I, Roma, 1990; vol. II, Roma 1994; Vol. III, Roma 1998.

tempo a conservare questo materiale perché tutto intorno cospira contro questa eredità. La sola via per arrivare a collocare e riuscire ad avere una certa sicurezza e tranquillità riguardo questo materiale è quello di ricostruire una certa convivenza (…) Quindi fare l’archivista non è affatto fare il topo di biblioteca, tagliare tutti i legami con la società, con la cultura, con gli orientamenti dei nostri uomini, dei nostri fratelli. È invece vivere più intensamente la storia perché solo con questo forte innesto con ciò che è storia, con ciò che è vivo, con ciò che cammina possiamo capire che il compito degli archivisti è di rimettere il messaggio degli archivi nel circolo per ricostruire il nostro essere, la nostra cultura e le ragioni della nostra convivenza. È veramente un’opera di civiltà in un senso anche più ampio di quanto lo poteva intendere il Muratori»20

In occasione di un altro convegno da me organizzato Luigi ha fatto riferimento al suo lavoro romano sulle confraternite e alla necessità di avviare nuovi studi su quella materia: è stato in occasione dell’incontro di antropologi e di storici che presentavano i risultati dei loro lavori sul tema sulle confraternite in Italia centrale che si è svolto a Viterbo nel 1989 al quale Luigi aveva partecipato insieme con Vincenzo Paglia e Mario Sensi 21. In quell’occasione aveva insistito in particolare su due punti che si collegavano al grande lavoro di censimento sugli archivi delle confraternite romane che era ancora in corso. In primo luogo c’era la necessità di cominciare a studiare la confraternita in rapporto ai dinamismi di una intera società che sono di carattere sociale, culturale, politico, economico e religioso. E poi lo studio della religiosità delle confraternite che ha una sua specificità, un suo ruolo: è una religiosità che prende coscienza dell’esistenza di problemi materiali, che elabora una propria religione nella quale si riconoscono coloro che formano la confraternita e che diviene risposta ai bisogni sulla base della giustificazione religiosa che è stata individuata. È quindi una religiosità che si costruisce a partire dai problemi della Città in quel momento storico22.

Sarebbe stato logico pensare ad una più ampia collaborazione tra Luigi Fiorani e l’Associazione archivistica ecclesiastica, dato anche gli ottimi rapporti con padre Vincenzo Monachino. Invece, a meno che non abbia

20 Gli archivi ecclesiastici, Viterbo, 2 giugno 1984: appunti e dattiloscritto sul seminario, «Archivio del Centro di ricerche per la storia dell’Alto Lazio», anno 1984.

21 l fiorani, Intervento, pp. 79-88, v paglia, Le confraternite e i problemi della morte a Roma nei secoli x VI-x VIII, pp. 97-117; m. sensi, La processione del Cristo Morto tra Umbria e Marche, pp. 147-160 in Le confraternite in Italia centrale fra antropologia musicale e storia. Studi e ricerche dal convegno nazionale. Viterbo, maggio 1989, Viterbo 1993.

22 fiorani, Intervento, p. 81 e p. 85.

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trascurato qualche dato, l’unico suo intervento fu quello poi pubblicato su «Archiva Ecclesiae» nel numero 26-27 che conteneva gli atti del convegno di Roma del 198223

Alla fine degli anni Ottanta e nei primi anni Novanta si colloca la creazione della Fondazione per la documentazione e la storia dell’esperienza religiosa che vedrà insieme Antonazzi e Guarnieri, Fiorani e me oltre ad altri illustri studiosi di don Giuseppe De Luca, di storia della pietà e di storia religiosa. L’ iniziativa poteva essere considerata un ampliamento degli obiettivi che avevano caratterizzato la nascita del Centro di ricerca, ispirandosi anch’essa agli insegnamenti e al metodo di ricerca di Giuseppe De Luca in tema di storia religiosa. La Fondazione per la documentazione e la storia della esperienza religiosa nasce nel giugno 1989 con sede a Roma. Lo statuto, all’art. 2, chiariva gli scopi dell’istituto che erano «1. curare la ricerca e la divulgazione di documenti e studi riguardanti l’esperienza religiosa del popolo cristiano e degli uomini di fede, specialmente nell’età moderna e contemporanea; 2. promuovere e sviluppare gli studi di storia della pietà, nella linea metodologica propria di don Giuseppe De Luca; 3. favorire contatti e scambi di idee e di esperienze tra studiosi e centri di ricerca impegnati nel settore della storia religiosa in Italia e all’estero, a prescindere dalla loro collocazione ideologica»24. Nella ‘Scheda di presentazione’ redatta in quei mesi e firmata dal Presidente Giovanni Antonazzi e dal Segretario generale Alberto Monticone, i propositi della Fondazione che venivano precisati riguardavano la raccolta della documentazione bibliografica riferita alla storia della pietà e alla letteratura sullo stesso tema, il recupero e la edizione delle fonti essenziali per la storia della pietà in età moderna e contemporanea, la pubblicazione di testi riguardanti apporti interdisciplinari in ordine a fatti, persone, linguaggi, atteggiamenti, pensieri e gesti riferiti sempre alla storia della pietà 25. Nonostante le adesioni alla Fondazione fossero state numerose e di tutto rilievo (sia da parte ecclesiastica che da parte accademica), l’istituto faticò a decollare e la mancanza

23 l. fiorani, Inventari di fondi archivistici per la storia religiosa di Roma, «Archiva Ecclesiae», nn. XXVI-XXVII (1983-1984), pp. 193-207.

24 Art. 2 dello Statuto della Fondazione per la documentazione e la storia dell’esperienza religiosa rogato dal notaio Pierpaolo Siniscalchi, «Archivio del Centro di ricerche per la storia dell’Alto Lazio», anno 1989, fascicolo Fondazione per la documentazione e la storia dell’esperienza religiosa.

25 Fondazione per la documentazione e la storia dell’esperienza religiosa, Scheda di presentazione, «Archivio del Centro di ricerche per la storia dell’Alto Lazio», Fascicolo Fondazione per la documentazione e la storia dell’esperienza religiosa

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dei finanziamenti che erano necessari per avviare un’attività ordinaria della Fondazione convinse i promotori a rinunciare ben presto al progetto: nel 1995 la vicenda si poteva già considerare conclusa 26 . Non ho mai parlato con Luigi Fiorani delle ragioni che erano all’origine della sua adesione alla Fondazione ma credo che si debbano rintracciare in quella attenzione ai documenti che riguardavano l’esperienza religiosa del popolo cristiano che era al primo punto dello Statuto.

La Fondazione non decollò probabilmente anche perché Romana Guarnieri non vi credette fino in fondo: era già nata l’esperienza di «Bailamme. Rivista di spiritualità e politica» che Romana aveva creato in collaborazione con l’«Associazione milanese “Amici di don Giuseppe De Luca”». Il primo numero era uscito nell’aprile del 1987 e se, nell’Introduzione, si spiegava come la rivista intendesse porsi come luogo di incontro e di confronto tra itinerari diversi che rinviavano alla filosofia, alla teologia, alla ecclesiologia, alla politica, alla cultura del post Concilio, la parte centrale del numero era dedicata a Romana Guarnieri e al suo ricordo di don Giuseppe De Luca. Era in qualche modo una rivincita di Romana che si era vista togliere di mano la direzione dell’«Archivio italiano per la storia della pietà» che aveva espresso altra interpretazione del senso di ‘storia della pietà’ e che in conseguenza aveva dato una nuova impostazione all’«Archivio»27.

Vorrei ritornare ora per un attimo alla collaborazione che si realizzava intorno a «Ricerche per la storia religiosa di Roma». È vero che la Direzione discuteva le proposte che Luigi ci sottoponeva ma non ricordo mai che una proposta da lui fatta sia stata modificata. E per quanto mi riguarda, al di là della condivisione sulle priorità da dare nelle ricerche, la mia collaborazione è consistita nell’approvazione delle scelte che lui faceva per l’impostazione dei numeri di «Ricerche»: egli ci convocava – dopo che era già stato discusso

26 Probabilmente Antonazzi aveva sperato di poter dare quel respiro alla storia della pietà che nel lavoro avviato dal Centro di ricerche non era stato possibile e, attraverso la Fondazione, immaginava di trovare più facilmente finanziamenti. Quando si rese conto che nessuno dei due obiettivi era realizzabile in tempi abbastanza ravvicinati, il suo entusiasmo si esaurì e la Fondazione si avviò al tramonto. Vi è stato certamente un momento di entusiasmo da parte sua al punto d’aver pensato di lasciare alla Fondazione anche la sua biblioteca privata che successivamente invece ha donato al Centro di ricerche.

27 Romana Guarnieri promuove «Bailamme» come prosecuzione autentica dell’esperienza dell’«Archivio»; Antonazzi prova, con la Fondazione, a ricucire tra Romana e i responsabili della nuova impostazione dell’«Archivio», la ‘ricucitura’ non riesce e la Fondazione muore prima di decollare: forse questa lettura di quegli avvenimenti è semplicistica ma non credo che sia lontana dal vero.

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il tema da trattare – quando il numero era stato impostato ed avviato. Era l’occasione per raccogliere qualche ulteriore suggerimento ma sostanzialmente il numero era già stato sviluppato come meglio non si sarebbe potuto fare. Ero sempre più convinto che l’impostazione che Luigi aveva dato alla sua rivista era una delle migliori traduzioni dei modi possibili di realizzare quell’aspirazione ad una scrittura della storia della pietà che nei progetti di Antonazzi e ancora di più in quelli di Romana Guarnieri trovava difficoltà ad esprimersi intorno a soggetti specifici di ricerca. Se si confrontano i numeri dell’«Archivio» degli anni della gestione di Romana Guarnieri e i numeri che negli stessi anni uscivano di «Ricerche per la storia religiosa di Roma» si capisce meglio cosa voglio dire. Il numero VI dell’«Archivio italiano per la storia della pietà» era uscito nel 1970 e i temi avevano riguardato un testo poetico della preriforma tridentina, un’opera dell’Ottocento, la figura di Nicola Monterisi. Il numero VII, uscito nel 1976, riportava un carteggio di gentildonne bolognesi con don Leone Bartolini negli anni del Concilio di Trento. Il numero VIII, uscito nel 1980, era quello dedicato a Caterina Paluzzi e alla storia di Morlupo e dovuto a Giovanni Antonazzi. Con il numero IX comincia già la nuova impostazione dell’Archivio che Romana non aveva approvato, come aveva detto rivolgendosi all’Associazione don Giuseppe De Luca che aveva invece voluto quella svolta.

Quando esce il volume dell’«Archivio» con il contributo di Antonazzi, sono giù usciti tre numeri di «Ricerche» che si sono occupati di visite apostoliche, di ordini religiosi e di iconografia della Controriforma, del pauperismo romano e soprattutto avevano pubblicato inventari di archivi di arciconfraternite, di congregazioni religiose, di parrocchie e di Curie generalizie, archivi normalmente ignorati dalla ricerca storica e di estrema importanza per la conoscenza della storia religiosa della società romana.

Mentre si sviluppava la mia collaborazione con Luigi Fiorani e il mio impegno con il Centro di ricerche, che dirigerò a partire dal 1987, si era precisata la ragione del lavoro che sempre di più mi legava al Centro stesso.

Tutto muoveva dalla volontà di applicare all’Alto Lazio una metodologia sistematica di indagine, di recupero, di ordinamento degli archivi storici locali, in primo luogo di quelli ecclesiastici. La percezione chiara era che non si sarebbe potuta mai fare una storia religiosa ‘diversa’ se non sulla base di documenti diversi da quelli usati sino ad allora, documenti che stavano in quegli archivi locali ai quali nessuno aveva dedicato attenzione sino ad allora. E la prima (non la sola) storia religiosa che era necessario ricostruire era quella dei comportamenti ispirati dalla fede, di ecclesiastici e di laici, di dotti e di umili, nelle feste e nella ferialità, attraverso le regole e le verifiche, i diari e le lettere, i testi di alta cultura e le immaginette sacre. Questa era

TRA STORIA DELLA PIETÀ E STORIA DELLA VITA RELIGIOSA 81

una storia ricostruibile, questa era una storia raccontabile. Una storia che il Concilio Vaticano II aveva reso indispensabile per colmare quel vuoto che era la storia delle diocesi nel momento in cui le diocesi rientravano a pieno titolo nella storia della Chiesa. Ma correvano il rischio di rientrarci solamente sulla base delle storie agiografiche di vescovi e di santi, senza saper dire nulla di quel popolo di Dio che quella Chiesa a livello diocesano l’aveva vitalizzata e trasmessa nel tempo.

Quando riprende la pubblicazione dell’«Archivio», negli anni 1994-1996, la ‘storia della pietà’ aveva fatto un bel pezzo di strada. Prosperi, in quel volume appena citato, aveva sottolineato che la «portata innovatrice della proposta di De Luca si è appannata» e molti dei migliori aspetti di quel periodo della storia italiana si erano perduti 28. E Prodi, nell’introduzione alla nuova serie dell’«Archivio», il 10 dicembre 1994 (atti del convegno poi pubblicati nel n. 9 del 1996) aveva parlato dell’impresa che la nuova direzione voleva portare avanti come segnata dalla continuità e dalla novità, dove la continuità significava la fedeltà al concetto ispiratore e la novità stava nel dare alla nozione di pietà «oltre i semi di Dio nel mondo e nella coscienza, anche ogni testimonianza, spesso tragica e dolorosa, della finitezza dell’uomo e quindi della sua ricerca di qualcosa di meta-fisico e di meta-storico»29. Altra novità della nuova fase era poi quella che le testimonianze non sarebbero state colte solo nell’esperienza individuale «ma anche delle identità collettive, della pietas nelle identità collettive». E nell’indicare il cammino da compiere egli suggeriva che si dovesse partire dal nucleo della proposta di De Luca, dalla larghezza della sua visione e dal cammino da lui fatto dopo la pubblicazione della Introduzione e del primo volume dell’«Archivio» fino alla fine della sua vita, non per ripetere il suo cammino o chiosare il suo modello ma per accentuare l’attenzione al nuovo contesto nel quale si andava sviluppando la presenza della Chiesa nel mondo e il nuovo modo di considerare i problemi del sacro e il nuovo modo quindi di considerare la storia della pietà all’interno di «una Chiesa che non è più la chiesa del villaggio, ma è la chiesa delle periferie metropolitane, che nei casi migliori si sta trasformando in un centro sociale»30.

In quell’incontro Luigi Fiorani era intervenuto forse più di una volta (Prodi fa riferimento ad una Introduzione di Fiorani che negli Atti non c’è)

28 a prosperi, Storia della pietà, oggi, «Archivio italiano per la storia della pietà», vol. IX (1996), pp. 11-12.

29 p. prodi, La ripresa dell’“Archivio”, «Archivio italiano per la storia della pietà», vol. IX (1996), p. 368.

30 Ibidem, p. 369.

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ma già quello che si può leggere nel suo ‘Intervento’ nella discussione esprime con decisione il suo pensiero a proposito di «che cosa debba intendersi oggi per pietà». E si rispondeva dicendo che la tendenza era «quella di spostare, o di allargare, i confini della pietà, da esperienza religiosa a esperienza che porta i segni forti, predominanti, dell’esperienza umana. La storia della pietà nasce quindi nel momento in cui lo storico estrae dai documenti la traccia del bisogno, la dimensione di un’attesa, di domande dense di risonanze interiori». E proseguiva pensando ad una storia della pietà capace «di cogliere ciò che di autentico si va iscrivendo nell’esperienza umana e nei diversi piani in cui essa si esplicita, cioè nella presenza politica, nella presenza sociale, nella costruzione di un ordine terreno che, in certi punti di arrivo, può essere alternativo all’ordine costruito dalla pietà». Concludeva augurandosi che gli storici della pietà fossero capaci di leggere i segni della sua presenza all’interno del nuovo ordine sociale, dei nuovi rapporti di solidarietà, dei nuovi modi di convivenza per poter comprendere e raccontare in che direzione queste nuove pulsioni portassero. 31 Fiorani poneva allora all’uditorio un problema che io interpreto in questo modo: e cioè se lo storico della pietà possa essere solo uno spettatore di quanto avviene o è avvenuto o non debba essere anche un testimone, un interprete della esperienza delle sempre mutevoli dimensioni e incarnazioni che la pietà assume nella vita degli uomini che camminano nella storia. Se così è, mi pare questa una significativa integrazione, un allargamento che egli porta alla lezione di De Luca. Una integrazione che a me pare di poter cogliere quasi naturale nel momento in cui ripenso e rivedo Luigi Fiorani nella sua integralità di uomo di ricerca storica, di uomo di esperienza di fede, di uomo di testimonianza di vita: il ricercatore della storia della pietà non può non essere anche un interprete della storia della pietà; per poterne capire la sua natura intima, deve viverla dal di dentro. Mi pare di poterlo sentire Luigi che dice che quelle tracce del bisogno, quel cruccio dell’attesa, quei segni delle domande interiori non possono essere colte se non da chi le vive sulla propria pelle. La prima autentica testimonianza di storia della pietà, di espressione dell’amore per il prossimo, di fiducia nella misericordia di Dio non la si può raccontare pienamente se non la si vive nella vita di ogni giorno, in tutte le dimensioni positive e negative, di presenza e di assenza della pietà.

In questo senso, due mondi apparentemente così lontani come quello di Romana Guarnieri e di Luigi Fiorani nel rivendicare la prima la corretta

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31 fiorani, [Intervento], ibidem, pp. 408-409.

interpretazione della lezione del maestro e nel praticare il secondo una storia della pietà sulla propria pelle, sono due testimonianze parallele di cosa significa vivere nella ricerca e nell’esperienza quotidiana il proprio essere Chiesa, la propria testimonianza di fede.

E ringrazio la Provvidenza di averli messi un giorno sulla mia strada.

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GLI «STUDI ROMANI» E L’ ANTICHITÀ CRISTIANA

Diversamente dai molti altri relatori intervenuti al colloquio in ricordo di Luigi Fiorani, forse anche per ragioni anagrafiche, non posso vantare di aver avuto con lui – che pure ho conosciuto e con il quale ho avuto numerosi incontri cordiali, ma sempre limitati ad aspetti per così dire istituzionali – un rapporto amichevole particolarmente stretto; né posso raccontare aneddoti singolari che mi hanno visto con lui protagonista. Il mio breve intervento riguarderà pertanto – soprattutto sulla base dell’edito e con l’apporto della preziosa documentazione inedita conservata presso l’Archivio dell’Istituto Nazionale di Studi Romani1 – gli anni iniziali della carriera di Fiorani e la sua originaria formazione di archeologo cristiano.

Come forse solo in pochi sapranno, infatti, Fiorani – celebrato soprattutto per essere stato uno dei più ispirati ed acuti indagatori della storia religiosa di Roma nell’età moderna – si laureò nel 1963, sotto la guida di Pasquale Testini 2 (da tre anni succeduto nell’insegnamento a Carlo Cecchelli 3), in Archeologia cristiana discutendo una tesi di laurea sugli amboni e la liturgia siriaca del V-VI secolo 4, tema oggi poco discusso – anche perché ormai

1 Sul quale, in sintesi, si veda quanto raccolto da c lodolini tupputi, L’ Archivio Storico dell’Istituto Nazionale di Studi Romani. Riordinamento e inventariazione, «Studi Romani», XLIII (1995), 3-4, pp. 438-442.

2 Sul Testini (1924-1989) e la sua opera si veda ora l’ampia raccolta Pasquale Testini. Scritti di archeologia cristiana: le immagini, i luoghi, i contesti, a cura di f. bisconti –ph pergola – l ungaro, I-II, Città del Vaticano, Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, 2009.

3 Cfr. g colonna, La scuola archeologica e di storia antica, in Le grandi scuole della Facoltà, a cura di e. paratore, Roma, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Facoltà di Lettere e Filosofia, 1994, pp. 8-20: 17.

4 Devo la notizia a Marco Buonocore, che ringrazio cordialmente per la sempre generosa cortesia ed amicizia.

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013

dato per acquisito5 – ma a quei tempi originale ed affrontato da più di uno studioso 6 .

Poco più tardi, presentato dallo stesso Testini, Fiorani approdò come collaboratore esterno all’Istituto di Studi Romani, ove l’allora Presidente Pietro Romanelli – d’accordo con il Vicepresidente Paolo Brezzi – gli affidò una nuova rubrica della Rivista «Studi Romani» dedicata alle antichità cristiane. La rassegna in verità, come è possibile comprendere leggendo i numerosi scambi epistolari conservati nell’Archivio dell’Istituto Nazionale di Studi Romani, era stata già da molto tempo richiesta e più volte sollecitata – dapprima da Brezzi e poi da Fernanda Roscetti, Segretaria di Redazione della Rivista – allo stesso Testini che, l’anno precedente, aveva in effetti espresso la volontà di volerla quanto prima compilare. I numerosi impegni dello studioso, però, non gli permisero mai di mantenere fede alla promessa fatta, così che Testini – dopo aver in un primo tempo accettato la proposta di cedere la rassegna di antichità cristiane al francescano bulgaro p. Giuseppe Gagov7 – suggerì a Brezzi di affidare l’incarico, sotto la sua guida, ad un suo «valente allievo ed assistente»:

Vorrei – e La prego di credermi – rispondere con tutto il cuore al Suo invito; ma che fare? Per evitare nuove promesse difficili a mantenere e relative date ipotetiche, voglio tentare di far redigere una rassegna bibliografica da un mio valente allievo e assistente, sotto la mia guida e, se necessario, con qualche mia giunta critica. Si verrà a capo dello scopo? Voglio sperarlo e rispondere almeno con questa speranza alla Sua lettera. Dopo il periodo pasquale vedrò di concludere in questo senso. Sarà poi naturalmente Lei a giudicare la validità dell’esperimento8

5 Recentemente su tale argomento si rimanda a p castellana, Note sul Bema della Siria settentrionale, «Studia Orientalia Christiana», XXV (1995), pp. 89-100.

6 Mi riferisco ad esempio agli studi di j. lassus – s. tchalenko, Ambons syriens, «Cahiers archéologiques», V (1951), pp. 75-122; j. dauvillier, L’ ambon ou bêma dans les textes de l’église chaldéenne et de l’église syrienne du Moyen Age, «Cahiers archéologiques», VI (1952), pp. 11-31; e r hambye, Les traces liturgiques du bêma dans la liturgie de l’église chaldéo-malabare, «Melanges de l’Université Saint-Joseph», XXXIX (1963), pp. 199-207; j jarry, L’ ambon dans la liturgie primitive, «Syria», XL (1963), pp. 147-162; d. hickley, The ambo in early liturgical planning. A study with special references to the Syrian bema, «Heytrop Journal», VII (1966), pp. 407-427; e. r. hambye, Les chrétiens syro-malabars et le «bema», «L’ Orient syrien», XII (1967), pp. 83-107.

7 Su p. Gagov (1915-1967), docente di archeologia cristiana alla Pontificia Facoltà Teologica di San Bonaventura, si veda ora quanto raccolto da g eldă rov, A Bulgarian scholar in papal Rome: Iosif Gagov (1915-1967), Roma, Bă lgarski că rkoven archiv v Rim (Abagar), 1988.

8 L’ intera vicenda relativa alla nascita della rassegna dei libri di ‘antichità cristiane’

– dai primi contatti tra Brezzi e Testini, passando per l’ipotesi di assegnazione a Gagov

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La prima rassegna di Fiorani di studi sull’archeologia cristiana – rassegna che gli fece guadagnare la non indifferente somma di 18.000 lire9 – apparve così già nel terzo fascicolo dell’annata 196410, trascorsi cioè soltanto pochi mesi dopo la discussione della tesi di laurea. Una breve premessa, che vale la pena di rammentare rapidamente, introdusse al lettore i volumi da segnalare evidenziando i criteri che avevano guidato ed avrebbero guidato in seguito la selezione dei libri:

Nell’iniziare questa rassegna delle pubblicazioni concernenti le antichità cristiane sono necessarie alcune parole di premessa. Come si vedrà, fra le opere presentate o che si presenteranno in seguito, talune risultano pubblicate qualche anno fa e perciò potranno sembrare fuori tempo in una rubrica che voglia rendere conto delle novità librarie. Ritengo però che dovendosi aprire un panorama bibliografico sia necessario dar conto non solo delle più recenti ma anche delle più notevoli pubblicazioni, di quelle cioè che formano quei capisaldi nelle ricerche e negli studi delle antichità cristiane11.

La proposta di lettura, che senza dubbio a prima vista può sembrare opportuna e certamente guidata da scelte contenutistiche, servì anche in realtà al Fiorani per presentare e lodare, proprio come primo libro della neonata rassegna, un’opera del proprio Maestro Pasquale Testini, il manuale di Archeologia cristiana. Nozioni generali dalle origini alla fine del sec. VI, edito a Roma sei anni prima, nel 1958, dunque – in qualche modo – non proprio una novità libraria. Del libro, ancora oggi utilizzato – pur se nella sua veste aggiornata al 198012 – come manuale in molte università (conferma implicita ed eloquente della validità del testo), Fiorani lodò senza mezzi termini il «carattere di novità», la «sicurezza d’informazione», l’«abbondantissimo materiale», la «precisione e la completezza bibliografica», lo «stile dell’opera», la «limpidezza di esposizione», la «serietà dell’Autore», rivelando al contempo, oltre ai contenuti dell’opera, i sensi di devota stima e riconoscenza che l’allievo nutriva per il proprio Maestro.

fino all’incarico conferito al Fiorani – è ricostruibile dalla lettura dei documenti trascritti nelle Appendici I-XII. Il passo riportato nel testo, relativo alla proposta di Fiorani fatta da Testini, è tratto dalla lettera trascritta nell’Appendice VII.

9 Lo si evince da una nota del 29 luglio 1964, firmata dal direttore dell’Istituto Ottorino Morra, indirizzata all’ufficio amministrativo e relativa agli assegni da emettere a favore degli autori che avevano pubblicato nel terzo fascicolo dell’annata 1964.

10 Rassegna di Libri di antichità cristiane, «Studi Romani», XII (1964), 3, pp. 330-339.

11 Ibidem, p. 330.

12 Archeologia cristiana. Nozioni generali dalle origini alla fine del sec. VI. Seconda edizione con aggiunta di indice analitico e appendice bibliografica, Bari, Edipuglia, 1980.

GLI «STUDI ROMANI» E L’ANTICHITÀ CRISTIANA 87

Non ebbe invece dal Fiorani lo stesso plauso la traduzione italiana del volumetto di Eduard Syndicus13, del quale il recensore, pur se giovanissimo ed alla prima esperienza di scrittura, ebbe il coraggio di segnalare apertamente la scarsità del materiale illustrativo presentato e soprattutto la parzialità ed esiguità della bibliografia consultata14. Non «immune da difetti», sono esattamente le sue parole – ed in questo caso è certamente un giudizio troppo poco generoso e senza dubbio notevolmente azzardato –, il Fiorani trovò anche il monumentale Corpus Basilicarum Christianarum Romae di Richard Krautheimer del quale – per i tipi del Pontificio Istituto di Archeologia

Cristiana – nel 1962 e 1963 erano usciti due fascicoli del II volume; mentre migliore accoglienza fu riservata a Le chiese di Roma dal IV al x secolo di Guglielmo Matthiae15, e all’opera – anch’essa non recentissima – del benedettino Guy Ferrari Early Roman Monasteries. Notes for the history of the monasteries and convents at Rome from the V through the x century16 .

Nel primo fascicolo del 1965 della Rivista «Studi Romani» Fiorani –propostosi nuovamente come redattore della rassegna17 – tornò nuovamente a presentare i più significativi volumi di archeologia cristiana pubblicati in quel torno di anni18. La penna del recensore – che discusse in questa rassegna opere di Carlo Cecchelli19, di René Vielliard 20, oltre nuovamente ad un ulteriore fascicolo del Corpus Basilicarum del Krautheimer21 –, in questo caso, sembrò essere meno pungente, forse anche perché fu costretto a tagliare 7/8

13 La primitiva arte cristiana, trad. it. di n. beduschi, Roma, Herder, 1962. Edizione originale Die frühcrhistliche Kunst, Aschaffenburg, Paul Pattloch, 1960.

14 Cfr. Libri di antichità cristiane, p. 333: «Bisogna dire in conclusione, che il Syndicus è stato capace di chiudere nelle sue fresche paginette qualche sprazzo della ricchezza della antica arte cristiana. Solo si sarebbe desiderata una più efficace documentazione illustrativa, troppo scarna e priva dei “pezzi” essenziali specie per l’arte dei primi secoli, e la presentazione di una bibliografia meno parziale di quella presentata in fondo al libro».

15 Bologna, Cappelli, 1962.

16 Città del Vaticano, Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, 1957.

17 Si vedano a tale proposito le Appendici XIII e XIV.

18 Rassegna degli studi di Antichità cristiane, «Studi Romani», XIII (1965), 1, pp. 75-84.

19 Roma medievale, in f. castagnoli – c. cecchelli – g. giovannoni – m. zocca, Topografia e urbanistica di Roma, Bologna, Cappelli, 1958, pp. 187-341.

20 Recherches sur les origines de la Rome chrétienne. Les églises romaines et leur rôle dans l’histoire et la topographie de la ville depuis la fin du monde antique jusqu’a la formation de l’état pontifical: essai d’urbanisme chrétien, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1959.

21 Corpus Basilicarum Christianarum Romae. Le basiliche paleocristiane di Roma (sec. IV – Ix), volume II, fascicolo III, Città del Vaticano, Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, 1964.

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cartelle del proprio contributo22, ma non fu del tutto risparmiato dai giudizi severi, anzi non lo fu affatto, l’alsaziano Cyrille Vogel, come noto scrupoloso prosecutore dell’opera di Louis Duchesne sul Liber Pontificalis23 Nel primo fascicolo dell’annata successiva, il 196624, Fiorani decise di restringere il campo d’indagine ai soli studi riguardanti la pittura paleocristiana ed altomedievale di Roma. Si analizzarono così i Paralipomeni di Giona di P. Antonio Ferrua 25, uno studio di Per Jonas Nordhagen sulle pitture di S. Maria Antiqua 26, uno studio di Carlo Cecchelli sul mosaico absidale della basilica lateranense 27 – studi, questi ultimi due, duramente criticati – e soprattutto si cercò di fare il punto della situazione sul dibattito in atto tra gli studiosi in merito alle pitture della catacomba della via Latina, la celebre «pinacoteca cristiana del IV secolo» – per dirla con il P. Ferrua 28 – da circa un decennio tornata casualmente in luce. Fiorani, mostrando competenze inaspettate su temi storico-artistici, non si limitò in quest’ultimo caso a riassumere le diverse posizioni degli studiosi del tempo, ma si spinse anche in originali interpretazioni personali, come nel caso delle immagini di Ercole: Forse, noi avremmo portato a fondo le intuizioni circa la figura di Ercole, interpretata come una traduzione pagana della potenza e della virtù di Cristo, o le osservazioni circa il simbolismo di salvezza adombrato nel ciclo di Ercole: su questa linea, di una risposta pagana ai postulati della fede cristiana, sembra a noi che andassero lette le costruzioni mitologiche della via Latina. Non, dunque, come una tappa intermedia di quella che sarà poi la posteriore confluenza di alcune raffigurazioni pagane e profane nel patrimonio iconografico cristiano, ma come l’ultimo tentativo di opposizione al predominio dell’arte cristiana, che specie dopo Costantino veniva dispiegandosi più liberamente ed efficacemente in tutte le sue espressioni. Di questa reazione storica, di questo sottile tentativo di opposizione a una teologia con un’altra teologia, gli affreschi mitologici di via Latina ne sono – a noi sembra – un esempio efficacissimo29

22 Cfr. Appendice XV.

23 Le Liber Pontificalis. Texte, introduction et commentaire par l’abbé L. Duchesne, Tome III. Additions et corrections de Mgr. L. Duchesne, publiées par c vogel, Paris, De Boccard, 1957.

24 Rassegna degli studi di Arte paleocristiana e altomedioevale in Roma, «Studi Romani», XIV (1966), 1, pp. 83-92.

25 «Rivista di Archeologia Cristiana», XXXVIII (1962), pp. 7-69.

26 p romanelli – p j nordhagen, S. Maria Antiqua, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1964.

27 A proposito del mosaico dell’abside lateranense, «Römische Forschungen der Bibliotheca Hertziana», XVI (1961), pp. 13-18.

28 a. ferrua, Catacombe sconosciute. Una pinacoteca del IV secolo sotto la Via Latina, Firenze, Nardini editore, 1990.

29 Arte paleocristiana e altomedioevale in Roma, p. 87.

GLI «STUDI ROMANI» E L’ANTICHITÀ CRISTIANA 89

Il 1967 sembra essere un anno di svolta per gli interessi culturali del giovane Luigi Fiorani: nel primo fascicolo della Rivista «Studi Romani» apparve, infatti, a sua firma un interessante articolo sull’abate Onorato Caetani 30, anticipazione di una più ricca ed ampia monografia pubblicata, per i tipi dell’Istituto di Studi Romani in collaborazione con la Fondazione Camillo Caetani, due anni più tardi 31 e primo segnale significativo di un suo interessamento al mondo degli studi post-classici. Le antichità cristiane non furono però immediatamente accantonate e, nel quarto fascicolo della medesima annata 32, furono discussi due volumi di notevole impegno – mi riferisco al volume Le catacombe e gli antichi cimiteri cristiani di Roma di Pasquale Testini 33 ed alla traduzione italiana del volume di André Grabar

L’ arte paleocristiana (200-395)34 – già pubblicato in francese a Parigi nel 1966 presso Gallimard col titolo Le premier art chrétien (200-395) – e soprattutto, ma senza questa volta esprimere giudizi personali, fu dato conto del dibattito, allora in corso e senza esclusione di colpi, sullo scavo della tomba e sul rinvenimento delle reliquie dell’apostolo Pietro in Vaticano. Il tema, reso spinoso ed interessante anche per le evidenti ricadute di tipo spirituale, fu affrontato nuovamente dal Fiorani, pur se brevissimamente, anche nel primo fascicolo della Rivista del 196835: l’occasione della Rassegna di Archeologia cristiana fu offerta all’autore dalla pubblicazione, nella Rivista «Archeologia Classica», di un lungo articolo di Margherita Guarducci 36 – ripubblicato lo stesso anno, con il medesimo titolo, presso l’editore romano Coletti – in cui la studiosa rispondeva punto per punto a tutte le animate accuse che le erano state mosse dalla comunità scientifica internazionale circa la presunta veridicità delle ossa dell’apostolo da lei strenuamente sostenuta anche in presenza di prove non sempre ineccepibili.

30 Una figura dimenticata del Settecento Romano. L’ abate Onorato Caetani, «Studi Romani», XV (1967), 1, pp. 34-60.

31 Onorato Caetani. Un erudito romano nel Settecento. Con appendice di documenti inediti, Roma, Istituto di Studi Romani – Fondazione Camillo Caetani, 1969.

32 Rassegna degli studi di Antichità cristiane, «Studi Romani», XV (1967), 4, pp. 474481.

33 Bologna, Cappelli, 1966.

34 Milano, Feltrinelli, 1967.

35 Rassegna degli studi di Archeologia cristiana, «Studi Romani», XVI (1968), 1, pp. 90-91.

36 m. guarducci, Le reliquie di Pietro sotto la Confessione della Basilica vaticana: una messa a punto, «Archeologia classica», XIX (1967), pp. 1-96.

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Nel 1969, oltre al volume sul Caetani al quale si è già accennato37, Fiorani pubblicò solo un breve articolo, apparso sulla Rivista «Capitolium», sulla via Appia antica nell’età di mezzo38, quasi simbolico preludio all’abbandono degli studi di antichistica avvenuto l’anno seguente. Nel 1970, infatti, per l’ultima volta nella sua carriera Fiorani si confrontava con l’antichità cristiana. E lo faceva con due diversi contributi: con la consueta rassegna di libri per «Studi Romani»39 e con un lungo ed interessante articolo pubblicato in un libro miscellaneo sui riti e le cerimonie popolari nella Roma pontificia40.

La rassegna per «Studi Romani» fu l’occasione per discutere, con la puntualità e profondità che gli erano proprie, dei libri di Jérôme Carcopino 41 , di Giuseppe Bovini42, di Annarosa Saggiorato 43 e di alcuni saggi contenuti nel secondo volume della Miscellanea in onore di Enrico Josi 44. L’ articolo per il volume miscellaneo edito dalla casa editrice Cappelli45, contributo che in effetti è l’unico studio monografico dedicato dal Fiorani alle antichità cristiane, pur nella sua veste divulgativa – in ossequio ai criteri della collana, diretta da Carlo Galassi Paluzzi, i testi non prevedevano note o approfondimenti bibliografici, ma solo una bibliografia finale essenziale suddivisa schematicamente per tematismi principali46 – è un saggio lineare e ricco di informazioni, che ancora oggi si legge con assoluto piacere e si consiglia di leggere a coloro, specialisti o semplici curiosi, che intendessero saperne di più sulle radici paleocristiane di molte festività o cerimonie religiose dell’età moderna e contemporanea. Come anticipato brevemente, però, questo primo studio del Fiorani sull’età paleocristiana è anche il suo ultimo contributo dedicato al mondo antico. Dall’anno seguente, il 1971, Fiorani

37 Cfr. supra, nota 31.

38 L’ Appia antica nel Medio Evo, «Capitolium», X-XII (1969), pp. 121-126.

39 Rassegna degli studi di Antichità cristiane, «Studi Romani», XVIII (1970), 1, pp. 82-87.

40 Il periodo paleocristiano, in Riti cerimonie feste e vita di popolo nella Roma dei papi, Bologna, Cappelli, 1970, pp. 13-51.

41 De Pythagore aux Apôtres. Études sur la conversion du monde romain, Paris, Flammarion, 1968; si tratta, in realtà, della riedizione di un’opera del 1956, ma ora aggiornata bibliograficamente ed integrata da appendici critiche e dall’indice dei nomi.

42 Gli studi di archeologia cristiana dalle origini alla metà del secolo x Ix, Bologna, Pàtron, 1968.

43 I sarcofagi paleocristiani con scene di passione, Bologna, Pàtron, 1968.

44 Si tratta di un fascicolo monografico della «Rivista di Archeologia Cristiana», XLIII (1967).

45 Gli altri autori sono Giuseppe Mantovano, Pio Pecchiai, Antonio Martini, Giovanni Orioli, oltre che lo stesso Fiorani per un articolo su Il secolo x VIII.

46 Riti cerimonie feste e vita di popolo nella Roma dei papi, pp. 296-300.

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L’ANTICHITÀ CRISTIANA

infatti – non più un ‘archeologo cristiano’ ma ormai a tutti gli effetti uno storico dell’età moderna (di quell’anno è anche il suo articolo su Due lettere inedite del Muratori al Crescimbeni 47) – non compilò più neanche le consuete rassegne di antichità cristiane per la Rivista «Studi Romani» – il compito di redigerle passò infatti a Letizia Ermini Pani – mentre decise di interessarsi a tempo pieno al XVIII secolo, inaugurando per la medesima rivista una interessante e completa rassegna di studi – che il Fiorani redasse fino al 1977 – sul Settecento romano48. A testimonianza del cambiamento di interessi del Fiorani, sta un breve scambio epistolare di Fernanda Roscetti con Pasquale Testini, lettere che vale la pena di ricordare rapidamente anche per cogliere simpaticamente i sensi di sorpresa avvertiti dai redattori della Rivista «Studi Romani» di fronte al mutamento dello studioso. Il 15 febbraio del 1971 così scriveva Fernanda Roscetti al Testini:

Illustre Professore, mi rivolgo a Lei per una cortesia. Poiché il Prof. Fiorani ha, diciamo così, “tradito” le antichità cristiane per il Settecento, non potrà più redigere la consueta rassegna di libri dedicata al suo “primo amore”. Può Ella indicarmi il nome di un giovane studioso che possa sostituirlo?49

Testini, per nulla turbato dalla vicenda culturale del proprio giovane allievo, indicò in Letizia Ermini Pani il migliore studioso della propria scuola per proseguire la Rassegna:

Credo che a sostituire con piena fiducia Fiorani possa indicarsi la Sig.ra Dr.ssa Letizia Pani Ermini, mia assistente volontaria, che sta lavorando al corpus delle sculture altomedievali di Roma e ha già scritto di cose romane50.

La rassegna di studi sul Settecento romano del 1977 fu la sua ultima pubblicazione per la Rivista «Studi Romani», ma il legame con l’Istituto che lo aveva ospitato e promosso nelle sue prime pubblicazioni non si affievolì assolutamente, tanto che – quasi venti anni più tardi, il 25 novembre del 1996 – l’Assemblea dei Membri Ordinari presieduta da Mario Petrucciani propose di nominarlo Membro Corrispondente dell’Istituto51, nomina inat-

47 «Studi Romani», XIX (1971), 2, pp. 144-150.

48 Rassegna degli studi sul Settecento romano, «Studi Romani», XIX (1971), 3, pp. 323332. Le altre rassegne sul medesimo argomento sono state pubblicate in: «Studi Romani», XXI (1973), 3, pp. 379-390; «Studi Romani», XXIV (1976), 2, pp. 257-267; «Studi Romani», XXV (1977), 4, pp. 567-577.

49 Cfr. Appendice XVI.

50 Cfr. Appendice XVII. Per maggiore completezza, si vedano anche le Appendici XVIII-XX.

51 Cfr. Appendice XXI.

MASSIMILIANO GHILARDI 92

tesa dal Fiorani che, con entusiasmo, aderì alla proposta offrendo la più completa disponibilità, come documentato da una lettera del 23 dicembre; lettera della quale vale la pena di ricordare un brevissimo passaggio a testimonianza dell’affetto dello studioso per l’Istituto e soprattutto per la città e la sua millenaria storia:

… sono grato della stima che mi è stata manifestata, a cui cercherò di dare qualche concreto riscontro all’interno dell’Istituto di Studi romani; istituto che ho amato e amo, come tutto ciò che opera per dare a questa “scassata” città un minimo di dignità e di consapevolezza delle sue radici storiche52

Quattro anni più tardi, il 24 novembre del 2000, la medesima Assemblea dei Membri Ordinari presieduta da Mario Petrucciani lo elesse Membro Ordinario, affinché egli – come è scritto nella motivazione della nomina –potesse «recare il prezioso fattivo contributo del Suo consiglio e della Sua collaborazione alle attività scientifiche e culturali dell’Istituto»53. Fiorani accettò la nomina e, nel ringraziare il Presidente con circa un mese di ritardo, il 27 dicembre successivo comunicò di averlo fatto «con vero piacere, e nello spirito di recare un contributo non solo all’Istituto, ma alla storia di Roma, alla storia religiosa di Roma, da sempre al centro dei miei interessi di studio»54.

Come quattro anni prima, in occasione della sua nomina a Membro Corrispondente, Fiorani rispose positivamente dimostrando tutto il suo affetto per l’Istituto e soprattutto manifestando il suo fortissimo legame con la città di Roma e la sua millenaria storia, quella religiosa in particolare. Il suo passato da archeologo cristiano – il suo ‘primo amore’ per dirlo con le parole di Fernanda Roscetti – era lontanissimo, forse ormai dimenticato del tutto. Ma la storia di Roma, «la città del papa», era ancora il suo primo pensiero, una vera e propria missione.

52 Cfr. Appendice XXII.

53 Cfr. Appendice XXIII.

54 Cfr. Appendice XXIV.

GLI «STUDI ROMANI» E L’ANTICHITÀ CRISTIANA 93

5.II.1963 Prof. Pasquale Testini

Via di Porta Cavalleggeri, 127 ROMA

Illustre Professore, mi permetto di rammentarLe la Sua gentile promessa, fattaci lo scorso anno, di preparare per “Studi Romani” una rassegna bibliografica di archeologia cristiana. In attesa di conoscere l’epoca per la quale Ella ritiene di poter inviare il dattiloscritto, Le rinnovo i ringraziamenti per la Sua collaborazione e Le invio i migliori saluti

Prof. Paolo Brezzi II

1.III.1963 Prof. Pasquale Testini

Via di Porta Cavalleggeri, 127 ROMA

Illustre Professore, il prof. Brezzi Le rinnova la preghiera di voler precisare per quale data Ella ritiene di poter consegnare la propria rassegna bibliografica di archeologia cristiana. Con anticipati ringraziamenti e molti ossequi

La Segretaria di Redazione

dott. Fernanda Roscetti

1 Lettere I-V: Istituto Nazionale di Studi Romani, Archivio Storico, Serie «Studi Romani», anno 1963, busta 11.

MASSIMILIANO GHILARDI 94
appendice I1

Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, 4.3.1963

Ch.mo Prof. Paolo Brezzi

Istituto di Studi Romani

Piazza dei Cavalieri di Malta, 2 ROMA

Ch.mo Professore, il grave ritardo col quale rispondo al Suo cortese sollecito si deve ad una serie di circostanze, che speravo di superare.

Ma la mia situazione personale, come Ella sa, lungi dal chiarirsi, si è fatta complessa e incerta. E perciò sono costretto a rimandare ancora di qualche mese la rassegna promessa.

Voglia, Sig. Professore, comprendere il mio sincero rincrescimento, e, con i più devoti ossequi, credermi sempre Suo

dev.mo

P. Testini

23.IV.1963 Prof. Pasquale Testini

Via di Porta Cavalleggeri, 127 ROMA

Illustre Professore, in riferimento alla Sua in data 4 marzo, desidero dirLe che comprendo le ragioni che ancora per qualche tempo Le impediscono di preparare la promessa rassegna di libri di archeologia cristiana.

Per questo avrei pensato di far redigere la prima puntata di questa rassegna al prof. Gagov, il quale sarebbe disposto a consegnare il dattiloscritto non oltre il 1° settembre prossimo venturo.

Se Ella è d’accordo potrei confermare al prof. Gagov l’incarico, in attesa che i Suoi impegni ci consentano di valerci della sua preziosa collaborazione.

Attendo un Suo cortese sollecito riscontro e Le invio i migliori saluti

Prof. Paolo Brezzi

GLI «STUDI ROMANI» E L’ANTICHITÀ CRISTIANA 95
III
IV

Roma, 28 aprile 1963

Ch.mo Professore, La ringrazio della comprensione che ha voluto dimostrare nei miei riguardi e godo che il P. Gagov abbia potuto rispondere con sollecitudine e competenza ai Suoi desideri.

Per quanto riguarda la prima puntata della rassegna, in considerazione della proposta che Ella ha già fatto all’amico Gagov, ritengo giusto ch’egli abbia conferma dell’incarico. Comunque sarò ben felice di meritare in avvenire la Sua benevolenza e spero anzi che non manchi presto occasione per dimostrarLe questo mio proposito.

Gradisca, Sig. Professore, i sensi del mio deferente ossequio e mi creda sempre Suo dev.mo

VI 2

28.II.1964 Prof. Pasquale Testini

Via di Porta Cavalleggeri, 127 ROMA

Illustre Professore, lo scorso anno Ella, in una Sua gentile lettera, espresse l’augurio di poter collaborare a “Studi Romani” ed io, ben lieto di poter contare sulla Sua preziosa collaborazione, mi permetto rammentarglielo.

Oltre che come autore di articoli, Le sarei grato se Ella volesse darci il Suo aiuto per poter regolarmente pubblicare le rassegne dedicate all’archeologia cristiana (sia bibliografica che dei ritrovamenti).

È questa una lacuna che vorrei proprio colmare, e penso che nessuno meglio di Lei possa farlo. In attesa di una risposta che spero vivamente affermativa, La ringrazio anticipatamente e Le invio i migliori saluti

2 Lettere VI-XIV: Istituto Nazionale di Studi Romani, Archivio Storico, Serie «Studi Romani», anno 1964, busta 12.

MASSIMILIANO GHILARDI 96 V

VII

Via di Porta Cavalleggeri, 127

ROMA

Roma, 3.III.1964

Ch.mo Professore, il rinnovato, cortese invito che mi rivolge a collaborare a “Studi Romani” mi onora e nel tempo stesso mi addolora.

All’Istituto innanzitutto e a Lei in particolare vorrei rispondere senza esitazione, affermativamente. Ho da farmi perdonare una “defaillance”, ho da riguadagnare la Sua benevolenza: lo so bene e mi cruccio. Ma il mio periodo negativo non accenna a concludersi: superati in qualche modo i frangenti della questione universitaria, eccomi fermo per una infiammazione congiuntivale, che ora finalmente pare quietarsi.

Vorrei – e La prego di credermi – rispondere con tutto il cuore al Suo invito; ma che fare? Per evitare nuove promesse difficili a mantenere e relative date ipotetiche, voglio tentare di far redigere una rassegna bibliografica da un mio valente allievo e assistente, sotto la mia guida e, se necessario, con qualche mia giunta critica. Si verrà a capo dello scopo? Voglio sperarlo e rispondere almeno con questa speranza alla Sua lettera. Dopo il periodo pasquale vedrò di concludere in questo senso. Sarà poi naturalmente Lei a giudicare la validità dell’esperimento.

La ringrazio dunque vivamente del Suo pensiero e voglia farmi sapere se ha nulla in contrario per la mia proposta.

Con i più devoti ossequi, mi creda Suo

13.III.1964

VIII

Prof. Pasquale Testini

Via di Porta Cavalleggeri, 127 ROMA

Illustre Professore, Le sono grato per la prova di buona volontà dimostrata con la Sua proposta di seguire un Suo allievo nella stesura di una rassegna bibliografica per la nostra rivista. L’ accetto senz’altro e La prego, appena possibile, di dirmi l’epoca per la quale ritiene che il lavoro possa essere consegnato.

GLI «STUDI ROMANI» E L’ANTICHITÀ CRISTIANA 97

Nella speranza di poter contare in futuro anche sulla Sua diretta collaborazione, Le rinnovo i miei ringraziamenti e Le invio i migliori saluti

Prof. Paolo Brezzi

Dott. Fernanda Roscetti

Istituto di Studi Romani

P. Cavalieri di Malta, 2

ROMA

Roma, 8 maggio 1964

Cortese Dottoressa, Le scrive l’assistente del prof. Testini, col quale solo da qualche giorno ho potuto incontrarmi.

Ben volentieri accetto l’incarico della collaborazione che mi onora, e spero di poterLe inviare entro il 30 giugno la prima puntata della rassegna bibliografica.

Le sarei grato se volesse farmi conoscere le norme per la pubblicazione e se volesse inviarmi un estratto di una recente rassegna bibliografica, per es. dell’archeologia classica.

In attesa di una Sua cortese risposta voglia gradire i migliori saluti, Luigi Fiorani

Luigi Fiorani

Viale Etiopia, 4

tel. 835.666

ROMA

MASSIMILIANO GHILARDI 98
IX

14.V.1964

Prof. Luigi Fiorani

Viale Etiopia, 4

Illustre Professore, in assenza del prof. Brezzi, che è in Germania, Le rispondo subito io per ringraziarLa della Sua promessa collaborazione.

Allego alla presente le norme per la pubblicazione e le condizioni fatte dagli Autori e a parte un fascicolo contenente, come da Lei richiesto, una rassegna di libri di archeologia.

Con rinnovati ringraziamenti, ed in attesa di avere una cortese conferma per la data di consegna del dattiloscritto, Le porgo molti ossequi

La Segretaria di Redazione

dott. Fernanda Roscetti

Dott. Fernanda Roscetti

Istituto di Studi Romani

P. Cavalieri di Malta, 2

Roma, 18 maggio 1964

Gentile Dottoressa, ho ricevuto la Sua lettera e il fascicolo di “Studi Romani”. Ho letto anche le norme per la pubblicazione e torno a confermarLe la mia collaborazione alla rivista. Non mancherò perciò di farle avere entro il 30 giugno prossimo la prima rassegna bibliografica di archeologia cristiana.

Voglia intanto gradire i miei più sentiti saluti e ringraziamenti.

Luigi Fiorani

Viale Etiopia, 4

Luigi Fiorani

GLI «STUDI ROMANI» E L’ANTICHITÀ CRISTIANA 99 X
ROMA
XI
ROMA
ROMA

XII

23.VI.1964 Dott. Luigi Fiorani

Viale Etiopia, 4

ROMA

Gentile Dottore, mi permetto rammentarLe la sua gentile promessa di inviarci la prima rassegna bibliografica di archeologia cristiana entro il 30 giugno. In attesa, Le invio anticipati ringraziamenti e molti ossequi

La Segretaria di Redazione

dott. Fernanda Roscetti

XIII

Dott. Fernanda Roscetti

Istituto di Studi Romani

Piazza Cavalieri di Malta, 2

ROMA

Roma, 12 settembre 1964

Gentile dottoressa, ho ricevuto il fascicolo di Studi Romani con la mia rassegna di antichità cristiane e l’assegno relativo: ne sono molto grato. Vorrei chiederLe, però, se fosse possibile ottenere qualche estratto del mio scritto, eventualmente anche a mie spese. Per quanto riguarda la rassegna desidererei sapere se dovrò preparare una nuova puntata per il prossimo numero o per quello successivo. In ogni caso a quali termini di tempo dovrò attenermi?

Ringraziando nuovamente, porgo i più distinti saluti.

Luigi Fiorani

Viale Etiopia, 4 Roma

MASSIMILIANO GHILARDI 100

16.IX.1964

XIV

Dott. Luigi Fiorani

Viale Etiopia, 4 Roma

Gentile Dottore, Ella riceverà della Sua rassegna alcuni estratti che Le saranno inviati appena pervenuti dalla tipografia, il che, presumibilmente, avverrà entro questa settimana.

Quanto alla prossima puntata della rassegna, Ella dovrebbe consegnarla un po’ prima della fine dell’anno.

Con rinnovati ringraziamenti per la Sua collaborazione e molti ossequi

La Segretaria di Redazione

dott. Fernanda Roscetti XV3

Dott. Fernanda Roscetti

Istituto Studi Romani

Piazza Cavalieri di Malta, 2 ROMA

7 Febbraio 1965

Gentile Dottoressa, eccole la mia rassegna ridotta e completata con alcune righe introduttive, come Lei mi suggerì. La prego gentilmente di volerle apporre all’inizio della rassegna, come fu fatto precedentemente.

Quanto alla porzione del mio scritto sono stato ben felice di averne ridotto il dattiloscritto di sette-otto cartelle: non mi sembra che si potesse ridurlo ulteriormente. Se comunque Lei ritenesse necessari altri tagli può benissimo eseguirli Lei stessa, ove più Le sembrerà opportuno. Voglia scusarmi anche se il dattiloscritto appare piuttosto malconcio per le correzioni e i tagli apportati.

Cercherò nelle prossime rassegne di essere più breve e di attenermi a pubblicazioni più recenti, dal momento che proponendomi di segnalare articoli e studi

3 Istituto Nazionale di Studi Romani, Archivio Storico, Serie «Studi Romani», anni 1965-1966, busta 13.

GLI «STUDI
ROMANI» E L’ANTICHITÀ CRISTIANA 101

monografici – molto più numerosi che le pubblicazioni a carattere generale – mi sarà più facile scegliere tra essi quelli editi più recentemente. Con rinnovati ringraziamenti per l’onore che mi si concede, voglia gradire i migliori saluti.

Luigi Fiorani

Viale Etiopia, 4 / 835.666

ROMA

XVI4

15.II.1971

Illustre Professore, mi rivolgo a Lei per una cortesia.

Poiché il prof. Fiorani ha, diciamo così, “tradito” le antichità cristiane per il Settecento, non potrà più redigere la consueta rassegna di libri dedicata al suo “primo amore”.

Può Ella indicarmi il nome di un giovane studioso che possa sostituirlo?

In attesa di un Suo cortese riscontro, La ringrazio anticipatamente e Le invio i migliori ossequi

dott. Fernanda Roscetti

P.S. – Con l’occasione Le rammento, anche a nome del prof. Brezzi, che “Studi Romani” sarà sempre lieta di pubblicare un Suo articolo.

4 Lettere XVI-XX: Istituto Nazionale di Studi Romani, Archivio Storico, Serie «Studi Romani», anno 1971, busta 18.

102
MASSIMILIANO GHILARDI
Prof. Pasquale Testini Piazza di villa Carpegna, 42/b 00165 – Roma

XVII

Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, 26.2.1971

Dr.ssa Fernanda Roscetti

Istituto di Studi Romani

Piazza dei Cavalieri di Malta, 2 00153 – Roma

Gent.ma Sig.ra Roscetti, mi perdoni del ritardo con cui Le rispondo, ma la colpa è di … S. Ippolito e della relazione da dare alla Pont. Accademia di Archeologia.

Credo che a sostituire con piena fiducia Fiorani possa indicarsi la Sig.ra Dr.ssa Letizia Pani Ermini, mia assistente volontaria, che sta lavorando al corpus delle sculture alto-medievali di Roma e ha già scritto di cose romane. Si può scrivere al seguente indirizzo:

Via Cremuzio Cordo, 37 00136 – Roma

Quanto alla mia collaborazione a «Studi Romani», nessuno più di me sarebbe felice, ma fino a tutto marzo, non mi è possibile. Vedrò in seguito e spero di non mancare di nuovo alla parola.

Tanti buoni saluti dal suo

4.III.1971

XVIII

Via Cremuzio Cordo, 37 00136 ROMA

Gentile Signora, su segnalazione del prof Testini, siamo lieti di invitarLa a collaborare a «Studi Romani».

Ella dovrebbe assumersi l’incarico di redigere l’annuale rassegna dei recenti volumi di antichità cristiane.

Alla presente alleghiamo l’elenco dei volumi che dovrebbero essere recensiti, insieme naturalmente agli altri pure recentemente pubblicati ma non pervenuti all’Istituto, che forse non Le sarà difficile reperire in Biblioteca.

Perché Ella possa rendersi conto delle caratteristiche della nostra rivista e in particolare delle rassegne, Le inviamo un fascicolo di «Studi Romani».

GLI «STUDI ROMANI» E L’ANTICHITÀ CRISTIANA 103
Dott. Letizia Pani Ermini

In attesa di un Suo cortese riscontro, La ringraziamo vivamente e Le inviamo i migliori saluti

Il Redattore Capo

dott. Fernanda Roscetti

4.III.1971

Prof. Pasquale Testini

Piazza di villa Carpegna, 42 00165 ROMA

Illustre Professore, grazie vivissime per la Sua segnalazione.

In attesa di avere, appena possibile, un Suo contributo per la nostra rivista, Le invio cordiali ossequi

Fernanda Roscetti

Roma, 9 marzo 1971

Gentile dottoressa, sarò ben lieta di collaborare a “Studi Romani” con la rassegna di recenti volumi di antichità cristiane.

Le telefonerò nei prossimi giorni per maggiori chiarimenti, soprattutto riguardo i tempi di consegna del manoscritto.

In attesa di fare la sua conoscenza la prego di gradire i miei più vivi ringraziamenti. Cordialmente

Sua Letizia Pani Ermini

MASSIMILIANO GHILARDI 104
XIX
XX

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

1. Lettera di Luigi Fiorani al prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana Raffaele Farina, 27 novembre 2000. Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013 2. Gerolamo Siciolante da Sermoneta, Incoronazione della Vergine (Sermoneta, Museo Diocesano). 3. Prospero Fontana, San Giovanni Battista nel deserto (Roma, Palazzo Caetani). 4. Giovanni Battista della Porta, Busto di Onorato IV Caetani, capitano delle truppe pontificie a Lepanto (Roma, Palazzo Caetani).

5. Copertina del volume Palazzo Caetani, storia arte e cultura

6a. Ritratto di Michelangelo Caetani da La materia della Divina Commedia…, 1855.

6b. Falsa iscrizione di Cucufinus incisa da Michelangelo Caetani (Castello di Sermoneta).

7. Taccuino di disegni di Michelangelo Caetani (Roma, Fondazione Camillo Caetani). In basso a destra disegno dell’elsa della spada di Vittorio Emanuele II. 8. Michelangelo Caetani, illustrazioni per la Divina Commedia 9. Michelangelo Caetani, illustrazioni per la Divina Commedia

10a. Gelasio Caetani. La schiava (AC, fondo fotografico 1377/1378).

10b. La testa dell’Afrodite Caetani nella biblioteca di Ersilia (AC, fondo fotografico).

11. Roffredo Caetani in età giovanile vicino all’Afrodite Caetani (AC, fondo fotografico 242/243).

12b.

12c. Pompeo G. Batoni, Ritratto dell’abate Caetani, olio su tela, 1782 (Roma, Palazzo Caetani).

12d. Angelika Kauffman, Ritratto dell’abate Onorato Caetani, 1783-1784 (Roma, Palazzo Caetani).

12a. Pompeo G. Batoni, Carlotta Ondedei nelle vesti di Diana, 1752 (Roma, Palazzo Caetani). Anton Raphael Mengs, L’ abate Onorato Caetani, olio su tavola, 1779 (Roma, Palazzo Caetani).
a b
c d

13a. Filippo Caetani, Autoritratto caricaturale. Matita e acquerello su carta, cm 20×13 (Roma, A. C.)

13b. Filippo Caetani, Caricatura di Stendhal [?]. Matita e acquerello su cartoncino, cm 24,3×15 (Roma, A. C.)

13c. Filippo Caetani, Ritratto della contessa Giulia Cini. Matita e acquerello su carta, cm 20×13 (Roma, A. C.)

13d. Filippo Caetani, Caricatura del barone Carlo Ancajani. Matita e acquerello su cartoncino, cm 10×6 (Roma, A. C.)

a b c d

14a. Filippo Caetani, Caricatura di Fra’ Carlo Candida. Matita e acquerello su cartoncino, cm 24×18 (Roma, A. C.)

14b. Filippo Caetani, Caricatura del principe Clemente Rospigliosi. Acquerello su cartoncino, cm 28×21 (Roma, A. C.)

14c. Filippo Caetani, Caricatura del principe Alessandro Torlonia. Matita e acquerello su cartoncino, cm 13×7 (Roma, A. C.)

14d. Filippo Caetani, Caricatura del duca Carlo Colonna. Matita e acquerello su cartoncino, cm 28×21 (Roma, A. C.)

a b c d

15a. Filippo Caetani, Louise Vernet e Kritzkoff. Scena caricaturale, Matita e acquerello su carta, cm 22,7×27 (Roma, A. C.)

15b. Filippo Caetani, La principessa Del Drago e il conte de Sainte-Aulaire. Scena caricaturale. Matita, china e acquerello su carta, riquadrato a penna, cm 12×16 (Roma, A. C.)

3.XII.1996

Illustre professor

Luigi Fiorani

Via Panaro, 17 00199 Roma

Illustre professore, sono lieto di parteciparLe che l’Assemblea dell’Istituto Nazionale di Studi Romani, riunitasi in data 25 novembre u.s., ha eletto la S.V. a Membro Corrispondente.

Fiducioso della Sua accettazione della nomina, esprimo anche la speranza che Ella vorrà recare il prezioso fattivo contributo del Suo consiglio e della sua collaborazione alle attività scientifiche e culturali dell’Istituto.

Voglia gradire i miei più cordiali saluti

prof. Mario Petrucciani

XXII

Roma, 23 dicembre 1996

Gentile Professore, ricevo il suo annuncio della mia elezione a socio corrispondente, e la ringrazio della comunicazione. Devo dire che tutto “l’affare” ha camminato, almeno per lungo tratto, nella discrezione più assoluta, e ne sono venuto a qualche parziale conoscenza solo a cose fatte. Poiché non avevo mai pensato a promozioni o a candidature di nessun genere la cosa mi ha piuttosto sorpreso. Non parlerò di “latte versato”, e ormai senza rimedio. Dirò soltanto che sono grato della stima che mi è stata manifestata, a cui cercherò di dare qualche concreto riscontro all’interno dell’Istituto di Studi romani; istituto che ho amato e amo, come amo tutto ciò che opera per dare a questa “scassata” città un minimo di dignità e di consapevolezza delle sue radici storiche. Dunque, eccomi a disposizione. Con gli auguri a lei e agli amici dell’Istituto, suo

5 Per le lettere XXI-XXIV: Istituto Nazionale di Studi Romani, Ufficio Segreteria, Cartella “Luigi Fiorani”.

GLI «STUDI ROMANI» E L’ANTICHITÀ CRISTIANA 105
XXI 5

XXIII

30.XI.2000 Dott. Luigi Fiorani

Via

Gentile Dottore, sono lieto di parteciparLe che l’Assemblea dei Membri dell’Istituto Nazionale di Studi Romani, riunitasi in data 24 novembre u.s. , ha eletto S.V. a Membro Ordinario.

Fiducioso della sua accettazione della nomina, che La prego di volermi comunicare per iscritto, esprimo la speranza che Ella vorrà recare il prezioso fattivo contributo del Suo consiglio e della Sua collaborazione alle attività scientifiche e culturali dell’Istituto.

Voglia gradire i miei più cordiali saluti e rallegramenti

XXIV

Roma, 27 dicembre 2000

Gentile Presidente, ho ricevuto da tempo la Sua comunicazione, nella quale mi trasmette la nomina a membro ordinario dell’Istituto di Studi Romani.

Il ritardo, di cui mi scuso, nel dare riscontro alla Sua lettera, non mi impedisce di esprimere la gratitudine a chi ha presentato la mia candidatura, e all’Assemblea dei soci che ha ritenuto di approvarla. Accetto dunque di entrare a far parte dell’Istituto, con vero piacere, e nello spirito di recare un contributo non solo all’Istituto, ma alla storia di Roma, alla storia religiosa di Roma, da sempre al centro dei miei interessi di studio.

Rivolgo dunque all’Istituto, e a Lei che degnamente lo presiede, un cordiale augurio di buon lavoro nell’anno che sta per cominciare.

Con i più cordiali saluti, Luigi Fiorani

MASSIMILIANO GHILARDI 106

LE CONFRATERNITE ROMANE NEL MEDIOEVO

Desidero prima di tutto ringraziare gli organizzatori di questo incontro in ricordo di Luigi Fiorani per avermi invitato a trattare un argomento che mi sta molto a cuore, quello delle confraternite, e a dare contemporaneamente la mia testimonianza sulla attività di una persona che è stata – per molti anni della mia vita – un punto di riferimento culturale, oltre che un amico, a cui mi aveva ‘ufficialmente’ presentato un altro caro amico oggi scomparso, padre Jean Coste. Con Luigi Fiorani, tra gli anni ’80 e ’90, ho condiviso non solo la passione per la ricerca, ma anche le diverse iniziative scientifiche della Fondazione Caetani1, oltre ai caffè ‘chiacchierati’ nel bar della Biblioteca Vaticana, una pausa che era anche un momento di scambio di idee e riflessioni, molte delle quali vertevano proprio sui sodalizi romani.

Luigi Fiorani, infatti, pur non essendo un medievista ma uno storico dell’età moderna, aveva sempre considerato fondamentale seguire il fenomeno confraternale dalle sue origini fino all’età post-tridentina ed oltre, proprio per valutarne le trasformazioni e le persistenze soprattutto a livello della carità e della religiosità, temi che gli erano cari e su cui ha scritto pagine molto importanti. Quindi nel mio breve intervento mi limiterò a segnalare il contributo e l’impulso che Luigi ha dato agli studi in questo campo anche per quanto riguarda il periodo medievale, con l’ideazione di quello che – a quanto mi risulta – rimane l’unico convegno organizzato nella nostra città in tema di pie confraternite laicali, ad eccezione – ma si tratta appunto di un caso particolare – del Colloquio esclusivamente rivolto alle ‘fondazioni nazionali nella Roma pontificale’ svolto nel maggio 1978 su

1 Ninfa: storia, arte e immagine, ambiente. Atti del Convegno (Roma – Sermoneta – Ninfa, 7-9 ottobre 1988), a cura di l. fiorani, Roma 1990; Sermoneta e i Caetani. Dinamiche politiche, sociali e culturali di un territorio tra Medioevo ed età moderna. Atti del Convegno della Fondazione Camillo Caetani, Roma-Sermoneta, 16-19 giugno 1993, a cura di l. fiorani, Roma 1999.

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

anna esposito
Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013

impulso dell’École française de Rome e della Accademia di Francia, i cui Atti furono pubblicati nel 19812.

Nella Premessa al nr. 5 delle «Ricerche per la storia religiosa di Roma», del 1984, che accoglieva gli interventi presentati due anni prima al Colloquio Per la storia delle confraternite romane svoltosi nella sede della Fondazione Camillo Caetani, Luigi Fiorani, che di quel convegno era stato il convinto animatore insieme ad Alberto Monticone, così scriveva con una punta d’orgoglio: «il volume costituisce ora un contributo significativo alla storia del movimento confraternale romano, tanto corposamente presente nella vita della città, quanto ancora da scoprire e da studiare adeguatamente»3, concetto ribadito nel suo denso saggio dal titolo Discussioni e ricerche sulle confraternite romane negli ultimi cento anni, apparso nel 1985 nel numero 6 della sue «Ricerche», saggio – questo – dove veniva presentata, «forse per la prima volta, una lettura globale della lacunosa storiografia sull’argomento», per certi versi una riconsiderazione della passata produzione in materia, un bilancio più meditato degli apporti degli stessi Atti del convegno del 1982 e l’indicazione di nuove piste da percorrere4. Dunque, in Fiorani si può riscontrare sempre piena coscienza sia del lavoro svolto ma anche della lunga strada da percorrere per penetrare più in profondità in un campo così articolato e pieno di sfaccettature come quello confraternale, che – per quanto riguardava Roma – non aveva neppure l’ausilio di un buon background storiografico. «La magra storiografia sulle confraternite romane …» – scriveva Luigi Fiorani – «ha dato luogo a una miriade di piccoli contributi e scandagli eruditi, che si perdono talora in una lettura frammentaria, o, peggio, aneddotica dei fatti»5. E ancora: «lette dagli uni in chiave apologetica e confessionale, affrontate dagli altri sulla scorta di categorie giuridiche e amministrative, sottoposte alla lente d’ingrandimento di contabili scrupolosi ma senza respiro, o convogliate nel folto contenzioso che l’intransigentismo cattolico mette in piedi contro l’avanzare dello stato laico, alle confraternite romane era venuta a mancare la possibilità di una pacata riflessione su se stesse, sulle proprie origini, sui titoli e sul senso della propria esperienza storica»6.

2 Les fondations nationales dans la Rome pontificale. Actes du colloque (Rome, 16-19 mai 1978), Rome 1981.

3 l fiorani, Premessa, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 5 (1984), pp. 9-17: 9.

4 l. fiorani, Discussioni e ricerche sulle confraternite romane negli ultimi cento anni, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 6 (1985), pp. 11-105.

5 fiorani, Premessa, pp. 9-10.

6 fiorani, Discussioni e ricerche, p. 41.

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Ciò valeva particolarmente per le confraternite fondate a Roma in età medievale, che fino alla fine degli anni ’70 non avevano ricevuto un’adeguata attenzione da parte degli studiosi, anche di coloro che si occupavano di storia religiosa, con solo qualche contributo, per lo più rivolto alla pubblicazione di testi statutari o di registri confraternali da parte – essenzialmente – di storici della lingua7, ed eccezion fatta per il repertorio Le confraternite romane nelle loro chiese, purtroppo non privo di errori proprio a causa della ridotta produzione storiografica di riferimento, curato nel lontano 1963 da Matizia Maroni Lumbroso e Antonio Martini8. Solo con la pubblicazione nel 1978 nell’Archivio della Società Romana di Storia Patria del saggio di Paola Pavan sulla Società dei Raccomandati del Salvatore9 si apriva una nuova stagione per la storia delle confraternite romane medievali10, che avrebbe avuto un momento fondamentale proprio con il convegno del 1982.

Come lo stesso Fiorani ricordava in una nota annessa alla già ricordata Premessa, questo Colloquio era stato preceduto da «una lunga serie di incontri e di seminari tenuti da giovani ricercatori e studiosi romani» sulla storia religiosa di Roma, e già nel luglio 1980 – in uno di questi incontri, a cui – insieme ad altri – avevo preso parte anch’io – si cominciò a parlare della necessità di avere un’attenzione più mirata verso lo studio delle confraternite romane, per cercare non solo, e cito, di «diradare la conoscenza approssimativa di quella storia, ma di una metodologia che tenesse conto della sensibilità nuova con cui si guarda oggi ai fenomeni della vita religiosa»11. Si concordò allora di concentrare le ricerche intorno a quattro punti di rife-

7 Cfr. f a ugolini, Contributo allo studio dell’antico romanesco. Un registro della confraternita dell’Annunziata (1457), «Archivum Romanicum», XVI (1932), 1, pp. 21-50; m pelaez, La fraternita di S. Maria delle Grazie e il suo statuto in volgare romanesco, «Archivio della Società Romana di Storia Patria», LXIX (1946), pp. 73-90.

8 m. maroni lumbroso – a. martini, Le confraternite romane nelle loro chiese, Roma 1963.

9 p pavan, Gli statuti della società dei Raccomandati del Salvatore ad Sancta Sanctorum (1331-1496), «Archivio della Società Romana di Storia Patria», CI (1978), pp. 35-96. Nello stesso anno chi scrive iniziava a prendere in esame la documentazione di S. Maria della Consolazione, cfr. a. esposito, Notizie sull’archivio dell’ospedale della Consolazione in Roma, ibidem, pp. 384-396.

10 Al convegno sul tema Le confraternite in Italia tra Medioevo e Rinascimento tenutosi a Vicenza il 3-4 novembre 1979 furono presentate tre relazioni relative a confraternite romane, poi pubbliche negli Atti del convegno nella rivista «Ricerche di storia sociale e religiosa», n.s., IX (1980), 17-18: a esposito, Le confraternite e gli ospedali di S. Maria in Portico, S. Maria delle Grazie e S. Maria della Consolazione a Roma (secc. xV-xVI), pp. 145-172; p. pavan, Un esempio romano: la confraternita dei Raccomandati del Salvatore ad Sancta Sanctorum, pp. 189-194; v. paglia, Contributo allo studio delle confraternite romane dei secoli xV-xVI, pp. 233-286.

11 fiorani, Premessa, p. 17.

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rimento ovvero 1) pietà e vita religiosa; 2) composizione e incidenza sociale; c) economia; d) carità ed assistenza. Si lasciò però fuori il tema della committenza artistica, perché il programma abbozzato e naturalmente pensato sul lungo periodo, sembrava già molto fitto. Nella pubblicazioni degli Atti sarebbero poi stati inseriti anche diversi saggi su questo tema, di Claudio Strinati, di Sergio Rossi, di Antonio Vannugli, e per il ’400 quello di Anna Cavallaro su Antoniazzo Romano e le confraternite romane. Per quanto riguarda il ciclo dei seminari preparatori, dei veri e propri work in progress, uno tra i sette preventivati – dal titolo Le confraternite medievali romane: problemi di ricerca – fu organizzato da tre allora ‘giovani ricercatrici’, ovvero dalla già ricordata Paola Pavan, da Giulia Barone, che da tempo studiava il mondo religioso romano, e da me stessa, che dalla fine degli anni ’70 mi ero occupata delle confraternite ospedaliere di S. Maria in Portico, S. Maria delle Grazie e S. Maria della Consolazione12 e avevo appena iniziato ad intraprendere le ricerche sul sodalizio del Gonfalone, il cui archivio era ancora privo del prezioso inventario pubblicato nel 1990 da mons. Sergio Pagano13. Un altro incontro seminariale relativo al tardo medioevo ebbe come animatrice Silvana Di Mattia Spirito e verteva sull’assistenza e la carità ai poveri da parte delle confraternite romane del Tre-Quattrocento. Gli altri seminari – dedicati all’età moderna – furono coordinati da Vincenzo Paglia, Luigi Cajani, lo stesso Fiorani ed esperti della Sovrintendenza archivistica del Lazio e dell’Archivio di Stato di Roma.

Infatti, parallelamente allo stimolo per gli studi sulle associazioni confraternali, Luigi Fiorani si era reso animatore di un’altra iniziativa meritoria, che consisteva sia nella ricognizione del materiale di queste istituzioni conservato non solo nell’Archivio di Stato di Roma, nell’Archivio Segreto Vaticano e nell’Archivio Storico del Vicariato di Roma, ma soprattutto negli archivi esistenti presso le sedi di sodalizi ancora operativi o collocati in sedi di fortuna, sia nella redazione di un Repertorio degli archivi delle confraternite romane, che costituisce la gran parte del numero 6 delle «Ricerche per la storia religiosa di Roma», repertorio a cui collaborarono sia molti (allora) ‘giovani’ ricercatori della Fondazione Caetani, tra cui mi piace ricordare tra gli altri Sergio Pagano (oggi prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano), Domenico Rocciolo (oggi direttore dell’Archivio Storico del Vicariato di Roma), e Miriam Chiabò dell’Università di Roma Tre, sia funzionari – allora altrettanto giovani – della

12 Cfr. note 9 e 10.

13 s pagano, L’ archivio dell’arciconfraternita del Gonfalone. Cenni storici ed inventario, Città del Vaticano 1990 (Collectanea Archivi Vaticani, 26).

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Sovrintendenza archivistica per il Lazio, come ad esempio Alessandra Mulè e Cristina Carbonetti Vendittelli dell’Università di Roma Tre. Il lavoro di rilevamento e inventariazione delle fonti archivistiche, che era stato immediatamente sentito come una necessità per la ricerca, aveva avuto un’ulteriore motivazione proprio dagli Atti del convegno. «Paradossalmente – scriveva Fiorani – è stato proprio il passaggio storico e il tentativo di veder più chiaro su certi passaggi e su certi nodi delle confraternite romane a sollevare la domanda delle fonti, la questione degli archivi, a mettere in luce la necessità di averne sotto mano un quadro complessivo»14

Dunque, quello del 1982 fu un colloquio scientifico costruito e progettato nei dettagli e punto di arrivo di ricerche su fonti spesso inesplorate, ricerche di prima mano, che erano state programmate e discusse collegialmente nelle loro finalità dai vari ricercatori/poi relatori, con l’obbiettivo di superare il disagio determinato da una storiografia insufficiente e di aprire qualche nuovo varco su di un fenomeno – di cui non ci si nascondeva la vastità e complessità – con una ricerca ed un esame analitico delle fonti disponibili, edite ed inedite.

Per quanto attiene al periodo medievale, l’obbiettivo che muoveva Giulia Barone nel delineare le origini di quella che è considerata la prima confraternita romana, ovvero la società dei Raccomandati della Vergine, testimoniata con sicurezza dal 1267, era quello – cito – di «correggere alcune infondate certezze», a partire dalla fondazione del sodalizio nel 1260 ovvero nell’anno delle grandi processioni flagellanti e all’ispirazione religiosa di Bonaventura da Bagnoregio, allora ministro generale dei Francescani, che ne avrebbe dettato gli statuti. Dall’attenta lettura della documentazione duecentesca, che la Barone definiva «di una scarsità quasi alto-medievale», è stato almeno possibile fissare alcuni punti fermi: già dalla prima metà del XIII secolo vi era stato almeno un tentativo da parte dei laici romani di associarsi per scopi religiosi, tentativo bloccato sul nascere dall’opposizione del clero cittadino, riunito a sua volta in associazione – la Romana Fraternitas – che temeva di perdere le sue prerogative, soprattutto per quanto riguardava le pratiche funerarie. Dopo un silenzio documentario di circa trenta anni emergeva una nuova associazione di laici, di carattere esclusivamente devozionale, dove le strutture religiose tradizionali non sembravano essere ‘scavalcate’ e che escludeva dalle proprie finalità ogni attività pratica e la stessa possibilità di ricevere legati testamentari, per evitare di entrare in conflitto con il clero cittadino. In questo contesto s’inseriscono gli Ordini mendicanti, che

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14
fiorani, Premessa, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 6 (1985), p. 7.

prendono il sodalizio sotto la loro protezione e lo fanno partecipe dei loro benefici spirituali. La documentazione disponibile non consente neppure di mettere in collegamento i Raccomandati della Vergine alle chiese francescane di Roma, ma solo – secondo una tradizione interna peraltro da verificare – indica i primitivi luoghi di riunione nella chiesa di S. Alberto e quindi nella basilica di S. Maria Maggiore, ed esclude in modo sicuro anche l’uso della disciplina da parte del sodalizio mariano nel periodo delle origini15. Anche il mio intervento, intitolato programmaticamente Le confraternite del Gonfalone16, connesso idealmente a quello della Barone, tendeva in primo luogo a sgombrare il campo da «infondate certezze» che si erano andate sedimentando nel corso dei secoli su questo celebre sodalizio mariano, in particolare quella che lo metteva tout court in relazione alla pratica devozionale della flagellazione. La ricostruzione della sua storia, nelle sue linee essenziali ma sicuramente accertate, fu resa possibile attraverso l’esame sistematico della documentazione del fondo del Gonfalone, conservata nell’Archivio Segreto Vaticano, allora priva di inventari di corredo, e di cui ho potuto prendere diretta visione grazie alla generosità dell’allora prefetto dell’Archivio, Martino Giusti, che mi permise di accedere ai magazzini per prendere diretta visione del materiale – naturalmente in compagnia di un gentile custode. Il recupero di pergamene e registri – di cui aggiornavo periodicamente Luigi nei nostri incontri alla Fondazione Caetani – mi diede la possibilità di delineare, seppur per grandi linee, la fisionomia sociodevozionale di ben quattro confraternite di Raccomandati della Vergine esistenti a Roma a metà ’300, di cui una soltanto sicuramente di disciplinati – il sodalizio trasteverino dei XL Martiri –, mentre le altre (S. Lucia vecchia in Parione, l’Annunziata della periferica via Oratoria e la società dei Raccomandati in S. Maria Maggiore) si dedicavano esclusivamente alle tradizionali pratiche funerarie e commemorative e all’opera di carità verso poveri e malati accolti negli ospizi fondati accanto alle chiese loro sedi. La tendenza alla federazione dei piccoli sodalizi, già operante a fine ’300, diviene più forte nel corso del ’400, quando ai primi quattro, si viene ad aggiungere dapprima la confraternita della Maddalena, quindi, dopo il 1486, quella di S. Maria ed Elena in Araceli, entrambe d’ispirazione francescana. A fine secolo erano tutte raggruppate sotto il mantello del Gonfalone e con una ben definita fisionomia caritativa, dedita essenzialmente all’aiuto di poveri e malati, affiancata però da una ‘nuova’ fisionomia devozionale,

15 g. barone , Il movimento francescano e la nascita delle confraternite romane, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 5 (1984), pp. 71-80.

16 a esposito, Le «confraternite» del Gonfalone (secoli x IV-x V), ibidem, pp. 91-136.

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rivolta in modo particolare alle cerimonie liturgiche, alle processioni, alla sacra rappresentazione della passione di Cristo.

Dunque, – così osservava Luigi Fiorani nella citata rassegna storiografica – anche nel Gonfalone prevalse un tipo d’impegno più misurato, più attento al contesto sociale, sul tipo di quello che aveva contraddistinto fin dalle origini la confraternita trecentesca del Salvatore ad Sancta Sanctorum Paola Pavan, nello studio di questo sodalizio, non aveva dovuto fare i conti con una documentazione frammentaria, avendo a disposizione un archivio ben ordinato e fin troppo ricco, conservato nell’Archivio di Stato di Roma, che le aveva dato modo, nel saggio del 1978 prima ricordato, di ricostruire attraverso i suoi statuti, le linee essenziali della sua evoluzione dal primo ’300 alla fine del ’400. In occasione del convegno, partendo dai risultati raggiunti, aveva invece puntato l’attenzione sulla fisionomia sociale degli iscritti, tra cui vi erano i personaggi più in vista del mondo imprenditoriale romano, sulla pratica degli anniversari che veniva giustamente connessa al tema tutto laico della memoria, sulla gestione degli ospedali, in cui si manifestavano le capacità manageriali dei Raccomandati del Salvatore, esponenti di una classe, ormai, nel ’400, di fatto esautorata dal potere politico, che era in mano al pontefice, e in via di emarginazione da quello economico, in mano ai mercanti-banchieri forestieri17.

Il sottile trapasso di mentalità tra ’400 e ’500 veniva mostrato anche da Silvana Di Mattia Spirito attraverso l’analisi dei testi statutari, alcuni dei quali inediti, di diverse confraternite, in particolare quelle ‘nazionali’ – dei fiorentini e dei genovesi in primo luogo – con lo scopo di evidenziare il modo di considerare la figura del povero e la povertà (e quindi i mezzi che avevano i confratelli per alleviarla) e i suoi cambiamenti nel tempo18, tema questo che costituiva da sempre uno tra gli interessi più sentiti di Luigi Fiorani.

Ma Luigi aveva anche un’altra esigenza da soddisfare: quella di «situare il discorso delle confraternite romane nel quadro della storiografia religiosa più recente, e richiamare la necessità di mettere alla prova, sul tessuto romano, metodologie e ipotesi di lavoro già altrove efficacemente applicati»19. Assolveva a questo compito la ‘Tavola rotonda’ introduttiva, che troviamo in apertura del volume degli Atti, ma che nel 1982 era stata collocata in chiusura del convegno. Vi parteciparono studiosi di primo piano della

17 p pavan, La confraternita del Salvatore nella società romana del Tre-Quattrocento, ibidem, pp. 81-90.

18 s. di mattia spirito, Assistenza e carità ai poveri in alcuni statuti di confraternite nei secoli x V-x VI, ibidem, pp. 137-154.

19 fiorani, Premessa, ibidem, p. 10.

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storia religiosa: Alberto Monticone, Gabriele de Rosa, Giuseppe Alberigo, Giuseppina De Sandre, Charles de la Roncière, Giovanni Vitolo, che intervennero in modo sintetico ma estremamente puntuale sulle principali problematiche connesse alla storia dell’associazionismo devozionale e sulle singole situazioni prese in esame 20 .

In conclusione, il convegno del 1982, e il volume che ne è derivato, così intensamente voluto da Luigi Fiorani, costituisce ancora oggi un punto di riferimento obbligato non solo per gli studiosi delle confraternite ma più in generale per tutti coloro che si occupano dei fenomeni legati alla vita religiosa nella Roma del Medioevo e dell’Età moderna. Perciò, non è solo per onorare un amico scomparso, ma anche per rendere omaggio ad uno studioso che tanto impegno ha profuso per il rilancio di questo settore di studi, che Giulia Barone ed io stessa, insieme ai relatori e al comitato di redazione dell’Archivio della Società Romana di Storia Patria, nel licenziare gli Atti del seminario Roma religiosa, tenutosi alla Sapienza il 12 maggio 2008, atti pubblicati nel numero 132 della predetta rivista, abbiamo voluto dedicare questa raccolta alla sua cara memoria.

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20 Per gli interventi alla Tavola rotonda cfr. ibidem, pp. 19-70.

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Si può senza dubbio affermare che il tema della Chiesa di Roma nell’età della Controriforma all’interno dell’opera di Luigi Fiorani si presenta come materia di notevole complessità, sia in sé, sia per il fatto che, all’interno dell’ampia e multiforme produzione dell’autore, numerosi saggi ruotano proprio attorno a questo punto focale. Con diverse sfaccettature, è nucleo portante di un’attività condotta con straordinaria operosità; sono argomenti sui quali Fiorani ha dato un contributo importantissimo, soffermandosi con competenza e incisività su moltissimi argomenti.

Una prima indispensabile considerazione riguarda precisamente la capacità dimostrata da Fiorani nel cogliere la realtà nelle sue molteplici sfaccettature. Strutture ecclesiastiche e pratica religiosa, vita istituzionale e vita di pietà, cultura alta e idee popolari: sono tutti argomenti trattati in profondità e senza contrapposizioni schematiche. Seguendo a ritroso le trame della storia, l’autore opera per rintracciarvi quegli elementi che, ricomposti in un quadro organico a partire dalle indagini specifiche, consentono di ricostruire vicende e sensibilità del passato. La riflessione storica non è peraltro disgiunta dalla coscienza del presente: lo storico guida dunque sino alla più ampia percezione di una coscienza collettiva i cui segni e i cui mutamenti portano a considerazioni sull’oggi. Ricordo un’affermazione di Maria Zambrano: andare alla scoperta del nostro passato per noi non è altro che scoprire ciò che di esso ci risulta irrinunciabile. Mi sembra che meriti un particolare apprezzamento, nell’opera di Fiorani, la straordinaria sensibilità che lega l’indagine storica più accurata, l’acribia nella ricerca delle fonti e l’intelligenza nella loro interpretazione, alla riflessione da parte dell’uomo e della comunità di oggi, che vuole «ritrovare il bandolo della propria matassa e della propria originalità storica»1

1 Storia religiosa di Roma. Note intorno a recenti esperienze di ricerca, in Ricerca storica e Chiesa locale in Italia. Risultati e prospettive, Roma, Edizioni Dehoniane, 1995, pp. 225-258:

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

paola vismara
Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013

Mi soffermo ora rapidamente sul periodo oggetto della presente indagine. Attualmente molti storici tendono a respingere il termine ‘Controriforma’ e a sostituirlo con altre formule; peraltro, nella sua valenza neutra, esso ha un ampio campo di utilizzo e indica, per generale riconoscimento, qualcosa che va ben al di là della fase più specifica di opposizione alla Riforma. Caratteristica basilare di una storiografia degna di questo nome è quella di non lasciarsi invischiare nelle polemiche che hanno creato una contrapposizione, a lungo perdurante, tra cultura clericale e laica, o, per dirla con Giovanni Pozzi, tra «tristizie dell’Arcadia devota e pregiudizi dell’Accademia indevota»2. Oggi forse persistono più i secondi che le prime, ma certo la questione non è ancora definitivamente risolta.

Il proposito di Fiorani, secondo le sue stesse parole, è stato quello di uscire dal «cerchio di letture univoche o parziali dei fenomeni storici»3. Alla base della visione organica e serena da lui elaborata vi è innanzitutto la coscienza che gli storici fossero chiamati a superare quelle angustie, a guardare alla realtà nella sua complessità proteiforme. Per la storia ecclesiastica e religiosa, ciò significava allargare gli orizzonti per cogliere l’ampiezza e il significato dei fenomeni, senza per questo disprezzare il ‘frammento storico’, anzi ponendo una cura particolarissima nella ricerca delle fonti ad esso relative e nella sua ricostruzione. Così egli stesso si esprimeva vent’anni orsono:

Il crescere di una visione di chiesa più aperta alla dimensione storica (...), da un lato; dall’altro il diffondersi delle diverse forme di conoscenza indotte dalle nouvelles histoires ci hanno progressivamente allontanato dai metodi e dalle mentalità di una vecchia storia locale, ma contemporaneamente hanno riproposto la fecondità e la necessità di una riconsiderazione del frammento storico, purché, beninteso, l’approccio si lasci guidare da una metodologia e da una ermeneutica rinnovate 4 .

Si può dire, seguendo il titolo di un’opera di von Balthasar, che Fiorani ha saputo cogliere Das Ganze im Fragment. Proprio attraverso le indagini finissime su argomenti circoscritti egli ha potuto fornire agli storici materiale prezioso per una comprensione d’insieme.

226. Tutte le citazioni bibliografiche, salvo diversa indicazione, fanno riferimento alle opere di Luigi Fiorani.

2 g pozzi, L’ alfabeto delle sante, ora in id , Alternatim, Milano, Adelphi, 1996, pp. 289-313: 294-295. Con diverse parole il concetto è presente più volte negli scritti di Fiorani. A mero titolo di esempio, Storia religiosa di Roma. Note intorno a recenti esperienze di ricerca, pp. 251, 258: «leggere le cose al di là dei muri, delle ideologie e delle separatezze inconcludenti».

3 Ibidem, p. 249.

4 Ibidem, pp. 229-230.

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PAOLA

L’ espressione ‘Chiesa di Roma’, data la specificità di tale sede, può essere intesa in riferimento alla Chiesa locale oppure alla Chiesa universale. Se Luigi Fiorani si è concentrato essenzialmente nei suoi lavori sul primo aspetto, il suo sguardo tuttavia è, come si usa dire oggi con termine inelegante ma efficace, ‘glocale’. Egli stesso ha rilevato le difficoltà che sovente la storiografia ha incontrato nel voler considerare gli intrecci tra «grande storia» e «piccola storia locale»: al rischio dell’eccessiva concentrazione sulle minuzie slegate dai contesti si è talora sostituita – soprattutto per l’età contemporanea – la tendenza a distrarre la ricerca dall’osservazione diretta e ravvicinata della realtà specifica, da interrogare invece «nelle sue espressioni sociali e civili e soprattutto nei moti spontanei e segreti della sua religiosità»5.

Religione, pubblica e privata, e ‘confessionalizzazione’ della vita sociale vengono a costituire la «grande intelaiatura che tiene assieme i dinamismi complessivi della città, che suscita e disciplina una cultura e una mentalità, che governa i comportamenti»6: attorno a questa considerazione ruotano poi con grande incisività le diverse ricerche. Vari fenomeni religiosi presi in esame nella Roma dei papi, una Roma dalla «composita identità»7, sono quelli caratteristici dell’epoca anche a livello generale. Non si tratta tra l’altro di una sede alla stregua di altre, ma di una sorta di laboratorio e di modello, a sua volta influenzato peraltro dall’esterno. Gli studi di Fiorani vertono soprattutto su aspetti della realtà ecclesiastico-religiosa del centro del mondo cattolico e della sua diocesi e al tempo stesso rimandano a linee portanti della storia della Chiesa moderna: capacità che è il segno di un’autentica vocazione storica. L’ autore ben sottolinea il ruolo della città e della diocesi all’interno della Chiesa: «in qualche modo si proiettano sulla realtà e sui destini dell’urbe i compiti nuovi che la Chiesa tridentina sente di dover assumere per rispondere ai mutati orientamenti della società moderna, oltre che a un intimo disegno di ripresa sul piano più strettamente religioso»8.

Ciò che maggiormente distingueva la diocesi di Roma dalle altre diocesi era la peculiarità somma della coincidenza tra vescovo, pontefice e sovra-

5 Discussioni e ricerche sulle confraternite romane negli ultimi cento anni, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 6 (1985), pp. 11-105: 11-12. L’ autore si concentra poi sulla specifica situazione di Roma nel passaggio dallo Stato pontificio allo Stato unitario: un caso, significativo anche se non certo l’unico, in cui l’attualità politica di certi temi ha condizionato negativamente la storiografia.

6 Storia religiosa di Roma, p. 235.

7 Ibidem, p. 233.

8 Verso la nuova città. Conversione e conversionismo a Roma nel Cinque-Seicento, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 10 (1998), pp. 91-186: 93.

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no, che comportava una forte prevalenza delle strutture curiali rispetto al Vicariato. Ne è testimonianza la mancata convocazione di sinodi, con l’eccezione del sinodo romano del 1725, inteso da Fiorani quale momento di snodo importante nella storia della Chiesa del tempo, «uno dei tentativi riformistici più originali che Roma seppe suscitare nel primo Settecento»9. Pur con scarsi effetti sulla diocesi di Roma e sulla Chiesa, esso venne a costituire il coagulo di spinte che avevano percorso l’ultimo Seicento e il primo Settecento, soprattutto sul piano della pastoralità. Il volume dedicato all’argomento è un autentico caposaldo per la comprensione di una serie di problemi, dalla discussa figura di papa Orsini agli esiti, nella breve e nella lunga durata, di certi orientamenti e provvedimenti. Ciò anche al di fuori dell’orizzonte della pastorale: l’infuocato dibattito di quegli anni intorno al modo di concepire la Unigenitus (una regola di fede o no?) trovava ulteriori motivi nelle discussioni sinodali sull’argomento, che oltre a tutto sembravano esulare dai compiti di un’assemblea come quella10

In ultima analisi, il sinodo romano del 1725 è inteso come un punto di arrivo e al tempo stesso un punto di partenza, quasi una cesura tra due mondi, quello di una lunga ‘Controriforma’ e quello del vero e proprio Settecento religioso11. Nella fase che, in modo molto discutibile e discusso, Hazard ha definito «crisi della coscienza europea», sul piano religioso Fiorani individua uno snodo fondamentale: tra il 1680 e i primissimi decenni del Settecento la fase del barocco si chiude – seppur non in modo brusco e definitivo – e si aprono nuovi scenari, ivi compreso quel progressivo cedimento del rigorismo nell’ambito romano che avrà conseguenze di rilievo.

Oltre alla scarsa sinodalità, altro elemento peculiare nella storia ecclesiastica di Roma era a quell’epoca l’utilizzo ricorrente delle visite apostoliche12; per certi versi richiamano, più che le visite pastorali post-tridentine, quelle pre-tridentine, dotate di una forte componente giuridica, quasi «sopralluogo meramente amministrativo e burocratico»13. Non bisogna tuttavia fermarsi all’apparenza. Un’attenta lettura ne svela un volto particolarissimo: esse sono

9 Il concilio romano del 1725, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura – Istituto per le ricerche di storia sociale e di storia religiosa, 1978.

10 Vd. il cap. IV, L’ Unigenitus e il concilio, pp. 193-217.

11 Fiorani ritiene che gli anni, peraltro cruciali, dall’inizio del Settecento sino al 1730 circa siano «per quanto riguarda il clima religioso, ancora pienamente secenteschi» (Roma, in Dizionario degli Istituti di Perfezione, VII, Roma, Edizioni Paoline, 1984, coll. 1895-1990: 1949).

12 Le visite apostoliche del Cinque-Seicento e la società religiosa romana, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», IV (1980), pp. 53-148.

13 Ibidem, p. 84.

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interpretate da Fiorani come parte costitutiva di quella «nuova dinamica che si è venuta a stabilire tra la Chiesa uscita rinvigorita dal Tridentino e la città», una sorta di «specchio fedele di come il Tridentino allarga le sue maglie su un tessuto sociale e culturale (...) e di come all’interno di questo tessuto riesce a far camminare la sua proposta religiosa, i suoi modelli ufficiali»14. L’ azione svolta attraverso le visite è il segnale della volontà – influenzata tra l’altro dall’attiva presenza romana di Carlo Borromeo e da personaggi come Antonio Seneca15 – di riordinare la Chiesa locale sul piano delle strutture e di aprirsi maggiormente ai problemi della società religiosa.

Dopo il Concilio, il centro della cristianità andava proponendo con chiarezza una propria valenza esemplare16. Fiorani lo documenta attraverso

l’attenta analisi di scritti di varia natura, molti dei quali pubblicati a Roma. Essi sono incentrati sulla figura del vescovo e sulle sue responsabilità – in primis la visita. Nella trama delle visite, in frammenti apparentemente disparati o burocratici, Fiorani individua con grande finezza le tracce di sfondi teologici ed ecclesiologici. Così, la cura posta nell’architettura e nell’arredo degli edifici sacri rimanda alla volontà di proporre una Chiesa visibile, non solo spirituale o carismatica. Di fatto, il tema della visibilità percorre tutta l’età moderna, sino al tardo Settecento e alla fiera opposizione romana (si pensi alla Auctorem Fidei) contro chi propugnava una diversa ecclesiologia, negando o sottovalutando questi elementi.

La parrocchia, struttura ormai ben consolidata dal tardo medioevo, assunse nell’età moderna un ruolo nuovo. Centro importante della vita ecclesiastica, veniva sempre più ad essere un riferimento civile e sociale, in stretto contatto con la realtà locale; proprio la parrocchia era chiamata a svolgere un’attività spesso intensa su vari piani, ivi compreso quello caritativo. Nel corso del Seicento essa rivestiva una fisionomia e un peso specifico particolarissimi, destinati a incidere profondamente sulle età successive17.

Tuttavia, si tratta di un’istituzione cresciuta disordinatamente, come si può agevolmente constatare proprio nel caso di Roma. Qui la parrocchia aveva dimensioni perlopiù di modesta consistenza (300-400 anime in media, 3000 come punta massima) e sotto vari profili presentava caratteri

14 Ibidem, p. 61.

15 Ibidem, passim, per es. pp. 117 e 66 sgg.

16 Per molti aspetti Roma non subì, ma talora addirittura precorse il Tridentino; tuttavia il moto di centralizzazione si realizzò nella fase successiva al concilio.

17 Il parroco, se cosciente del proprio ruolo, tentava di imporre alcune linee direttive, attraverso la convinzione e attraverso la coercizione: insegnare il catechismo e controllare il rispetto del precetto della comunione pasquale ne sono due elementi indicativi.

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di fragilità, anche a causa della non sempre coerente preparazione e azione del clero18. L’ analisi degli sviluppi nel corso del tempo (soprattutto nel cruciale passaggio dalla prima applicazione del Tridentino alla situazione del Seicento inoltrato19) evidenzia qualche importante mutamento, cui non risultò certo estranea la migliore formazione dei sacerdoti, uno dei punti cruciali nell’età moderna, nella teoria come nella prassi.

«Dall’incontro della teologia e della canonistica tridentina sull’ordine sacro con la spiritualità della Compagnia di Gesù si sono poste le basi per quel modello di ‘prete romano’, il cui ideale ha perdurato nel tempo fino ai nostri giorni»20. A questa figura Fiorani ha dedicato un saggio fondamentale, dal significativo titolo Identità e crisi del prete romano tra Sei e Settecento.

In esso, all’interno di un quadro ecclesiastico ben definito e di un contesto cronologico di ampio respiro, le riflessioni sui riferimenti teologici e sulla sensibilità religiosa si confrontano e si armonizzano con i dati relativi all’economia e ai problemi della vita quotidiana, nonché con l’attenta considerazione delle dinamiche culturali e formative. Ne emerge la variegata tipologia del clero, tra quanti ad esempio si ponevano alla disperata ricerca di protezioni e benefici 21 e coloro invece che si preoccupavano della formazione religiosa dei propri fedeli, della loro frequenza ai sacramenti, delle difficoltà della loro vita quotidiana, persino a livello economico22. A partire dalla figura del parroco la dimensione pastorale, costitutiva, si estendeva a tutti gli aspetti della vita della parrocchia, alle necessità delle anime e dei corpi.

Non diversa funzione, per certi versi, esplicavano le confraternite, momenti di aggregazione la cui analisi permette di ricostruire alcune dinamiche della vita religiosa e sociale. Fiorani rileva con puntuale cura gli elementi di continuità e discontinuità rispetto all’età medievale. Nell’asserire che l’associazionismo devoto in epoca moderna è complessivamente più controllato, opportunamente fa notare come ciò non significhi uniformità o stabilità nel tempo. L’ occhio dello storico è attentissimo a individuare sia il permanere e il tenace sopravvivere di queste forme associative, sia la mutabilità delle esigenze e delle istanze che stanno alla loro base e che ne

18 Le visite apostoliche del Cinque-Seicento, pp. 97 sgg.; sull’irrazionale distribuzione della popolazione tra le parrocchie ibidem, pp. 130 sgg.

19 Vd. anche ibidem, p. 139 sg.

20 Roma, in Dizionario degli Istituti di Perfezione, VII, col. 1942 e Storia religiosa di Roma, pp. 251-252; cfr. più ampiamente: Identità e crisi del prete romano tra Sei e Settecento, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 7 (1988), pp. 135-212, passim.

21 Ibidem, p. 181.

22 Ibidem, p. 159 e passim.

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condizionano forme e sviluppi, tra «duttilità e irrequietezza spirituale»23. La straordinaria ricchezza del patrimonio archivistico romano in proposito, nonostante le inevitabili perdite nel corso del tempo, ha dato luogo a indagini di scavo per restituirne l’ampiezza e la specifica fisionomia: un lavoro collettivo che è sfociato in un numero monografico delle «Ricerche per la storia religiosa di Roma» nel 1985.

Nell’organizzazione complessiva di questi sodalizi, assai ben strutturati, oggetto e finalità principali sono indicati nel sostegno spirituale tra confratelli, nella risposta ad aspirazioni devote e inclinazioni di pietà. L’ attenzione degli studiosi si è sovente concentrata su fenomeni più macroscopici, particolarmente sulle organizzazioni festive, sulla partecipazione alle processioni urbane e via dicendo. Un ‘effimero’ coinvolgente, che rimanda ad un tempo all’aspetto spirituale e a quello della partecipazione alla vita cittadina, si esprimeva nelle processioni, nei riti collettivi, negli apparati, nelle azioni sceniche.

È da rilevare il legame stretto che nei sodalizi si stabilisce tra l’istanza devota che sta alla base del radunarsi e la necessità di non creare una pietà astratta e disincarnata, intimistica e penitenziale: carità e pietà sono dunque due facce di una stessa medaglia. La riforma interiore e il mutamento della persona erano accompagnati e sostenuti dall’agire caritativo24. Le radici derivanti dalla devotio moderna si innestavano su un impianto teologico caratteristico della Chiesa di Roma: fede ed opere, sentimento religiosodevoto e operante carità non possono essere in alcun modo disgiunti.

I confratelli, uniti sulla base di istanze religiose, si consideravano, con «sottile orgoglio», «espressione della sollecitudine della Chiesa» verso i poveri, soprattutto quando la situazione di costoro, per la modesta entità, non provocava risposte generali e politiche (come nel caso di guerre, carestie, pestilenze), ma richiedeva piuttosto interventi tanto urgenti quanto specifici, che in qualche caso potevano essere individuati e ottenere risposta solo attraverso vasti coinvolgimenti 25 .

L’ attenzione sociale non riguardava solo i sodali e il loro reciproco assistersi, ma anche quella consistente fascia di poveri cui molte confraternite prestavano assistenza, seppur talora in contrasto con i loro pastori, per una conclamata volontà di autonomia e auto-organizzazione Luigi Fiorani pone

23 “Charità et pietate”. Confraternite e gruppi devoti nella città rinascimentale e barocca, in Storia d’Italia. Annali, 16, Roma, la città del papa. Vita civile e religiosa dal giubileo di Bonifacio VIII al giubileo di papa Wojtył a, a cura di l. fiorani – a. prosperi, Torino, Einaudi, 2000, pp. 429-476: 431.

24 Si veda in particolare il caso dell’Oratorio del Divino Amore, ibidem, pp. 443-446.

25 Ibidem, p. 438.

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l’accento su problematiche che si legano al volto urbanistico della città, agli andamenti della proprietà immobiliare, alla richiesta di protezione –attraverso l’associarsi – contro le difficoltà e i malesseri dell’ordinaria vita quotidiana e le loro emergenze straordinarie. Tutto questo si rivolgeva anche all’esterno del piccolo gruppo consociato, attento a quel pauperismo strutturale che provocava vivaci dibattiti, come pure alle questioni più minute e specifiche, che l’essere inseriti nel medesimo tessuto, nel medesimo quartiere, consentiva di cogliere con grande prontezza e di affrontare talora con ampiezza d’orizzonte, talora con risultati modesti e precari, dettati da una certa approssimazione 26. Tra le risposte ad emergenze eccezionali pur nel loro ripetersi si può menzionare l’attività di riscatto, svolta da un sodalizio nato alla fine del Cinquecento a favore di quanti erano caduti nelle mani dei ‘turchi’. Se spesso l’analisi storiografica di questa tipologia di associazioni pone l’accento in modo quasi esclusivo sui risultati materiali dell’azione, l’autore accenna, seppur rapidamente, al contributo fornito per la formazione del sentimento religioso, suggestione che studi recenti hanno sviluppato. Le confraternite assumevano in particolare il volto di entità atte a «dare risposte concrete a interi strati sociali o a semplici fasce di cristiani alla ricerca di un ambito in cui proiettare le esigenze di una nuova ansia religiosa, e insieme la volontà di affacciarsi sui problemi cittadini con un impegno diretto e organizzato»27. In quest’intreccio è da rilevare la capacità dello storico di non sottrarsi all’analisi dell’una o dell’altra componente, come talora può accadere, per ragioni concrete o per scelte ideologiche. Lo studioso si sofferma anche sulle implicazioni che il ruolo autorevole dei sodali comportava a livello cittadino, in situazioni nelle quali oltre a tutto contingenze difficili o drammatiche potevano creare sollevazioni e rivolte. La potenzialità politica dei sodalizi era dunque marcatissima. La devozione, la carità... ma, come ben sottolinea Fiorani, occorre non dimenticare la configurazione delle confraternite come gruppi di prestigio e di potere, che in qualche caso raggiungono punte alte.

Le associazioni devote venivano ad assumere un ruolo socio-politico non indifferente, come luoghi di risposta ai bisogni degli indigenti e dei pellegrini 28, ma soprattutto come fattore di controllo e di introduzione di

26 Ibidem, passim; Religione e povertà. Il dibattito sul pauperismo a Roma tra Cinque e Seicento, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 3 (1979), pp. 43-131.

27 Le visite apostoliche del Cinque-Seicento, p. 90.

28 È un elemento, questo, che ritorna frequentemente nei saggi di Fiorani, per una città nella quale la presenza di un alto numero di forestieri e pellegrini era una consuetudine, che toccava punte altissime nella ricorrenza dei Giubilei. Cfr. Le confraternite, la città e la perdo -

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«sottili forme di razionalità nella convivenza cittadina»29. In ultima analisi tale funzione si estendeva al di là del piano strettamente sociale e influiva anche su quello morale. Si tratta di piani diversi, ma non contrapposti, poiché in entrambi giocano elementi difficili a cogliersi storicamente, ma non ignorabili: la sensibilità, i sentimenti e le emozioni popolari 30 .

La nuova sensibilità religiosa, talvolta espressa nella forma dell’ansia per la salvezza, non è separata dalla considerazione attenta dei problemi sociali e dalla progettualità in tale settore, così come separata non era nelle dinamiche dell’epoca e nelle persone che ne furono i creatori e i protagonisti. Il mondo della carità e dell’assistenza è efficacemente delineato da Fiorani, attento a cogliere i tratti di una «città della fede» che «è insieme la cittadella della carità e dell’elemosina prodigate largamente a tutti i bisognosi», ma anche impegnato a tratteggiare le linee teoriche che informarono gli interventi concreti 31 .

L’ importanza del legame tra storia e territorio emerge qui con singolare chiarezza32. D’altronde, la concretezza dell’aggancio storico è evidente anche in altri campi di indagine. Ciò risalta nelle ricerche relative a pietà e devozione, sulla scia di un maestro come don Giuseppe De Luca. La pietà e le devozioni presentano molteplici valenze, dall’effimero emozionale o spettacolare all’espressione di una religiosità interiore profonda, sino a giungere in qualche caso a sintomi di inquietudine nella ricerca dell’assoluto. Le devozioni erano anche un modo per sostenere i fedeli e infondere loro ottimismo, mostrando il sostegno di benefiche presenze: un atteggiamento psicologico atto a sconfiggere lo sconforto, che il rigorismo, giansenista e non, tendeva ad ingenerare nell’uomo, seppur per nobili scopi 33 .

nanza giubilare, in Roma sancta. La città delle basiliche, a cura di m. fagiolo – m. l. madonna, Roma, Gangemi, 1985, pp. 54-70; Gli anni santi del Cinque-Seicento e la confraternita della SS. Trinità dei Pellegrini, ibidem, pp. 85-90. Tra coloro che erano attirati a Roma anche dalle manifestazioni giubilari v’erano spesso ‘eretici’. Alla politica di accoglienza s’accostava – nei confronti di tutti, cattolici e non – anche quella di ‘conversione’. Cfr. Verso la nuova città. Conversione e conversionismo.

29 “Charità et pietate”. Confraternite e gruppi devoti, p. 437.

30 Alcune osservazioni molto interessanti ibidem, pp. 441-442 e passim.

31 Le visite apostoliche del Cinque-Seicento, p. 115; Religione e povertà. Il dibattito sul pauperismo.

32 Un caso a sé è costituito dalle confraternite mariane dei gesuiti, di cui Fiorani intuisce e sottolinea l’importanza, tra i primi all’interno di un filone storiografico che avrebbe avuto grande sviluppo: Roma, in Dizionario degli Istituti di Perfezione, VII, col. 1943.

33 «Cercando l’anime per la campagna». Missioni e predicazione dei gesuiti nell’agro romano nel secolo xVII, in La predicazione in Italia dopo il Concilio di Trento tra Cinquecento e Settecento, a cura di g martina – u dovere, Roma, Edizioni Dehoniane, 1996, pp. 421-456: 454.

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Ma non tutto si chiude nel cerchio della religione in sé e per sé: nell’esperienza religiosa personale si riflettevano anche le ragnatele di rapporti, le questioni economico-sociali e quelle culturali nel senso più ampio del termine. Uno dei casi più significativi è quello dell’Oratorio gesuitico del Caravita. L’ azione svolta dai suoi membri giovava a configurare le linee di una corretta e profonda devozione, interiore e al tempo stesso segnata da manifestazioni esteriori e ritualità, fattore di presenza nella società; l’azione caritativa era esplicata soprattutto nelle carceri; ma si caricava di valenze ulteriori, incidendo a lungo sull’opinione pubblica romana, persino nell’epoca, tra tardo Settecento e Restaurazione, in cui la Compagnia non sussisteva più.

Nelle confraternite le devozioni e le pratiche di pietà assumevano le tonalità più varie, con accenti molteplici e mutevoli, sino a sfiorare talora la superstizione. «La spontaneità e la sregolatezza» degli spunti devoti vengono inquadrate e costruite non tanto dal clero secolare quanto dai regolari: «le vie della devozione sono il loro terreno specifico e su di esso fanno rifluire tutta la sensibilità religiosa dell’età barocca»34. Nelle visite, l’autorità ecclesiastica si preoccupava senza dubbio di estirpare deviazioni e abusi, quelle forme superstiziose che non sono negazione della pietà autentica ma suo sfiguramento: devozione e superstizione erano considerate allora due facce della stessa medaglia. Solo successivamente una differente considerazione ‘teologica’ della superstizione avrebbe indotto molti ecclesiastici a politiche diverse in materia, con esiti nella lunga durata talora assai poco corrispondenti alle intenzioni, che miravano soprattutto a una più profonda spiritualizzazione. Un caso specifico, affrontato da Fiorani con grande competenza e lucidità, è quello della commistione tra mondo devozionale da un lato e dall’altro astrologia e superstizione. «Astrologia, magia, devozione costituiscono un capitolo del sentimento e della pratica religiosa dalle interdipendenze molto strette», luogo di familiarità con il mistero35. Tale considerazione previa si estende a un raffinato discorrere sulla tematica della pietà e della devozione, nel loro complesso articolarsi, nei loro chiaroscuri.

34 Roma, in Dizionario degli Istituti di Perfezione, VII, col. 1949; Storia religiosa di Roma. Note intorno a recenti esperienze di ricerca, p. 257.

35 Espressione di una medesima visione della realtà umana della natura: cfr. Astrologi, superstiziosi e devoti nella società romana del Seicento, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 2 (1978), pp. 97-162 (vd. in particolare pp. 126-127 e 131). Come osserva l’autore a proposito di visite apostoliche, nei visitatori era radicata la convinzione del valore e delle possibilità della pietà degli umili, che non doveva essere espunta ma indirizzata: Le visite apostoliche del Cinque-Seicento, p. 85. I differenti atteggiamenti delle gerarchie ecclesiastiche nei confronti di questi fenomeni generarono conseguenze di lunghissima durata, i cui echi sono ancor oggi avvertibili.

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Portare alla pietà e alla devozione, e ancor prima alla frequenza ai sacramenti, quanti – pur battezzati – erano in sostanza ben lontani dall’accettare concretamente le istanze della Chiesa tridentina significava attuare una peculiare politica di conversione. Di questo Fiorani si interessa, come pure, in modo specifico, della politica di conversioni in senso stretto, particolarmente importante nel contesto romano: dalla clamorosa conversione di Cristina di Svezia alle vicende degli ebrei. In quest’ultimo caso, si tratta di una politica di conversione imprigionata «in uno schema strutturale, in cui confluiscono aspirazioni religiose e preoccupazioni sociali, ragioni di accoglienza e residui di sospetto, sottolineature apologetiche e riaffermazione della grande città e delle sue gerarchie»36.

I casi specifici – i tentativi, più o meno coercitivi, di convertire ebrei ed eretici – vengono inseriti sullo sfondo delle vicende di un’epoca. Viene messa in luce soprattutto, con molta efficacia, l’azione che seguì alla clamorosa sconfitta politica della Chiesa nella pace di Westfalia. «Il segno e il momento più acuto della sua emarginazione» fu per la Chiesa l’occasione di tornare a «costituire uno dei maggiori punti di riferimento e di aggregazione sul piano strettamente religioso e spirituale», che comportava tra l’altro un rinnovato slancio missionario37. In tutto ciò un ruolo non irrilevante fu svolto dai gesuiti.

Del mondo dei regolari nel XVII secolo Fiorani ha opportunamente messo in luce il fatto che lo sfondo è dato dal «momento in cui tutto si complica, si confonde, si accresce di elementi umani e giuridici, talora ambigui e contraddittori, su cui si proiettano le medesime inquietudini provocate dalle violenze che scuotono l’Europa»38. Si può sottolineare il crescere smisurato di piccoli conventi e monasteri, che indusse Innocenzo X ad assumere i noti, e tutt’altro che risolutivi, provvedimenti. Analogamente, è da mettere in luce la difficoltà a valutare con precisione le motivazioni che portarono all’eccezionale incremento del numero di religiosi e religiose, motivazioni che in molti casi paiono estranee allo spirito della vita regolare o comunque non profondamente consone con esso. Al tempo stesso, non possono essere sminuiti gli aspetti positivi, in particolare per alcuni ordini sorti nel Cinquecento, che affinarono metodi di intervento e strategie missionarie, venendo a incidere in profondità sul tessuto religioso e sociale attraverso la loro attiva presenza.

36 Verso la nuova città. Conversione e conversionismo, p. 176.

37 Ibidem, pp. 129-130.

38 Roma, in Dizionario degli Istituti di Perfezione, VII, col. 1940.

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Nella considerazione della realtà monastica l’autore si sofferma sui più vari elementi che concorrono a ricostruire il quadro d’insieme: il contesto sociale, con le dinamiche del reclutamento e dei dati quantitativi relativi agli ingressi, come pure, ineludibile, lo sfondo più strettamente religioso, tra adeguamento alle linee portanti dell’epoca e sensibilità a fattori nuovi. L’ indagine sui monasteri evoca dunque anche le grandi questioni della mistica e del quietismo, evidenziate, all’interno di una ricostruzione complessiva delle varie sfaccettature del mondo religioso femminile, soprattutto nell’esemplare saggio su Monache e monasteri romani nell’età del quietismo39

Il ruolo dei gesuiti nella battaglia antiquietista è fondamentale, studiato da Fiorani soprattutto – ma non solo – attraverso la figura di Antonio Caprini40. Qui la perizia filologica e la raffinatezza interpretativa dell’autore giungono a prospettare, accanto e attraverso la personalità di questo gesuita, lo scenario complessivo dei serrati dibattiti e delle loro ragioni. L’ aspirazione quietista a una verticalità dell’incontro con il divino veniva a scontrarsi con la consolidata proposta gesuitica di una spiritualità concreta, volta a valorizzare l’operare dell’uomo: istanze opposte dunque, che avevano come oggetto primario la dimensione della pietà di ogni giorno, e che in personaggi come Caprini sfociarono non in mera astiosa polemica, ma in un vero e proprio confronto culturale di grande portata. Si tratta di concezioni assai differenti, in cui «sembra riassumersi il contraddittorio e drammatico oscillare della devozione secentesca, alla ricerca di una difficile composizione tra ascesi e mistica, tra volontà e sentimento, tra impegno e contemplazione» 41. La puntuale ricognizione archivistica compiuta dall’autore porta a una ricostruzione tanto più interessante in quanto non si ferma ai vertici, ma cerca di comprendere anche le dinamiche «dal basso e dall’interno di una società» che percepisce e vive questi problemi in modo non marginale 42 .

È, questa, una caratteristica ricorrente nelle ricerche di Fiorani, in genere assai sensibile verso «la concretezza e il fluire del quotidiano sotto il permanere della struttura». Ciò è armonicamente integrato con l’analisi delle istituzioni, in un’epoca nella quale «l’impulso del Tridentino si fa veramente la matrice della vita religiosa romana e insieme la struttura complessiva, all’in-

39 Monache e monasteri romani nell’età del quietismo, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 1 (1977), pp. 63-111.

40 Per la storia dell’antiquietismo romano. Il padre Antonio Caprini e la polemica contro i “moderni contemplativi” tra il 1680 e il 1890, in L’ uomo e la storia. Studi storici in onore di Massimo Petrocchi, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1983, pp. 299-343.

41 Verso la nuova città. Conversione e conversionismo, p. 123.

42 Per la storia dell’antiquietismo romano, p. 318.

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terno della quale si compagina la stessa collettività cittadina» 43. D’altronde l’apporto dell’assise tridentina non è mai ignorato o sottovalutato, come nel caso relativo all’immagine ideale del sacerdote, della quale Fiorani rivendica gli aspetti di novità, senza esitare a porsi in contrasto con interpretazioni storiografiche dissonanti44.

Il legame con il passato, gli elementi di continuità o di discontinuità, sono sempre messi a tema, pur laddove non si riesca, sulla base delle fonti, a pervenire a una conclusione definitiva, come nel caso del rapporto tra visite pre- e post-tridentine a Roma o delle modalità attraverso le quali i vescovi di Roma hanno sentito e vissuto il loro ministero di pastori di quella specifica diocesi45. Uno spazio importante negli studi di Fiorani è dedicato alle missioni46. In ciò, come su altri argomenti, egli si inseriva in filoni storiografici in corso d’opera contribuendo a configurarli più precisamente, o addirittura li anticipava47. La Chiesa post-tridentina era caratterizzata dalla volontà di diffondere la fede cattolica, sia in risposta alle perdite subite per l’affermarsi della Riforma, sia in conseguenza del progressivo recupero della propria peculiare fisionomia e identità. In tale processo, la spinta motrice e le modalità sostanziali della propagazione della fede non differivano radicalmente tra la vecchia Europa e i mondi nuovi o lontani. Le campagne romane erano singolare esempio delle «nostre Indie», luogo deputato per comprendere sia la situazione religiosa e sociale delle aree più abbandonate, sia le dinamiche e le strategie di evangelizzazione messe in atto nella Chiesa moderna. Si trattava dell’instaurazione di vere e proprie tecniche di trasmissione del messaggio religioso. In effetti qui venne sperimentata un’azione di recupero di popolazioni socialmente emarginate, lontane dalle forme di civiltà dell’epoca, quasi inabissate nell’ignoranza religiosa. Le tecniche utilizzate, dalla predicazione reiterata alle scenografie rituali, sortirono effetti graduali e un accostamento almeno iniziale ai principi della fede e dell’etica cristiane. In ciò si distinsero i gesuiti. Nelle loro missioni nell’agro romano mostrarono, come in altre situazioni, dinamismo spirituale, capacità orga-

43 Le visite apostoliche del Cinque-Seicento, pp. 54-55.

44 Identità e crisi del prete romano.

45 Le visite apostoliche del Cinque-Seicento, p. 60.

46 Cfr. per es.: Missioni della Compagnia di Gesù nell’agro romano nel x VII secolo, «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 2 (1994), pp. 216-234; «Cercando l’anime per la campagna».

47 Già alla fine degli anni Settanta Fiorani aveva posto con grande chiarezza il problema, e segnalato la necessità di precise e capillari indagini in materia (Religione e povertà. Il dibattito sul pauperismo, pp. 91 sgg.).

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nizzative, volontà di adattamento, attenzione a cogliere i «crocevia umani e culturali più decisivi», sino a configurarsi come gli autori di «una delle pagine principali dell’evangelizzazione cristiana e cattolica delle campagne nell’età moderna» 48. Nonostante le difficoltà, che proseguirono in diverse forme lungo tutto l’arco cronologico in esame, l’impegno non venne mai meno; anzi, alla missione furono spesso deputati gli uomini di punta della Compagnia, chiaro segnale dell’importanza attribuita a quest’attività49.

D’altra parte, la missione urbana dei gesuiti esercitò anch’essa una profonda influenza, seppur a un diverso livello, cioè, per l’appunto, sul tessuto cittadino: predicazione e incitamento a una vita sacramentale regolare ne costituiscono i tratti principali, caratteristici di una religiosità lontana dai rigori giansenistici come dagli abbandoni quietistici 50. La missione propriamente detta, nelle sue forme strutturali, era stata preannunciata da un’azione più informale, ma non per questo meno significativa, che Fiorani restituisce con grande vivezza, mostrando giovani Padri che «hanno un senso vivo della città, ne percepiscono la topografia spirituale non meno di quella fisica, conoscono la conformazione dei gruppi sociali, i diversi mestieri, ma soprattutto hanno piena consapevolezza del paesaggio morale complessivo, con le sue luci e le sue ombre»51.

Del mondo regolare Fiorani analizza i più vari momenti di azione e il loro impatto. Per esempio, i gesuiti figuravano tra i maggiori produttori di una sovrabbondante letteratura di pietà, con alcuni aspetti innovativi 52. Ma nel mondo romano la pietà più «intensa e sorridente», secondo la definizione di Fiorani, era quella dei membri dell’Oratorio, che non per questo erano alieni da impegni caritativi o dalla produzione musicale, che aveva segnato le loro origini 53 .

48 «Cercando l’anime per la campagna», p. 427.

49 Ibidem, p. 443.

50 Il ruolo dei domenicani nell’amministrazione del sacramento della penitenza è ugualmente posto in rilievo, mentre a Roma i cappuccini si segnalavano per il compito di predicatori apostolici da loro efficacemente svolto. Su altro terreno, il contributo peculiare, seppur non esclusivo, dei domenicani riguardava il piano inquisitorio e censorio.

51 Verso la nuova città. Conversione e conversionismo, p. 104.

52 Tra cui l’impulso dato alla devozione per l’angelo custode. La devozione all’Immacolata venne diffusa a Roma soprattutto per opera dei francescani conventuali.

53 La cultura nei più svariati settori, ivi compresa la scienza, costituiva un elemento importante per molti ordini regolari; da rilevare l’attenzione posta da Fiorani su questi aspetti del mondo regolare (Roma, in Dizionario degli Istituti di Perfezione, VII, coll. 19441946). Evidenti soprattutto nell’ambito della città di Roma, sono stati ulteriormente messi in luce da vari studi recenti

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I difetti e i limiti della vita regolare nella piena età della Controriforma, numerosi, non sono sottaciuti: ma, in un grande equilibrio di valutazione complessiva, si vedono affiorare i molti elementi positivi, tra cui in particolare l’operoso prestarsi nella dedizione al prossimo, sino al cosiddetto «martirio senza sangue», come in occasione delle pestilenze. «È in questo intreccio tra una presenza sul piano spirituale e religioso, e una sul piano della sofferenza e dei bisogni (...) che le congregazioni religiose, nel loro complesso, costruiscono una grande parte della loro storia nel Seicento»54.

Ancora una volta, furono alcuni ordini religiosi i grandi protagonisti delle querelles teologiche, nell’ambito delle diatribe intorno sia al quietismo sia al giansenismo. Merita evidenziare la puntuale attenzione di Fiorani a tali aspetti, un tempo considerati astratti, lontani dalla vita concreta della gente comune, e dunque scarsamente incidenti sul piano storico complessivo. Inoltre in passato alcuni storici tendevano a sfumarne l’importanza nell’età successiva, almeno per quanto riguarda le tematiche più propriamente teologiche; egli invece ne sottolinea la prosecuzione particolarmente virulenta nel corso del XVIII secolo proprio sul piano dottrinale, seppur con caratteri in parte mutati 55

Dall’attenzione a cogliere le sfaccettature della storia religiosa moderna, a delineare la pluralità e la varietà dei percorsi, le influenze e i contrasti che la caratterizzano, rampolla una ricostruzione storica di eccezionale lucidità. La storiografia recente, soprattutto al di fuori d’Italia, in vari modi ha cercato di sovvertire una visione tradizionalmente acquisita – e che ancora in larga parte, forse per ragioni più accademiche che realmente scientifiche, domina la storiografia italiana – in cui l’età moderna è intesa come periodo nel quale la Chiesa non esercitava altro che repressione e controllo delle coscienze. Da quanto sin qui detto sui contributi di Luigi Fiorani, risulta evidente che un ripensamento storiografico è reso possibile solo dal lavoro tenace e paziente di chi, senza cercare tribune mediatiche, ha studiato in modo coerente e appassionato i diversi aspetti di quest’epoca cruciale, con spirito libero e assetato di quella verità storica che, senza indebite pretese, è tuttavia lo scopo di ogni autentica indagine sul passato. Tale lavoro è stato compiuto sulla base di indagini puntualissime sulle fonti e di una compiuta conoscenza della bibliografia: basta leggere le note dei lavori di Fiorani per rendersene pienamente conto.

54 Roma, in Dizionario degli Istituti di Perfezione, VII, col. 1948.

55 Ibidem, col. 1949.

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Le istituzioni, in sé e nei loro riverberi concreti sulla vita di una società; l’azione dei pastori, tra impegno e contraddizioni; la presenza di religiosi e religiose, con i suoi evidenti limiti e le sue innegabili valenze positive; la teologia stessa, che non resta confinata in elevate quanto astratte discussioni, ma si cala nella pastoralità e dunque nella vita dei fedeli, soprattutto attraverso la confessione; la devozione, nella sua proposta ufficiale e nella sua realtà, talora deviante e abusiva: tutti questi aspetti, e molti altri non specificamente menzionati, emergono dall’opera di Fiorani. Essi giovano alla ricostruzione di un ambiente, di un mondo, di un microcosmo e di un macrocosmo, sino a fare dei suoi saggi, ancor oggi, a distanza talora non breve dalla loro pubblicazione, un punto di riferimento ineludibile per comprendere il volto della Chiesa di Roma – nel suo duplice significato – tra età tridentina e primo Settecento.

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PAOLA VISMARA

LE CONFRATERNITE ROMANE: LA LOTTA AL PAUPERISMO E I CONFLITTI CON LO STATO ITALIANO

1. Considerazioni introduttive.

Nel contesto della storia religiosa di Roma il tema delle confraternite, nella fattispecie, delle confraternite laicali, ovvero formate prevalentemente da membri laici, occupa uno spazio di rilevante interesse, che non sempre la storiografia ha saputo cogliere in misura adeguata, come fu osservato nel corso del Colloquio Le confraternite romane. Esperienza religiosa, società, committenza artistica introdotto dalla Tavola Rotonda sul tema La storiografia confraternale e le confraternite romane, svoltosi a Roma presso la sede della Fondazione Caetani nel maggio del 1982, i cui Atti sono stati pubblicato nel 1984. Gli interventi dei partecipanti al Colloquio posero in evidenza la molteplicità degli elementi caratterizzanti questi istituti, espressione della religiosità e della pietà, ma intrecciati al contesto sociale in cui operavano, «come struttura in rapporto ad altre strutture e dimensioni della vita associata», quindi il loro ruolo nell’ambito della società di appartenenza e il rapporto con le autorità costituite.

In questo contesto si collocano alcune delle ricerche svolte dallo storico Luigi Fiorani, che diresse, insieme ad Alberto Monticone, il Colloquio sul tema indicato, completate da altre ricerche sul medesimo tema, pubblicate in altri volumi, che arricchiscono con ulteriori approfondimenti l’argomento delle confraternite laicali1. Questi atti sono l’occasione per affrontare il complesso tema delle confraternite romane, particolarmente approfondito da Fiorani nei suoi studi di storia religiosa, consentendomi di porre attenzione ad alcuni argomenti che ho ritenuto di particolare interesse.

1 Cfr. Le confraternite romane – Esperienza religiosa, società, committenza artistica, a cura di l. fiorani, Colloquio della Fondazione Caetani, Roma 14-15 maggio 1982. Gli Atti del Colloquio in «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 5 (1984), pp. 9-443. La Tavola Rotonda introduttiva si trova alle pagine 19-70.

2013

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura,

Il primo tema riguarda l’analisi storica ma anche sociologica, della capitale dello Stato pontificio nei secoli XVI e XVII, proposta dall’Autore, che ci presenta una città immersa nelle difficoltà economiche, oppressa da conflitti religiosi e da instabilità sociale, pervasa da istanze ascetiche ma anche da necessità politiche, accentuate da difficoltà gravi quali il pauperismo dilagante, le malattie, le epidemie 2. L’ impegno delle associazioni confraternali in quell’epoca fu, in ampia misura, la lotta al pauperismo, che Fiorani descrive soffermandosi sulle cause e sui metodi adottati per cercare di risolvere i problemi connessi alla povertà quali le malattie, il carcere, l’abbandono dei diseredati.

Il secondo tema riguarda la altrettanto suggestiva e approfondita descrizione dell’Italia sulla via dell’unificazione nazionale, la politica del governo regio dopo il 1861 e in seguito, dopo la presa di Roma nel 1870, i conseguenti conflitti tra la Santa Sede, che non riconosceva ‘l’intruso governo’, e lo Stato italiano, a proposito della attività di beneficenza che lo Stato avocava alla sua indiscutibile competenza. Con l’emanazione di leggi definite eversive furono sciolti vari enti confraternali e incamerati i beni di proprietà ecclesiastica 3 .

Si tratta di due dimensioni storiche, che abbiamo scelto di approfondire, cronologicamente determinate e differenziate per le vicende politiche che ne hanno caratterizzato il percorso, ma pur sempre rivolte a sottolineare la continuità dell’opera benefica svolta da questi enti, fondata sulla volontà di assolvere ai doveri posti dalla fede e dalla dottrina cattolica.

Come è stato in precedenza sottolineato, le ricerche svolte da Fiorani sulle confraternite laicali romane non sono incentrate esclusivamente sulla dimensione religiosa, ma pongono con particolare evidenza il rapporto tra quegli istituti e le caratteristiche culturali ed economiche della società in cui si formarono ed operarono, e che ne determinarono la configurazione e gli orientamenti, in conseguenza delle esigenze che emergevano soprattutto tra i ceti più deboli e sfortunati. A suo avviso « (…) non è possibile porre in astratto il tema della religiosità vissuta, o anche solo prospettata, dalle confraternite, senza un costante raffronto con i problemi della città e con il contesto più ampio della vita della Chiesa» 4. In questa ottica, infatti, emerge anche il rapporto, talvolta conflittuale, con le autorità di riferimento, le par-

2 Cfr. l fiorani, Religione e povertà – Il dibattito sul pauperismo a Roma tra Cinque e Seicento, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 3 (1979), pp. 43-131.

3 Cfr. l. fiorani, Discussioni e ricerche sulle confraternite romane negli ultimi cento anni, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 6 (1985), pp. 12-105.

4 Cfr. l. fiorani, L’ esperienza religiosa nelle confraternite romane tra Cinque e Seicento, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 5 (1984), pp. 155-196, la citazione alla pagina 160.

MIRELLA MOMBELLI CASTRACANE 132

rocchie, le diocesi o i conventi, nonché gli aspetti, che potremmo definire ‘devianti’ rispetto alle motivazioni originarie, che talvolta affiorarono nel corso delle attività svolte.

Peraltro, l’attenzione posta dall’autore in ordine al contesto sociale ove si collocano le confraternite laicali romane e allo stretto legame che ne esprime il rapporto, solleva non pochi quesiti sulla loro origine, ma anche sulla loro struttura istituzionale, quindi sulla identificazione della loro natura giuridica in riferimento all’ambito di appartenenza. Argomenti su cui sembra opportuno, in prima istanza, soffermarsi, con l’intento di contribuire a completare il quadro di riferimento proposto dall’Autore sul tema in oggetto.

2. Le origini delle confraternite, la definizione identitaria e le ipotesi sulla loro configurazione giuridica

Come si è in precedenza osservato, il fenomeno dell’associazionismo è prodotto dalla società, che, sulla base del principio di diritto romano ubi societas ibi ius5, presuppone una struttura sociale fondata su regole, da cui inevitabilmente prendono forma molteplici attività, derivanti dalle attitudini e dalle esigenze della società stessa, quale ad esempio l’attività economica, per la sopravvivenza dei suoi membri, ma anche iniziative volte alla socializzazione, alla comunicazione, alla valorizzazione della cultura. Si tratta di fenomeni prodotti dalla tendenza dei singoli a formare gruppi omogenei nei quali riconoscersi e creare legami di solidarietà, di difesa, di protezione personale, quindi raggruppamenti sociali nati da una comunanza di interessi.

Già nel mondo romano erano presenti i Collegia e Sodalitia (solidalitates)6

A questo proposito si ricorda che nell’anno 7 d. C Augusto promulgò la Lex Iulia de Collegiis 7, che introdusse il concetto secondo cui quegli enti costituivano soggetti distinti dalle persone dei soci, quindi in grado di porre in essere rapporti giuridici, prefigurando così la elaborazione dottrinale del concetto di ‘persona ficta’. La legge disponeva inoltre misure drastiche per porre ordine nel complesso settore delle associazioni private, che si erano moltiplicate nell’ultimo secolo con conseguenze negative. Prevedeva quindi lo scioglimento dei collegi esistenti, salvo quelli più antichi e quelli legalmente costituiti, ovvero autorizzati dal Senato. L’ accettazione di un collegium dipendeva quindi dal riconoscimento del Senato che si fondava a sua

5 Cfr. f. calasso, Il medio evo del diritto, I, Le fonti, Milano, Giuffrè Editore, 1954, pp. 26-27.

6 Cfr. calasso, Il medio evo del diritto, pp. 431-432.

7 Cfr. v arangio ruiz, Istituzioni di diritto romano, Napoli, Jovene, 1974, pp. 71-73.

LE CONFRATERNITE ROMANE E LA LOTTA AL PAUPERISMO 133

volta, sulla iusta causa, ovvero lo scopo di culto e di pubblica utilità. Ebbero infatti particolare protezione i Collegia tenuinorum, la cui attività consisteva nella sepoltura dei defunti.

In parallelo, con il diffondersi e il consolidarsi del cristianesimo, grazie alla promulgazione del ‘cosiddetto’ Editto del 313 da parte dell’imperatore Costantino, che conferì alla chiesa cristiana la qualificazione di Collegium licitum 8, si diffuse l’associazionismo cristiano.

Peraltro, per quanto riguarda le confraternite, l’origine è incerta dal punto di vista cronologico. Non mancano infatti ipotesi di collegamento con istituzioni già esistenti in epoca pre-cristiana, quali appunto i Collegia romani o le ‘Fratrie’ della Grecia o della Magna Grecia: comunque la loro presenza fondamentale nel mondo cristiano è stata segnalata in Europa, forse già nel IV secolo d.C., ma sicuramente in Francia nell’VIII, e in Italia nel IX secolo.

Occorre sottolineare, a questo proposito, la grande varietà di elementi che caratterizza queste associazioni, tale da rendere difficile non tanto e non solo la identificazione di ciascuna di esse, quanto la ricostruzione della categoria giuridica alla quale esse siano riconducibili, categoria che si esprime appunto con il termine ‘confraternita’.

In senso ampio tale termine si può intendere derivato dal latino fraternitas, che significa fratellanza, quindi associazione composta da chierici o da laici, che nasce al fine di attivare opere di pietà e di carità, di edificazione religiosa, di solidarietà devota, di sostegno reciproco. A questo criterio ha fatto ricorso ad esempio Gioacchino Volpe9, che le definiva «raggruppamenti su base religiosa o, almeno, religiosamente motivati», mentre secondo Gabriel Le Bras si trattava di «famiglie artificiali»10, ed Edoardo Grendi11

8 Cfr. calasso, Il medio evo del diritto, p. 40 nota 4 ove si fa riferimento a vari autori, tra i quali Lattanzio, De mortibus persecutorum ed Eusebio di Cesarea, De vita Constantini. «Come è noto la critica moderna ha da tempo revocato in dubbio l’esistenza storica di un Editto dato a Milano congiuntamente dagli imperatori Costantino e Licinio nel febbraio del 313: la sostanza del documento apparterrebbe in realtà ad un rescritto dato da Licinio per l’Oriente pochi mesi più tardi (…) il rescritto di Licinio non faceva altro che riflettere la politica religiosa che Costantino operava di fatto in Occidente, e che aveva avuto il suo precedente nell’Editto di Galerio del 311 che aveva vietato le persecuzioni (…)».

9 g. volpe , Movimenti religiosi e sette ereticali nella società medievale italiana. Secoli x I-x IV, Firenze, Vallecchi, 1922 (1961 seconda edizione), p. 170.

10 g le bras, Les confréries chrétiennes. Problèmes et propositions, «Revue historique de droit français et étranger», XIX-XX (1940-41), pp. 311-363 (trad. it. Contributo a una storia delle confraternite, in id., Studi di sociologia religiosa, Milano 1969, pp. 179-215, p. 179)

11 e. grandi, Le confraternite come fenomeno associativo e religioso, in Società, Chiesa e vita religiosa nell’ancien régime, a cura di c. russo, Napoli, Guida, 1976 pp. 115-186 (già in «Atti della Società ligure di storia patria», ns., LXXIX (1965), 5, pp. 241-311, col titolo

MIRELLA MOMBELLI CASTRACANE 134

sottolineava che la morfologia degli enti confraternali era caratterizzata da due aspetti strettamente congiunti, anzi a suo avviso ‘inscindibili’: quello collegato alle dinamiche associative, e quello attinente alla sfera della religiosità. Nello specifico, è proprio la molteplicità dei termini usati, in particolare nell’età medievale, a delineare la complessità e varietà morfologica delle confraternite, indicate con lemmi quali fraternitas, ma anche schola, consortium, sodalitium, congregatio, societas, universitas, gilda in riferimento alle diverse attività espresse nei vari ambiti sociali, caratterizzate dal comune elemento della religione, ma rivolte alla carità, al culto, alla cura dei mendicanti, dei malati, dei carcerati e dei condannati a morte, ma anche alla solidarietà e alla protezione tra consociati che svolgevano una medesima attività, come le corporazioni di arti e mestieri. Occorre peraltro considerare che nel medio evo non vi era assistenza pubblica né aiuti per la parte più disagiata della collettività. Quindi si manifestò l’esigenza di intervenire per amore e timore di Dio, a cui i cristiani risposero unendosi in associazioni private per aiutarsi reciprocamente e portare aiuto ai bisognosi. Il periodo medievale fu infatti particolarmente fecondo per quanto riguarda queste iniziative. Vi furono associazioni spiccatamente religiose, ispirate al movimento dei Mendicanti del Terzo Ordine francescano, laiche come le corporazioni di arti e mestieri, come anche le fratellanze e le confraternite, inizialmente configurate come organizzazioni di categoria, a tutela del benessere materiale degli appartenenti, ma anche della salvezza spirituale. Gli scopi di queste associazioni consistevano nell’assistenza mutua tra i congregati, o per sopperire a difficoltà economiche, nella cura delle malattie, nella difesa contro i soprusi della legge, come le prevaricazioni o le persecuzioni.

Si tratta, come appare evidente, di un quadro complesso, strettamente legato alla realtà sociale e ai problemi presenti nei settori più deboli della società stessa.

Quanto alle origini delle confraternite laicali romane, sulla base di documenti manoscritti, la storiografia propone varie interpretazioni. La più antica confraternita risulterebbe essere quella del Gonfalone, sorta nel corso dell’anno 1260, per iniziativa di due canonici romani, con il sostegno di un gruppo di aristocratici della città, «mentre l’ispirazione religiosa e il primo testo statutario vengono ascritti a Bonaventura da Bagnoregio, allora ministro generale dei francescani»12.

Morfologia e dinamica della vita associativa urbana: le confraternite a Genova fra i secoli x VI e x VIII.

12 g. barone , Il movimento francescano e la nascita delle confraternite romane, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 5 (1984), pp. 71-80.

LE CONFRATERNITE ROMANE E LA LOTTA AL PAUPERISMO 135

Notizia che sembra confermata anche dal codice vaticano Urb. lat. 1690 del XVII secolo13, che pone in testa ad un elenco di confraternite romane disposte in ordine di antichità, proprio la Confraternita del Gonfalone, con la data addirittura del 1198, sotto il pontificato di Innocenzo III. Peraltro, la perdita di molti documenti dell’archivio della confraternita non consentono la certezza della data di origine. In realtà, sembra che la prima confraternita romana sia stata quella dei ‘Raccomandati della Vergine’, e non quella del Gonfalone, la cui documentazione appare sin dall’anno 1267, e che forse può essere collegata alla confraternita dei Disciplinati «che dal 1260 si andavano moltiplicando in tutta Italia». Non solo. A parere della Barone «la Roma del Duecento continua ad essere un campo aperto per le ipotesi più arrischiate, in quanto la documentazione pervenutaci è di una scarsità quasi alto-medievale»14. Il che non esclude in ultima istanza, l’importanza, se non la necessità, di continuare nella ricerca delle fonti per ricostruire la storia che ci interessa.

Peraltro, un quadro forse ancora più complesso si presenta nell’affrontare l’analisi della natura giuridica delle confraternite, e la loro qualificazione rispetto all’appartenenza alla sfera laica o a quella religiosa. Si tratta infatti di enti che potremmo definire di frontiera, collocati in una zona intermedia tra la sfera ecclesiastica e la sfera laicale, caratterizzati quindi da ambiguità e spunti problematici conseguenti a tale indefinita condizione.

La dottrina giuridica medievale le definiva collegi personali, universitates personarum, sodalizi, associazioni, ma anche pia loca, rendendo così incerta la loro appartenenza alla sfera ecclesiastica o alla sfera laicale, che dipendeva, più che dalla approbatio canonica, dalla loro identificazione come persona giuridica, o come luogo pio. In effetti, in assenza di una legislazione in proposito, i criteri interpretativi propri della dottrina di quell’epoca si fondavano non tanto o non solo sulla elaborazione teorica, ma, talvolta, sul terreno concreto della prassi giudiziaria. Occorrerà arrivare al pontificato di Clemente VIII che il 7 dicembre del 1604 promulgò la Costituzione Quaecumque contenente regole sulla erezione di una confraternita per la quale era esclusa l’iniziativa laica, e sui rapporti con l’autorità diocesana. Principi che erano stati confermati da Innocenzo IV il quale affidò il con-

13 barone , Il movimento francescano, p. 71.

14 barone , Il movimento francescano, p. 72. Vedi anche a. esposito, Le confraternite del Gonfalone (secoli x IV-x V), in Le confraternite romane – Esperienza religiosa, società, committenza artistica, pp. 91-136.

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trollo su questi enti esclusivamente alla autorità ecclesiastica, con diritto di scioglimento, in caso di necessità15.

Come si è accennato, l’accertamento della natura giuridica dell’ente avveniva sovente per via giudiziale e su richiesta delle parti interessate, ovvero delle confraternite stesse, le quali rivendicavano di volta in volta la ecclesiasticità o la laicità in funzione dei propri interessi16. L’ appartenenza alla sfera ecclesiastica o alla sfera laicale acquistava importanza ai fini del godimento di alcuni privilegi, attribuiti agli enti di natura ecclesiastica, o nella esenzione da alcuni oneri che appunto non riguardavano enti di natura laicale. In caso di controversia e a seconda dei vantaggi che potevano trarne, le confraternite, usando lo strumento della propria ambiguità istituzionale, tendevano ad affermare l’appartenenza alla giurisdizione temporale o al potere ecclesiastico17.

Di fatto, come sopra accennato, la qualificazione ecclesiastica o laicale delle confraternite non dipendeva tanto dalla autorizzazione canonica quanto dal rapporto intercorrente tra il collegium, ovvero la persona giuridica costituita dai singoli sodali, e il luogo pio, ecclesiastico per natura. Valutazione questa che ebbe il suo fondamento in una corrente dottrinale secondo cui l’elemento prevalente di quei pii sodalizi era considerato il collegium, cioè l’elemento personale il quale, con le sue caratteristiche di autonomia e di libertà, era considerato per ciò stesso laicale, pur operando in un luogo pio ed essendo approvato ed eretto canonicamente. La ratifica vescovile infatti, secondo quella interpretazione, non poteva mutare la natura del collegium trasformandolo da persona in luogo: al più poteva ratificarne la liceità. In sostanza, essendo la confraternita persona e non luogo, ed essendo solo il luogo di natura ecclesiastica, ma, rispetto alla ‘persona’ di secondaria importanza, la confraternita non poteva che ricadere sotto la giurisdizione laicale18.

15 m gazzini, Le confraternite italiane: periodi, problemi, storiografie, pp. 1-18, in formato digitale distribuito da IM (Itinerari Medievali ), p. 3 nota 8 e p. 4. Della stessa autrice il testo a stampa con il titolo Confraternite e società cittadina nel medioevo italiano, Bologna, Clueb, 2006, pp. 3-57.

16 m. mombelli castracane, Gli archivi delle confraternite: problemi giuridici e proposte metodologiche, «Archiva Ecclesiae. Bollettino dell’associazione archivistica ecclesiastica», XXVIII-XXIX (1985-1986), pp. 111-128, p. 116 nota 8.

17 Cfr. mombelli, Gli archivi delle confraternite, p 116 nota 9. Cfr. anche m mombelli castracane, Ricerche sulla natura giuridica delle confraternite nell’età della Controriforma, «Rivista di storia del diritto italiano», LV (1982), pp. 43- 116, p. 71 e sgg.

18 Cfr. c. cafaro, Speculum peregrinarum quaestionum decisarum forensium, (Neapoli, ex officina Ioannis Francisci Paci, 1665), L. I, Quaestio XVIII, paragrafi 1-2. Cfr. anche v

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Ma vi era anche un’altra interpretazione dottrinale, secondo la quale il collegium acquistava dal luogo pio, per estensione, la qualificazione ecclesiastica, anche in assenza di approbatio canonica, perché il luogo era considerato prevalente rispetto al collegium19. Non solo. Si riteneva ammissibile sia la distinzione tra luogo e persona, sia che la confraternita avesse natura di collegium: in questa ottica era anche accettabile il criterio che la approbatio canonica non potesse mutarne la natura trasformandola da persona in luogo. Ma si negava che il fatto di essere persona escludesse la confraternita dall’ambito canonistico, perché anche le persone giuridiche potevano acquistare carattere ecclesiastico in virtù della approvazione canonica 20 .

I canonisti inoltre a questo proposito facevano ricorso al concetto di ‘causa pia’, con il quale ricomprendevano nell’area ecclesiastica tutti gli enti privi di ratifica religiosa, purché destinati a fini di carità e di spiritualità con il supporto del luogo a ciò deputato. La causa pia «di religione, o diretta ad pium opus », poteva essere accertata sia per quanto riguardava l’uso dei luoghi destinati al culto e soprattutto alla pietà, sia anche in rapporto alla destinazione di patrimoni attribuiti al sodalizio per atto tra vivi o per via testamentaria, alle condizioni espresse dal fondatore e che potevano consistere nell’obbligo perpetuo di celebrazione di messe per l’anima del defunto, nel compito di dotare zitelle povere, di assistere fanciulle pericolanti, e comunque nello svolgimento di qualsiasi opera di misericordia.

Non sembra esservi dubbio, a nostro avviso che, nell’ottica canonistica, il ricorso all’espediente della causa pia consentiva di incardinare la confraternita in una dimensione istituzionale ove, in via di principio, l’elemento soggettivo veniva a perdere la propria autonomia e capacità di autodeterminazione per sottostare ad un vincolo riconosciuto e imposto dall’esterno. Vincolo non più patrimoniale, ma spirituale, espressione del dogma su cui riposava tutta la dottrina, tesa al conseguimento del fine ultimo, la salvezza dal peccato e la conquista del premio eterno, ma anche riflesso della realtà associativa ecclesiale che trovava il suo modello nel corpo istituzionale della Chiesa 21 .

del giudice, Nozioni di diritto canonico, Milano, Giuffré, 1953, p. 233 e g. le bras, Études de sociologie religeuse, Paris 1985 (trad. g. caputo e l. pellegrini, Studi di sociologia religiosa, pp. 202-205).

19 g de rosa, Consultationes juris selectissimae cum decisionibus super eis prolatis a supremis Neapolitani Regni tribunalium (Neapoli 1671). Cfr. mombelli, Gli archivi delle confraternite, p. 115 nota 6.

20 Cfr. b. ojetti, Synopsis rerum moralium et iuris pontificii, Romae 1899, ad vocem Confraternitas. Cfr. mombelli, Gli archivi delle confraternite, p. 117 nota 12.

21 Cfr. mombelli, Ricerche sulla natura giuridica delle confraternite, pp. 113-114.

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Peraltro, la dottrina canonistica moderna aveva definito ‘confraternita’ una associazione di fedeli, eretta dall’autorità ecclesiastica, organizzata gerarchicamente, che si proponeva come scopo non solo l’esercizio delle opere di pietà ma anche l’accrescimento del culto pubblico. Tuttavia, definiva confraternite, sia pure in senso ampio, anche quelle pie associazioni prive non solo di erezione canonica, ma anche della struttura collegiale. In questa ottica il termine confraternita può intendersi in senso più o meno esteso. In senso ampio si intende per confraternita una associazione di fedeli che ha per scopo l’esercizio di opere di pietà e di carità. In questa accezione possono essere ricomprese anche le pie unioni. In senso più ristretto, invece, si intende una associazione di fedeli che si propone il perseguimento di uno scopo di pietà o di carità, ma organizzata in modo da costituire un vero collegio, un ‘corpo organico’. In questo senso le confraternite si distinguerebbero da altre associazioni come le pie unioni, il cui legame tra i consociati è molto più labile 22. Concetti questi che troviamo confermati in un Decreto della Sacra Congregazione delle Indulgenze del 188023 ove si stabilisce che la confraternita è tale in quanto costituisce un ‘corpo organico’, un collegium, quindi una struttura gerarchicamente organizzata e regolata da norme statutarie, allo scopo di praticare la beneficenza e l’edificazione spirituale, distinguendosi da altri sodalizi, quali le pie unioni, le associazioni e simili, prive di tali caratteristiche.

Aggiungiamo che il concetto di ‘corpo organico’ lo si ritrovava anche nel codex iuris canonici del 1917, ove il canone 707 disponeva che le associazioni di fedeli erette per l’esercizio delle opere di pietà e di carità si chiamavano pie unioni. Quelle costituite in corpo organico si chiamavano sodalizi. Se i sodalizi avevano lo scopo di incrementare il culto pubblico, si definivano confraternite 24 .

La disposizione di cui si è appena detto va posta in relazione alle note vicende legate al nuovo assetto dato agli enti ecclesiastici nell’ambito dell’ordinamento dello Stato italiano unificato, che introdusse a questo scopo criteri notevolmente restrittivi. Peraltro, ora non ci soffermeremo sulle vicende conflittuali intercorse tra questi enti e lo Stato italiano, analizzate da Luigi Fiorani, di cui daremo conto più avanti. Possiamo sottolineare, comunque, che, per quanto riguarda la natura giuridica delle confraternite, il codex

22 Cfr. mombelli, Gli archivi delle confraternite, pp. 117-118 nota 13.

23 Ibidem, p. 118 nota 14. Il testo del Decreto è in Codicis iuris canonici fontes, t. VII, p. 668, n. 5090, cfr. anche b. melata, De erectione confraternitatum in monialium monasterii, II, Romae, apud Analectorum Editorum, 1906.

24 Ibidem, nota 15.

LE CONFRATERNITE ROMANE E LA LOTTA AL PAUPERISMO 139

iuris canonici vigente, promulgato il 25 gennaio 1983, riferendosi alla ampia e indifferenziata categoria delle Consociationes Christifidelium, distingue tra associazioni pubbliche e associazioni a carattere privatistico, in relazione alla ratifica dell’autorità ecclesiastica al momento della istituzione dell’ente, mentre per quanto riguarda le associazioni private, il codice dispone che non possono acquisire la personalità giuridica se non vi è da parte dell’autorità ecclesiastica la approbatio degli statuti in quanto conformi ai requisiti posti dal canone 31225.

3. I problemi di Roma tra il Cinquecento e il Seicento. La lotta al pauperismo

Occorre tenere presente che nel XVI secolo l’Europa attraversava una fase economica di estrema difficoltà, prodotta intanto dalle guerre di religione conseguenti alla Riforma protestante, che avevano impoverito ampie aree territoriali devastate dalle distruzioni di case e raccolti e dalle morti degli abitanti, con conseguente abbandono delle attività agricole. Si era verificato un esodo di popolazioni dalle campagne alle città, aumentando così il numero dei poveri in cerca di aiuto e di sostentamento, ma anche di altre categorie di sbandati, quali i vagabondi, i pellegrini, gli zingari, le prostitute, a cui si aggiungevano i soldati mercenari, che con la formazione degli eserciti regolari posta dagli Stati assoluti, non avevano più la possibilità di essere assoldati per le guerriglie tra i potenti del tempo. Aggiungiamo le malattie a carattere epidemico, e in particolare la peste. In sostanza, le condizioni di vita del tempo erano rese difficili dai tre flagelli più volte evocati: la peste, la guerra, la carestia.

Anche lo Stato pontificio, e in particolare Roma, subì le conseguenze di quelle vicende.

Come è noto, lo Stato pontificio era caratterizzato da una economia prevalentemente agricola, fondata sul latifondo. Le attività produttive e commerciali che avevano avuto un notevole sviluppo in Italia, grazie anche al ruolo dei comuni, con l’avviamento di un’economia che potremmo definire pre-capitalistica, e poi delle Signorie, nello Stato pontificio avevano avuto uno sviluppo più contenuto. Non a caso, il sistema di governo dello Stato della Chiesa aveva posto le basi di uno stato assistenziale, nell’intento di aiutare i ceti più deboli, ma senza adeguate iniziative per incrementare l’iniziativa dei singoli nei confronti delle attività produttive.

25 Cfr. mombelli, Gli archivi delle confraternite, pp. 120 note 20 e 21. Cfr. anche i l Codex iuris canonici, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1983, pp. 51-56 il Titolo V De Christifidelium consociationes, can. 298-329, cfr. in particolare il can. 322.

MIRELLA MOMBELLI CASTRACANE 140

Roma in particolare, città caratterizzata dalla presenza del potere ecclesiastico e nobiliare, offriva poche possibilità di inserimento in ambienti lavorativi, e ancor meno prospettive di iniziativa per superare la povertà: i poveri sopravvivevano con le elemosine e la carità, ma alla situazione di stallo così determinata, si aggiungeva anche una sorta di speculazione, da parte degli stessi poveri che finivano con l’approfittare della situazione per ottenere i mezzi di sopravvivenza adagiandosi sulla generosità del prossimo. E su questo aspetto Fiorani indaga descrivendo situazioni a dir poco paradossali anche da parte dei ricchi, e dei calcoli messi a punto per proteggere le proprie ricchezze, in particolare quel superfluo, che la Chiesa sollecitava a concedere in elemosina, da molti ricchi invece ritenuto essenziale, come il necessario, per le proprie esigenze 26

Fiorani pone in evidenza il ruolo della politica nell’affrontare il problema del pauperismo, che è considerato primario in riferimento all’ordine pubblico, ma che proprio per questo impone la necessità di distinguere tra vera e falsa povertà, sottolineando anche l’intento, come vedremo, di procedere ad una razionalizzazione dell’assistenza con la centralizzazione dell’attività assistenziale considerata più adatta e con più garanzie per assolvere tale compito sul piano economico e amministrativo, rispetto alle singole compagnie di carità. Peraltro l’A. non manca di rilevare che tale organizzazione assistenziale aveva finito con l’assumere caratteristiche spiccatamente burocratiche, addirittura poliziesche, o addirittura repressive, dal momento che si poneva la necessità di determinare, quantificare, censire tutte le sacche di povertà, con interventi capillari e definitivi.

Quali sono dunque le caratteristiche dell’offensiva antipauperistica nel periodo considerato a Roma? Da notare che la lotta al pauperismo era presente non solo in altre città italiane, ma anche in Europa, ad esempio in Francia e nei Paesi Bassi 27. Ma a Roma ebbe caratteri particolari, perché a Roma tutto convergeva in un’unica dimensione, la religione. Di conseguenza il fenomeno del pauperismo era ricondotto ad un complesso di riferimenti religiosi e di preoccupazioni morali, che dopo il Concilio di Trento, avevano trasformato anche le intenzioni e le iniziative caritative in azioni volte a contrastare l’eresia, secondo una concezione che poneva la vera fede nella attuazione di opere di bene che ne avrebbero prodotto l’arricchimento spirituale.

Occorre aggiungere a questo proposito che, come sottolinea Fiorani, la lotta al pauperismo a Roma non era recepita come una istanza sociale volta

26 fiorani, Religione e povertà, pp. 43-44.

27 Ibidem, p. 45.

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a conseguire una effettiva giustizia e dignità del vivere civile, ma si poneva come un invito alla carità, alla compassione, ai buoni sentimenti. Nella Roma tridentina, infatti, non trova spazio una concezione della povertà in relazione ai problemi sociali da affrontare con la pianificazione di riforme strutturali da parte delle autorità pubbliche incaricate di trovare soluzioni alle difficoltà economiche di masse cittadine e rurali. E non a caso erano considerati riformatori, in tutti i sensi, i predicatori, gli scrittori ascetici, moralisti e teologi, devoti o uomini di buona volontà, membri di nuovi ordini religiosi, e i parroci che svolgevano funzioni non dissimili da quelle dei funzionari civili.

L’ A. ricorda a questo proposito tra gli altri, il padre predicatore Giampietro Pinamonti, il quale insisteva nel criticare il comportamento dei ricchi nei confronti dei poveri, sottolineando comunque il consolidarsi di una crescente preoccupazione sociale 28. Di grande interesse è la posizione di Roberto Bellarmino29 espressa nelle sue riflessioni sui poveri e sulla povertà. Le riflessioni del Bellarmino hanno contribuito a definire «l’orizzonte dogmatico nel quale anche la povertà riceve una lettura particolare». Nei suoi scritti emergono due punti di riferimento: l’origine ‘provvidenziale’ del binomio ricchi-poveri, e la dottrina del superfluo.

Nel primo caso Bellarmino afferma che la società è strutturata gerarchicamente, ma è tenuta insieme dal mutuo soccorso. Il che significa che la società è una struttura fissa, non modificabile, e colui che oltrepassa i confini della propria condizione sociale cospira contro la società stessa. In questo contesto negativo ricadono i ricchi, quando frodano o ritardano i pagamenti dovuti, ma anche i poveri, quando volunt vivere more divitum non contenti statu quo e si trascinano nell’ozio, vizio insopportabile a Dio qui vult omnibus providere, sed per laborum ipsorum30 .

Il secondo caso riguarda la beneficenza da parte dei ricchi, fondata sul precetto della distribuzione del superfluo, che Bellarmino considera una doverosa restituzione di una ricchezza ‘indebita’. E sui ricchi si appuntano le riflessioni critiche del Vescovo, che considera l’elemosina un dovere da cui il ricco non può sottrarsi perché si tratta di un dovere sociale, anche se proveniente da ragioni puramente religiose e morali. In questa ottica si configura non il ricco gaudente e passivo, ma un personaggio attivo, che

28 fiorani, Religione e povertà, p. 48-49 note 6 e 7 con informazioni sul padre Giampietro Pinamonti (1632-1703).

29 Ibidem, pp. 54-61.

30 Ibidem, p. 57.

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produce e aumenta la ricchezza non solo a proprio vantaggio: si preannuncia la figura del borghese31.

Per quanto riguarda i poveri, non manca una identica concezione rigida e controriformistica. I poveri non sono tutti uguali. Vi sono anche i poveri non devoti né pii, che non seguono il Signore. Chi sono? Sono coloro che non accettano la propria condizione, comportandosi scorrettamente, disobbedendo così alla volontà di Dio. Occorre che il povero accetti la sua condizione, in obbedienza alla Sua volontà, non vivendo nell’ozio, ma sforzandosi di procurarsi il necessario per vivere con il lavoro. Si configura così l’immagine del povero ideale, che fugge l’ozio e la vita scioperata, e si applica ad un mestiere, senza mai uscire dalla propria condizione «i povari huomini hanno da vivere da povari huomini»32

Peraltro, le affermazioni di Bellarmino, ispirate, come sottolinea Fiorani, ai principi della patristica, a proposito dell’elemosina considerata una restituzione «di beni indebitamente trattenuti e sottratti dall’avarizia dei ricchi alla collettività dei bisognosi» produsse reazioni indignate da parte dei diretti interessati, per cui fu denunciato alle autorità competenti del tempo, come risulta dalla deposizione di un testimone al processo di canonizzazione33

Altro personaggio di rilievo in quel contesto è Paolo De Angelis con il suo Trattato Della limosina34. Fiorani sottolinea nella dottrina del sacerdote siracusano, fondata anch’essa su riferimenti biblici e sulla patristica, una visione «cupamente religiosa», prettamente controriformistica e pessimistica della povertà. La povertà, in questa ottica, è un castigo irreversibile, ma è anche un’occasione di riscatto e di salvezza, e l’elemosina è obbligatoria perché è strumento di salvezza. In che senso? Ebbene, non è rivolta a migliorare la vita del povero, che è conseguenza del tutto secondaria, ma per salvare l’anima del ricco, perché la ricchezza rappresenta un pericolo dal momento che produce deviazioni di ordine morale e psicologico, da estirpare con un uso ragionevole dei beni materiali. Concetti peraltro espressi con cautela, per evitare reazioni negative da parte degli interessati. In questo senso, l’accumulazione della ricchezza è consentita, purché se ne renda partecipe

31 Ibidem, p. 58.

32 Ibidem, pp. 59-60.

33 Ibidem, pp. 60-61 nel testo la citazione della deposizione, nella nota 28 la fonte: Romana beatificationis et canonizationis ven. servi Dei Roberti s.r.e. cardinalis Bellarmini S.I. positio super dubio…, Romae, R.C.A., 1749, p. 105.

34 p. de angelis, Della limosina overo opere che ci assicurano nel giorno del final giuditio…. Libri X alla Santità di N. S. Papa Paolo V, In Roma, per Giacomo Mascardi, 1611. Cfr. fiorani, Religione e povertà, pp. 61 ssgg. nota 29.

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anche il prossimo, proprio mediante l’elemosina. Il De Angelis inoltre si guarda bene dal fare riferimento alla dottrina ben affermata nella teologia e nella canonistica medievale, dai Padri della Chiesa ai moralisti contemporanei, secondo cui, in caso di estremo bisogno, i beni diventano comuni, e il povero non commetteva peccato né poteva essere punito se si appropriava di ciò che gli era necessario per la sopravvivenza. La ragione fondamentale consisteva nel fatto che, da questo punto di vista, la vita del povero era più importante del superfluo appartenente al ricco35.

Ma non a caso Fiorani ricorda la denuncia di un prete romano, Celso Millini, che nella seconda metà del Seicento difendeva i ricchi affermando che era meglio essere nato ricco che povero perché siccome tutti hanno bisogno del ricco, è necessario apprezzarlo e non metterlo in stato di accusa36. Un ragionamento non proprio conforme al clima religioso del tempo, ma non privo di un suo realismo ‘laico’.

Ma non manca la posizione nettamente contraria, espressa dal gesuita storico e scrittore Daniello Bartoli, secondo il quale la condizione più vantaggiosa è la povertà, perché il ricco è sempre agitato, come si trova nel titolo del suo trattato La povertà contenta descritta e dedicata a’ ricchi non mai contenti37, pensiero fondato sul principio edificante «perdere con guadagno». Siamo nel XVII secolo: la mentalità mercantilistica è ormai diffusa, cominciano ad emergere nuovi ceti rappresentati da professionisti, banchieri, appaltatori, proprietari di aziende, che diventano protagonisti nella vita della città. Ma in questa veste «possono farsi operatori di salvezza, di misericordia e in qualche modo costruttori del loro stesso futuro».

Nella seconda metà del XVII secolo tuttavia la povertà dilaga, ma non aumenta la carità. Fiorani si sofferma sulla figura di Alessandro Sperelli, vescovo di Gubbio, che scrisse il trattato Della preziosità della limosina38 dopo la grande pestilenza del 1656, in cui denuncia l’insufficienza delle strutture assistenziali romane. L’ Autore osserva che l’analisi dello Sperelli non si fonda su una visione pessimistica della società e dei suoi malanni pro-

35 fiorani, Religione e povertà, p. 63. Cfr. anche p. prodi – g. rossi, Non rubare, Bologna, Il Mulino, 2010, p. 37. E dello stesso autore, Settimo non rubare. Furto e mercato nella storia dell’Occidente, Bologna, Il Mulino, 2009.

36 c millini, Discorsi quadragesimali, In Roma, appresso G. Dragoncelli, 1622, la citazione è riportata da fiorani, Religione e povertà, p. 64.

37 d. bartoli, La povertà contenta descritta e dedicata a’ ricchi non mai contenti, In Roma appresso D. Manelfi, 1650, cfr. fiorani, Religione e povertà, p. 65 nota 37.

38 a. sperelli, Della pretiosità della limosina, In Venetia, appresso P. Baglioni, 1666, cfr. fiorani , Religione e povertà, p. 66 note 40-41.

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dotti dalla concezione di staticità e immobilità della società stessa così posta dalla volontà divina, come rilevato da altri autori, ma riconduce le carenze strutturali ad una dimensione morale, con la conseguenza che chi non aiuta i poveri offende non solo la religione, ma la stessa umanità. In questa ottica, l’elemosina risponde a tre aspirazioni della natura umana: conseguire «i veri onori, i sinceri diletti, e l’utile sicuro e incomparabile»39. L’ intento è quello di rassicurare il ricco e di garantirgli che «non ha nulla da rimetterci allargando un poco il cordone della borsa». Si sofferma poi sulla figura del povero che egli analizza ponendo come punto di riferimento la dignità umana. In questo senso, la categoria dei poveri che suscita la sua prioritaria preoccupazione sono «i poveri vergognosi», coloro cioè che sono caduti nello stato della miseria di cui si vergognano come i nobili decaduti o i ricchi che hanno perso le loro sostanza, e che non osano chiedere la carità o i pubblici sussidi40. Sperelli non distingue poveri veri e falsi, degni o indegni. A suo avviso occorre sempre soccorrere chi ha bisogno senza indagare sull’origine della povertà. Fiorani riconosce allo Sperelli il merito di aver trascurato la visione alquanto burocratica e poliziesca volta a distinguere e quindi discriminare i poveri ritenuti indegni della carità: «un povero», sembra dire lo Sperelli, «non lo si può reprimere, bisogna amarlo e soccorrerlo con infinita pietà» 41 .

Altro aspetto del pauperismo esaminato da Fiorani è rappresentato dal rapporto tra povero e benefattore, ai fini della valutazione del gesto munifico da parte del benefattore, delle sue vere intenzioni, che potevano essere ispirate da istanze di autoaffermazione, per acquisire la riconoscenza del povero. La questione è approfondita in un trattatello anonimo 42, ove si afferma che i poveri non sono tenuti alla riconoscenza verso i loro benefattori, ma non manca di osservare che «li poveri et mendicanti si devono contentare del solo bisogno necessario et non ricevere limosine superflue». Come rileva Fiorani, si tratta di un’opera che sottolinea non tanto l’elemosina in sé, quanto «la ragione spirituale da cui è animata», giacché, spiega con accento ispirato al movimento francescano «si ha da movere solo l’affetto» 43 .

39 fiorani, Religione e povertà, p. 67 nota 42.

40 Ibidem, p. 68.

41 Ibidem, p. 69.

42 Si tratta del manoscritto Boncompagni G. 14, intitolato Il semplice trattatello sopra la limosina. Composto dalla signora madre carità per amore et servitio delle pie persone, le quali approfittandose in essa opera riceveranno merito et salute dell’anima, conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Cfr. fiorani, Religione e povertà, p. 70 ove alla nota 47 fornisce una dettagliata descrizione del manoscritto.

43 In fiorani, Religione e povertà, p. 71.

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Il contesto si articola su due questioni: come i ricchi sono obbligati all’elemosina, come i poveri debbono riceverla. L’ obbligo dei ricchi all’elemosina deriva dal fatto che essi sono ricchi per volontà di Dio e per sua volontà sono dispensatori di beneficenza, per aiutare i poveri. Ma i poveri, a loro volta, debbono contentarsi di quello che ricevono, e non scialacquare, non debbono essere quindi egoisti e peccatori, darsi all’ozio e approfittare dei benefici che ricevono perché saranno puniti più severamente dei ricchi44. Principi ispirati chiaramente al controriformismo tridentino e ad un immobilismo dottrinale tipico dell’epoca. E non a caso, come rileva Fiorani, i modi indicati per soccorrere i poveri sono ispirate in modo ‘pedissequo’ alle opere di misericordia45, e non manca di interrogarsi «se operette di questo genere abbiano veramente giovato ad abbattere qualcosa di quel pauroso fossato che divideva, in Roma, i ceti sociali estremi, il ricco e il povero, l’aristocrazia e il popolo indigente, e contribuito a far nascere i presupposti di una nuova e più dignitosa convivenza» 46

L’ analisi dei trattati sopra citati induce Fiorani ad interrogarsi su quali fossero realmente gli intenti che la società perseguiva nell’approntare i provvedimenti contro la mendicità che «poi passava ad applicare con un rigore spesso confinante nella spietatezza», dal momento che era opinione comune che la povertà fosse ineliminabile. Si poteva in qualche modo cercare «un punto di equilibrio fra gli opposti squilibri» senza mettere in dubbio le diseguaglianze sociali esistenti e «la cultura (e diciamo pure gli egoismi) che le rendeva possibili» 47. Lo Sperelli infatti sostiene che «in cadauna città siano due città insieme, ossia la città dei poveri e la città dei ricchi» 48. Il significato è chiaro: la ricchezza e la povertà non sono condizioni sociali «accidentali della vita umana, ma due permanenti realtà strutturali di essa», quindi immodificabili, perché all’origine c’è la Divina Providenza. Non si concepisce una via che superi questa dualità, una più equa distribuzione della ricchezza49. Di conseguenza è altrettanto diffusa e radicata nella società la convinzione della immodificabilità della condizione del povero, al quale

44 Ibidem, p. 72.

45 Ibidem, p. 73

46 Ibidem, p. 74 nota 53.

47 Ibidem

48 sperelli, Della pretiosità, p. 239 e fiorani, Religione e povertà, p. 75 nota 55.

49 fiorani, Religione e povertà, p. 76 nota 57, considerazioni su Stefano Menochio gesuita che aveva una visione più pragmatica e realistica in ordine all’accrescimento della ricchezza cfr. l’opera di g. s. menochio, Institutiones oeconomicae ex sacris litteris depromtae libri duo… Lugduni, ex officina Rovilliana 1627, dallo stesso autore tradotta in italiano e arricchita nell’opera Economica christiana… Venetia, per il Baba, 1656.

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non si riconoscono diritti. Il ruolo della religione consiste quindi nel convincere (‘spingere’) i poveri ad accettare la loro condizione e a trovare nella religione il riscatto del loro status con l’acquisizione di «quella dignità che la struttura sociale aveva loro tolto»50, e nell’indurre i ricchi «non perché cessino di essere ricchi», ma «perché trovino un giusto rapporto tra le esigenze del loro stato e il dovere di sovvenire al prossimo bisognoso». Il fulcro della dottrina, o come sostiene Fiorani, della teologia cinque-secentesca, non è il rifiuto della ricchezza, ma la definizione del concetto del superfluo, e di regole morali per stabilirne l’obbligatorietà 51

Non a caso, proprio su questo tema si accesero polemiche tra «lassisti e rigoristi»52. Come ricorda Fiorani, Innocenzo XI nel 1679 intervenne contro un provvedimento, considerato ispirato al lassismo, concernente la valutazione del superfluo in relazione alla obbligatorietà della sua utilizzazione a sostegno dei poveri, perché da parte dei ricchi sarebbe stato comunque difficilissimo stabilire la differenza tra la quota di superfluo relativo, ovvero in eccesso rispetto al necessario per mantenere lo stato sociale di appartenenza, e il superfluo assoluto invece indispensabile per vivere convenientemente secondo la propria condizione. «Di fronte ad un povero nel bisogno, sembra dire papa Odescalchi, rigorista e amico dei mendicanti romani, non c’è decoro, non c’è esigenza di rango che possano valere: egli ha diritto di avere il necessario da parte di chi più ha»53.

La politica rigorista di Innocenzo XI comunque non modificò la posizione da parte dei ricchi rispetto alla attività caritativa sulla base della valutazione del superfluo. A questo proposito Fiorani cita le parole dell’oratore gesuita Emanuele Orchi, ispirate ad una concezione politica volta ad incoraggiare l’elemosina senza ricorrere a concetti eccessivamente rigidi. In sostanza, il predicatore non colpevolizza la ricchezza, ma l’idolatria della ricchezza: se il mercante non vuole liberarsi della sua mercanzia, se la tenga pure, ma si guardi dagli ingiusti guadagni, dai traffici illeciti, dai contratti

50 fiorani, Religione e povertà, p. 76.

51 Ibidem, p. 76 nota 58 ove si espone la classificazione del superfluo, di impianto tomistico, che subisce modificazioni in relazione alle nuove esigenze della società ove è ormai diffusa una attività economica prevalentemente fondata sul commercio e sulla circolazione dei capitali.

52 Ibidem, p. 77 la nota 59 su m petrocchi, Il problema del lassismo nel secolo x VII, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1953, pp. 36-40. Il lassismo è un sistema morale che teorizza la possibilità di scegliere secondo coscienza nei casi dubbi anche non seguendo l’opinione migliore o prevalente. Sostenuto da alcuni gesuiti nel XVII secolo, criticato da B. Pascal e condannato da Innocenzo XI nel 1679.

53 Ibidem.

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usurari, «dalli scorticamenti del prossimo, dalli assassinamenti del tuo fratello (…)»: è un invito ad utilizzare la ricchezza senza abusarne54. Emerge da questo contesto una doppia morale e forse un doppio Vangelo, «uno, esigente, per i chiamati alla perfezione, l’altro, più “lasso” e benevolo (o tollerante) per i cristiani di modeste possibilità». Una morale che condanna gli eccessi, le intemperanze, ma accetta il compromesso della ricchezza, perché si rivolge ai cristiani non votati alla perfezione55. Difficile quindi prospettare un quadro unitario della situazione pauperismo e dell’approccio caritativo. Fiorani comunque approfondisce i diversi aspetti del pauperismo evidenziati dai contesti di malessere sociale ad esso riconducibili, in primo luogo la malattia «che per la sensibilità religiosa meglio identifica il povero, nella sua condizione di assoluta dipendenza dagli altri (…)». A questo proposito egli cita Giambattista Scanarolo, a parere del quale «il malato povero è dunque il gradino estremo della povertà» perché rappresenta, con la povertà sanitaria e la povertà economica, il povero di Cristo56

Occorre ricordare che la società romana cinque-secentesca non era preparata a «fronteggiare i problemi dello sviluppo demografico e il progressivo movimento dei commerci in un quadro di riorganizzazione della vita economica e di difesa dei ceti più deboli». In questo contesto i malati poveri erano spesso trascurati e inevitabilmente buttati allo sbaraglio. Nella prima metà del ’600 ci troviamo in presenza di eventi calamitosi quali in primo luogo le carestie, prodotte da cattivi raccolti o, come sottolinea Fiorani, «da mancati rifornimenti dall’Agro romano per speculazione dei baroni o dei grandi mercanti», ma anche dalla presenza di banditi. A cui si aggiungono le malattie infettive come febbri maligne, peste, malaria, nonché casi di «mortalità catastrofica o straordinaria», comunque prodotte da carestia ed epidemie57.

È in effetti singolare osservare come nella Roma secentesca, che «stava vivendo sul piano della cultura, dell’arte e sul piano della riorganizzazione urbanistica» «una splendida storia», erano anche presenti quelle calamità che colpivano soprattutto i ceti più indifesi per gli stenti e le privazioni. E,

54 fiorani, Religione e povertà, p. 78 nota 62 ove si cita padre e. orchi, Prediche quaresimali…. Venetia, per Nicola Pezzana, 1666, p. 5.

55 Ibidem, pp. 78-80, la nota 64, ove si sottolinea il fatto che non è facile dedurre dai testi citati e dal contesto complessivo, una posizione uniforme della Chiesa, anche perché non si hanno notizie delle prediche dei parroci, occorre verificare negli archivi delle parrocchie e da altre fonti consultabili.

56 g. scanarolo, De visitatione carceratorum libri tres. Quibus omnia ad visitationem, patrocinium et liberationem carceratorum spectantia explanatur…. Roma, RCA, 1655 p. 228 citato da fiorani, Religione e povertà, pp. 81-82 alla nota 69.

57 fiorani, Religione e povertà, p. 83 e le note 72, 75, 77.

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come nota Fiorani, quando si manifestava un morbo o una carestia, il povero sapeva che «era venuta la sua ora» e che i commissari sanitari intervenivano «per controllarlo, per assegnargli spazi sempre ristretti per l’elemosina» e infine «per recluderlo in S. Sisto o in S. Giacomo, oppure inviarlo ai lavori di campagna pur di metterlo nella condizione di non nuocere (…)»58.

L’ Autore rileva che, a partire dalla fine del ’500, la malattia assume una grande importanza come fattore sociale che promuove la religione: è la prossimità della morte che sollecita interventi di soccorso spirituale per gli ammalati poveri. Non a caso infatti «la legislazione canonica e le costituzioni degli ordini ospedalieri imponevano la precedenza, su tutto, di una buona confessione e di una buona comunione»59. Il che produceva comportamenti spesso di una crudeltà insensata, come racconta «un camilliano del primo Seicento che aveva visto in azione il De Lellis mentre svolgeva il suo servizio presso il Santo Spirito». Quindi l’assistenza religiosa ai malati poveri rappresenta un capitolo del pauperismo romano che riflette «il rigore della mentalità controriformistica» volta a garantire prioritariamente la salvezza dell’anima, e in seconda istanza l’assistenza al male e al dolore 60 .

Fiorani si sofferma poi sulla figura di Camillo De Lellis61 e sull’opera di assistenza ai malati da lui svolta prima nell’Ospedale San Giacomo, poi «dentro le terribili corsie del San Sisto… dentro gli aulici saloni del Santo Spirito, in cui la conclamata tradizione sanitaria non riusciva a far tacere certi lamentevoli giudizi», il cui merito è quello di aver vissuto e affrontato le terribili condizioni dei poveri ammalati «calandosi senza riserve nelle situazioni» per tentare di portare soccorso «anche a costo di lasciare in secondo piano o di delimitare certi impegni connessi strettamente con il ministero sacerdotale»62.

De Lellis soccorre anche i vagabondi e i mendicanti senza fissa dimora che erano fuggiti dagli ospizi cittadini per amore di libertà, e ricercati dalla giustizia per essere espulsi da Roma. Era del tutto contrario ai metodi dell’Ospizio di San Sisto: egli intendeva attuare il recupero della gente messa al bando

58 Ibidem, p. 84 nota 83.

59 Ibidem, p. 85 nota 86 ove si osserva che Pio V, con la Bolla Super gregem dominicum dell’8 marzo 1566 «interdiceva ai medici di continuare ad assistere i malati se dopo la terza visita non avessero ancora assolto all’obbligo della confessione».

60 Ibidem, p. 86 nota 87.

61 Sulla figura di Camillo De Lellis Fiorani rinvia a vari autori soffermandosi in particolare su Sanzio Cicatelli che ne scrisse la biografia, il cui originale è conservato in Roma, Archivio generale dei Ministri degli Infermi, ms. 116, Vita del p. Camillo De Lellis fondatore della religione de chierici regolari Ministri degli Infermi descritta brevemente dal p. Santio Cicatelli sacerdote dell’istessa religione, cfr. fiorani, Religione e povertà, p. 87 nota 91.

62 fiorani, Religione e povertà, pp. 88-89 in particolare la nota 94.

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dalla società o dalle leggi che regolamentavano la mendicità63. È citata la grande carestia del 1590-91 e la condizione drammatica dei poveri che morivano di fame e di freddo, raccontata dal Cicatelli, che racconta anche dell’impegno straordinario di De Lellis per soccorrere i poveri che vivono nelle soffitte, nelle cantine, nelle grotte del Colosseo o delle Terme di Caracalla64. Ma conoscerà anche i miseri ricoverati negli ospedali. Cos’è un ospedale per De Lellis?

una grande concentrazione dei mali, degli egoismi, delle sopraffazioni della città. «Come il punto d’arrivo….non solo delle crisi naturali, dei rovesci atmosferici, delle epidemie, le cui ragioni e le cui dimensioni sfuggivano spesso alla responsabilità degli uomini, ma dell’iniquità di un organismo sociale spaccato verticalmente tra una ricchezza accumulata nelle mani di pochi e l’assoluta indigenza che attanagliava larghi strati popolari65

Fiorani affronta il tema della povertà nelle campagne. Perché? Perché proprio dalla campagna provenivano i poveri che andavano ad ingrossare le fila dei poveri di città. L’ Autore cita le osservazioni di Bernardino Cirillo, governatore dell’Ospedale Santo Spirito, sulle condizioni in cui i poveri, provenienti dalla campagna che per ragioni di siccità o altre calamità naturali non fornisce più il necessario per vivere, cercano rifugio negli ospedali, spesso troppo tardi per sopravvivere 66. Alle quali aggiunge la relazione «elaborata nell’ambito dell’abate Sacco e della magistratura da lui istituita per difendere i lavoranti di campagna»67. Occorre osservare che «la politica economica della capitale domina la condizione e la situazione della campagna, ancora tutta latifondista e senza prospettiva di nuova sistematica: una campagna quindi legata strettamente agli ordini della città»68.

63 Ibidem, p. 89 nota 95 ove è citata questa affermazione del De Lellis: «Padri e fratelli miei, a me non piace quella pietà che s’arrampica nella contemplazione e nell’estasi, per le cime degli alberi, ignorando e dimenticando i doveri fondamentali della nostra vocazione alla carità dei malati».

64 Ibidem, p. 90 nota 98: «l’anno 1591 nel maggior colmo della carestia tutti li ospedali della città di Roma erano tanto pieni di infermi che non avevano luochi e così li poveri lavoratori forestieri si trovavano per le strade molti erano abbandonati et spesso se ne trovarno morti», Archivum Romanum Societatis Jesu (ARSI) Rom. 127, I, gf. 209.

65 Ibidem, p. 91.

66 Ibidem p. 92, nota 101: Roma, Biblioteca Lancisiana, Collezione Cortelli, II, 14 e m vanti, Un umanista del Cinquecento in funzione di riformatore, Bernardino Cirillo commendatore e maestro generale dell’ordine di S. Spirito (1556-1575), Roma, Tip. Poliglotta Cuore di Maria, 1936 p. 120.

67 n. del re , L’ abate Sacco ed una migliore magistratura romana, «Studi romani», 3 (1955), pp. 11-26 citato da fiorani, Religione e povertà, p. 92 nota 102.

68 Ibidem, p. 93, nota 104 ove sono riportate le parole di Petrocchi citate nel testo.

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È

La città dunque spinge fuori delle sue mura i poveri verso la campagna, perché trovino mezzi di sostentamento, ma è poi restia a riaccoglierli nonostante le disposizioni emanate a favore «degli operarii ammalati della campagna romana». Roma si difende dalla pressione proveniente dalle campagne, non solo a proposito dei poveri, ma anche dei briganti che infestavano l’agro romano. Persegue anche una politica economica fondata sul privilegio, ovvero sulla protezione delle esigenze della città a detrimento dei consumatori rurali 69. Manca quasi totalmente la cura pastorale da parte delle autorità delegate come i cappellani; cura che viene svolta dai nuovi ordini religiosi, quali i gesuiti, i barnabiti, i cappuccini, i lazzaristi, che hanno preso coscienza delle condizioni dei poveri abbandonati, e soprattutto afflitti da una grave ignoranza religiosa e da comportamenti morali riprovevoli. Occorreva quindi rimediare anche a queste deficienze religiose e morali con una educazione religiosa adeguata70. Fiorani sottolinea quindi l’opera meritoria di questi predicatori che, nell’affrontare l’opera di catechizzazione e di istruzione religiosa, non potevano non prendere atto, allo stesso tempo «delle penose condizioni di vita (…) di un contesto sociale dominato da strutture feudali incredibilmente arretrate (…)»71 .

Vediamo allora quale era il rapporto tra i poveri e la città o meglio, quale era la politica assistenziale attuata nella città a favore dei poveri. Intanto, occorre ricordare che il contesto antropologico e teologico di riferimento era comunque rappresentato dai princìpi posti dal Concilio tridentino e si incentrava su due percorsi: il primo riguardava il «processo di assestamento delle confraternite che (…) incrementano le finalità caritative e raffinano le tecniche di intervento». Il secondo riguarda il tentativo di unificare gli interventi caritativi con la creazione di un unico centro di accoglienza per i mendicanti, che ebbe inizio sotto i pontificati di

69 Ibidem, p. 93, nota 107.

70 Ibidem, p. 95, nota 111.

71 Ibidem, p. 96, nota 112 ove si riporta il seguente episodio: «Qui si tratta di una povera donna (…) essendo stata quindici anni in peccato mortale, ogni volta ch’era gravida ammazzava il figlio, strozzandolo, gettandolo per li fiumi, altre volte nascondendolo dentro gl’alberi, turandoli con il terreno, ne mai si confessava di tal peccato; ma alla predica un giorno a caso, sentendo riprendere l’ammazzar li figlioli quant’era grave peccato, compunta grandemente venne a trovare il predicatore, fece una confessione generale, con grandissimo proposito di mutar vita». In ARSI, Rom. 127, II, f. 354. La relazione si riferisce al 1599. Cfr. anche p. 97, secondo Fiorani quale fu la risposta della città a problemi di tale drammaticità.

LE CONFRATERNITE ROMANE E LA LOTTA AL PAUPERISMO 151

Gregorio XIII e Sisto V, e che continuò con Innocenzo XII senza peraltro arrivare ad una soluzione72.

In questo quadro si pone l’assistenza romana di cui il Fiorani pone in evidenza alcune personalità di rilievo che operarono in questo settore. L’ attività benefica partiva da un censimento dei poveri effettuato dai parroci, su sollecitazione delle autorità diocesane, con relazioni, quale quella citata da Fiorani relativa all’anno 1625 del Giubileo, ove si esponevano critiche nei confronti dei poveri, che disturbavano i pellegrini e i devoti che affollavano le chiese. Ciò che emerge in queste relazioni è risentimento e fastidio «che solo raramente lasciavano spazio a qualche inflessione di vera pietà»73. E in questo senso si esprimeva anche il parroco di S. Pietro, le cui parole sono citate nel testo, senza che vi fossero tentativi per programmare interventi per sanare una simile situazione. Fiorani ricorda tuttavia la relazione del parroco di S. Maria del Popolo, che al contrario di altre, sottolinea i pessimi trattamenti inflitti ai poveri da parte degli ospedali o da parte di quei parroci che «tengono gli sbirri in chiesa per impedire l’accesso agli accattoni», come nel caso del parroco di S. Maria sopra Minerva74.

Comunque, i censimenti descrivono le diverse categorie di appartenenza dei poveri che comprendono i ‘poveri industriosi’ ossia gli artisti poveri, che non lavorano, le classi povere ‘necessitose’ che sono miserabili, le famiglie che vivono dell’elemosina del papa, i residenti in alberghi e locande, i putti inferiori ai dieci anni, e le meretrici. Sono indicate le famiglie ‘ricche’, quali i nobili, tra le quali la famiglia Orsini, ricchi ecclesiastici e funzionari di Curia, artigiani famosi, avvocati, diplomatici. Circondati da una maggioranza di popolazione povera, vedove, vecchi, manovali senza lavoro75.

Molti di questi poveri soggiornavano nella «casa santa delle Scalette incontro la porta grande della Pace»76, un’istituzione che raccoglieva gruppi di devote romane, ma di cui ancora sappiamo assai poco. Ne emerge un quadro segnato da forti dislivelli sociali, la minoranza dei ricchi e la maggioranza priva del necessario. Da notare, come sottolinea Fiorani che il quadro sociale oggetto dello studio è arricchito dai documenti che testimoniano gli interro-

72 Ibidem, p. 97.

73 Ibidem, p. 98, nota 114 che si riferisce alla relazione del 1625 conservata nella Biblioteca Nazionale di Roma, ms. Vittorio Emanuele 630, Fedi et sottoscrizioni di molti parocchiani per il disturbo che danno li poveri nelle chiese et che periscono per le strade di necessità senz’aiuto alcuno in Roma, ff. 105-113 (v).

74 Ibidem, p. 99.

75 Ibidem, p. 100

76 Ibidem, p. 101, nota 122.

MIRELLA MOMBELLI CASTRACANE 152

gatori condotti dai funzionari degli ospizi nei vari rioni romani, per accertare l’entità dei beni posseduti. Ne deriva che il povero «è chi non ha e non possiede alcunché di suo, e per questo dipende fin nelle piccole cose dagli altri»77

Come si è già rilevato le confraternite cinque-secentesche sono in una posizione di continuità ma anche di rinnovamento rispetto alle esperienze del passato78. Si tratta della ricerca di vie più dirette alla partecipazione dei mali e della degradazione della società, mossa da un reale amore per la città.

Fiorani cita un passo tratto dall’esordio degli statuti delle congregazioni di carità che poi darà vita all’Ospedale dei Pazzi79 ove si descrive come alcuni uomini di buona volontà si siano adoperati per fornire un rifugio ai poveri abbandonati nella strada: «così nasce una organizzazione di carità sullo scorcio del ’500» che da individuale e privata assume connotati sempre più di valenza pubblica, ove prevale l’attenzione per gli aspetti amministrativi e istituzionali, ma che, proprio per questo lentamente finisce per allontanarsi dallo spirito primitivo.

Due sono le opere ricordate da Fiorani poste a confronto: Il Trattato sulla visita e sull’assistenza ai carcerati poveri di Giambattista Scanarolo e l’Euseuologio di Carlo Bartolomeo Piazza80

Per quanto riguarda lo Scanarolo, nel suo scritto fornisce informazioni preziose sulla condizione di una «forma emergente di povertà, quella del carcerato che non ha da pagarsi il riscatto», mentre il Piazza si sofferma sulla distinzione tra veri e falsi poveri81.

Lo Scanarolo concede pietà e assistenza anche a coloro che mentono e simulano, perché la povertà a suo avviso è sempre un fatto penoso, che non di rado si trasforma in degrado morale e quindi nella menzogna, mentre il Piazza sente il dovere di smascherare chi mente, ispirandosi ai principi

77 Ibidem, nota 126 e p. 102. A p. 103 la Tabella dei poveri dei rioni Regola, Ponte, Trevi per l’anno 1670.

78 Ibidem, p. 104 nota 130. A parere di Fiorani la storia confraternale non è ancora uscita dalla penombra in cui una certa romanistica e una certa spicciola storiografia l’hanno confinata, spesso limitando le ricerche ad aspetti folkloristici «quando invece sono state la struttura portante di tutta la realtà associativa romana».

79 Ibidem, p. 105 nota 131.

80 g scanarolo, De visitatione carceratorum libri tres. Quibus omnia ad visitationem, patrocinium et liberatione carceratorum spectantia explanatur, Romae, RCA, 1655 e successive edizioni, in fiorani, Religione e povertà, p. 106 nota 133 e c b piazza, Euseuologio romano, overo delle opere pie di Roma, in Roma, a spese di F. Cesaretti e Paribeni, 1698, p. 199, Lettera d’informazione delle qualità e condizioni del signor abate C. B. Piazza scritta ad N.N., in Roma 1696, ivi, nota 134.

81 fiorani, Religione e povertà, p. 107.

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tridentini che suggeriscono il controllo sui bisogni, ma anche sulla falsità e la menzogna e di «sgomberare il terreno del pauperismo dall’equivoca e affollata categoria della falsa povertà»82

A parere di Fiorani le due diverse opinioni espresse dallo Scanarolo e dal Piazza esprimono «le fluttuazioni di una sensibilità comune», ma anche «le preoccupazioni, le incertezze dei rimedi proposti e della confusa politica assistenziale sempre oscillante tra una prospettiva pietistica e il pesante ricorso a metodi più propriamente repressivi e polizieschi»83.

Il problema della valutazione e del controllo del pauperismo in aumento, che è ormai vissuto come un problema sociale, non appartenente esclusivamente alla sfera privata e religiosa, si riflette sulla organizzazione delle confraternite che tende a modificarsi. Un esempio di questo fenomeno è rappresentato dalla Congregazione del soccorso dei poveri, istituita nel 1602 presso la parrocchia di S. Lorenzo in Damaso, per decisione del parroco e di alcuni devoti84, con l’intenzione di dare alla carità «uno sbocco più calibrato ed intelligente». Il quale, afferma Fiorani, «doveva cominciare dal prendere coscienza della realtà, ovvero (…) da un esatto rilevamento delle varie forme di indigenza. In questa ottica si colloca una confraternita che «occupa un posto di grandissimo rilievo nella storia del pauperismo romano», la Confraternita dei XII Apostoli, fondata nel 1553 da Ignazio di Loyola, il cui fine specifico, posto dallo statuto, era quello di «havere cura delli poveri vergognosi e infermi». Negli statuti sono indicati i criteri per individuare le categorie da soccorrere, che sono in primo luogo «gli artisti che hanno botteghe o che stanno nelle case loro con moglie e figli e simili»85.

Emerge così attenzione nei confronti dei poveri che sono tali non a causa dell’ozio o del rifiuto del lavoro, ma per disgraziate congiunture economiche o per circostanze sfavorevoli che hanno determinato la perdita del lavoro: questo era considerato il vero povero, che dava garanzia del suo status. Di conseguenza si escludono dalla categoria dei poveri bisognosi di assistenza, i mendicanti, le lavandaie, «donne che vadano mendicando per mercede, e sopra il tutto nessuna sospetta per conto di onestà». Sono anche esclusi i

82 Ibidem, p. 108, nota 139 ove si cita di c b piazza, Opere Pie di Roma, descritte secondo lo stato presente, Roma, G. B. Bussotti, 1679-

83 Ibidem, p. 109.

84 Ibidem, p. 110 nota 142. Da notare che si tratta di un caso particolare, dal momento che solitamente vi era concorrenza tra l’istituzione parrocchiale e l’ente confraternale.

85 Ibidem, p.110-111, nota 143 contenente informazioni sulle origini e sulla storia della confraternita, e nota 145 contenente istruzioni per il conseguimento dei fini assistenziali.

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fanciulli minori di otto anni, perché potrebbero essere accolti in ospedali, a differenza delle fanciulle nobili «non convenendo loro l’ospedale» e le «donne infantate di buon vita e fama»86

Come ultimo esempio di questa attività Fiorani ricorda la confraternita della SS.ma Annunziata alla Minerva, fondata dal card. Torquemada nel 1460, che assicurava l’erogazione di doti secondo le disposizioni statutarie. Si ricordano in particolare le regole poste negli statuti del 1614, descritte da Fiorani come «una stizzosa elencazione di circostanze del vivere quotidiano che avevano il potere di trasformare una donna povera in una donna perversa e perciò oltre che indegna di elemosine, meritevole di essere segnata a dito»87.

Si tratta di regole dettate da un moralismo intransigente e privo di spirito caritativo88. In questa ottica il vero povero non è chi vive poveramente, ma chi, pur vivendo in povertà, segue comunque regole di condotta ispirate alla assoluta trasparenza etico-religiosa.

Si arriva così all’ultimo grande intervento antipauperistico della fine del Seicento: l’Ospizio Apostolico, termine con il quale Innocenzo XII intendeva raggruppare sotto un’unica amministrazione tre preesistenti istituti, ovvero l’ospizio lateranense nel quale venivano ricoverate le zitelle e gli invalidi, l’ospizio di San Sisto per gli invalidi e gli anziani, e il S. Michele per i ragazzi89

Si tratta di un intervento volto a «restringere i poveri mendicanti in un solo luogo» per meglio provvedere alle opere di carità, dal momento che il problema della mendicità e del vagabondaggio non era stato risolto e anzi si andava aggravando, proprio perché gli interventi di beneficenza, frazionati in innumerevoli iniziative attuate da una quantità di istituti che agivano senza coordinamento, moltiplicavano le spese di gestione e polverizzavano le poche elemosine disponibili. Fiorani osserva comunque che l’Editto del card. vicario Carpegna del 2 ottobre 1692, si intitolava non a caso «sopra la reclusione dei poveri», perché esprimeva quella che era la vera intenzione delle autorità competenti, togliere dalla vista la massa dei poveri che rappresentava un disturbo per la comunità cittadina90.

86 Ibidem, p. 112, note 147 e 148.

87 Ibidem.

88 Ibidem, p. 113 ove si trova l’elenco delle fanciulle escluse dalle doti.

89 Ibidem, pp. 114 sgg., nota 153 con riferimenti bibliografici; la bolla di erezione Ad Exercitium Pietatis è del 20 maggio 1639.

90 Ibidem, p. 115 nota 154.

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L’ Ospizio apostolico, voluto e fondato da Innocenzo XII nel 1693 rappresenta l’assistenza organizzata e controllata dallo Stato «in cui si fanno sentire le ragioni della pietà ma ancor più forti le esigenze di un rigido disciplinamento». Fiorani descrive i nuovi orientamenti caritativi, come emergono da uno scritto di André Guevarre, fondati sulla critica alla gestione sino ad allora affidata, a suo avviso, ad incompetenti, che «avevano fomentato un costume di accomodamento e di rinuncia negli indigenti certamente più avvilente dell’indigenza stessa», trasformando il povero in una figura infingarda e detestabile, senza riconoscenza per i benefattori. «L’ esercizio del mendicare in Roma dirsi poteva una scuola di furto, d’impurità, di bestemmia, di sfrenatezza e d’ogni sorta di abominazione», afferma il Guevarre e non manca di criticare la gestione dei precedenti ospizi91

La soluzione proposta di raccogliere tutti i poveri in alcuni ospizi, ma unitariamente gestiti ed amministrati, implicava comunque l’abolizione dell’accattonaggio e l’espulsione dei riottosi, ma anche l’emergere di una configurazione del povero, che resta una creatura disgraziata che occorre aiutare, ma che occorre anche liberare «dalla falsa compassione dell’elemosina e poi da rieducare con il lavoro, la disciplina e un’intensa pedagogia religiosa». Si delineano cioè preoccupazioni di ordine politico-sociale che cercano risposte non tanto nella carità, ma nella applicazione delle leggi per la tutela dell’ordine pubblico e che avrebbero determinato vantaggi «per il pubblico, i poveri e i ricchi». In che senso? Per il pubblico perché con l’abolizione della mendicità si sarebbero recuperate potenziali forze lavoro da utilizzare «come buoni servitori, buone serve e buoni operarii per la città». Per i ricchi, perché la loro elemosina avrebbe avuto un obbiettivo più preciso e una distribuzione più razionale, e infine per i poveri, che avrebbero usufruito anche di aiuti spirituali, di sostegno religioso e fideistico92.

Il percorso dell’istituto che vide la luce nel 1692, secondo Fiorani, fu ispirato dalla teorica e dalla prassi adottate nella Francia al tempo di Richelieu, ma soprattutto all’azione dei due padri filippini Mariano Sozzini93 e Francesco Marchesi94, considerati precursori di una concezione rigoristica

91 Ibidem, p. 116 nota 156 concernente a. guevarre, La mendicità proveduta nella città di Roma coll’ospizio publico fondato dalla pietà e beneficenza d nostro signore Innocenzo x II p. m. con le risposte all’obbiezioni contro simili fondazioni, In Roma, nella stamperia di G. G. Komarek, 1693.

92 Ibidem, p. 117.

93 Ibidem, p. 118 nota 164 con informazioni biografiche sul sacerdote senese che può essere considerato un anticipatore della soluzione dell’ospizio unico.

94 Ibidem, p. 119. nota 165 informazioni sull’oratoriano Francesco Marchesi.

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e di disciplina per la gestione del pauperismo e della mendicità, con progetti sul «modo di togliere il birbante (il mendicante fraudolento) con metodi di coercizione come la clausura e il lavoro coatto nelle galere». Non mancano poi relazioni di parroci, monaci dei conventi e membri di confraternite, sollecitate dal card. Vicario al tempo di Clemente X, concernenti il modo di affrontare la povertà. Le risposte sono convergenti sulla necessità di individuare un luogo unico per accogliere i poveri, un ospizio unico ove convergere le elemosine raccolte nelle parrocchie e delle quali il parroco era responsabile, che ospitasse i poveri, per liberare la città dall’assedio ormai intollerabile dei poveri95.

Peraltro Fiorani sottolinea che l’accoglienza a questa proposta da parte di chi era direttamente interessato fu estremamente tiepida se non ostile: «…aspre critiche cominceranno ad affiorare negli stessi ambienti curiali che mettevano il dito sui punti deboli dell’istituzione»96, in particolare a proposito della replica alla critica che ai giovani ricoverati veniva fornito un vitto scarso. La risposta fu: « (…) si è creduto necessario un trattamento frugale, perché le ragazze per non haver dote, dovendosi maritare a gente povere e che devono guadagnarsi il pane con le loro fatiche che, se fossero assuefatte a vivere con abbondanza e delicatezza difficilmente sariono state d’accordo con li loro mariti, e più difficilmente si sarisano anche trovate da maritarsi, e li ragazzi mai si sariano potuti accomodare a i patimenti che richiederà il vivere con le proprie braccia»97. Senza contare gli episodi di fuga, quale quello segnalato dall’ospizio di S. Giovanni in Laterano98. La ragione era il rifiuto di un soccorso offerto con severità arcigna e rigorosa e la ricerca di libertà e di calore umano. Fiorani conclude questa vicenda dell’ospizio unico descrivendo un contesto rappresentato da «un modello di povero e di povertà costruito dalle leggi, dai teorici, dai filantropi, (quindi astratto) e un povero in carne ed ossa che è restio a ritrovarcisi, che recalcitra e addirittura tenta di sfuggire alle maglie in cui lo si vorrebbe imprigionare». Una sorta di battaglia che non ebbe esiti risolutivi, se non nel secolo XVIII, e che Fiorani riconduce alla posizione già vista in precedenza di Camillo De Lellis, di cui riporta alcune riflessioni99.

95 Ibidem, p. 120.

96 Ibidem, nota 171.

97 Ibidem.

98 Ibidem, nota 172.

99 Ibidem, p. 121 nota 175. Così risponde il De Lellis a chi gli faceva osservare che «certi poveri erano ribaldelli che avevano abusato della carità: “…ma dunque, fratello, non considerate voi, in questi poveri, altro che quei quattro stracci che loro vedete addosso? E

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Al povero ribelle e insofferente la letteratura devota contrappone il ‘povero santo’, il cui modello è rappresentato da due poverissimi e oscuri mendicanti, Angelo Fiorucci e Bartolomeo Tanari100, della prima metà del Seicento, che passarono gran parte della loro vita nell’ospizio di S. Sisto, il cui comportamento mostra quale doveva essere il comportamento del povero virtuoso ‘devoto e pio’, «contento del suo stato e disponibile a leggere in chiave spirituale il senso delle sue privazioni»101.

A parere di Fiorani, questo era il punto d’arrivo della letteratura devota e della mentalità ricorrente: il santo povero, espressione «delle infinite sofferenze che la città infliggeva, delle malattie, delle varie forme di disoccupazione o di sottoccupazione, della fame vera e propria che nessuna provvidenza riusciva a sconfiggere, un motivo di elevatezza spirituale ed eventualmente di santità»102. Tuttavia, si evidenzia anche l’aspetto del rapporto del povero con il potere, rappresentato in questo caso dal «delizioso cicaleccio di principesse e di donne titolate che invadono le corsie di un ospizio e fanno ressa attorno ad un disgraziato in fama di santità, per sollecitarne qualche consiglio da opporre ai loro fragili affanni»103. In questa ottica la povertà perde la sua durezza carica di dolore e sembra trasformarsi in una occasione di esibizione sociale a vantaggio di alcuni soggetti privilegiati. E non a caso si riscontra una certa coincidenza con la trattatistica coeva sull’argomento della povertà e sull’elemosina come mezzo per salvarsi l’anima, concentrando l’attenzione sulla beneficenza e sulla valutazione del superfluo, affidata alla totale discrezione dei ricchi, «i quali», come rileva Fiorani, «naturalmente non avevano difficoltà a fare appello a tutte le ragioni più serie per non dare, per dare poco, e ad ogni modo per dare in base a valutazioni inevitabilmente misurate dei loro beni, e di ciò che di essi poteva essere considerato il superfluo»104. Eppure, a questa tendenza conservatrice, si contrappongono figure di alta qualità morale, come Giuseppe Calasanzio, che intraprese una azione educativa volta ad aiutare i poveri ad istruirsi per uscire dall’immobilismo in cui li condannava la concezione passiva del loro

non riflettete che sotto di quegli stracci potrebbe essere nascosta la persona di Gesù Cristo, come avvenne a s. Gregorio che più volte diede l’elemosina ad un angelo pensando che fosse un povero?”».

100 Ibidem, p. 122 ssg., note 176, 177.

101 Ibidem, p. 123.

102 Ibidem, p. 128.

103 Ibidem.

104 Ibidem, p. 129, nota 189.

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158

status sociale, per combattere quindi l’analfabetismo, l’ignoranza e il pericolo della criminalità, avendo constatato «che né i maestri rionali né le scuole tenute da religiosi erano in grado di raccogliere questi figli dei poveri»105 Aiutato da semplici preti e parroci, egli riuscì a fondare nel rione Trastevere, presso la parrocchia di S. Dorotea, una scuola aperta all’accoglienza verso tutti i bambini e giovani che non potevano accedere all’istruzione per mancanza di mezzi. Egli fondò quindi «la prima scuola popolare gratuita d’Europa». Poiché l’istruzione era privilegio delle classi più abbienti, ampliò poi la sua azione educativa con l’apertura di altri istituti scolastici, tra cui l’Autore ricorda l’istituto Nazareno di Roma. Fondò anche un ordine religioso, riconosciuto dalla Chiesa come Ordine dei Chierici Regolari Poveri della Madre di Dio delle Scuole Pie, i cui membri si chiamarono Scolopi. Fiorani sottolinea infatti il ruolo della religione, ma si potrebbe dire del modo di intendere la religione di alcuni personaggi di animo nobile che hanno vissuto direttamente e con partecipazione la povertà intervenendo per portare solidarietà ed effettivo sollievo alle sofferenze dei tanti poveri della città106.

4. Lo Stato e la Chiesa: conflitti e rivendicazioni sulla gestione della beneficenza

Diverso è il contesto cronologico di riferimento del secondo saggio su cui abbiamo soffermato l’attenzione in ordine alla ricerca svolta da Fiorani sul rapporto tra le confraternite e lo Stato italiano107. Di conseguenza è diverso il contesto storico, politico e sociologico nel quale le confraternite hanno svolto la loro opera.

L’ Italia, sulla spinta dei moti risorgimentali e delle guerre vittoriose, nel 1861 si era unificata nella configurazione del Regno, sotto la guida di Vittorio Emanuele II. Restava aperto il problema di Roma, ancora capitale dello Stato pontificio, ridotto al Lazio, quindi del rapporto con la Chiesa che non riconosceva la legittimità del governo sabaudo, definito ‘intruso governo’. Siamo in presenza quindi di una fase di transizione durante la quale si andava consolidando la struttura istituzionale dello Stato italiano, considerato dal pontefice una minaccia nei confronti dello Stato pontificio ormai in declino. Il 1870, con la presa di Roma da parte dell’esercito italiano, segnò la fine del potere temporale e un nuovo assetto istituzionale della città che divenne la capitale del Regno e il papa confinato per sua volontà nel

105 Ibidem, nota 190.

106 Ibidem, p. 131.

107 fiorani, Discussioni e ricerche, cfr. la nota 3.

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Vaticano. In questo contesto Fiorani pone la questione delle confraternite connesse alla attività di beneficenza, e l’intervento dello Stato italiano che intese riorganizzare quel settore di grande importanza per la ripercussione che poteva avere nell’opinione pubblica.

In prima istanza Fiorani non manca di rilevare che la storiografia sull’associazionismo confraternale, concernente il periodo indicato, nonostante la complessità e la ricchezza del tema, per le implicazioni e i suggerimenti del contesto in cui si pone, pur essendo abbondante, fu in realtà notevolmente superficiale ed approssimativa. «Si tratta» egli osserva «salvo una parte assai esigua, di saggi e articoli molto rapidi, comparsi su periodici romani e sulle pagine dei quotidiani. Il loro taglio, la loro misura sono dunque rivolti a soddisfare la spicciola curiosità dei lettori, con molte concessioni ad elementi coloriti ed aneddotici. Spesso sotto questi brevi scritti si cela una rara competenza, ma per la maggior parte si tratta di letteratura molto modesta, costruita su fonti di seconda e terza mano, ferma alla superficie più banale e abusata dei fenomeni storici»108.

Fiorani osserva che tale fenomeno deve in gran parte essere ricondotto alla fase di transizione dallo Stato pontificio allo Stato italiano109, transizione che aveva prodotto un mutamento nella cultura, più aperta a suggestioni laiche e scientifiche e più recettiva rispetto a contrapposizioni etiche o utilitaristiche sulla funzione del potere pubblico statale nella gestione, in particolare, della attività di beneficenza, sulle circostanze che ne avevano garantito la funzione e lo sviluppo, ma anche il giudizio sulla loro configurazione.

Per quanto riguarda la pubblicistica a sfondo ecclesiastico e confessionale, Fiorani cita il saggio del cardinale Carlo Luigi Morichini110, che a suo avviso, rappresenta «l’espressione più significativa, anche se in termini assai misurati, di una mentalità legata al vecchio mondo curiale e papalino, e degli umori che la caduta dello Stato pontificio aveva contribuito potentemente ad alimentare»111 , quindi una contrapposizione «all’espandersi di una cultura impregnata di fermenti laicisti ed anticlericali», per dimostrare che «la carità e la sollecitudine verso i problemi della città terrena erano state efficacemente praticate laddove non erano attecchite le cattive radici delle ideologie moderne».

108 Ibidem, p. 11 nota 1.

109 Ibidem, p. 12 nota 3.

110 Ibidem, p. 13 nota 5 ove è citato c. l. morichini, Degl’istituti di carità per l’assistenza e l’educazione dei poveri e dei prigionieri, Roma, ed. Novissima, 1870.

111 Ibidem, p. 14 nota 7 ove rinvia al saggio che abbiamo esaminato nelle pagine precedenti.

MIRELLA MOMBELLI CASTRACANE 160

Il saggio del cardinale Morichini ebbe diverse edizioni, che videro la luce tra il 1835 e il 1842, quindi ancora sotto il regno di Pio IX. Vi erano descritti i diversi settori di intervento della beneficenza, vale a dire il settore sanitario, quello per l’ospitalità ai forestieri e ai pellegrini; il settore che comprendeva orfani, vecchi, poveri vergognosi, donne nubili; la questione dell’istruzione elementare e catechistica dei ceti popolari; e, non ultima, la difficile realtà carceraria della città. Come rileva Fiorani, il Morichini intendeva descrivere nel modo più aderente possibile alla realtà le strutture assistenziali esistenti, completate da «ampie disquisizioni teoriche sulla base di una buona conoscenza della letteratura assistenziale italiana e straniera»112. Ma solo nell’edizione definitiva del 1870 l’opera risulta terminata e completata da considerazioni di contenuto, che potremmo definire ‘politico’, con riferimenti alla ‘tristezza dei tempi’, nell’intento di confutare «le idee false su Roma che si teme da alcuni come luogo di miseria e di ignoranza», esaltando invece la funzione fondamentale della Chiesa nella organizzazione delle opere di carità e di beneficenza.

Peraltro, Fiorani non manca di rilevare che il Morichini si sofferma, a proposito delle confraternite, sulle caratteristiche della società ottocentesca, indicando quelle che erano riuscite a svolgere il loro ruolo nell’ambito della società in evoluzione, finendo per «assumere talora, il ruolo di vere e proprie strutture pubbliche»113. Una trasformazione che aveva finito per distogliere quelle associazioni dallo scopo originario, basato esclusivamente sulle religione e sulla carità, per privilegiare invece una attività sociale e amministrativa.

Nei settori su indicati, ove si poneva la necessità di interventi caritativi, erano attive confraternite particolari. Ad esempio, nella realtà sanitaria romana vi era la confraternita della Trinità dei Pellegrini e Convalescenti, unica istituzione confraternale ad amministrare un ospedale. Fondata da San Filippo Neri nel 1548, era riuscita nel tempo a dare assistenza, cibo gratuito e rifugio a folle enormi di pellegrini bisognosi114.

Il Morichini elenca alcune confraternite che ebbero particolare rilevanza nei settori in cui operarono. Così la confraternita dei Dodici Apostoli e Confraternita dei Nobili Aulici per i poveri vergognosi, sia pure ormai in una fase di decadenza, come anche la Congregazione degli Operai della Divina Pietà, invece in pieno sviluppo. A cui si aggiunge la Confraternita

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112 Ibidem, p. 15 113 Ibidem, p. 16 114 Ibidem, p. 17.

della Dottrina Cristiana115 per la catechesi, inoltre le confraternite di San Girolamo della Carità, di San Giovanni Decollato, della Pietà dei Carcerati per il sostegno ai carcerati romani, delle quali il Morichini mette in evidenza la funzione di intervento e di controllo sul disordine delle strutture carcerarie, e per mitigarne le misure talvolta disumane, riferendosi agli scritti del giurista secentesco Scanarolo, «autorevole esponente della Confraternita di San Girolamo»116.

Tuttavia, a parere di Fiorani, il contributo del Morichini alla storia delle confraternite è piuttosto modesto.117 Perché? In primo luogo perché il Morichini si è limitato ad attingere alle opere di storici e compilatori di curiosità romane quali il Fanucci, l’Ameyden, il Piazza, senza introdurre riflessioni critiche o discussioni su quanto veniva affermato, limitandosi ad aggiungere dati desunti da Bolle pontificie, statuti, documenti ufficiali, e qualche raro documento d’archivio consistente nelle relazioni di Visite Apostoliche. Ciò che si coglie, come Fiorani sottolinea, è l’intento di valorizzare la struttura assistenziale al tempo di Pio IX e indirettamente, solo alla fine del volume, la preoccupazione per i tempi nuovi che si annunciavano. In qualche modo, e paradossalmente «il Morichini registra e sollecita l’emergere delle prime formule dell’associazionismo laicale moderno, che condanneranno quelle antiche ad un inesorabile declino»118.

Altro saggio segnalato da Fiorani è quello dell’avvocato francese Léon Lallemand, pubblicato circa un decennio dopo quello del Morichini, ove si descrive una storia della carità nel mondo cristiano. Lallemand esprime comunque lo stesso atteggiamento critico del Morichini nei confronti dell’ambiente romano in fase di laicizzazione e di anticlericalismo per iniziativa del governo italiano e «verso le drastiche misure adottate nei confronti delle istituzioni religiose»119. Pagine dalle quali emerge, come rileva Fiorani, prioritariamente la funzione affidata alle confraternite e alle associazioni laicali di sostenere l’opera di carità cristiana che era stata loro affidata, verso una città non più impregnata di valori religiosi come Roma era sempre stata, ma «sorda, ostile, guidata da princìpi che non solo mal si conciliavano con l’istanza cristiana, ma addirittura si opponevano ad essa (…)»120.

115 Ibidem.

116 Ibidem, p. 18 nota 18.

117 Ibidem.

118 Ibidem, p. 19.

119 Ibidem, p. 19 nota 19 ove è citato l. lallemand, Histoire de la charité à Rome, Paris, Pussielgue frères, 1878.

120 Ibidem, p. 20.

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Tra il 1860 e il 1890 si accese una discussione pubblica molto forte sulle confraternite, da parte del clero e delle autorità competenti. Intervennero «certo i pastori d’anime, i vescovi, i parroci» contro quella che consideravano una sorta di concorrenza da parte del potere statale, ma vi fu anche la partecipazione di giuristi, canonisti, burocrati e funzionari dei diversi uffici e ministeri, come anche di sociologi, tecnici della statistica, ragionieri e contabili. «Le confraternite sono divenute un caso nazionale, dai riflessi ideologici molto spiccati»121.

Intanto, già con la legge del 1862 lo Stato italiano aveva disposto l’eliminazione di ogni ingerenza ecclesiastica in ordine alle confraternite sottoponendole al controllo del governo, assimilandole così alle Opere Pie comuni. Nel 1877 il ministro dell’interno Marco Minghetti presentava una Riforma delle leggi sugli istituti di beneficenza. Circa dieci anni dopo, Crispi presentava un Progetto sulle istituzioni pubbliche di beneficenza, poi divenuto legge il 17 luglio 1890, che poneva ulteriori controlli governativi, ma anche «la trasformazione degli enti, ossia stabiliva la destinazione dei patrimoni ad altre finalità, pur restando intatta la personalità dell’ente». Con la successiva legge 20 luglio 1890 concernente le confraternite romane, si dispose che i patrimoni delle confraternite fossero indemaniati e le rendite destinate agli istituti di beneficenza della capitale, gestite dal Comune di Roma122. Provvedimenti che produssero inevitabili inasprimenti del conflitto tra lo Stato italiano, definito invadente e insaziabile dalla Chiesa, e i richiami del governo alle ragioni dello Stato sovrano, con l’intento di consolidare la laicizzazione della nuova Italia e potenziare le funzioni istituzionali, ma anche di sottolineare la realtà della decadenza di molte confraternite rispetto agli originari principi assistenziali123. Era diffusa la convinzione che le confraternite fossero «ridotte a gestire non già la pietà degli umili e i loro bisogni materiali, ma la cupidigia e le trame di piccole congreghe di associati, a farsi centri di interessi particolaristici, circoli chiusi che qualche volta applicavano a sé la beneficenza che l’ente doveva erogare per gli indigenti. Per cui lo Stato riteneva giusto avocare a sé tale competenza, perché occorreva una assistenza libera «da tutte le ingerenze che la teocrazia abbia potuto usurpare perché i soccorsi sono dovuti a tutti, non solo a coloro che frequentano le chiese». Perciò, anche in questo caso, occorreva applicare il

121 Ibidem, p. 21 ssg, note 25.

122 Ibidem, p. 22 nota 26

123 Ibidem, p. 23. «Diceva Crispi: prendiamo le 9.464 (confraternite) che hanno un patrimonio: esse possiedono lire 302.167.205. Come si spende questo patrimonio? In beneficenza la parte minima».

LE CONFRATERNITE ROMANE E LA LOTTA AL PAUPERISMO 163

principio della separazione del potere temporale dallo spirituale sul quale si era fondato il diritto pubblico ecclesiastico del giovane Stato124.

Quali furono le repliche? Da parte della Chiesa ufficiale «fu pubblicata una lettera pastorale dai toni molto duri», vi furono interventi molto polemici da parte di parlamentari cattolici, e repliche anche da parte dell’opinione pubblica e di giornali quali L’ Osservatore Romano, Civiltà Cattolica, L’ Osservatore Cattolico, come anche da parte delle confraternite stesse. Si respingeva l’attacco indiscriminato alle confraternite che, in ogni modo, hanno sempre svolto opere di assistenza, con la convinzione «che noi facciamo meglio di loro». Si rilevava che invece l’assistenza praticata dagli enti pubblici era burocratica e fredda, senza il calore della pietà. La risposta era che la religione vissuta e proposta dalle confraternite non era vera religione, ma «superstizione pura e semplice, un ingannevole passatempo offerto alle masse più sprovvedute»125. Fiorani cita a questo proposito le parole del deputato ‘di ispirazione liberale’ Pisanelli il quale affermava «(…) Signori, il povero non si ricrea con laute imbandigioni , non ha balli, non teatri, le sue feste sono nelle chiese, e voi non avete il diritto di rapirgliele, e qualora l’aveste sarebbe esercitato con villania e barbarie, perché il povero non solo ritrae, da questi sodalizi, consolazione e conforto, ma ancora sentimenti d’amore e di pietà»126.

Alle leggi si aggiungevano indagini ‘conoscitive capillari’ per accertare l’entità dei patrimoni posseduti e la situazione giuridica di questi enti. Fiorani cita la Statistica delle confraternite con la quale si provvide alla soppressione di molte di quelle istituzioni, senza una adeguata valutazione delle tipologie confraternali a causa della difficoltà della loro identificazione, ma anche perché i funzionari che si occupavano della questione non avevano competenze a riguardo127.

A questo proposito, Fiorani cita Quirino Querini che traccia una storia della beneficenza romana, pubblicata nel 1892, ove si supera la concezione

124 Ibidem, nota 31.

125 Ibidem, p. 24.

126 Ibidem, p.25, nota 36. Il discorso di Pisanelli in Atti Ufficiali, 6 luglio 1867 p. 1202 cit. in f scaduto, Il digesto, VIII, I, p. 1034.

127 Ibidem, p. 27, nota 44 Statistica delle confraternite, a cura del Ministero di Agricoltura, Industria e commercio, Direzione Generale della statistica, vol. I, Piemomnte, Liguria, Lombardia, Veneto, Emilia, Toscana, Marche, Lazio e Umbria, Roma 1982 affidata alla Direzione Generale della statistica, Statistica delle opere pie al 31 dicembre 1880 e dei lasciti di beneficenza fatti negli anni 1880-89. Spese di beneficenza sostenute dai comuni e dalle provincie negli anni 1880-87, VII, Lazio e Umbria, Roma 1890.

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esclusivamente patrimoniale, e si evidenzia un orientamento dell’opinione pubblica convinta dell’inutilità della carità privata128.

Nel percorso della storia delle confraternite, a partire dal pauperismo della società romana sino al sorgere dell’intervento del clero nel medioevo, sino alla formazione dello spirito associativo dei semplici fedeli, quindi delle confraternite laicali, «il Querini sottolinea bene la centralità della dimensione religiosa»129 e in particolare delle confraternite romane cinque – secentesche. Infine «giunge ai problemi di assistenza nella Roma di Pio IX e alla situazione delle opere pie romane dopo l’applicazione, nel 1870, delle leggi sulla beneficenza»130.

Il Querini è convinto, da liberale, «che lo Stato ha il dovere di gestire e di governare la materia della beneficenza, ma il problema è quello di individuare il modo corretto di esercitare questo dovere». A suo avviso, da giurista, «c’è un equivoco (…) nel credere che le istituzioni di beneficenza siano regolate soltanto da ragioni di diritto pubblico e non abbiano alcun rapporto con le norme di diritto privato». Sono invece il risultato di due coefficienti: la volontà privata che fornisce beni e scopo per determinare l’esistenza giuridica dell’ente, e l’atto formale, giuridico, del potere legittimo, ovvero della autorità competente, che nell’interesse pubblico lo riconosce e lo dichiara. Quindi bisogna procedere con cautela. La legislazione sulla soppressione indiscriminata delle confraternite era stata un atto improprio e non a caso aveva sollevato molte proteste: «fu ingiusta e impolitica». Occorreva invece riformarle con scopi più moderni e più civili, più adatti ai bisogni della società nostra131. Senza parlare delle confraternite romane costrette a devolvere le loro rendite al Comune di Roma. Esprime quindi una posizione a favore delle confraternite e contro una legislazione a dir poco impropria132.

Fiorani peraltro non manca di osservare che «la ricognizione del Querini è comunque opera di non grande rilievo: troppe pagine generiche, troppi interventi fantasiosi la indeboliscono e la rendono di scarsa utilità»133. Un contesto che trova riscontro nella Guida della beneficenza, che tuttavia, come

128 Ibidem, p. 29 nota 48 ove è citato q. querini, La beneficenza romana dagli antichi tempi fino ad oggi, Studio storico critico, Roma, Tipografia Tiberina di F. Setth, 1892, cfr. anche la p. 30 sullo stesso argomento.

129 Ibidem, p. 30 nota 5, cfr. anche il saggio precedente Religione e pauperismo, esaminato in questo saggio.

130 Ibidem, p. 31.

131 Ibidem.

132 Ibidem, p. 32

133 Ibidem, p. 33

LE CONFRATERNITE ROMANE E LA LOTTA AL PAUPERISMO 165

osserva Fiorani dimostra che «l’elemento di maggior confusione è dato proprio dal rapporto, non chiarito, tra le confraternite e le istituzioni pubbliche di beneficenza (…)»134

Non mancò la reazione cattolica e le confraternite romane assunsero una posizione decisa a loro difesa. Le critiche riguardarono in primo luogo i punti deboli della legge 1890 prefigurando un contenzioso contro le autorità pubbliche. E in proposito non mancò il sostegno degli ambienti ecclesiastici e curiali più qualificati, compreso il papa Leone XIII, che nel dicembre del 1889 espresse «sia pure in termini moderati, la sorpresa e il disagio per le misure eversive progettate». Posizione assunta anche da L’ Osservatore Romano e da Civiltà Cattolica. In particolare L’ Osservatore romano segnalava il pericolo di intromissioni della massoneria che mirava ad impossessarsi dei patrimoni della Chiesa nell’indifferenza delle autorità pubbliche, e dei giornali monarchici «assorti tutti nella soddisfazione di far cosa ingiusta e ingrata alla Chiesa»135

La Civiltà cattolica, organo della Compagnia di Gesù difese con decisione le confraternite romane che meritavano «ben altro credito e riconoscenza di quanto non erano disposti a concedere altri settori dell’opinione pubblica». Oltre ad esprimere lo sdegno per la decimazione delle confraternite, il giornale si soffermava sulla vendita della Chiesa della Pietà in piazza Colonna, decisa dalla confraternita nazionale dei Bergamaschi su sollecitazione dei commissari regi, come anche sulla trasformazione del patrimonio della confraternita dei Fiorentini, sostenendo in particolare le accuse di ruberie e irregolarità nei confronti dei funzionari degli istituti di controllo136. A questo proposito si descriveva una seduta del Consiglio comunale del 10 aprile 1893, in cui la maggioranza liberale aveva approvato il passaggio di 33 opere pie dai parroci e dal clero nelle mani dei laici della Congregazione di Carità137.

Si apriva così una fase conflittuale, caratterizzata da vertenze, relazioni dei commissari regi, perizie e sentenze, come testimoniano i documenti allegati alla Relazione della Commissione istituita dal prefetto di Roma con

134 Ibidem, nota 59 Guida della beneficenza in Roma, Roma, Tip. dell’Unione Coop. Editrice, 1907; nota 60, e p. 34 nota 61; la citazione nel testo a p. 35.

135 Ibidem, p. 66 nota 65 ove è citato il discorso di Leone XIII nel concistoro del 30 dicembre 1889, inizialmente moderato, ma, con l’approssimarsi della approvazione della legge Crispi, con il ricorso ad espressioni quali «violenza nemica» che perseguita «gli ultimi avanzi dei beni ecclesiastici».

136 Ibidem, p. 37, le note 69 e 70

137 Ibidem, pp. 37 e 38.

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decreto 6 giugno 1904 sullo stato patrimoniale dell’Arciconfraternita di S. Carlo dei Lombardi , ma anche su altre confraternite nazionali138.

In effetti, le controversie tra lo Stato italiano e le confraternite posero all’attenzione dell’opinione pubblica le confraternite, ma in termini riduttivi, se non addirittura negativi, dal momento che assumevano rilevanza gli aspetti patrimoniali, economici ed amministrativi mentre non si evidenziavano gli scopi della loro esistenza e il contesto religioso delle attività benefiche svolte139.

Occorre altresì aggiungere che nell’opinione pubblica dello Stato italiano, orientata verso una sempre più decisa laicità, le confraternite apparivano un relitto del passato, la loro presenza più ingombrante che benefica, dal momento che la difesa dei ceti bisognosi si riteneva raggiunta con i sistemi di sicurezza sociale e non con la religione e la carità140. Ricorda Fiorani che nel periodico laico La Nuova Antologia si affermava: «Basta con le dame di carità» dal momento che, nella nuova mentalità l’assistenza non era una questione religiosa, ma un dovere sociale ed un servizio pubblico141.

L’ Autore si sofferma poi sull’orientamento storiografico sulle confraternite posto in essere «da quella cerchia di storici e di ricercatori di cose romane – i romanisti appunto – particolarmente attiva tra gli anni venti-quaranta del nostro Novecento»142, per i quali il tema trattato si colloca nel contesto della città di Roma, punto di riferimento affettivo, storico, artistico. In questa ottica la storia delle confraternite si identifica con la storia della città, ne diviene una componente essenziale dal punto di vista sociologico e anche politico, oltreché religioso. In questa dimensione si colloca, tra gli altri citati, un breve scritto di Luigi Huetter, il quale, senza pretese di erudizione, tuttavia «in poche pagine riesce così ad evocare storia e leggenda delle confraternite, soffermandosi sulle forme espressive della loro pietà religiosa (…) e sulle manifestazioni più tipiche della loro attività (giustizie, rappresentazioni,

138 Ibidem, p. 39 nota 77 con riferimento a g bonella, Relazione della commissione istituita dal Prefetto di Roma con decreto 6 giugno 1904 n. 22201 sulla arciconfraternita dei SS. Ambrogio e Carlo della nazione lombarda in Roma, Roma, Unione Cooperativa Editrice, 1907.

139 Ibidem.

140 Ibidem.

141 Ibidem, pp. 40 -41, le note 78 e 79.

142 Ibidem, p. 55 nota 114 ove l’Autore ricorda in particolare le opere di j. f.alonzo, Las Iglesias nacionales de España en Roma. Sus orìgines in Anthologica annua, 5, 1956, pp. 48-96 e id., Santiago de los espanoles y la archiconfradìa de la Santìsima Resurreccìon de Roma hasta 1754, ivi, VIII, 1960, pp. 279-329.

LE CONFRATERNITE ROMANE E LA LOTTA AL
167
PAUPERISMO

morti di campagna) dalle quali traspare tutta intera la vena affettuosa del suo raccontare (…)»143.

Non manca di citare anche altri autori che hanno affrontato il tema in oggetto144, comunque l’analisi svolta in ordine agli «esiti finali di questa serie di approcci» trova un suo punto di riferimento nel lavoro di Matizia Maroni Lumbroso e di Antonio Martini, che offre un quadro storico puntuale e approfondito dell’associazionismo laicale nelle sue varie manifestazioni, quali «confraternite, pie unioni, congregazioni, sodalizi aggregati a corporazioni, gruppi parrocchiali, funerari, assistenziali e così via», il cui fondamento è sempre costituito dalla pietà religiosa145. Fiorani sottolinea il merito di questa ricerca che rappresenta «uno strumento di lavoro prezioso» perché non si fonda esclusivamente su documenti ufficiali o fonti bibliografiche, ma coglie la realtà della vita quotidiana della città e dei suoi abitanti, ove appunto quei sodalizi svolgono la loro funzione benefica integrandosi nella società. Non manca tuttavia di osservare che sarebbe stato opportuno un maggiore approfondimento delle fonti archivistiche, riferendosi alle lacune riscontrate nella descrizione di confraternite quali quella dell’Annunziata, di Santa Maria sopra Minerva o la SS.ma Trinità dei Pellegrini146

Altrettanto interessante è il riferimento al rapporto tra arte e confraternita, approfondito dal Martini in un altro volume intitolato Arti mestieri e fede nella Roma dei Papi147. Si sottolinea la difficoltà di darne una esatta definizione, difficoltà prodotta dal rapporto tra le confraternite, le corporazioni, le università di arti e mestieri, e «quei gruppi religiosi che si erano formati all’interno di quei sodalizi e svolgevano la loro attività in stretto collegamento con essi». La difficoltà consisteva appunto nel legame tra confraternite e università: in alcuni casi il legame era rafforzato dalla esistenza di uno statuto unico per i due organismi, in altri caso le unioni del lavoratori e degli artigiani erano rappresentati solo dalle confraternite, con conseguenze problematiche non tanto dal punto di vista giuridico, ma della collaborazione148.

143 Ibidem, p. 56 nota 116 ove si cita l huetter, Le confraternite (Curiosità romane, I, 5) Albano, Fratelli Strini, 1927, pp. 63.

144 Ibidem.

145 Ibidem, p. 58 nota 122 ove si cita m. maroni lumbroso – a. martini, Le confraternite romane nelle loro chiese, Roma, Fondazione Marco Basso, 1963. Si segnala anche la dedica che apre il volume: «A Luigi Huetter romano studioso di Roma e delle confraternite».

146 Ibidem, p. 58 e 59.

147 Ibidem, p. 60 nota 124 ove si cita a. martini, Arti mestieri e fede nella Roma dei papi, Bologna, Cappelli, 1965 (Roma cristiana, XIII).

148 Ibidem, Fiorani osserva «che le confraternite “religiose” non differivano dalle altre, ma si trovavano talvolta in conflitto con “collettività” spesso riottose, intrise di spirito laico,

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A parere di Fiorani, anche questo lavoro del Martini ha il merito di evidenziare i problemi che nascevano tra le confraternite e l’ambiente cittadino con le sue strutture economiche e i soggetti che operavano in quel settore, e il ruolo determinante della religiosità nelle sue manifestazioni private e pubbliche.

Ma Fiorani non manca poi di sottolineare le conseguenze della riforma tridentina, in particolare in ordine alle confraternite, pervase in quel periodo dall’ansia di una purificazione religiosa e spirituale «che stava diventando il pensiero costante di settori sempre più larghi della comunità ecclesiale»149, come è stato descritto da studiosi quali Gilles Gérard Meersseman e da altri studiosi, i cui lavori sono stati pubblicati nei quaderni del Centro perugino di documentazione e di studio dei Disciplinati150

Non solo. Fiorani aggiunge, tra i molti altri, il lavoro di Ludwig von Pastor sull’Oratorio romano del Divino Amore151, istituito a Roma dopo il primo decennio del sec. XVI presso la parrocchia trasteverina di Santa Dorotea152, di cui l’autore sottolinea con forza l’importanza dell’intenso spirito religioso che animava quel sodalizio, come anche tutte le strutture religiose del XVI secolo, che indicavano «col loro esempio la giusta via della riforma»153. Merita inoltre di essere citata anche la Storia della Compagnia di Gesù di Pietro Tacchi Venturi154 non diversamente ispirata allo spirito di rinnovamento religioso, quindi ai principi di quella religiosità ‘autentica’, che pervadeva la società del secolo XVI, opponendosi ai severi giudizi dei riformatori protestanti che descrivevano il «cattolicesimo ormai intimamente corrotto e disgregato»155.

Peraltro, al di là della importante rassegna bibliografica e dei nomi di prestigiosi studiosi citati, i cui lavori sono ampiamente approfonditi e ade-

molto più impegnate nella difesa dei propri statuti e dei propri privilegi, che a dare corso alle mozioni interiori».

149 Ibidem, p. 62

150 Ibidem, p. 63 nota 128 ove si cita g g meersseman, Ordo fraternitatis. Confraternite e pietà dei laici nel Medioevo, in collab. con P. Pacini, Roma, Herder, 1977, 3 volumi. Cfr. anche la nota 129 sulle pubblicazioni del Centro perugino di documentazione e di studio sul movimento dei Disciplinati.

151 Ibidem, p. 64 nota 130 ove si cita, a proposito dell’Oratorio del Divino Amore, l von pastor, IV, 2, Roma 1951, pp. 147-209.

152 Ibidem, p. 64.

153 Ibidem, p. 64 e 65.

154 Ibidem, p. 64 nota 131 ove si cita p. tacchi venturi, Storia della Compagnia di Gesù in Italia, I, II, Roma, Civiltà cattolica, 1950, pp. 147-209.

155 Ibidem, p. 66.

LE CONFRATERNITE ROMANE E LA LOTTA AL PAUPERISMO 169

guatamente esaminati, di rilevante interesse ci sembrano le valutazioni e i suggerimenti che Fiorani sottolinea a proposito delle nuove prospettive di ricerca e dei problemi ancora presenti nel settore delle confraternite. Emerge con chiarezza negli studi più recenti l’intento di porre in evidenza non solo o non tanto il fondamento religioso di questi enti, quanto il rapporto tra istituzione e contesto. Il che poi significa porre attenzione a quegli aspetti della storia religiosa che evidenziano la dialettica tra l’esperienza e la norma, tra la religiosità colta e quella popolare. La religione è al centro di questa nuova storiografia, ma non si tratta di una religione astrattamente e canonicamente definita, bensì di una religione che esprime i bisogni interiori dei singoli, che si incarna nella storia degli uomini e nel contesto in cui si esprimono156. Sono oggetto di attenzione e di approfondimento argomenti quali la morte, la malattia, le paure collettive, il pauperismo, l’emarginazione. Lo dimostrano alcuni contributi quali gli studi di Vincenzo Paglia, e gli Atti del Colloquio tenutosi nel 1982 alla Fondazione Caetani, pubblicati nel 1984, già segnalati all’inizio di questo saggio. Per quanto riguarda gli scritti del Paglia si coglie il rifiuto di considerare le confraternite come enti chiusi e lontani dalla storia collettiva, della società di appartenenza, considerandoli invece recettivi delle istanze provenienti dalla realtà in cui operano157. Egli descrive la Roma della seconda metà del ’500, affollata di pellegrini poveri e bisognosi, sino al Seicento, «che affronta con mentalità ostile e rigorosa un pauperismo ulteriormente accresciuto».

Nel volume La Pietà dei carcerati158, Vincenzo Paglia imposta la sua analisi storica sul rapporto tra la confraternita, istituita dal padre gesuita Jean Tellier nel 1575, confermata da Gregorio XIII nel 1579 «per assistere religiosamente e materialmente i detenuti delle carceri romane»159 e la città di Roma soffermandosi in particolare sugli aspetti più rilevanti e drammatici della emarginazione, rappresentati dalle carceri e dai carcerati, appartenenti alla categoria dei poveri. L’ ipotesi di fondo è che il pauperismo sia un fenomeno legato «alla disgregazione della società agricola tradizionale e accompagna la nascita della società capitalistica ed in essa anche l’origine del carcere moderno»160. Ipotesi su cui Fiorani è in disaccordo dal momento

156 Ibidem, pp. 72 e 73.

157 Ibidem, p. 73 e 74.

158 Ibidem, p. 74 nota 155 ove si cita v paglia, La “Pietà dei carcerati”. Confraternite e società a Roma nei secoli x VI-x VIII, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1980 (Biblioteca di storia sociale, 11).

159 Ibidem.

160 Ibidem, p. 75.

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che, all’epoca non esisteva una società agricola e «una società capitalistica non ha mai avuto modo di attecchire»161. La descrizione di Paglia riguarda in particolare la popolazione carceraria, costituita anche da debitori insolventi definiti «lavoratori poveri carcerati per debiti»; sono essi che rappresentano il vero volto della povertà romana. Fiorani rileva che attraverso lo studio della realtà confraternale Paglia approfondisce in modo concreto e realistico la storia della società.

In questo modo si superano gli schemi spesso troppo aridi della ricerca erudita e si analizzano le esperienze associative alla luce di realtà più profonde e coinvolgenti della città. In sostanza «Mi pare di poter dire che, attraverso l’indagine confraternale, si stanno ponendo le premesse per una storia interna, interiore della città (…)»162. In questa rappresentazione della realtà carceraria posta come metafora della esistenza umana, si configura lo scopo principale da raggiungere ovvero la conversione dal peccato163.

In un altro volume di Paglia del 1982 dal titolo La morte confortata164, si affronta invece la storia delle mentalità mediante lo studio sulle confraternite dedite all’assistenza spirituale dei moribondi e dei condannati a morte: la morte confortata era stata tra i pensieri dominanti delle confraternite medievali perché era dominante l’idea del giudizio finale e delle realtà escatologiche165. L’ intento era quello di indurre il peccatore in punto di morte alla conversione e al pensiero dell’Aldilà, e aiutare con la preghiera il terrore dei moribondi, rendendo la coscienza più vigile e consapevole dell’approssimarsi della morte, e non invece distoglierla da quei pensieri. Iniziativa ritenuta di particolare importanza per quanto riguardava i condannati, che conoscevano la data della loro morte166.

Proprio in riferimento a questo contesto drammatico, della morte non naturale, ma ‘corporale’, violenta, inflitta per via di giustizia si spiega, secondo Paglia, la diffusione, tra il secondo Cinquecento e il Seicento, anche a causa «della nuova religiosità tridentina»167, di confraternite dedite al conforto dei moribondi e in particolare dei condannati alla pena capitale,

161 Ibidem.

162 Ibidem, p. 76.

163 Ibidem, p. 77.

164 Ibidem, nota 162 ove si cita v paglia, La morte confortata. Riti della paura e mentalità religiosa a Roma nell’età moderna, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1982 (Biblioteca di storia sociale, 13).

165 Ibidem.

166 Ibidem, p. 78.

167 Ibidem, p. 79 nota 164.

LE CONFRATERNITE ROMANE E LA LOTTA AL PAUPERISMO 171

con la prospettiva della salvezza eterna. Sempre a proposito di questo tema, l’A. si sofferma sul Trattato utilissimo per confortare i condannati a morte per via di giustizia di Pompeo Serni168, confratello della compagnia della Buona Morte. Egli esamina lo scritto e mette in evidenza le tecniche della persuasione usate dal confortatore nei confronti del condannato e fondate sulle ragioni religiose. In questo senso «il vero fine della vita è la salvezza dell’anima: qualora si ha la fondata speranza di raggiungerla (…) non solo deve essere rassegnato, ma contento di tale sorte; non ve ne può essere di migliore»169. La collocazione ambientale, sociologica in cui si pone il problema della morte per via di giustizia nella Roma secentesca, secondo Paglia, induce alla considerazione che quella morte «si presenta con tutti i suoi riti, la più densa di significati personali, pubblici, morali e politici». A parere di Fiorani, si tratta di una riflessione che suggerisce l’intento di dare una sorta di giustificazione «a fatti che, per certi versi non potevano non apparire di una irrazionalità insormontabile»170. Per queste ragioni il concetto della morte inflitta come punizione per un crimine si trasforma in una «morte espiatrice, esemplare, motivo di ritorno a Dio per i peccatori (assimilati ai trasgressori della legge), pegno sicuro per la salvezza eterna, ma anche la via alla reintegrazione per coloro che un rigoroso sistema giudiziario e una schematica mentalità avevano emarginato dal contesto sociale»171. A parere di Paglia comunque, la funzione delle confraternite descritte era rappresentata non tanto da un ruolo di supporto al potere politico o ad una strategia di conservazione dell’ordine costituito, quanto piuttosto, e in misura maggiore, alla preoccupazione di prospettare la salvezza eterna, dando quindi prevalenza all’aspetto religioso.

Un ulteriore e significativo approfondimento concernente il ruolo religioso e sociale delle confraternite laicali è stato affrontato, come Fiorani ricorda, nel già citato Colloquio sulle confraternite romane del 1982, i cui Atti, pubblicati nel 1984 testimoniano l’intento di affrontare il tema confraternale

168 Ibidem, nota 165 ove si cita di pompeo serni il Trattato utilissimo per confortare i condannati a morte per via di giustizia, di cui esistono copie manoscritte. Cfr. in BAV, Vat. lat. 13558, Memorie a fratelli della ven. arciconfraternita di S. Giovanni Decollato (…) per la solita prattica d’aiutare a ben morire i condannati a morte, ff. 73-134; e Vat. lat. 13596, Trattato utilissimo per confortare i condannati a morte per via di giustizia, diviso in cinque parti composto dal dott. Pompeo Serni (…) MDCLXV, ff. 112.

169 Ibidem, p. 80.

170 Ibidem.

171 Ibidem, pp. 80 e 81.

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con una metodologia storiografica innovativa, prodotta appunto dalla nuova situazione politica172.

La prospettiva storica proposta è ampia, comprende il contesto medievale, ove trova una collocazione privilegiata la confraternita del Gonfalone, poi le confraternite tre-quattrocentesche, per passare poi «ai temi specifici della religione confraternale, degli assetti finanziari e amministrativi, della committenza artistica cinque-secentesca, fino alle pagine tormentate delle soppressioni che alla fine dell’Ottocento concludono una grande storia, o almeno una certa parte di essa»173

Fiorani descrive i contenuti delle relazioni di vari studiosi a proposito di questo periodo sino al Quattrocento, che rappresenta «un periodo….. di passaggio tra una fase più antica e un’altra che stà per avviarsi alla fioritura delle confraternite cinquecentesche, che in parte continuano le antiche, ma in parte si vengono costruendo su intuizioni e su fermenti ignoti nel passato»174. In un certo senso la prospettiva innovativa può essere individuata proprio sulla religiosità delle confraternite, ovvero su «chi tiene in vita la religione confraternale». Ebbene, secondo Fiorani siamo in presenza di una molteplicità di elementi, in parte provenienti dall’interno del mondo associativo, in parte dall’esterno, ovvero «dai maestri accreditati, dai teologi, dai predicatori, dalla pubblicistica elaborata nelle scuole devote»175 e, come egli ribadisce, si tratta di una storia tutta da fare, rappresentata anche da personaggi di grande rilievo e testimoni di questa nuova ‘religiosità’ che egli non manca di descrivere176. Di grande interesse sono poi le considerazioni sulla committenza artistica177 e i sondaggi sulla storia economica: l’uno, di carattere metodologico, volto a valutare il peso economico e la condizione sociale dei membri di alcune confraternite quali S. Giovanni Battista dei Fiorentini; l’altro, di carattere analitico, da cui risulta il sostegno offerto dalla città a confraternite quali quella della Trinità dei Pellegrini, l’ultimo infine concernente l’indagine sulla situazione economica delle confraternite sei-settecentesche178. L’ intento è quello di conoscere, attraverso la lettura dei dati contabili, ovvero le entrate e le uscite, la storia di queste associazioni, usando uno strumento diverso da quelli tradizionali, ma fortemente legato

172 Ibidem, p. 81, la nota 169, e questo saggio alla nota 1.

173 Ibidem, pp. 82 e ssgg. con le note.

174 Ibidem, p. 84.

175 Ibidem.

176 Ibidem, pp. 84 e 85.

177 Ibidem, p. 85

178 Ibidem, p. 86, note 183 e 184.

LE CONFRATERNITE ROMANE E LA LOTTA AL PAUPERISMO 173

alla realtà sociale di riferimento. In questo contesto, una data fondamentale è il 1797, quando furono elaborati e divulgati i dati raccolti a seguito delle Visite Apostoliche e delle Relazioni concernenti la grande inchiesta fiscale voluta dal governo pontificio, poco prima della occupazione di Roma da parte dell’esercito francese179.

La ricerca si conclude con un tema di grande interesse ovvero «l’elenco dei problemi aperti, con i quali la ricerca non potrà fare a meno di confrontarsi». Riferendosi ai temi trattati nel corso del Colloquio svoltosi nel 1982180, Fiorani pone in evidenza alcuni aspetti problematici che ritiene utile sottolineare. In primo luogo la definizione delle confraternite, facendo riferimento alla identità giuridica di queste associazioni, su cui sono state date in precedenza alcuni informazioni181. In realtà, secondo Fiorani l’analisi sulla individualità delle confraternite deve essere ricercata non solo o non tanto nel diritto, ma nello scopo della loro esistenza, nelle attività svolte, «nel groviglio dei bisogni e dei dinamismi cittadini, all’interno dei mutamenti storici». In sostanza, deve essere ricercata nel contesto reale in cui si muovono, nella storia della città che le accoglie182. Tuttavia, Fiorani non manca di evocare le riflessioni di Gabriele De Rosa a proposito della evoluzione delle confraternite, dall’età medievale all’età moderna, che l’autore pone non nel clima prodotto dal Concilio di Trento, come sostenuto ad esempio dallo stesso Fiorani, come vedremo più avanti, ma nella configurazione istituzionale, nella assunzione di una più efficiente organizzazione interna degli organi di governo, secondo le nuove disposizioni statutarie, sottolineando in questo senso l’importanza della analisi giuridica proprio dal punto di vista identitario183.

179 Ibidem, pp. 87 e ssg. nota 186, ove si cita la ricerca di a serra, Ferrari e vetturini a Roma dal Rinascimento all’Ottocento, Roma, Istituto di Studi Romani, 1981, concernente la gestione dei beni da parte della corporazione e della confraternita di S. Eligio dei Ferrari. Ibidem, nota 187, dello stesso autore, Problemi dei beni ecclesiastici nella società preindustriale; le confraternite di Roma moderna, Roma, Istituto di Studi Romani, 1983.

180 Ibidem, p. 89 nota 191 a proposito della Tavola Rotonda pubblicata negli Atti del Colloquio citato, ove sono emersi i vari elementi problematici concernenti la necessità di approfondire aspetti diversi del fenomeno e della storia confraternale.

181 Cfr. il paragrafo 2 di questo saggio.

182 Ibidem, p. 90 nota 192.

183 Ibidem, nota 194, ove, ci cita g. de rosa, Problemi della storiografia confraternale, in Le confraternite romane, pp. 24-30. A p. 26: «(…) Forse una caratteristica comune a tutte le confraternite dell’età moderna, comprese naturalmente le romane, potrebbe essere costitu-

MIRELLA MOMBELLI CASTRACANE 174

Nel ripercorrere la storia delle confraternite, in particolare della loro configurazione istituzionale, Fiorani parte dalla data fondamentale del 1267, «anno prezioso in cui affiora nella città il nucleo dei Raccomandati della Vergine», per passare al Trecento, quando cioè alcuni sodalizi, in particolare il SS. Salvatore ad Sancta Sanctorum «assumono ruoli dalla rilevanza anche civile e municipale», poi al Quattrocento, sino alla svolta del Cinquecento, determinata dal Sacco di Roma del 1527. Infine, dall’evento che Fiorani considera fondamentale, ovvero il Concilio di Trento, che pone regole in ordine alla organizzazione confraternale, con il dovuto riferimento alla Bolla Quaecumque del 1604 che «impone alle confraternite l’obbligo dell’erezione canonica, e dunque introduce una tipologia più strettamente sottoposta al controllo dell’autorità ecclesiastica»184. Una configurazione che resta immodificata almeno sino al pontificato di Benedetto XIII, dall’anno 1724 al 1730.

I quesiti posti da Fiorani inducono a riflettere sulla necessità di superare orientamenti metodologici che tendono a ridurre la storia confraternale entro schemi superati e quindi insufficienti a fornire i dati necessari alla conoscenza più aggiornata su questo tema. Non a caso infatti «il discorso sulla periodizzazione e sulle scansioni cronologiche non mette solo in evidenza le lacune, talora estesissime, che gravano sulla nostra storia confraternale, ma induce ad una estrema flessibilità nella ricostruzione dei fatti, perché (secondo De La Roncière) la storia è costituita da confraternite che muoiono e vegetano, da altre che si adattano o vengono finalmente alla luce in un flusso continuo, anche se di qualità e consistenza diverse»185.

Un altro tema di grande importanza e che merita un particolare approfondimento è il rapporto tra confraternita e città, affrontato da diversi punti di vista. In primo luogo emerge l’integrazione tra le confraternite che comunque si pongono come organizzazioni autonome e la società in cui operano, dal momento che i membri che compongono i sodalizi provengono «dagli strati sociali che compongono la comunità cittadina»186. E a questo proposito Fiorani rileva che contrariamente a quanto affermato

ita dal processo più spinto di quell’aspetto istituzionale interno, relativo al funzionamento degli organi previsti dallo statuto (…)».

184 Ibidem, p. 91 nota 196, a proposito della Bolla Quaecumque cfr. mombelli, Ricerche sulla natura giuridica delle confraternite, pp. 22-25 e la nota 16 di questo saggio.

185 Ibidem, pp. 93 e 94 nota 202. cfr. in Le confraternite romane. c. de la roncière, Les confréries en Toscane aux x IV et x V siècle d’après les travaux récents, pp. 50-64, la citazione a p. 64.

186 Ibidem, p. 94

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dai detrattori delle confraternite, non è vero che prevalessero nei sodalizi i ceti indigenti, che cercavano così di porre rimedio alla propria condizione di povertà, quindi per ragioni di interesse. Ne facevano invece parte i ceti della nuova borghesia, mentre in epoca tre- quattrocentesca, in particolare a Roma, erano presenti mercanti, imprenditori agricoli, bovattieri187. Per il Cinquecento Vincenzo Paglia nel suo saggio sulla pietà dei carcerati esaminando la struttura sociale della confraternita rileva oltre alla presenza di non romani, anche professionisti e artigiani, come anche, sia pure in misura minore, di ecclesiastici e di nobili, e di impiegati di Curia, soprattutto nelle confraternite estere188.

Prevale sempre, nel rapporto con la città, l’attenzione delle confraternite nei confronti della condizione sociale, del pauperismo, «in una chiave religioso-devozionale» come sottolinea Fiorani, quindi dispensatrice di carità e solidarietà in misura maggiore rispetto agli interventi delle strutture pubbliche. «Ciò che appare ora urgente» afferma Fiorani «è orientare la ricerca sui diversi piani in cui si è sviluppata l’azione assistenziale, per precisarne la natura, l’ampiezza, i contenuti degli interventi in un rapporto costante con i problemi cittadini189

Negli ultimi decenni del Cinquecento, «dopo il Tridentino», il rapporto confraternite – città si fa più stretto, sempre più determinato dall’attenzione ai mali della società. Diventa primario il dialogo con la città seguendo anche percorsi che potremmo definire interistituzionali. In questo senso il rapporto confraternite-città si traduce, ad esempio, con l’associare i rappresentanti delle confraternite nelle magistrature e negli uffici giudiziari della città, come per la Pietà dei Carcerati, rappresentata da alcuni suoi membri nei diversi tribunali romani a difesa dei detenuti più esposti190.

Restano sempre gli ambiti di intervento ‘privilegiati’ rappresentati dagli ospedali, dalla distribuzione delle doti ed elemosine e dagli ospizi per i poveri e i convalescenti, ma questi settori di operatività, a parere di Fiorani, non risultano adeguatamente approfonditi, salvo qualche eccezione191. Per

187 Ibidem, p. 95 la nota 206 ove si cita p. pavan, Gli statuti della società dei Raccomandati del Salvatore ad Sancta Sanctorum, «Archivio della Società romana di storia patria», CI (1978), p. 37.

188 Ibidem, p. 96.

189 Ibidem, pp. 96 e 97.

190 Ibidem, p. 97.

191 Ibidem, nota 210 ove si citano i contributi di m. d’alatri e i. da villapadierna, in La carità cristiana a Roma a cura di v. monachino e con la collaborazione di m. d’alatri e i. da villapadierna, Bologna, Cappelli, 1968 (Roma cristiana, X), rispettivamente alle pp. 127185 (età medievale) e pp. 191-303 (età moderna).

MIRELLA MOMBELLI CASTRACANE 176

quanto riguarda la storia ospedaliera ad esempio, gli studiosi hanno posto in evidenza la storia della medicina e della sanità, ponendo in secondo piano il ruolo delle confraternite: ciò che manca è la dimensione sociale degli interventi, il tipo di assistenza erogata, il movimento dei malati. Anche in questo caso Fiorani sottolinea la necessità di approfondire le fonti archivistiche, che potrebbero fornire i dati necessari per completare il quadro storico in oggetto192.

Riflessioni analoghe riguardano le modalità di intervento della carità confraternale, quali l’erogazione delle elemosine e l’ospitalità. L’ elemosina si pone nella prospettiva del pauperismo e dell’emarginazione sociale, mentre l’ospitalità si connette al problema del pellegrino, dell’ospite «che la devozione a S Pietro e all’Urbs sancta rendeva in qualche modo sacro e degno della massima considerazione»: risulta evidente la stretta connessione degli interventi confraternali con il contesto economico, sociale, culturale, religioso193.

Si giunge così finalmente al tema religioso. A questo proposito Fiorani sottolinea che la religione confraternale è un problema aperto e riguarda il significato che si intende dare alla religione professata. A suo avviso il problema non si pone se per religione intendiamo le manifestazioni esteriori, ovvero riti, appuntamenti devoti, manifestazioni festose, ampiamente descritti dalla pubblicistica tradizionale. In realtà occorre considerare la religione confraternale come «un fatto vivo, dinamico, interiore ed esteriore insieme, sottratto (…) ai condizionamenti della storia, e insieme legato ad essa in una medesima, umbratile vicenda». Il che significa attenzione «da una parte al mondo della vita morale e spirituale della gente, dall’altra alle sue relazioni sociali, al di sotto o al di dentro del tessuto della città»194. Ci si chiede quali siano i suggerimenti in ordine alla «ricerca che dovrà venire, richiamando l’attenzione soprattutto su due ambiti essenziali della religione: i contenuti e le forme espressive». In sostanza la ricerca si rivolge ai comportamenti delle persone «in rapporto ai mutamenti delle confraternite e della comunità cittadina». In questa ottica emergono due ambiti importanti della religione: i contenuti e le forme espressive195.

Per quanto riguarda i contenuti, la religiosità delle confraternite si pone in relazione al contesto della città di Roma: «La presidenza teologica, canonica, disciplinare che Roma esercita nei confronti della chiesa universale

192 Ibidem, p. 98.

193 Ibidem, p. 99.

194 Ibidem, p. 100 nota 217 ove si cita a. monticone, Le confraternite romane: una storia aperta, in Le confraternite romane, pp. 19-30, la citazione a p. 21.

195 Ibidem.

LE CONFRATERNITE ROMANE E LA LOTTA AL PAUPERISMO 177

è un fatto che contribuisce a dare forma più definita, più consistente, ma insieme più ferma alla religione vissuta nell’Urbe»196.

A Roma non vi sono rivoluzioni religiose, passaggi bruschi, è una religiosità fondata più sulla stabilità che sulle rotture, come risulta dagli statuti e dai documenti d’archivio, che non a caso rappresentano le fonti privilegiate per la ricerca197. Inoltre «la pietà confraternale che altrove presenta larghissimi apporti della spiritualità degli ordini religiosi, in particolare dei francescani e dei domenicani, a Roma è forse determinata dal clero secolare, dai parroci, da prelati e impiegati di Curia che dedicano il tempo libero alle confraternite. È quindi una pietà dai contenuti meno speculativi, più pastorali, rivolti al vissuto quotidiano, all’intervento spicciolo sulla città»198.

Sulle forme espressive, Fiorani rileva che le confraternite considerano l’opera di carità una vera e propria opera di pietà. Quindi la religione confraternale si esprime con le varie forme del suo incontrarsi con i derelitti della società, la pietà che si manifesta «nel gesto dell’elemosina, ma anche nella diffusione dei catechismi, nella visita agli ammalati e ai carcerati, nel conforto al morente, nella ricerca dei cadaveri abbandonati della campagna romana»199. Per queste ragioni a parere di Fiorani può essere utile dal punto di vista storiografico verificare le varie forme di preghiera sia individuale sia collettiva che si manifestavano negli oratori delle confraternite 200 .

Una ulteriore riflessione a questo proposito suggerisce il confronto tra religione popolare e confraternale 201, spesso accomunate da manifestazioni ‘vistose’ proposte al pubblico, quali le processioni, le rappresentazioni di soggetto sacro, ma che «non sono poi esattamente la stessa cosa»: talvolta queste manifestazioni si svolgevano non nell’intento di dare una ‘spettacolarizzazione’ delle pratiche religiose, quanto piuttosto per coinvolgere i fedeli in riunioni volte a dare speranza in presenza di situazioni di difficoltà o di pericolo. A questo proposito infatti è ricordato il caso della confraternita di san Marcello, i cui sodali nel 1522, durante una pestilenza, uscirono in processioni con un enorme crocifisso per esprimere «il lamento di una città precipitata in una morsa angosciosa dalla quale sapeva di non poter uscire con le sue sole forze» ma solo con l’aiuto di Dio202.

196 Ibidem

197 Ibidem, pp. 100 e 101.

198 Ibidem, p. 102.

199 Ibidem.

200 Ibidem, p. 103.

201 Ibidem.

202 Ibidem, p. 104.

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Non resta che concludere. Il quadro storiografico sul tema delle confraternite laicali prospettato da Fiorani è come si è visto ampio e articolato, ma presenta, a suo avviso, ancora lacune notevoli, dovute in parte alla necessità di arricchire le prospettive e i campi di ricerca, per approfondire aspetti sinora rimasti in ombra. L’ Autore sottolinea in particolare l’importanza delle fonti archivistiche, la necessità quindi di provvedere al loro riordino per rendere i documenti consultabili: «Quanto abbia negativamente gravato sul progresso degli studi la condizione piuttosto precaria – salvo splendide eccezioni – degli archivi delle confraternite romane non è difficile immaginare. Tanto più encomiabili appaiono perciò le fatiche dedicate al riordino di queste raccolte, alla loro inventariazione, alla loro valorizzazione ai fini della ricerca»203

Al quesito in quale direzione si muoverà la storiografia futura, possiamo rispondere ricorrendo alle stesse parole dello studioso: «Cercare la storia delle confraternite vuol dire cercare anche il volto degli anonimi che rinchiudendosi in una tunica confraternale si aspettavano per ciò stesso di uscire da una misera condizione per immettersi in un’altra, più degna e appagante. È cercare le ramificazioni di una pietà, tanto più varie e capillari di quelle ricorrenti negli schemi tradizionali della spiritualità laicale. Il che non vuol dire far coincidere gli orizzonti storiografici con i piccoli e labili orizzonti di una storia intimistica, ma prendere atto, più semplicemente, che la storia delle confraternite si incrocia con dimensioni molteplici, orizzontali e verticali, sociali e individuali, si sorregge su momenti festosi e su momenti di grande pensosità. Non se ne potrà afferrare compiutamente il significato se non si sapranno cogliere tutti i suoi profili, i suoi picchi più esposti e luminosi, le discese ripide e profonde»204.

203 Ibidem, nota 224 con la citazione di Fiorani.

204 Ibidem, p. 105.

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SACRALIZZARE GLI SPAZI, SACRALIZZARE I CUORI. SOCIABILITÀ DEVOTA E MISSIONE NUOVA

La poliedrica religiosità che non si esprime soltanto entro le forme e i tempi della liturgia, che è spesso vissuta con forte coinvolgimento e disegna la fede dei poveri, è uno scenario importante del percorso scientifico di Luigi Fiorani. Alla sua pietà popolare dedico questo mio breve omaggio, e la intendo sulle linee, sopra evocate, del Concilio Vaticano II. Non è infatti possibile isolare lo studioso Fiorani dal suo impegno etico e di fede; e da una precisa età, quella del Concilio, che ha favorito l’emersione dal passato di genti, culture, sensibilità cristiane che andavano a coincidere con i campi di studio di una storiografia rinnovata ed aperta ad una più estesa geografia mondiale 1 .

Entro quella sensibilità – e nella scia, non esaustiva, di don Giuseppe De Luca – Fiorani storico si iscrive fin dai suoi primi studi nell’orizzonte di una storia religiosa che si va rinnovando a livello internazionale: nella metodologia, nelle centralità documentarie, nell’allargamento degli oggetti di studio, nelle potenzialità interpretative. La storia delle missioni – ad gentes e dell’«interno», nelle loro tante geografie – prendeva ad occupare uno spazio importante nella riflessione storiografica. Tale tematica, limitatamente ai percorsi dell’apostolato urbano e rurale nello Stato della Chiesa nella piena età moderna, mi ha consentito di incontrare intellettualmente Luigi Fiorani 2 .

Considero dunque in questo mio breve percorso le missioni romane da lui studiate soprattutto relativamente all’agire gesuitico cinque-secentesco,

1 Sincere note di vincenzo paglia (nel XII volume delle «Ricerche per la storia religiosa di Roma », a proposito di Fiorani «uomo di fede», formato a Roma come cristiano, «convinto di una sorta di “primato” dell’intera diocesi romana (…) per la consapevolezza del ministero straordinario del suo vescovo» e della necessità di indagarne le ragioni storiche).

2 Ricordo l’apporto importante di Luigi nel fascicolo monografico di «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 2 (1994), da me curato e dedicato a Devozioni e pietà popolare fra Sei e Settecento. Il ruolo degli ordini e delle congregazioni religiose

(stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

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Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013 ISBN

recuperando i punti forti della sua lettura per spostare poi l’attenzione dalla Compagnia ad altri protagonisti della missione, dalla pretesa di codificare i linguaggi apostolici alla consapevolezza che solo l’«adattamento agli altri» (assunto nella prassi e non semplicemente teorizzato) può nel tempo lungo garantire il successo dell’apostolato e pacificare il corpo dei predicatori. Rinviando a miei precedenti studi anche per l’apparato critico, mi limito qui a delineare le linee essenziali di tale orizzonte di sensibilità e strategie che, a partire dall’ultimo Seicento, modifica lentamente le «maniere di missionare»3 e fa dell’apostolato itinerante italiano un originale campo di sperimentazione pastorale e di costruzione del sentimento religioso dei singoli e delle comunità4.

Le linee della missione nuova, intesa come strumento di riforma religiosa per una cattolicità matura organizzata attorno ad un clero adeguato e rigoroso, prendono forma dalla riflessione sui linguaggi apostolici e al contempo sulle linee dei tentativi di riforma del clero (specie regolare, in applicazione dei decreta tridentini) avviati tra l’età di Clemente VIII e di Innocenzo X. Ma la consapevolezza crescente della debolezza e inadeguatezza del corpo ecclesiastico non traspare soltanto dai tentativi di riforma normativa (biblioteche degli ordini, Stato dei Regolari, piccoli conventi, etc.), perché in modo più capillare e sommesso riguarda anche un ridisegno delle procedure e dei protagonisti delle missioni. Ad esso concorrono ordini religiosi di primo piano, come i gesuiti e le famiglie francescane, ordini di antica fondazione rifondati sulle virtù della povertà e dell’obbedienza, come i minori osservanti riformati e missionari provenienti dal clero secolare, aggregati in nuove congregazioni specificamente consacrate alle missioni itineranti; l’impegno apostolico ne caratterizza la vocazione, le genti di campagna ne delimitano l’originale spazio di azione; la vigilanza dei vescovi ne garantisce l’azione e l’allineamento alle linee tridentine.

Nel corso di alcuni decenni, fino agli anni Quaranta del Settecento, questo composito clero affina i suoi linguaggi apostolici e li adatta ai

3 Utilizzo l’espressione di Leonardo da Porto Maurizio (rinnovatore della missione italiana, santo) che ritengo particolarmente adatta a rappresentare l’«adattamento» ai contesti apostolici e a rifiutare la lettura storiografica di consolidati «modelli» apostolici.

4 Le linee di questa strategia missionaria sono delineate nei miei lavori e non vi torno qui, neppure per la bibliografia: Roma religiosa nel Settecento. Spazi e linguaggi dell’identità cristiana, Roma, Carocci, 2000; Spazi sacri a Roma: presenze e modelli della chiesa francese, in Les éxchanges religieux entre l’Italie et la France. Régards croisés, dir. de fr. meyer et s. mylbach, Chambery, Éditions de l’université de Savoie, 2010, pp. 9-26; «Comme la civilité règle l’extérieur...». Le temps de la «Regolata devozione», in Les langages du culte aux x VIIe et x VIIIe siècles, dir. de b dompnier, in corso di stampa.

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contesti della missione, si arricchisce di nuove famiglie apostoliche che concorrono a costruire il successo dell’apostolato nelle campagne e più tardi nei centri urbani. Si presenta alle comunità nel rispetto delle gerarchie diocesane, onorando i curati e rispettando tempi e spazi che i vescovi prescrivono alle missioni. Attento a mostrarsi ai fedeli come inattaccabile sul piano morale ed estraneo alle gerarchie dei poteri ecclesiastici e civili, questo corpo di religiosi centra il suo apostolato itinerante sulla parola, sul gesto, sulle pratiche sacramentali; ed eternizza le campagne di missione attraverso la fondazione o il rilancio delle confraternite. Si tratta di uno scenario ben noto alla storiografia: i linguaggi di cristianizzazione si indirizzano con sistematica continuità a ceti, generi, generazioni ignari dei princìpi fondamentali della fede, dei precetti del vivere cristiano, fino ad allora pressoché estranei alla pastorale ordinaria, esclusi dall’obbligo e dalla consolazione delle pratiche sacramentali. Nel corso di qualche decennio, dalla fine del Seicento agli anni Trenta del secolo successivo e non senza contraddizioni, la missione nuova si offre a quelle genti come mezzo di conversione individuale e collettiva, strumento di una religione del perdono.

È a questo popolo che Luigi Fiorani ha dedicato sempre la sua attenzione partecipe e pressoché tutti i suoi studi, a quell’umanità «turbata e guerreggiata da angosce e insicurezze, più consapevole delle molte ingiustizie, strutturali e psicologiche, da cui era investita e alle quali non sapeva dare... altre risposte se non sul piano di una religiosità crucciata e compensatrice»5. Anche gli studi di Luigi sulle missioni gesuitiche nelle campagne circostanti Roma (in un’età precedente rispetto all’orizzonte di rinnovamento apostolico sopra delineato e già consapevole del «dovere di havere molto a cuore l’esercittio della dottrina christiana») si rivolgono a questa frontiera. A partire dalla «scoperta piena e realistica dell’analfabetismo religioso dell’agro romano», l’istruire le genti nei principi fondamentali della fede e nella pratica cristiana diviene un impegno sistematico della Compagnia, come ricorda già Fiorani a proposito delle disposizioni emanate da Claudio Aquaviva e di altri documenti coevi, successivamente replicati in Istruzioni e Avvisi per i missionari gesuiti della Provincia romana 6 .

Ampi e noti studi delineano ormai le strategie messe in atto dai padri per «sradicare le arretratezze senza paragoni» dell’agro romano quando,

5 l. fiorani, Astrologi, superstizioni, devoti, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 2 (1978), p. 99.

6 l. fiorani, Missioni della Compagnia di Gesù nell’agro romano nel x VII secolo, «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 2 (1994), pp. 216-234.

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a piccoli gruppi di due o tre, sul finire della primavera, attraversano le porte storiche di Roma e vanno «cercando l’anime per la campagna»7; vi trovano uno sconfortante quadro morale, economico e sociale, quella «sì dura fatica», quel «vivere ad agli et cepolle» di gente «rozza e bisognosa di dottrina christiana» che delinea Indie di Quaggiù anche attorno a Roma, fin dentro Roma8

Tale quadro sociale e spirituale dà forma alle genti di tenute, casali e capanne, alle vite vere di fattori e fattoretti, falciatori, vignaioli, pastori, carbonai, garzoni e monelli soggetti ai caporali; mostra ai missionari la necessità di una organizzazione capace di assicurare continuità e regolarità dell’apostolato, di individuare i campi di intervento e stabilire i contatti con i vescovi e i signori che, nelle loro diverse prerogative, consentono la campagna missionaria. E, come evidenzia Fiorani, richiede mezzi finanziari inserendo il mandato apostolico affidato alla Compagnia di Gesù per arginare il pauperismo e l’«analogo e peggiore pauperismo religioso di larghissimi strati popolari» in una strategia di segno politico che, in «convergente apporto di forze», assegnava a quelle missioni copertura economica e «caratteristiche diverse da quelle che si esprimevano in altri contesti, dove spesso (...) difettavano di qualunque altra forma di supporto e protezione».

Avviando tra i primi una rinnovata indagine sulle missioni gesuitiche, Fiorani centrava la sua attenzione su alcuni nodi importanti della storia delle missioni popolari, evidenti anche nelle campagne romane: rispetto alle linee tridentine in tema di predicazione (intesa come dovere centrale del ministero di vescovi e clero, di non semplice applicazione) e all’azione della Curia e delle gerarchie ecclesiastiche e civili per contrastare la miseria

7 fiorani, Missioni della Compagnia di Gesù, e id., « Cercando l’anime per la campagna». Missioni e predicazione dei gesuiti nell’agro romano nel secolo x VII, in La predicazione in Italia dopo il Concilio di Trento tra Cinquecento e Settecento, a cura di g martina e u dovere, Roma, Edizioni Dehoniane, 1996; id , Identità e crisi del prete romano tra Sei e Settecento, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 7 (1988).

8 Nella vasta storiografia, a parte i fondamentali saggi di Adriano Prosperi, la lettura fine di b. dompnier, La Compagnie de Jésus et la mission de l’intérieur, in Les Jésuites à l’âge baroque, dir. de l giard e l vaucelles, Grenoble, Jérôme Millon, 1996 e di b majorana, «Schola affectus». Persona e personaggio nell’oratoria dei missionari popolari gesuiti , in Il volto e gli affetti: fisiognomica ed espressione nelle arti del Rinascimento, a cura di a pontremoli, Firenze, Olschki, 2003, pp. 183-252; quadro generale ora in p. broggio, Evangelizzare il mondo. Le missioni della Compagnia di Gesù tra Europa e America (secoli x VI-x VII), Roma, Aracne, 2004, a cui aggiungo m. catto, Un panopticon catechistico: l’Arciconfraternita della Dottrina Cristiana a Roma in età moderna, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003.

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sociale, civile e religiosa della campagna romana, cristianizzare i linguaggi, i comportamenti, le coscienze 9 .

Siamo di fronte ad una impronta politica dell’apostolato gesuitico nelle campagne romane che certo, necessaria al rafforzamento dello Stato, alla pacificazione e normalizzazione sociale10, andava ad affiancarsi ad «uno dei fenomeni religiosi più caratteristici dell’Italia e dell’Europa cattolica all’aprirsi dell’età moderna, vale a dire il tentativo di portare l’istruzione e la pratica cristiana a gruppi ed individui rimasti esclusi dalla sfera di influenza della Chiesa». È importante notare come tale impronta riveli un certo peso nello svolgersi successivo dell’apostolato romano11 e delle relazioni tra le famiglie religiose; e come essa sia destinata a riaffiorare nel dibattito inter-missionario, oltre i contesti degli studi di Fiorani che si arrestano ai decenni conclusivi del Seicento, nell’età di padre Antonio Baldinucci e dell’ultimo «nuovo impulso» gesuitico ad un’attività pastorale che «cominciava a mostrare qualche stanchezza», avviandosi a preferire le missioni urbane a quelle rurali.

Proprio nel tempo in cui lo studio di Fiorani sulle missioni gesuitiche si interrompe, la missione sta chiudendo ormai definitivamente la sua « fase di minorità, a mezza strada tra un’operazione peregrina e la singolarità di un metodo pastorale che pretendeva di applicare sui territori cristiani metodi di evangelizzazione propri del mondo pagano». D’altra parte, esteso enormemente «fino a divenire un elemento di grande incidenza nella vita delle

9 Anche per il lessico dei territori circostanti Roma, oltre al saggio di Jean Coste (avanti citato), rinvio a fiorani, Religione e povertà. Il dibattito sul pauperismo a Roma tra Cinque e Seicento, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 3 (1979), pp. 43-131.

10 Soltanto un cenno dei temi della predicazione che ricorrono in un’ampia letteratura: i Padri della Missione nelle campagne della Sabina nel 1603 concentrano «la materia ordinaria delle prediche, che si faceano ogni mattina» sul richiamo al chiudere le “profonde inimicizie che solcavano la vita delle comunità rurali”, sul perdono cristiano dei torti e dei soprusi subìti, «nel togliere di mezzo i disordini... (peccati di varia natura, fattucchierie, ruberie, concubinaggi, scandali pubblici)». I gesuiti della Missione Tuscolana del 1603 esortavano contadini e braccianti ad accettare con pazienza il proprio «stato sociale, fosse anche il più miserabile», ad eliminare «ogni irrequietezza esteriore» per costruire un minimo di vita spirituale. «Li esortavamo ad imitazione di Nostro Signore pigliar volentieri per amor suo quello stato nel quale si trovavano». fiorani, Missioni della Compagnia di Gesù.

11 Le missioni gesuitiche successive si rivolgono soprattutto alle capanne di pastori e, sotto i pontificati di Clemente VIII e Paolo V, alle genti dei castelli e casali fuori porta San Lorenzo, San Pancrazio, San Giovanni, San Lorenzo, San Paolo; sul tema, sono ancora importanti: c. faralli, Le missioni dei Gesuiti in Italia (sec. xVI-xVII); problemi di una ricerca in corso, «Bollettino della società di studi valdesi», 138 (1975), pp. 97-116; g. orlandi, S. Alfonso

Maria de Liguori e l’ambiente missionario napoletano nel Settecento: la Compagnia di Gesù, «Spicilegium historicum Congregationis SSmi Redemptoris», XXXVIII (1990), pp. 5-195.

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comunità», quell’intenso e impegnativo lavoro di alfabetizzazione religiosa, per «funzionare a dovere», aveva bisogno di essere «regolato da una sorvegliata disciplina»12

Queste note del gesuita Baldinucci, non dissimili da altre consapevolezze provenienti dall’ordine, evocano un più ampio orizzonte del clero delle missioni e più netti indirizzi apostolici13. Citandole, Luigi Fiorani sa bene che l’apostolato dei gesuiti non esaurisce la storia delle missioni e che, anche a Roma, esso segna un particolare tempo, quello della prima Controriforma, e costituisce soltanto una parte della cristianizzazione dei ceti più deboli; per questo motivo, nello stesso fascicolo della sua rivista in cui tratta delle missioni gesuitiche, ospita il denso saggio di Jean Coste sull’apostolato dei lazzaristi14, una famiglia missionaria di preti secolari votata alla carità che, come vedremo, ha un ruolo di primissimo piano nel rinnovamento delle missioni. E rappresenta quel composito clero che, in obbedienza ai vescovi, cerca di affinare e umanizzare le proprie maniere, di vivificare un corpo di padri spesso troppo autoreferenziale e restìo a spendere il proprio carisma in ambiti poco rappresentativi e edificanti, esclusi dalla letteratura che nobilita il mestiere di missionario e descrive i suoi trionfi nel mondo.

Il ridisegno dell’apostolato non emerge dunque con evidenza all’interno degli ordini religiosi15 ma dalle nuove congregazioni di secolari che, forti di

12 fiorani, Missioni della Compagnia di Gesù, p. 226. «Quando arrivavano i missionari le popolazioni si mobilitavano, la vita dei paesi si bloccava per molti giorni. Non era più un appello spirituale alle coscienze svolto nella discrezione di un colloquio o attraverso semplici e familiari parole dette dentro qualche cappella rurale o nell’intimità delle capanne, ma un vero e proprio sommovimento di tutto un territorio di cui i missionari si fanno in qualche modo arbitri assoluti. Qualcuno se ne preoccupa, malumori di vario tipo si diffondono» (ibidem, pp. 227-228). Tale quadro, da collocare negli anni novanta del Cinquecento si chiarisce nel secolo successivo in due direzioni, scavando un solco tra missioni e pastorale diocesana e più frequentemente in una strategia comune sotto il controllo dei vescovi.

13 Importante quanto Fiorani nota a proposito del gesuita e dei suoi rilievi sui «“criminalisti”, cioè a settori di intellettuali che avendo osservato da vicino il fenomeno delle missioni ne avevano rilevato gli effetti negativi sull’ordine pubblico», di «soluzioni religiose di problemi civili e giudiziari – sembrano dire – costituiscono una fastidiosa interferenza su questioni che sono di stretta ed esclusiva competenza delle magistrature civili… Il Baldinucci risponde raccomandando, da un lato ai predicatori una presenza più sobria e discreta, dall’altro rassicurando le autorità che il fine del lavoro missionario era diverso, cioè riconciliare gli spiriti e le popolazioni con Dio e con il prossimo, non di predisporre intralci al corso della giustizia terrena». fiorani, «Cercando l’anime per la campagna», pp. 449-450.

14 j. coste, Missioni nell’Agro romano nella primavera del 1703, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 2 (1978), pp. 165-223.

15 L’ impegno apostolico nelle campagne italiane degli ordini ‘antichi’ si rivitalizza fra gli ultimi decenni del XVII secolo e l’inizio del secolo seguente attraverso la predicazione

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autonome e sperimentate strategie apostoliche (nonché del proprio «zelo», di virtù morali, individuali e collettive), si fanno carico di un numero straordinario di missioni nelle campagne, sperimentano le loro strategie apostoliche, le adattano via via alle condizioni concrete e alla domanda religiosa delle popolazioni, acquista no visibilità e potere16. Questo patrimonio di progetto e esperienza non emana da Roma e non matura per induzione, dalle alte gerarchie, ma è proprio delle nuove comunità, in linea con alcuni indirizzi riformatori. Nel tempo lungo compreso tra l’ultimo Seicento e la metà del secolo successivo, incontra più volte i disegni di pontefici, di esponenti di Curia e del mondo episcopale, e talvolta una cultura religiosa propriamente romana, ma è un processo che si sperimenta altrove, nelle campagne dello Stato della Chiesa, del Granducato di Toscana, nei Presìdi, nel Regno di Napoli, in frontiere e periferie che rendono più semplice e discreto mettere in discussione procedure apostoliche e posizioni acquisite.

Da questi campi di sperimentazione e per specifico carisma, il nuovo clero missionario indirizza sistematicamente la sua attenzione ai poveri, si candida a riempire gli spazi non raggiunti dalla pastorale e sostenere le politiche diocesane interessate al rinnovamento, a ridefinire il senso stesso dell’apostolato e dell’intera teologia morale e trasformarlo in una offerta di disciplina e salvezza per le comunità e per i singoli17. E propone a Roma questa ambiziosa strategia di «edificazione» del popolo devoto e del corpochiesa per trovare conferme e legittimazione universale.

Alle origini di questo processo, e con tutta la valenza simbolica di una chiamata al centro del cattolicesimo, si insediano a Roma – rispettivamente nel 1638 e nel 1687 e grazie a potenti protettori – due congregazioni missionarie fino ad allora sconosciute in città e destinate a coprire un ruolo importante nelle sensibilità e prassi apostoliche: i Preti della Missione, detti lazzaristi o vincenziani, fondati a Parigi da san Vincenzo de’ Paoli e i Pii

itinerante dei cappuccini Angelo da Acri, Antonio da Olivadi, Carlo da Motrone, del francescano Tommaso da Cori, dei gesuiti Antonio Baldinucci, Francesco de Geronimo, Pietro Ansalone e dei più noti Segneri e Pinamonti.

16 Tra le congregazioni di preti secolari a carisma missionario fondate in diverse aree italiane: i Sacerdoti Secolari Missionari di Palermo (1703), i Missionari Rurali di Genova (1713), gli Oblati Missionari di Rho (1721), i Missionari della SS. Vergine Imperatrice del Cielo e della Terra (1738), i Missionari Imperiali (1738), la Pia Opera delle Missioni (1752). Ad essi aggiungo i Pii Operai di Carlo Carafa, citati e fondamentali nel carisma apostolico dei Passionisti di Paolo della Croce e i Redentoristi di Alfonso Maria de Liguori.

17 Quadro europeo dei nuovi orientamenti missionari in l. châtellier, La Religion des pauvres. Les sources du christianisme moderne, x VI-x Ix siècles, Paris, Aubier, 1993, ed. it., La religione dei poveri, Milano, Garzanti, 1994.

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operai, fondati a Napoli da Carlo Carafa all’inizio del Seicento, su cui non mi soffermo qui18. Il carisma del fondatore Vincenzo de’ Paoli facilita la chiamata a Roma dei lazzaristi, garanti di un clero disciplinato, rigoroso e austero, espressione del cristianesimo pacificato di Francia. L’ insediamento romano, che, come si evince già dalle lettere patenti del luglio 1641, si vuole fin dalle origini obbediente al Vicario e Vicegerente e dunque in linea con i decreta tridentini, colloca i padri in un più generale ridisegno delle procedure pastorali e degli equilibri inter-ecclesiastici; il loro impegno si indirizza all’insegnamento della dottrina e disciplina cristiana nelle zone più degradate della città e delle campagne circostanti, a riattivare luoghi di culto dimenticati o abbandonati, immettere nelle confraternite più ampi e deboli strati sociali.

Le frontiere della missione popolare si estendono e si consolidano nella continuità dell’agire missionario, rivolgendosi ora non solo al composito spazio rurale che si dilata fino ai grandi patrimoni terrieri di famiglie protagoniste della vita civile e politica dello Stato, ma a quella popolazione fluida di uomini e donne che, priva di identità riconosciuta, opera e abita entro le mura, negli interstizi del cuore urbano ancora esclusi dal processo di inglobamento urbanistico, sociale e simbolico che ascrive spazi nuovi ai territori della cattolicità compiuta19. È a una Roma senza visibilità che si rivolge il nuovo apostolato, indirizzato a chi trova occasionale spazio nella pastorale diocesana ed è escluso dalla ritualità che disegna e eternizza l’identità universale di Roma, e persino dalla sociabilità devota 20 di parrocchie e confraternite. Centrali in tutti gli studi di Luigi Fiorani specie tra anni Settanta e Ottanta, queste genti romane sfuggono al «luogo comune del quadro sociale rigido e compatto» e d’altra parte offrono di sé un’immagine-altra dalla Città del Papa, perché non trovano rappresentazione nella città comunità visibile

18 Sulle missioni dei Pii operai rinvio al mio: I «sentimenti di notte». I pii operai e le pratiche della missione in Italia fra Sei e Settecento, in Religione, cultura e politica nell’Europa dell’età moderna. Studi offerti a Mario Rosa dagli amici, a cura di c ossola, m verga, m a visceglia, Firenze, Olschki, 2003, pp. sui lazzaristi, a. arata, Tre secoli di vita romana della Casa della Missione, Roma, Edizioni Liturgiche Missionarie, 1943; l. mezzadri, Le missioni popolari della Congregazione della missione nei secoli x VII-x VIII: Studi , Roma, CLV, 1999.

19 Rinvio a Roma religiosa, cap. 2.

20 Propongo la dizione ‘sociabilità’ per comprendervi forme e sentimenti di appartenenza di gruppi e individui rispetto allo spazio sacro, in particolare romano nell’età della controriforma matura. Penso alla rappresentazione soggettiva (individuale e di micro comunità) che, partecipando con tante variabili a riti e cerimonie, a forme di devozione e pratiche liturgiche, catechistiche, o ausiliarie nella organizzazione confraternale o parrocchiale, costruisce una propria identità devota (e sociale) e la offre alla collettività.

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e gerarchizzata nell’orizzonte tridentino, con le sue valenze paradigmatiche e uniche, «emblema vivo ed operante di quella riforma tridentina della Chiesa cattolica, che andava compiendosi sotto la ferma guida del suo pastore»21. La cristianizzazione dei loro comportamenti e sensibilità richiede un corpo di predicatori capace di contrastare diffidenze dalle radici antiche, di raggiungere i cuori; e di un modello di prete rigoroso e inattaccabile. Proprio i lazzaristi sono incaricati, nei pontificati di Alessandro VII e poi di Innocenzo XII, di contribuire alla formazione del clero romano attraverso gli esercizi spirituali e le «conferenze del martedì» di eco vincenziana, che diventano un appuntamento fisso e obbligato per gran parte dei preti romani, preliminare all’avvio delle missioni popolari da svolgersi nelle campagne a ridosso della città. Si tratta di un campo di azione fondamentale per la famiglia lazzarista di Montecitorio, perseguito con attenta disciplina nei decenni successivi 22 , attraverso la messa a punto di una immagine di «zelo e decoro», di un solido patrimonio teorico e organizzativo che impronta decisamente il quadro complessivo della chiesa e della religiosità sei-settecentesca e, alla soppressione della Compagnia di Gesù, consente alla congregazione di sostituirsi ai gesuiti, a Roma e nei diversi campi della missione nel mondo.

Anche a Roma, il percorso di legittimazione è perseguito strategicamente dai lazzaristi nel modo discreto che è proprio del carisma vincenziano; carico di ascendente spirituale e di potere, si rivela particolarmente adatto al clima di diffidenze e accuse che dalla società sempre più chiaramente investono anche il mondo dei missionari. D’altro canto, specie a fronte della potente letteratura di edificazione messa in atto dai gesuiti, il tono sommesso dei lazzaristi 23 favorisce, specie a fronte della potente letteratura di edificazione messa in atto dai gesuiti, l’azione e la visibilità di un corpo ecclesiastico multiforme che, già presente in città e nell’apostolato delle campagne circostanti, richiede pari dignità per tutti gli attori e campi della

21 a serra, Culti e devozioni delle confraternite romane in età moderna, tesi di dottorato in Storia del cristianesimo e delle Chiese, Università Roma Tor Vergata, Université Clermont Ferrand II, 2009-2010, p. 89. La citazione precedente è di fiorani, Astrologi, superstizioni, devoti, p. 99

22 Nel 1699, Innocenzo XII obbliga tutti i confessori di Roma a seguire annualmente otto giorni di esercizi spirituali nella Casa di Monte Citorio ed i parroci a sostenervi gli esercizi ogni tre anni (ridotti a due nel 1701); i Ritiri di confessori e parroci si svolgevano due volte l’anno, dopo la domenica in Albis e dopo la festa dei Defunti, con meditazione, lettura, esame particolare, confessione e celebrazione liturgica, prove delle cerimonie, esame sul rituale.

23 E la loro origine d’oltralpe, marcata dalle complesse relazioni tra Curia romana e corona di Francia fra Sei e Settecento.

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missione 24. Certo, l’eccellenza gesuitica 25 (e la ritrosìa lazzarista) ha offuscato la memoria delle circa millequattrocentocinquanta missioni che la congregazione vincenziana organizza a Roma e nelle campagne circostanti. La fama missionaria lazzarista è legata piuttosto anche a Roma ad un paradigma storiografico che ha codificato due modelli apostolici: quello «tutto fuoco» dei gesuiti e quello «tutta quiete» dei lazzaristi. Alla sua origine colloco la famosa lettera del 1746 del più noto dei predicatori italiani Leonardo da Porto-Maurizio che non è il caso qui di trattare se non per evocare l’eternizzazione di «modelli» apostolici sancita dalla storiografia successiva fino ai nostri giorni; e per evidenziare d’altra parte la giustapposizione di linguaggi apostolici che, nel rifiuto di modelli, sommessamente dall’ultimo decennio del Seicento emerge dalla realtà apostolica italiana e mette in discussione il primato nell’apostolato missionario della Compagnia di Gesù.

Siamo di fronte ad un tema sensibile, che incrina il primato gesuitico nella missione popolare a fronte di un quadro reale che in Italia può contare ormai su molteplici protagonisti e che fa i conti con l’ampia letteratura edificante che dall’Imago del 1640 (e dalla Storia di Scipione Paolucci stampata a Napoli nel 1651) ha costruito i “perfetti missionari”26, esaltando l’apostolato gesuitico nelle sue tante frontiere. A questa letteratura di trionfo si giustappone una più timida ma importante produzione letteraria (sia all’esterno che all’interno dell’ordine) che si concentra sull’apparato, e vuole essere estranea alle critiche che incombono ormai anche sulle missioni, accusate di essere troppo rigide e codificate, esteriori, adatte ad una religiosità superficiale, ignorante e superstiziosa. Ne costituisce lucido esempio la Fondazione delle

24 In riferimento ai Pii Operai, attivi compiutamente dagli anni Novanta del Seicento e ai barnabiti, presenti dal 1608 nella diocesi di Porto e nei decenni successivi, di Ostia e di Albano.

25 La produzione letteraria, dall’Imago alle Lettres édifiantes…, esaltando l’apostolato gesuitico nelle sue tante frontiere, contribuisce alla costruzione di un modello letterario capace di rispondere anche alle esigenze di pacificazione interna all’ordine e ad eternizzare il mito della Compagnia e il suo primato missionario; per l’Italia: 1673, Relazione delle missioni fatte sulle montagne di Modena dai M. R. PP. Segneri e Gio. Pietro Pinamonti della Compagnia di Gesù l’anno 1672 di padre Bartolini (Modena, 1673), seguita nel 1714 dalla Pratica delle missioni del Padre Paolo Segneri del padre Fulvio Fontana; le ventisei immagini di clero e fedeli delle missioni stampate nell’edizione del 1739 codificano ancora oggi con sorprendente continuità l’immagine (esclusivamente gesuitica) delle missioni italiane.

26 Ricordo il fortunato libro di a boschet, Le Parfait missionnaire ou la vie du R. P. Julien

Maunoir de la Compagnie de Jésus, missionnaire en Bretagne, Paris 1697, con numerose edizioni successive e traduzioni. Cfr. b. dompnier, Les cantiques dans la pastorale missionnaire en France au x VIIe siècle, in La musica dei semplici. L’ altra controriforma, a mia cura, Roma, Viella, 2012.

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missioni di Modena del gesuita Vincenzo Imperiali, pubblicata a Venezia nel 1701, che stigmatizza l’esteriorità nemica della missione come strumento pastorale ordinario e teorizza la sottomissione delle pratiche di pietà all’autorità dei vescovi.

Si tratta di importanti tematiche che attraversano fin dall’ultimo Cinquecento la cultura religiosa europea e il corpo-Chiesa nella sua sfaccettata identità, toni che lo stesso Luigi Fiorani richiama a proposito del gesuita Antonio Baldinucci – prima citato quale protagonista della riflessione missionaria interna alla Compagnia – chiudendo la sua riflessione sulle missioni popolari proprio quando queste, grazie a molteplici protagonisti, escludono un modello apostolico univoco e senza riserve.

Prende forma la realtà di campagne apostoliche celebrate a pieno titolo da tutti i missionari attivi con crescente visibilità e potere, ma all’ombra dei vescovi: un insieme complesso di parole e gesti, liturgie e pratiche sacramentali che si svolge nel rispetto dei tempi del lavoro agricolo e delle competenze diocesane, fa uso spettacolare della penitenza ma si concentra sulle confessioni, raccoglie le confidenze e le speranze più intime del le genti, costruisce la missione come una festa e la eternizza con la organizzazione confraternale e le devozioni.

Sia pure in forma non pienamente compiuta, si tratta del quadro che Jean Coste evidenzia a partire dalle «nuove missioni (…) per quei casali di campagna situati ne’ limiti delle parochie di Roma» della primavera 1703, raccontate in cinquanta fogli da Tommaso Cervini, cameriere d’onore di Clemente XI.

Questa importante campagna apostolica, successiva ai forti terremoti dell’inizio d’anno, avvia l’ufficializzazione della missione e il suo trasformarsi da strumento straordinario della pastorale a mezzo primario della conversione, secondo un percorso – non lineare e spesso improntato dai pontefici – che si compie definitivamente più tardi, nel primo decennio del pontificato Lambertini, nell’ambito di un disegno più generale di riforma delle pratiche devote; nel tempo in cui un’ampia erudizione cattolica delinea un cristianesimo utile alla società e fondatore delle virtù civili da contrapporre all’offensiva del secolo27.

L’ indirizzo generale della campagna del 1703 è improntato a «provocare il pentimento e il ritorno a Dio attraverso il sacramento della penitenza, seguito dalla pubblica affermazione di fede costituita dalla comunione

27 I temi della predicazione ordinaria, insegnamento del catechismo, controllo e la formazione del clero, del controllo delle devozioni e delle feste religiose sono oggetto del volume dedicato da Fiorani al Concilio romano del 1725

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generale dell’ultimo giorno»28. Sembra dunque che non si esca dalla impostazione consueta, da quelle evoluzioni registrate da Fiorani « talmente lente da rendere quasi impercettibile che cosa cambia», tranne che per una novità decisiva prodotta da queste missioni, la fondazione di nuove parrocchie. E tranne che per una precisazione, che affiora dalle fonti come un indizio secondario ed è invece destinata a segnare la «missione nuova» nella sua forma compiuta e codificata nei decenni successivi, dai tre grandi santi, missionari, fondatori del Settecento italiano, Leonardo da Porto Maurizio, Paolo della Croce e Alfonso de Liguori.

Ai temi propri della pastorale della paura, i predicatori del 1703 «si dimostrano capaci di preferire... temi più consolanti come l’amore di Gesù per l’uomo». Il richiamo al Cristo mostra ora un segno inedito rispetto ai temi e alle figure cristologici delle missioni gesuitiche dei decenni precedenti, centrati (anche nella campagna romana) sul perdono elargito da Gesù ai suoi persecutori che richiamava i cristiani ad essere anch’essi pronti al perdono, alle paci, alle riconciliazioni 29. Il riferimento al Cristo sofferente e dolce è ora qualcosa di più: è la radice comune del carisma e della vocazione delle missioni nuove. È la loro stessa immagine e, sul modello degli apostoli, impronta l’agire per sacralizzare gli spazi e i cuori in nome delle devozioni cristologiche della Via Crucis di Leonardo da Porto Maurizio, della devozione della Passione di Paolo della Croce, dei Calvari dei Redentoristi, nell’eco dei Pii Operai di Carafa e di Pietro Gisolfo30. È l’evocazione primaria di un clero incline a concedere il perdono ad ogni peccatore e offrendogli identità sentita e riconoscibile nella comunità cristiana, sulla linea benignista che sant’Alfonso Maria de Liguori provvederà più tardi a fissare nella teologia morale: efficace protezione dalle roventi polemiche di riformatori e rigoristi, è messaggio perfetto per l’umanità povera e desolata delle campagne e per gli orizzonti di rigenerazione che caratterizzano per qualche decennio il Settecento religioso, la «religione del cuore»31.

28 j coste, Missioni nell’Agro romano, p. 179.

29 Tema importante, su cui letture di ampio respiro di: p. vismara, Oltre l’usura: la Chiesa moderna e il prestito a interesse, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004; d. menozzi, Chiesa, poveri, società nell’età moderna e contemporanea, Brescia, Queriniana, 1980.

30 Per il ridisegno di Pietro Gisolfo sulla missione dei Pii Operai, oltre alla bibliografia già indicata, rinvio al saggio di d vizzari in Devozioni e pietà popolare, pp. 270-290.

31 châtellier, La religione dei poveri; d menozzi, Letture politiche della figura di Gesù nella cultura italiana del Settecento, in Cattolicesimo e lumi nel settecento italiano, a cura di m. rosa, Roma, Herder, 1981, pp. 127-176; m. rosa, Settecento religioso. Politica della ragione e religione del cuore, Venezia, Marsilio, 1999; Religions en transition dans la seconde moitié du dix-huitième siècle, ed. l châtellier, Oxford, Voltaire Foundation, 2000.

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LE CONVERSIONI: MODELLI, STRATEGIE, PRATICHE

1. “Dall’infamia dell’errore al grembo di Santa Chiesa”. Conversioni e strategie della conversione a Roma nell’età moderna si intitolava il decimo volume delle «Ricerche per la storia religiosa di Roma», curato da Luigi Fiorani nel 1998. Come era consueto nello schema della rivista – uno schema assai articolato, indicativo anch’esso di come egli intendesse la ricerca storica –, il volume comprendeva una tavola rotonda introduttiva, una nutrita serie di saggi sul tema della conversione e due inventari corposi di eccezionale novità. Gli inventari, introdotti egregiamente dai due autori, Sergio Pagano e Domenico Rocciolo, accompagnati da un ricco apparato documentario, descrivevano rispettivamente l’ Archivio dell’Ospizio Apostolico dei convertendi, conservato nell’Archivio Segreto Vaticano, e l’Archivio della Pia Casa dei catecumeni e neofiti, custodito nell’Archivio storico del Vicariato di Roma. I due inventari costituivano una ghiotta novità perché davano modo agli studiosi di venire a diretta e completa conoscenza di due fonti importantissime per la storia religiosa e sociale di Roma, per la ricostruzione dell’attività missionaria nella città e in particolare per la storia delle conversioni.

Il primo inventario, quello dell’istituto dei convertendi, in parte noto per gli studi di Bruno Neveu e dello stesso monsignor Pagano, con l’ ordinamento e la breve descrizione delle ben 759 unità archivistiche forniva la panoramica completa e analitica dei singoli pezzi del fondo, seguendo un esatto metodo storico che rispettava nascita e evoluzione dell’istituto1.

1 Sull’ospizio dei convertendi, b neveu, Tricentenaire de la fondation à Rome de “L’ Ospizio de’ Convertendi” (1673): ses hôtes français au x VIIe siècle, «Rivista di storia della Chiesa in Italia», XXVII (1973), 2, pp. 361-403; s pagano, L’ Ospizio dei convertendi di Roma fra carisma missionario e regolamentazione ecclesiastica (1671-1700), «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 10 (1998), pp. 313-390 e 455-544 per l’inventario; cfr. ora r. matheus, Mobilität und Konversion. Überlegungen aus römischer Perspektive, «Quellen und Forschungen aus Italienischen Archiven und Bibliotheken», LXXXV (2005), pp. 170-213 e ead , Gli oratoria-

2013

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura,

Quanto al secondo, a lungo bramato dagli storici – ben ricorderà l’amico Rocciolo le attese e le richieste degli studiosi in quel periodo – fu accolto con enorme interesse perché metteva finalmente a disposizione informazioni certe e verificabili sia sulla storia stessa, fino ad allora poco nota e un po’ confusa, dell’istituto della Casa dei catecumeni, sia su quanto effettivamente contenevano – al di là di favolosi vagheggiamenti – i faldoni conservati, riordinati accuratamente con un apparato inventariale elencante ben 369 unità archivistiche 2. Una panoramica ampia dunque, che completava e anzi andava ben al di là della pur meritoria opera di W. H. Rudt de Collenberg sui registri di battesimo di ebrei e musulmani nella Casa: un’opera, quest’ultima, pionieristica e anticipatrice su cui tutti abbiamo lavorato e che già alla fine degli anni Ottanta metteva a disposizione un’analisi accurata di quella fonte, ma che tuttavia aveva bisogno di essere completata con tutto il resto della documentazione conservata, di cui i registri costituivano solo una parte3

Certamente i due contributi dati al volume da Pagano e Rocciolo, con i loro preziosi inventari, contribuirono moltissimo al rilancio degli studi in materia di conversioni, intese come passaggi al cattolicesimo da una fede altra. Nel 1998, quando uscì il numero delle «Ricerche per la storia religiosa di Roma» di cui stiamo trattando, la tematica della conversione, nelle diverse accezioni del termine, che vedremo subito, non era così al centro dell’attenzione storiografica come è oggi, quando, in una situazione di tensioni e di conflitti religiosi forti, la questione viene ad inserirsi nella più vasta problematica delle identità nazionali, culturali e religiose e degli irrigidimenti attuali all’interno di appartenenze vissute come chiuse, compatte

ni e i protestanti: concetti e pratiche di conversione a Roma (x VI-x VIII secolo), in Forzare le anime. Conversioni tra libertà e costrizione in età moderna, numero monografico a cura di m. caffiero, «Rivista di storia del cristianesimo», 2010, 1, pp. 109-125.

2 d rocciolo, Documenti sui catecumeni e neofiti a Roma nel Seicento e Settecento, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 10 (1998), pp. 391-452 e 545-582 per l’inventario; si veda anche m caffiero, Battesimi forzati. Storie di ebrei, cristiani e convertiti nella Roma dei papi, Roma, Viella, 2004 (2a ediz. ivi, 2009). Sul funzionamento della Casa dei catecumeni di Roma e sui privilegi e vantaggi concessi ai convertiti cfr. il mio Battesimi forzati, capp. VI e VII.

3 w h rudt de collenberg, Le baptême de juifs de Rome de 1614 à 1798 selon les registres de la Casa dei Catecumeni, «Archivum historiae pontificiae», XXIV (1986), pp. 91-231; XXV (1987), pp. 105-261; XXVI (1988), pp. 119-294; id , Le baptême des musulmans esclaves à Rome aux x VIIe et x VIIIe siècles, «Mélanges de l’Ecole Française de Rome. Italie et Méditerranée», CI (1989), 1, pp. 9-181; 2, pp. 519-670. Nel 1999 uscì anche il numero monografico delle «Annales. Histoire, Sciences Sociales», LIV (1999), 4, dedicato alle Conversions Religieuses.

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e impermeabili. Ma in età moderna il contesto era assai diverso e proprio il discorso storico sulle conversioni e sui convertiti ci spinge piuttosto nella direzione opposta, quella delle interazioni, delle contaminazioni e delle identità multiple, delle relazioni tra gruppi diversi. Ma su questo tornerò alla fine del mio intervento.

Prima del volume del 1998 vi erano stati ovviamente molti saggi, studi e convegni relativi ai fenomeni di conversione nell’Europa moderna4; per l’area mediterranea erano disponibili anche i pionieristici lavori dei coniugi Bennassar o di Lucia Rostagno sui rinnegati, i cosiddetti ‘cristiani di Allah’5, gli studi di Attilio Milano e di Giuseppe Sermoneta sui battesimi di ebrei6, o di Fausto Parente sul confronto ideologico tra ebrei e cristiani7. Ma pochi lavori si erano posto il problema che poneva Luigi Fiorani nel fascicolo della sua rivista: vale a dire, come si declinava il tema della conversione all’interno non solo della proposta religiosa controriformistica, ma soprattutto all’interno di una città, Roma, che andava assumendo proprio a partire dal Cinquecento la fisionomia di ‘una nuova città’, di una città rinnovata nel profondo perché doveva rispondere ai modelli e alle preoccupazioni teologiche della Chiesa tridentina? Verso la nuova città. Conversione e conversionismo a Roma nel Cinque-Seicento si intitolava infatti il corposo intervento di Fiorani nel volume, lungo ben 95 pagine. E vedremo più avanti quale ulteriore accezione poteva e può assumere l’espressione ‘verso la nuova città’, al di là di quella centrata sull’autoriforma e sul processo di rinnovamento e di disciplina innescato e proseguito, tra Cinque e Settecento, dall’interiorizzazione della religione e dei canoni postridentini.

4 Mi limito a citarne solo alcuni titoli generali: La conversion au x VIIe siècle. Actes du x IIe Colloque de Marseille du Centre Meridional de Rencontres sur le x VIIe siècle (janvier 1982), Marseille, Roger Duchene, 1983; De la conversion, a cura di j. ch. attias, Paris, Cerf, 1997; Conversioni nel Mediterraneo, a cura di a. foa e l. scaraffia, «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 2 (1996).

5 b et l bennassar, Les chrétiens d’Allah. L’ histoire extraordinaire des renégats ( x VIe et x VIIe siècles), Paris, Perrin, 1989 e l rostagno, Mi faccio Turco. Esperienze e immagini dell’Islam nell’Italia moderna, Roma, Istituto per l’Oriente, 1983.

6 a. milano, Il ghetto di Roma. Illustrazioni storiche, Roma, Staderini, 1964 e id., Battesimi di ebrei a Roma dal Cinquecento all’Ottocento, in Scritti in memoria di Enzo Sereni, a cura di d carpi, a milano, u nahon, Milano – Gerusalemme 1970, pp. 133-167; Ratto della Signora Anna del Monte trattenuta a’ Catecumini tredici giorni dalli 6 fino alli 19 maggio anno 1749, a cura di g sermoneta, Roma, Carucci editore, 1989 (riedito con introduzione da m caffiero, Rubare le anime. Diario di Anna del Monte ebrea romana, Roma, Viella, 2008).

7 f. parente, Il confronto ideologico tra l’Ebraismo e la Chiesa in Italia, in Italia Judaica. Atti del I convegno internazionale, Bari, 18-22 maggio 1981, Roma, Ministero per i Beni culturali e ambientali. Ufficio centrale per i beni archivistici, 1993, pp. 303-381.

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2. Il primo dato da notare dell’articolato saggio di Fiorani, oltre alla ricchezza di informazioni e di suggestioni che, spesso, come era suo solito si concentrano nelle densissime note, è il gioco storiografico centrato sui due diversi significati del lemma ‘conversione’. La plurivalenza semantica del termine, infatti, può riferirsi a fenomeni assai diversi, interreligiosi o intrareligiosi, letterali o metaforici: dal passaggio da una fede all’altra, e dunque da una appartenenza religiosa e comunitaria all’altra – talvolta con ritorni indietro, cioè ri-conversioni e apostasie, alla profonda trasformazione dell’io, della soggettività, e della propria vita interiore e esteriore a seguito di crisi, senza mettere però in discussione l’appartenenza a una fede bensì il come dell’appartenenza. Esiste un ampio ventaglio di tipologie di conversioni indicato dalla medesima parola, che implica una pluralità di senso e di uso.

Fiorani era ben consapevole di tale pluralità. Innanzi tutto, infatti, egli si sofferma sulla conversione intesa come metánoia, come percorso di profonda trasformazione interiore, in cui la coscienza dell’individuo dell’epoca considerata evolveva, a suo parere, in parallelo con la trasformazione della città e della comunità. Se Roma tutta si convertiva, si purificava, si emendava nei costumi e nelle pratiche rispetto alla rappresentazione di disordine data polemicamente dalla Riforma, ma sentita profondamente anche all’interno della Chiesa, la politica conversionistica che passava attraverso le missioni doveva innescare un processo di trasformazione radicale che non riguardava solo la comunità, il collettivo urbano, ma il singolo cristiano chiamato a convertirsi a Dio8. Da questo punto di vista, la conversione è intesa come rinnovamento, rinascita, cambiamento radicale da uno stato all’altro, un mutamento che dona vita a una persona diversa e che presuppone un conflitto nella personalità e una discontinuità nelle convinzioni, nei comportamenti e nelle scelte di vita del cristiano. Questo tipo di conversione si può operare solo all’interno della ‘vera’ religione. Proprio per questo, appare particolarmente indovinata l’opzione di Fiorani di cominciare la sua trattazione del tema dalla figura di Ignazio di Loyola e dalla sua personale conversione per analizzarne l’opera concreta, attiva, di conquista delle anime e di trasformazione delle coscienze. Si trattava di un operato complessivo a cui proprio l’idea di conversione impresse unità, sia che si trattasse della predicazione, dell’assistenza ai poveri, delle missioni rurali e urbane o extraeuropee, oppure della fondazione di collegi per formare missionari (cioè, scrive Fiorani, «operatori di conversioni»9), delle conversioni di ebrei o di

8 l. fiorani, Verso la nuova città, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 10 (1998), p. 94.

9 Ibidem, p. 99

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prostitute, dell’insistenza sulla pratica sacramentale della confessione come momento chiave della conversione, e infine dei riti penitenziali che attraversavano in cortei e processioni la città. È una dimensione tutta interiore e affettiva, un lavoro sulla coscienza che le ricerche più recenti hanno ripreso e sottolineato. Ad esempio, in un convegno i cui Atti sono usciti con il titolo di Forzare le anime. Conversioni tra libertà e costrizione in età moderna10 , il contributo di Pierre-Antoine Fabre, che parte dagli Esercizi spirituali di Ignazio, illumina bene le tappe del processo della conversione del cristiano a Dio e il momento in cui la forza divina entra nell’anima e agisce sulla volontà e gli affetti, con tutte le conseguenze di «questo passaggio diretto di Dio», senza intercessioni e mediazioni. Scrive Fabre che l’esercizio della scrittura – gli Esercizi – è un modo per conservare questa forza e replicare le emozioni sentite11.

Questa prima accezione della conversione come riforma interiore era seguita da Fiorani anche all’interno di altre dimensioni, come quella, a lui particolarmente cara, delle confraternite e delle organizzazioni laicali in genere, in cui «riforma interiore e militanza confraternale»12 si fondono insieme nell’opera assistenziale praticata. L’ autore sollecitava una più approfondita disamina del rapporto confraternite – conversione, che effettivamente ancora manca e che solo in parte è stato riempito dalla recente, ricca storiografia sui giubilei e anni santi, periodi in cui si dispiegava più forte l’opera confraternale, materiale e immateriale. Per questo aspetto si soffermava sulla figura di un altro santo non romano, ma in realtà molto romano, Filippo Neri, e sulla sua attività conversionistica verso ‘eretici’ e ebrei. E non era certo un caso che proprio dall’ambiente degli oratoriani, prima con Giovenale Ancina e poi con Mariano Sozzini, prendesse avvio l’istituto specializzato nella conversione dei riformati, l’ospizio dei convertendi, che nacque nel 1673 e la cui attività era rivolta al gran numero di pellegrini ‘eretici’ che giungevano a Roma da diversi paesi del nord Europa con l’intenzione di diventare cattolici: al conversionismo devoto di Filippo Neri era dedicato nel fascicolo l’articolo di Maria Teresa Bonadonna Russo. Anche questo tema è stato, oggi, approfondito da nuove ricerche; in particolare da quelle di Ricarda Matheus che, sempre nel volume sopra citato, Forzare le anime, ha ripreso l’analisi del metodo conversionistico

10 Numero monografico della «Rivista di storia del Cristianesimo», 2010, 1, a cura di m. caffiero.

11 p.-a. fabre, La circulation de la force dans les Exercices spirituels d’Ignace de Loyola, in Forzare le anime, pp. 85-95.

12 fiorani, Verso la nuova città, p. 110.

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filippino e oratoriano fondato, più che sulla controversia teologica e sulla cifra dottrinale, sulla convinzione intima delle anime, conquistate attraverso l’intervento caritativo e l’emotività suscitata da un metodo centrato sulla pratica devozionale, sulla musica, sulle visite alle chiese e dunque sugli aspetti affettivi13.

3. Il secondo significato del fenomeno della conversione esaminato nel volume era quello relativo ai passaggi confessionali verso il cattolicesimo romano effettuati da appartenenti ad altre fedi, cristiane o non. Qui, l’attenzione di Fiorani si concentrava prevalentemente sui cosiddetti eretici e sugli ebrei, mentre restava del tutto nell’ombra il fenomeno, assai più grandioso numericamente in Europa, delle conversioni di cristiani all’islamismo e, per quanto riguarda Roma, quello dei musulmani che passavano al cattolicesimo. Si tratta di un vuoto tanto più strano in quanto la Casa dei catecumeni dalla cui documentazione Fiorani traeva le sue informazioni era destinata fin dalla fondazione al proselitismo nei confronti tanto di ebrei quanto di musulmani, come ben dimostrano sia gli studi di Rudt De Collenberg sui registri della Casa dei catecumeni sia l’inventario stesso redatto da Rocciolo, nonché le osservazioni di quest’ultimo contenute nella introduzione allo stesso inventario. Un vuoto che recentemente, riflettendo le sensibilità diverse sul tema innescate dall’attualità, si è cominciato a colmare anche in Italia con una serie di ricerche che hanno cercato di ricostruire strategie, racconti, motivazioni dei frequenti transiti spirituali dall’Islam al cristianesimo (e viceversa) e la loro coincidenza con transiti materiali, spaziali, delle frontiere tra mondo musulmano e quello cristiano14. I passaggi tra confini si declinano così spesso in parallelo tra mobilità spirituale e mobilità culturale, da un lato, e sfera geografica, politica e materiale, dall’altro, e costituiscono un ottimo punto di vista per studiare porosità di frontiere, universi di scambi e forme di assimilazione sociale e culturale.

La conversione come cambiamento di appartenenza religiosa si modula in un’ampia gamma di forme e strategie: la conversione coatta, quella volontaria, sofferta e consapevole, quella esteriore, opportunista o simulata, quella esibita come prova di santità. Essa in ogni caso denuncia un paradosso: dal versante degli operatori della conversione, segnala un’ossessione conver-

13 Si veda qui la nota 1.

14 Si vedano le ricerche pubblicate in Schiavitù e conversioni nel Mediterraneo, a cura di g. fiume, «Quaderni storici», XLII (2007), 126, n. 3, e ora g. fiume, Schiavitù mediterranee. Corsari, rinnegati e santi di età moderna, Milano, Bruno Mondadori, 2009. Per quanto riguarda Roma e le conversioni dall’Islam rinvio ai lavori citati nella nota successiva.

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sionistica che percorre tutta l’età moderna e che si declina nella volontà di omogeneizzazione, di riduzione delle minacciose diversità e di riconquista religiosa totalizzante; dall’altro versante, quello dei convertiti, costituisce uno strumento di integrazione sociale e culturale in un’appartenenza diversa che dimostra una grande capacità inclusiva e di assimilazione del ‘diverso’, dell’altro, del nemico, rendendolo invisibile in quanto integrato. L’ étranger invisible era il tema centrale, del resto, di un recente convegno tenutosi a Roma, organizzato dall’EHESS di Parigi e dall’Istituto spagnolo di cultura, in cui la nozione di visibilità e invisibilità dello straniero e del diverso era esaminata anche attraverso le conseguenze della conversione15.

L’ ottica da cui Fiorani guardava alla conversione al cattolicesimo da altra fede era duplice: da un lato, gli interessava la cifra politico-religiosa e polemica, tesa alla confutazione dell’errore e all’affermazione della unica verità del cattolicesimo, nonché della supremazia papale; dall’altro lato, intendeva sottolineare gli effetti di integrazione provocati dalla conversione. La prima dimensione era evidente nella conversione dei protestanti, dimostrata dall’esempio clamoroso di Cristina di Svezia il cui passaggio al cattolicesimo nel 1654 venne utilizzato e esibito come una forte arma di propaganda e come spinta e modello per altre conversioni riconducibili alla sfera delle motivazioni ‘politiche’ e ideologiche. Nella strategia generale seicentesca di rilancio dell’autorità del papato e del ruolo di Roma, in funzione antiprotestante, ma anche di eliminazione di dissensi interni, la conversione di Cristina si riverberava nella glorificazione del papa e del suo potere16. Giustamente, Fiorani allargava lo spettro cronologico del suo esame della valenza politico-ideologico delle conversioni ricordando di passata – nelle note – quanto numerose fossero state anche dopo la Rivoluzione francese e nel corso della Restaurazione in Europa i passaggi di riformati – non sempre aristocratici, molti intellettuali – alla confessione cattolica. Segnalava così una pista di ricerca che proprio recentemente è stata seguita da uno studio articolato di Claudio Canonici che ha attirato l’attenzione sul fenomeno e

15 Per le conversioni di musulmani a Roma, cfr. m. caffiero, Battesimi, libertà e frontiere. Conversioni di musulmani e ebrei a Roma in età moderna, «Quaderni storici», XLII (2007), 126, n. 3, pp. 821-841; ead., Juifs et musulmans à Rome à l’époque moderne entre résistance, assimilation et mutation identitaire. Essai de comparaison, in Les musulmans dans l’histoire de l’Europe a cura di j dakhlia e b vincent, Paris, Albin Michel, 2011, pp. 593-609 e ead., Per una storia comparativa: l’Inquisizione romana nei confronti di ebrei e musulmani in età moderna, in A dieci anni dall’apertura dell’archivio della Congregazione per la dottrina della fede: storia e archivi dell’inquisizione, Roma, Accademia dei Lincei, 2011, pp. 497-518.

16 Sulla conversione di Cristina di Svezia la bibliografia è vastissima ed è riportata ampiamente da Fiorani nel lungo paragrafo dedicato alla sovrana, alle pp. 129 e ss. e 141-149.

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ne ha analizzato i caratteri e il significato politico e religioso17. Esso viene interpretato, più che come moto dell’anima e espressione di un sentimento, quale risultato di una visione che insisteva sulla maggiore efficacia del cattolicesimo nel contrastare l’incredulo spirito dei tempi, le minacce della cultura moderna e i suoi esiti di secolarizzazione. Ma, paradossalmente, e in contrasto con il protestantesimo da cui il convertito proveniva, ciò che si cercava con l’adesione alla religione romana era in realtà la svalutazione della ragione autonoma, la ricerca e la sottomissione al principio di autorità, l’unità e l’immobilità della dottrina stabilita dai dogmi, di fronte ai quali la ragione doveva fermarsi18. I convertiti si rivelavano così gli strumenti più efficaci per contrastare le nuove idee e i nuovi assetti sociali e politici.

E qui va aggiunto di passata un altro elemento emerso dalle nuove ricerche, ma già vagamente adombrato nel volume curato da Fiorani19: vale a dire, l’analisi dei racconti di conversione che costituiscono un vero e proprio genere letterario e retorico ma che, dietro alle argomentazioni apologetiche e edificanti, rivelano percorsi di vita, autobiografie spirituali, narrazioni di sé in prima persona che consentono di cogliere l’emergere di una soggettività, di una consapevolezza dell’individuo che trascende il sistema delle appartenenze e degli incorporamenti tipici dell’età moderna. Si tratta di quelli che oggi chiamiamo ego-documents, che stanno al centro di molte ricerche europee tese a indagare la costruzione del concetto di ‘persona’ e che costituiscono una fonte importante della storia sociale e culturale per l’apporto che offrono all’analisi della costruzione dell’identità, della memoria e delle appartenenze di vari soggetti e di singoli individui. La storia delle conversioni attraverso i racconti – si pensi all’autobiografia di Al-Hasan Al-Wazzam, ribattezzato con la conversione Leone l’Africano, recentemente ripresa e analizzata da Natalie Zemon Davis20, ma anche ai tanti racconti di vita che escono dalla fonti documentarie – costituisce così un segmento importante della storia della nascita dell’individuo moderno.

4. L’ esito dell’assimilazione e dell’integrazione dei convertiti sta ancora al centro dell’esame che Fiorani intraprende della ‘santissima opera’ della

17 c canonici, “L’ aversion pour l’une le dégoûta de l’autre”. Lumi, filosofia, rivoluzione nelle conversioni al cattolicesimo fra Settecento e Ottocento, in Forzare le anime, pp. 127-138.

18 Ibidem, p. 135.

19 Intervento di j. le brun, Conversion et continuité intérieure au x VIIe siècle, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 10 (1998), pp. 50-61.

20 n. zemon davis, La doppia vita di Leone l’africano, Roma-Bari, Laterza, 2008 (ediz. originale New York 2006).

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conversione degli ebrei 21. Argomento importantissimo per la storia religiosa, ma anche culturale e sociale di Roma, dal momento che la città era sede della più antica e consistente comunità locale. Ma, soprattutto, in quanto la presenza degli ebrei nella città che si voleva santa, pur sottoposta alla segregazione attraverso lo strumento del ghetto ‘inventato’ in età moderna (1555), rappresentava non soltanto un problema teologico e ideologico, ma introduceva anche la difficoltà di gestire un rapporto complesso, conflittuale, ma fatto pure di scambi e di relazioni. La questione ebraica rientrava in pieno nella riorganizzazione, missionaria, disciplinante e di riconquista in atto all’interno della Chiesa cattolica, in cui gli ebrei entravano come soggetti da convertire, ma era fondata sulla contraddizione paradossale della necessità di salvaguardare la presenza degli ebrei in quanto essi erano i testimoni della verità del cristianesimo. Esclusione, dunque, degli ebrei in quanto ebrei, ma anche inclusione, poiché essi facevano parte integrante dell’economia della salvezza; soprattutto, ossessione conversionistica e ansia di riduzione alla ‘normalità’ dell’identità diversa, con l’assimilazione totale dei neofiti nel tessuto sociale urbano.

Nel 1543 nasceva a Roma la Casa dei catecumeni nella quale la spinta al battesimo di ebrei e musulmani, all’interno di un calibrato sistema di premi e punizioni, rivelava e praticava molti livelli di forzatura, operati in concorrenza e in collaborazione con la pure neonata Congregazione dell’Inquisizione. Ma, quanto agli ebrei, la tolleranza a Roma della loro presenza – sia pure rinchiusa nel ghetto, che costituiva anch’esso, con le sue limitazioni e la pessima qualità della vita, altro strumento di spinta alla conversione – pone in stretto rapporto tale tolleranza con la conversione al cristianesimo, a cui essa era finalizzata e che costituiva l’obiettivo primario. Un discorso un po’ diverso, invece, è quello che riguarda la presenza musulmana, di cui non sembrava così impellente o fondamentale la conversione che, comunque, non liberava affatto dalla schiavitù, come invece ci si aspetterebbe (e molti ancora sostengono) In ogni modo, il clima della Controriforma costituisce il contesto ideologico-culturale e imprescindibile da cui si avvia in generale l’imponente opera di pressione conversionistica e di annullamento della diversità sulla base dell’unica verità a cui conformarsi. Non c’è dubbio però che la diversità più irritante e preoccupante era proprio quella ebraica in quanto poneva problemi teologici e identitari molto forti per i cristiani.

21 fiorani, Verso la nuova città, pp. 165-176. Nello stesso fascicolo compaiono anche i saggi sul tema di m. procaccia, “Bona voglia” e “modica coactio”. Conversioni di ebrei a Roma nel secolo x VI, pp. 207-234 e di c. canonici, Condizioni ambientali e battesimo degli ebrei romani nel Seicento e nel Settecento, pp. 235-271.

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Se l’analisi di Fiorani indulge a qualche imprecisione, dovuta allo stato degli studi all’epoca in cui egli scriveva – ad esempio, la sopravvalutazione del ruolo della Compagnia di Gesù nella nascita e gestione della Casa dei Catecumeni –, essa indicava tuttavia una serie di aspetti e di piste che le ricerche successive avrebbero approfondito sulla base della nuova documentazione messa a disposizione: anche perché, significativamente, nello stesso anno in cui usciva il volume di «Ricerche per la storia religiosa di Roma» di cui stiamo trattando si aprivano le porte dell’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede in cui erano conservati e ora resi accessibili agli studiosi moltissimi materiali inquisitoriali su ebrei e neofiti.

Nella sua analisi, Fiorani non si soffermava sugli aspetti più duri dell’attività conversionistica verso gli ebrei, supportata da decreti papali, da istituzioni deputate alla conversione, da autorità ecclesiastiche varie, e dal tessuto sociale dei padrini e madrine, né trattava del vistoso e delicato fenomeno dei battesimi forzati. Tuttavia, di questo «furore conversionistico» – così lo definisce 22 – sottolinea con sincerità «l’ambiguità e i limiti», derivanti da una «cultura del sospetto e della discriminazione»23, rivelando una sensibilità che si riflette nelle pagine finali, tormentate e sofferte, in cui tratta senza infingimenti dell’«alto prezzo» pagato dagli ebrei romani al complessivo progetto religioso controriformistico24. Anche su un altro punto vorrei richiamare l’attenzione, vale a dire sulla dimensione interpretativa e per nulla apologetica che emerge dallo scritto che è quella, modernissima e attuale, fondata sul tema identitario. Verso una nuova identità si intitolava infatti il penultimo e conclusivo paragrafo del saggio di Fiorani, indicando con chiarezza il nodo interpretativo centrale. Se le frontiere della cristianità si rivelano malleabili e elastiche, le Case dei catecumeni, invenzione tipicamente italiana, papale e controriformistica, nata per istruire gli infedeli da avviare al battesimo, insieme agli Ospizi dei convertendi destinati ai protestanti, diventano forme istituzionalizzate di integrazione sociale. Il battesimo è fondatore di una nuova identità, di cui diventa segnale il nuovo cognome assunto, mezzo di riconoscimento pubblico e insieme, paradossalmente, anche fattore di invisibilità, di assorbimento nel tessuto cittadino e nella nuova comunità.

Allora anche il titolo generale del saggio Verso la nuova città assume, alla luce delle ricerche odierne, un senso diverso da quello sopra descritto, caratterizzato dalla sola cifra controriformista. È un titolo efficace e pregnante, assai più di quello Roma, la città del papa, attribuito al volume degli Annali

22 fiorani, Verso la nuova città, p. 185.

23 Ibidem, p. 184.

24 Ibidem, p. 186.

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Einaudi che Luigi Fiorani curò insieme con Adriano Prosperi: un volume che mise in circolo un’espressione che da allora è entrata nel lessico storiografico corrente pur non corrispondendo in pieno alla storia e alla fisionomia della città che si voleva raccontare, dall’età moderna fino a oggi 25 . Verso la nuova città è invece un titolo efficace e pregnante non solo perché allude all’autoriforma ritenuta necessaria, e realizzata dispiegando tutte le strategie di ricostruzione cattolica – tra le quali era centrale, come si è visto, la spinta conversionistica –, ma perché indica una caratteristica già evidente nella Roma di età moderna che è divenuta la caratteristica peculiare della città di oggi: il pluralismo religioso e culturale. Infatti, se ci si pone dal punto di vista delle conversioni, sia la città di Roma sia soprattutto i due microcosmi che riflettono e amministrano tale fenomeno, cioè la Casa dei catecumeni e l’Ospizio dei convertendi, ci appaiono come vere e proprie terre di confine, frontiere e aree di crocevia delle minoranze religiose e culturali in cui i passaggi dall’una all’altra religione, e anche da un paese all’altro, erano frequenti e soprattutto visibili, ritualizzati, resi noti e pubblici, raccontati e letti. Sia nel caso che si tratti di passaggi al cattolicesimo, e dunque di trasferimenti nell’Urbe, sia nei casi inversi di apostasie, abbandoni e fughe dalla città, quasi sempre in direzione dei paesi del tollerante Islam, tutta l’Europa e in particolare il bacino del Mediterraneo si presentano fittamente percorsi da traiettorie intrecciate che convergono a Roma o si dipartono da Roma: città la cui stessa dimensione conversionistica e la cui pretesa di egemonia religiosa e universalistica la rendono meta o punto di partenza di una mobilità allo stesso tempo fisica, geografica e spirituale, italiana e per così dire ‘nazionale’ e anche internazionale.

Sono dimensioni che Fiorani aveva intuito, pur nella mancanza ancora di ricerche approfondite, arrivate successivamente. Queste hanno offerto dati che a mio parere devono mutare sensibilmente la percezione storica di Roma in età moderna, liberandoci dall’idea e dal mito di una città dall’identità sociale e culturale – e perfino etnica e antropologica – definita nel lungo periodo, chiusa, compatta, immobile e unitaria e fanno emergere invece una fisionomia assai più articolata, dalle molte ‘contaminazioni’ e impregnata di molteplicità identitarie 26. Una fisionomia capace di mettere in questione e

25 Roma, la città del papa. Vita civile e religiosa dal giubileo di Bonifacio VIII al giubileo di papa Wojtył a, a cura di l fiorani e a prosperi, in Storia d’Italia, Annali, 16, Torino, Einaudi, 2000.

26 Sul mito e sullo stereotipo della derivazione incorrotta del popolo romano dagli antenati della romanità classica, che corrisponde a una autorappresentazione urbana secolare e diffusa ed esprime una retorica della romanità adottata e fatta propria da viaggiatori

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di farci interrogare sui contenuti della stessa categoria di identità che oggi domina il linguaggio storiografico e che, se intesa troppo rigidamente – per costruire una visione monolitica (e inesistente) delle società di età moderna –, non aiuta la comprensione delle difficili congiunture contemporanee.

e da storici fino a tempi recenti, si veda m. cattaneo, La sponda sbagliata del Tevere. Mito e realtà di un’identità popolare tra Antico Regime e Rivoluzione, Napoli, Bibliopolis, 2004 e prima a. giardina – a. vauchez, Il mito di Roma. Da Carlo Magno a Mussolini, Roma-Bari, Laterza, 2000.

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LUIGI FIORANI E GLI STUDI

SUL SETTECENTO RELIGIOSO ROMANO

Vorrei ricordare, insieme con voi, con sentimenti di grande amicizia, uno studioso, col quale ho avuto per molti anni più occasioni d’incontro nel nostro comune lavoro e più ragioni di convergenza, e spesso d’intreccio, nei nostri personali percorsi di ricerca sul Settecento religioso. Non dedicherò tuttavia, estesamente, questo mio intervento agli studi sul Settecento religioso in generale, vale a dire agli orientamenti e alle prospettive che si sono delineate nel settore in questi ultimi decenni, in quanto una recentissima rassegna di Marina Caffiero ci può guidare con mano sicura nel complesso panorama che una tematica religiosa attualmente offre – e ci auguriamo continuerà ad offrire – alla nostra conoscenza del secolo dei Lumi1. Mi limiterò qui a richiamare almeno alcuni elementi di un quadro storiografico come esso si è configurato dagli anni ’50-’60 del Novecento, per meglio cogliere la collocazione di Fiorani in un contesto di studi, che egli coltivò largamente, e per valutare più adeguatamente quel che è stato il suo contributo in un ambito di ricerche che non senza difficoltà, come diremo, si è sviluppato, e via via affermato, all’interno della storiografia modernistica italiana.

È noto – ma è opportuno ricordarlo – che la tradizione degli studi sul Settecento, legati nella cultura italiana a quelli sul Risorgimento, è stata a lungo una storiografia ‘laica’, volta all’individuazione dei motivi culturali e ideali che furono alla base del movimento unitario, degli ‘albori’, come si diceva, o per riprendere il titolo dell’opera di Ettore Rota, che pure toccò aspetti politico-religiosi del secolo, delle ‘origini’ del processo di unificazione nazionale. E su questa linea gli aspetti religiosi del Settecento in larga parte venivano identificati col giansenismo: sia stata la ricerca di Jemolo (1928), che ne sottolineava però, in polemica col Rota, le radici profonda-

1 Cfr. m. caffiero, Il Settecento religioso, in Il Settecento negli studi italiani. Problemi e prospettive, a cura di a. m. rao e a. postigliola, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2010, pp. 185-194.

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

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Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013

mente intrise di forti e lontani valori religiosi, sia stata l’interpretazione di Codignola, sulla soglia degli anni ’40, che ne esaltava invece i valori di ‘modernità’ nell’impulso dato all’autonomia della coscienza individuale 2 È con gli studi di Ettore Passerin d’Entrèves, docente a Pisa di storia del Risorgimento agli inizi degli anni ’50, storico cattolico dalla fine sensibilità religiosa, studi dedicati al giansenismo toscano in rapporto al riformismo illuminato leopoldino (1953-55) attraverso il nesso inscindibile tra politica e religione, che assistiamo ad una svolta decisiva nelle ricerche sul giansenismo italiano, saldamente inserite in quelli che furono i dibattiti, gli scontri e le spinte del movimento riformatore settecentesco3. Sono questi, peraltro, gli stessi anni in cui il Settecento incontrava sul piano storiografico complessivo una svolta, che dava vita ad una nuova, larga valutazione interpretativa. Non è un caso che nel 1953, al XXXII congresso di storia del Risorgimento di Firenze, e poi nella «Rassegna storica del Risorgimento» del 1954, Franco Venturi abbia presentato quell’articolo su La circolazione delle idee, che resterà alla base della sua riflessione storica, e che ispirerà, a partire dal 1969, tutta la sua successiva, poderosa attività di studioso del Settecento riformatore, dagli innumerevoli articoli dedicati al movimento dei Lumi ai diversi volumi degli Illuministi italiani pubblicati presso l’editore Ricciardi. Un’interpretazione forte ed organica, questa di Venturi, di intensa matrice laica, destinata presto, per l’ampiezza del panorama che era in grado di offrire, ad essere egemone nella storiografia settecentista italiana4.

Se Venturi continuerà negli anni successivi, con grande coerenza, il suo monumentale lavoro sul Settecento riformatore, Passerin d’Entrèves, con la fine degli anni ’50, interrompeva, anche se non del tutto, le sue ricerche sul giansenismo e sul Settecento politico e religioso. Nel corso degli anni ’60 e ’70, e persino più avanti, si susseguiranno certo da parte sua numerose recensioni, come quelle dedicate ai lavori di Pietro Stella, e rassegne, come quella approntata con Francesco Traniello nel 1967, Ricerche sul tardo giansenismo italiano, sino all’ultimo contributo, preparato in occasione del

2 Per questa fase di studi, cfr. f. margiotta broglio, Appunti storiografici sul giansenismo italiano, in Raccolta di scritti in onore di Arturo Carlo Jemolo, I, 2, Milano, Giuffrè, 1962, pp. 791-849.

3 Cfr. f traniello – f bolgiani – g rutto, Introduzione. La storiografia militante di Ettore Passerin d’Entrèves, in Dai quaccheri a Gandhi. Studi di storia religiosa in onore di Ettore Passerin d’Entrèves, a cura di f traniello, Bologna, Il Mulino, 1988, pp. 7-20, in particolare pp. 14-15; ibidem, pp. 31-40, la bibliografia degli scritti.

4 Cfr. f. venturi, La circolazione delle idee, «Rassegna storica del Risorgimento», XLI (1954), pp. 203-222; sulla storiografia di Venturi cfr. tutto il numero 2-3 dedicatogli dalla «Rivista storica italiana», CVIII (1996).

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bicentenario del sinodo di Pistoia (1986), ma apparso postumo nel 1991, in cui Passerin d’Entrèves rilegge, per così dire, le Memorie di Scipione de’ Ricci e ripercorre le linee dei suoi lavori degli anni ’50. Non era un mutamento d’interessi, quanto piuttosto un affiancarsi in lui di altri temi, accanto a quelli riguardanti il giansenismo, legati ad altri filoni di ricerche, come quelli sul cattolicesimo liberale, che si erano andati accentuando allora sotto la spinta delle discussioni intorno al centenario dell’Unità d’Italia e al processo risorgimentale5. Parallelamente, mutato quel che va mutato, andava intanto avviando le sue ricerche sul Settecento religioso chi, come me, si muoveva sulla linea di una storiografia laica, nel contesto di quelle trasformazioni, che caratterizzarono la cultura storica italiana degli anni ’60-’70, come viene richiamato dalla citata rassegna di Marina Caffiero alla quale volentieri rinvio 6 .

Non v’è dubbio che, nonostante uno sviluppo non privo di difficoltà, nel corso dell’ultimo trentennio del secolo appena trascorso, il quadro del Settecento religioso si andasse comunque ampliando e articolando anche ad opera di altri studiosi, più maturi come Vittorio Emanuele Giuntella, e più giovani, tra i quali possiamo annoverare lo stesso Fiorani, e poi Marina Caffiero, e altri ancora. Ed è a questo punto che va richiamata, proprio perché più vicina al nucleo del nostro discorso, la figura di Giuntella, studioso cattolico schivo ed attento, la cui testimonianza religiosa e le cui qualità umane e scientifiche sono state di modello per molti suoi amici e discepoli, e segnatamente per chi gli è stato assai vicino, come Fiorani.

Nel quadro degli studi sul Settecento, quelli su Roma e lo Stato della Chiesa erano rimasti anch’essi a lungo, sino al crinale degli anni ’60-’70, affidati sostanzialmente ad una tradizione storiografica marginale, di costume ed aneddotica, ispirati in prevalenza da una curiosità meramente letteraria, sia perché, da un lato, la storiografia laica ‘risorgimentista’ li escludeva dalla propria sfera di interessi, per la persistenza del ruolo negativo attribuito al papato nel processo pre-unitario e unitario, sia perché, dall’altro, la storiografia modernistica riguardo ai problemi religiosi era proiettata, tra gli

5 Cfr. traniello – bolgiani – rutto, Introduzione; per il rinnovato interesse di Passerin d’Entrèves sul giansenismo, cfr. f traniello – e passerin d’entrèves, Ricerche sul tardo giansenismo italiano, «Rivista di storia e letteratura religiosa», III (1967), pp. 279-313; e passerin d’entrèves, Scipione de’ Ricci dalla formazione giovanile all’esperienza sinodale. Rileggendo le sue Memorie, in Il sinodo di Pistoia del 1786. Atti del Convegno internazionale per il secondo centenario Pistoia-Prato, 25-27 settembre 1986, a cura di c. lamioni, Roma, Herder, 1991, pp. 65-149.

6 Cfr. caffiero, Il Settecento religioso, in particolare pp. 189-192.

LUIGI FIORANI E GLI STUDI SUL SETTECENTO RELIGIOSO ROMANO 207

anni ’50-’60, sui temi della riforma cattolica e delle applicazioni dei decreti tridentini nelle diocesi italiane. È merito di Giuntella aver avviato intorno ad alcuni nodi della storia settecentesca di Roma, in particolare intorno al nodo rivoluzionario di fine secolo, un rinnovamento sostanziale, a partire dal 1950, con La giacobina repubblica romana, con le Assemblee della repubblica romana del 1954, con Cristianesimo e democrazia in Italia al tramonto del Settecento del 1955, e specificamente con le Ricerche per la storia religiosa di Roma nel Settecento, in «Studi romani» del 1960, con Studi sul Settecento romano, appari sulla stessa rivista nel 1961, sino all’importante volume complessivo Roma nel Settecento del 1971. Ricerche e lavori, questi, che saranno seguiti da altri saggi su Roma nell’età napoleonica, sulla controrivoluzione in Italia (1988) e sugli orientamenti religiosi e democratici del Triennio (1990): venendo a costituire, sul filo degli anni, un quadro coerente e a fornire i caratteri concreti di un ‘osservatorio’, dal quale sviluppare una storia religiosa di Roma nello snodo tra l’età moderna e l’età contemporanea7

Maturano così le condizioni perché nascano, a partire dal 1977, con scadenza annuale, le «Ricerche per la storia religiosa di Roma» (dodici fascicoli, l’ultimo dei quali apparso nel 2009), aperte nel primo numero da una tavola rotonda su La storia religiosa di Roma: problemi e metodi, condotta da Gabriele De Rosa, Raoul Manselli, Mario Scaduto, Vittorio Emanuele Giuntella, Giacomo Martina: un periodico di cui sarà dall’inizio redattore Fiorani, la cui conoscenza della realtà religiosa romana si era intanto affinata e approfondita attraverso le rassegne annuali su «Studi romani» di cui diremo, e che aveva mostrato e confermerà sempre eccellenti doti di organizzatore culturale. Una preoccupazione centrale nell’avvio delle «Ricerche» sarà non solo l’individuazione dei temi da affrontare e delle linee da percorrere, ma l’attenzione rivolta in prospettiva alle fonti da utilizzare per la storia religiosa di Roma, esistenti in archivi ecclesiastici, come quello del Vicariato, oltre che nell’Archivio Segreto Vaticano, o in archivi pubblici e privati; e non a caso il sottotitolo della rivista porta «Studi documenti inventari», per sottolineare la necessità di acquisire ai fini della ricerca un patrimonio documentario, pressoché sconosciuto, che attendeva di essere indagato e valorizzato. Sarà Giuntella, nel suo intervento, ad indicare a grandi linee il percorso di un programma che verrà negli anni a venire ampiamente realizzato: tra l’altro, dagli studi delle confraternite a quelli dei processi di beatificazione

7 Cfr. i diversi contributi dedicati a Giuntella insieme con alcuni suoi scritti, raccolti sotto il titolo di La vocazione di uno storico. In memoria di Vittorio Emanuele Giuntella, «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 2 (2000), pp. 49-185; ibidem, pp. 187-197, la bibliografia degli scritti.

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e di canonizzazione di figure come quella del Labre, cui ha dedicato poi un lavoro suggestivo Marina Caffiero, o quella di san Paolo della Croce, al centro delle ricerche di Stefania Nanni, o ancora quella di san Leonardo da Porto Maurizio, richiamata più volte nelle sue ricerche da Pietro Stella8.

È in questo avvio delle ricerche verso nuovi approdi che possiamo chiederci quali siano stati la collocazione e il contributo di Fiorani negli studi sul Settecento religioso, in particolare in quelli riguardanti la storia religiosa di Roma. Devo dire che ignoravo la formazione scientifica e i primi interessi di Fiorani intorno a temi connessi alle antichità cristiane, su cui ha dato ampie informazioni Massimiliano Ghilardi, né saprei dire come sia maturato il passaggio di Fiorani ad interessi settecenteschi. È probabile che esso sia stato provocato, o magari facilitato, da un suo articolo apparso su «Studi romani» del 1967, dedicato ad Una figura dimenticata nel Settecento romano. L’ abate Onorato Caetani, che sarà seguito nel 1969 dal volume dedicato allo stesso personaggio, con appendice di documenti inediti: una pubblicazione, questa, come poi diversi profili di personaggi della famiglia Caetani apparsi nel Dizionario biografico degli Italiani, nel 1973, che possiamo riferire alle responsabilità di Fiorani quale archivista della Fondazione Caetani a partire dal 1963-64, prima di assumere anche la responsabilità dell’Archivio della Biblioteca Vaticana nel 19699.

Ma una collocazione in un contesto istituzionale può dire molto o poco a seconda che venga o non venga sostenuta da un interesse reale; e un interesse reale per il Settecento religioso vi fu in Fiorani, come appare di primo acchito da un saggio, Il secolo x VIII, inserito nel volume, Riti cerimonie feste e vita di popolo nella Roma dei papi (1970), dovuto a più autori, oltre lo stesso Fiorani, da Giuseppe Mantovano a Pio Pecchiai, da Antonio Martini a Giovanni Orioli10. Un saggio interessante, questo di Fiorani, che non dobbiamo valutare alla luce di linee di ricerca maturate in questi ultimi decenni, sotto l’impulso degli studi antropologici, e dedicate ai rituali e ai cerimoniali delle corti e alle festività urbane d’antico regime sotto il profilo simbolico e quali linguaggi del potere politico e/o religioso. Se ci si muove, col volume,

8 Cfr. g. de rosa – r. manselli – m. scaduto – v. e. giuntella – g. martina, La storia religiosa di Roma. Problemi e metodi, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 1 (1977), pp. 9-40.

9 Cfr. il profilo di Fiorani delineato da d rocciolo, Ricordo di Luigi Fiorani, «Archivio italiano per la storia della pietà», XXIII (2010), pp. 7-18.

10 Cfr. l. fiorani, Il secolo x VIII, in l. fiorani – g. mantovano – p. pecchiai – a. martini – g. orioli, Riti cerimonie feste e vita di popolo nella Roma dei Papi, Bologna, Cappelli, 1970, pp. 219-257.

in un altro contesto storico e culturale – siamo nel 1970 – ancora legato ad una linea tradizionale di studi, non possono non colpire però alcuni elementi che denotano in Fiorani una maturità di studioso e un dominio ormai sicuro della storiografia più antica e più recente sulla città di Roma, che intanto trovava posto nelle ‘cronache’ che lo stesso Fiorani andava elaborando per «Studi romani». Quel che a Fiorani in realtà interessava maggiormente non era tanto – a ben guardare – la valenza dei riti, delle cerimonie e delle feste romane, che pure vengono attentamente analizzate, ma erano i caratteri della vita religiosa romana settecentesca. È questo il filo rosso che contrassegna per Fiorani il profilo della città, dalla Curia al ceto ecclesiastico, alla nobiltà, ai ceti artigiani, ai poveri ed emarginati pullulanti nelle strade o chiusi nelle strutture assistenziali: un filo rosso, colto nelle cerimonie della settimana santa, nelle festività pasquali, nelle processioni e nei pellegrinaggi, ma anche nella socialità delle grandi feste e manifestazioni pubbliche, religiose, e altresì politiche per la presenza delle rappresentanze diplomatiche europee, o nell’esuberanza del carnevale, caratterizzate spesso, tali manifestazioni pubbliche come la consegna della chinea, dalla visibilità trionfale delle macchine e degli apparati celebrativi. Una vita religiosa esteriore o esteriorizzata, questa individuata da Fiorani, dove non mancano tuttavia, a suo giudizio, tensioni più riposte per una pietà e una religiosità interiormente vissuta. E non è un caso che Fiorani dedichi una specifica attenzione agli sforzi rivolti all’educazione catechistica popolare, all’assistenza ai poveri e agli emarginati, alle missioni, soprattutto alle confraternite e al loro ruolo religioso e sociale nella vita quotidiana, individuale e collettiva: temi, questi, che, qui abbozzati, costituiranno, come vedremo, momenti importanti nelle ricerche che Fiorani andrà compiendo negli anni successivi.

È che di lì a poco Fiorani prendeva a collaborare con continuità a «Studi romani», come si è accennato, con ampie rassegne sul Settecento romano, che si susseguono dal 1971 al 1977. Riesce difficile, nella fisionomia di uno studioso, isolare un aspetto da un altro, e nel caso di Fiorani gli interessi sul Settecento religioso da quelli rivolti al quietismo seicentesco, al pauperismo sei-settecentesco, alle strutture monastiche o a quelle religiose laicali tra Rinascimento ed età barocca, alle missioni o alla religiosità popolare, temi da lui coltivati forse anche più largamente di quelli riferibili al Settecento religioso. È più che opportuno, tuttavia, a mio avviso, scorrere queste rassegne, che vanno ben al di là dell’occasione legata a un’accurata analisi delle opere recensite o richiamate, e che si allargano spesso a confronti, a interpretazioni storiografiche e a problemi di metodo. ‘Cronache’ le indica talora Fiorani: esse sono in realtà ampie discussioni, che riguardano non solo il Settecento religioso, ma l’intero secolo nelle aree diversificate in cui

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MARIO ROSA

andavano allora sviluppandosi le ricerche. Soprattutto la prima rassegna del 1971 è un vero e proprio ‘manifesto’, nell’intento di contrastare, da un lato, una storiografia o piuttosto letteratura ‘romanistica’, come viene definita, fatta spesso di luoghi comuni e di facili clichés, per fortuna, come osservava lo stesso Fiorani, «ormai in via di totale esaurimento», e nell’invito, dall’altro lato, ad aprire o meglio a consolidare una nuova prospettiva, quale già appariva dalle ricerche di Venturi, Dal Pane, Giuntella, De Felice e altri:

dove la storia politica, l’economia, la cultura, la realtà sociale, gli atteggiamenti religiosi di quella multiforme e cosmopolitica comunità che è la Roma del Settecento trovano una considerazione più attenta e misurata11

Fondamentali, in questa direzione, apparivano a Fiorani le ricerche d’archivio, che rappresentavano ad un tempo non solo una ragione di solidità della ricerca, ma la stessa chiave interpretativa della qualità profonda della storia della città:

la via giusta da seguire – scriveva – sembra quella, precisamente, del reperimento e della lettura delle fonti, dell’indagine che rifiuta la facile sintesi o le conclusioni generali appoggiate su dati affrettati e provvisori. Tanto più necessario sembra quest’itinerario di scavo paziente dei documenti d’archivio, quanto più si ha l’impressione che la realtà vera di Roma tenda a esprimersi, se possiamo schematizzare, su un duplice piano: uno più immediatamente comprensibile e recensibile in cui si collocano le caratteristiche sociali più vistose della città. Ma questa prima dimensione non esaurisce il volto vero di Roma e lo storico che fermasse la sua indagine a questo livello darebbe certamente del Settecento romano un’immagine quanto mai parziale e sbiadita. Credo che bisogna tener conto di un altro piano, che trova forme più intime, più segrete, generalmente affidate ai carteggi e alle corrispondenze, nei quali filtrano le esigenze più profonde della città, si intrecciano dialoghi e si stabiliscono sodalizi intellettuali che danno la misura piena della sua vitalità spirituale12.

Da qui, sulla traccia delle opere recensite, l’attenzione dedicata alla storia delle biblioteche e degli archivi, agli studi allora avviati sulle riforme economiche delle Stato della Chiesa, al momento di rottura e poi di reazione rappresentato dalla Repubblica Romana. Da qui soprattutto l’attenzione indirizzata agli aspetti religiosi che direttamente o indirettamente si legavano alla realtà romana, cui è dedicata pressoché interamente la rassegna del 1972: dalle chiusure curiali nei rapporti con gli Stati italiani settecenteschi alla difficoltà o incapacità da parte della Curia di elaborare nuove e incisive forme di intervento pastorale, al giansenismo, incentrato sul lavoro innova-

11 Cfr. «Studi romani», XIX (1971), 3, pp. 323-332; la citazione è a p. 323.

12 Ibidem

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tivo di Marina Caffiero riguardante i rapporti tra il giansenismo romano e la chiesa di Utrecht, dopo le ricerche del Dammig risalenti al 1945, infine all’eremitismo romano settecentesco13

In questa direzione un rilievo particolare è destinato, comprensibilmente, a Roma nel Settecento (1971) di Giuntella, di cui Fiorani coglie assai bene l’interpretazione complessiva, in riferimento ai nodi sociali e religiosi che coinvolgono la città e il papato nel corso del secolo, sotto il segno di una ‘crisi’, stando a Giuntella, che va dall’emanazione della bolla Unigenitus, nel 1713, contro il giansenismo, all’occupazione francese di Roma e dello Stato della Chiesa negli anni rivoluzionari: una disgregazione e un crollo attribuiti appunto ad una ‘crisi’ di origine religiosa, all’incapacità da parte della Chiesa di riproporre lungo il Settecento, con un nuovo linguaggio, il suo messaggio spirituale. Non è un caso che Giuntella – quale sia stata la sua particolare sensibilità storica e religiosa che Fiorani richiama a conclusione della sua recensione – utilizzi la categoria storiografica di ‘crisi’, che era tenuta largamente presente in quegli anni nelle ricerche storiche, dietro suggestione della storiografia anglosassone, poiché essa sembrava definire allora una linea interpretativa mobile tra la categoria della longue durée o della ‘continuità’, derivata dalla storiografia francese delle «Annales», e quella della ‘rivoluzione’ o della ‘frattura rivoluzionaria’, di ispirazione marxista, come mostra l’interessante articolo di uno storico americano, Randolph Starn, apparso in «Past and Present» proprio nel 1971, e riproposto in traduzione italiana nel 197714.

Come che sia, quali che siano stati i punti di riferimento storiografici, l’interpretazione complessiva di Giuntella, che Fiorani condivide, e che, come vedremo, utilizzerà in molti suoi lavori, e specificamente in quello dedicato al concilio romano del 1725, potrebbe sembrare schematica e persino astorica, se non fosse sostenuta e verificata dalla ricchezza dell’analisi, che Giuntella sviluppa in riferimento ai limiti del riformismo papale e della cultura romana, al divario tra la città e la campagna, e al contrasto tra il carattere sacro della città e i costumi individuali e collettivi, ecclesiastici e laici: tutti elementi, questi, che saranno in seguito approfonditi,

13 Cfr. «Studi romani», XX (1972), 4, pp. 540-554.

14 Cfr. v e giuntella, Roma nel Settecento, Bologna, Cappelli, 1971; l’ampia recensione di fiorani è in «Studi romani», XXI (1973), 3, pp. 387-390. Sulla categoria di crisi e sulla sua utilizzazione storiografica cfr. r. starn, Historians and “crisis”, «Past and Present», 1971, 52, pp. 3-22 (trad. italiana Gli storici e il concetto di “crisi”, in Le origini dell’Europa moderna. Rivoluzione e continuità. Saggi da «Past and Present», a cura e con un’introduzione di m. rosa, Bari, De Donato, 1977, pp. 309-336).

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precisati ed anche corretti da altri studiosi, ma che restano sostanzialmente un’acquisizione assai significativa riguardo ai caratteri della realtà romana settecentesca.

Senza dilungarci ulteriormente nell’analisi delle rassegne di Fiorani, basterà richiamarne qui alcuni punti essenziali. Anzitutto il carattere che esse hanno quale tirocinio negli studi da parte di chi, come Fiorani, andava toccando temi lontani dal suo primo avvio nella ricerca: un’esperienza formativa, la sua, che peraltro veniva perseguita in generale allora – oggi assai meno – dagli studiosi giovani, nel confronto tra linee storiografiche diverse, nel corso di quei dibattiti che alimentavano, fra gli anni ’60 e ’70, un’intera stagione della nostra storiografia. In secondo luogo, la possibilità che esse offrono di seguire da vicino l’itinerario di uno studioso, le sue letture, le sue riflessioni, le sue proposte e i suoi suggerimenti di lavoro: un diario, insomma, nel quale vengono fissati i punti di un percorso destinato, come sappiamo, alla realizzazione di un programma più vasto. Infine – ed è quello che più conta – i modi che esse definiscono, ancor prima dei saggi pubblicati in gran parte nelle «Ricerche per la storia religiosa di Roma», o in altre sedi, e prima del volume sul concilio romano del 1725, della fruttuosa rielaborazione da parte di Fiorani della lezione di Gabriele De Rosa e di quella di don Giuseppe De Luca, e la concezione complessiva della Chiesa e della vita religiosa, sottesa alla sua ricerca storica. E si tratta di una Chiesa pastorale e pluralista, che viene attraversata da impulsi di riforma soprattutto sotto Benedetto XIV, ma che per intransigenza interna e resistenze e chiusure verso l’esterno viene via via esaltando la compattezza gerarchica e le ragioni curiali, mostrandosi, in analogia con la proposta interpretativa di Giuntella, sempre più sclerotizzata nel corso del secolo, sino alla catastrofe rivoluzionaria. Uno schema, questo, che potrebbe apparire rigido, se in Fiorani, che pure non dà, nella sua interpretazione, spazio al giansenismo o al confronto della Chiesa cattolica con i Lumi, non fosse sempre presente, come si è già accennato riguardo all’interpretazione di Giuntella, un quadro più mosso e non fosse sempre forte il richiamo a quelle tensioni e a quei fermenti che muovevano un panorama sostanzialmente chiuso e tetragono alle riforme: dal vissuto quotidiano dei fedeli alla fisionomia del clero, e in particolare del prete romano, alla rete delle confraternite e delle pratiche religiose popolari, all’attività dei missionari, alla presenza, come si è accennato, di figure carismatiche circondate allora e poi da un’aureola di santità15.

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15 Cfr. per le ricerche di Fiorani in questa direzione, il profilo di d. rocciolo citato a nota 9.

Non mi soffermo specificamente su alcuni articoli, che si collocano in questo contesto, né su quelli che si collegano all’arco di tempo che va dal pontificato di Pio VI al nodo rivoluzionario, dei quali discuterà Mario Tosti. Consentitemi invece, a conclusione di questo mio intervento, di soffermarmi sul volume dedicato al concilio romano del 1725, che rappresenta il punto di maggiore impegno e l’espressione più compiuta, in questa prospettiva, da parte di Fiorani.

La conoscenza in gran parte deformata del sinodo della provincia romana del 1725 è stata affidata largamente, dal Settecento ai giorni nostri, alle polemiche subito insorte tra giansenisti e gesuiti, trasferitesi poi nelle discussioni successive, riguardo all’inserimento, ritenuto surrettizio dai giansenisti, e in generale dal fronte antigesuitico, in un decreto sinodale, di una clausola che attribuiva il carattere di ‘regola di fede’ alla bolla Unigenitus: polemiche che impedirono sin dall’inizio un approfondimento storico dei problemi connessi a questo importante momento iniziale del pontificato di papa Benedetto XIII16. Fiorani non muove da un interesse specifico per la questione giansenistica, che viene tuttavia affrontata in un denso capitolo del volume, ma dal significato che al sinodo intese attribuire lo stesso Benedetto XIII: un sinodo pastorale, modello di una concezione religiosa, che si poneva sulla linea avviata da Innocenzo XI e da Innocenzo XII, ma anche dal più vicino predecessore di papa Orsini, Clemente XI, un sinodo pastorale che si collegava alla precedente esperienza pastorale e sinodale dello stesso Benedetto XIII quale vescovo di Manfredonia, di Cesena, di Frascati e, soprattutto, di Benevento. Nelle pagine che Fiorani dedica a questo singolare avvenimento, che non aveva precedenti immediati né nella prassi sinodale sei-settecentesca, né nella più vicina tradizione della Chiesa romana – un avvenimento ricostruito da Fiorani attraverso uno straordinario scavo di materiale documentario – possiamo cogliere con particolare incisività quella concezione della Chiesa romana propria di Fiorani, cui abbiamo in precedenza accennato. Lo sforzo pastorale di Benedetto XIII si poneva comunque in un clima di difficoltà e di immaturità generale, e il suo fallimento fu determinato non solo dall’approssimazione e dalla superficialità della preparazione dello stesso sinodo e dalle ostilità degli ambienti curiali, pervasi dai timori di un conciliarismo ‘alla francese’ e dalle preoccupazioni politiche riguardo alle reazioni dei diversi Stati italiani – che si rivelarono poi concretamente nel rifiuto da parte napoletana, attraverso

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16 Cfr. l. fiorani, Il concilio romano del 1725, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1978.

una Scrittura di Giannone, di accogliere i decreti sinodali –, ma dallo scarso coinvolgimento dei padri sinodali che non seppero cogliere nessun nodo reale da sciogliere né esprimere alcuna vera volontà riformatrice. Il concilio oscillò così tra la tendenza a presentarsi come un sinodo provinciale in quanto espressione della provincia ecclesiastica romana, dai caratteri peraltro mal definiti, e quella a configurarsi come un sinodo universale in quanto romano, trovando tale oscillazione una sua ragion d’essere nella stessa figura del papa che lo presiedeva quale vescovo, ma che assumeva in sé al tempo stesso l’autorità di pontefice. La restaurazione in senso pastorale della figura del vescovo poté certo ispirarsi alla prassi post-tridentina e alla trattatistica sei-settecentesca sul ‘buon vescovo’, e poté anche avanzare qualche elemento relativamente nuovo riguardo alla formazione del clero con il tentativo di potenziare e regolare gli studi nei seminari, che si cercò di attuare attraverso una congregazione curiale istituita nel 1725, ma non intaccò minimamente la concezione beneficiaria del clero in vista di una sua connotazione pastorale, né modificò minimamente abitudini e comportamenti secolari. In altre parole, come osserva Fiorani, il concilio del 1725 fu uno slancio mancato, che aprì solo eccezionalmente in altre diocesi una stagione sinodale, come ha mostrato, dopo il lavoro di Fiorani, il saggio di Daniele Menozzi nel volume dedicato al bicentenario del sinodo di Pistoia17: un concilio, dunque, che venne interpretato riduttivamente già dai contemporanei, se Muratori ne richiama solo gli aspetti di ‘disciplina ecclesiastica’, per scomparire presto dall’orizzonte ecclesiale, risucchiato da polemiche, da una parte, come si è detto, e da preoccupazioni genericamente apologetiche, dall’altra.

Riguardo alla vexata quæstio dell’inserimento surrettizio, negli atti del sinodo, del riferimento alla Unigenitus quale ‘regola di fede’, possiamo ben ritenere che Fiorani, sulla base di un’attenta disamina della documentazione – gli atti originali manoscritti del sinodo approntati per la stampa – abbia detto la parola definitiva sull’argomento, accolta con qualche ulteriore considerazione da Pietro Stella nel suo fondamentale lavoro Il giansenismo in Italia18. Non si trattò di un’adulterazione degli atti sinodali, ma di un colpo di mano, favorito o patrocinato dal promotore del sinodo, monsignor Fini poi cardinale, portavoce di una radicata convinzione dei circoli curiali intransigenti, che inserì la formula, sicuramente con l’approvazione del papa, come osservano concordemente Fiorani e Stella, all’ultimo momento

17 Cfr. d. menozzi, Prospettive sinodali nel Settecento, in Il sinodo di Pistoia del 1786, pp. 11-31.

18 Cfr. p. stella, Il giansenismo in Italia, I, I preludi tra Seicento e primo Settecento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, pp. 184 ss.

nel testo ufficiale, letto nella sessione plenaria conclusiva del concilio «tra il brusio generale e l’attenzione di pochi», stando a Stella, cioè in una situazione confusa, che testimonianze convergenti di molti partecipanti al sinodo stesso non mancarono di sottolineare19.

Non è un caso che uno storico dalla straordinaria padronanza archivistica, come è stato Fiorani, abbia sciolto un nodo di polemiche secolari, e la sua soluzione, attraverso il riscontro diretto con la documentazione originale, mai effettuato prima di lui, neppure, come è dato di credere, da un erudito del livello del Garampi 20, potrà persino apparire ovvia, se non fosse espressione in Fiorani di un modo di lavorare unicamente interessato a ristabilire, rankianamente, una storia «come effettivamente è stata», e con essa una interpretazione «corretta ed equilibrata», come lo stesso Fiorani è portato a scrivere, degli avvenimenti. Una lezione da parte di uno studioso, che può ben servire di esempio e di stimolo per quanti continuano ad operare oggi nelle ricerche storiche sulla Roma religiosa settecentesca.

19 Per tutta la controversa questione e per le ripercussioni successive, cfr. fiorani, Il concilio romano del 1725, pp. 193-220; per le considerazioni di Stella e per la citazione, cfr. stella, Il giansenismo in Italia, p. 187 e nota 49.

20 Per i dubbi espressi da Fiorani su di un controllo che sarebbe stato effettuato da Garampi, cfr. fiorani, Il concilio romano del 1725, pp. 216-217.

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MARIO

LA CHIESA DI PIO VI E LA RIVOLUZIONE

L’ attenzione di Luigi Fiorani per le vicende rivoluzionarie che coinvolsero Roma e lo Stato della Chiesa alla fine del Settecento sembra essere quasi occasionale, generata da quell’evento straordinario che è stato il bicentenario. Fu allora che, insieme ad altri colleghi, organizzammo all’Istituto Luigi Sturzo di Roma il convegno su La Rivoluzione nello Stato della Chiesa (febbraio 1990). Quel convengo consentì un allargamento di prospettive, che mise in crisi in modo definitivo l’immagine di una società pontificia chiusa in se stessa, ostile a qualsiasi novità proveniente dall’evoluzione politica e culturale in atto nell’Europa rivoluzionaria1.

Fiorani considera la rottura del periodo rivoluzionario quella di maggior portata nella storia della città dopo il sacco del 15272 e mette in evidenza come gli studi, fino ad allora, avevano privilegiato i caratteri più strettamente ideologici e politici delle azioni che avevano portato alla formazione della Repubblica e ne avevano segnato la tormentata sussistenza. Tuttavia, quella lunga stagione di studi aveva trascurato la conoscenza degli aspetti religiosi. Nei tradizionali schemi interpretativi, infatti, il travaglio religioso della città, nel momento in cui si impianta la Repubblica, era spesso sottaciuto ed erano stati soprattutto gli aspetti politici-istituzionali ed economici, nel più ampio conflitto tra la corte romana e le autorità rivoluzionarie, ad emergere.

La rilettura della storia religiosa della Repubblica non era certamente nuova: Dufourcq, all’inizio del XX secolo, tracciando un ampio panorama degli avvenimenti rivoluzionari a Roma e nello Stato della Chiesa, pur

1 Le relazioni presentate nel corso del Convegno sono poi confluite nel volume: La Rivoluzione nello Stato della Chiesa, 1789-1799, a cura di l. fiorani, Pisa-Roma, Istituti

Editoriali e Poligrafici Internazionali, 1997.

2 l. fiorani, Roma democratizzata. La Basilica di S.Pietro, il Vaticano e la Rivoluzione, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 11 (2006), pp. 85-103: 87.

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

mario tosti
Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013

privilegiando prevalentemente gli aspetti politici e gli eventi, si soffermava sull’atteggiamento del clero3.

Nel 1942 Delio Cantimori, nel suo saggio su Vincenzo Russo, si apriva ad un approccio al giacobinismo romano all’interno di un concreto contesto sociale e religioso e metteva in primo piano il travaglio della coscienza religiosa, costretta a confrontarsi con una visione della storia e della società che assumeva i contorni di una nuova religione, tuttavia impregnata di anticlericalismo, con punte paradossali che proponevano ai seguaci il rito dello ‘sbattezzamento’4

C’erano stati, poi, gli stimoli di De Felice che avevano richiamato il «turbamento della psicologia religiosa»5; ma è soprattutto da Vittorio Emanuele

Giuntella che Fiorani raccoglie impulsi e importanti indirizzi di ricerca. Giuntella, infatti, attraverso una nutrita serie di saggi, aveva insistito sul rapporto tra crisi politica e crisi religiosa e si era interrogato sul significato di quegli eventi, sulle radici storiche, sulla loro eventuale provvidenzialità per liberare la Chiesa dalle catene dell’antico regime e per rinnovare lo spirito religioso6. Solo che la risposta di Giuntella, come noto, fu quella di una città che si attestò su posizioni di rifiuto sostenute da un esercito di apologeti che spesero tutte le loro energie per pubblicare testi che combattevano le nuove ideologie. Egli individuò proprio in Roma, ossia negli intellettuali che operavano a ridosso delle istituzioni ecclesiastiche romane, la forze più attive della controrivoluzione.

A Fiorani, evidentemente, non bastava questo approdo e, sulla scorta delle analisi storico-teologiche offerte per la Francia rivoluzionaria da Plongeron7,

3 a. dufourcq, Le régime jacobin en Italie. Étude sur la république romaine, 1798-1799, Paris, Perrin, 1900.

4 d. cantimori, Il circolo costituzionale di Roma e la questione della tolleranza a Roma, «Annali della Scuola normale superiore di Pisa, classi di lettere, storia e filosofia», IV (1942), pp. 179-200.

5 r de felice, Paura e religiosità popolare nello Stato della Chiesa alla fine del x VIII secolo, in id., Italia giacobina, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1965.

6 v. e. giuntella, La giacobina repubblica romana, «Archivio della Società romana di storia patria », LXX (1950), pp. 1-213; id., Le classi sociali della Roma giacobina, «Rassegna storica del Risorgimento», XXXVIII (1951), 3-4, pp. 428-433; id , Roma nel Settecento, Bologna, Cappelli 1971.

7 b plongeron, Conscience religieuse et Révolution. Regards sur l’historiographie religieuse de la Révolution française, Paris, Picard, 1969; id., Historiographie religieuse de l’époque révolutionnaire, «Recherches de sciences religieuses», LVIII (1970), pp 589-597; id., Le fait religieux dans l’histoire de la Révolution française. Objet, méthodes, voies nouvelles pour l’histoire de la Révolution française, Paris, Bibliothèque Nationale, 1978.

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e in particolare dal convegno del 1986 tenutosi a Chantilly8, che ha rappresentato indubbiamente uno dei maggiori contributi alla storia religiosa della rivoluzione e dei territori rivoluzionari, e nel contesto italiano dalle suggestioni avanzate agli inizi degli anni Novanta da Marina Caffiero9 e da Philippe Boutry10, attraverso il filo rosso della storia religiosa, ripercorre la storia della rivoluzione a Roma.

Egli, facendo proprie le nuove suggestioni metodologiche, si addentra nell’esame delle mutazioni culturali, sulla catechesi, sulla vita associativa, sulle devozioni; in una parola, come egli stesso scrive, sul «vissuto religioso nelle sue articolazioni organizzative, nei suoi presupposti teologici e culturali»11.

Coerente con queste premesse, Fiorani si dilungava quindi nel saggio Aspetti della crisi religiosa a Roma a verificare l’urto rivoluzionario e il gioco complesso e contraddittorio delle reazioni, ma anche dei consensi in tre ambiti della società religiosa: l’opinione pubblica, il clero, la religiosità collettiva. Dalla sua analisi emerge che il confronto tra religione e Repubblica non era un episodio della più ampia e classica questione del dissidio tra lo Stato e la Chiesa nell’età moderna e che alla letteratura tradizionale (Giuntella, De Felice, Cretoni, Dufourcq, Pignatelli) e alla pubblicistica coeva (Mangiatordi, Bolgeni, Marchetti, il Monitore di Roma) era necessario aggiungere l’aiuto di nuove fonti documentarie, per ripercorrere dall’interno, e in termini più ravvicinati, la crisi di coscienza e del sentimento religioso di un’intera città12.

Un’impostazione che trovò piena accoglienza nel corposo saggio Città religiosa e città rivoluzionaria13, nel quale Fiorani dà valore alla tesi che per comprendere «fino in fondo l’incidenza della Rivoluzione sulla città reli-

8 Pratiques religieuses, mentalités et spiritualités dans l’Europe révolutionnaire (17701820). Actes du Colloque, Chantilly, 27-29 novembre 1986, réunis par p. lerou et r. dartevelle sous la direction de b. plongeron, Turnhout, Brepols, 1998.

9 m caffiero, La nuova era. Miti e profezie dell’Italia in Rivoluzione, Genova, Marietti, 1991.

10 ph boutry, Pour une réflexion religieuse sur la Révolution, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 9 (1992), pp. 55-64; id., Pratiques religieuses dans l’Europe révolutionnaire. Le colloque de Chantilly, «Revue d’histoire de l’Église de France», LXXVI (1990), pp. 303-307.

11 l fiorani, Città religiosa e città rivoluzionaria (1789-1799), «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 9 (1992), p. 69.

12 l fiorani, Aspetti della crisi religiosa a Roma durante la Repubblica giacobina, in La Rivoluzione nello Stato della Chiesa, a cura di l. fiorani, pp. 253-297.

13 fiorani, Città religiosa e città rivoluzionaria, pp. 65-154 Si tratta di un volume monografico, dal titolo: «Deboli progressi della filosofia». Rivoluzione e religione a Roma, 17891799, a cura dello stesso l fiorani

LA CHIESA DI PIO VI E LA RIVOLUZIONE 219

giosa era necessario uno spostamento di lettura dei fatti dal piano alto del confronto ideologico a quello più basso (…) del cammino dei programmi rivoluzionari negli ambiti e nelle strutture della religiosità quotidiana (…) nelle forme più espressive della sensibilità e della pratica religiosa»14.

Dalla Chiesa istituzionale alla coscienza religiosa e alla mentalità della gente: la rivoluzione era stata un trauma religioso ancor prima che politicoistituzionale e dunque la via della storia religiosa della città rivoluzionaria si dimostrava come la più adatta «a conoscere da vicino l’identità concreta della rivoluzione e la misura del suo impatto reale»15

La rivoluzione per impiantarsi aveva bisogno di espungere prima di tutto simboli e gerarchie religiose; il cambiamento sociale e il parallelo programma di mutamento della religione dovevano camminare insieme e il tentativo di imporre nuovi canoni etici e modelli di convivenza fu netto e brusco. Fiorani esamina i tanti canali che veicolarono gli umori antirivoluzionari e li disciolsero capillarmente nella città: cultura, miracoli mariani, predicazione e poi le missioni, ordinate da Pio VI, che facevano perno sulle maggiori piazze della città e furono affidate a figure di primo piano della cultura antirivoluzionaria, come Giovanni Marchetti, convinto che la rivoluzione «era nata in casa», provocata e favorita da «una cultura cattolica deviata»16. Le processioni e i cortei con le immagini taumaturgiche, ma soprattutto della Madonna, contribuiscono ad affermare l’equazione città religiosa uguale a città antirivoluzionaria; la rivoluzione, insomma, non poteva attecchire in un territorio dove le protezioni ultraterrene si affollavano.

Particolare attenzione viene riservata anche al clero. Gli ecclesiastici che affrontano la rivoluzione – scrive Fiorani – sono preti in gran parte maturati nella sfera d’influenza dei gesuiti (Seminario Romano) ma anche il resto del clero, certo meno colto, meno spirituale, più direttamente preparato alla vita pastorale, ma proprio per questo poco adatto a percorrere itinerari avventurosi, risulta su una linea di assoluta intransigenza. La rivoluzione tenta in tutte le maniere di disgregarne la consistenza e l’omogeneità, ma non si verificò un cedimento globale e alla fine gli imputati per collaborazione al regime giacobino furono solo 20 tra i sacerdoti e 18 tra i religiosi17.

Fiorani ha scritto che preti e frati pervennero al giacobinismo «o per troppa cultura, o per troppo poca». Le file dei fiancheggiatori insomma sarebbero costituite da un lato da ecclesiastici «oscuri, anonimi, forniti di

14 fiorani, Aspetti della crisi religiosa a Roma, p. 255.

15 fiorani, Città religiosa e città rivoluzionaria, p. 70.

16 Ibidem, p. 84.

17 Ibidem, p. 133.

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una preparazione culturale molto modesta», che aderiscono in modo emotivo e quasi irrazionale e dall’altra invece da una fascia di sostenitori che innestano i nuovi progetti politici in un quadro intellettuale molto pronunciato, che prevede tuttavia un punto di arrivo radicalmente antiecclesiastico18.

In realtà, a me pare che non si può sottovalutare che anche in quel clero culturalmente meno avveduto, come di fatto era la maggior parte del basso clero, abbiano giocato un ruolo decisivo alcune istanze rivoluzionarie che mettevano in primo piano la salvaguardia degli umili, la lotta alla prepotenza e all’usurpazione dei diritti della persona. Senza ricercare motivazioni politiche, frutto di ragionamenti e di meditate convinzioni, nell’opzione a favore della Repubblica può aver influito una forte volontà di organizzare meglio la città terrena, nella quale anche la Chiesa doveva continuare a rivestire un ruolo fondamentale e non eliminabile.

Neanche il giuramento riuscì ad allargare la base del consenso e chi giurò «non divenne per ciò stesso un alleato o un paladino della repubblica (…) ma soltanto un soggetto aggregato con metodo coercitivo che chiudeva dentro di sé un misto di avvilimento e di rancore»19.

Le indicazioni di Fiorani, che esamina il giuramento oltre che tramite il tradizionale dibattito a stampa anche attraverso alcune ricognizioni archivistiche, saranno riprese da David Armando e da Claudio Canonici che hanno interrogato fonti inedite, conservate nelle biblioteche e negli archivi, e soprattutto esaminato l’imponente raccolta delle ritrattazioni 20 .

Nuova anche l’attenzione di Fiorani sugli atteggiamenti assunti dal Vicariato di fronte alla Repubblica, un tema fino ad allora mai affrontato organicamente. Ciò portava alla necessità di uno spoglio sistematico dei fondi dell’Archivio Storico del Vicariato. L’ esilio del Papa, la chiusura dei dicasteri, l’arresto o la deportazione dei cardinali, rendono il ruolo del Vicariato difficilissimo. Fiorani, dall’esame delle carte, nonostante la spiccata mentalità controrivoluzionaria, individua nel complesso un atteggiamento moderato, di attesa, di «collaborazione misurata» o «dei bocconi amari»,

18 fiorani, Aspetti della crisi religiosa a Roma, pp. 279-280.

19 fiorani, Città religiosa e città rivoluzionaria, p. 134.

20 d. armando, «Non si faceva a Dio ma puramente agli uomini». Giuramenti e ritrattazioni a Roma (1798-1808), «Rivista di Storia del Cristianesimo», I (2004), 2, pp. 251-281, che utilizza le ritrattazioni del giuramento civico presentate fra il 6 marzo 1799 e il 13 agosto 1808 e conservate nell’Archivio Storico del Vicariato di Roma. Delle vicende del giuramento civico nella Repubblica romana si è ampiamente interessato anche c. canonici, Il dibattito sul giuramento civico (1798-1799), «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 9 (1992), pp. 213-244; id., Il dibattito sul giuramento civico, in La Rivoluzione nello Stato della Chiesa, a cura di l fiorani, pp. 299-328.

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per garantire la sopravvivenza a quanto ancora rimaneva della città religiosa, in linea del resto con la pratica politico-pastorale dei vescovi delle diocesi italiane. Alla fine Fiorani si chiede «se c’è stato e in che misura un cedimento della Roma religiosa»21.

Mettendo a confronto le osservazioni del cardinal Giuseppe Antonio Sala e di altri testimoni con certi indicatori statistici desumibili dalle annuali inchieste dei parroci sullo «stato delle anime», le prime veicolano l’immagine di una città fortemente laicizzata, mentre i secondi sembrano presentare, almeno relativamente alla pratica religiosa, un’altra situazione. Fiorani tende ad avvalorare la tesi di una «sostanziale persistenza del vissuto religioso almeno di quello che si esprime attraverso il rito e le consuetudini ufficiali»22.

«Sono deboli i progressi della filosofia», scriveva un giacobino sul Monitore nell’aprile del 1798 e, in virtù di ciò, Fiorani sembra favorevole a negare uno «slittamento della città religiosa entro l’orizzonte della città rivoluzionaria e anche allorché la rivoluzione guadagna la città ha durata e vita estremamente effimera perché non trova il terreno su cui attecchire»23. Troppo forte e radicato si rivelò, in sostanza, il tessuto morale e sociale e la città rivoluzionaria finì «per impantanarsi nel groviglio delle tradizioni, dei valori, dei giudizi, nei percorsi imprevedibili delle devozioni e insomma nei molti fili che venivano da lontano e sorreggevano la città religiosa (…) che l’onda lunga del giacobinismo riesce appena a lambire, non a distaccare in modo apprezzabile dalle sue radici»24.

Il primo assalto del mondo moderno alla città sacra si risolve così in un sostanziale nulla di fatto, un po’ come accadrà meno di cento anni dopo quando Roma sarà organicamente agganciata al nuovo Stato italiano. Fiorani è convinto che l’offesa peggiore inflitta dalla Rivoluzione alla religione fu quella di aver «turbato e sconnesso» l’antico equilibrio di una società ufficialmente cristiana senza averlo sostituito con un nuovo ordine di accordi in grado di garantire una convivenza armoniosa e di reciproco sostegno.

Qui appare chiara la sua distanza dall’interpretazione di Marina Caffiero che nell’introduzione al suo saggio La Repubblica nella città del Papa25 , collegando la prima esperienza repubblicana a quella di 50 anni dopo, la Repubblica romana del 1849, parla di una «sacralità rivoluzionaria» che

21 fiorani, Città religiosa e città rivoluzionaria, p. 149.

22 Ibidem, p. 152.

23 Ibidem.

24 Ibidem, p. 153.

25 m. caffiero, La Repubblica nella città del Papa. Roma 1798, Roma, Donzelli Editore, 2005.

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nel 1798 si strutturò anche a Roma «attraverso un articolato sistema di credenze, di segni e di pratiche esterne concretizzate in oggetti, in simboli, in liturgie e nell’organizzazione dello spazio urbano e delle cerimonialità che rivela chiaramente lo scambio dialettico tra vecchio e nuovo ». E tuttavia gli inevitabili prestiti dal passato, che pure si voleva cancellare e rovesciare, non si tradussero in subalternità e in «mancata ricerca di una alternativa politicoculturale»26. Alternativa che anzi prese corpo sul piano dei costumi e dei comportamenti quotidiani e soprattutto nella costruzione di una «religione della patria» che annunzia e avvia i più noti processi ottocenteschi di sacralizzazione della politica. La volontà di fondare una religiosità diversa, civica e patriottica, sostanzialmente alternativa e antagonista, non sarebbe andata del tutto perduta dopo la fine dell’esperienza giacobina 27

Luigi Fiorani, invece, considera l’evento «effimero» e pieno di contraddizioni. Già dai suoi primi saggi il risultato che emergeva era quello di una città solo debolmente scristianizzata, ma la questione che incombeva era quella dell’atteggiamento e del travaglio della Santa Sede durante la Repubblica.

Una questione ampiamente affrontata nel volume edito dall’École nel 200428

Con quest’opera Fiorani passa dalle sollecitazioni contingenti e dal clamore delle mobilitazioni celebrative, allo studio approfondito dell’atteggiamento del mondo cattolico, o meglio romano, di fronte alla Rivoluzione. Mondo romano inteso nella sua complessità e dunque Sede apostolica, Sovrano pontefice, cardinali, Curia, che vengono impiegati in senso largamente omogeneo, ma pure cultura, mentalità che esprimono e che circola intorno a loro.

Riprende, dunque, un tema appena abbozzato negli studi precedenti e lo fa indagando le fonti documentarie conservate negli archivi romani. La dialettica, i profondi contrasti che si determinarono tra la Francia rivoluzionaria e la Curia romana nell’evolvere delle vicende storiche, a partire dall’espulsione di Pio VI da Roma, viene individuata come la «zona debole della ricerca» e su di essa Fiorani e Rocciolo rivolgono la loro attenzione partendo dalle fonti, ossia dalle carte conservate nell’Archivio Segreto Vaticano, in particolare dal Fondo Segreteria di Stato.

Intorno ad episodi particolarmente significativi e tormentati (costituzione civile del clero, emigrazione, giuramenti), con documenti in gran parte

26 Ibidem, p. 8.

27 Ibidem, pp. 8-9.

28 l. fiorani – d. rocciolo, Chiesa romana e Rivoluzione francese 1789-1799, Roma, École Française de Rome, 2004.

LA CHIESA DI PIO VI E LA RIVOLUZIONE 223

inediti, si vuole ricostruire la linea politica e nel contempo la cultura, la teologia e l’ecclesiologia che determinarono le reazioni della Curia, del Papa e dei teologi pontifici. Appaiono sentieri documentari ampiamente conosciuti a partire dall’inizio del Novecento, con le ricerche di Georges Bourgin, fino alle più recenti pubblicazioni degli Archivi di Stato29, eppure l’ulteriore ricognizione mette in evidenza che siamo ben lontani dall’esaurire le risorse informative di tali depositi.

Ne risulta un quadro più approfondito di vicende già conosciute, ma anche l’apertura di nuove piste di ricerca, l’intuizione di nuovi profili, come il rapporto del Papa con i vescovi, oppure il caso della Pastoralis sollicitudo. Il nucleo documentario più ricco è quello che giunge dalla nunziatura di Parigi, al centro di una estesa rete informativa. È attraverso questa istituzione diplomatica che Roma riesce ad avere notizie sulla situazione. Ed è responsabilità di mons. Antonio Dugnani, definito «privo di temperamento e di intuito politico», poco energico e rapido nelle decisioni, che in un periodo convulso continua a mantenere uno stile burocratico, se Roma all’inizio appare incapace di una adeguata e realistica valutazione della situazione francese30. Egli, addirittura, nel 1791 abbandona Parigi, proprio nel momento in cui Roma avrebbe dovuto conoscere con esattezza le conseguenze sulla Chiesa francese e su Roma dei fatti che stavano sconvolgendo la Francia. Da allora i canali attraverso cui la S. Sede attingerà informazioni saranno assai eterogenei e occasionali; una fascia spontanea (l’internunzio Louis-SiffreinJoseph de Salamon e il cardinale Jean-Siffrein Maury) o figure di modesto livello, come parroci e religiosi, che inviano notizie spesso tendenziose, ma è attraverso quella lente che il più delle volte si forma il giudizio di Roma sulla Rivoluzione.

Appare chiaro che i percorsi dell’azione diplomatica attraverso cui la Santa Sede acquisì la conoscenza delle cose che stavano accadendo in Europa alla fine del Settecento, sono in gran parte quelli della controrivoluzione. Le tesi dei controrivoluzionari sono ampiamente note: essi rifiutano di accogliere una qualunque realtà sociale e politica che non riconosca un posto privilegiato all’istituzione ecclesiastica, al sistema etico e disciplinare della Chiesa cattolica. Una posizione che si svilupperà, senza soluzione di continuità, lungo l’Ottocento, fino a tempi recenti allorché, complice anche l’appuntamento con il bicentenario, la storiografia religiosa si è presentata in una situazione di profondo rinnovamento e completamente svincolata dai

29 Ulteriori riferimenti alle fonti e alla bibliografia nelle Note supplementari presentate in Ibidem, pp. 437-521.

30 Ibidem, p. 21.

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canoni restrittivi che nel passato tendevano ad assimilare storia della Chiesa e storia religiosa.

Uno spostamento dell’asse di lettura che dall’alto, dottrine, istituzioni, interventi disciplinari, conducono verso il basso per verificare «in che misura le tradizioni collettive delle popolazioni abbiano influenzato le decisioni politiche e impresso un valore relativo a momenti storici anche traumatici» che solo dopo «si sono caricati di enfasi religiosa e di significati magniloquenti»31. Ma, osserva Fiorani, questo fervore di studi e il rinnovamento dei moduli critici ed ermeneutici non sono stati in grado di riaprire la questione dei rapporti tra Roma e la Rivoluzione, cioè proprio del terreno dove lo scontro ideologico era stato violentissimo. Un’ampia rassegna dei lavori sul rapporto tra Roma e la Rivoluzione porta Luigi Fiorani a formulare limpidi giudizi sulle indagini di Filippone, di Pierre Blet e di Pasztor, che hanno il limite di verificare la risposta di Roma alla Rivoluzione a livello ideologico, per arrivare a quelle più recenti di Philippe Boutry che invece sposta, attraverso l’esame di alcuni episodi concreti (l’esecuzione di 191 vittime nel settembre 1792, oppure la condanna inflitta nel 1794 alle dottrine formulate a Pistoia) l’analisi a livello culturale, ambito in cui riescono ad intersecarsi stati d’animo, processi mentali, spiritualità, teologia politica, agiografia e apologetica32.

Quello di Fiorani non è un approccio di ordine giuridico, canonico o teologico, né un nuovo capitolo di storia delle istituzioni ecclesiastiche romane, egli, attraverso la vastità tematica e la ricchezza dei documenti, vuole invece ‘rileggere’ alcune grosse questioni, alcuni passaggi ed eventi storici, in gran parte noti e affrontati dalla storiografia. Una rilettura che ha come angolo visuale la prospettiva di Roma, cioè di quella parte che in modo tragico, più di altri, aveva visto nella Rivoluzione l’evento che mirava ad abbattere il cattolicesimo. Una ricognizione dalla quale emergono in modo netto le forme e le ragioni dell’opposizione, ma anche il laceramento delle coscienze e delle comunità e le difficoltà a coniugare in una nuova sintesi opzioni politiche e fede religiosa.

Luigi Fiorani offre anche nuove interpretazioni sulla questione del silenzio di Pio VI, da Plongeron accostato ai silenzi di uno dei suoi illustri successori 33. In quei mesi il silenzio non è assoluto e gli archivi romani dimostrano

31 Ibidem, p.75.

32 Ibidem, p. 83.

33 Ibidem, p. 151. Il riferimento è al saggio di b. plongeron, Débats et combats autour de l’historiographie religieuse de la Révolution: x Ixe-xxe siècles, «Revue d’histoire de l’Église de France», LXXVI (1990), pp. 257-302: 239.

LA CHIESA DI PIO VI E LA RIVOLUZIONE 225

quanto numerosi siano stati i messaggi epistolari partiti da Roma alla volta dei vescovi francesi che comunque, per la loro estemporaneità, dimostrano la scarsa comprensione della gravità del momento. Fiorani parla di un Pio VI «frastornato», che stenta a mantenere il passo con gli eventi e in questa prospettiva sottolinea il ruolo del de Bernis, che insisteva per l’approvazione della Costituzione civile del clero. Mette in evidenza la preoccupazione di Roma sulla possibilità di uno scisma e conferma l’idea che in quelle circostanze anche Pio VI e uomini della Curia, come l’erudito cardinal Stefano Borgia, erano favorevoli a rispondere a «una innovazione sì grande e sì generale che farà epoca nella chiesa» con un Concilio34.

Un’idea che si fece strada soprattutto attraverso i canali dell’emigrazione, che Fiorani esamina consultando le carte romane, mostrando gli aggrovigliati itinerari del moto migratorio, ma anche gli umori e il contrasto latente tra il cattolicesimo gallicano e il devozionalismo romano e tridentino dei residenti. Fiorani sembra propendere per un Pio VI che, se pur favorevole all’idea della guerra santa, è frenato «dal peso delle premesse morali a cui doveva ispirare anche la sua azione di sovrano temporale»35. Emerge assai bene l’incongruità di una scelta in palese contrasto con la missione religiosa e con la vocazione alla pace della Chiesa; prevale insomma una visione teologica dei problemi sul tappeto che rese il Papa estremamente cauto.

In realtà, all’interno della Curia prese corpo l’idea di fronteggiare in modo del tutto nuovo una guerra, come scrisse Giovanni Marchetti, «d’indole affatto straordinaria, e su di cui non può calcolarsi per l’esito, come nelle altre guerre comuni, che abbiam veduto ne giorni nostri, o lette nelle storie passate»36. Basta solo ricordare l’opuscolo Lo Stato pontificio agli altri incliti co-Stati d’Italia37, un accorato appello agli Stati europei affinché non abbandonassero lo Stato del Papa al suo destino, specificando che questa non era una guerra tradizionale, che non bisognava impugnare la spada «per motivi antichi di guerra, per maggiore o minore ampiezza di dominio», ma solo per «l’onore del mio Dio, della mia nazione e di voi stessi miei Co-Stati». E proseguiva:

Questa è causa comune. Quando mai si vidde guerra più minacciosa ed importante di questa? Qui si tratta del sovvertimento generale di tutti gli ordini, si tratta d’in-

34 fiorani – rocciolo, Chiesa romana e Rivoluzione francese, pp. 177-178.

35 Ibidem, p. 305.

36 fiorani, Città religiosa e città rivoluzionaria, pp. 82-85.

37 Lo Stato pontificio agli altri incliti co-Stati d’Italia, [Assisi, Sgariglia] 1796, riprodotto nel volume di v. e. giuntella, Le dolci catene. Testi della controrivoluzione cattolica in Italia, Roma, Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, 1988, p. 409-434.

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taccare la Religione, le proprietà, le persone, i costumi, le prerogative, le opinioni, l’onore nazionale, il tutto. È guerra affatto nuova, guerra di spade, di massime, e di scissione. Altro espediente non v’ ha, che quello di armarsi di risolutezza e di coraggio38

È un appello che sembra prendere coscienza che proprio la novità del legame guerra-rivoluzione, apparso sulla scena politica alla fine del Settecento, costringeva il Pontefice a rinunciare a fare politica con gli stessi strumenti degli altri Stati e a loro si rivolge per la difesa del potere temporale, consapevole che la sua capacità di agire sulle cose del mondo aveva acquistato una dimensione nuova che non era paragonabile con quella che apparteneva all’Antico regime. Ormai era chiaro che l’opera politica fatta di scelte concrete nel gioco delle potenze europee non era più perseguibile e che la figura del Papa non poteva più essere quella di un cancelliere di uno Stato europeo39.

Interessanti e stimolati anche le osservazioni di Fiorani sugli effetti della rivoluzione sull’ecclesiologia, che sarebbe lentamente passata dai caratteri austeri dell’autorità a quelli più commoventi del martirio; un’ecclesiologia «basata sul valore del sacrificio come estrema affermazione di fede cristiana» 40. Si tratta, indubbiamente, di una evoluzione ecclesiologica perché il tema del martirio introduce l’idea che il cammino della Chiesa, pur nella scrupolosa fedeltà al depositum fidei e all’annuncio cristiano, possa richiedere in certi momenti di crisi la rinuncia a una parte del patrimonio storico a cui nel passato era rimasta saldamente ancorata41. Un cristianesimo austero e una ecclesiologia drammatica, anche in conseguenza dell’esilio di Pio VI, cominciano a filtrare nella coscienza dei fedeli. Il consenso alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e poi alla Costituzione civile effettuato attraverso il giuramento da gente di chiesa «erano stati un timido inizio, una precoce allusione alla scenario in cui si troverà ad operare la cristianità in una società pluralista e secolarizzata» 42 .

38 Ibidem, p. 428.

39 Sulle origini politiche e culturali e sulle conseguenze di tale svolta mi permetto di rinviare al mio saggio, in corso di stampa, Forza delle armi, forza delle opinioni. La Controrivoluzione nello Stato della Chiesa (1790-1799), presentato in occasione del Convegno: Liaisons dangereuses: Guerra e Repubblica alla fine del x VIII secolo, Università degli Studi di Milano, 14-16 maggio 2009.

40 fiorani – rocciolo, Chiesa romana e Rivoluzione francese, p. 401.

41 Ibidem, p. 402.

42 Ibidem, p. 433.

LA CHIESA DI PIO VI E LA RIVOLUZIONE 227

Qui tocchiamo, a mio parere, il punto vero dell’interesse di Fiorani per le vicende rivoluzionarie nel loro rapporto con la religione. Per lui, in fondo, non avrebbe avuto senso dedicare energie e tempo a un evento storicoumano, sia pure importante, quale fu la Rivoluzione francese, se non ci fosse stato l’intento di arricchire con la memoria la profezia che incalza i cristiani a rendere visibili i segni del regno di Dio nella storia umana contemporanea. E malgrado i suoi limiti, i suoi errori e il tragico dramma, anche per Luigi Fiorani la Rivoluzione francese evidenziò l’insopprimibile anelito dell’uomo verso i valori che hanno il sigillo evangelico: la fraternità, la comune dignità dell’eguaglianza, la libertà.

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CHIESA ROMANA E TEMPI NUOVI, DA LEONE XIII A PIO XI

1. Sul terreno della nutrita operosità scientifica di Luigi Fiorani è opportuno circoscrivere uno specifico perimetro di ricerche che egli seppe condurre con acribia, competenza, meticolosità e passione, come si può constatare anche per gli altri suoi lavori. Nell’ambito prescelto, i risultati conseguiti tracciano un’ellisse la cui estensione copre l’arco temporale che va approssimativamente dall’ultimo decennio del secolo XIX alla vigilia della seconda guerra mondiale. L’ autore ne percorse determinati segmenti, suscettibili, nella sua visuale, di rivestire una non trascurabile valenza storiografica. Porterò l’attenzione su tre ampi saggi concernenti rispettivamente il modernismo a Roma, la presenza del barnabita Giovanni Semeria in questa città, l’azione di Pio XI «pastore e parroco» di una diocesi universalmente riconosciuta quale centro del mondo cattolico1.

Nell’ellisse risaltano con evidenza due fuochi designabili con le dizioni ‘Chiesa romana’ e ‘tempi nuovi’. La prima ribadisce – se fosse necessaria una conferma in merito – la continua, tenace, commovente attenzione di Fiorani verso quella che ritenne la ‘sua’ comunità di appartenenza. Il possessivo segnala perciò non solo l’orbita in cui egli collocò un’ampia serie di indagini, ma anche l’attaccamento alla città, amata con sentimento di partecipe corrispondenza: una localizzazione concreta e insieme ideale. Luigi operò storiograficamente per rendere la fisionomia religiosa e insieme civile di tale complicato quadro. In particolare si spese per fondare e sostenere la rivista «Ricerche per la storia religiosa di Roma», dedicata all’intreccio di tematiche che i sondaggi sulla storia della città comportavano. Il suo atti-

1 l fiorani, Modernismo romano 1900-1922, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 8 (1990), pp. 75-170; id., Semeria «romano» (1880-1895), «Barnabiti studi», 12 (1995), pp. 7-86; id., Un vescovo e la sua diocesi. Pio x I, «primo pastore e parroco» di Roma, in Achille Ratti, pape Pie x I. Actes du colloque organisé par l’École française de Rome (Rome, 15-18 mars 1989), Roma, L’ École française de Rome, 1996, pp. 423-497.

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

annibale zambarbieri
Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013

vismo in questo campo mirava a richiamare il fatto che la diocesi romana era fondamentalmente una chiesa locale e non semplicemente un’appendice della curia della Santa Sede. Queste ultime espressioni sono tratte da un articolo di Vincenzo Paglia, che rievoca conversazioni con Luigi: «ne parlavamo spesso», afferma il prelato ‘romano’, aggiungendo come l’amico perseguisse tale scopo attraverso indagini guidate dalla «passione del credente e dalla capacità dello storico»2. Da simili opzioni scaturirono ragguardevoli risultati storiografici, proiettabili su vasti schermi. Perché, riprendendo l’aforisma di Miguel Torga, diremmo che a Roma, più che altrove, «l’universel c’est le local moins les murs».

La densità della scelta traspare meglio dal secondo fuoco, tradotto nell’espressione ‘tempi nuovi’. Sostantivo e aggettivo così congiunti possono suonare banali, appiattiti sulla larga superficie dei luoghi comuni. Eppure possiedono una significativa pregnanza. Tra gli innumerevoli rimandi si imporrebbe quello alla Lettera pastorale scritta da Geremia Bonomelli nel 1906, un anno importante nelle ricostruzioni di Fiorani 3. Al quale però dovette piacere un’altra frase, cui assegnò un nitido risalto nell’ampio studio da lui dedicato a quel Semeria ‘romano’ che nel 1893 aveva scritto: «Siamo al principio di tempi nuovi. Il giorno storico che ora albeggia, come procederà esso?» 4. L’ appuntito interrogativo riguardava il presente e spingeva verso l’incerto futuro: erano tempi attraversati dal «brivido della modernità», come scriveranno lo stesso Luigi e Adriano Prosperi nella prefazione al volume einaudiano su Roma 5 . .

2. Per dipanare ciò cui l’espressione allude, specie riguardo al relativo impatto con la Chiesa, Fiorani ne considerò innanzitutto un lato caratterizzante, identificandolo nel modernismo cattolico. Si servì di chiavi interpretative desunte da parecchie opere, in particolare da quelle di Émile Poulat, ma

2 v paglia, Ricordo dello storico Luigi Fiorani. Roma città chiusa alla violenza, «L’ Osservatore romano», 25 aprile 2010, p. 4.

3 g. bonomelli, La Chiesa e i tempi nuovi. Pastorale per la quaresima del 1906, Cremona, Unione Tipografica Diocesana, 1906. Per le vicende legate a questo intervento bonomelliano si può vedere a. zambarbieri, Carteggio Bonomelli-Sabatier, «Fonti e documenti», 3 (1974), pp. 920-929.

4 g semeria, La questione sociale e la Chiesa, «Rivista internazionale di scienze sociali e discipline ausiliarie», I-II (1893), p. 577, citato in fiorani, Semeria, p. 85.

5 l. fiorani – a. prosperi, Una città «plurale», in Roma la città del Papa. Vita civile e religiosa dal giubileo di Bonifacio VIII al giubileo di papa Wojty ł a, a cura di l. fiorani – a. prosperi, Storia d’Italia. Annali, 16, Torino, Einaudi, 2000, p. 31 (l’intero studio introduttivo al volume, pp. xxiii-xxxi).

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non disattendendo la lezione di don Giuseppe De Luca. Tassello per tassello ricostruì la vicenda della crisi quale si svolse negli ambienti ecclesiastici e laici romani tra Otto e Novecento. Grazie a copiose, e talvolta curiose testimonianze documentarie, da lui raccolte con sagacia e pazienza, ne presentò un quadro ricco, preciso, starei per dire esaustivo, se il termine fosse applicabile alle indagini storiografiche. L’ osservazione dei dati era condotta da prospettive diverse, della sociologia, della psicologia e naturalmente della teologia. Per quest’ultima, Luigi non privilegiava il profilo disegnato dal contrasto ortodossia-eterodossia, bensì seguiva il fenomeno nei meandri di implicazioni molteplici e dissimmetriche, talvolta ambigue, allentando così la stretta delle rigide classificazioni dottrinali. A parecchie sue analisi pare sotteso il motivo additato da Chenu fin dal 1931, come tipico di quella crisi, vale a dire la percepita problematicità del rapporto tra chiesa romana e storia6. Tentar di sorprenderne alcune declinazioni proprio nel centro geografico, ideale, istituzionale della cattolicità, rappresentava comunque un’allettante sfida storiografica.

Fiorani non vi si sottrasse. Incominciò dunque ad esaminare figure e movimenti nella fase tardo ottocentesca del pontificato di Leone XIII. Fissò l’obiettivo soprattutto sul personaggio Semeria, catalizzandovi il fluttuare di tendenze, aspirazioni, realizzazioni. Il ritorno al tomismo promosso da papa Pecci aiutò il giovane barnabita ad attingere nella concreta letteralità alcuni testi dell’Aquinate. La conseguente indagine sull’Actus Fidei iuxta sanctum Thomam rivelò nell’antico olimpico maestro insospettate aperture verso una concezione dei motivi e delle modalità del credere, meno debitrice agli schemi intellettualistici invalsi nella scolastica e dischiusa invece sugli orizzonti delle esperienze religiose, secondo la direttrice additata da Blondel e da Laberthonnière, tanto per fare due nomi esemplificativi7. Il conseguente richiamo sintonizzava con molte sollecitazioni affiorate durante la tavola rotonda sul modernismo, organizzata dallo stesso Fiorani e confluita nell’ottavo numero della sua rivista8. Si dispiegava così il ventaglio della pluriversità nei modi di credere, e della varietà nei livelli dell’assenso interiore. Donde la messa in luce delle indagini, effettuate da Semeria e da

6 m d chenu, Le sens et les leçons d’une crise religieuse, «La vie intellectuelle», 13 (1931), pp. 356-380.

7 In proposito a zambarbieri, L’ actus fidei nelle riflessioni semeriane, «Barnabiti studi», 25 (2008), pp. 17-41.

8 «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 8 (1990), 402 pp., con contributi di G. Miccoli, R. Guarnieri, M. Guasco, C. Riva, L. Fiorani, L. Bedeschi, V. Paglia, S. Pagano, G. M. Viscardi.

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altri, concernenti la Scrittura e le tradizioni ecclesiastiche per un verso, e per l’altro l’insistenza degli integristi sull’imprescindibilità della salvaguardia di un’ortodossia monolitica, tradotta in proposizioni dotate di un rigore tale da renderle impermeabili ad ogni possibile mutamento.

Fiorani rende bene sia la durezza di quest’ultima posizione, spesso solo reattiva, sia l’innegabile fragilità di talune idee e metodi riscontrabili in Semeria e in parecchi intellettuali cattolici appartenenti, a vario titolo, ai gruppi romani. Tuttavia, erano appunto simili carenze ad aprire percorsi

nuovi: «Gente come Buonaiuti, Murri, Genocchi -quanto è folta la selva dei riformatori religiosi nella Roma del primo Novecento!- svelano il senso di quel disagio, ne indicano le origini, ne additano le possibili vie d’uscita (…). Il modernismo ha così significato per la città religiosa la via per uscire dal bozzolo in cui l’aveva rinserrata la polemica antimoderna, per metterla in qualche modo non solo all’unisono con la ricerca e la cultura che stavano emergendo ma con una ecclesiologia dai confini più esigenti e più larghi. Fu un tentativo generoso, ma solo in parte riuscito, non solo perché confuso e culturalmente limitato ma per l’inevitabile isolamento cui doveva portare l’asprezza antiecclesiastica e antidogmatica di molti suoi esponenti. La reazione antimodernista fece il resto»9.

Siffatta dorsale sorregge le incursioni in quello che sembrerebbe il piccolo mondo modernista della capitale. Compaiono così i vari cenacoli, dalle case Salvadori o Molajoni, al salotto della contessa Maddalena Patrizi; dal circolo di studi S. Sebastiano, alla residenza della Congregazione del Sacro Cuore. Qui padre Giovanni Genocchi attirava personalità di passaggio o residenti a Roma, tra cui Kraus, Harnack, Van Ortroy, Duchesne, Lagrange, Von Hügel, Vigouroux, O’Connell. Scrive Fiorani: «Genocchi vuole aiutare le coscienze a crescere, non distruggerle o gettarle nella confusione. Per questo il suo lavoro ha un respiro spirituale fortissimo, che si traduce in un enorme rispetto per il cammino interiore di chi entra in dialogo con lui, sempre preoccupato comunque, che il ripudio di mentalità e di atteggiamenti clericali non sospingesse a una critica esasperata della Chiesa, o alla rottura, ma semmai, a uno spirito di maggiore comprensione»10. Tale giudizio è ricavato da capillari indagini svolte non solo su pubblicazioni specialistiche, ma su originali documenti reperiti in archivi. Ciò permette all’autore di sfogliare un libro piuttosto voluminoso, nelle cui pagine compaiono i personaggi citati ed altri, come Murri, Brizio Casciola ed un ecclesiastico come monsignor

9 fiorani, Modernismo romano, p. 169.

10 Ibidem, p. 104.

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Francesco Faberi, destinato a ricoprire importanti ruoli al vicariato di Roma. Salgono alla ribalta collegi e università e la liaison tra Roma e l’antica diocesi governata dal cardinal Pecci, quella Perugia che poté contare sul magistero di un fine biblista come Fracassini e su giovani intelligenti ed entusiasti quali Luigi Piastrelli e Canzio Pizzoni. Negli scorci dipinti da Fiorani, le oblique luci del pontificato leonino al tramonto rischiarano un panorama variegato, ricco di fascino. Vien spontaneo riandare ai quadri policromi che con altro pennello, ma con innegabili affinità, eseguì Giorgio Levi della Vida, frequentatore del palazzo Caetani ed «ebreo tra i modernisti», come amò definirsi11: il suo intarsio letterario trova solide basi, decisive dilatazioni, e un sostegno indispensabile negli studi che Luigi è andato componendo. Vi risaltano pure, a tratti marcati, i volti di Ernesto Buonaiuti, di Mario Rossi e di Giovanni Pioli, definiti «modernisti radicali». E popolano l’affresco le sagome delle istituzioni in cui molti di questi si formarono, e il ceppo, ben descritto da Poulat, dell’insegnamento di Umberto Benigni, utile iniziazione alla ricerca storica che lasciò il segno non solo nella rivista «Miscellanea di storia ecclesiastica» da lui promossa, dove comparvero i primi saggi, balbettanti e pure intelligenti, di Buonaiuti e dei condiscepoli, ma anche nelle dispense di Storia del Medioevo, redatte dallo stesso ‘pellegrino di Roma’, e ritrovate anche tra i sussidi che Angelo Giuseppe Roncalli verosimilmente usò per le sue lezioni al seminario di Bergamo12. Benigni sarà alfiere, quasi ipostatizzandolo, di uno spietato antimodernismo, impegnato a denunciare pretese devianze dottrinali e pratiche: Fiorani ne descrive le mosse anche nel dettaglio e pure i comportamenti più che discutibili, ma senza animosità. Traduce così -in actu exercitu, come direbbero gli scolastici- la dialettica modernismo-integrismo, proposta come canone ermeneutico da Poulat13. Ne verifica così e ne collauda in loco le virtualità, con esiti originali.

11 g levi della vida, Fantasmi ritrovati, Vicenza, Neri Pozza, 1966, pp. 73-176; per le frequentazioni a Palazzo Caetani è da vedere il bellissimo capitolo Le soffitte delle Botteghe Oscure, pp. 21-72.

12 La raccolta ebbe il titolo Lezioni di Storia ecclesiastica, parte II. Il Medioevo. Si veda in proposito f. mores, Lezioni di Storia. Angelo Roncalli, Ernesto Buonaiuti e un libro ritrovato, in L’ ora che il mondo sta attraversando. Giovanni xx III di fronte alla storia (Atti del convegno, Bergamo 20-21 Novembre 2008), a cura di g g merlo e f mores, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2009, pp. 355-365. Lo stesso Mores sta attendendo all’edizione critica di queste Lezioni.

13 Essenziale acuta presentazione dell’impostazione data da Poulat alle sue ricerche su tali temi effettuano m. guasco, Intransigeantisme, libéralisme et modernisme, in Un object de science, le catholicisme. Réflexions autor de l’oeuvre d’Émile Poulat, a cura di v zuber,

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A quella modernista si affianca dunque la Roma vigilans, per usare il titolo della sintesi che al riguardo ha stilato Marvin O’Connell14. Ma nel composito prisma dell’ambiente Fiorani scorge tante sfaccettature. Vi intravede in controluce la Rome che Zola dipinse, quando ancora non si erano spenti gli echi del giubileo episcopale di Leone XIII. A riguardarne gli squarci si constata come l’artista francese attingesse ad una tavolozza dai colori insieme realistici e favolistici, riversati in impasti suggestivi, a raffigurare una Rome nouvelle quale vagheggiava l’abbé Pierre Froment. E par di riudire la voce che il Santo fogazzariano ascoltò nell’Aniene: «Roma, Roma, Roma», a far convergere l’attenzione verso un composito mondo politico e religioso. Fiorani ne ripresenta molti aspetti, spesso lasciati nel chiaroscuro della dimenticanza, scoprendovi molto altro. Con efficacia squaderna le immagini di estrema miseria che numerose si osservavano nella capitale e vi trova all’opera l’Unione per il bene, ispirata a Paul Dejardins e benevolmente giudicata, come sottolinea Luigi, da Leone XIII. Al sodalizio prendevano parte uomini e donne di sentire disuguale, anche religioso, spesso tacciati di modernismo; in particolare vi agì Semeria del quale si riportano impressionanti descrizioni di quartieri e tuguri poverissimi, presso cui il barnabita si recava, con angoscia e insieme con il desiderio di portare conforto e aiuto materiale a persone confinate in una desolante marginalità e in un’estrema penuria, ma capaci di gesti quotidiani rivelatori di straordinaria insopprimibile energia. Roma era anche questo, la ‘Patagonia’, nel quartiere Appio della periferia, dove don Orione impiantò una parrocchia15.

3. Questo mondo, raccolto di riflesso in molteplici descrizioni, fu anche la città e la diocesi di Pio XI, «primo pastore e parroco di Roma», come Fiorani sottotitola il suo ampio saggio dedicato nel 1996 a papa Ratti. Ventisette anni prima, in una rassegna bibliografica sul pontefice lombardo, si sottolineava come nella relativa letteratura venisse «affatto trascurato l’aspetto religiosopastorale del pontificato»16. Il saggio di Fiorani, colmando questa lacuna,

Paris, Bayard, 2001, pp. 240-245; é. fouilloux, Du catholicisme selon Émile Poulat, ibidem, pp. 246-251.

14 m. o’ connell, Critics on trial. An Introduction to the Catholic Modernist Crisis, Washington, The Catholic University of America, 1994, cap. 11: Roma vigilans, pp. 198-231.

15 È sempre utile consultare il pregevole lavoro di f iozzelli, Roma religiosa agli inizi del Novecento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1993. Per il modernismo romano, la ricerca di Fiorani ha stimolato altre analisi e sintesi: cito quella di g. vian, Il modernismo a Roma tra Chiesa e cultura, in Roma la città del papa, pp. 1003-1127.

16 a. rimoldi, Bibliografia su Pio x I, in Pio x I nel trentesimo della morte (1939-1969), Milano, Opera diocesana per la preservazione e diffusione della Fede, 1969, p. 6.

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rimane ancora fondamentale, non solo per le abbondanti notizie fornite, ma anche per le piste di ricerca suggerite, indispensabili e tali da arricchire in modo originale il campionario delle key-words, impiegate per ricostruirne la figura17. Vi campeggia infatti il vincolo tra chiesa locale e il ministero di chi vien ritenuto successore di Pietro, nell’interpretazione e nella pratica della tipica pastoralità foggiata da Achille Ratti, secondo inflessioni che la storiografia ha spesso sottaciuto.

In filigrana appare il carattere decisionista18 del papa, la cui milanesità e, forse più pertinentemente, l’indole brianzola lo disponevano, esorcizzando ogni crisi dell’immagine, a seguire senza tentennamenti i ritmi dell’immaginazione operativa. Mi piace introdurre qui un postilla ricavata da quanto Pio XI stesso dichiarò durante un’intervista rilasciata a un docente francese, e pubblicata nel 1939 sulla rivista «Bibliothèque de l’École des Chartes»: tenne a smentire il pregiudizio, comunemente diffuso, secondo cui l’uomo di studio e in specie il bibliotecario-archivista, abituato a vivere tra i libri e le vecchie carte, cioè il cosiddetto ‘topo di biblioteca’, era da considerare inadatto all’azione, ignaro dei bisogni del suo tempo e «des choses materielles»19. Si doveva affermare, secondo il pontefice, l’esatto contrario riconoscendo a quella tipologia di studioso inequivocabili doti di praticità. Evidentemente parlava di se stesso.

In maniera limpida appare nel saggio come i temi connotanti in proiezione universalistica quel pontificato vengano dal papa stesso proposti, o imposti, in prima battuta alla diocesi. La regalità di Cristo, il disegno di una società ispirata e modellata sull’archetipo della civiltà cristiana impregnano le devozioni inculcate da papa Ratti nei discorsi per la diocesi e nella quotidianità del conseguente stile pastorale. A latere si intravedono in Pio XI vecchie impronte lasciate dalla crisi modernista. Egli non dimenticava i rapporti milanesi con Tommaso Gallarati Scotti e la difesa del cardinal Ferrari, da lui esplicata contro le accuse integriste. Se un particolare minore aiuta a rievocare, può venir ricordata la sua consultazione di un volume

17 Pius x I: key words, Milan, International conference, 2009, eds. a. guasco, r. perin, Wien-Berlin 2010. Tra i molti studi recenti su questo pontefice, basti qui rinviare a Achille Ratti, pape Pie x I, Rome, École française, 1996; La sollecitudine ecclesiale di Pio x I, a cura di c semeraro, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2010.

18 «Più che autoritario, decisionista», così j.-d durand, Lo stile di governo di Pio x I, in La sollecitudine ecclesiale, p. 59.

19 Così r. grand, «Bibliothèque de l’École des Chartes», juillet – décembre 1939, pp. 422-424, riprodotta in Documenti, note e discussioni. Un ricordo di Pio x I, «La scuola cattolica», LXVIII (1940), pp. 471-473. All’indole del ‘bibliotecario’ connotante papa Ratti, accenna d tardini, Pio x II, Città del Vaticano, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1960, p. 148.

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del 1911, rimasto con la nota di possesso, nel quale Joseph Mausbach, non insensibile a istanze di una rilettura ‘moderna’ di testi tomisti, trattava del problema morale, valorizzando l’idea di finalità per intendere l’indole assiologica dell’action20 .

Eppure su tutto domina l’atteggiamento improntato alla ‘presa sul serio’, se l’espressione è passabile, dell’impegno episcopale nella diocesi romana. Questo venerabilis inceptor, come lo definì Jedin, cominciò a ritessere la tela della consuetudine dialogica con i preti diocesani e, più o meno direttamente, con i fedeli posti a vivere entro la rete delle relazioni cittadine e, per non pochi anni, anche nelle maglie, a volte protettive a volte disagevoli, del fascismo. Fiorani aggiunge parecchi altri ragguagli. I dissimmetrici metodi pastorali dei cardinali vicari Pompili e Marchetti-Selvaggiani sono da lui efficacemente, qua e là con gusto bozzettistico, cesellati. Ma soprattutto i parroci occupano il proscenio. Così don Pirro Scavizzi, che giovane chierico in un passaggio del suo diario del 15 dicembre del 1905 aveva ricordato la polemica di Billot nei confronti di Loisy21, è il ‘pretarello’ sempre vicino al suo gregge che ama, essendone intensamente riamato22. E l’accompagnano altre personalità meno note, ma non di secondario rilievo, nella simpatetica rievocazione di Fiorani. Il quale ribadisce come il papa chiami il palazzo del Laterano «la nostra casa parrocchiale», forse alludendo, con sommesso rimpianto, al curato asburgico, uscito dall’officina pavese e incamminato sulle inconfondibili orme del clero ambrosiano. Non sfuggono al pontefice le difficoltà economiche delle parrocchie e il tentacolare, disordinato sviluppo della metropoli, ma al pari di un sacerdote in cura d’anime agisce incessantemente per stringere i vincoli tra i fedeli, spesso dispersi nella frammentarietà del tessuto urbano, in particolare mediante la valenza socializzatrice delle celebrazioni di culto. Il riverbero liturgico dell’enciclica Ubi Arcano è presto constatabile nel Congresso eucaristico tenuto a Roma: il papa lo interpreta come momento in cui Cristo sotto i veli eucaristici riprende il suo ruolo di «re degli uomini delle città e dei popoli». Perché questa regalità si affermi, promuove l’Azione Cattolica, la cui storia ‘romana’ viene periodizzata da Luigi in tre tappe: quella della

20 j mausbach, Grundlage und Ausbildung des Charakters nach dem Hl. Thomas Von Aquin, in Moralprobleme, Freiburg i. Br., Herder, 1911, pp. 1-98. Il volume si trova nella biblioteca del Seminario Arcivescovile di Venegono, segnatura 2E III 52.

21 p. n. damiani [pirro scavizzi], L’eletto. Pagine di vita, Verona, Regnum Dei, 19622, p. 259.

22 u. terenzi, Ricordo di Don Pirro Scavizzi, «L’ Osservatore romano», 12 settembre 1964, p. 7.

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riforma; della ripresa fino al 1931; e infine delle disillusioni e delle reazioni sul piano organizzativo alle invadenze del regime fascista, fino al termine del pontificato. Il saggio dipana attentamente l’intreccio dei programmi, e dei personalismi, determinato nei vertici e nella base dell’organizzazione del laicato. Le minuziose notizie sciorinate convergono nel delineare il dispiegarsi del progetto di civiltà cristiana al cui centro sta l’immagine di Cristo Re, capo invisibile della chiesa, visivamente rappresentato dal suo vicario. In tale ottica si comprende l’attivazione, più intensa e maggiormente diffusa che in precedenza, di organismi funzionali all’apostolato sotto la rigida disciplina imposta dalla gerarchia. Si configura così, in tutte le sue dimensioni, una chiesa alternativa e ostativa rispetto ai processi di laicizzazione e di secolarizzazione. E tuttavia Luigi mostra anche l’altra faccia della medaglia: infatti si avviarono dinamiche rigorose e peculiari tattiche che, a lungo termine, potevano rifluire, modificandola, sulla strategia. Se il laico continuava a esser considerato alla stregua di un suddito, la sua collaborazione all’apostolato gerarchico («le braccia del papa») creava per lui spazi di manovra via via dilatati. Specie le strutture organizzative, sia per fasce d’età sia per ambiti professionali, introduceva specificazioni in grado di fissare fisionomie e aree di operatività che foggiavano precisi ruoli, forieri di relativa autonomia decisionale per il laicato, ormai emerso dall’indistinta categoria di popolo fedele. Non a caso Fiorani si sofferma sull’ingresso massiccio dell’elemento femminile nell’Azione cattolica, che modifica profondamente a Roma il carattere tradizionale di questa militanza, facendola passare da impegno riservato a ceti aristocratici e borghesi, a fenomeno di più ampie dimensioni.

Da ciò e da molti apporti si palesa la capacità interpretativa di Luigi: il costante ricorso ai documenti, scovati con l’acribia e l’astuzia di un addetto ai lavori emunctae naris, approda e si radica saldamente sulle sponde della storiografia, guidato anche da un personale coinvolgimento nella vita della Chiesa, cui Luigi sentiva di appartenere. Ancora una volta la contemporaneità dell’interesse euristico diventa l’indispensabile strumento della promozione etica e dell’obiettività della comprensione. E perciò non posso non sottolineare l’inconfondibile dedizione di Fiorani al suo lavoro di bibliotecario e di archivista, svolto frequentemente in favore degli altri. E a questo proposito mi piace ricorrere alle confidenze cui si lasciò andare Pio XI durante la citata intervista: «Nessuna formazione può essere migliore di quella del bibliotecario e dell’archivista», asserì con orgoglio il pontefice, che proseguiva elencando i lati positivi di un addestramento capace di abilitare in maniera efficace a conoscere il mondo. Né si ritraeva dal dichiarare senza reticenze: «egli [il bibliotecario e l’archivista] diventerà l’amico, il consiglie-

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ROMANA

re, forse il confidente, almeno nell’ordine intellettuale, di molte persone che gli serberanno riconoscenza per gli aiuti e per i consigli»23. Idealizzava in parte papa Ratti. Eppure le espressioni mi paiono calzanti per Luigi. Non è improprio dedicargliele, e pensare che le ascolti, ritornato in mezzo a noi da una distanza che solo i nostri palesi vuoti di fantasia ci fan sembrare notevole. E perciò, al termine di questa mia carrellata troppo rapida e troppo insicura, è doveroso e bello esprimergli una grande, affettuosa stima, e una commossa, sincera gratitudine.

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23 Documenti e note, p. 472.

CHIESA E SOCIETÀ CIVILE NELLA ROMA CONTEMPORANEA: TRA RETE TERRITORIALE E RESISTENZA

Ho conosciuto Luigi Fiorani in un pomeriggio dei primi anni Novanta, nella suggestiva casa di Romana Guarnieri, a Monteverde, dove ero stata invitata per una riunione volta a definire le linee di lavoro di una ricerca sulla «Pietà mariana a Roma» nel Novecento, tra guerra e anni Cinquanta1. Non lo conoscevo di persona, ma ha ‘festeggiato’ il mio ingresso con una tale cordialità da mettermi immediatamente a mio agio, fondando un rapporto che – sia pure con pause più o meno lunghe – non si è più interrotto. Aveva letto, nelle Edizioni di Storia e Letteratura, la rielaborazione della mia tesi di laurea sul quartiere di San Lorenzo, a Roma, negli anni tra le due guerre 2, e fin da quella prima occasione mi ha espresso (con i suoi affettuosi toni entusiastici) l’interessamento per uno studio che unisse l’analisi del mondo popolare alla sua collocazione all’interno della città. In particolare rispetto al ruolo svolto dalla presenza religiosa ed organizzativa della Chiesa (a cui nel mio lavoro avevo dedicato uno specifico capitolo). Scriveva infatti, in quegli stessi anni, in una riflessione metodologica volta a fare il punto sulla recente produzione storiografica, come apparisse ormai essenziale «ricollegare saldamente la storia religiosa al suo territorio», ricercando nella

1 La ricerca, promossa dalla Fondazione per la documentazione e la storia dell’esperienza religiosa, si proponeva di avviare nuovi studi sulla Pietà mariana a Roma tra la Seconda guerra mondiale e l’Anno mariano del 1954. Dopo un primo Seminario nell’ottobre 1993 presso la Facoltà di Lettere della “Sapienza” (relatori mons. Giovanni Antonazzi, Alberto Monticone, Francesco Pitocco), si svolsero alcuni altri incontri tra il 1994 e il 1995 in vista di un ulteriore convegno (tra i relatori previsti, oltre ai nomi già fatti, Luciano Osbat e lo stesso Fiorani) che non mi risulta, però, sia mai stato realizzato. In modo preliminare venne, inoltre, compilata una rassegna bibliografica da cui usciva confermata, sino a quel punto, la sostanziale assenza di riflessioni significative sull’argomento.

2 La tesi, discussa presso la Facoltà di Scienze Politiche della “Sapienza” di Roma, nel marzo 1981, relatore prof. Gabriele De Rosa, è poi diventata un volume dal titolo: San Lorenzo. Un quartiere romano durante il fascismo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1984.

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

lidia piccioni
Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013

«piccola dimensione», in uno scambio continuo tra locale e generale, l’opportunità di muoversi, «senza soluzione di continuità, tra la sfera ecclesiale e la sfera sociale, politica, economica, culturale (…)»3

Da allora, dunque, è andato srotolandosi il filo di un dialogo che ha attraversato gli anni, con lui sempre pronto a cogliere e valorizzare i segni di un proseguo di lavoro su questo terreno. Come in occasione della pubblicazione del diario di padre Libero Raganella, sacerdote simbolo della parrocchia dell’Immacolata e San Giovanni Berchmans a San Lorenzo 4, e poi dell’uscita dei successivi volumi di un progetto editoriale, da me curato, sulla storia di singoli quartieri romani, che accoglieva ogni volta con attenzione, contento sia di leggerne i risultati, sia di entrare così in contatto con giovani studiosi che potessero concorrere alla sua prospettiva di indagine5

Ma soprattutto, da subito, ha cominciato a parlarmi del suo desiderio di dedicare un numero di «Ricerche per la storia religiosa di Roma» alla Roma occupata del 1943-44, sottolineando come ci stesse riflettendo già da tempo e tornandoci poi su, praticamente ad ogni incontro, come a un’intesa comune, sempre più risoluto e determinato. Fino a farne, come sappiamo, il risultato della sua ultima fatica.

E veramente il n. 12 della collana, monografico sui nove mesi della resistenza romana al nazifascismo, da lui non solo curato ma, come vedremo meglio, fortemente pensato, indirizzato e intessuto, credo, sulla base di questa mia esperienza, che possa dirsi il frutto di una riflessione che ha attraversato la sua vita, cogliendo nella drammatica eccezionalità di quel momento l’occasione per osservare, amplificata, quella relazione tra «Chiesa, mondo cattolico e società civile» che tanto lo appassionava6.

3 l. fiorani, Storia religiosa di Roma. Note intorno a recenti esperienze di ricerca, in Ricerca storica e Chiesa locale in Italia. Atti del Ix Convegno di Studio dell’Associazione italiana dei professori di Storia della Chiesa (Grado, 9-13 settembre 1991), Roma, Dehoniane, 1995, pp. 225-258.

4 l raganella, Senza sapere da che parte stanno. Ricordi dell’infanzia e “diario” di Roma in guerra (1943-44), con introduzione e a cura di l. piccioni, Roma, Bulzoni, 2000. Per la presentazione del volume, avvenuta nel teatro del locale liceo «Gaio Lucilio», mi mandò un biglietto in cui esprimeva curiosamente la sua ‘soddisfazione’ per non essere riuscito ad entrare nella sala a causa della troppa affluenza, circostanza da lui colta a testimonianza della vitalità ancora presente in quella comunità di quartiere.

5 «Un laboratorio di storia urbana: le molte identità di Roma nel Novecento», progetto editoriale diretto da l. piccioni, Milano, FrancoAngeli, 2006 – che ha visto fino ad ora l’uscita di 8 monografie relative ad altrettanti quartieri della periferia romana.

6 «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 12, monografico su Chiesa, mondo cattolico e società civile durante la Resistenza, uscito nel giugno 2009 per le Edizioni di Storia e

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Sottolinea Fiorani nella Premessa: «Da un lato il sacrilego e arrogante “Gott mit uns”, dall’altro la risposta della civiltà, della fratellanza. Due culture, due progetti antitetici si sono dunque affrontati (…). Ritornare a quelle vicende, a quelle sofferenze significa in qualche modo riprendere il discorso su eventi che si sono radicati nella nostra cultura. L’ innesto, su questa trama, dei valori religiosi non deprime, piuttosto ne esalta la valenza e contribuisce al successo finale dei principi che guidano e regolano la nostra convivenza»7. E ancora, nel suo saggio introduttivo: «(…) la resistenza all’occupazione tedesca si è avvalsa anche dei valori religiosi, della predicazione contro le ideologie disumane, dell’invito a vedere nell’altro le sembianze e la dignità di un fratello. La storia della Resistenza è dunque anche una storia religiosa perché molti di quei partigiani, di quei giovani ardimentosi e ben decisi ad arrestare il passo alla violenza nazista, uscivano dalle associazioni cattoliche, dagli oratori, da una cultura e da una predicazione fondate sul rispetto della persona cui la fede e la militanza parrocchiale avevano dato sostanza e coerenza»8.

Un nesso, quello tra Resistenza, valori religiosi e capillare articolazione sul territorio alla base di tutto il volume che, da questo angolo d’osservazione, di quei tragici ‘nove mesi’ riattraversa i temi salienti.

In primo luogo, esperienza centrale nei ricordi e nelle testimonianze di tutti i contemporanei, il binomio ‘fame’ e ‘paura’.

La progressiva paralisi dei servizi e il venir meno dei principali beni di consumo è un aspetto che caratterizza tutte le ‘città in guerra’, e la stessa Roma, all’avanzare del conflitto9, fino a divenire però, nell’ultima fase, ininterrotta fatica quotidiana. Fino al dramma della vera e propria fame che a Roma, in modo crescente, attanaglia e paralizza la popolazione in un contesto urbano giunto, nel corso degli anni Trenta, al milione di abitanti e ora ulteriormente gonfiato dai profughi, di fatto privo di una campagna articolata nell’immediato a cui rivolgersi, e invece tradizionalmente legato a quei rifornimenti a lungo raggio che la congiuntura presente rende impossi-

Letteratura, volume a cui rimando per le relative indicazioni bibliografiche, limitandomi qui solo ad alcuni riferimenti non sistematici.

7 l. fiorani, Premessa, ibidem, p. 7.

8 id , Roma città aperta, 1943-1944, ibidem, p. 24.

9 Per una lettura attenta a questi aspetti: p cavallo, Italiani in guerra Sentimenti e immagini dal 1940 al 1943, Bologna, Il Mulino, 1997, e g de luna, L’ identità coatta. Gli italiani in guerra (1940-1945), in Guerra e pace, a cura di w. barberis, Torino, Einaudi, 2002 (Storia d’Italia, Annali, 18), pp. 753-793. Per il caso romano: Roma in guerra, 19401943, numero monografico di «Roma moderna e contemporanea», 3 (2003), a cura di l. piccioni

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bili. E infatti quando, nel giugno del 1944, gli Alleati entreranno finalmente nella capitale a stupirli, accanto alla bellezza per molti versi immutata della ‘città eterna’, in un paradossale contrappunto, sarà proprio la ‘magrezza dei romani’, imparagonabile anche rispetto a quella di territori ben più provati dall’urto diretto della guerra10.

«Roma città aperta – sottolinea Fiorani – è una città affamata»11; accanto una ‘paura’, anch’essa sottile compagna quotidiana, che si fa ‘terrore’ dopo che il bombardamento del 19 luglio 1943 manda in frantumi l’illusoria speranza di ‘intangibilità’ coltivata dalla città stessa e all’attesa delle bombe si aggiungono, dall’8 settembre, le mille insidie dell’occupazione, fino a picchi di vero e proprio ‘orrore’. Come la razzia del Ghetto, del 16 ottobre 1943, e l’eccidio delle Fosse Ardeatine del marzo successivo.

Uno scenario segnato da profondi bisogni sia fisici che morali e dal dissolvimento dei principali referenti politico-amministrativi in cui la presenza della Chiesa – così indissolubilmente legata alla storia della città – si fa ora vera e propria ‘istituzione sostitutiva’12. Su molteplici livelli.

Innanzi tutto nella doppia funzione di assistenza ed accoglienza, che vede la fitta intelaiatura di presenze religiose profondamente radicate nel tessuto urbano mobilitarsi incessantemente. Un aspetto noto ed ampiamente riconosciuto dalla letteratura relativa a quei mesi13, su cui il volume torna con dettaglio di analisi documentaria e il contributo di nuove testimonianze.

10 È possibile ripercorrere immagini e volti di quei mesi in: Roma sotto le stelle del ’44. Storia, arte e cultura dalla guerra alla Liberazione. Catalogo della Mostra tenuta al Palazzo delle Esposizioni, (16 dic. 1994-28 feb. 1995) Follonica (Gr), Zefiro, 1994. Per un confronto tra la realtà romana e quella delle altre ‘città in guerra’ rimando (oltre ai miei saggi introduttivi nei già citati raganella, Senza sapere da che parte stanno, e Roma in guerra, 1940-1943) a l. piccioni, 1940-1944: dall’entrata in guerra alla liberazione, in Roma. Architettura e città negli anni della seconda guerra mondiale, Roma, Gangemi, 2004 (Quaderni di ricerca e progetto), pp. 22-27.

11 fiorani, Roma città aperta, 1943-1944, p. 27.

12 Una funzione sostitutiva da più parti evidenziata, nella storiografia, per tutta l’Italia, e tanto più vera per Roma. Si veda, per un osservatorio sulle diverse realtà nazionali, la serie di volumi risultato di una ricerca ad opera dell’Istituto Luigi Sturzo, in particolare: Cattolici, Chiesa, Resistenza, a cura di g de rosa, Bologna, Il Mulino, 1997, che ne propone il bilancio e, per il Lazio, Cattolici, Chiesa, Resistenza nell’Italia centrale, a cura di b bocchini camaiani – m c giuntella, Bologna, Il Mulino, 1997.

13 Per due tra i titoli più noti: e. forcella, La resistenza in convento, Torino, Einaudi, 1999; a. riccardi, Roma “città sacra”? Dalla Conciliazione all’operazione Sturzo, Milano, Vita e Pensiero, 1979, in particolare pp. 221-262 (ora, dello stesso, anche L’ inverno più lungo. 1943-44: Pio x II, gli ebrei e i nazisti a Roma, Roma-Bari, Laterza, 2008).

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Dallo scavo, dello stesso Fiorani, nell’Archivio della Società S. Vincenzo dè Paoli, da cui emerge un quadro dettagliato «sui molteplici soccorsi messi in atto dalle singole Conferenze» in quei mesi e sul «lavoro generoso, anche se largamente insufficiente, esercitato dai confratelli»14.

Alla documentazione relativa all’opera delle case religiose, conservata presso le Congregazioni stesse (a cui vengono dedicati due saggi, uno relativo alle Figlie di Maria Ausiliatrice, l’altro alle Francescane missionarie di Maria)15, dove, anche grazie alla mediazione e al sostegno materiale del Vicariato, la fatica del presente lascia spazio alla «creatività della carità»16 Un ampio ventaglio di attività quali le cucine economiche per i poveri, dispensatrici di migliaia di pasti al giorno, l’opera svolta presso gli ospedali militari e civili, l’assistenza offerta a profughi, sinistrati e sfollati (tra cui molti bambini provenienti da orfanotrofi bombardati nella regione romana), fino all’accoglienza che si fa asilo e protezione, anche a rischio della propria vita, per i tanti che decidono, o sono costretti a decidere, per la clandestinità.

Al ruolo svolto, in particolare, dal Pontificio Seminario romano maggiore, in evidenza per numero dei rifugiati e, soprattutto, molteplicità dei soggetti presenti, che vede accanto a militari, renitenti alla leva ed ebrei, l’accoglienza di personaggi politicamente rilevanti, tra cui i rappresentanti di quasi tutti i partiti del CLN (ad eccezione del Partito comunista e Partito d’Azione). Una vicenda più volte raccontata, proprio per la sua eccezionalità, su cui si torna nel dettaglio delle alterne vicende di quei mesi, grazie a documenti inediti dell’Archivio del Seminario stesso17.

Alla rete delle parrocchie, progressivamente estesa, dagli inizi del Novecento, di pari passo con la crescita urbana di Roma, ai nuovi territori delle periferie, che un ruolo così importante aveva già svolto, tanto più in queste aree più marginali, come riferimento oltreché religioso anche educa-

14 fiorani, Premessa, p. 10.

15 Rispettivamente, g. loparco, L’ ora della carità per le Figlie di Maria Ausiliatrice a Roma, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 12 (2009), pp. 151-197, e c bazin e m lainati, La carità a Roma negli anni della Seconda guerra mondiale, ibidem, pp. 199-265. Nei due saggi ci si avvale, inoltre, di documenti dell’Archivio Segreto Vaticano insieme a diari, memorie e testimonianze orali delle religiose.

16 Ibidem, p. 239.

17 c. badalà, La scelta di accogliere. I rifugiati al Laterano: l’attività del Pontificio Seminario romano maggiore e il ruolo della Santa Sede, ibidem, pp. 287-360.

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tivo ed associativo e che ora Luigi Fiorani vede ergersi come «una barriera contro la disumanità del nazismo»18.

La fisiologica discontinuità di presenze nella vita parrocchiale, rispetto a quella delle comunità religiose, ha prodotto una documentazione a sua volta meno continua e ‘spessa’, con frequenti lacune proprio sugli anni di guerra, da cui la necessità di un certosino lavoro di ricerca e raccolta di fonti e testimonianze disperse sul territorio, accanto all’individuazione di preziosi apporti provenienti dall’Archivio del Vicariato. A loro volta luogo di aiuti, protezione e rifugio per quanti si trovino in difficoltà (anche se il fenomeno dell’ospitalità vi è inevitabilmente più circoscritto, rispetto agli istituti religiosi, in quanto più esposte ai controlli e con spazi materialmente minori a disposizione), le parrocchie possono incidere direttamente sullo ‘spirito pubblico’, da un lato dando voce «dai pulpiti delle chiese», come notano preoccupati gli osservatori della Questura, «alle grandi angosce, alle interminabili difficoltà quotidiane della città»19, più o meno esplicitamente collegate a una condanna della barbarie presente; dall’altro dando spazio e alimento a pratiche devozionali popolari come, tra tutte, quella per la Madonna del Divino Amore trasportata dal santuario nella Campagna romana all’interno della città a sua protezione, e moltiplicata nelle immagini delle tante edicole di strada 20 .

A tornare con forza, da questo insieme di analisi, è la sottolineatura di una presenza religiosa aperta, almeno programmaticamente, alle necessità di ‘tutti’, da qualsiasi provenienza e in modo incondizionato, parte di un percorso caritativo che attraversa il tempo, solo rinforzato e amplificato dalla contingenza presente, e che si riproporrà poi, in forme diversamente adeguate, negli anni per altri versi altrettanto duri del dopoguerra 21 .

18 fiorani, Roma città aperta, 1943-1944, p. 72. Alle parrocchie, oltre a diverse pagine del suo saggio, sono dedicati i saggi di r. alessandroni (Le parrocchie della periferia romana durante l’occupazione tedesca, pp. 361-418) e d. rocciolo (Le parrocchie di Roma e la guerra. Pagine del bollettino “Vita parrocchiale”. Settembre 1943-giugno 1944, pp. 467-507).

19 fiorani, Roma città aperta, 1943-1944, p. 45.

20 Tra le prime intuizioni ed analisi in questa direzione, f malgeri, La Chiesa italiana e la guerra (1940-1945), Roma, Edizioni Studium, 1980, in particolare pp. 94-103. Sulla diffusione del culto mariano durante gli anni del conflitto, e nell’immediato dopoguerra, l. scaraffia, Devozioni di guerra. Identità femminile e simboli religiosi negli anni quaranta, in Donne e uomini nelle guerre mondiali, a cura di a bravo, Roma-Bari, Laterza, 1991, pp. 135-160. Di f malgeri, inoltre, Chiesa, clero e laicato cattolico tra guerra e Resistenza, in Storia dell’Italia religiosa, vol. III, Età contemporanea, a cura di g de rosa, Roma-Bari, Laterza, 1995, pp. 301-334.

21 Per una messa a punto dei primi mesi successivi la Liberazione: a. giovagnoli, Chiesa, assistenza e società a Roma tra il 1943 e 1945, in L’ altro dopoguerra. Roma e il Sud 1943-1945, a cura di n gallerano, Milano, FrancoAngeli, 1985, pp. 213-223.

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Accanto a quella che si configura comunque, più o meno consapevolmente, come una vera e propria ‘resistenza civile’, abbiamo poi forme di esplicita presa di posizione, realtà «che non esitano a buttarsi nella mischia non solo per salvare i valori in cui credono, ma per mettere al sicuro le conquiste di una civiltà»22. Figure di sacerdoti passati alla storia come don Paolo Pecoraro che, nella piazza San Pietro gremita per la benedizione papale, il 12 marzo 1944, non esita a incitare la folla alla ribellione verso l’occupante; don Giuseppe Morosini, fucilato a Forte Bravetta nell’aprile successivo per essere stato trovato in possesso di armi del Fronte clandestino di Resistenza; don Pietro Pappagallo, arrestato nel febbraio, torturato a via Tasso e poi caduto alle Fosse Ardeatine 23 .

Ma anche tante figure minori del clero romano che operano «soprattutto sul filo della condivisione, della relazione personale, dell’amicizia»24 rispetto a comunità territoriali profondamente conosciute e amate, verso cui forte è il senso di responsabilità e protezione. Non a caso, sottolinea ancora Fiorani, particolarmente stretto è il rapporto tra Chiesa e Resistenza «in aree a più fitta presenza operaia e proletaria. Un rapporto che superava tranquillamente ogni remora di carattere ideologico»25

Potenziali luoghi di incontro e discussione già negli anni del regime, durante i ‘nove mesi’ le parrocchie, attraverso i percorsi personali e le ‘scelte’ dei singoli religiosi, si trovano dunque ad essere chiamate a un ruolo di «tramite, di collegamento tra le realtà più diverse»26. Tra queste i giovani

22 fiorani, Roma città aperta, 1943-1944, p. 66.

23 Nomi già in evidenza fin dal classico studio di e piscitelli, Storia della Resistenza romana, Bari, Laterza, 1965, in particolare pp. 318-319.

24 fiorani, Roma città aperta, 1943-1944, p. 72.

25 Ibidem, p. 70. Particolarmente rappresentativa in tal senso, la più volte citata figura di padre Libero Raganella, su cui si torna nel volume: l. piccioni, Un sacerdote e la guerra. Dal diario di padre Libero Raganella un osservatorio su Roma occupata, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 12 (2009), pp. 267-286.

26 alessandroni, Le parrocchie della periferia romana, p. 383. Per una riflessione sulle motivazioni delle scelte avvenute nel complesso del mondo cattolico in questo particolare momento, così come stanno emergendo dalla storiografia, con sempre maggiori spazi per la ‘soggettività’ delle opzioni, si veda a. parisella, Cattolici, guerra civile, guerra di liberazione, in id , Sopravvivere liberi. Riflessioni sulla storia della Resistenza a cinquant’anni dalla Liberazione, Roma, Gangemi, 1997, pp. 89-109. Efficace appare, inoltre, la sintesi di Claudio Pavone, che al tema della ‘scelta’ ha dedicato tanta parte del suo lavoro: «La Chiesa in realtà si trova di fronte, nelle sue molteplici articolazioni presenti sul territorio della RSI, agli stessi problemi dei rapporti fra legalità, politica e morale con i quali si dovettero misurare tutti gli italiani viventi in quelle regioni» (Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 1991, p. 283).

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della Sinistra Cristiana, movimento consolidatosi alla vigilia della guerra nella convergenza tra un gruppo di studenti antifascisti del liceo Visconti, guidati da Franco Rodano, e ambienti dell’associazionismo cattolico legati all’esperienza del Partito Popolare, attivi in modo politicamente propositivo già dal 1937, tra cui Adriano Ossicini «uno degli uomini più decisi a dar vita a una resistenza ispirata di valori evangelici»27

Alla storia di questo movimento, dal percorso teso e difficile, che si concluderà nel dicembre 1945, e alla figura di don Giuseppe De Luca, che tanto ha significato nella formazione di alcuni dei suoi partecipanti, sono dedicati diversi saggi del volume28, sia di analisi che di diretta testimonianza, ad evidenziare l’esperienza della Resistenza romana come «una vicenda molto articolata e con tante sfaccettature»29, in cui i cattolici trovano ragione di inserimento a pieno titolo anche nella lotta politica e, a loro volta, su diverse posizioni.

Su tutto, domanda centrale ed ineludibile, il ruolo svolto in questo drammatico passaggio della città e della popolazione italiana tutta, dalla Chiesa come istituzione centrale e, in particolare, dalla figura stessa del pontefice. Una domanda a cui sono state date molte risposte, aprendo a una discussione spesso segnata da forti contrasti e a cui il volume non si sottrae, attraversandolo anzi tutto di saggio in saggio.

A cominciare dall’analisi della serrata azione diplomatica svolta dalla Santa Sede «fin dai primi affacciarsi dei venti di guerra, nel tentativo di scongiurarli prima e poi di attenuarne le conseguenze nefaste» su Roma, una «città aperta», per gli occupanti, solo a parole30.

Più complessivamente, rispetto alla posizione assunta da Pio XII, non si elude il nodo di una polemica, esplicitamente ripresa da Gabriele De Rosa

27 fiorani, Roma città aperta, 1943-1944, p. 73.

28 «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 12 (2009), rispettivamente: a. ossicini, Il fascismo al di là del ponte, pp. 133-150; f. malgeri, Don Giuseppe De Luca e la guerra, pp. 419-429; t rapone, Una pagina della storia della Resistenza: la Sinistra Cristiana (8 settembre 1944), pp. 439-451; g mira, Per una ricostruzione storica della Sinistra Cristiana. Intervento al Convegno di Firenze del 1976, pp. 453-463.

29 ossicini, Il fascismo al di là del ponte, p. 139. Ossicini riprende qui sue precedenti testimonianze a stampa, in particolare: Un’isola sul Tevere: il fascismo al di là dal ponte, Roma, Editori Riuniti, 1999.

30 m t bonadonna russo, Roma città aperta, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 12 (2009), pp. 111-132. Un tema sempre sotto osservazione (per una prima selezione di documenti in proposito, p giovannetti, Roma città aperta, «Quaderni della Resistenza laziale», 2 (1977), pp. 7-85), su cui si è tornati anche di recente: u. gentiloni silveri – m. carli, Bombardare Roma, Gli Alleati e la “città aperta” (1940-1944), Bologna, Il Mulino, 2007, dove ci si avvale della documentazione alleata e, per una lettura dall’interno, p. blet, Pio x II e la Seconda Guerra Mondiale negli Archivi Vaticani, Torino, Edizioni San Paolo, 1999.

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(allora giovane militante del partito dei Cristiano Sociali) che nota, nella tavola rotonda introduttiva: «Ci chiedevamo, è vero, perché non facesse qualcosa in più, perché lasciasse passare parecchie cose», per poi però concludere: «Pacelli ha tenuto un atteggiamento cauto, attento, però disponibile, non schierato (…) devo riconoscere che date le circostanze ha fatto quel che doveva fare (…) il carico era veramente troppo»31

E Adriano Ossicini, nel suo racconto, come si è detto, del percorso della Sinistra Cristiana: «Anche se talvolta le posizioni del papa non trovavano tra noi piena condivisione, erano attivi i nostri rapporti con la Santa Sede (…). Avemmo sostegni da più parti e aiuti concreti da parte vaticana, anche se, tutto sommato, le posizioni del Vaticano furono sempre caute e oltremodo prudenti»32.

Una constatazione di cautela, di prudenza che torna anche nella riflessione di Fiorani, insieme al riconoscimento di un fronte non uniformemente compatto, da parte del clero, nella condanna al nazifascismo33. Ma non ha dubbi che dietro l’ospitalità di conventi e parrocchie e, nel complesso, dietro «la mobilitazione della società religiosa » di fronte ai bisogni della popolazione, sia da «intravedere l’interessamento discreto della Santa Sede e del Vaticano»34, un incoraggiamento implicito a fare, sempre sullo sfondo, sostanziato appunto da aiuti e sostegni materiali. Come torna, con convinzione, sulla «grande statura del pontefice» e il ruolo di defensor civitatis assunto da Pio XII nella coscienza dei romani che accorreranno infatti a piazza San Pietro, all’indomani della Liberazione, per acclamarlo tale35. Nel complesso un insieme di tematiche articolate e complesse, accomunate dalla ricerca di sempre nuove fonti, nella volontà di aggiungere elementi al quadro complessivo per contribuire alla sua definizione. Non a caso il volu-

31 Tavola rotonda, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 12 (2009), pp. 14-15. Accanto all’intervento di Gabriele De Rosa, compongono la tavola rotonda un testo di don Mario Canciani, allora giovane sacerdote presso la parrocchia di S. Maria del Buon Consiglio al Quadraro, che ricostruisce i suoi ricordi di quei mesi, e un’intervista a Sisto Quaranta, tra i deportati del quartiere in seguito al rastrellamento eseguito dalle SS il 17 aprile 1944. Uno degli episodi più drammatici della Resistenza romana che vede coinvolte quasi 1.000 persone.

32 ossicini, Il fascismo al di là del ponte, p. 135.

33 fiorani, Roma città aperta, 1943-1944, p. 71. Vivaci e mai definitivamente risolte, in particolare, le polemiche in rapporto al tema dell’olocausto, su cui si veda: r moro, La Chiesa e lo sterminio degli ebrei, Bologna, Il Mulino, 2002.

34 fiorani, Roma città aperta, 1943-1944, p. 47. In questa direzione anche le altre testimonianze raccolte nel volume. Particolarmente esplicito e rilevante il caso del Laterano di cui di fatto la Santa Sede conosce e sostiene l’iniziativa di accoglienza, sia direttamente che tramite il Vicariato (badalà, La scelta di accogliere)

35 fiorani, Roma città aperta, 1943-1944, p. 86.

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me si conclude con una sezione di documenti inediti che entrano nel vivo, rispettivamente, della vita delle parrocchie romane nel corso dei ‘nove mesi’, grazie al bollettino della «Pontificia Opera per la Preservazione della Fede e la Provvidenza di Nuove Chiese in Roma», conservato presso l’Archivio del Vicariato, e dell’attività svolta, secondo il rendiconto del Consiglio superiore di Roma per il 1943, dalle Conferenze di S. Vincenzo dè Paoli, conservato presso l’Archivio della Società stessa36.

Un’ulteriore conferma dell’importanza, per lo studio di Roma contemporanea, di continuare a lavorare per la valorizzazione e la messa in consultazione di un patrimonio documentario immenso, a tutt’oggi segnato, però, da molteplici difficoltà.

In quei lunghi mesi romani tra il 1943 e il 1944, Fiorani legge dunque uno snodo essenziale in cui la coscienza religiosa, parte attiva delle forze vitali della città, può farsi «fermento di liberazione»37. E ne ripercorre, come abbiamo visto, le vicende in modo mai scontato, perché anche toccando questioni più volte affrontate lo fa secondo un percorso suo proprio, che acquista coerenza e specificità dall’intreccio dei tanti livelli della sua personalità. In quella che appare come una vera e propria summa di conoscenze e competenza professionale, passione umana e curiosità intellettuale, relazioni amicali e memorie familiari.

Scorrendo le fitte note del suo saggio colpisce, soprattutto, accanto all’evidente padronanza del dibattito storiografico, il sistematico lavoro di raccolta da lui svolto, nel tempo, di pubblicistica minore, comunicazioni a convegni e articoli di giornale, che contribuisce ad arricchirlo di sfumature. Come, per quanto concerne la parte documentaria, accanto all’attenzione filologica dell’archivista sempre presente, si evidenzia l’ampio spettro di fonti di riferimento (sia pubbliche, che private, che specificatamente ecclesiastiche) e insieme la ricerca di un ampliamento nell’indagine condotto sia personalmente che stimolando in altri studiosi l’individuazione e l’analisi di nuovi fondi.

Una struttura di base in cui si inseriscono, senza interruzioni, le sue impressioni di allora e le riflessioni maturate negli anni e, insieme, brani di diario, memorie, testimonianze di protagonisti, a loro volta ‘messe da parte’ nel tempo o sollecitate appositamente per il volume. Sono così presenti,

36 Rispettivamente: rocciolo, Le parrocchie di Roma e la guerra, e b pietromarchi, Rendiconto 1943 del Consiglio superiore di Roma e delle conferenze dipendenti della Società di S. Vincenzo dè Paoli, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 12 (2009), pp. 509-523 (di cui si deve a Fiorani la trascrizione e l’edizione del testo).

37 fiorani, Roma città aperta, 1943-1944, p. 104.

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nelle diverse forme, tra gli altri, Gabriele De Rosa, monsignor Elio Venier, Adriano Ossicini, don Paolo Pecoraro, conoscenze di una vita, in alcuni casi, per l’età avanzata, raggiunti direttamente da Fiorani per intervistarli, nella tensione vigile affinché la loro memoria non si perda e concorra al quadro complessivo38.

E, ancora, il suo amore per Roma, la sua abitudine ad una osservazione dei ‘segni’ lasciati dalla storia, anche recente, sul territorio, il legame di eventi collettivi e vicende personali con i luoghi: le tante lapidi sui muri della città che si fanno documento, i fori delle pallottole a lungo visibili su alcuni palazzi del centro, le ‘edicole’ disseminate sugli angoli e nei cortili delle case a testimonianza di una devozione popolare che affonda le radici in quei momenti dolorosi ma continua poi a riproporsi negli itinerari di ogni giorno39

A legare il tutto, come si è detto, la profonda conoscenza del mondo cattolico e l’interesse per la sua funzione in rapporto al tessuto vivo della società civile, che si evidenzia nel lavoro di Luigi Fiorani sostanziato sia di strumenti professionali che di convinta partecipazione emotiva. Da cui la particolare attenzione per il «vissuto religioso», da un lato della Chiesa locale, dall’altro della popolazione, nella loro reciproca interazione. Per le parrocchie come ganglio privilegiato di scambio tra i due poli. Per quei movimenti politici, espressi da intellettuali interni, per formazione, alle istituzioni della Chiesa, capaci di raccordarsi alle «persone comuni», attenti alle esigenze dei ceti sociali più deboli, senza timore di fraintendimenti. Per la risposta dei vertici e, in primo luogo, per il ruolo svolto dalla figura del pontefice a cui ha rivolto

38 Di monsignor Venier, di cui nel volume sono riportati alcuni brani del diario (e venier, 8 settembre 1943-20 luglio 1944. Diario della liberazione, pp. 105-109), si veda: Il clero romano nella Resistenza. Colloqui con i protagonisti di venticinque anni fa, Roma 1969. Fiorani intervista Gabriele De Rosa presso la sua abitazione romana, nell’ottobre 2007 (ricavandone il testo riportato nella tavola rotonda), e don Paolo Pecoraro, a Subiaco, nel 2008 (p pecoraro, Intervista, pp. 431-438). Il legame con quest’ultimo, nei cui confronti esprimerà poi sempre grande ammirazione, risale ai primi anni Sessanta, quando, subito dopo la laurea, si era recato ad insegnare nella scuola di don Paolo, già trasferito a Subiaco, traendone guida e consiglio. Sempre a Fiorani si deve l’intervista a Sisto Quaranta, al Quadraro, quartiere in cui amava particolarmente tornare per aver abitato nella zona, da ragazzo, con la sua famiglia e di cui sottolineava affettuosamente la ‘creatività’ di un’edilizia in gran parte autocostruita. Ad accompagnarlo, nei secondi due incontri, Luigi Cacciaglia, amico e collega presso la Biblioteca Vaticana, che qui desidero ringraziare, insieme a Domenico Rocciolo, per il loro racconto.

39 Ritroviamo, negli esempi fatti, i luoghi della sua quotidianità: «l’altarino» all’incrocio tra via Chiana e via Tagliamento, l’edicola del Divino Amore a piazza Istria, via Lago di Lesina «dove si era attestato un distaccamento del Comando della Divisione Piave, assaltato dai tedeschi» (fiorani, Roma città aperta, 1943-1944, p. 102).

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la sua analisi di studioso soprattutto «in quanto pastore direttamente responsabile della diocesi romana» e, dunque, per l’incidenza nella vita cittadina40. L’ apertura a una pluralità di voci – anche a rischio di dissonanze – per rispondere alla ‘pluralità’ urbana di Roma, città storicamente segnata dalla molteplicità e varietà delle sue diverse anime, dalle molte contraddizioni, come sottolineato anche nell’introduzione all’Annale Einaudi dedicato a «Roma, la città del Papa », di cui Fiorani è uno dei curatori41. E viene immediato, scorrendone l’indice, riconoscere la sua impronta, così come nella scelta, per sé, del tema delle confraternite, parte di uno sfaccettato mondo di associazionismo laicale in cui si intrecciano esigenze materiali e sentimento religioso di larghe fasce sociali, trasversalmente, fino alle più umili; il cui studio gli appare rilevante, dunque, nella dimensione di una città ‘sacra’ come Roma, anche grazie al «progressivo arricchimento del concetto di religione sollecitato dalla cultura antropologica e sociologica, cui si sono aggiunte certe rivalutazioni (si pensi alla religione popolare) avanzate dai teologi dell’ultimo Concilio» 42

L’ ultima volta che ci siamo incontrati, nella primavera del 2009, è stato presso la Fondazione Caetani, proprio al fine di restituirgli le bozze per il volume.

Abbiamo ammirato, come sempre, la vista su Roma dalla finestra del suo studio, di cui andava tanto fiero (la città sacra e la città profana – indicava divertito – le cupole e il bianco del ‘vittoriano’). Poi siamo venuti via insieme, diretti verso lo stesso capolinea, e lui ha insistito per fare un giro un po’ più lungo e potermi mostrare, lì intorno, tutti gli angoli che amava, con una felicità e un trasporto, intatti, che è difficile scordare.

Infine, sull’autobus, tornando a parlare del numero in preparazione e degli anni della guerra, mi ha raccontato i suoi ricordi di bambino, la mano della mamma che lo stringeva, per proteggerlo dalla paura, allontanandolo dalla presenza dei soldati e, ancora, le difficoltà familiari di quei ‘nove mesi’ condivise, come è riuscito così bene a ricostruire, da tanti romani…

40 fiorani, Storia religiosa di Roma, pp. 246-247: «Del resto il papa – vi sottolinea – è papa in quanto è vescovo di Roma». Si veda, in particolare, id., Un vescovo e la sua diocesi. Pio x I, «primo pastore e parroco» di Roma, in Achille Ratti Pape Pie x I, Roma, École Française de Rome, 1996, pp. 423-497.

41 l fiorani – a prosperi, Roma, la città del papa, Torino, Einaudi, 2000 (Storia d’Italia, Annali ,16). Nella stessa direzione è da sottolineare il suo interesse per il ‘modernismo’, a cui viene dedicato il n. 8, 1990, di «Ricerche per la storia religiosa di Roma».

42 l. fiorani, «Charità et pietate». Confraternite e gruppi devoti nella città rinascimentale e barocca, in Roma, la città del papa, p. 431. Sempre al tema delle confraternite romane sono dedicati il n. 5 (1984) e n. 6 (1985) di «Ricerche per la storia religiosa di Roma», entrambi a sua cura.

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le pubblicazioni sui caetani di sermoneta

Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

SERMONETA E NINFA TRA MEDIOEVO ED ETÀ MODERNA:

LINEE DI RICERCA SULLE SIGNORIE LAZIALI

Da quando, nel 1989, uscì il volume di Sophie Levie, Commerce 19241932: une revue internationale moderniste, la collana «Studi e documenti d’archivio», ideata e promossa da Luigi Fiorani, ha accumulato al proprio attivo un patrimonio composto da quattordici titoli: essi, oltre a costituire una testimonianza concreta del vincolo che lega la Fondazione Camillo Caetani agli studi storici, sono il risultato di un piano di lavoro progettato nei minimi dettagli. Senza dubbio, i titoli della collana si collocano a valle di una feconda stagione di scambio di idee e di esperienze di ricerca maturata negli ambienti del palazzo di Botteghe Oscure, una stagione costellata di tanti momenti di incontro ma soprattutto di un ritmo di lavoro serrato, che fino al 1999 ha consentito l’uscita di uno e a volte persino di due volumi ogni anno. Un notevole sforzo editoriale, destinato anzitutto a mettere in evidenza il ruolo ricoperto da numerosi personaggi della famiglia o che con questa intrecciarono i propri destini: Bonifacio VIII, Onorato Caetani, Leone Caetani, Marguerite Caetani o Tommaso Campanella, per citare soltanto alcuni nomi. Tuttavia accanto all’illustrazione di figure di primo piano, il filo rosso dell’intera serie di pubblicazioni è l’intento di attingere risultati di più ampio respiro, poiché a partire dall’esperienza concreta dei Caetani, e a prescindere dal periodo storico di riferimento, a fare da sfondo sono questioni di evidente valenza nazionale quando non internazionale, su una pluralità di fronti (culturali, artistici, storici, letterari)1.

Entro questo complesso e al contempo unitario progetto scientifico, merito anzitutto delle idee e della ferrea guida dispiegate dal curatore della collana, non poteva mancare un’attenzione particolare alle fasi storiche che segnarono, nel passaggio dal Medioevo all’Età moderna, il progressivo consolidamento del dominio dei Caetani su un vasto territorio strategicamente

1 a. amendola, I Caetani di Sermoneta. Storia artistica di un antico casato tra Roma e l’Europa nel Seicento. Saggio di storia dell’arte, Roma, Campisano Editore, 2010. Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013 ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

dislocato tra il Regno di Napoli e lo Stato della Chiesa. Un processo, quello della formazione della signoria dei Caetani, da collocare cronologicamente tra il XIII e il XVI secolo e al cui studio fu dedicato il secondo titolo della collana, un volume uscito nel 1990 per i tipi di «L’ Erma» di Bretschneider, che raccoglieva gli atti del convegno tenutosi due anni prima, Ninfa. Una città, un giardino2. Da un’angolazione leggermente diversa, mettendo a frutto l’esistenza presso l’archivio della fondazione di una regolare serie di statuti, nel 1993, a cura di Marco Vendittelli e con un’introduzione di Jean-Claude Maire Vigueur venne pubblicato “Domini” e “universitas castri” a Sermoneta nei secoli xIII e xIV. Gli statuti castellani del 1271 con le aggiunte e le riforme del 1304 e del secolo xV. Neppure un anno dopo, a conferma di un ritmo incalzante, si ebbe un terzo tassello, il convegno Sermoneta e i Caetani. Dinamiche politiche, sociali e culturali di un territorio tra medioevo ed età moderna. Sebbene in questo caso si sia dovuto aspettare sino al 1999 per disporre materialmente del volume contenente gli atti, appariva evidente che tutte queste iniziative discendevano da un piano di ricerca ben definito, una precisa road map allestita grazie alla liberalità con la quale la ricca documentazione conservata presso l’archivio di famiglia è stata messa a disposizione degli studiosi. Dopo oltre vent’anni di ricerche ininterrotte, oggi raccogliamo i frutti di un programma articolato secondo una scansione tematica ideata per coprire tutti i periodi cronologici e tutti gli ambiti in cui appariva coinvolta la famiglia. È probabile che fossero previste tappe ulteriori di questo percorso, che ad esempio potevano essere dedicate al ramo dei Caetani di Maenza o al radicamento della famiglia nell’Urbe. Aspetti, questi e altri, nel frattempo parzialmente già compiuti o che semplicemente rimangono in attesa che il cammino, momentaneamente interrotto, possa riprendere.

I tre volumi che trattano di Ninfa, di Sermoneta e del corpus statutario presentano materiali documentari e riflessioni storiografiche di fondamentale importanza per la comprensione delle vicende che accompagnarono la formazione dei grandi domini feudali in area laziale. Alla metà degli anni 1990, la creazione e la successiva evoluzione del reticolo di signorie feudali rappresentava una tematica che stava conquistando brillanti risultati, come dimostravano gli studi di Sandro Carocci sui baroni romani 3 o di Franca Allegrezza sugli Orsini4. In questo scenario, l’analisi dei domini dei

2 Il titolo del convegno era in realtà Ninfa, storia, arte, immagine e ambiente

3 s. carocci, Baroni di Roma. Dominazioni signorili e lignaggi aristocratici nel Duecento e nel primo Trecento, Roma, Istituto Storico per il Medio Evo, 1993.

4 f. allegrezza, Organizzazione del potere e dinamiche familiari. Gli Orsini dal Duecento agli inizi del Quattrocento, Roma, Istituto Storico per il Medio Evo, 1998.

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Caetani è stata significativa per due motivi: ha contribuito a consolidare le conoscenze sulla fase fino a quel momento più studiata, quella medievale, e d’altra parte, stante la periodizzazione che fu prescelta e della continuità delle serie documentarie familiari, ha consentito di estendere le ricerche anche all’epoca moderna. In questa maniera, veniva affrontata una questione cruciale, quella della transizione dal feudalesimo medioevale alla feudalità moderna 5, che si verificò nel corso del periodo compreso tra XV e XVI secolo, allorché il consolidamento politico-amministrativo degli stati costrinse l’intero milieu feudale a confrontarsi con un orizzonte di relazioni e di equilibri in continua e veloce trasformazione. In questa chiave, indagare il caso dei Caetani implicava addentrarsi nelle dinamiche che condussero alla ridefinizione degli assetti istituzionali, esplorando la natura del regime signorile, l’identità socio-culturale della nobiltà, i diritti vantati sulla proprietà, i rapporti di produzione con i ceti subalterni, le basi giuridiche dei ceti egemoni.

Tutto questo ed altro ancora è l’oggetto dei volumi su Ninfa e Sermoneta, i quali, corredati di un ricco apparato iconografico e fotografico, raccolgono complessivamente in di più mille pagine i risultati di settanta contributi. Numeri che in maniera schematica e diretta trasmettono lo sforzo organizzativo ma anche la capacità di progettare, e dunque di pianificare giornate di studio che avessero come tratto comune la volontà di far dialogare specialisti appartenenti a differenti aree scientifiche. Infatti, oltre alla componente prettamente storica, in entrambi i testi compare una folta rappresentanza di contributi di carattere artistico, letterario, architettonico: per tale via, veniva animato un dialogo intellettuale che dalle questioni politiche, familiari o territoriali, transitava per le tematiche relative al paesaggio, all’immagine, alla musica, o alla rappresentazione artistica. I convegni su Ninfa e Sermoneta, pensati al di fuori delle rigide divisioni accademiche, rispondevano alla volontà di sondare l’ampio orizzonte di aspetti che circondava la realtà dei Caetani tra il Medioevo e la prima Età moderna, un obiettivo da inseguire non soltanto mettendo in evidenza i meriti di questo o quell’altro membro della famiglia, ma soprattutto concentrando l’attenzione sui possedimenti terrieri della stirpe. Basta una rapida lettura degli indici dei due volumi per capire che a dominare non è tanto la storia della famiglia Caetani quanto piuttosto i rapporti che nel corso del tempo si stabilirono tra essa e i territori con i quali la famiglia venne a contatto o esercitò il proprio dominio.

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5 r ago, La feudalità in età moderna, Roma-Bari, Laterza, 1994.

L’ analisi del territorio – inteso e analizzato secondo una pluralità di angolature – è il tema unificante di entrambi i convegni: segno dell’impossibilità di rendere conto dell’esperienza dei Caetani a prescindere dallo specifico scenario dei possessi di famiglia, i quali peraltro, fino a Novecento inoltrato, apparivano connotati da elementi naturali molto decisi (paludi, boschi). Un ambiente incorniciato tra i monti Lepini e il mare, non facile né da dominare né da governare, ancorché ricco di risorse (pesca, legname, pascoli), che per secoli è stato un’area di passaggio tra il sud e il centro della penisola italiana.

Fermiamoci sul terreno degli obiettivi concretamente raggiunti e penetriamo nel gioco di specchi che si creò tra Ninfa e Sermoneta, luoghi distanti geograficamente pochi chilometri uno dall’altro, ma dal punto di vista dell’inquadramento storico emblematiche testimonianze dei profondi cambiamenti accaduti nella penisola italiana nel passaggio dal Medioevo all’Età moderna. Si tratta di due punti di osservazione privilegiati non soltanto per quanto concerne le strategie dei Caetani, ma anche in funzione della comprensione delle dinamiche poste a fondamento della nascita delle signorie rinascimentali e del rafforzamento delle spinte centralizzatrici dei poteri statali. Aspetti, seppur visti dall’angolatura di due piccole enclave della provincia pontificia di Campagna e Marittima, che costituiscono il filo conduttore, creando lo sfondo generale su cui collocare ogni singolo contributo.

In questa sede non si tratta, ovviamente, né di passare in rassegna tutti gli interventi che compongono entrambi i volumi né tanto meno di compiere un riassunto generale, che per forza di cose non andrebbe oltre a una schematica presentazione. Dovendo scegliere una strada da percorrere, vale la pena di individuare alcune linee di tendenza, partendo dal presupposto che il percorso nitidamente tracciato da Luigi Fiorani costituisca di fatto una sorta di modello interpretativo utile a studiare le casate aristocratico-feudali e le loro strategie economiche e politiche.

Come accennato poc’anzi, un ruolo fondamentale è tributato allo spazio territoriale e alle modalità esperite per utilizzarne le caratteristiche nella maniera migliore, al fine di potervi esercitare il pieno dominio. Nel caso di Ninfa ciò si evince dalla centralità attribuita ai corsi fluviali e agli specchi d’acqua, come dimostra la rilevanza economica della pesca, degli impianti molitori, delle ferriere, e delle gualchiere6. Per quanto riguarda Sermoneta, tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo, a emergere è la strategica posizione della rocca, chiave

6 a. esposito, Economia e società a Ninfa alla fine del Medioevo: popolamento e attività produttive, in Ninfa. Una città, un giardino, a cura di l. fiorani, Roma, L’ «Erma» di Bretschneider, 1990, pp. 97-111; m. vendittelli, La pesca nelle acque interne del territorio ninfesino nel Medioevo. Tecniche di sfruttamento ed interessi di gestione, ibidem, pp. 113-137.

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di volta nel controllo delle vie di comunicazione lungo gli assi stradali che attraversavano le paludi pontine7. Anche in questo angolo dello Stato della Chiesa l’ingresso nella modernità passò per il transito degli eserciti, impegnati nelle guerre d’Italia. Inoltre, come insegna la breve stagione di dominio Borgia su Sermoneta8, appena la città fu conquistata, nel 1499, le difese del presidio militare vennero rafforzate tramite la dislocazione di cannoni e di un contingente di soldati permanenti; tale ruolo militare fu incrementato dalla costruzione di nuove mura e di bastioni in grado di resistere alle devastazioni delle nuove armi da fuoco. Si potrebbe dire che durante il XV secolo il baricentro della signoria si spostò dal fondovalle all’alta collina, come, del resto, dimostrano le dispute sorte a partire dagli inizi del Cinquecento per lo sfruttamento dei pascoli e delle masse boschive, quali quelle di Norma o Bassiano. Un secondo blocco tematico, ampiamente presente nei due volumi, è rappresentato dall’evolversi degli assetti interni di potere. Per Ninfa ci sono maggiori difficoltà obiettive nel reperimento del materiale documentario, ma le linee di fondo sembrano abbastanza ben definite: fra la conventio del 1299 e l’anno successivo i Caetani, senza apparentemente trovare resistenze di particolare rilievo e in tempi relativamente brevi, portarono a termine la propria affermazione territoriale, garantendosi Ninfa come ‘feudo perpetuo’; passaggio rafforzato dall’acquisto di innumerevoli terre allodiali e dalla costituzione di un cospicuo demanium signorile che di fatto consentì di affiancare alla componente giurisdizionale quella patrimoniale, ugualmente importante9. Se adesso spostiamo l’attenzione a Sermoneta, merita di essere richiamata la magnifica serie di statuti e di riforme che consente di disporre di una panoramica generale sugli assetti normativi vigenti tra la fine del XIII e gli inizi del XVI secolo. In totale si tratta di quattro testi (1271, 1304, 1478, 1500) che nel loro succedersi, tra redazioni originali, aggiunte e riforme, fissano nel tempo altrettanti importanti momenti di svolta10: dalle

7 m. t. caciorgna, Assetti del territorio e confini in Marittima, in Sermoneta e i Caetani. Dinamiche politiche, sociali e culturali di un territorio tra medioevo ed età moderna, a cura di l. fiorani, Roma, L’ «Erma» di Bretschneider, 1999, pp. 49-75; j. coste, Srade da Roma per Sermoneta, ibidem, pp. 95-105.

8 m vaquero piñeiro, La signoria di Sermoneta tra i Borgia e i Caetani, in Sermoneta e i Caetani, pp. 125-141. Per gli anni di dominio borgiano anche g pesiri, Sermoneta: 1499-1503, in Roma di fronte all’Europa al tempo di Alessandro VI, a cura di m. chiabò et alii, Roma, Ministero per i beni e le attività culturali, 2001, pp. 657-704.

9 a cortonesi, Ninfa e i Caetani: affermazione della signoria e assetto del territorio (secoli xIIIxIV), in Ninfa, pp. 65-96; p pavan, Ninfa e i Caetani nel Quattrocento, ibidem, pp. 139-152.

10 m vendittelli, “Domini” e “universitas castri” a Sermoneta nei secoli x III e x IV. Gli statuti castellani del 1271 con le aggiunte e le riforme del 1304 e del secolo x V, Roma,

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prime compilazioni statutarie che sancirono il passaggio dalla signoria degli Annibaldi a quella dei Caetani, alla formulazione rinascimentale voluta dai Borgia, che denota un impianto che contribuì a collocare Sermoneta sulla scia delle comunità dotate di una chiara impronta cittadina. In mezzo si snodò una lunga fase nel corso della quale il rafforzamento dell’autorità del signore passò attraverso il riconoscimento di un non secondario protagonismo degli homines castri. Si osserva la configurazione delle dinamiche, si potrebbe aggiungere, tese alla ricerca dell’equilibrio e della collaborazione tra il signore e i suoi uomini, elementi che in parte aiutano a spiegare la capacità di Sermoneta di emergere come centro a carattere regionale, il quale disponeva anche di risorse utili a superare i momenti di maggiore difficoltà. Ne risulta la definizione di un contesto sociale piuttosto armonico, che consolida l’immagine dei Caetani di Sermoneta come promotori di una pratica di governo condotta con saggezza e moderazione.

La capacità di crescita dimostrata da Sermoneta, soprattutto all’epoca di Onorato III, trova riscontro nel trasferimento degli abitanti provenienti dalle aree circonvicine, compresa Ninfa, che nel corso del XV secolo perse popolazione a vantaggio del nucleo centrale della signoria. Si andò, in questo modo, verso una precisa divisione di ruoli tra l’emergente corte dei Caetani a Sermoneta (cuore politico-culturale della signoria) e il vecchio insediamento medievale di pianura, il quale tuttavia non venne completamente abbandonato ed anzi conobbe una rifunzionalizzazione all’interno delle logiche del complessivo sfruttamento delle risorse territoriali11. I contributi, dunque, mettono in luce l’esistenza di scelte precise, che sembrano rinviare all’enuclearsi di una razionalità organizzativa, crescente con il tempo. Una tendenza favorita anche dall’arrivo di artigiani e immigrati da altre aree, che trovavano impiego essenzialmente nell’edilizia e nello sfruttamento delle masse boschive; una mano d’opera, a volte specializzata, stabilmente presente nella vita sociale di Sermoneta, come dimostra l’acquisto di case e la conclusione di matrimoni con donne del luogo. Anche dal punto di vista demografico si colgono dunque gli effetti di un nucleo urbano che si espande e rafforza le sue strutture materiali.

Come si diceva prima, le vicende legate al consolidamento dei Caetani e la formazione di una signoria o piccolo stato principesco costituiscono la spia di quel più vasto e complesso scenario che caratterizzò la penisola in seguito

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«L’ Erma» di Bretschneider, 1993; id., Signori, istituzioni comunitarie e statuti a Sermoneta tra il x III e il x V secolo, in Sermoneta e i Caetani, pp. 41-47. 11 l. fiorani, La vita religiosa a Ninfa nelle visite pastorali post tridentine, in Ninfa, pp. 167-181.

alla calata di Carlo VIII di Francia. A Sermoneta, l’arrivo dei Borgia nel 1499 ruppe gli assetti fino ad allora dominanti, introducendo importanti, anche se non durature, novità12. In seguito alla sconfitta dei Caetani, cui seguì l’esilio di Guglielmo13, figlio di Onorato III, presso la corte dei Gonzaga a Mantova, e dopo la nascita del ducato di Nepi e Sermoneta, il cardinale Francesco Borgia (in qualità di tutore dei figli di Lucrezia Borgia, Rodrigo e Giovanni) attraverso una serie di contratti di appalto con singoli privati o con intere comunità procedette ad affittare le entrate signorili dei luoghi che componevano i due ducati14. A Sermoneta, le entrate e i frutti delle terre dell’ex-feudo dei Caetani, di Bassiano e di Norma furono appaltate in cambio del pagamento annuo di 3.000 ducati di carlini più 1.000 salme di frumento. Gli appaltatori erano gli unici autorizzati a riscuotere le entrate signorili dello stato di Sermoneta e dovevano inoltre governare i possedimenti appartenenti alla curia dominica nonché vigilare affinché i campi e i vigneti della curia fossero adeguatamente coltivati. Nel loro insieme, i patti conclusi dai Borgia, che in larga parte anticipano un criterio di gestione che diverrà regolare nella seconda metà del XVI secolo, rispecchiano le trasformazioni in atto negli ordinamenti signorili dell’Età Moderna, in base alle quali i due elementi principali del dominio tradizionale (autorità giurisdizionale e diritti sulla terra) furono scorporati e amministrati secondo una formula mista, decisamente molto più innovativa. Da un lato il signore tratteneva per sé l’esercizio del mero e misto impero, dall’altro lato, per il prelievo delle rendite di origine fondiaria, si affidava a una figura esterna, il grande affittuario delle gabelle, con cui stipulava rapporti contrattuali e al quale affidava il compito di estrarre il surplus del lavoro contadino. Va detto però che alla morte di Alessandro VI, nel 1503, col ritorno di Guglielmo e dei Caetani vennero ripristinati i precedenti metodi di amministrazione dei possedimenti, che di nuovo tornarono a dipendere dal controllo diretto della curia signorile.

Le novità borgiane rimasero in vigore, di fatto, per un breve periodo di tempo; tuttavia non c’è dubbio che rispetto al passato esse annunciavano

12 Notizie puntuali sulla situazione politico-militare che si venne a creare nelle terre meridionali dello Stato della Chiesa alla fine del XV secolo in g. pesiri, Roma, Campagna e Marittima e l’Italia nel Diario Corese del notaio Antonio Fasanella (1495-1504), in Il Lazio e Alessandro VI. Civita Castellana, Cori, Nepi, Orte, Sermoneta, a cura di g pesiri, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 2003, pp. 183-250.

13 g. de caro, Guglielmo Caetani, in Dizionario biografico degli italiani, XVI, Roma, Istituto dell’Enciclepedia Italiana, 1973, pp. 179-184.

14 m. vaquero piñeiro, Il liber arrendamentorum dei ducati di Nepi e Sermoneta (15011503), «Archivio della Società Romana di Storia Patria», CXVII (1994), pp. 171-186.

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la centralità in seguito assunta dalle rendite come criterio cardine nella gestione dei possessi terrieri. Un criterio di gestione, quello introdotto dai Borgia, che, come illustra un’ampia letteratura storica, conoscerà una notevole espansione a partire dalle decadi centrali del XVI secolo, allorché la nobiltà, presa in mezzo tra le ragioni dell’onore15, che si tramutavano in grandi spese, e l’incontenibile tendenza all’indebitamento, non ebbe altra alternativa che imboccare la strada dell’ipoteca o dell’appalto dei feudi. In effetti, nel 1584 l’insieme delle rendite dello stato di Sermoneta venne affittato per 26.000 scudi e tale soluzione, imposta dalla necessità di accedere a cospicue somme di denaro liquido, rafforzò la posizione di un gruppo di amministratori e di figure intermedie non più dipendenti interamente dal barone, i quali erano tenuti solamente a rispettare le clausole contrattuali e a versare le somme concordate con il signore. Tale prassi amministrativa, divenuta abituale in area laziale alla fine del XVI secolo, si trova praticata per la prima volta all’inizio del secolo nei domini dei Caetani per decisione dei Borgia. Ciononostante, neppure il ricorso al prestito e alla cessione delle entrate scongiurò il rischio di un’alienazione dei beni, tanto è vero che nel 1627 Onorato Caetani scrisse al fratello, il cardinale Enrico, informandolo dell’eventualità di dover procedere alla vendita dello stato di Sermoneta onde poter fare fronte a una situazione finanziaria estremamente difficile16. Ma torniamo agli inizi del Cinquecento. È unanime l’opinione che Guglielmo Caetani, rimanendo relativamente in disparte dai giochi di corte, una volta ripreso il pieno controllo sulla signoria portò avanti un’intensa azione di bonifica e di sistemazione dei terreni, impegnandosi inoltre sul fronte del riordino delle coltivazioni e dell’aumento delle raccolte granarie. Ci si potrebbe chiedere in che misura Guglielmo, nel corso del suo esilio mantovano, ebbe l’opportunità di acquisire una nuova sensibilità verso le questioni attinenti il governo delle acque. È noto l’impegno dei Gonzaga sul fronte della regolamentazione dei corsi fluviali e della difesa del territorio dagli effetti devastanti delle piene17. Dunque, nulla di più logico che

15 c. donati, L’ idea di nobiltà in Italia. Secoli x IV-x VIII, Roma-Bari, Laterza, 1988.

16 m. a. visceglia, “Non si ha da equiparare l’utile quando vi fosse l’honore!”. Scelte economiche e reputazione: intorno alla vendita dello stato feudale dei Caetani (1627), in La nobiltà romana in Età moderna. Profili istituzionali e pratiche sociali, a cura di m a visceglia, Roma, Carocci, 2001, pp. 203-223.

17 f. cazzola, Le bonifiche cinquecentesche nella valle del Po: governare le acque, creare nuova terra, in Arte e scienza delle acque nel Rinascimento, a cura di a. fiocca, d. lamberini e c. maffioli, Venezia, Marsilio, 2003, pp. 15-35; La Civiltà delle acque tra Medioevo e Rinascimento, a cura di a calzona e d lamberini, Firenze, Olschki, 2010.

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Guglielmo, a contatto diretto con gli ingegneri idraulici mantovani e in un ambiente animato da un intenso dibattito teorico sulle soluzioni più idonee da adoperare per evitare l’azione distruttrice delle acque, avesse avuto l’opportunità di venire a conoscenza di tecniche e metodi di lavoro che in seguito cercò di mettere in pratica nelle sue terre laziali. Si configura un aspetto ancora da indagare, sebbene le lacune documentarie impediscano di andare oltre la mera formulazione di un’ipotesi suggestiva. È ignota altresì la posizione contrattuale delle famiglie contadine che abitavano nel dominio dei Caetani, e dunque non possiamo affermare che esse fossero formate da piccoli proprietari indipendenti oppure che si trattasse di nuclei assoggettati in qualche modo al signore. Per conseguenza, non disponiamo di informazioni riguardanti momenti chiave nella storia del dominio: quando ai Caetani subentrarono i Borgia si verificò forse un cambiamento giuridico nello status dei contadini, i quali da vassalli diventarono dei coloni che continuarono a usufruire delle terre in cambio del pagamento di un canone in denaro o in natura? Analogamente, mancano indicazioni in merito alla creazione di un eventuale meccanismo di prelievo impostato in funzione dell’ottenimento di eccedenze agrarie da immettere nei circuiti commerciali. In ogni caso, seppur rimangano parecchie zone d’ombra quello che appare certo è che sulla scia dei duri colpi inflitti al sistema baronale laziale, comparvero sulla scena delle figure nuove, la cui ascesa economica contribuì a rendere meno statici i quadri sociali preesistenti. Su queste linee di apertura s’innesta il rientro dei Caetani. Va tenuto presente che bisognerà capire meglio il carattere della ‘restaurazione’ promossa da Giulio II con la Romani Pontificis providentia del 24 gennaio 1504, nel senso anzitutto di accertare se con questo documento si consumò un puro e semplice ritorno allo status quo di fine Quattrocento o se invece, nella fase posteriore al 1504, furono incorporate, anche parzialmente, alcune delle novità introdotte negli anni precedenti.

Da questo veloce e dunque molto approssimativo elenco di considerazioni si può quindi ben capire che negli anni Novanta vi erano delle buone ragioni per rivolgere l’attenzione prima a Ninfa e poi a Sermoneta. Alla luce delle indagini effettuate in quell’occasione, le quali ancora oggi seguitano a essere attuali, conserva la sua validità la felice intuizione avuta da Luigi Fiorani di chiamare a raccolta un folto gruppo di studiosi per costruire un confronto intorno alle trasformazioni verificatesi all’interno di una specifica casata nobiliare: non soltanto dato lo spessore storico della famiglia presa in esame ma anche perché sul versante dei risultati concretamente raggiunti si è abbondantemente andati ben al di là della dimensione prettamente locale.

Il cammino da percorrere è ancora tanto, ma negli atti dei convegni su Ninfa e Sermoneta sono presenti numerosi spunti che meriterebbero di esse-

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re sviluppati in altrettanti percorsi di ricerca. Anzi, più ci addentriamo in piena Età moderna e più l’elenco delle domande aperte si infittisce, poiché le certezze acquisite, piuttosto solide fino all’altezza cronologica della fine del Quattrocento, sono sostituite da un orizzonte meno nitido. Ma questo, come si sa, è un problema abbastanza ricorrente nella storia di Roma, la cui storiografia appare di solito piuttosto schiacciata sulla componente cittadina mentre tutto ciò che accade o in qualche modo ha come epicentro l’area oltre le mura cittadine appare in subordine. Basterebbe una veloce ricognizione bibliografica per rendersi conto non soltanto della netta superiorità della realtà urbana su quella rurale ma anche di come sovente la seconda, quale semplice appendice, viene presentata e analizzata in funzione delle esigenze della prima. In questo senso non c’è dubbio che i convegni su Ninfa e Sermoneta abbiano rappresentato il tentativo, molto ben riuscito, di spostare il punto focale della riflessione storica. Infatti, pur senza trascurare l’influsso esercitato da Roma, in questo caso specifico la grande città non ruba per intero la scena ai piccoli centri del circondario, che così riescono a uscire dal cono d’ombra proiettato dalla capitale dello Stato della Chiesa. A tale proposito soffermiamoci su alcuni aspetti. Come è noto, dopo il 1504 si procedette a una modifica dello statuto varato dai Borgia, mai però a una sua totale cancellazione, e il titolo di ducato concesso da Alessandro VI, confermato ufficialmente soltanto nel 1586, fu motivo di continua rivendicazione nel corso del Cinquecento da parte dei Caetani, tra i quali rimase in vigore la consuetudine di «seguire il proprio nome dal numero ordinale della successione, considerando Rodrigo Borgia come il primo duca di Sermoneta, senza soluzione di continuità rispetto al proprio casato». Nell’altalenante gioco tra i Caetani e i Borgia si rintracciano così i fili della continuità piuttosto che della totale rottura: ci sono abbastanza elementi per sostenere che, in sostanza, la breve parentesi borgiana impresse una decisa accelerazione a processi che già stavano maturando allo scadere del XV secolo. Tra i due secoli si consolidò la tendenza all’accentramento dei poteri e delle prerogative giurisdizionali del signore18, che riproduceva le dinamiche attive in ambito statale e si snodava secondo un andamento ben riscontrabile anche nelle realtà locali. All’irrigidimento dei rapporti tra sovrano pontefice e signori feudali fece riscontro la riduzione dei margini di autonomia effettuata da questi ultimi a scapito dei territori oggetto del loro governo, moltiplicando le frizioni aventi come posta in palio da una parte

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18 m. mombelli castracane, L’ organizzazione del potere nel ducato di Sermoneta tra il 1501 e il 1586, in Sermoneta e i Caetani, pp. 161-203.

l’estensione, dall’altra la difesa, dei privilegi e delle prerogative. Tutto ciò trova puntuale conferma nella traiettoria compiuta dal ducato dei Caetani durante il Cinquecento, che rappresenta un’eccellente cartina di tornasole attraverso la quale leggere le questioni, i tempi e le modalità che scandirono la ricollocazione della nobiltà di matrice feudale nell’alveo dello stato moderno. In tale direzione vanno interpretate le linee politiche che guidarono nel tardo Cinquecento l’atteggiamento papale nei riguardi dell’aristocrazia di matrice feudale, le quali si sforzarono di reprimere i fenomeni di banditismo e di raffreddare le inclinazioni militaresche di ampi settori della nobiltà19 Così, anche i Caetani, soprattutto quelli appartenenti al ramo di Maenza, alla fine si dovettero piegare, come ben dimostra la fine tragica di Cesare Caetani e la confisca dei suoi feudi da parte della Camera Apostolica.

All’inizio di questa succinta panoramica si è parlato di un percorso momentaneamente interrotto, da riprendere, partendo proprio dalle molteplici piste di ricerche rintracciabili negli atti di entrambi i convegni. I futuri momenti di confronto certo non partiranno da zero, poiché potranno trarre grande vantaggio da un altro importante punto di riferimento, vale a dire il primo titolo apparso nella nuova collana – intitolata «Archivio Caetani» –promossa dalla Fondazione Camillo Caetani. Si tratta del volume curato da Caterina Fiorani, che contiene il risultato dell’attento e meticoloso lavoro di riordino e catalogazione del fondo economico dell’archivio di famiglia, un corpus documentario di grande valore sia per il numero di unità archivistiche schedate (3479) sia per il periodo di tempo documentato (dal XVI al XX secolo)20. Questo materiale consentirà senza dubbio di condurre indagini approfondite sulle più importanti questioni riguardanti l’evoluzione socioeconomica delle grandi casate romane di tradizione feudale. La lettura di questo inventario conferma infatti molte delle indicazioni provenienti dai convegni su cui ci siamo soffermati, a cominciare dal problema delle lacune documentarie: non si conserva quasi nessun documento di natura amministrativa redatto prima della fine del Cinquecento.

Se lasciamo da parte le parziali e incomplete informazioni contenute in un piccolo libretto contabile che copre il periodo 1529-1538, il primo libro mastro che fornisce un’immagine completa delle basi patrimoniali risale al 1595 e, come sottolinea la stessa curatrice, si trattò di una novità in larga parte imposta dal peso dei debiti e dalla poco oculata gestione condotta fino

i.

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19 fosi, Il banditismo e i Caetani nel territorio di Sermoneta, in Semoneta e i Caetani, pp. 213-225. 20 c. fiorani, Il fondo economico dei Caetani duchi di Sermoneta, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2010.

a quell’altezza cronologica. Solo dinanzi al rischio di subire delle perdite patrimoniali si rese imprescindibile, quindi, l’introduzione di un criterio di amministrazione che consentisse di tenere sotto controllo il continuo movimento delle entrate e delle uscite. Fu una novità destinata a consolidarsi: a partire da quel primo esempio, nel corso dei secoli successivi fu stilata una lunga e preziosa serie di libri contabili riguardanti i possedimenti Caetani. Una volta adeguatamente studiato, questo materiale consentirà di mettere a fuoco l’evoluzione dello stato dei Caetani nel corso dell’Età moderna, tanto sul versante dei risultati economici ottenuti quanto riguardo alla progressiva transizione dalla rendita feudale verso altre forme di sfruttamento e valorizzazione delle ricchezze fondiarie. Se lo studio dei libri mastri, delle filze di giustificazione e di altri documenti contabili di corredo si riveleranno fondamentali per conoscere meglio la situazione delle campagne intorno a Roma in momenti cruciali come la ‘crisi’ del Seicento o la stagione di ripresa coincidente con i decenni centrali del Settecento, a un livello meno generale alcuni fondi si prestano all’apertura di ulteriori specifici filoni di ricerca. In tal senso, vale la pena richiamare l’attenzione sulle scritture contabili riguardanti le cartiere della Conca per il periodo 1920-1922 e le mole di Ninfa per gli anni 1832-1949. Se, come si diceva prima, una delle principali caratteristiche dei Caetani fu quella di legarsi allo sfruttamento delle risorse idriche del territorio ninfesino, la documentazione del XX secolo attesta la continuità nell’uso delle risorse del territorio, offrendo la possibilità di compiere studi di lungo periodo. Altrettanto si può dire per quanto concerne le peschiere del lago di Fogliano: in questo caso i libri contabili vanno dal 1687 al 1909, e stante il rinnovato interesse storiografico intorno al settore della pesca, anche in ambito laziale 21, la documentazione conservata nell’archivio Caetani si rivelerà preziosa nel fornire riscontri e testimonianze di prima mano. Ci sarebbe da ricordare pure la ricca serie di catasti delle proprietà fondiarie, per arrivare poi alle carte e ai fascicoli attinenti gli anni della bonifica delle paludi Pontine. In effetti, il fondo economico dell’archivio Caetani si dimostra un punto di osservazione quasi unico per osservare dalla prospettiva del grande proprietario l’operazione tesa alla bonifica e la «redenzione dell’agro»22: vi si trovano interessanti testimonianze sugli interventi volti a sconfiggere il flagello della malaria, ma altresì sulle modalità di gestione delle aziende agrarie all’epoca della politica autarchica imposta

21 La pesca nel Lazio. Storia, economia, problemi regionali a confronto, a cura di l. palermo, d. strangio, m. vaquero piñeiro, Napoli, Editoriale Scientifica, 2007.

22 La palude cancellata, cenni storici sull’Agro Pontino, a cura di p. incardona – p. subiaco, Latina, Consorzio di Bonifica dell’Agro Pontino, 2005.

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dal regime fascista, che cercò di incrementare la produzione frumentaria (concimi chimici, meccanizzazione, modernizzazione dei fabbricati rurali, e così una lunga serie di interventi). Queste, ed altre, suggestioni costituiscono delle ottime premesse per nuovi incontri scientifici, nel solco tracciato dalla tenacia e dalla disponibilità di Luigi Fiorani.

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ED ETÀ MODERNA

LE INDAGINI SULLA COMMITTENZA ARTISTICA DEI CAETANI DA SICIOLANTE A BATONI

Il mio incontro con Luigi Fiorani, e quindi anche con le sue ricerche sulla produzione artistica, è stato molto graduale, e risale a prima che il comune amore per la storia dei Caetani e dei loro feudi ci portasse a percorrere un lungo tratto di strada insieme.

Agli inizi degli anni Ottanta, infatti, quando sotto la guida di Carlo Pietrangeli incominciai ad occuparmi di argomenti barberiniani, il monumentale lavoro di spoglio e riordino, fatto da Luigi sul Fondo Barberini della Biblioteca Vaticana già si proponeva agli studiosi come un aiuto fondamentale nella ricerca, una miniera di spunti e suggerimenti e tale è tuttora a trent’anni di distanza.

In contemporanea la collana da lui diretta sulla Storia Religiosa di Roma portava nell’orizzonte degli studi storico artistici sul territorio nuovi e importantissimi contributi.

Non conoscevo ancora l’uomo, ma le sue ricerche già mi sembravano basilari per lo studio della storia dell’arte: quello che era già allora il mio lavoro.

Alla metà degli anni Ottanta, dalla Soprintendenza di Roma per cui lavoravo e lavoro tutt’oggi, sotto la guida lucida ed efficiente di una soprintendente illuminata quale fu (purtroppo per breve tempo) Evelina Borea, ebbi l’incarico di occuparmi dei feudi dei Caetani nel basso Lazio: di Sermoneta in primis e quindi della ricognizione, del restauro e della tutela del patrimonio artistico legato alla committenza artistica della famiglia.

Fiorani, ovviamente era una fonte inesauribile di notizie, e quando già lavorava a raccogliere il materiale per il convegno su Sermoneta e i Caetani che prese poi corpo nel poderoso volume uscito nel 1999, mi invitò a partecipare: fu così che mi occupai di uno sconosciuto pittore sermonetano Giovan Domenico Fiorentini, che aveva lasciato però una vasta produzione a Roma e nel territorio nella seconda metà del ’700.

Iniziò così una lunga amicizia: grazie alla sua sempre affettuosa accoglienza nella Fondazione Caetani instaurammo quel particolare rapporto di complicità che si stabilisce spesso fra persone che studiano argomenti affini.

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

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Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013

Ho incontrato così una parte della sua produzione precedente: il volume sull’Abate Onorato Caetani, un erudito romano del ’700 scritto nel 1969. Il finissimo ritratto di un inquieto secondogenito della famiglia, sospeso (sono parole di Fiorani) fra ambizioni riformiste (un riformismo che guardava a Voltaire, ma anche a Beccaria e ai fratelli Verri) e l’ insofferenza verso il mondo curiale e la ricerca erudita.

Di Onorato si conservano in Fondazione tre ritratti (pubblicati un anno prima, nel ’68 dalla Roettgen) databili fra il 1783 e l’84. Ero attratta, girando per queste stanze dove siamo oggi, (e dove mi sembra incredibile non vederlo spuntare all’improvviso, sempre trafelato, pieno di carte, e progetti) dalla diversa declinazione fornita di Onorato Caetani dai tre ritrattisti più in voga del tardo Settecento romano: poetica e sentimentale quella della Kauffman, illustre quella del Batoni, amichevole e diretta quella di Mengs (tav. 12).

Nel leggere la sua monografia, e nel rileggerla in occasione della mostra del Settecento a Roma del 2005, dove comparivano i dipinti generosamente prestati dalla Fondazione Caetani, mi ha sempre colpito la finezza psicologica con cui Luigi aveva tratteggiato il ritratto del tormentato abate, la bellezza e la fluidità della sua scrittura.

Come pochi egli partendo da fatti e documenti è riuscito a rendere intrigante il ritratto del personaggio, la sua ambizione di un «vivere civile e illuminato» le sue frustrazioni.

Nel rapporto di ormai collaudata amicizia che ci univa, proprio qualche anno fa glielo dissi: «è scritto benissimo!» Ne ebbi in cambio un sorriso confuso e imbarazzato, ma felice, con quell’aria tenera da ragazzo invecchiato che è stata sua fino all’ultimo. E ancora una volta ebbi la dimostrazione che quasi sempre al talento nella ricerca e nella scrittura si unisce, nelle persone davvero di vaglia, quella che era una delle caratteristiche di Luigi: una candida e onesta modestia.

Dopo il volume su Onorato Caetani, un’altra tappa fondamentale sulla famiglia e sulla sua committenza artistica fu nel 1987 il primo volume su Gerolamo Siciolante da Sermoneta, scritto in collaborazione con John Hunter e Teresa Pugliatti. Monografia importante ed attesa su un artista di metà Cinquecento nato e vissuto nell’orbita dei Caetani e formatosi sulla scia di Perin Del Vaga (tav. 2).

Quando Siciolante iniziò la sua carriera romana era signore di Sermoneta Camillo Caetani, e suo cugino Alessandro Farnese era asceso al soglio papale col nome di Paolo III.

Questo spiega l’impegno di Siciolante nei cantieri farnesiani di Castel Sant’Angelo, particolarmente gli affreschi della loggia verso Prati con scene che celebrano l’antichità romana, finiti nel 1544 sotto la direzione di Perino

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e di Luzio Romano. Ed ancora l’attività di Siciolante a Piacenza sotto Pier Luigi Farnese.

Nell’appendice documentaria scritta da Fiorani spicca la consueta finezza nel cogliere il quadro politico dell’insieme collocandovi la grande figura di Bonifacio Caetani (1516-c. 1574) riorganizzatore del feudo contro gli attacchi costieri, e stratega lucidissimo del potere famigliare nel secondo Cinquecento. L’ ultimo grande momento di splendore della famiglia.

E quanto alla committenza artistica, lo strettissimo rapporto di famigliarità di Bonifacio con Siciolante vide l’artista coinvolto in varie imprese nel feudo: prima fra tutti la decorazione del Palazzo di Cisterna, e della vicina chiesa di S. Antonio, con la realizzazione di una Pietà distrutta nell’ultima guerra.

Da questa chiesa proviene probabilmente una Madonna col Bambino e tre angeli che Fiorani ebbe modo di ritrovare fortunosamente nei depositi di Palazzo Caetani alle Botteghe Oscure. Un’opera di Tullio Siciolante, figlio di Gerolamo, morto ventenne, realizzata probabilmente insieme al padre e su cui quest’ultimo appose il nome del figlio seguito dalle terribili parole «pinxit et obiit».

A questo primo lavoro su Siciolante fece seguito nel 1991 la monografia di Hunter sul Sermoneta, pubblicata a cura di Fiorani dalla Fondazione Caetani. A tutt’oggi il caposaldo sulla figura dell’artista e sui suoi rapporti con la famiglia.

Nel 2000 ebbe luogo il Convegno Bonifacio VIII, i Caetani e la storia del Lazio. L’ accorta regia di Fiorani si individua dietro i vari interventi, anche quello di Giulia Aurigemma su Le committenze dei Caetani dal ’500 al ’600: dai feudi alla città

Proprio intorno al 2000 si avviava sotto la direzione di Fiorani il progetto del volume Palazzo Caetani, storia, arte e cultura che dopo vicende piuttosto travagliate vide finalmente la luce nel 2007 per i tipi del Poligrafico.

Ho ancora nell’orecchio la voce, sempre giovane di Luigi che mi chiedeva di partecipare, con uno studio sulla collezione dei dipinti e chiedeva chi avrebbe potuto collaborare sui vari argomenti storico-artistici relativi al palazzo.

Si pensò allora di fare una generale ricognizione delle opere sparse nel palazzo e una campagna fotografica. L’ argomento mi appassionava perché trovavo continue rispondenze di autori e di fatti con le opere d’arte incontrate nel territorio pontino e a Sermoneta, dove stavo raccogliendo le opere disperse provenienti dalle chiese non più officiate o distrutte, per la Soprintendenza, e a piccoli passi stavo montando il museo della cattedrale, oggi finalmente dotato di catalogo.

Lo studio delle singole opere a Roma e sul territorio, si inquadrava nella vicenda di una committenza fra le più illustri del patriziato romano di origine

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ARTISTICA DEI CAETANI

medievale, avviata verso un graduale e irrefrenabile declino con la fine del ’500, soppiantata dalla concorrenza delle nuove famiglie portate alla ribalta dai papi nepotisti (Aldobrandini, Borghese, Barberini, Pamphilj, Chigi).

Famiglie esterne alla realtà storica romana tradizionale. Una storia melanconica e affascinante che oscilla periodicamente fra glorie militari, nunziature prestigiose e continue, rovinose crisi economiche.

Ricordo con gratitudine quell’inverno fra il 2003 e il 2004 in cui trascorrevo molti pomeriggi nella quiete accogliente di Palazzo Caetani sfogliando i documenti d’archivio con intorno le affettuose presenze di Fiorani, della signora Guerra, dell’avvocato Antonelli.

Pomeriggi di scoperte e di chiacchiere. Luigi mi ragguagliava sul faticoso procedere del libro, ma non resisteva alla tentazione di divagare verso nuove ricerche e frontiere di studio. Gli sarebbe piaciuto sapere se nell’archivio di mio padre, che fu, a suo tempo vaticanista, esistevano note e scritti sui ‘preti modernisti’; era curioso di vedere le foto scattate da papà a Sermoneta, quando negli anni Quaranta si recò al castello ospite dei Caetani. Oppure mi chiedeva notizie di un dipinto raffigurante il Beato Giuseppe Labre che si trova a Palazzo Barberini, poiché voleva studiare l’iconografia del personaggio, apostolo degli ultimi.

Era un garbatissimo vulcano di idee e di interessi che si intrecciavano e creavano qualche confusione nel procedere sistematico del lavoro. Che litigate ci siamo fatti poiché, dopo che era stata completata la campagna fotografica sulle opere di Palazzo Caetani, non ritrovava più il materiale nel suo studio in Fondazione, un luogo a sua dire dove «non si perdeva mai nulla!»… Ma poi il libro è uscito è utile e bello e tutto è bene ciò che finisce bene.

L’ improvvisa scomparsa di Luigi, un anno fa, mi ha lasciato il dolore di un sodalizio interrotto, ormai ventennale. Non ho potuto dargli il catalogo del Museo di Sermoneta, uscito qualche mese fa, dove si illustrano tanti dipinti del territorio, squisitamente Caetani.

Non abbiamo potuto coronare il progetto di redigere un catalogo generale della collezione dei quadri del palazzo romano, che permettesse di ritrovarli con facilità e di conoscerli meglio.

Resta il ricordo di tanti bei momenti di lavoro, delle occasioni di ricerca che mi ha generosamente offerto sui materiali della Fondazione, e quello prezioso della sua amicizia.

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IL PALAZZO CAETANI ALLE BOTTEGHE OSCURE E LA SUA STORIA*

Il volume dedicato al palazzo alle Botteghe Oscure1, curato da Luigi Fiorani (tav. 5), nel suo impianto si presenta in generale diverso dalla numerosa serie di volumi dedicati ai palazzi romani, precedentemente pubblicati in varie sedi: i contributi sono infatti organizzati in un percorso che non sembra, almeno a prima vista, unitario e lineare e talvolta appare addirittura contraddittorio. Il piano dell’opera mi sembrò proprio contraddittorio quando mi venne chiesto di partecipare alla iniziativa con un contributo relativo ai temi del collezionismo di antichità dei Caetani su cui da tempo ormai stavo lavorando, come pure mi sembrò in un primo momento quasi superfluo e pleonastico il sottotitolo del libro: storia, arte e cultura. Una riflessione più ampia e motivata mi ha però convinto della validità delle scelte operate, che hanno anche in me personalmente stimolato indagini e aperto ulteriori strade di ricerca meno tradizionali (o convenzionali) e scontate. Proprio attraverso un’analisi dei percorsi in cui si organizza il volume si può forse mettere in luce il ruolo fondamentale che Luigi Fiorani ha svolto nella progettazione e nella realizzazione dell’opera.

* Ho incontrato per la prima volta Luigi Fiorani ormai molti anni fa quando iniziai lo studio della raccolta delle antichità Caetani conservate nel Palazzo alle Botteghe Oscure e nel corso di questo lavoro, diventato negli anni uno dei temi centrali della mia attività didattica e di ricerca alla Sapienza, ho avuto modo molte volte di avvalermi della sua disponibilità e dei suoi competenti consigli. Ho accolto quindi con molto piacere l’invito rivoltomi a partecipare, con un intervento sul volume dedicato al palazzo alle Botteghe Oscure da Lui curato, a queste giornate in Sua memoria. Nonostante l’imbarazzo di dover parlare di un’opera nella realizzazione della quale sono stata per Sua iniziativa coinvolta, tenterò, tralasciando volutamente i settori di mia più specifica competenza trattati nel volume, di far emergere il ruolo fondamentale che nella realizzazione dell’impresa ha avuto Luigi Fiorani.

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

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1 Palazzo Caetani storia arte e cultura, a cura di l. fiorani, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato – Libreria dello Stato, 2007. Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013

Il libro è organizzato attorno a due differenti filoni di indagine, che potrei definire «i luoghi e le cose» e «gli uomini».

Il primo filone è quello più tradizionale: i luoghi a cominciare ovviamente da quello in cui fu costruito il palazzo, dalle preesistenze archeologiche della zona, alla storia architettonica dell’edificio, alle sue fasi costruttive e decorative, ai suoi arredi, alle sue raccolte di antichità, le cose appunto. Nella introduzione al volume Bruno Toscano ha ben messo in evidenza come dai vari contributi che Luigi Fiorani ha voluto fossero affidati ai singoli studiosi emerga non solo quello che c’è, ma anche quello che non c’è più e sia restituita l’immagine di un palazzo e più in generale dell’area in cui fu edificato in continua trasformazione; per usare le sue parole, appaia il conservato e il «non meno corposamente reale perduto» (p. vii)2

Ma già nella prima parte del volume apparentemente dedicata ai luoghi e alle cose, il percorso lineare si interrompe più volte con l’inserimento prima di un capitolo dedicato ai Mattei, ai Serbelloni e ai Negroni, i precedenti proprietari del Palazzo alle Botteghe Oscure (a cura di Carla Benocci) e poi di un contributo sui luoghi altri, il Palazzo all’Isola Tiberina, il Palazzo all’Orso, la Villa Caserta all’Esquilino, il Palazzo di Cisterna (ad opera di Alberta Campitelli), che senza esaurire il quadro generale delle varie proprietà dei Caetani, esamina le precedenti residenze della famiglia, ad esclusione di quel Palazzo al Corso venduto ai Ruspoli che era stato già oggetto di una importante trattazione monografica3. Ci si muove quindi per intersezioni, che sollecitano ulteriori collegamenti mentali ed emerge subito anche in questa parte iniziale il vero filo conduttore che attraversa il volume e lega tutte le sue parti, l’interesse per gli uomini, ed in particolare, ma non solo, per i Caetani; ad essi è dedicata tutta la seconda parte del libro, con un progressivo slittamento del punto di vista, che passa dal palazzo o meglio dai palazzi, alle persone e mostra l’interesse di Fiorani per questa straordinaria famiglia caratterizzata, soprattutto nelle epoche più recenti, dalla ricchezza e dalla non convenzionalità degli interessi culturali. Ed è così che il tema principale dell’opera, quello dichiarato nel titolo, il palazzo, quasi si perde all’interno di un quadro di riferimento più generale con al centro l’uomo, l’uomo che fa la storia, tema sempre presente nelle ricerche di Fiorani, come è stato ben messo in rilievo anche in altri interventi di queste giornate. Ma se negli studi specialmente di storia religiosa sono soprattutto le figure minori e sconosciute, che diventano oggetto di una particolare e del tutto inusuale attenzione, nel volume emer-

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2 b. toscano, Introduzione, ibidem, pp. vii-x. 3 Palazzo Ruspoli, a cura di c pietrangeli, Roma, Editalia, 1992.

gono invece i personaggi della più recente storia di una importante famiglia nobiliare a vario titolo coinvolta nella vita politica, i cui membri, esponenti di rilievo sia della destra storica, come Onorato, sia di idee radicali e anticlericali come Leone, o, come il fratello Gelasio, aderenti in maniera dichiarata al fascismo, ricoprono importanti cariche pubbliche.

Può essere interessante mettere a confronto l’indice del volume con quelli di altre pubblicazioni sui palazzi romani, tra i quali in particolare il Palazzo Ruspoli al Corso già Caetani, ed anche con il primitivo piano dell’opera, proposto da Carlo Pietrangeli, da cui Fiorani è partito, che riprende una sequenza standard sito-famiglia-palazzo e suoi arredi, coerente con lo scopo principale del libro esplicitato nel titolo; nel nostro caso la sequenza è stata invertita nell’ordine sito-palazzo-famiglia.

In quest’ultima parte del volume intitolata Cultura, arte e vita sociale compare il contributo di Luigi Fiorani dedicato ai Caetani del XIX e XX secolo, quei membri cioè della famiglia che nel palazzo hanno lungamente vissuto e/o al palazzo alle Botteghe Oscure sono comunque sempre stati in qualche maniera strettamente legati.

Già alla fine degli anni ’90 nel saggio introduttivo al catalogo della mostra sugli acquerelli di Filippo Caetani, Luigi Fiorani aveva fornito un quadro dei Caetani nel corso dell’800 ed aveva sottolineato come la famiglia non sembri rimanere insensibile ai cambiamenti radicali avvenuti nel giro di pochi decenni, che disorientano per lo più l’élite aristocratica romana, e proprio sul filo degli interessi culturali si vada quasi costruendo una nuova identità4. Le figure dei due fratelli – Filippo, il più giovane, refrattario ad ogni cambiamento politico e sociale e ripiegato, soprattutto nella maturità, nel rimpianto del tempo passato, e Michelangelo, coinvolto in prima persona a vario titolo, sia pure con un certo aristocratico distacco, nella vita pubblica romana sono emblematiche della grande diversità delle risposte date alle innovazioni e alle trasformazioni in atto. Fiorani osservava però – cito (p. 25 nota 6) – «La storia ottocentesca della famiglia è un grande capitolo ancora da esplorare e da raccontare compiutamente».

Attraverso una serie di singoli ritratti dei Caetani, apparentemente non connessi in un discorso unitario, ma realizzati in successione cronologica in forma quasi di schede, Fiorani riesce ora a far emergere una realtà ed una storia solo in parte già nota, utilizzando una documentazione di archivio spesso poco o per nulla esplorata, fatto questo che costituisce il tratto caratterizzante

4 l. fiorani, Filippo Caetani: l’ironia nella Roma papale dell’Ottocento, in Il salotto delle caricature. Acquerelli di Filippo Caetani 1830-1860, a cura di g. gorgone – c. cannelli, Roma, L’ «Erma» di Bretschneider, 1999, pp. 13-28.

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Fig. 1. Palazzo Caetani storia arte e cultura, p. xi
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Fig. 2. Palazzo Caetani storia arte e cultura, p. xii
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Fig. 3. Proposta di Carlo Pietrangeli per una monografia su Palazzo Caetani a Roma.

ed unificante dei suoi lavori. Nelle vicende della famiglia, per usare le sue stesse parole, «non è difficile constatare, in effetti, soprattutto in taluni personaggi più sensibili, una precisa volontà di non dimenticare la ricca e complessa storia familiare, che si intreccia con la storia di Roma e dell’Italia centro-meridionale, ed insieme un forte impulso ad agganciarsi al proprio tempo, ad operare in positivo entro l’alveo delle strutture e delle istituzioni post-risorgimentali che cominciavano appena allora a prendere forma» (p. 315).

Vorrei per un attimo fermarmi sulla figura che apre il contributo, quel Michelangelo Caetani (tav. 6a), la cui biografia copre quasi tutto il XIX secolo, figura di spicco della vita pubblica romana sotto il Pontificato di Pio IX e dopo la Breccia di Porta Pia; presidente della Giunta Provvisoria di Governo nominata subito dopo il 20 settembre 1870 portò, come è noto, a Vittorio Emanuele II a Firenze i risultati del plebiscito che sanciva il ricongiungimento di Roma al nuovo Regno d’Italia. Don Michele appare nella memorialistica dell’epoca ed in particolare nei Ricordi pubblicati nel 1904 dopo la sua morte dalla terza moglie Harriet Ellis Howard e di recente nuovamente editi con una importante introduzione di Giuseppe Monsagrati 5 , come uomo di carattere severo, impegnato fin dalla giovinezza a risanare il patrimonio di famiglia molto dissestato, di grande autorevolezza e prestigio personale, di vasta cultura, lontana dal provincialismo degli ambienti eruditi romani, nel cui salotto alle Botteghe Oscure si incontravano le più importanti personalità dell’epoca provenienti da tutta Europa6; Fiorani ne delinea un ritratto che accanto all’immagine pubblica fa emergere lo spirito vivace e l’indole caustica di un uomo dalla conversazione spiritosa, arguta e brillante e dai giudizi spesso dissacranti. Sono stata personalmente stimolata da questo ritratto a riprendere in anni recenti una ricerca su dei falsi epigrafici, realizzati dal Duca con l’intento di trarre in inganno soprattutto gli studiosi tedeschi impegnati nella redazione della monumentale opera del Corpus Inscriptionum Latinarum, degli scherzi eruditi (tav. 6b) attra-

5 Alcuni ricordi di Michelangelo Caetani duca di Sermoneta raccolti dalla sua vedova (1804-1862) e pubblicati pel suo centenario, con un saggio introduttivo e a cura di g. monsagrati, Roma, «L’ Erma» di Bretschneider, 2005 (Studi e documenti d’archivio 12).

6 Sulla natura del salotto di Michelangelo e sui personaggi che lo frequentavano vd. in particolare f bartoccini, Cultura e società nei «salotti» di Casa Caetani, «Archivio della Società Romana di Storia Patria», C (1977), pp. 115-121; Ricordi, pp. 21-25 (Monsagrati); pp. 211-225; vd. anche l p lemme, Il salotto di cultura a Roma fra ‘800 e ‘900, Roma, M. T. Cicerone, 1995, pp. 118-119, 127-132, 139-146; c. cannelli, I Caetani nella Roma Piemontese, in “Il costume è di rigore”. 8 febbraio 1875: un ballo a Palazzo Caetani. Fotografie romane di un appuntamento mondano, a cura di g. gorgone – c. cannelli, Roma, «L’ Erma» di Bretschneider 2002, pp. 45-55.

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verso i quali si prendeva gioco delle debolezze di una comunità scientifica nei confronti della quale aveva espresso più volte il proprio giudizio non positivo; era infatti solito ripetere «ove sono 13 archeologi sono 13 opinioni diverse»7; è singolare che un giudizio così negativo sugli archeologi, venga proprio dal figlio di quella Teresa de’ Rossi, personaggio eccentrico di cui si ricorda che «ogni giorno andava nella Villa Caserta sull’Esquilino recando ritti a tergo della carrozza invece dei comuni servi in livrea, due o tre terrazzieri con badili e con vanghe per fare gli scavi e trovarvi le cose antiche»8; e dal padre di Ersilia Caetani Lovatelli, a cui è dedicato il secondo ritratto di Fiorani, archeologa, apprezzata studiosa di antichità, membro onorario dell’Istituto di Corrispondenza Archeologica su proposta di Wilhelm Henzen, Theodor Mommsen e Eduard Gerhard e prima donna chiamata a far parte dell’Accademia dei Lincei nel 1879; Michelangelo sottolinea orgogliosamente le affinità nella formazione culturale e negli interessi con la figlia dicendo «c’est peut-être un brique de mon bâtis qui est passé dans le sien au moment que je m’occupais à son édification»9. Alla brevità della scheda dedicata ad Ersilia, sulla quale Fiorani esprime un giudizio forse un po’ riduttivo, corrisponde un più ampio spazio dedicato alla biografia umana ed intellettuale della studiosa e al suo salotto nel palazzo del marito, il conte Giacomo Lovatelli, frequentato oltre che dagli archeologi e storici, già amici del padre, anche da poeti e letterati quali Giosuè Carducci, Gabriele D’Annunzio, Émile Zola, Anatole France nel contributo seguente di Caterina Fiorani dedicato ai Caetani e l’Accademia dei Lincei dal ’700 al primo Novecento. Questa figura femminile sulla quale Theodor Mommsen esprimeva giudizi assai positivi, ora al centro di nuove analisi, dovrebbe trovare un posto di maggior rilievo negli studi di genere10. Di Michelangelo e

7 f. taglietti, cil VI, 3544*: un falso d’autore?, ‹‹Archeologia Classica››, LIX (2008), pp. 287-321.

8 g marchetti longhi, I Caetani, Roma 1942 (Le grandi famiglie romane, I),pp. 46-47. Su Teresa De Rossi e i suoi scavi a Roma e nel Lazio, vd. f taglietti, La collezione di antichità: le raccolte dei Caetani dal x VIII secolo ad oggi, in Palazzo Caetani, pp. 288-289, p. 295.

9 Lettere di Michelangelo Caetani duca di Sermoneta. Cultura e politica nella Roma di Pio Ix, a cura di f. bartoccini, Roma, Istituto di studi romani, 1974, p. 95 n. 8: lettera indirizzata al Granduca di Sassonia-Weimar del 29 maggio 1861.

10 Sulla figura e sulle caratteristiche peculiari del suo salotto, vd. a petrucci, in Dizionario Biografico degli Italiani, 16, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1973, pp. 155-157, s. v.; bartoccini, Cultura e società, pp. 123-127; m. i. palazzolo, I salotti di cultura nell’Italia dell’’800, Scene e modelli, Milano, FrancoAngeli, 1985, pp. 112-115; p. ghione, Il salotto di Ersilia Caetani Lovatelli a Roma, in m. l. betri – e. brambilla, Salotti e ruolo femminile in Italia. Tra fine Seicento e primo Novecento, Venezia, Marsilio, 2004, pp. 487-508 con

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delle sue capacità artistiche e abilità manuali si tornerà poi a parlare nel contributo di Maurizio Donati sulla oreficeria e sui rapporti tra Michelangelo Caetani ed i Castellani. Il legame di Don Michele con la famiglia di orafi romani a partire dal capostipite, quel Fortunato Pio a cui si deve la scoperta del procedimento chimico di riproduzione del cd. oro giallone, è come è noto non solo un sodalizio artistico e culturale, ma un legame nell’ambito di una attività imprenditoriale molto redditizia; in essa il Duca svolse il ruolo di mentore e patrono dei Castellani introducendoli nella buona società europea nella quale trovarono un’ampia e affezionata clientela ed anche di ispiratore e raffinato creatore di gioielli, a cui si deve con tutta probabilità l’invenzione del famoso marchio con le due C intrecciate che caratterizza i gioielli Castellani11. La clientela Castellani era formata dalla nobiltà italiana e dalla aristocrazia inglese, francese, tedesca e russa ed annoverava anche la Casa Savoia a partire già dagli anni precedenti l’Unità; proprio a Michelangelo si deve ad esempio il disegno dell’elsa delle spade di onore dopo le battaglie di Magenta, Solferino e San Martino da donare con sottoscrizione pubblica a Vittorio Emanuele II e a Napoleone III per le quali egli si ispirò alla famosa spada Borgia di proprietà della famiglia (tav. 7).

Ancora intersezioni quindi, una sorta di finestre che si aprono di volta in volta moltiplicando i percorsi di lettura ed indicando – a volte solo suggerendo – al lettore non usuali strade di indagine. Penso ad esempio a quella ancora da percorrere della ricostruzione della personalità artistica di Michelangelo, formatosi alle botteghe di Tommaso Minardi, Pietro Tenerani e Bertel Thorvaldesen, incisore, disegnatore e caricaturista, scultore, studioso attento ed originale di Dante, a cui si deve anche una illustrazione in 6 tavole colorate a mano e poi litografate del viaggio di Dante attraverso Inferno, Purgatorio e Paradiso, pubblicate per la prima volta nel 1855 (tavv. 8-9). O ancora al ruolo non secondario da indagare nell’ambito degli studi di genere, delle donne di casa Caetani, a partire da Ersilia, fino a Marguerite

ulteriore bibl.; l nicotra, Archeologia al femminile. Il cammino delle donne nella disciplina archeologica attraverso le figure di otto archeologhe classiche vissute dalla metà dell’Ottocento ad oggi, Roma, «L’ Erma» di Bretschneider, 2004, pp. 29-45 con una sottolineatura del particolare carattere ‘dilettevole’ dei suoi lavori e della sua capacità di divulgazione. Poco interesse e scarsa comprensione per gli aspetti storico-artistici risultano nel breve ritratto che compare nelle memorie di Adolfo Venturi: a venturi, Memorie autobiografiche, Milano, Hoepli, 1927, rist. anastatica, Torino, Allemandi, 1991, pp. 55-56.

11 Sui gioielli Castellani ed i disegni di Michelangelo si vd. almeno I Castellani e l’oreficeria archeologica italiana, New York, The Bard Graduate Center for Studies in the Decorative Arts (2005); Londra, Somerset House (2005); Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, 2006, Roma, «L’ Erma» di Bretschneider, [2005].

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Chapin, moglie di Roffredo, che diede vita prima a Parigi ad un importante salotto letterario e fondò la rivista «Commerce», e poi a Roma nel palazzo romano alle Botteghe Oscure, dove fondò anche la rivista «Botteghe Oscure» (a lei sono dedicati ben 4 contributi nel volume), senza peraltro trascurare le tre mogli straniere di Michelangelo, la polacca Calista Rzewuska, l’inglese Margaret Knight ed in particolare quella Harriet Ellis, autrice di memorie scritte in un tono colloquiale e semplice, ma non privo di interesse nell’ambito del genere memorialistico. Una lettura della storia della famiglia al femminile potrebbe credo fornire ulteriori elementi di interesse12

Lo stesso procedimento troviamo ancora, solo per fare un altro esempio, nelle pagine dedicate a Leone Caetani, famoso islamista, socio della Accademia Nazionale dei Lincei e promotore della Fondazione per gli studi Musulmani presso l’Accademia stessa, nei contributi di Caterina Fiorani e di Fulvio Tessitore. La figura scientifica ed umana di «uno dei Caetani più pensosi e chiaramente predisposti ad una vita di lavoro, di ricerca e di meditazione», come efficacemente dice L. Fiorani, emerge dall’analisi comparata dei vari autori: in primo luogo è messo in risalto il gusto per l’avventura e la curiosità per i mondi lontani, che si riscontrano anche nella figura del padre Onorato, impegnato ampiamente nella vita politica romana, che fu anche Presidente della Società Geografica Italiana. In Leone il gusto di avventura riflette un desiderio di conoscenza più che di evasione e si coniuga con un esercizio allo studio e al lavoro continuo e quotidiano; è poi messo in rilievo il legame intellettuale e umano con Giorgio Levi della Vida, sullo sfondo delle travagliate vicende familiari e delle ancor più dolorose vicende pubbliche che lo porteranno, con l’avvento del fascismo al lungo periodo di esilio volontario in Canada13. La storia privata di un matrimonio non felice, quello con Vittoria Colonna, donna assai lontana per indole ed interessi dal marito, come ci rivela ora anche la biografia più recente, con le notizie del suo

12 Di un qualche interesse sono in questo senso anche le memorie della suocera di Michelangelo, Rosalie Rzewuska, raccolte dalla nipote Giovannella Caetani Grénier, figlia di Onorato: Mémoires de la comtesse Rosalie Rzewuska (1788 -1865), publiées par son arrière – petite fille Giovannella Caetani Grenier, Roma, Typ. Cuggiani, 1939, in part. II, pp. 455469 sul matrimonio tra Michelangelo e Calista avvenuto nel 1840, con giudizi poco positivi sul carattere del genero. Sulla figura della terza moglie del duca e sui cattivi rapporti con la famiglia, dopo la morte di Michelangelo vd. Ricordi, pp. 60-62 (Monsagrati). Per i legami della donna (la duchessaccia) con il nipote Leone, vd. v. colonna di sermoneta, Memorie, Milano, Treves, 1937, pp. 169-171.

13 g levi della vida, Fantasmi ritrovati, Vicenza, Neri Pozza, 1966, pp. 21-72.

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breve amore per ‘il futurista’ Umberto Boccioni14, e di un nuovo rapporto di amore di Leone da cui nascerà la amata figlia Sveva, completano il ritratto dell’uomo e ci riportano anche ad un luogo, quella ‘soffitta del Palazzo alle Botteghe Oscure’, quella galleria lunga e stretta preceduta da un piccolo vestibolo al III piano del palazzo, dove era collocata la biblioteca e dove si svolgeva il suo quotidiano lavoro di ricerca.

Ho parlato all’inizio di uomini e luoghi, attribuendo a Luigi Fiorani una sorta di inversione gerarchica dei due temi nel piano dell’opera; ma il palazzo alle Botteghe Oscure ritorna prepotentemente nelle vicende degli ultimi Caetani, quello stesso palazzo tetro e privo di luce descritto da Vittoria Colonna, «in cui un eterno crepuscolo opprimente oscura le stanze, quel sepolcrale palazzo di famiglia» per il quale condivideva con il marito «una forte antipatia», e che alla fine abbandonò, dopo la morte del suocero nel 1917, per andare ad abitare nel Palazzo Orsini al Teatro di Marcello, da lei chiamato palazzo di Sermoneta15

Tra i figli di Onorato vorrei ricordare ancora almeno Gelasio Caetani, la cui figura viene tratteggiata nel contributo di Luigi Fiorani ed in quello di Caterina Fiorani; a lui sono dovuti, come è noto, i monumentali lavori sulla storia della famiglia, la Caietanorum Genealogia (1920), i Regesta Chartarum (1923-1932) ed infine i 3 volumi della Domus Caietana che si interrompono solo con la sua morte avvenuta nel 1934 e che hanno comportato il riordino della amplissima raccolta dei documenti di famiglia16 , lavori questi che gli valsero la nomina a socio per la Classe delle Scienze Storiche Filologiche dell’Accademia dei Lincei, sebbene la sua formazione

14 m caracciolo chia, Una parentisi luminosa. L’ amore segreto fra Umberto Boccioni e Vittoria Colonna, Milano, Adelphi, 2008.

15 colonna di sermoneta, Memorie, p. 45. Alle Botteghe Oscure vivevano oltre al suocero Onorato con la moglie Ada Bootle Wilbraham, i loro cinque figli e la figlia Giovannella che, sposata al barone belga Grénier, abitava presso i genitori per molti mesi con tutta la famiglia, restava però la maggior parte del tempo all’estero a fianco del marito ambasciatore. Il duca Onorato lasciò l’appartamento al piano nobile del palazzo alla propria vedova in usufrutto. La biblioteca di Leone, fu trasportata solo per breve tempo nel palazzo Orsini e passò poi all’Accademia dei Lincei: L’ Archivio Leone Caetani all’Accademia Nazionale dei Lincei, a cura di p. ghione - v. sagaria rossi, Studi e Documenti d’Archivio 11, Fondazione Camillo Caetani, Roma, «L’ Erma» di Bretschneider, 2004. Leone in realtà non abitò nella nuova residenza con Vittoria, ma separato dalla moglie e dal figlio Onorato, andò a vivere in un villino sul Gianicolo con la nuova famiglia.

16 Sul ruolo di Gelasio nel riordinamento e sulle vicende dell’Archivio Caetani fino alla costituzione della Fondazione Camillo Caetani vd. da ultimo c. fiorani, Il fondo economico dei Caetani Duchi di Sermoneta, Roma, Fondazione Camillo Caetani, Edizioni di Storia e Letteratura, 2010 (Archivio Caetani 1), in part. pp. xxii-xxv

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fosse di tipo scientifico; era infatti ingegnere minerario e dopo la laurea conseguita a Roma, si perfezionò a Liegi e completò poi i suoi studi in America alla Scuola Superiore delle Miniere della Columbia University, conseguendo il diploma in un solo anno rispetto ai 4 previsti. Nel settore farà una carriera brillante e di successo, nonché proficua sul piano economico e imprenditoriale, partendo da semplice operaio. Nel breve profilo a lui dedicato Luigi Fiorani, ricordandone le importanti azioni militari durante la I Guerra mondiale sul Col di Lana e le varie tappe della sua attività politica di successo, che si concluderà con la nomina ad Ambasciatore d’Italia a Washington, lo definisce «il più dinamico, il più versatile degli ultimi Caetani» (p. 322).

Tra il 1898 ed il 1913 egli si occupò infatti anche di una serie di lavori di restauro e di consolidamento del Castello di Sermoneta, che documentò in un quaderno di appunti corredato da una notevole serie di schizzi e rilievi assai precisi, sebbene realizzati a memoria17 ed infine fu anche fotografo di buon livello e scultore (tavv. 10-11) ed espose alla Biennale di Venezia nel 1930 e nel 1932 e alla Quadriennale romana del 1935 opere in bronzo e in argento18

Non è questa certamente la sede per analizzare le altre figure di questa famiglia; ognuna a suo modo, segna il percorso di una straordinaria vicenda intellettuale che si conclude tragicamente con la morte in guerra dell’ultimo Caetani, Camillo, il figlio del compositore Roffredo e di Marguerite.

Luigi Fiorani ci ha condotto per mano attraverso delle storie alla storia, attraverso delle biografie che costituiscono una sorta di indice ragionato dei contributi a seguire, alla ricostruzione dell’ambiente artistico e culturale della società romana tra ’800 e ‘900 in aperto dialogo e confronto con la cultura europea, dando così ragione del sottotitolo solo apparentemente pleonastico del volume.

17 Su questi lavori a di falco, I restauri di Gelasio Caetani al Castello di Sermoneta, 1898-1913, in Sermoneta e i Caetani. Dinamiche politiche, sociali e culturali di un territorio tra medioevo ed età moderna. Atti del Convegno della Fondazione Camillo Caetani (RomaSermoneta 1993), a cura di l. fiorani, Roma, «L’ Erma» di Bretschneider, 1999 (Studi e Documenti d’Archivio 9), pp. 599-615. Gelasio, in una nota sul frontespizio del quaderno di appunti, precisa che i disegni sono fatti a memoria e non sono quindi esatti nelle proporzioni e nei dettagli: Notizie ed informazioni raccolte da Don Gelasio Caetani riguardanti l’architettura del castello di Sermoneta, ed i restauri fatti ad esso durante gli anni 1898-190611-13. Scritto a bordo del vapore Carmania durante la traversata dell’Atlantico, 24 febbraio-4 marzo 1906, ff. 65 (AC Miscellanea 1257/781).

18 a. panzetta, Nuovo dizionario degli scultori italiani dell’Ottocento e del primo Novecento. Da Antonio Canova ad Arturo Martini, Torino, Adarte, 2003, p. 189.

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Mi piace chiudere questa breve presentazione con un’immagine che ho recuperato solo di recente nell’archivio fotografico della Fondazione che rappresenta Roffredo ancora adolescente ripreso sullo sfondo di una parete piena di libri accanto alla testa dell’Afrodite Caetani, la scultura antica forse più famosa della collezione appartenente già alla raccolta secentesca, che sembra poi seguire i percorsi e gli spostamenti di alcuni membri della famiglia per tornare poi definitivamente nel Palazzo alle Botteghe Oscure19. L’ immagine sembra ripresa nella biblioteca di Ersilia Caetani Lovatelli, che passò dopo la morte della contessa nel 1925, all’Accademia dei Lincei; la testa è identificabile in una fotografia della biblioteca (tav. 10b)20.

19 m. g. picozzi, La collezione di antichità: le raccolte dei Caetani sino al x VIII secolo, in Palazzo Caetani, soprattutto nota 71 a p. 282.

20 c fiorani, in Palazzo Caetani, p. 337.

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ONORATO CAETANI «UOMO ENCICLOPEDICO E ILLUMINATO»

DEL SETTECENTO EUROPEO

«Il Caetani morì a Roma il 26 giugno 1797 [a 55 anni], senza che il suo nome trovasse migliore fortuna di qualche stanca e occasionale commemorazione presso le società accademiche di cui fu socio, lasciando soltanto la fama di «uomo enciclopedico» (Filippo Renazzi) e non quella dell’’uomo illuminato’ quale, pur tra ricorrenti contraddizioni, aveva sempre cercato di essere». Così si concludeva la voce dedicata a Onorato VI Caetani pubblicata da Luigi Fiorani sul Dizionario Biografico degli Italiani nel 1973. A Onorato, Fiorani aveva in precedenza dedicato due suoi lavori giovanili: un saggio apparso su «Studi Romani» nel 1967 e, soprattutto, la monografia edita dall’Istituto di Studi Romani e dalla Fondazione Camillo Caetani nel 1969, intitolata Onorato Caetani. Un erudito romano del Settecento, studi entrambi che per la prima volta utilizzavano ampiamente il materiale archivistico conservato nell’Archivio Caetani1. In precedenza su Onorato disponevamo infatti solo della voce compilata da Gelasio Caetani per la sua Genealogia (1920) e di un breve articolo di Pio Pecchiai apparso sulla «Strenna dei romanisti» nel 19642. Né più utile era la precoce biografia intellettuale premessa dall’abate vallombrosano Rodesindo Andosilla al primo, poi rimasto unico, volume delle Opere inedite e postume di mons. Onorato Caetani, dato alle stampe a Roma nel 1800, probabilmente presso la stessa piccola stamperia Caetani, opera giudicata da Fiorani «ampollosa» e «scorretta».

1 l. fiorani, Ad vocem, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 16, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1973; id , Una figura dimenticata del Settecento romano L’ abate Onorato Caetani, «Studi romani», XV (1967), pp. 34-60; id , Onorato Caetani Un erudito romano del Settecento Con appendice di documenti inediti, Roma, Istituto di Studi romani, 1969.

2 Cfr. g. caetani, Caietanorum genealogia. Indice genealogico e cenni biografici della famiglia Caetani dalle origini all’anno 1882, Perugia, Unione tipografica cooperativa, 1920, pp. 89 e segg.; p. pecchiai, Un enciclopedico prelato romano del Settecento, «Strenna dei romanisti», XXV (1964), pp. 387-394.

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

massimo cattaneo
Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013

È stato quindi merito delle ricerche di Fiorani aver segnalato agli studiosi un personaggio la cui biografia e sensibilità culturale, più forse della sua opera di scrittore, presentano molteplici aspetti di interesse non solo in sé ma come spia di tendenze presenti nel complesso mondo religioso ed erudito romano della seconda metà del Settecento. La ricerca di Fiorani si collocava in una nuova stagione di studi iniziata alla fine degli anni Sessanta, e in un certo senso mai conclusasi fino a oggi, che aveva al suo centro Vittorio Emanuele Giuntella, non a caso autore della Premessa al volume di Fiorani su Onorato, e che avrebbe avuto un primo esito generale nella monografia Roma nel Settecento, pubblicata dallo stesso Giuntella nel 19713. In quella sede il lavoro di Fiorani veniva segnalato, insieme allo studio del 1968 di Alberto Caracciolo su Passionei edito dalle Edizioni di Storia e Letteratura4, come esempio positivo di ricerca monografica su singoli personaggi che con la loro biografia mostravano il disagio spirituale che aveva attraversato Roma alla fine del Settecento, erodendo in taluni certezze e passività e portando, viceversa, in superficie «quanta insofferenza per le visuali ristrette e convenzionali e quanto travaglio vi [fosse] sotto la scorza esteriore nel mondo culturale e religioso romano». Secondo Giuntella, che scriveva sulla scorta di Fiorani, vi era in Onorato «un’ansiosa ricerca di superare gli schemi e le strutture della società in cui vive[va] e di aprirsi verso il mondo esterno ricercando i contatti con l’Europa colta del secolo»5.

Com’è noto il tema delle inquietudini religiose nella Roma dei papi nel corso del Settecento sarebbe stato uno dei campi di indagine privilegiati di Fiorani nei decenni successivi, sia attraverso le sue ricerche personali sia mediante l’organizzazione di convegni e numeri monografici della rivista «Ricerche per la storia religiosa di Roma»6.

3 v. e. giuntella, Roma nel Settecento, Roma-Bologna, Istituto di Studi romani-Cappelli, 1971. Su questa stagione di studi cfr. m. caffiero, Roma nel Settecento tra politica e religione. Dibattito storiografico e nuovi approcci, «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 2 (2000), pp. 81-100.

4 a caracciolo, Domenico Passionei, tra Roma e la repubblica delle lettere, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1968.

5 giuntella, Roma nel Settecento, p. 320.

6 Temi che altri tratteranno in questi atti, ma mi sia permesso di dire che proprio a partire da essi, e in particolare dalle vicende del Triennio 1796-1799, ebbi modo all’inizio degli anni Novanta di conoscere Luigi Fiorani, fonte inesauribile e generosa di indicazioni archivistiche, spunti di ricerca, ipotesi interpretative. I pomeriggi, tendenti alla sera, passati a discutere con lui nello studio presso la Fondazione Caetani alle Botteghe Oscure, di fronte alla sua grande scrivania solo apparentemente in perenne disordine, perché Luigi vi trovava poi tutto e di tutto, rimangono per me tra i momenti più importanti, sul piano scientifico e umano, della mia vita di studioso, che a Luigi molto deve.

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Vediamo rapidamente i tratti salienti della biografia di Onorato Caetani. Nato a Roma il 17 dicembre 1742, da Michelangelo (1681-1759), duca di Sermoneta, e da Carlotta Ondedei Zonga (1721-1750) (tav. 12), nobile pesarese, «dama fornita di singolare vivacità di spirito, e che alle femminili doti quelle ancora aggiungeva di essere nelle scienze e nelle lettere versata assai più che a Donna si convenisse», come scrisse un misogino biografo ottocentesco di Onorato7. Carlotta ebbe una grande influenza negli anni della sua primissima formazione, trascorsi nella residenza dei Caetani sull’Esquilino. La precoce morte della madre all’età di soli 29 anni, rappresentò un grave trauma per l’ancora bambino Onorato che oltre a somigliarle fisicamente ne aveva assorbito la sensibilità culturale, compreso l’interesse per l’arte. Ricordiamo che Carlotta aveva anche ricevuto lezioni di disegno da Pompeo Batoni. Onorato fu così presto in diretto contatto con alcuni dei maggiori artisti della Roma dell’epoca. Non a caso, diventato uomo maturo, proprio a una straordinaria serie di ritratti egli consegnò la memoria della sua complessa, e inquieta, personalità di ecclesiastico per necessità – tiepido sul piano degli interessi teologici – e umanista per vocazione, costretto però a dissimulare i tratti più anticuriali e moderatamente illuministi della sua visione del mondo. Onorato, infatti, commissionò tre dipinti ai maggiori ritrattisti presenti a Roma: Anton Raphael Mengs (il ritratto è del 1779), Pompeo Batoni (1782) e Angelica Kauffmann (1783-1784)8 (tav. 12).

Scriveva Onorato, in una lettera del 1781 indirizzata a Fortunato Bartolomeo De Felice, personaggio con cui fu in stretta corrispondenza e su cui torneremo tra breve: «Mengs mi ha dipinto e letto nella mia fisiono-

7 f fabi montani, Ad vocem, in Biografia degli italiani illustri nelle Scienze, Lettere ed Arti del secolo x VIII, e de’ contemporanei …, per cura del professore e. de tipaldo, vol. IV, Venezia, Dalla Tipografia di Alvisopoli, 1837, pp. 500-505.

8 Sui ritratti di Onorato Caetani: s. roettgen, I ritratti di Onorato Caetani dipinti da Mengs, Batoni e Angelica Kauffmann, «Paragone», 19 (1968), pp. 52-71, da cui risulta anche il possesso da parte di Onorato di circa 84 disegni di Giuseppe Cades; la scheda di e r bowron sul ritratto batoniano, in Il Settecento a Roma, catalogo della mostra di Roma, Palazzo Venezia (10 novembre 2005-26 febbraio 2006), a cura di a. lo bianco e a. negro, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2005, p. 190; e quelle di a. negro sui ritratti della Kauffmann (ibidem, p. 228) e di mengs (ibidem, p. 242); l. barroero, Non solo “Milordi”. La società romana nei ritratti di Batoni, in Pompeo Batoni (1708-1787) L’ Europa delle Corti e il Grand Tour, a cura di l barroero e f mazzocca, catalogo della mostra di Lucca, Palazzo Ducale, 6 dicembre 2008 - 29 marzo 2009, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2008, pp. 86-95; s. roettgen, Batoni e Mengs a paragone, ibidem, pp. 126-139. Sulla commissione di Onorato ad Angelica Kaufmann di quattro ovali dipinti tra 1783 e 1784 (omaggi ad Ariosto, Tasso e Metastasio) con scene mitologiche, cfr. p. tomory, Angelika Kaufmann’s ‘Costanza’, «The Burlington Magazine», October 1987, pp. 668-669.

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mia il carattere che vedete nelle lettere, Battoni mi ha dipinto con quella fisionomia con la quale io mi nascondo. Insomma Mengs mi ha dipinto come mi conosce M.r. De Felice, Battoni come mi conosce Roma»9. Una strategia di vita, questa del nascondimento, che s’incontra anche altre volte nelle fonti lasciateci dallo stesso Onorato. Ad esempio, in una lettera del 1782, indirizzata sempre a De Felice, Caetani affermava di aver fatto tesoro del consiglio del padre scolopio Urbano Tosetti su quanto fosse necessario «non dimostrare mai a Roma né la dottrina che si possiede né tutti i libri che si conoscono»10

Nei ritratti, realizzati quando Onorato aveva rispettivamente 37, 40 e 42 anni, scorgiamo tre diversi caratteri: quello ufficiale del prelato in Batoni; quello del gentiluomo raffinato e vagamente salottiero nella versione della Kauffmann; e infine quello dipinto da Mengs, cronologicamente a metà strada tra gli altri due, che ci presenta un uomo nel cui sguardo ironico si coglie la luce di una intelligenza curiosa, quasi in cerca di un dialogo con lo spettatore al di fuori della retorica della rappresentazione ufficiale. Non v’è dubbio che fossero le prime due personalità quelle abitualmente mostrate in pubblico. Non a caso il già ciato Fabi Montani così descriveva l’aspetto di Onorato:

«Gradevole era la sua fisionomia, florida la carnagione, non alto della persona, di occhi vivaci, di forme regolari: tanta gentilezza dei modi era in esso lui, che chi mai non lo avesse veduto, al primo scontrarlo, avrebbelo preso per un nobilissimo cavaliere»11. La componente ribelle, e a tratti caustica, del suo carattere rimase sempre relegata alla dimensione privata dello scambio epistolare con corrispondenti con cui si sentiva intellettualmente in sintonia e di cui si fidava.

L’ anno dopo la morte della madre, nel 1751, quindi all’età di nove anni, Onorato entrò nel Collegio Nazareno dei Padri scolopi, di cui era rettore Giovanni Luca Bandini cui Michelangelo Caetani aveva raccomandato il figlio affinché gli fosse riservata una particolare cura. Alla paterna raccomandazione fece seguito una cospicua retta di 150 scudi annui. Il piccolo Onorato rimase «quasi in deposito dei padri delle Scuole Pie» per undici anni, fino al 1762, avendo tra i suoi maestri Martino Natali, che ne fu anche confessore, i padri Gaudio e Gherardi, e il già citato Tosetti, che a distanza di tempo, nel 1781, Onorato avrebbe ricordato con queste parole: «il Tosetti è stato mio

9 Roma, Archivio Caetani, misc., n. 113/1210.

10 Roma, Archivio Caetani, Fondo mons. Onorato Caetani, minute, lettera a F.B. De Felice, 2 ottobre 1782; cit. in fiorani, Onorato Caetani, p. 91.

11 fabi montani, Ad vocem, in Biografia degli italiani illustri, p. 504.

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maestro, è rimasto celebre per essere perseguitato da Clemente XIII come fautore e autore dell’odio che eccitava contro i gesuiti in quei tempi»12.

Gli anni trascorsi al Nazareno lasciarono un segno nella sua personalità e spiritualità. Presto Onorato rifiutò le posizioni più ortodosse in campo dottrinale e i costumi degli uomini di Curia, prediligendo le inquietudini, e gli interessi scientifici, degli scolopi, il rigorismo del circolo giansenista dell’Archetto, a cui anche i padri scolopi Natali e Tosetti erano legati, le nuove idee degli illuministi milanesi e napoletani13. Furono anni non privi di dolori e di amarezze familiari: la morte del padre nel 1759 e le incomprensioni col fratello maggiore Francesco (1738-1810), divenuto Duca di Sermoneta per volontà paterna sin dal 175714. Onorato è deluso dal comportamento del fratello, che non ne appoggia la carriera come egli aveva sperato e anzi, a suo dire, in varie maniere lo aveva perfino danneggiato economicamente. Di questi contrasti siamo a conoscenza, in particolare, da una Memoria segreta del 1775 scritta in terza persona da Onorato, da cui risulta che, anche in virtù di un errore involontario del padre nel formulare il testamento, Francesco aveva potuto per anni, anche dopo la maggiore età di Onorato (21 anni), rifiutarsi di fornirgli l’appannaggio di 1000 o 1200 scudi l’anno (a seconda che egli avesse deciso di vivere in casa o fuori) che gli sarebbe spettato. Inoltre l’aveva escluso da altri diritti su alcuni immobili, in particolare la Villa di famiglia presso Cisterna. Così per anni, circa fino al 1767-1768, «egli non [ebbe] appartamento, e viveva alla dozzina con 30 scudi al mese, co’ quali doveva pensare a vestirsi, a cioccolata, a lumi etc. e a pagare anche un suo parrucchiere»15.

Intanto nel 1762, uscito dal Collegio Nazareno, Onorato aveva optato, senza particolare vocazione interiore, per la carriera ecclesiastica. Non prese mai i voti maggiori. Nel dicembre 1764 conseguì la laurea in utroque iure alla Sapienza. Anche gli anni successivi furono caratterizzati da intensi studi,

12 Roma, Archivio Caetani, Fondo mons. Onorato Caetani, minute, lettera a F. B. De Felice dell’1.12.1781; cfr. fiorani, Onorato Caetani, pp. 15 e 16n.

13 Sugli scolopi, in generale m. rosa, Spiritualità mistica e insegnamento popolare. L’ Oratorio e le Scuole Pie, in Storia dell’Italia religiosa, vol. 2, a cura di g. de rosa e t. gregory, Roma-Bari, Laterza, 1994, pp. 271-302.

14 Francesco prese possesso del Ducato di Sermoneta il 7 giugno 1760. Un giudizio severo sulle sue capacità di ‘governo’ del feudo in l fiorani, voce Caetani, Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 16, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1973: «nel momento in cui sarebbe stata necessaria una guida salda e illuminata per rinnovare un patrimonio e uno Stato ancora cospicui, il C. non fu in grado di far fronte alle molte difficoltà in cui il feudo di Sermoneta già dai primi del Settecento si dibatteva».

15 Cfr. Roma, Archivio Caetani, Memoria segreta del 1775, n. 203773.

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condotti nelle principali biblioteche romane, oltre che da viaggi, da rapporti epistolari o dalla conoscenza diretta di eruditi e bibliotecari italiani e stranieri. Studiò l’‘elettricismo’, sulla scia degli esperimenti condotti nel 1746 al palazzo Caetani alle Botteghe Oscure dal fisico di Lipsia Johann Winkler, entrando in contatto col padre scolopio Giambattista Beccaria, celebre astronomo dell’Università di Torino. Studiò anche botanica, frequentando la scuola del padre Francesco Maratta al Gianicolo; il latino con Benedetto Stay e il greco con Raimondo Cunich; la musica; il francese e l’inglese, lingue che arrivò anche a scrivere correntemente.

Tra l’inizio degli anni Sessanta e i primi Settanta, il ventenne Onorato frequentò il Circolo dell’Archetto che si riuniva al Palazzo del cardinale Neri Corsini alla Lungara, attorno alle forti personalità di Pier Francesco Foggini e Giovanni Gaetano Bottari, luogo d’incontro di molti personaggi di spicco della Roma religiosa ed erudita, da Domenico Passionei al card. Giuseppe Garampi. Va ricordato che Onorato era imparentato con il «padrone di casa», il cardinale Neri Corsini, nipote di Clemente XII e segretario del Sant’Uffizio, visto che la sorella di questi, Teresa, aveva sposato nel 1757 il fratello Francesco Caetani.

Siamo in una fase ancora di formazione di Onorato, da cui non ci si può aspettare quindi un contributo originale all’articolata discussione in corso all’interno del fronte riformatore, né forse una matura adesione agli ideali di rinnovamento dell’Archetto ma, ha osservato Fiorani, «è certo che le autorevoli amicizie e gli orientamenti dominanti in quell’ambiente non dovettero rimanere senza influenza negli atteggiamenti di insofferenza anticuriale che egli tenderà a manifestare soprattutto negli anni della maturità»16.

Il percorso formativo di Onorato Caetani fu però arrestato, intorno al 1770-1771, da una malattia su cui poco sappiamo ma che certamente lo fece cadere in una condizione di profonda prostrazione fisica e mentale, costringendolo a lasciare Roma per trasferirsi, per diversi mesi, nelle residenze di famiglia, prima a Bagnaia, nel viterbese, dove restò circa sei mesi, e poi ad Albano nella salubre zona dei Castelli Romani. Ad accompagnarlo, inizialmente, è il medico Camillo Corona, credo da identificare nel futuro leader del movimento repubblicano romano di fine secolo17. Corona scrisse al duca

16 fiorani, Ad vocem, in Dizionario Biografico degli Italiani

17 m themelly, Ad vocem, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 29, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1983. Le prime notizie certe dell’attività di medico del Corona, di cui ignoriamo la data di nascita e molti elementi della biografia, risalgono al carteggio con il celebre collega napoletano Domenico Cotugno, iniziato nel 1788, ma sappiamo che all’epoca in cui si occupava della salute di Onorato era ormai già un affermato medico

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Francesco delle «maliconie pericolose» di cui soffriva il fratello, delle lunghe giornate che egli trascorreva nel più completo isolamento18.

Tornarono ad affacciarsi i problemi col fratello duca Francesco che da Roma, più che interessarsi della sua salute fisica, sollecitava, forse più del dovuto, le persone che si occupavano di Onorato per spingerlo a ottemperare ai precetti religiosi, cui egli sembrava invece disinteressarsi. Ma, soprattutto, durante l’assenza da Roma i beni personali di Onorato vengono fatti sparire o venduti dal fratello. Almeno ciò è quanto risulta dalla già citata Memoria del 1775: «i libri gli furono messi a soqquadro e venduti alla peggio, e il provento dei quali andò in saccoccia di chi li vendeva, carte di interessi, di memorie, di studi, tutto abbruciato»19.

Il ‘furto’ fu ovviamente per Onorato motivo di ulteriore tristezza e delusione verso il fratello. Malgrado ciò riuscì a riprendersi, almeno fisicamente. Ritrovate le forze, e su consiglio dei medici, nel corso del 1774 intraprese un viaggio nell’Italia meridionale che lo portò a Napoli e in Sicilia, da cui partì alla volta di Malta. Viaggiò come un grandtourist del Settecento, attento non solo all’arte ma anche alla dimensione sociale delle città e delle terre visitate, agli aspetti linguistici, come ci mostrano le sue Osservazioni sulla Sicilia date alle stampe nel 1774. Nel settembre del 1775 si diresse invece verso nord, toccando Firenze, Imola, Bologna, Parma, Milano. Muovendosi controcorrente rispetto al pellegrinaggio giubilare in cui nello stesso 1775 erano impegnati i fedeli che da Settentrione giungevano nella ‘città del papa’, Onorato lasciò quindi Roma per incontrare eruditi come il Bandini, essere ricevuto in udienza dal granduca Pietro Leopoldo, discutere a Imola col vescovo Bandi di progetti di bonifica delle paludi Pontine. Infine a Milano conobbe Cesare Beccaria, Alessandro Volta, Carlo de Firmian e Pietro Verri, con cui rimase in contatto epistolare negli anni successivi, discutendo anche criticamente le sue teorie sull’Indole del piacere e del dolore 20 .

Forte della rete di contatti stretta tra bibliofili e bibliotecari in tutta Italia, ma anche a Parigi e in Svizzera (Yverdon), avvalendosi degli agenti di casa Caetani a Napoli e delle conoscenze acquisite nel mondo dei librai romani, curante di membri dell’aristocrazia romana, tra cui evidentemente figuravano i Caetani. Morirà nel 1817.

18 Roma, Archivio Caetani, Fondo mons. Onorato Caetani, minute, C. Corona al duca Francesco, 30 settembre 1770.

19 Roma, Archivio Caetani, Memoria segreta 1775.

20 Tre lettere del carteggio Caetani-Verri conservate presso l’Archivio Caetani di Roma in fiorani, Onorato Caetani, pp. 106-112. Su Pietro Verri: c. capra, I progressi della ragione. Vita di Pietro Verri, Bologna, il Mulino, 2002.

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al ritorno nella capitale pontificia Onorato si mise all’opera, questa volta in accordo e con l’appoggio del fratello Francesco, per creare una grande raccolta di libri e manoscritti nel palazzo dei Caetani alle Botteghe Oscure. Con lucidità Onorato perseguì l’obiettivo di dare un profilo particolare alla raccolta di testi a stampa e manoscritti, prefiggendosi di formare, come scriveva nel 1780 al bibliotecario fiorentino Domenico Manni, «una biblioteca tutta di autori postillati e studiati da grand’uomini, o di manoscritti, e di trascurare i stampati semplici. In una città come è Roma ove si abbonda di biblioteche bisogna pensare a un’idea non comune per rendere la raccolta di libri particolari. Io già mi trovo ad averne una copiosa raccolta, e ne ho uno postillato da Torquato Tasso che meriterebbe di stare nella biblioteca del re di Francia, o Medicea, o Vaticana»21

I risultati raggiunti furono all’altezza delle intenzioni. Pur non disponendo di un catalogo esaustivo della Biblioteca Caetani al momento della morte di Onorato, dal lavoro di Fiorani e dalle più recenti ricerche di Donatella Fioretti, condotte su un catalogo molto accurato e compilato intorno al 1811, siamo a conoscenza di dati quantitativi e qualitativi che ci consentono di considerarla come una raccolta libraria e di manoscritti di rilevanza internazionale, a partire dalla quale Onorato poté fornire consigli su testi rari a celebri studiosi come Buffon, De Lalande e Robertson. Si trattava di una biblioteca in cui ad essere privilegiati erano i testi a carattere storico, scientifico, artistico e letterario (numerosi romanzi e novelle a sfondo scientifico o filosofico), mentre inferiore rispetto ad altre biblioteche private romane e dello Stato della Chiesa appare il numero di testi religiosi, pur consistente, e, soprattutto, assai rari erano i testi giuridici 22. Era possibile incontravi i testi di Leibniz, Bayle, Locke, Mandeville, solo per fare alcuni esempi cari alla cultura dei Lumi. Piacevano meno agli accigliati censori presenti in Curia il cui potere di intervento era però relativo nella stessa capitale pontificia, in cui intorno al 1780 poteva capitare di imbattersi in testi di Montesquieu e Giannone sulle

21 Roma, Archivio Caetani, Fondo mons. Onorato Caetani, minute, 15 luglio 1780. Citata in d. fioretti, La cultura dei Lumi nelle biblioteche nobiliari alla vigilia della Rivoluzione, in La rivoluzione nello Stato della Chiesa. 1789-1799, a cura di l. fiorani, atti del convegno di Roma, Palazzo Sturzo (1990), Pisa-Roma, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, 1997, pp. 173-229, in part. p. 201.

22 fioretti, La cultura dei Lumi, pp. 198 e 203. Nel catalogo, conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana (Chigi, T. IV. 5), i testi, ordinati nelle cinque categorie disciplinari settecentesche, erano così suddivisi (tra parentesi per un confronto i dati delle due biblioteche romane Chigi e Giustiniani): Religione 17,8 % (Chigi 31,1; Giustiniani 5,6); Diritto 1,2% (Chigi 21,8; Giustiniani 0.9); Storia 25,4% (Chigi 19,8; Giustiniani 30,8); Scienze e Arti 17% (Chigi 13,9; Giustiniani 22,7); Lettere 38,6% (Chigi 13,4; Giustiniani 40).

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carrette dei venditori ambulanti o sui ‘muriccioli’, aggirando le regole della corporazione dei Librai e, in parte, il controllo di Indice e Sant’Uffizio23.

Sempre in accordo col fratello, Onorato partecipò al progetto e alla realizzazione della Specola Caetani, un osservatorio astronomico allestito nel 1778 tecnologicamente avanzato, dotato ad esempio di un raro sismometro a mercurio, un’avventura intellettuale cui prese parte il padre domenicano Giovanni Battista Audifreddi, bibliotecario casanatense, e che coinvolse anche l’ex gesuita Ruggero Boscovich. Primo direttore ne fu l’abate Luigi De Cesaris, un giovane che i Caetani avevo sostenuto negli studi a Pisa presso l’astronomo Giuseppe Antonio Slop de Cadenberg 24. Il compito dell’Osservatorio era di misurare quotidianamente «il vento, la precipitazione atmosferica, la temperatura e la pressione», cosa che avvenne regolarmente a partire dal 178525

Bibliofilo di livello europeo, scienziato dilettante ma non privo di estro, Onorato fu invece a detta di molti scrittore mediocre e che poco dette alle stampe. Quando alla sua morte Francesco Cancellieri, per volontà del duca Francesco, consultò e mise ordine tra i suoi scritti, se da un lato ne lodò l’ampiezza di erudizione e di interessi, dall’altro sentenziò che per il loro carattere disorganico nulla v’era da pubblicare. Oltre le Osservazioni sulla Sicilia vanno comunque ricordate la Lettera al sig. avv. Giuseppe Galanti per servire di supplemento al tomo IV della Raccolta degli scrittori napoletani (Roma, s.d.); la Lettera al sig. abate Francesco Cancellieri editore del frammento liviano (Roma 1781); e, soprattutto, due opere legate alla realtà contemporanea: l’Orazione in morte dell’Imperatrice Maria Teresa Walburga di Austria (Napoli, per Vincenzo Mazzola, 1780) e l’Elogio storico di Carlo III (Napoli, Stamperia Reale, 1789), da cui emergono gli interessi storici e le simpatie per l’assolutismo illuminato di Onorato.

23 Cfr. l. fiorani, Aspetti della crisi religiosa a Roma durante la Repubblica giacobina, in id , La rivoluzione nello Stato della Chiesa, pp. 253-297, in part. p. 258, che cita un interessante Progetto per favorire il commercio librario di Roma, inviato nel 1780 dal padre Francesco Antonio Zaccaria a Pio VI (BAV, Vat. lat., 9198, f. 389).

24 Effemeridi astronomiche …. Calcolate al mezzogiorno tempo vero nel meridiano di Roma ad uso della specola Gaetani, bollettino pubblicato a partire dal 1785. Sulla specola Caetani: g. monaco, La Specola Caetani, «Studi Romani», 1983, pp. 13-33; r. buonanno, Il cielo sopra Roma. I luoghi dell’astronomia, Milano, Springer, 2008. Con la specola durante la Repubblica Romana collaborò Feliciano Scarpellini, membro dell’Istituto Nazionale.

25 Dal 1784 la direzione della specola era passata all’ex carmelitano, secolarizzatosi nel 1770, Atanasio Cavalli. Al Collegio Romano le rilevazioni barometriche erano cominciate già nel 1782. Cfr. fiorani, Onorato Caetani, pp. 84-90; h. gross, Roma nel Settecento, RomaBari, Laterza, 1990, p. 297. Sulla scienza a Roma: a. romano, Il mondo della scienza, in Roma moderna e contemporanea, a cura di g ciucci, Roma-Bari, Laterza, 2002, pp. 275-305.

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Più importante, ma ancora in parte da studiare, è il ruolo svolto da Onorato nelle «Efemeridi letterarie» di Roma. In un saggio del 1997 Marina Caffiero riassumeva così le vicende della nascita e della direzione di questo importante giornale, pubblicato con cadenza settimanale dal 1772 al 1798: «promotore e, soprattutto, finanziatore dell’impresa [fu] il consigliere Giovanni Ludovico Bianconi. Questi fu coadiuvato nella stesura materiale del giornale dapprima dall’abate Giacinto Ceruti, fino al n. XVII del 1775, e poi dall’abate Vincenzo Bartolucci, fino a tutto aprile del 1778. Successivamente, il peso della redazione ricadde sull’abate Gioacchino Pessuti, che lo mantenne fino alla fine del giornale e che, dopo la morte del Bianconi, nel 1781, ne assunse la direzione. Tra i collaboratori, però, un ruolo rilevantissimo fu giocato anche dall’abate Giovanni Cristofano Amaduzzi, assai legato a Bianconi di cui era conterraneo»26.

Se allarghiamo lo sguardo ai collaboratori scorgiamo persone legate da amicizia ad Onorato: come il padre minimo François Jacquier e l’astronomo Atanasio Cavalli, che come si è detto diresse dal 1784 la Specola Caetani. Nel complesso si tratta di personaggi tutti ascritti all’Arcadia (Onorato col nome di Iblesio Euripiliano) nella fase di rinnovamento apertasi con l’elezione a custode generale di Gioacchino Pizzi, momento di passaggio nella storia arcadica dalla tradizione idilliaco-evasivo-pastorale al gusto neoclassico e a un moderato spirito illuminista 27 .

Il ruolo svolto da Onorato nelle «Efemeridi letterarie» dovrà essere ulteriormente indagato ma alcuni dati sono già emersi. Caffiero ha ricordato i problemi che i nuovi ritmi e metodi di lavoro di un giornale settimanale ponevano a persone come Onorato Caetani abituate a più tradizionali modalità 28 . Sul giornale della Società letteraria Volsca Veliterna,

26 m. caffiero, Le «Efemeridi letterarie» di Roma (1772-1798). Reti intellettuali, evoluzione professionale e apprendistato politico, in Dall’erudizione alla politica. Giornali, giornalisti ed editori a Roma tra xVII e xx secolo, a cura di m caffiero e g monsagrati, «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 1 (1997), pp. 63-102 (parte monografica della rivista poi ripubblicata in volume autonomo con lo stesso titolo: Milano, FrancoAngeli, 1997). Qualche notizia in f. tarzia, Libri e rivoluzioni. Figure e mentalità nella Roma di fine ancien régime (1770-1800), Milano, FrancoAngeli, 2000, pp. 181-217. Sugli ambienti culturali romani (personaggi, temi, luoghi e forme della sociabilità) è fondamentale lo studio di m p donato, Accademie romane. Una storia sociale (1671-1824), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2000.

27 Cfr. a nacinovich, Il sogno incantatore della filosofia. L’ Arcadia di Gioacchino Pizzi, Firenze, Olschki, 2003.

28 Vedi anche g. cavazzuti, Tra eruditi e giornalisti del secolo x VIII (G. Tiraboschi e il “Nuovo Giornale de’ Letterati”), «Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le Provincie Modenesi», s. VII, vol. III, 1924, pp. 31-134, in part. p. 37.

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di cui era membro, in una commemorazione pubblicata nel 1837, Onorato veniva ricordato come colui: «che in Roma promosse ed animò quel giornale letterario-scientifico, che intitolarono Effemeridi»29. Dalle ricerche di Serenella Rolfi Ožvald sull’ambiente artistico ed erudito romano emerge una polemica, che coinvolse Onorato, partita proprio da un suo contributo apparso sul giornale30

Infatti nel 1781 Onorato pubblicò sulle «Efemeridi letterarie», in forma anonima ma non vi sono dubbi sull’attribuzione, una recensione stroncatura alla edizione bodoniana delle Opere di Mengs curata da José Nicolás de Azara, l’erudito rappresentante diplomatico della corona spagnola a Roma, il quale reagì con parole di fuoco in una lettera a Bodoni del 26 aprile 1781, in cui descriveva un Onorato Caetani inedito sul piano dei legami culturali e religiosi, in quanto circondato come collaboratori da ex gesuiti, oltre a un riferimento alla sua salute mentale che forse non era solo una cattiveria ma alludeva a una certa fama di ‘matto’ che Onorato continuava a portarsi dietro31:

Il matto Mons. Caetani ha due o tre di questi animali neri in qualità di suoi ajutanti di studio, e costoro hanno creduto che gli si era presentata una buona occasione di darmi questa piccola sgraffiata lojolitica (…) Conosco tutta questa gabola di gesuiti effemeridisti e la disprezzo come meritan, poiché, mi creda lei, sono scarsi assai di sapere, e anche di senso comune. Sono eternamente obbligato al Signor Conte Rezzonico [Gastone della Torre di Rezzonico presidente dell’Accademia di Parma] dell’impegno che si è preso di confutar questa ciurma 32 .

29 Elogio di mons. Onorato Caetani letto da Clemente Cardinali segretario dell’Accademia, in Atti della Società Letteraria Volsca Veliterna, vol. II, Velletri, Tipografia di Domenico Ercole, 1837, pp. 243-246, cit. p. 246.

30 Ringrazio serenella rolfi ožvald per avermi segnalato le notizie su Caetani e Azara cui faccio riferimento nel presente saggio prima della pubblicazione del suo volume: “Agli Amatori delle belle arti. Gli Autori”. Il laboratorio dei periodici a Roma tra Settecento e Ottocento, Roma, Campisano, in stampa nel 2012.

31 Sulla recensione, cfr.: g cantarutti, Mengs in Arcadia. Prospezioni e prospettive in Gusto dell’Antico e cultura neoclassica in Italia e Germania, atti del convegno di Villa Vigoni (Loveno di Menaggio, 25-26 novembre 1998), a cura di f. la manna, Rende, Centro editoriale Università della Calabria, 2006, pp. 23-42, in partic. p. 41 e note 73 e 74: «Il recensore è il già ricordato Onorato Caetani; muove le sue critiche, dà però prova evidente di una perfetta conoscenza della materia»; s roettgen, Anton Raphael Mengs 1728-1779, Band 2, Leben und Wirken, München, Hirmer Verlag, 2003. Su Azara: j jordán de urríes y de la colina, José Nicolás de Azara, protector de las Bellas Artes, in Spanien und Portugal im Zeitalter der Aufklärung, a cura di ch. frank, Frankfurt am Main, Vervuert, 2002, pp. 81-97.

32 Lettera cit. in d. levi, Il ‘Codice del Buon gusto’: appunti sui rapporti fra Bodoni e l’editoria storico-artistica, in Bodoni: l’invenzione della semplicità, a cura di a ciavarella, Parma,

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Ovviamente si deve stare attenti nel valutare queste parole, dettate dalla rabbia, consegnate a una lettera privata e uscite dalla penna di un personaggio, il de Azara, incline a una certa radicalità di giudizio. Tuttavia varrebbe la pena di approfondire meglio la questione, visto che nel 1787 Azara, scrivendo a Rezzonico, continuava a definirlo come «pubblicamente riconosciuto per demente» e aiutato da «tre ex-gesuiti che l’assistono nelle sue composizioni»33.

Fin qui la biografia intellettuale di Onorato. Ma parallelamente si svolsero le vicende, sfortunate, dei suoi vani tentativi di salire i gradini della carriera ecclesiastica. Dopo un inizio relativamente promettente – nel 1764 è abate mitrato dell’abbazia dei SS. Pietro e Stefano a Valvisciolo e l’anno dopo reggente della Cancelleria, nel 1772 viene nominato da Clemente XIV Protonotario apostolico non partecipante –, i suoi progetti di accedere a una nunziatura fallirono determinando profonde frustrazioni.

Tornando alla serie di ritratti con cui abbiamo iniziato, è qui il Caetani prelato raffigurato da Batoni che vediamo in azione, che cerca di attivare, anche con insistenza, i canali familiari con la corte di Napoli e quelli, familiari e personali, nella Curia romana per ottenere prima, nel 1779, la nunziatura a Napoli e poi, sfumata anche la possibilità di una prepositura della cappella Sistina in S. Maria Maggiore, la nunziatura di Francia nel 1782, tentativo vanificato dall’intervento presso Pio VI del fratello, preoccupato dalle ingenti spese da affrontare per il mantenimento di Onorato a Parigi. Di nuovo contrasti col fratello, quindi. Ancora in una lettera del 27 settembre 1795 inviata da Frascati al duca Francesco, con cui forse si era nel frattempo in parte riappacificato e in cui chiedeva un intervento a suo favore presso il Segretario di Stato per essere nominato Maestro di Camera, Onorato ricordava che in passato egli avrebbe dovuto essere Nunzio di Francia, una ferita mai rimarginata per il suo orgoglio, forse il momento di svolta, in negativo, della sua vita, delle sue aspirazioni a superare l’ambiente romano, cui era sempre più insofferente, e proiettarsi definitivamente in una dimensione europea.

Quella dimensione che, viceversa, troviamo operante nel suo carteggio, conservato oggi presso l’Archivio Caetani. Come ha osservato Fiorani: «Più che nelle realizzazioni pratiche, l’impegno e le posizioni culturali del Caetani prendono forma nel folto carteggio epistolare. Corrispondenti di molta risonanza talvolta (come Pietro e Alessandro Verri, il Metastasio e

Guanda, 1990, pp. 33-54, in partic. pp. 33 e 45. Sui rapporti tra Azara e i gesuiti a Roma: n. guasti, L’ esilio italiano dei gesuiti spagnoli. Identità, controllo sociale e pratiche culturali, 1767-1798, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2006, p. 223, n. 249.

33 Cfr. rolfi, “Agli Amatori delle belle arti. Gli Autori”, pp. 244-245 nota 101 delle bozze.

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il Tiraboschi, il de Lalande, il p. Boscovich, il Frisi), ma spesso personalità minori dell’erudizione e dell’antiquaria settecentesca, compongono l’ideale ‘société d’esprits’ in cui il Caetani venne diffusamente raffigurando dapprima le sue delusioni per la mediocrità culturale della società romana della seconda metà del secolo, poi la sua convinta simpatia per gli orientamenti di fondo della società e del pensiero illuministico europeo»34

Credo vada sottolineata la presenza in questo folto gruppo di corrispondenti di Fortunato Bartolomeo De Felice, personaggio dalla biografia quasi romanzesca. Nato a Roma nel 1723 da un modesto calderaio di origine napoletana, avviato agli studi nel Collegio Romano, entrò poi nell’ordine dei minori riformati e fu chiamato a Napoli per ricoprire una cattedra di fisica sperimentale e matematica. Nel 1756 la svolta nella sua vita. S’innamora della nobildonna romana Agnese Arquato, sposata al conte Panzutti e rinchiusa in convento per dissapori col marito, la rapisce e fugge con lei in Francia e in Svizzera. I due fuggiaschi sono però costretti a rientrare in Italia per mancanza di mezzi e vengono arrestati a Genova. La donna torna in convento, mentre De Felice, inviato a Roma, se la cava con una pena mite. Ma ormai non riesce più a sopportare la regola religiosa né ad accettare l’allontanamento dall’insegnamento. Nell’aprile del 1757 scappa dal cenobio francescano della Verna, nel Casentino. Come ha osservato Stefano Ferrari: «nell’isolato e austero eremo toscano, il frate matura in maniera irreversibile la definitiva rottura con la vita claustrale e la religione cattolica»35. De Felice si reca quindi a Berna dove, l’anno successivo, si converte al protestantesimo ed entra nella cerchia di Albrecht von Haller. Nel 1762 fonda a Yverdon una tipografia destinata a diventare una delle più famose in Europa, dotata di sei torchi e circa una trentina di lavoratori. Con essa pubblica, tra 1770 e 1780, la monumentale Encyclopédie, ou Dictionnaire universel raisonné des connoissances humaines, più semplicemente detta Encyclopédie d’Yverdon, composta da 42 volumi, cui vanno aggiunti 6 volumi di supplementi, e 10 volumi di tavole, per un totale di 37.378 pagine e 1.200 tavole. Tra gli autori figurano lo stesso Haller, Lalande e padre Barletti, professore di fisica a Pavia. Si tratta di un’opera in cui lumi e pietismo si fondono anche grazie

34 fiorani, Ad vocem, in Dizionario Biografico degli Italiani

35 s ferrari, La conversione «filosofica» di Fortunato Bartolomeo De Felice, in Illuminismo e protestantesimo, a cura di g cantarutti e s ferrari, Milano, FrancoAngeli, 2010, pp. 87-105, cito da p. 90. Su De Felice vedi anche: t. r. castiglione, Fortunato Bartolomeo De Felice tra Voltaire e Rousseau, in Studi di Letteratura e Filosofia in onore di Bruno Revel, Firenze, Olschki, 1965, pp. 155-178; g. peirone, Ad vocem, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 33, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1987.

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a un uso disinvolto di testi altrui, a cominciare da Rousseau, che De Felice copia, parafrasa, stravolge per poi firmare il tutto come scritto di suo pugno. Non a caso il giudizio di Voltaire su di lui non fu certo tenero. Nelle loro lettere De Felice e Caetani discutono di tutto, sempre in francese, e l’ex francescano è pieno di ammirazione per il suo corrispondente romano. Gli scrive nel 1780: «J’ai eté enchanté de voir un jeune prince romain, et ecclésiastique, raisonner en philosophie politique comme un des plus grands hommes de l’Europe»36. Forse, proprio nel rapporto con De Felice, Onorato Caetani riuscì a spingersi dove nel resto della sua vita non osò mai arrivare. Forse egli vide in De Felice, partito come lui da Roma e dalla Chiesa romana, colui che proprio per la siderale distanza della sua biografia successiva costituiva una sorta di modello, irraggiungibile nella realtà ma almeno sfiorabile nella virtualità dello scambio epistolare. Con lui Onorato si aprì come con nessun altro, a tratti spaventato dalla sua radicalità e contemporaneamente attiratone. Il carteggio ci rende questo singolare sodalizio intellettuale tra un nobile romano che per l’intera vita rimase, malgrado tutto, fedele a Roma e al suo status di prelato, che visse sempre tra la capitale pontificia, i feudi sermonetani di famiglia e Napoli, che tutto sommato poco viaggiò e poco pubblicò, e un ex frate passato al protestantesimo, autore ed editore bulimico, la cui stessa vita costituiva uno scandalo per Roma, dalla scelta eretica agli amori vorticosi: tre matrimoni e tredici figli.

De Felice morì nel 1789. Onorato si ritrovò senza il suo punto di riferimento più radicale proprio nel momento in cui la Rivoluzione poneva nuovi orizzonti, e con essi nuovi interrogativi, a quanti guardavano alle cose del mondo da Roma. Di fronte alla novità della Rivoluzione francese, Caetani certamente non sposò il partito dell’opposizione intransigente, incardinata nei cardinali zelanti e nel «Giornale Ecclesiastico di Roma», ma d’altra parte sembra come smarrirsi di fronte alla portata degli eventi e alle sue conseguenze dirette per Roma. Per quel che sappiamo non entrò in contatto con gli ambienti che a Roma, già prima della Repubblica, simpatizzavano, anche attivamente, con la Rivoluzione e tra cui, ad esempio, militava il suo ex medico Camillo Corona. Nell’estate del 1796, dopo l’invasione francese avvenuta nel giugno delle Legazioni emiliano-romagnole e la stipulazione dell’armistizio di Bologna, con le sue impegnative clausole, scrisse al fratello Francesco (la lettera è del 30 agosto):

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36 Roma, Archivio Caetani, Fondo mons. Onorato Caetani, minute, lettera di B. De Felice a O. Caetani, Yverdon, 25 marzo 1780.

Qui si sta in gran confusione (…) Si sono domandate dai Francesi anzi scelte e segnate come io le ho vedute 87 statue le migliori di Roma, non ne rimane delle sublimi neppure una. Questa notte è partito l’altro miglione di contribuzione ed il primo è stato già consegnato a Bologna. Non vi è più un candeliere d’argento in niun luogo. Addio37.

Nessun giudizio politico o teologico sulla Rivoluzione, ma solo la preoccupazione di un amante dell’arte di fronte ai rischi che stava correndo il patrimonio artistico romano. Poche righe dopo, le preoccupazioni dello studioso e del bibliofilo chiudono la lettera con la richiesta al fratello di procurargli a sue spese 15 volumi di una Storia di Venezia. Di fronte a cambiamenti troppo drastici e repentini, l’erudito sembra rinchiudersi in se stesso e nei suoi studi. Pochi anni prima da Napoli, dove si trovava per seguire da vicino la stampa del libro su Carlo di Borbone, in una lettera del 30 gennaio 1790, dopo l’ennesimo parallelo negativo per Roma con Napoli – «qui la letteratura è molto più stimata di Roma ove comandano barbagianni poveri, e sciocchi preti!» –, Onorato mostrava di avere le idee confuse su quanto stava avvenendo a Roma, enfatizzando i rischi connessi con l’affaire Cagliostro e immaginando scenari apocalittici da cui prendeva le distanze:

Questa commedia di Cagliostro, e di quei matti che sono (…) con lui come andrà a finire? (…) In somma è vero che Roma dovea divenire di nuovo una Repubblica, incarcerarsi il Papa, e avanti il carro di Cagliostro nuovo tribuno della plebe trionfatore dovevano precederlo prigionieri i cardinali. Ma che tutto è terminato colla congiura scoperta. Evviva si continuerà ad ubbidire al Papa 38

Una amara e ironica constatazione, quella finale? La morte che lo colse nel giugno 1797, quindi sei mesi prima che la tragica fine del generale Duphot a Roma facesse precipitare gli eventi portando, nel febbraio 1798, alla proclamazione della Repubblica Romana, impedì un diretto confronto di Onorato con la rivoluzione e a noi di sapere come si sarebbe comportato nella nuova Roma ‘francese’, periodo breve, ma non effimero, di disvelamento di posizioni politiche e religiose fino ad allora relegate alla clandestinità dei circoli patriottici e massonici o alla dimensione interiore delle coscienze individuali. Certamente sulla possibilità di una rivoluzione e sul tramonto del modello monarchico assoluto a vantaggio di quello repubblicano democratico Caetani aveva riflettuto, né avrebbe potuto essere altrimenti visti gli autori che leggeva e la tipologia dei suoi interlo-

37 Roma, Archivio Caetani, Fondo mons. Onorato Caetani, minute, lettera al duca Francesco Caetani, 30 agosto 1796: cit. in fiorani, Onorato Caetani, p. 90.

38 Roma, Archivio Caetani, Fondo mons. Onorato Caetani, minute, 30 gennaio 1790.

ONORATO CAETANI «UOMO ENCICLOPEDICO E ILLUMINATO» 299

cutori epistolari. Sono interessanti, da questo punto di vista, le osservazioni di Donatella Fioretti che partono in particolare da una lettera inviata nel 1784 da Onorato all’amico De Felice, in cui riflettendo sul «système de la République des lettres des nos jours» il Caetani osservava:

Chaque auteur a pris pour son objet la liberté. Raynal liberté de commerce, Voltaire liberté d’égalité, Helvétius liberté d’actions, Encyclopédie, arts et métiers; c’est-àdire existence agréable (…) Tout cela ne va préparer une révolte entière politique sur le Globe ? Ne pourraient pas être ces auteurs les préliminaires du Gouvernement Républicain qu’un jour on introduira dans le Globe?39.

Commentando queste parole di Onorato, Fioretti ha rilevato come:

Pensare la rivoluzione, come faceva il Caetani che individuava nella philosophie la sua origine prima, non significava auspicarla, né aderire alle forme in cui essa storicamente si realizzò, ma implicava comunque un distacco, almeno potenziale, dal vecchio ordine 40

39 Roma, Archivio Caetani, Fondo mons. Onorato Caetani, minute, lettera a B. De Felice del 18 settembre 1784: cit. in fioretti, La cultura dei Lumi, p. 227.

40 Ibidem.

M ASSIMO C ATTANEO 300

TOMMASO CAMPANELLA E I CAETANI

Nel 2005 Luigi Fiorani propose, con il suo naturale e infaticabile entusiasmo, di organizzare presso la sede della Fondazione Camillo Caetani un convegno dedicato a Tommaso Campanella, proposta accolta con identico entusiasmo da Germana Ernst. Il convegno ebbe poi luogo tra il 19 e il 20 ottobre del 2006, due dense giornate con la partecipazione di numerosi studiosi, riunitisi con il dichiarato intento di fare il punto della ricerca campanelliana1. In tale occasione Fiorani presentò una relazione dal titolo I Caetani e Tommaso Campanella, ricostruzione non solo dei rapporti tra questa famiglia romana e il filosofo calabrese, ma anche delle ragioni, storiche e documentarie, che lo avevano indotto a volere che l’incontro si svolgesse proprio nella sede della Fondazione2. In primo luogo la presenza, tra le carte dell’Archivio della famiglia, di una lettera autografa di Campanella, inviata in data 31 marzo 1621 a Antonio Caetani3. In secondo luogo, il fatto che il filosofo abbia voluto dedicare una sua opera – la Apologia pro Galileo, data alle stampe a Francoforte nel 1622 – a un altro Caetani, il cardinale Bonifacio4. Infine, il ritratto di

1 Laboratorio Campanella. Biografia. Contesti. Iniziative in corso. Atti del Convegno della Fondazione Camillo Caetani, Roma, 19-20 ottobre 2006, a cura di g. ernst e c. fiorani, Roma, «L’ Erma» di Bretschneider, 2007.

2 l fiorani, I Caetani e Tommaso Campanella, in Laboratorio Campanella, pp. 104-110.

3 La lettera è conservata nell’Archivio della Fondazione Camillo Caetani, Fondo Generale, n. 1862.

4 t. campanella, Apologia pro Galileo, mathematico Florentino. Ubi disquiritur, utrum ratio philosophandi quam Galileus celebrat, faveat sacris scripturis, an adversetur, Francoforti, impensis Godefridi Tampachii, typis Erasmi Kempfferi, 1622. La stampa dell’opera fu curata da Tobias Adami, a cui si deve con ogni probabilità il preliminare indirizzo al lettore. Sulle vicende editoriali si rimanda alle osservazioni di m.-p lerner, in t campanella, Apologia pro Galileo. Apologie de Galilée. Texte, traduction et notes par m.-p. lerner, Paris, Les Belles Lettres, 2001; e ora nell’edizione italiana dalla quale si cita, Apologia pro Galileo, a cura di m.-p. lerner, traduzione di g. ernst, Pisa, Edizioni della Scuola Normale Superiore, 2006, pp. lxvii-lxxii

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

margherita
palumbo
Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013

Campanella, eseguito con ogni probabilità da Francesco Cozza e – come osserva Giacomo Antonelli nella Premessa agli Atti del Convegno – «unico, tra i dipinti conservati nell’attuale archivio, a non ritrarre i Caetani»5. Occorre inoltre ricordare le «approfondite ricerche effettuate sui fondi Caetani da Luigi Firpo negli anni Sessanta», a cui sono seguite – in tempi più recenti –quelle di altri studiosi campanelliani6. Proprio Firpo tenne, infine, presso la Fondazione, il 28 marzo del 1985, una conferenza rimasta inedita e intitolata Tommaso Campanella e i Caetani nella cultura romana del tempo7 .

A queste tre ragioni possiamo ora aggiungerne una quarta, che porta a retrodatare il rapporto tra il filosofo e la famiglia Caetani di una ventina di anni. Si tratta di un documento individuato presso l’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede e presentato da Leen Spruit in occasione del convegno campanelliano del 20068. Nel 1596 il giovane Tommaso giunse a Roma, ottenendo – dopo reiterate suppliche – un trasferimento presso il convento di Santa Maria sopra Minerva. Tranquillità che però ebbe breve durata. A Napoli, infatti, un delinquente comune, lo stilese Scipione Pertinace, era ricorso a un espediente a quel tempo diffuso per sfuggire alla condanna capitale, ossia fornire notizie su presunti eretici. Vittima di tali opportunistiche rivelazioni fu Campanella, che a causa di tali accuse, rivelatesi poi infondate, fu rinchiuso nelle carceri del Sant’Uffizio. Liberato intorno alla fine del 1597, fu riconsegnato ai superiori dell’ordine dei Predicatori, che gli ordinano di rientrare in Calabria. Sulla via del ritorno Campanella si fermò a Napoli, dove incontrò il principe Mario del Tufo, al tempo signore del feudo di Minervino Murge in Puglia, e dedicatario

5 g antonelli, Premessa, in Laboratorio Campanella, p. ix

6 Ibidem.

7 Il titolo risulta infatti assente nella rassegna bibliografica curata da a. e. baldini, Luigi Firpo e Campanella: cinquant’anni di ricerche e di pubblicazioni, «Bruniana & Campanelliana», II (1996), pp. 324-358 (ora anche in forma aggiornata in appendice a l firpo, Tommaso Campanella e la sua Calabria, Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2000, pp. 11-45). Non è stato inoltre possibile rintracciare copia del testo nell’Archivio della Fondazione Camillo Caetani, che conserva invece la corrispondenza intercorsa, in fase organizzativa, tra Firpo e il presidente della Fondazione Giacomo Antonelli.

8 l. spruit, Tommaso Campanella e l’Inquisizione. Note sulla nuova documentazione dall’Archivio del Sant’Uffizio, in Laboratorio Campanella, pp. 85-104. Nell’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede – aperto alla consultazione nel 1998 – sono stati negli ultimi anni individuati circa sessanta nuovi documenti campanelliani, a integrazione di quelli già resi disponibili da Luigi Amabile e Luigi Firpo. Si veda l. spruit – c. preti, Documenti inediti e editi negli archivi del Sant’Ufficio e dell’Indice, in l. amabile, Fra Tommaso Campanella. La sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia, I, Paris, Les Belles Lettres; Torino, Aragno, 2006, pp. lxxxi-ccci

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della prima opera campanelliana data alle stampe, la Philosophia de sensibus demonstrata del 1591. Del Tufo cercò di sottrarlo al convento calabrese proponendogli di entrare al servizio, come teologo, del vescovo di Minervino Murge, Lorenzo Mongiò. Il vescovo scrisse il 15 aprile del 1598 a Roma, e in particolare al cardinale Giulio Antonio Santori, al tempo viceprefetto della Congregazione del Sant’Uffizio9, informandolo delle pressioni esercitate da parte del «Padrone di questa città il Signor Mario del Tufo», perché chiedesse a Antonio Caetani – nel 1598 non ancora cardinale, ma ben inserito in Curia nella sua qualità di cameriere segreto di Clemente VIII – di favorire la nomina di Campanella a suo teologo. Dal testo della lettera è evidente l’imbarazzo del prelato, diviso tra il desiderio di non amareggiare il principe e la volontà di non compiere azioni sgradite a Roma:

Il Padrone di questa città il Signor Mario del Tufo, perché io cercai à V.S. Ill.ma, quel Padre Dominicano F. Thomaso Campanella detto, quando fui per partirmi da costì, essendo venuto il detto Padre quì, hora mi ha pregato, che io di novo lo dimandi al Signor Antonio Gaitano per mio Theologho, et io per vivere quieto questi pochi dì altri, hò scritto già, et lo pregho mi lo cerchi in mio nome. Mà dall’altra parte pregho V.S. Ill.ma per amor di Dio, che resti contenta di provedere secondo Dio, et secondo lo spirito Santo la inspirarà, perché non pretendo altro io, che quanto è secondo Dio, et secondo il volere di questa Sacra Congregatione de Ill.mi Signori Card.li in torno a ciò, et in tutt’il resto. et negandolo, non mi faccino per amor di Dio pigliar’ inimicitia con questo signore (…)10

Il vescovo arriva a affermare che, pur di togliersi da tale spinosa situazione, preferirebbe «ritornare in Convento che vivere così: perché come gli scrissi il peso è insupportabile»11. Fu proprio la Congregazione del Sant’Uffizio a togliere dall’imbarazzo Mongiò, negando l’autorizzazione a tale nomina12. Non è stato possibile chiarire quale ruolo abbia avuto

9 Per una prima edizione della lettera cfr. u baldini – l spruit, Campanella tra il processo romano e la congiura di Calabria. A proposito di due lettere inedite a Santori, «Bruniana & Campanelliana», VII (2001), pp. 179-187. Si veda ora nell’imponente raccolta Catholic Church and Modern Science. Documents from the Archives of the Roman Congregations of the Holy Office and the Index. i. Sixteenth-Century Documents, Edited by u. baldini and l. spruit, Roma, Libreria editrice Vaticana, 2009, pp. 1011-1012, da cui si cita. Sulla vicenda cfr. inoltre g ernst, Tommaso Campanella. Il libro e il corpo della natura, Bari-Roma, Editori Laterza, 2002, p. 48.

10 l mongiò al cardinale g a santori, Minervino Murge, 15 aprile 1598, in Catholic Church and Modern Science, p. 1011.

11 Ibidem.

12 Questo è quanto annotato in calce alla lettera del vescovo, «13 Maij 1598. Scribatur Episcopo Minervini ne accipiat ad eius servitia pro Theologo fratrem Thomam

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Antonio Caetani nella vicenda, e l’interesse del documento, oltre a rappresentare la prima testimonianza di un possibile intervento di un Caetani nella esistenza di Campanella, è nel rivelare in nuce i tratti essenziali del rapporto tra il filosofo e i notabili del suo tempo, mai facile e sempre ambiguo, tratti che possiamo riscontrare anche in quello con la famiglia romana. Che una definitiva determinazione della natura di tale rapporto sia, almeno allo stato attuale della ricerca, impossibile è dimostrato da un prezioso documento rintracciato da Caterina Fiorani tra le carte paterne, non un vero e proprio foglio, ma un tovagliolino sul quale Fiorani, probabilmente durante una sosta per un caffè, ha appuntato idee, spunti, e soprattutto gli interrogativi che hanno guidato la stesura della relazione presentata nel corso del già ricordato convegno del 2006, e che muove dalla nota lettera campanelliana conservata nell’Archivio Caetani (fig. 1):

– Perché scrive a C[aetani]?

– Che cosa dice? Circostanziare.

Che rapporto c’era stato tra C[aetani] e Camp[anella]? Erano stati protettori? O avevano provocato la sua condanna?

– Che sensibilità c’era tra i C[aetani] per l’astrologia?

– Leggere lentamente la lettera.

– Il rapporto tra Camp[anella] e i C[aetani] tema allettante, ma che le fonti, almeno per ora, non consentono di spiegare e di illuminare come avremmo voluto. Lasciamo che il rapporto tra C[aetani] e Campanella resti sfumato.

Il rapporto tra Antonio Caetani e Campanella si precisa in modo diretto grazie alla lettera conservata presso l’Archivio della Fondazione13. È datata 31 marzo 1621, e ormai è certa l’identificazione, quale destinatario, di

Campanellam. Essendo stato costretto a istanza del Padrone di quella città, dimandar per suo theologo frà Tomaso Campanella; per mezzo del Signor Antonio Caetano; hà voluto per quest’altra via significar alle SS.VV. Ill.me che questa dimanda la fà per forza, et per gratificar quel Signore, e starvi in pace; ma dall’altro canto desiderarebbe che non se gli concedesse» (ibidem, p. 1012). Nel 1627 il Mongiò fu denunciato al S. Uffizio per esercizio di pratiche magiche e detenzione di libri proibiti. Nel febbraio del 1629 abiurò e fu confinato presso il monastero romano di Santa Prassede, dove morì nei primi mesi del 1630.

13 fiorani, I Caetani e Tommaso Campanella, p. 107, «Il documento è autografo e si sviluppa su diciassette righe. È conservato in una camicia non coeva, forse ottocentesca. Sulla prima facciata si legge la seguente nota d’archivio: “C-1621. Campanella f[rate] Tommaso domenicano: 31 marzo 1621. Napoli, al Card. Caetano perché difenda e avochi la sua causa tanto della stampa, quanto della sua carcerazione di ventidue anni. Frate Tommaso Campanella: celebre ed infelice filosofo nacque a Stilo in Calabria nel 1588, fu liberato dal carcere a petizione di Urbano VIII, morì in Francia nel 1639”».

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Fig. 1 Appunto autografo di Luigi Fiorani.

Antonio, al quale Campanella si rivolge ancora con il titolo di ‘Illustrissimo e molto reverendo Signor’, e non ancora con quello di cardinale, che otterrà solo qualche settimana dopo, il 19 aprile del 1621. Già cameriere segreto di Clemente VIII, Caetani era stato nominato il 31 agosto 1605 arcivescovo di Capua, ma la sua permanenza nella città campana fu sempre di breve durata. Nel giugno del 1607 giunse nella Praga di Rodolfo II, e nunzio presso la corte imperiale fu fino al marzo del 1611, quando fece ritorno a Roma. Lo attendeva però una nuova missione politica e diplomatica: nell’agosto del 1611 fu infatti nominato nunzio a Madrid, incarico che svolse fino al 161814 Si tratta quindi di un personaggio di spicco in Curia, e del quale sono noti anche gli interessi culturali.

La lettera al Caetani, nel quale Campanella ripone le proprie speranze riguardo sia alla liberazione, sia alla stampa delle tante opere redatte nei castelli napoletani, fu trasmessa dal discepolo calabrese Pietro Giacomo

Favilla:

Viene il presente molto noto a V.S. Illustrissima per le cose mie in Roma tanto della libertà quanto della stampa, già che stò carcerato 22 anni senza causa et hora senza processo, seconda dal medesimo vedrà. Supplico a V.S. Reverendissima per l’amor di Dio e della virtù e per la sua gentilezza e servitù mia più buona che fortunata, che l’aiuti nell’uno e nell’altro negozio impiegando il suo valore, che non è picciolo. Et io pregarò Dio per la sua salute et esaltatione e li scritti miei faranno testimonianza del suo valore e cortesia. Resto al suo comando. Napoli, à 31 di marzo 1621. Di V.S. Illustrissima e molto reverenda servitore affezionatissimo Fra Thomaso Campanella15.

Anche in questo caso – come per l’imbarazzata lettera del vescovo di Minervino Murge del 1598 – non siamo a conoscenza di quale possa essere stata la risposta di Caetani alla supplica, una circostanza che giustamente

14 Su Antonio Caetani (1566-1624) si rimanda a g caetani, Caietanorum genealogia. Indice genealogico e cenni biografici della famiglia Caetani dalle origini all’anno 1882, Perugia, Unione tipografica cooperativa, 1920, p. 75; id , Domus Caietana. Storia documentata della famiglia Caetani, II, Il Cinquecento, San Casciano Val di Pesa, Fratelli Stianti, 1933, pp. 180182, 280-281, oltre alla relativa voce di g. lutz, in Dizionario biografico degli Italiani, XVI, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1973, pp. 120-125.

15 t campanella a a caetani, Napoli, 31 marzo 1621, in t campanella, Lettere, a cura di g ernst su materiali preparatori inediti di l firpo, con la collaborazione di l salvetti firpo e m salvetti, Firenze, Olschki, 2010, n. 53, p. 254. La lettera – pubblicata anche da Fiorani nel saggio I Caetani e Tommaso Campanella, pp. 107-108, e che qui si cita – fu data per la prima volta alle stampe da Domenico Berti nel 1878, Lettere inedite di Tommaso Campanella e catalogo dei suoi scritti, «Atti della Reale Accademia dei Lincei. Memorie della Classe di scienze morali, storiche e filologiche». Serie terza, II, (1878), pp. 451-452.

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induce Fiorani a sostenere che «amicizie così prestigiose e altolocate non salvano il filosofo dai rigori dell’Inquisizione (…) Si direbbe che il Campanella abbia scelto male le sue protezioni»16. Pur cardinali e autorevoli dignitari, i Caetani furono «figure più potenti nell’ambito della Famiglia, che nella Curia cinque-secentesca. Le loro preoccupazioni miravano a mantenere alto il nome e il prestigio della Casata»17. Un prestigio che certo avrebbe avuto poco da guadagnare da una dichiarata protezione di un personaggio così scomodo, e la cui intera produzione era stata condannata e proibita dalla censura romana con il decreto del 7 agosto del 160318. Nel 1598, anno in cui per la prima volta il nome di un Caetani, anzi proprio di Antonio, fa la sua apparizione nella biografia dello Stilese, Campanella è ancora uomo libero, sia pure con accuse, condanne e incarcerazioni che già pesano sulla sua reputazione. Nel marzo del 1621 il domenicano è da quasi ventidue anni prigoniero nelle carceri napoletane, da quel lontano 6 settembre 1599 in cui era stato arrestato per la congiura di Calabria, accusato di ribellione, lesa maestà e infine di eresia.

L’ assenza di risposta, e quindi la presumibile assenza di intervento da parte del Caetani portano Fiorani a concludere che «l’incontro dei Caetani con il Campanella sia stato solo una fugace parentesi nella storia della Gens Caietana»19. Ciò nonostante, la lettera testimonia come Antonio rientrasse nel novero di personaggi potenti che Campanella ritiene avrebbero potuto muoversi a suo favore. Sempre al Favilla il filosofo affida infatti, oltre a una

16 fiorani, I Caetani e Tommaso Campanella, p. 106.

17 Ibidem. Così conclude Fiorani, «i prelati di casa Caetani non erano, per mentalità e interessi, le personalità più adatte ad accogliere l’austera invocazione del domenicano. Anche loro tengono l’occhio al particolare, combattono per le carriere mondane, non si schierano esplicitamente e rigorosamente per il rinnovamento della Chiesa e della società cristiana (…). La sostanza del messaggio campanelliano, le invettive taglienti, le meditazioni non potevano trovare che una generica e stentata simpatia. Troppo lontani rimanevano gli ideali dello Stilese, le sue profezie, i lampeggiamenti escatologici del suo pensiero dalle strategie e dalle politiche perseguite dalle corti del tempo. Non è difficile suppore che l’incontro dei Caetani con il Campanella sia stato solo una fugace parentesi nella storia della Gens Caietana » (ibidem, pp. 108-109).

18 Sull’editto emanato dall’allora Maestro del Sacro Palazzo Giovanni Maria Guanzelli da Brisighella rimandiamo a e canone, L’ editto di proibizione delle opere di Bruno e Campanella, «Bruniana & Campanelliana», I (1995), pp. 43-61; j m de bujanda – e canone, L’ editto di proibizione delle opere di Bruno e Campanella. Un’analisi bibliografica, «Bruniana & Campanelliana», VIII (2002), pp. 451-479. Il provvedimento fu reiterato sotto il pontificato di Paolo V Borghese. La Biblioteca Casanatense di Roma possiede copia di entrambi questi rarissimi decreti a stampa nel fondo Editti e Bandi (Per.est. 18/3, n. 301 bis e n. 301 ter).

19 l fiorani, I Caetani e Tommaso Campanella, p. 109.

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missiva per Giovanni Fabri, un’altra lettera scritta in data 31 marzo, e indirizzata al principe Federico Cesi, fondatore e presidente della Accademia romana dei Lincei. La lettera coincide, nel tono e nelle parole scelte, con quella destinata al Caetani: Campanella supplica un autorevole intervento «per negoziar la libertà mia e stampa de’ libri, ora che sto senza causa e senza processo, e Domenedio va mutando alcune cose in favor nostro»20, con chiaro riferimento alla salita al trono pontificio il 9 febbraio di quell’anno di Gregorio XV, che godeva – a differenza del predecessore Paolo V – di fama di mitezza. Tentativi che, pur ammettendo reali interventi presso il Papa del Caetani o del Cesi, non ebbero alcun successo; lo Stilese rimarrà infatti recluso in quella che definisce la ‘ciclopea caverna’ di Napoli ancora per cinque anni, fino al marzo del 162621. La scelta, nel 1621, di rivolgersi a Antonio Caetani per un eventuale appoggio potrebbe essere stata indotta da due ragioni. In primo luogo lo stretto legame della famiglia con Filippo III di Spagna, e presso la cui corte Antonio era stato nunzio, così come potrebbe non essere stato un caso che, tra il 1607 e il 1611, Campanella abbia affidato a Kaspar Schoppe, in missione presso Rodolfo II, alcune lettere di supplica per l’imperatore, proprio negli anni in cui il Caetani fu legato pontificio a Praga 22. Ipotesi plausibili certo, ma che – come annotato da Luigi Fiorani

20 t campanella a f cesi, Napoli, 31 marzo 1621, in campanella, Lettere, n. 54, p. 255. Per quanto riguarda la lettera a Giovanni Fabri in identica data, cfr. ibidem, n. 55, p. 256, «Molto illustre signor osservandissimo, viene Favilla per la libertà e la stampa: Vostra Signoria molto illustre li farà quelli favori alli quali s’estende la grandezza del suo animo».

21 L’ espressione ‘ciclopea caverna’ ricorre nel sonetto A Tobia Adami Filosofo, pubblicato alle carte preliminari del Prodromus philosophiae instaurandae del 1617; si veda t campanella, Le poesie, a cura di f giancotti, Torino, Einaudi, 1998, n. 70, pp. 285-286.

22 Su questo punto cfr. m. d’addio, Il caso Galilei. Processo, scienza, verità, Roma, Edizioni Studium, 1993, pp. 63-64, 96-97. Per una ricostruzione della nunziatura praghese di Antonio Caetani cfr. l’introduzione a Antonii Caetani Nuntii apostolici apud Imperatorem Epistulae et Acta 1607-1611, edidit m linhartova, I, Pragae, typographia Rei Publicae, 1932, in part. pp. i-xvii. Numerose le lettere che attestano il rapporto di fiducia con Schoppe; cfr. ad esempio quella che Antonio Caetani invia a Roma al cardinale Scipione Borghese in data 23 dicembre 1607, ibidem, i, p. 368, «Quanto a destinar persona nella dieta che direttamente habbia da avvisar V.S.ria Ill ma delle cose che occorrono (…) ho pensato d’inviare presto a Ratisbona il mio auditore (…) ma trovandovi difficoltà se ne passi a Bamberga per il negotio del suffraganeo, et in tal caso ho pensato, che in quella vece sarà assai bono al servitio, che si pretende, il sr Gaspar Scioppio, che al presente si trova in quella città et è cattolico assai buono et zelante, et spero che non ricusarà di ricevere questo peso». Si veda – oltre a quanto osserva lerner, Introduzione a t. campanella, Apologia pro Galileo, pp. xvi-xvii – m. d’addio, Il pensiero politico di Gaspare Scioppio e il machiavellismo del Seicento, Milano, A. Giuffrè, 1962, pp. 70-78. A proposito della successiva missione di Schoppe in Spagna nel 1613, così riporta D’Addio, «ai primi di maggio arriva a Madrid, ove riceve dal Pontefice, tramite il

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nei suoi appunti di lavoro – «le fonti, almeno per ora, non consentono di spiegare e di illuminare come avremmo voluto».

In secondo luogo, Campanella potrebbe essersi ricordato, nello scrivere a Antonio, che sempre a un Caetani, e in particolare al cardinale Bonifacio si era già rivolto qualche anno prima, nel 1616, dedicandogli un’opera delicata come la Apologia pro Galileo. Anche questa ulteriore ‘parentesi’ campanelliana nella storia della Gens Caietana lascia irrisolti molti interrogativi 23 . Come il fratello Antonio, anche Bonifacio ebbe una formazione giuridica. Governatore di Camerino e poi di Orvieto, nel 1596 fu inviato in missione diplomatica in Polonia, e in seguito a Praga. L’ 11 settembre 1606 fu nominato cardinale, e all’inizio del 1616 figura tra i membri della Congregazione dell’Indice 24

La breve epistola dedicatoria a Bonifacio Caetani, detto da Campanella ‘patrono delle italiche virtù’, è priva di data, ma è ormai prevalente tra gli studiosi la datazione al febbraio del 1616 e quindi precedente di sei anni l’effettiva stampa dell’Apologia pro Galielo, avvenuta a Francoforte nel 1622. Non si tratta però di un formale atto di omaggio a un cardinale della Roma di Paolo V. Campanella scrive infatti di aver composto lo scritto apologetico, con l’esposizione del rapporto tra la teoria eliocentrica e la Sacra Scrittura, su esplicita richiesta di Bonifacio:

Illustrissimo et reverendissimo D. Bonifacio Caietano, Italicarum virtutum patrono colendissimo salutem plurimam dicit frater Thomas Campanella.

Nunzio Apostolico Antonio Caietani che il Nostro aveva già conosciuto nel suo primo soggiorno romano, la somma di settecento monete (…) la notizia, fornitaci dal Nostro, sempre preciso nel segnare gli stipendi, i donativi e le pensioni che riceveva, ha un certo significato in quanto ci conferma che lo Scioppio era ben incardinato nella politica romana e che il suo viaggio doveva avere uno scopo ben preciso».

23 Sulla questione cfr. lerner, Introduzione a campanella, Apologia pro Galileo, pp. x-xxviii

24 Su Bonifacio Caetani (1568-1617) cfr. caetani, Caietanorum genealogia. Indice genealogico e cenni biografici della famiglia Caetani dalle origini all’anno 1882, pp. 75-76; id., Domus Caietana. Storia documentata della famiglia Caetani, II, Il Cinquecento, pp. 180-182, 280-281, e infine la voce di g. de caro nel Dizionario biografico degli Italiani, XVI, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1973, pp. 134-135. De Caro osserva che Bonifacio non si dedicò mai con zelo ai suoi doveri pastorali, perché «visse prevalentemente alla corte romana, dove divenne notissimo per le sue satire ai danni di vari eminenti personaggi della Curia» (ibidem, p. 135). Riguardo al rapporto con Campanella l’autore della voce segnala la lettera dedicatoria con cui si apre la Apologia pro Galileo, «il Berti identificò nel C. un monsignor Caetani al quale Tommaso Campanella dedicò l’Apologia pro Galilaeo; l’identificazione fu tuttavia respinta dall’Amabile» (ibidem).

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Ecce mitto tibi R. Domine, quaestionem, iussu tuo elaboratam: ubi de motu telluris, & stellatae sphaerae stabilitae, & ratione systematis Copernicaei, disputo secundum sacras literas. Tu vide, quid recte dictum sit; quid item defendendum tibi aut renuendum; quando a sancto Senatu id in mandatis habes. Meum ego iudicium non modo S. Ecclesiae submitto, sed cuilibet melius sapienti; maxime autem tibi, musarum Italicarum patrono. Quo vivente non peribunt illae. Vive ergo in aeternum. Amen 25 .

Bonifacio Caetani era stato incaricato dalla Congregazione dell’Indice di procedere alla espurgazione dell’opera di Niccolò Copernico De revolutionibus orbium coelestium Libri sex, condannata il 5 marzo del 1616 con la formula – grazie anche all’intervento dello stesso cardinale – donec corrigatur 26 .

A causa dell’improvvisa morte nel giugno del 1617 non poté, però, condurre a termine tale complesso compito, che fu quindi affidato al suo segretario, Francesco Ingoli 27. La circostanza ha indotto alcuni studiosi a sostenere che Campanella possa in realtà avere composto l’epistola dedicatoria dopo la morte del cardinale, fingendo quindi un invio in vita, per accreditare «la

25 Il breve indirizzo al Caetani, impresso alla c. A3r della edizione francofurtese della Apologia pro Galileo, è stato incluso nella recente edizione critica dell’epistolario, campanella, Lettere, pp. 224-225.

26 Sul decreto di condanna dell’eliocentrismo, cfr. m.-p lerner, Copernic suspendu et corrigé: sur deux décrets de la Congrégation Romaine de l’Index (1616-1620), «Galileiana», I (2004), pp. 21-89. La complessa vicenda della condanna, da parte della Chiesa di Roma, dell’eliocentrismo è stata accuratamente indagata da Pierre-Noël Mayaud, che sottolinea non solo il ruolo di rilievo che il Caetani giocò in seno alle Congregazioni dell’Indice e del Sant’Uffizio, ma anche la sua statura intellettuale, nel suo impegno per evitare che l’opera di Copernico fosse condannata in via definitiva. Cfr. p.-n mayaud, La condamnation des livres coperniciens et sa révocation à la lumière de documents inédits des Congrégations de l’Index et de l’Inquisition, Roma, Editrice Pontificia Università Gregoriana, 1997, in part. pp. 55-56, 60-61. Su questo punto così osserva a. fantoli, Galileo. Per il copernicanesimo e per la Chiesa, Città del Vaticano, Specola Vaticana-Libreria editrice Vaticana, 19972, p. 248, «fu forse Caetani, che (…) aveva voluto documentarsi su Copernico e aveva per questo richiesto l’opinione di Tommaso Campanella e forse già letto il manoscritto intitolato Apologeticus pro Galileo, inviatogli a tale scopo da quest’ultimo, a prendere l’iniziativa della difesa del valore scientifico del De revolutionibus e a proporre – invece di una condanna incondizionata – la sua sospensione donec corrigatur ».

27 Francesco Ingoli fu nominato consultore della Congregazione dell’Indice il 10 maggio del 1616. Cfr. nel relativo decreto, «Jam etiam Illustrissimus Lancellotus proposuit annumerandum etiam de novo pro Consultore Dominum Franciscum Ingolum ad servitia

Illustrissimi Domini Cardinalis Caetani demorantem» (cit. in mayaud, La condamnation des livres coperniciens et sa révocation à la lumière de documents inédits des Congrégations de l’Index et de l’Inquisition, p. 61). Su questo punto cfr. anche Copernico, Galilei e la Chiesa. Fine della controversia (1820). Gli atti del Sant’Uffizio, a cura di w. brandmüller e e. j. greipl, Firenze, Olschki, 1992, p. 444.

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sua Apologia in alto loco»28. Luigi Firpo sostiene, infatti, inverosimile che un cardinale membro della Congregazione dell’Indice abbia voluto affidarsi, per un parere su una questione così rilevante per la Chiesa di Roma, a un personaggio così sospetto29. Che non si tratti, però, di una mera finzione campanelliana, oltretutto «una menzogna grossolana e poco accorta»30, è smentito da alcuni documenti, ad esempio dal commento redatto dallo Stilese nel 1628 all’ode Adulatio perniciosa, elogio poetico delle scoperte galileiane composto da Maffeo Barberini, il futuro Urbano VIII. In tale commento Campanella si richiama al suo Apologeticum, cioè alla Apologia pro Galileo, «qui libellus cura Bonifacii Caetani Cardinalis doctissimi, cui obediens illum composueram, in Germania impressus est»31, affermazione presente anche in una lettera del 10 giugno 1628 a un Maffeo Barberini ora salito al soglio pontificio: ho fatto l’apologetico ad istanza del cardinale Bonifacio Gaetano pro Copernico et Galilaeo, quando si disputava in Santo Offizio la lor opinione s’era eretica o no. E questo solo punto si controvertia – già che l’esser falsa io lo presupponevo da quel che scrissi in tanti libri – e però disputai ad utranque partem circa l’eresia di quest’opinione solamente, e mi rimisi a quel che la santa Congregazione avea a determinare32

28 g spini, Galileo, Campanella e il «Divino Poeta», Bologna, Il Mulino, 1996, p. 48.

29 Nella edizione curata nel 1968 della Apologia pro Galileo Luigi Firpo sostiene che non solo la dedicatoria al cardinale Caetani, ma l’intero trattato siano stati in realtà composti dopo l’emanazione del decreto di condanna dell’eliocentrismo, ipotesi che però contrasta con quanto scrive Virginio Cesarini a Galileo il 12 gennaio 1623, a proposito della Apologia, «sebene detta scrittura è fatta avanti il decreto della Congregazione dell’Indice che sospese il Copernico, tuttavia i superiori non hanno voluto che si venda e spacci publicamente» (g. galilei, Le opere. Edizione nazionale, a cura di i. del lungo e a. favaro, XIII, Firenze, tipografia Barbèra, 1903, n. 1545, p. 106). Obietta inoltre Lerner, «Firpo non dimostra perché sarebbe stato impossibile che Caetani avesse potuto sollecitare un parere da parte di C. su una dottrina – quella eliocentrica – che non era stata ancora condannata » (lerner, Introduzione a Campanella, Apologia pro Galileo, p. xiv).

30 Ibidem. Osserva ancora Lerner a p. xv, «l’ipotesi di una redazione differita del testo e della sua dedicatoria implica che C. avrebbe sottoposto una tesi che sapeva già condannata al giudizio di un cardinale defunto!».

31 t. campanella, Commentum in Oden cuius titulus Adulatio perniciosa, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb.lat. 1918, c. 29r

32 t campanella a urbano viii, Roma. 10 giugno 1628, in campanella, Lettere, n. 74, p. 307. Si veda anche quanto riporta, in data 2 maggio 1633, Giovanfrancesco Buonamici nella Narrativa sopra la spiegazione del sistema del Copernico, fatto dal matematico Galilei, «Paolo v, instigato da’ medesimi frati, senza l’oppositione et difesa del Sig.r Card.le Bonifatio Gaetano haverebbe dichiarato questo sistema Copernicano erroneo et heretico, come contrario all’insegnamento della Scrittura in alcuni lochi et particularmente in Iosue: ma

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È proprio su questo punto che la questione rivela tutto il suo interesse. La stesura della Apologia pro Galileo quale adempimento a una esplicita richiesta di Bonifacio Caetani, quale redazione quindi di un memoriale a uso di chi dell’eliocentrismo avrebbe dovuto occuparsi in seno alla Congregazione dell’Indice, non può infatti che essere interpretata come segno di una particolare stima e familiarità, ipotesi che «non ha nulla di assurdo, anzi risulta alquanto verosimile, provenendo da uno spirito aperto come quello del nostro cardinale»33. Michel-Pierre Lerner suggerisce quale possibile punto di incontro tra un cardinale di Santa Romana Chiesa di ‘spirito aperto’ e un filosofo carcerato nei castelli napoletani l’astrologia, pratica diffusa nella corte romana del tempo34, posizione sostenuta anche da Fiorani che, al fine di chiarire i rapporti tra i Caetani e Campanella, annota nei suoi appunti di lavoro per la relazione del 2006 proprio questo interrogativo: Che sensibilità c’era tra i Caetani per l’astrologia?

Al tema della presenza dell’astrologia nella città papale nei primi decenni del Seicento, senza restringere quindi l’indagine ai Caetani, Fiorani aveva dedicato già nel 1978 l’ampio saggio Astrologi, superstiziosi e devoti nella società romana del Seicento, apparso sulle pagine della rivista Ricerche per la storia religiosa di Roma, con la dichiarata intenzione di restituire a quel Seicento romano solitamente etichettato come ‘devoto’ «qualche lineamento dai tratti meno rigidi e convenzionali»35. La ricostruzione di Fiorani prende avvio dal processo per astrologia svoltosi davanti al Tribunale del Governatore nel

li detti SS.ri Cardinali, così per reputatione di Niccholò Copernico, il quale, in riguardo di essere stato il principale maestro della riforma dell’anno, non poteva, senza riso delli eretici che non accettano detta riforma, venire dichiarato ereticho in una positione pura» (galilei, Le opere. Edizione nazionale, pp. 408-409). Cfr. inoltre la testimonianza di Francisco de Herrera nelle Memorie intorno alla vita di PP. Urbano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 4901, cc. 40 r-v, «Urbano mentre era cardinale nel pontificato di Paolo V, trattandosi di proibire l’opera di Niccolò Copernico per l’opinione del moto della terra, fu di parere che non si proibisse, ma si correggessero in lui le cose che parevano necessarie, perché nel restante era utile e di esso si era servito Gregorio XIII nella correttion del Calendario. Il che fu seguitato e riuscì bene. Il medesimo giudicò il cardinale Gaetano, e Bellarmino, consultato con li geometri, l’approvò grandemente» (in d’addio, Il caso Galilei, p. 97). Cfr. infine le osservazioni di fantoli, Galileo. Per il copernicanesimo e per la Chiesa, in part. pp. 247-249.

33 lerner, Introduzione a t campanella, Apologia pro Galileo, p. xxvii

34 Ibidem, pp. xx-xxi

35 l fiorani, Astrologi, superstiziosi e devoti nella società romana del Seicento, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 2 (1978), p. 98. Si richiama al saggio di Fiorani M.-P. Lerner per illustrare la «cultura astrologica che, nel XVII secolo, pervade gli ambienti colti romani fino ai più alti livelli della gerarchia ecclesiastica» (lerner, Introduzione a t. campanella, Apologia pro Galileo, p. xx, nota 33).

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1630 ai danni di Orazio Morandi, abate di quel convento di Santa Prassede che sembra essere stato frequentato da Galileo nella primavera del 1630. E – osserva Fiorani – «non è improbabile che anche il Campanella dovette almeno una volta capitarci, prima che su di lui si abbattessero le violente polemiche che lo costringeranno alla fuga da Roma»36. Occorre quindi chiedersi se sia possibile rintracciare «qualche lineamento dai tratti meno rigidi e convenzionali» anche in una famiglia di principi, cardinali e uomini di Chiesa come quella dei Caetani. Tali interessi appaiono essere confermati proprio nel caso di Bonifacio, in un intreccio di corrispondenze, personaggi e ‘fantasie’ già posto in luce da Fiorani nel 1978, e nel quale particolare evidenza è data alla figura dell’astrologo e astronomo bolognese Giovanni Bartolini, residente a Roma dal 1611 e legato al primo circolo linceo37. È attraverso Bartolini che Campanella fece pervenire, nel marzo 1614, una lettera a Galileo, in cui difende l’astrologia, osservando «ch’è piena di fallacie questa dottrina, ma ci stan dentro pur cose divinissime»38. Il nome

36 fiorani, Astrologi, superstiziosi e devoti nella società romana del Seicento, p. 103. Sulla figura di Orazio Morandi e le vicende che porteranno nel 1631 alla emanazione da parte di Urbano VIII della bolla Inscrutabilis si vedano – oltre alle osservazioni di Luigi Fiorani, alle pp. 101-114 del citato saggio – g ernst, Scienza, astrologia e politica nella Roma barocca. La biblioteca di Orazio Morandi, in Bibliothecae selectae. Da Cusano a Leopardi, a cura di e canone, Firenze, Olschki, 1993, pp. 217-252; b doodley, Morandi’s last Prophecy and the End of Renaissance Politics, Princeton, Princeton University Press, 2002.

37 Fiorani ritiene che Bartolini rifletta «il dinamismo culturale dei primi Lincei e il difficile cammino dal vecchio al nuovo che trapassa nei loro dibattiti. Più che in originali ricerche egli diluisce la sua speculazione in una consistente serie di predizioni, e soprattutto svolge un efficace lavoro di mediazione tra i protagonisti della nuova cultura (Galilei, Campanella, Cesi). Nei molti libretti che ci ha lasciato (…) la sua astrologia si misura quasi esclusivamente sul versante degli oroscopi, richiamandosi costantemente alla tradizione aristotelico-tomista, come per ripararsi dietro autorità insospettate» (fiorani, Astrologi, superstiziosi e devoti nella società romana del Seicento, p. 118-119). Un breve cenno ai rapporti tra Campanella e Bartolini in l amabile, Fra Tommaso Campanella ne’ castelli di Napoli, in Roma ed in Parigi, I, Napoli, A. Morano, 1887, pp. 170-172; e g gabrieli, T. Campanella e i primi Lincei, «Rendiconti della Reale Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filologiche». Serie sesta, vi (1928), pp. 251 e 256. Per quanto riguarda inoltre il legame, non solo di parentela, tra le famiglie Cesi e Caetani, si veda g. gabrieli, Cesi e Caetani. Da un manipolo di lettere inedite del Principe Linceo Federico Cesi nell’Archivio Caetani, «Rendiconti della Reale Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filologiche». Serie sesta, xiii (1937), pp. 265-269 (ora in g gabrieli, Contributi alla storia della Accademia dei Lincei, I, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1989, pp. 131-142).

38 t. campanella a g. galilei, Napoli, 8 marzo 1614, in campanella, Lettere, n. 41, p. 209. Anche questa lettera fu trasmessa da Campanella attraverso Bartolini. A tergo di essa si legge «A Giovanni Bartolini, che Dio guardi. Roma, in casa dell’illustrissimo cardinal Cesi» (ibidem).

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di Bonifacio ricorre inoltre in una lettera scritta a Galileo dal già ricordato Pietro Giacomo Favilla, l’agente romano di Campanella, che nel settembre del 1616 comunica allo scienziato pisano di avere trasmesso una copia manoscritta della Apologia pro Galileo al cardinale Caetani, ancora una volta attraverso il canale di Bartolini 39. Anche l’Archivio della famiglia Caetani contribusce a offrire quel lineamento «dai tratti meno rigidi e convenzionali». Bonifacio progettava di dare alle stampe una traduzione dal greco in italiano del Tetrabiblos di Claudio Tolomeo, mentre Ingoli lavorava a quella in lingua latina40. Sono sempre le carte Caetani a rivelarci un Ingoli – il futuro espurgatore dell’opera copernicana – non solo esperto di astronomia, ma anche cultore della buona astrologia, quella astrologia naturale o razionale che si oppone alla pratica superstiziosa, e che su richiesta dello stesso cardinale Caetani traccia, come testimoniano alcune lettere conservate nell’Archivio della Fondazione, oroscopi per diversi personaggi romani. Infine, fu

39 p g favilla a g galilei, 16 settembre 1616, in galilei, Le opere. Edizione nazionale, n. 1231, p. 277. Cfr. anche la lettera inviata allo scienziato pisano dallo stesso Campanella il 3 novembre 1616, «Io ho mandato a Roma e a Vostra Signoria una questione, dove si prova teologicamente ch’il modo di filosofare da lei tenuto è più conforme a la divina Scrittura che non lo contrario, o almeno assai più che non l’aristotelico; e questo, per via dell’illustrissimo Gaetano» (in campanella, Lettere, n. 45, p. 225). Osserva su questo punto Germana Ernst, «non è da credere che il C. inviasse un esemplare dell’Apologia pro Galileo al card. Caetani e un altro a Galileo. La copia spedita fu una sola, quella diretta al fidato Giovanni Bartolini, che ai primi d’ottobre la prestò a Federico Cesi perché ne facesse trascrivere copia da spedire a Firenze a Galileo» (ibidem, p. 226). Si veda a tale proposito quanto scrive Cesi a Galileo l’8 ottobre del 1616, «Hebbi la scrittura che V.S. m’avisa, et la diedi a copiare per poterla mandare, come farò subito ch’io la rihabbia» (galilei, Le opere. Edizione nazionale, XII, n. 1228, pp. 285-286).

40 Sulla versione dell’opera si vedano alcune lettere inviate da Ingoli a Bonifacio Caetani tra il 1613 e il 1614, in part. quella del 20 dicembre 1613, Archivio Fondazione Caetani, Fondo Generale, n. 140222, «Nel Primo libro della traduttione di Tolomeo di V.S. Ill.ma non può essere notabile errore perché fu confrontata col greco e fu anco riveduta con le annotationi del Magini, come ella sa, e più non deve dispiacere a V.S. Ill.ma che sia nelle mani d’intendenti dell’arte e da quelli approvata»; e la più tarda del 15 marzo 1614, ibidem, n. 63609, «Se seguisse la permissione di Tolomeo, si potrebbe porre in essecutione il pensiero che haveva V.S. Ill.ma intorno alla sua traduttione, et alla mia latina». Sul progetto di traduzione si rimanda a m. bucciantini, Contro Galileo. Alle origini dell’Affaire, Firenze, Olschki, 1995, in part. pp. 141-143. In riferimento alla ‘vicenda Ingoli-Keplero-Galileo’ osserva inoltre Bucciantini, «avendo avuto modo di dedicarsi già in passato a questioni astronomiche e astrologiche (in occasione dell’apparizione della nova del 1604 e della cometa del 1607), l’Ingoli manteneva uno stretto sodalizio con Bonifacio Caetani, anch’egli appassionato cultore di studi astrologici e, come l’astronomo e teologo ravennate, impegnato da parecchi anni a condurre a termine l’ambizioso progetto di traduzione del Tetrabiblos di Tolomeo» (ibidem, p. 24).

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proprio Bonifacio il dedicatario scelto dal patavino Ambrosio Floridi per il suo Tractatus de annis climactericis ac diebus criticis41. Se questo può essere un indubbio punto di contatto con Campanella, anch’egli sostenitore della ‘buona astrologia’, se si indaga più a fondo nella biografia del cardinale è possibile ricostruire anche una comune rete di contatti e rapporti: il legame con i Cesi, ai quali i Caetani erano legati da parentela, e quindi con l’ambiente sia della Accademia lincea romana, sia con quello del Liceo di Napoli. Bonifacio è in contatto con Federico Cesi, Niccolò Antonio Stigliola, Fabio Colonna, tutti corrispondenti campanelliani, ai quale si aggiunge il telesiano Antonio Persio, già teologo personale di Enrico Caetani, lo zio di Bonifacio, e che grazie proprio alla protezione della potente famiglia romana ottenne nel 1608 la carica di protonotario apostolico. Persio giocò un ruolo determinante nella costruzione della rete di rapporti romani di Campanella, e potrebbe avere in qualche modo favorito il contatto tra Campanella e i Caetani42. Lo stesso cardinale Bonifacio, particolarmente legato al vicerè di Napoli, il conte di Lemos, si recò più volte nella città partenopea tra il 1614 e il 161543, e non è da escludere un suo incontro con Campanella, in un intreccio quindi di interessi e amicizie che potrebbe spiegare le ragioni di una stima reciproca, di una epistola dedicatoria e di una sorta di collaborazione scientifica – di carattere probabilmente ‘informale’ – sulla questione dell’eliocentrismo.

Un ultimo punto riguarda, infine, il terzo Caetani che – dopo Antonio e Bonifacio – è legato al nome di Campanella: Luigi, cardinale dal gennaio del 1626 di santa Pudenziana, e che Amabile ritiene sia stato il committente del ritratto conservato presso la Fondazione, attribuito al pittore calabrese

41 a. floridi, Tractatus de annis climactericis ac diebus criticis. Dialogistico contextus sermone. In quo mira doctrina, ex fontibus astrologorum, excerpta & philosophorum, panditur … Ad ... Principem d.d. Bonifacium Caetanum S.R.E. Cardinalem amplissimum, Patavii, apud Mattheum de Menijs, ex typographia Laurentij Pasquati, 1612.

42 Sui rapporti tra Campanella e Persio e per una rapida ricostruzione dell’ambiente linceo romano si rimanda a l. amabile, Fra Tommaso Campanella. La sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia, I, Napoli, A. Morano, 1882, pp. 53-57; id., Fra Tommaso Campanella ne’ castelli di Napoli, in Roma ed in Parigi, i, pp. 38-40, 107-111; g. gabrieli, Notizia sulla vita e gli scritti di Antonio Persio Linceo, «Rendiconti della Reale Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filologiche». Serie sesta, ix (1933), pp. 471-499; f purnell, Francesco Patrizi and the Critics of Hermes Trismegistus, in Das Ende des Hermetismus. Historische Kritik und neue Naturphilosophie in der Spätrenaissance, hrsg. von M. Mulsow, Tübingen, Mohr Siebeck, 2002, pp. 149-153.

43 Cfr. amabile, Fra Tommaso Campanella ne’ castelli di Napoli, in Roma ed in Parigi, p. 180-184.

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Francesco Cozza44. È proprio allo studioso campanelliano che va il merito di avere ‘riscoperto’ intorno al 1880 il dipinto a olio, «il ritratto più straordinario del filosofo, il cui volto emerge con concentrata intensità dallo sfondo scuro, per comunicare anche a noi il suo messaggio» 45. Dopo ventisette anni di prigionia, il 23 maggio del 1626 Campanella uscì finalmente da Castel Nuovo, grazie all’invio da Madrid, nel marzo di quell’anno, di una lettera che demanda al vicerè ogni decisione riguardo alla sua sorte, e qualche

44 Su Francesco Cozza (1605-1682), originario di Stignano nei pressi di Stilo, si veda l cunsolo, Francesco Cozza pittore e acquafortista, Cosenza, Pellegrini, 1966; f sorgiovanni, Francesco Cozza. L’ uomo, il pittore, Ardore M., Nosside, 1996; infine il catalogo della mostra allestita a Roma tra il 24 novembre 2007 e il 13 gennaio 2008 al Museo di Palazzo Venezia, e nella quale è stato esposto anche il ritratto campanelliano, Francesco Cozza (1605-1682). Un calabrese a Roma tra classicismo e barocco, a cura di c. strinati, r. vodret, g. leone, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2007. Nell’inventario redatto alla morte del pittore il 14 gennaio 1682 è registrata la presenza nella sua abitazione romana di vari ritratti di Urbano viii, di Antonio Barberini e infine di «un filosofo in tela da 4 palmi copia senza cornice» (cunsolo, Francesco Cozza pittore e acquafortista, p. 297). Eugenio Canone non esclude che «quella tela fosse copia del quadro ora nel palazzo Caetani, anche se in formato più grande» (e. canone, Il volto di Tommaso Campanella. Dipinti e incisioni, in Laboratorio Campanella, p. 245). Al ritratto attribuito al Cozza Firpo dedica le pagine 15-19 del volume L’ iconografia di Tommaso Campanella, Firenze, Edizioni Sansoni Antiquariato, 1964, con un elenco alle pp. 18-19 delle sue numerose riproduzioni, dall’articolo Per un monumento a Campanella di Antonio Breuers («Il Nuovo Convito», III (1918), 10, pp. 346-348), fino alla voce dedicata allo Stilese nella Grande Enciclopedia Vallardi (vol. III, Milano, F. Vallardi, 1962, p. 427). Si tratta infatti «non solo della più antica, ma dell’unica raffigurazione sicuramente autentica delle sembianze del Campanella che ci sia pervenuta: da essa derivò l’incisione secentesca accolta negli Elogii del Crasso e tutta una sequela di tarde filiazioni sempre più capricciose e infedeli» (l firpo, L’ iconografia di Tommaso Campanella, p. 17). L’ attribuzione a Cozza è stata, però, in tempi recenti messa in discussione da Francesco Solinas, che retrodata la realizzazione del ritratto al 1618-1622, anni in cui il filosofo era ancora recluso a Castel Nuovo (cfr. f. solinas, Il frate sul cavalletto, «L’ Erasmo», I, (2001), 1, p. 45).

45 g ernst, Presentazione, in Laboratorio Campanella, p. xiii. Cfr. anche quanto osserva m ciliberto, Pensare per contrari. Disincanto e utopia nel Rinascimento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2005, p. 401, «Una fronte spaziosa, un naso deciso, il viso largo segnato da due verruche, una sul naso, l’altra sulla guancia, una bocca piccola e carnosa, un mento forte, i capelli forti e scuri, una barba rada, intrisa di peli bianchi, due occhi scuri pungentissimi che balzano fuori dal quadro, proiettandosi oltre la tela: così ci appare Tommaso Campanella nell’unico ritratto autentico che ci è pervenuto (…) È un ritratto che coincide, pienamente, con quanto di Tommaso ci dice una cronaca calabrese del 1599: “di vivace ingegno, di statura alta, faccia pallida, pilo negro e denti radi”». Per il testo della cronaca a cui si fa riferimento si veda l. firpo, Appunti campanelliani. xxxi. Tre relazioni contemporanee sulla congiura calabrese del 1599, «Giornale critico della filosofia italiana», XLI (1962), e in particolare il Ragguaglio de’ movimenti suscitati in Calabria da Fra Tomasso Campanella, Di Regio, li 8 ottobre 1599, pp. 394-398.

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settimana dopo il Sant’Uffizio ne dispose il trasferimento a Roma. Nella città papale lo Stilese soggiornò fino all’ottobre del 1634, quando, in seguito all’arresto a Napoli, con l’accusa di congiura antispagnola, del discepolo Tommaso Pignatelli, e quindi al rischio di un suo nuovo coinvolgimento, lo stesso Urbano VIII ne suggerì la fuga in Francia. Il ritratto sarebbe stato eseguito quindi a Roma, presumibilmente tra il 1629 e il 1631, anni in cui si ritiene che Campanella possa avere assiduamente frequentato la residenza dei Caetani46.

La presenza del ritratto nelle stanze del Palazzo è documentata dalla metà del Settecento, ma mancano ancora dati certi sull’identità del committente. Amabile ritiene che Luigi Caetani lo abbia commissionato perché «noto ammiratore del Campanella» 47, ma Firpo osserva che tale affermazione «merita conferma, perché non risulta da fonti documentarie che il porporato in questione si interessasse così calorosamente al Campanella» 48 , ipotizzando che possa invece trattarsi del dipinto già presente nella collezione di Cassiano dal Pozzo, le cui tracce si sono perse nel Settecento 49, ma del quale resta preziosa testimonianza in un epigramma di Gabriel Naudé del 1641:

Thomae Campanellae Alias Septimontani Stilensis

Effigies miranda viri mirabilis ista est, Si modo naturae par fuit artis opus.

Nam geminas torquent oculi sub vertice tedas; Et caput in septem scinditur areolas.

46 Cfr. lerner, Introduzione a t campanella, Apologia pro Galileo, p. xxiv

47 amabile, Fra Tommaso Campanella ne’ castelli di Napoli, in Roma ed in Parigi, i, p. 217. Brevi notizie su Luigi Caetani (1595-1642) sono fornite da caetani, Caietanorum genealogia. Indice genealogico e cenni biografici della famiglia Caetani dalle origini all’anno 1882, p. 78.

48 firpo, L’ iconografia di Tommaso Campanella, p. 16.

49 Ibidem, p. 17. Sulla ricca collezione di Cassiano dal Pozzo, in corrispondenza con Campanella tra il 1624 e il 1638, ci limitiamo a segnalare d l sparti, Le collezioni dal Pozzo. Storia di una famiglia e del suo museo nella Roma seicentesca, Modena, Panini, 1992, e i Segreti di un collezionista. Le straordinarie raccolte di Cassiano dal Pozzo (1588-1657), a cura di f. solinas, Roma, De Luca, 2001. L’ ipotesi di una provenienza dalla raccolta di Cassiano è stata recentemente messa in discussione da g. leone , nella scheda redatta per il citato catalogo Francesco Cozza (1605-1682). Un calabrese a Roma tra classicismo e barocco, p. 18, pur osservando che l’opera «ad ogni modo è contemporanea alla presenza del filosofo nella città (…) Tommaso Campanella giunse nella città pontificia nel 1626, dopo la prigionia, e qui fu accolto dal circolo papale barberiniano che lo aiuterà di nuovo a trasferirsi in Francia dopo il 1634. Il dipinto (…) potrebbe quindi collocarsi in ambito barberiniano, ipotesi giustificata dalla già menzionata presenza di un analogo ritratto nella collezione Dal Pozzo».

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Scilicet ingenio potuit qui vincere cunctos, Diversam a cunctis possidet effigiem 50

Anche su questo punto però, la documentazione finora rinvenuta tace, e Eugenio Canone ritiene «pertanto auspicabili più approfondite ricerche nell’Archivio Caetani e in altri archivi romani, nella speranza di rintracciare qualche notizia in inventari secenteschi o in altre fonti»51. Per quanto riguarda in particolare le carte Caetani, tali auspicate ‘indagini appronfondite’ sono state senza dubbio già condotte da Luigi Fiorani, che nel 2006 conclude che la «presenza di documenti campanelliani negli opulenti fondi archivistici della Fondazione è risultata, pur dopo insistiti sondaggi da me eseguiti in varie direzioni, estremamente esigua, contrariamente a quanto ci si poteva aspettare»52.

L’ osservazione di Fiorani – «è mia impressione, comunque, che l’Archivio abbia dato tutto ciò che poteva dare sulla figura di Campanella»53

50 Cfr. g naudé, Epigrammata in virorum literatorum imagines quas illustrissimus eques Cassianus a Puteo sua in bibliotheca dedicavit, Romae, excudebat Ludovicus Grignanus, 1641. Si veda la recente edizione, corredata di traduzione italiana e dalla quale si cita, Epigrammi per i ritratti della biblioteca di Cassiano dal Pozzo, a cura di e. canone e g. ernst, traduzione di g. lucchesini, Pisa-Roma, Fabrizio Serra Editore, 2009, p. 39. Cfr. quanto si osserva alle pp. 16-17, «Le composizioni poetiche di Naudé, che presentano un’indubbia erudizione e una ricerca di eleganza formale, in alcuni casi mancano di naturalezza, suscitando l’impressione di artificio e di una certa frigidità. Fra i più riusciti si possono annoverare proprio quelli per Campanella e Galileo. Del primo, Naudé sottolinea la corrispondenza fra l’eccezionalità dell’ingegno e quella dell’aspetto, dominato dall’insolita forma della testa, ma soprattutto dallo sguardo ardente, ciò che non può non richiamare lo straordinario ritratto di Francesco Cozza (…) in cui la concentrazione malinconica del volto è dominata dall’intensità bruciante dello sguardo, che lo fa emergere dal volto scuro».

51 canone Il volto di Tommaso Campanella. Dipinti e incisioni, p. 243. Cfr. in precedenza dello stesso autore L’ iconografia campanelliana tra realtà e fantasia, in Tommaso Campanella. L’ iconografia, le opere e la fortuna della Città del Sole, a cura di e. canone e g. ernst, Milano, Biblioteca di via Senato, 2001, pp. 11-23, dove a p. 15 si osserva che «se la presenza del dipinto nel palazzo Caetani è documentata dalla metà del Settecento, problematica appare l’originaria committenza dell’opera; non così sicura infatti risulta l’ipotesi di Luigi Amabile secondo il quale il quadro sarebbe stato commissionato dal Cardinale Caetani».

52 fiorani, I Caetani e Tommaso Campanella, p. 105. Si veda anche la precoce menzione del ritratto da parte di Tommaso Aceti nelle sue annotazioni all’opera di giacomo barrio, De antiquitate & situ Calabriae libri quinque cum animadversionibus Sertorii Quattrimani patrici Cosentini nec non prolegomenis additionibus e notis Thomae Aceti academici Cosentini, Romae, ex typographia S. Michaelis ad Ripam, sumptibus Hieronymi Mainardi, 1737, p. 255, «Fuit Campanellae staturae procerae, optimique temperamenti: caput habebat Aesopium, peponis instar variis segmentis distinctum, capillos hispidos, oculosque castaneos. Ejus effigies a celebri artifice Francisco Cozza cive suo ac consanguineo depicta Romae in Cajetana pinacotheca asservatur».

53 fiorani, I Caetani e Tommaso Campanella, p. 105

MARGHERITA PALUMBO
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– appare confermata, da un punto di vista documentario, anche per quanto riguarda le ragioni della presenza del ritratto campanelliano nelle stanze del Palazzo Caetani, e la cui unica traccia si limita a essere la laconica nota, vergata nel Settecento dalla mano di monsignor Onorato, nell’inventario dei beni della famiglia: «Tommaso Campanella, vi son molti ritratti in casa di lui»54. Nell’attesa che documenti di futura individuazione possano offrire nuovi spunti, non possiamo quindi che fare nostre le parole con le quali Fiorani conclude i suoi rapidi appunti per la stesura della relazione del 2006: Il rapporto tra Campanella e i Caetani. Tema allettante, ma che le fonti, almeno per ora, non consentono di spiegare e di illuminare come avremmo voluto. Lasciamo che il rapporto tra Caetani e Campanella resti sfumato.

54 Ibidem, p. 109, in riferimento all’inventario conservato presso l’archivio della Fondazione Caetani, Fondo Generale. Mons. Onorato Caetani. Sulla figura di Onorato si veda l. fiorani, Una figura dimenticata del Settecento romano. L’ abate Onorato Caetani, «Studi Romani», XV (1967), pp. 34-60, oltre al saggio di m. cattaneo, Onorato Caetani

“uomo enciclopedico e illuminato” del Settecento europeo, nel presente volume.

TOMMASO CAMPANELLA E I CAETANI 319

L’ IRONIA DI DON FILIPPO E L’ AMICIZIA CON STENDHAL

Una diecina d’anni fa visitai con molto interesse, al Museo Napoleonico, la mostra Il salotto delle caricature. Acquerelli di Filippo Caetani, anche perché vi avevo in qualche modo collaborato. L’ introduzione al bel catalogo era di Luigi Fiorani, intitolata Filippo Caetani: l’ironia nella Roma papale dell’Ottocento1 che è l’unico studio da lui dedicato a questa figura indubbiamente minore della nobile famiglia, ma a torto quasi del tutto trascurata fino ad allora. I suoi disegni, le sue caricature, anche alcuni dei suoi versi, e ancora le sue amicizie e relazioni, meritavano la sua ‘riscoperta’. Ma meritavano anche una certa riabilitazione di questo rampollo d’una illustre e antica famiglia, un po’ perdigiorno e sbarazzino, è vero, ma dotato indubbiamente d’una sua vivace personalità, carica di umana simpatia (tav. 13a).

Rileggendo ora, per l’occasione, la nutrita introduzione di Fiorani, mi son reso conto di nuovo che la singolarità e sinteticità di questo contributo è ampiamente compensata dalla sua densità, dalla scavo storico-archivistico da cui è scaturito, tanto da non aver quasi nulla da invidiare agli studi molto più sviluppati che Luigi aveva consacrato prima ad altri membri più famosi della famiglia, ad esempio il volume su Onorato Caetani 2. E lo dimostrano del resto, fra l’altro, le numerose note di cui egli correda il testo, e che spesso, più che semplici rinvii bibliografici, costituiscono corpose aggiunte ed integrazioni sostanziali. In altri termini, se egli riesce a dire tutto l’essenziale su questo Caetani un po’ anomalo e ‘bohémien’, e sul quale i documenti nello stesso Archivio Caetani sono assai scarsi – «un personaggio senza storia» e di «modesta rilevanza», e che rivive oggi solo per il suo album di cari-

1 Cfr. Fondazione Camillo Caetani, Il salotto delle caricature. Acquerelli di Filippo Caetani 1830-1860, a cura di g. gorgone e c. cannelli, Roma, «L’ Erma» di Bretschneider, 1999, pp. 13-28.

2 l. fiorani, Onorato Caetani, un erudito romano del Settecento, con appendice di documenti inediti, Roma, Istituto di studi romani, 1969.

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

massimo colesanti
Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013

cature, in cui «ha dato corso ad una vena satirica di tutto riguardo», afferma Fiorani all’inizio del suo studio3 –; se, ripeto, egli riesce a dire l’essenziale e ad essere, in questi limiti, esaustivo, molte sono le considerazioni, i rapporti, le relazioni e le possibili ‘divagazioni’ che egli sottende, suggerisce o indica chiaramente. Paradossalmente, ma banalmente, verrebbe voglia di dire che il modo migliore di intervenire oggi su questo suo studio sarebbe stato di rileggerlo tutto, magari commentandolo qua e là. È invece preferibile, se non doveroso, criticamente, ripercorrerlo nei suoi tratti fondamentali, sviluppando un po’, se mai, ciò che egli accenna soltanto, e chiarendo qualcuna delle sue non poche allusioni, citando anche, per intero, alcuni dei versi di Filippo e illustrando infine, visivamente, alcune delle sue caricature.

In tutta la prima parte, per esempio, egli ne traccia, pur su pochi dati, un profilo biografico-psicologico penetrante, riscattando sul piano dell’’esprit’, dell’ironia, e dell’arte, la sua effettiva marginalità di uomo e di cittadino. Considera anzitutto la formazione culturale e mondana di Filippo, che avviene nell’ambito della sua stessa casa, così aperta nella prima metà dell’800 alle nuove idee, e partecipe dell’evoluzione storica e politica europea, ma riprendendo, attingendo e scegliendo disposizioni e inclinazioni dalla sua stessa famiglia e casata, nell’ascendenza paterna e materna, ed anche fraterna, se così posso dire. Fiorani fa ben comprendere, anche se non vi si dilunga, l’influenza che ebbero sulla formazione di Filippo il salotto delle Botteghe Oscure ed i suoi illustri frequentatori, specie francesi e spesso di idee opposte, dall’anticlericale e classicista Paul-Louis Courier (molto amico di suo padre Enrico e di sua madre Teresa de’ Rossi)4 al romantico e cattolico Chateaubriand, e dal liberale e mangiapreti Stendhal al monarchico-legittimista Balzac5; così come apertamente dichiara che la vena satirica di Filippo deve anche qualcosa a quella del nonno materno, il ben noto poeta, commediografo e archeologo Giovanni Gherardo de’ Rossi, mentre il suo gusto del disegno deriva piuttosto dall’esempio e dalla guida del fratello maggiore Michelangelo, allievo del Minardi e del Tenerani, come sappiamo.

3 Cfr. id., F. Caetani: l’ironia nella Roma papale dell’Ottocento, in Il salotto delle caricature, p. 13, passim.

4 Sui vari soggiorni romani di Courier, si veda anzitutto l’ottima edizione completa delle sue lettere: p.-l courier, Correspondance générale. Présentée et annotée par g viollet-leduc, Paris, Klincksiek, 1976-1985, 3 voll.; e poi, fra l’altro, p p trompeo, Nell’Italia romantica sulle orme di Stendhal, Roma, Leonardo da Vinci, 1924, p. 306 e passim.

5 Sul viaggio di Balzac a Roma nel 1846, e sui suoi rapporti con la famiglia Caetani, rimane fondamentale lo studio di r. de cesare, Balzac a Roma, in Studi in onore di Carlo Pellegrini, Torino, Società Editrice Internazionale, 1963, pp. 609-648.

COLESANTI 322
MASSIMO

Ma dal fratello quasi coetaneo, di tutt’altra tempra però, molto più forte di lui, intellettualmente, moralmente e politicamente, egli in certo senso dipende anche per la visione della società aristocratica romana e cosmopolita che li circonda, e di cui fanno parte, in stretta connessione con la situazione politica europea. Entrambi rimangono in sostanza dei nostalgici del passato, giudicano negativamente i forti rivolgimenti politici che sembrano voler ribaltare istituzioni e costumi secolari, a cominciare dalla Rivoluzione francese dell’89, ma anche l’immobilismo disastroso del Papato e dell’aristocrazia romana, cioè del potere temporale, pur rimanendo fedeli e leali alla dottrina ed alle pratiche religiose della Chiesa. Più che anticlericali spietati o velenosi, entrambi restano dei liberali illuminati e dei cattolici critici, come fa intendere e dimostra giustamente Fiorani. Ma Michelangelo, pur consapevole dei suoi sentimenti e della sua posizione ideologica, assume poi interamente il ruolo che gli spetta e gli compete, si proietta e brilla nella vita pubblica e intellettuale, cerca sempre di fare e fa spesso le prime parti, per un conservatorismo comunque ricco di fermenti e attento ai rinnovamenti ideali, e per un sicuro anche se prudente e accorto senso di italianità; Filippo invece vive come nell’ombra del fratello, o in disparte, si ripiega su se stesso e nei suoi sogni d’un impossibile e anacronistico ritorno al passato, sfogando il suo critico umorismo e la sua vivacità, oltre che nelle sue numerose avventure e relazioni amorose, nei disegni, nelle brillanti caricature come nei versi, in una parabola discendente fino alla morte prematura, nel 1864, a Civitavecchia, dove sperava di trovare rimedio alla sua malferma salute. Ho nominato ora Civitavecchia, e poco prima Stendhal, console appunto a Civitavecchia, dal 1831 al 1841. Fiorani si limita a citarne soltanto il nome fra gli ospiti abituali di Palazzo Caetani, anche perché ad una presunta, ma anche per me molto probabile, caricatura di Stendhal (tav. 13b), che si trova nell’album di Filippo, ed agli stretti rapporti di amicizia che lo legarono a Filippo, Giulia Gorgone e Cristina Cannelli hanno dedicato una scheda nel catalogo abbastanza ampia6. Ma, da povero stendhaliano qual sono, aggiungerei qualche altra breve considerazione, di carattere generale e più particolare, proprio per ricollocare al loro posto alcuni tasselli interessanti nel lacunoso mosaico della vita e del carattere di Filippo, e che ne tratteggiano ed illuminano meglio la curiosa personalità

Non c’è dubbio che nei sette anni circa che Stendhal trascorse fra Civitavecchia e Roma (dal ’36 al ’39 usufruì d’un lungo congedo in Francia, dove pubblicò fra l’altro le sue cosiddette Chroniques italiennes e La Chartreuse

L’IRONIA DI DON FILIPPO E L’AMICIZIA CON STENDHAL 323
6
Cfr. Il salotto delle caricature, pp. 48-51.

de Parme, opere derivate in parte, molto probabilmente, da manoscritti trovati e copiati proprio nell’Archivio Caetani), non c’è dubbio, dicevo, che uno dei pochi se non l’unico vero e leale amico romano che egli ebbe fu Filippo. Certamente fu molto amico anche di Michelangelo, come è stato più volte affermato, anche di recente, dal collega e impeccabile storico qual è Giuseppe Monsagrati, nel suo ampio e preciso saggio introduttivo al volume Alcuni ricordi di Michelangelo Caetani, duca di Sermoneta 7: Stendhal fu spesso ospite, anche a pranzo, dei due fratelli, specie dal ’33 al ’36, quando abitava a Roma a Palazzo Cavalieri, oggi scomparso, a pochi passi da Palazzo Caetani, cioè all’Argentina8, e poi poco più lontano, a Palazzo Conti alla Minerva. E li ritrovava spesso anche in casa del grande e comune amico, il conte Filippo Cini, in Piazza di Pietra. E non è un caso che fra i nobili romani, da lui giudicati una massa d’ignoranti imbecilli, Stendhal salvasse solo e unicamente i fratelli Caetani e il duca di Rignano, cioè lo scienziato Mario Massimo (1808-1873)9

Ma per Filippo specialmente ebbe un vero, profondo affetto, apprezzandone molto lo spirito, le qualità artistiche, i frizzi ironici, la conversazione spigliata e invadente, forse anche la sua posizione più filofrancese o meno anglofila di quella di Michelangelo. Un rapporto anche di completa e reciproca lealtà, come dimostrano alcuni episodi, di cui Stendhal ha lasciato traccia nei suoi manoscritti, e nelle note in margine ai suoi libri, ed accenno qui ad un paio soltanto. Stendhal, ‘tombeur de femmes’ anche lui, ma più velleitario e meno fortunato di Filippo, quando si accorse, facendo la corte alla contessa Giulia, moglie di Filippo Cini (tav. 13c) di avere in Filippo un formidabile rivale, già entrato da tempo nella grazie della gentildonna, e suo riconosciuto e accettato ‘cavalier servente’, e che quindi le sue ‘avances’ avevano generato una certa freddezza nei loro rapporti, ebbe una franca

7 Alcuni ricordi di Michelangelo Caetani, duca di Sermoneta: raccolti dalla sua vedova (1804-1862) e pubblicati pel suo centenario, con un saggio introduttivo e a cura di g monsagrati, [Roma], «L’ Erma» di Bretschneider, [2005].

8 L’ 11 giugno 1832, cioè poco più di un anno dopo il suo arrivo a Civitavecchia e a Roma, così scriveva all’amico Adolphe de Mareste, parlando della sua vita pubblica e privata a Roma, e mostrando già grande intimità con la famiglia Caetani: «Cet appartement [a Palazzo Cavalieri] est à deux pas du palais Caetani; les trois princes de ce nom sont mes meilleurs amis. Leur mère, ancienne amie de P.-L. Courier, me donnait une occasion charmante de bavarder le soir, mais elle a une maladie de femme depuis trois mois; elle est à peine hors de danger (…)». Cfr. stendhal, Correspondance générale, édition de v. del litto (…). Paris, Champion, 1999, tome IV (1831-33), p. 442.

9 Lettera a Domenico Fiore, Rome, 11 mars 1841 (Correspondance générale, tome VI [1837-1842], p. 451).

MASSIMO COLESANTI 324

spiegazione con l’amico durante un ballo al teatro d’Alibert, il 16 febbraio 1836, e rinunciò, si tirò indietro: «Sacrifice fait», scrisse sui margini di un suo libro10. Ma Stendhal non dimentica anche, di ricordare, in una pagina della sua Vie de Henry Brulard, che dal suo canto Filippo, in un salotto romano da dove lui, Stendhal, era appena uscito, lo aveva difeso apertamente dall’accusa di ‘immoralità’ che gli era stata subito mossa: Don Filippo Caetani me rendait cette justice que j’étais l’un des hommes les moins méchants qu’il eût jamais vus, quoique ma réputation fût d’homme d’infiniment d’esprit, mais bien méchant et encore plus immoral11.

Ma c’è ancora da dire che Stendhal, nelle sue lettere e nei suoi appunti, citando molte altre volte Filippo, ne sottolinea spesso proprio quelle qualità d’ironia e di spigliatezza, che Fiorani ha ben individuate e studiate, sia che lo chiami, con ironia affettuosa, «Don Philippe Boutade», cioè dalla pronta e vivace ‘battuta’, sia che ricordi una lunga passeggiata con lui, affermando che per la sua ‘verve’ ha sempre bisogno di «un aiutante di campo» per conversare, sia per lodarne il gusto, il ‘bon ton’, e l’amore per l’arte e per la pittura soprattutto, ed esaltandone le «délicieuses caricatures». Per tutto questo non c’è dunque da meravigliarsi se in uno dei suoi numerosi testamenti, dell’ 8 giugno 1836, Stendhal legasse proprio a Filippo la sua biblioteca di Roma, libri che poi, dopo la sua morte, ebbero altre vicende, e alcuni sono conservati ora nel Fondo stendhaliano della Fondazione Primoli12. Ed è direi naturale che la prima persona cui egli pensasse per introdurre il cugino grenoblese Ernest Hébert, allora giovane ‘prix de Rome’ e poi famoso pittore, nell’ambiente artistico romano, fosse appunto l’amico Filippo, cui indirizza nel gennaio del 1840 una letterina di presentazione che vale la pena di rileggere in questo contesto:

10 Ecco la postilla integrale, scritta a matita sui margini del vol. IX di una edizione da lui posseduta dei Mémoires di Saint-Simon: «Sacrifice fait, c[omte]sse Sandre, 8-17 février 1836. Voilà le beau de ce caractère: c’est que le sacrifice était fait au bal Alibert du 16 février, mardi, quand D[on] F[ilippo] me parle. La brouille avec moi durait depuis le bal anglais, 8 février 1836» (Cfr. stendhal , Œuvres intimes, édition établie par v. del litto, Paris, Gallimard, 1981-82 [Bibliothèque de la Pléiade], II, p. 274). La ‘comtesse Sandre’ designa, nel linguaggio criptico di Stendhal, la contessa Cini, dal latino cinis, in italiano cenere, in francese cendre, che si pronuncia sandre (che peripezia!); su tutto l’argomento, si veda il capitolo La contessa Sandre, nel cit. volume di trompeo, Nell’Italia romantica, pp. 273-330.

11 Cfr. Vie de Henry Brulard, cap. XXVIII, in Œuvres intimes, II, p. 804.

12 Su tutti questi ed altri episodi, si vedano le edizioni citate delle Œuvres intimes, vol. II, passim, e della Correspondance générale, tomi IV-VI, passim

L’IRONIA DI DON FILIPPO E L’AMICIZIA CON STENDHAL 325

326

A Sua Eccelenza [sic]

Il Principe D[on] Filippo Caetani

Palazzo Sermoneta

Via delle Botteghe Oscure

Roma

Permettez-moi, cher ami, que je vous présente M. Ernest Hébert qui vient d’obtenir le grand prix à Paris à l’âge de 17 ans. Ce jeune homme est compatriote de Barnave et a peut-être une âme. Si vous en avez le temps, sortez avec lui et menezle chez Tenerani. Nous avons de terribles sculpteurs à Paris et je voudrais que M. E. Hébert vit qu’on fait autrement ailleurs et que Paris n’a pour lui que l’esprit du Charivari et l’art d’intriguer.

Come si vede da tutto questo, si tratta di testimonianze lasciate tutte direttamente da Stendhal, mentre – il che è almeno curioso, strano, ma forse anche significativo – nulla o quasi è stato ritrovato finora direttamente dalla parte di Filippo, né note, né allusioni, né lettere a Stendhal. Se si eccettua la presunta caricatura di Stendhal fatta da Filippo, cui ho già accennato, alla quale è da aggiungere un altro autoritratto di Filippo, sempre ad acquerello, e che si ritrova, nientemeno, fra i fogli del manoscritto della Vie de Henry Brulard14, non c’è un rigo di Filippo, fra le sue carte d’archivio, in cui si parli di Stendhal, come non è stata ritrovata nemmeno una lettera di Stendhal a lui diretta nel ben lungo periodo da lui trascorso a Parigi, dal maggio 1836 al giugno 1839. Possibile che Stendhal, che intrattenne, in quei suoi tre anni parigini così felici e fecondi, una fitta corrispondenza coi suoi molti amici e conoscenti romani, e che per esempio, nelle numerose lettere al conte ed alla contessa Cini, non dimentica mai di mandare i saluti ai comuni amici Caetani, e a Filippo in particolare, non abbia scritto nemmeno una volta, direttamente, a Filippo, e che Filippo, almeno una volta, non gli abbia risposto? Nulla. Così come è altrettanto curioso che, sempre nell’archivio e nella biblioteca Caetani, non sia rimasta nemmeno una traccia del ‘passaggio’ frequente di Stendhal. Non dico una sua pubblicazione, un libro, una novella, di tutto ciò che egli pubblicava a Parigi, in libreria e nella «Revue des Deux Mondes» (La Chartreuse, L’ Abbesse de Castro,

13 Questa breve lettera di presentazione probabilmente non fu consegnata se si è ritrovata tra le carte di Hébert; l’autografo si trova infatti oggi al Museo Hébert di Parigi (cfr. Correspondance génerale, Tome VI (1837-1842), p. 1840).

14 Cfr. stendhal, Vie de Henry Brulard écrite par lui-même, édition diplomatique du Manuscrit de la Bibliothèque de Grenoble, présentée et annotée par g. rannaud, trascription établie par g et y rannaud, Paris, Klincksieck, 1996-1999, 3 voll.; vd. vol. I, p. 215.

MASSIMO COLESANTI

Les Cenci, ecc.), e che, a suo dire, aveva ‘copiato’, cioè tratto e tradotto dai manoscritti originali, letti e fatti trascrivere almeno in parte, e molto probabilmente, proprio a palazzo Caetani, perché in questo caso si può pensare ad una specie di ‘censura’, o di ‘timore della censura’, che vigeva a Roma sui libri dello scomodo console francese. Ma come mai non si ritrova nemmeno uno di questi manoscritti originali? Feci molti anni fa, insieme con Luigi, un’accurata ricerca in tal senso: preparavo il grande convegno su Stendhal, Roma, l’Italia (1983), e speravo di offrire nella mostra allestita in quell’occasione qualche bel ‘pezzo’; ma l’unico manoscritto che riuscimmo a scovare (e ci mancherebbe che non ci fosse nemmeno questo), fu la seconda parte della lunga Vita di Don Ruggiero (che era il «Dottor Ruggier Carlo da Gaeta Romano», antenato dei nostri Caetani), che Stendhal possedeva trascritta in ben cinque volumi dei suoi manoscritti italiani, oggi conservati nella Bibliothèque Nationale de France, a Parigi15. Può darsi benissimo che Stendhal abbia fatto trascrivere nell’Archivio Caetani questa ‘Vita’ soltanto; ma allora come mai proprio in quella biblioteca mancano le copie dei resoconti di quei ‘tragici avvenimenti’, di Beatrice Cenci, di Vittoria Accoramboni, ecc., presenti invece in quasi tutte le altre biblioteche romane e non romane, patrizie o non patrizie?

Tanti misteri, dunque, che forse hanno la chiave nella situazione attuale dell’Archivio Caetani, che non è stato ancora catalogato sistematicamente fino in fondo, come mi disse allora Luigi, e come mi ha ripetuto ora Caterina Fiorani, riferendosi in particolare anche e soprattutto alle carte di Filippo. E c’è da augurarsi che, alla fine, qualche testimonianza verrà fuori.

Non è un mistero invece che Stendhal non parli mai dei versi di Don Filippo, scritti in gran parte dopo la sua morte a Parigi nel 1842; ma anche se avesse potuto leggerli o ascoltarli, non credo che li avrebbe trovati entusiasmanti, o all’altezza delle caricature, come del resto scrive Fiorani, che pure vi si ferma più di una volta, dandone un giudizio abbastanza negativo. Ne ho letti alcuni, fra gli ‘scartafacci’ autografi, e in bella copia, che mi ha prestato gentilmente Caterina Fiorani (che qui ancora ringrazio), e non posso che confermare il giudizio di Luigi: sono versi assai facili se non mediocri e scadenti, burleschi, certo (filastrocche, poemetti, ecc.), e appena con qualche barlume di autentica poesia, quando Filippo cede al suo assai tenue e

15 Cfr. Stendhal a Roma. Catalogo della Mostra, Roma, Museo Napoleonico, 7 novembre 1983 – 7 gennaio 1984, a cura di m. colesanti, a. jeronimidis, l. norci cagiano, a. m. scaiola, Roma, Edizioni dell’Elefante, 1983, p. 57, n. 44.

L’IRONIA DI DON FILIPPO E L’AMICIZIA CON STENDHAL 327

saltuario lirismo, come nei pochi versi de La lucciola che cita Fiorani16 e che hanno un sapore quasi leopardiano; li trascrivo qui di nuovo:

Tu luccioletta nelle lusinghiere estive notti alla campagna torni; ma non tornan per me, le dolci sere; felici notti di più lieti giorni.

In queste ‘poesie’, l’ironia diviene «più uno stanco gioco che un’attitudine intellettuale», scrive ancora giustamente Fiorani17, anche in alcuni sonetti in slavato romanesco, lontanissimi dal genio vigoroso del contemporaneo Giuseppe Gioachino Belli, come può immediatamente risultare dalla lettura di questo sonetto18:

A Volpicelli

Ce volete crepà, sor Professore:

Ce volete crepà. La Sora Checca

Sapete ch’è una femmina d’onore;

Voi lo sapevio che non ce se becca:

Ma tutte quante ste capoccie dotte

Se vanno a strufinà come fa er micio

E credeno trattà colle mignotte:

E se senteno dì quanto sei cicio.

Che serve a sta a guardà cor canocchiale

Tutta la notte quer che fa la Luna; Quanno se vesta poi come un stivale.

Che dopo avé studiato notte e giorno, Tante vorte s’arriva cor procaccio

E tante vorte non s’arriva un corno.

Se mai, risultano più curiosi, come divertito esercizio di approssimazione parodica, o di snobistica scimmiottatura, alcuni sonetti vergati da Filippo in parte in italiano e in parte in francese, come per irrobustirli giocosamente con un guizzo di ironico ‘esprit’. E citerò, come ultima esemplificazione, proprio uno di questi ibridi pasticci, indirizzato, come l’altro citato prima, e come quasi tutti i suoi versi, all’amico e coetaneo Paolo Volpicelli (1804-1879),

17 Ibidem.

18 Archivio Caetani, Carte di Filippo Caetani, Esercizi poetici, I.

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16 fiorani, Introduzione, p. 22.

illustre professore di fisica matematica alla Sapienza, e ridotto qui affettuosamente a bersaglio preferito dei suoi un po’ fiacchi strali scherzosi19: Maccarese.

A Mr le Professeur Volpicelli de Monteron

Sonetto ou Sonnet

Se tu non vieni mai, cher Professeur, Tu che già tanto mi solevi amar, Mi troverai schiattata in riva al mar, Infedele Cochon de Séducteur.

Abbi, dunque, pietà de ma douleur, Se credi la mia vita di salvar, Vienimi a Maccarese a consolar:

Vieni a veder en fricassò mon coeur!

Vieni a veder se quanto mai è fedel: E com’è stato in vita mia toujours!

Vieni, dunque e non essere cruel:

Vieni à jouir d’un eternel amour! Il sera Romanesque un Volpicel De voir arriver en Troubadour.

Di tutt’altra qualità e di ben più alto valore sono le sue caricature che non a caso prendono di mira soltanto la nobiltà e la Curia del tempo, cioè il suo mondo, quello che egli frequenta e conosce bene, e che non vorrebbe veder tramontare, e sul quale però è come costretto a infierire per l’obiettiva arretratezza che vi riscontra, per le sue piccole e risibili ambizioni, la sua falsa e ostentata e dunque vuota, inconsistente onorabilità. L’ ironia di queste immagini, che spesso trascende in satira amara e sarcastica, più che demolire e distruggere, tende quasi a risvegliare, e a mostrare, a mettere a nudo magagne fisiche e morali, o meglio morali attraverso la deformazione amplificata dei tratti fisici, tende cioè a svelarne «impietosamente», scrive Fiorani, «la vera effigie; l’effigie nascosta e risibile dei personaggi portati in scena. Il procedimento è chiaro. Filippo non mette loro la maschera, ma, al contrario, gliela toglie»20

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19 Ibidem. 20 fiorani, Introduzione, p. 19.

Fiorani dedica a questa galleria quasi tutto l’ultimo paragrafo del suo studio, che intitola significativamente Il circo: un circo animato solo da buffoni e pagliacci smascherati, e che quindi non possono fingere di essere quello che in realtà sono. Essi appaiono inconsapevoli e perciò risibili protagonisti di una farsa veritiera e drammatica. Certo, la tecnica che adopera Filippo è sempre quella già allora assai sperimentata della deformazione dell’aspetto reale, o dell’accentuazione di alcuni salienti tratti fisici, somatici, psichici: Filippo non si sottrae alla regola. E si vedano ad esempio alcune di queste caricature, quasi tutte le stesse sulle quali anche Fiorani si è fermato: il barone Carlo Ancajani (1763-1842), governatore di Castel Sant’Angelo (tav. 13d), ridotto a grosso gufo bonario, ma flaccido nella sua decrepitezza, e non certo autoritario e marziale; il balì del Sacro Ordine di Malta (ordine a cui anche Filippo apparteneva), fra’ Carlo Candida (1762-1845), la cui elegante ‘silhouette’ quasi si risolve solo nel bel ‘costume’ e nelle insegne onorifiche ostentate (tav. 14a); il principe Clemente Rospigliosi (1823-1897), dal naso adunco e dalla gobba ben profilata, che sembrano caricarsi dei torti subiti dalla sua chiacchieratissima moglie (tav. 14b); il principe Alessandro Torlonia (1800-1886), che conserva, diabolicamente esaltati nel volto e nell’abito, i tratti borghesi e affaristici della sua famiglia di origine francese (tav. 14c); il duca Carlo Colonna (1825-?), che appare come uno stralunato lupo mannaro in frac (tav. 14d); la graziosa Louise Vernet (1814-1843), figlia del pittore Horace (allora direttore dell’Accademia francese di Villa Medici), che muove un passo di danza con il massiccio segretario dell’ambasciata russa a Roma, Kritzkoff (tav. 15a), come una libellula avvinta a un pachiderma. E si potrebbe continuare, sfogliando più che il catalogo della mostra, che è una scelta, i due album che le contengono tutte 21 .

Ma a questo punto ci si chiede, ci si deve chiedere quale sia oggi l’effettivo valore di queste splendide caricature. Fiorani esclude, a ragione, una loro carica di critica sociale, ma insiste invece sul loro valore di testimonianza, di documento, come viziato però dall’appartenenza dell’autore alla stessa ‘casta’ oggetto della sua ironia, e quindi dalla motivazione lirica che le trasforma però da oggetto in soggetto, da documento in opera d’arte. In altri termini, egli lascia almeno intendere che in molti casi, tali documenti hanno

21 Gli album sono due: il primo contiene 90 immagini (acquerelli, disegni, schizzi, ecc.) su 52 fogli; il secondo è più ampio, e ne contiene 156 su 98 fogli; non tutte le immagini sono di Filippo: una buona parte sono firmate o attribuibili al fratello Michelangelo, al Tenerani e ad altri; se ne veda l’elenco preciso alla fine dello stesso catalogo (pp. 155-212), con la riproduzione anche delle immagini, ma in bianco e nero e in formato ridotto. Comunque, quelle su cui mi fermo, e che riproduco dall’originale, sono tutte sicuramente di Filippo.

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MASSIMO COLESANTI

o possono avere oggi valore di simboli o di allegorie, che prescindono in certo senso dallo spunto, dal personaggio storico che li ha provocati, perché trovano in se stessi, nella loro forma e resa artistica, la loro giustificazione.

Baudelaire, in un suo celebre saggio, distingueva nettamente due tipi o specie di caricature, entrambe preziose e notevoli a titolo diverso e quasi contrario: quelle che valgono solo per il fatto o il personaggio che rappresentano, e che interessano gli storici, e quelle che contengono un elemento misterioso, più durevole, e che attirano invece l’interesse degli artisti, e direi anche del più largo pubblico. Con la sua grande sensibilità di poeta, ed il suo gusto di critico d’arte, egli distingueva il comico fuggevole da quello eterno: e conviene, proprio a proposito delle caricature di Filippo, rileggere almeno un brano di queste sue riflessioni preliminari: Dans la caricature, bien plus que dans les autres branches de l’art, il existe deux sortes d’œuvres précieuses et recommandables à des titres différents et presque contraires. Celles-ci ne valent que par le fait qu’elles représentent. Elles ont droit sans doute à l’attention de l’historien, de l’archéologue et même du philosophe; (…) Comme les feuilles volantes du journalisme, elles disparaissent emportées par le souffle incessant qui en amène de nouvelles ; mais les autres, et ce sont celles dont je veux spécialement m’occuper, contiennent un élément mystérieux, durable, éternel, qui les recommande à l’attention des artistes. Chose curieuse et vraiement digne d’attention que l’introduction de cet élément insaisissable du beau jusque dans les œuvres destinées à représenter à l’homme sa propre laideur morale et physique ! Et, chose non moins mystérieuse, ce spectable lamentable excite en lui une hilarité immortelle et incorrigible 22 .

Ebbene, specialmente in alcune se non in tutte queste immagini lasciateci da Filippo, penso ad esempio a quella che rappresenta l’ambasciatore di Francia a Roma nei primi anni ’30 (tav. 15b), il conte de Sainte-Aulaire (17881854) – il ‘superiore’ di Stendhal! – che parlotta galantemente (pettegolezzi, amore?) con la principessa Teresa Massimo Del Drago, la quale volge la testa un po’ indietro per ascoltarlo; in alcune di queste immagini, dicevo, il valore aneddotico-documentario cede all’efficacia divertita, ironica e allegorica della rappresentazione scenica, cioè all’opera d’arte, e s’impone ancora oggi, come un paradigma simbolico di umanità, alla nostra ammirazione. E dobbiamo tutti esser grati a Luigi Fiorani, alla sua memoria, per avercela procurata.

22 Cfr. ch. baudelaire, De l’essence du rire et généralement du comique dans les arts plastiques, in Œuvres complètes, texte établi, présenté et annoté par c. pichois, Paris, Gallimard, II, 1976 (Bibliothèque de la Pléiade), pp. 525-526.

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RICERCA IN CORSO SULLA VITA E L’ OPERA DI ROFFREDO CAETANI*

Introduzione.

Quando Luigi Fiorani mi chiese se volevo scrivere una biografia del compositore Roffredo Caetani (1871-1961), non ebbi bisogno di riflettere a lungo. Risposi che l’avrei fatto con piacere ma che i miei impegni accademici all’Università di Utrecht non mi consentivano di dedicarmi a un simile progetto a breve scadenza. Alcuni giorni prima di questo colloquio egli mi aveva aperto, all’Archivio Caetani, le ante del grande armadio di mogano contenente il lascito musicale di Roffredo: musica a stampa, partiture e minute autografe, libretti d’opera a stampa e bozze di tali libretti. Egli mi diede in visione anche una piccola raccolta di programmi di concerti e recensioni. Trascorsi in quell’occasione molte ore accanto al grande armadio, perché volevo rendermi bene conto non solo del volume e della natura dell’opera ma anche e soprattutto della qualità di questa.

Non avevo mai ascoltato, e neppure avuto sottocchio, una composizione di Roffredo Caetani. Eppure il suo nome non mi era del tutto sconosciuto, dal momento che Sophie Levie mi aveva più di una volta menzionato il compositore in quanto consorte di Marguerite Chapin. Il mio interesse era stato inoltre destato dal fatto che Roffredo Caetani apparteneva alla stessa generazione di Ferruccio Busoni, della cui musica mi sono occupato per tanti anni nelle mie ricerche.

Fin dal primo incontro con il lascito musicale di Roffredo fu subito evidente che la sua produzione aveva dimensioni relativamente modeste. Si tratta, infatti, di poco meno di venticinque opere: sei per orchestra, otto per diversi complessi da camera (tra i quali due per complessi vocali-strumentali), cinque per pianoforte, uno per organo, uno per coro e organo e infine due opere liriche. Alcune opere che potei esaminare più accuratamente, come il Quintetto per pianoforte

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

paul op de coul
* Traduzione dall’olandese a cura di Cecilia Tavanti, Roma. Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013

e archi op. 4 e il secondo Quartetto d’archi op. 12 colpivano per la loro qualità inequivocabile e l’espressività intensa. Anche l’opera lirica Hypatia attirò la mia attenzione, si tratta però di un componimento troppo vasto e complesso per poterne dare una valutazione in poco tempo. La mia conclusione provvisoria fu che nell’armadio di mogano albergava un autentico tesoro, che meritava di essere illustrato in un saggio monografico nonché riscoperto da musicisti. Nell’esame dei programmi di concerto e delle recensioni che sono custoditi presso l’Archivio Caetani, emersero alcuni fatti di un certo rilievo. Con mia grande sorpresa scoprii che nel primo decennio del secolo scorso Parigi aveva ospitato un numero considerevole di esecuzioni delle composizioni di Roffredo. Altrettanto inatteso il fatto che si trattava di esecuzioni realizzate da orchestre, direttori e musicisti di fama, quali l’Orchestra Lamoureux diretta da Camille Chevillard, l’Orchestra Colonne diretta da Édouard Colonne, il Quartetto Capet, il Quartetto Geloso, il violinista Eugène Ysaÿe e il pianista Alfredo Casella.

La mia visita all’archivio e il colloquio con Luigi Fiorani ebbero luogo nell’ottobre 1994. In quell’occasione egli mi mostrò anche, o meglio mi diede perché lo leggessi, il testo della sua relazione al convegno La musica a Roma attraverso le fonti d’archivio, che si era svolto a Roma nel 1992. Il titolo di questa sua relazione recita: Roffredo Caetani (1871-1961), una vocazione per la musica1 Si tratta di un eccellente e ben documentato profilo biografico che colloca il compositore nel contesto storico e culturale dell’epoca, con epicentro la città di Roma. Ovviamente Fiorani in quanto storico non si occupa dell’inquadramento storico-musicale della produzione del nostro né tantomeno della valutazione estetica o analitica di questa. Il suo contributo conteneva invece un elenco delle composizioni dell’autore. Insieme alla voce del Dizionario Biografico degli Italiani redatta da Benedetta Origo2, la relazione di Fiorani a quel convegno è tuttora tra le cose migliori pubblicate su Roffredo Caetani. Esse formano pertanto un buon punto di partenza per proseguire la ricerca.

La vita e le opere.

La presente ricerca, cominciata in maniera effettiva solo nel 2009, intende approdare ad un saggio monografico che consideri sia la vita di Roffredo

1 l fiorani, Roffredo Caetani (1871-1961), una vocazione per la musica, in La musica a Roma attraverso le fonti d’archivio. Atti del Convegno internazionale Roma 4-7 giugno 1992, a cura di b. m. antolini et alii, Lucca, Libreria Musicale Italiana, 1994, pp. 573-579.

2 b. origo, Caetani, Roffredo, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 16, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1973, pp. 224-226.

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Caetani che la sua produzione musicale. La parte biografica illustrerà anche il contesto sociale, politico e culturale in cui si dispiegò la sua esistenza e dove furono composte ed eseguite le sue opere. Nella valutazione critica delle composizioni si presterà particolare attenzione, per quanto rilevanti e chiarificatrici, alle relazioni tra biografia, contesto e opera musicale.

La redazione di una simile biografia, richiede anche fonti di genere completamente diverso rispetto ai documenti rinvenuti nell’armadio summenzionato. Mi riferisco alle fonti in grado di gettare luce su argomenti specifici, come ad esempio il personaggio Roffredo, la famiglia nella quale egli crebbe, il suo sviluppo intellettuale e la formazione artistica, le sue idee sulla società, la politica e l’arte, l’immagine che aveva di sé come compositore, le eventuali tensioni tra la sua attività artistica e i suoi doveri in quanto membro di un’influente famiglia nobile romana, la sua vita privata, le relazioni sociali, i suoi viaggi in Europa ed extraeuropei, e infine, ma non meno importante, i luoghi dove egli, oltre a Roma, visse ed operò. Tutti temi sui quali possediamo pochissime informazioni.

Non avendo Roffredo Caetani, per quanto a nostra conoscenza, messo per scritto le proprie memorie né tantomeno tenuto un diario personale, il biografo dipende dalle lettere. Il fatto che la corrispondenza di Roffredo con la famiglia e le lettere di altre persone a lui indirizzate si siano in gran parte conservate è dunque per lo storico una benedizione. La collezione fa parte del carteggio di famiglia che si trova all’Archivio Caetani; alcune delle lettere di Roffredo al fratello Leone sono custodite all’Archivio Leone Caetani presso l’Accademia Nazionale dei Lincei 3 .

Dell’intera collezione di lettere inviate e ricevute da Roffredo il nucleo di gran lunga più consistente è quello relativo allo scambio epistolare con il padre, caratterizzato inoltre da una notevole continuità. Onorato Caetani, infatti, voleva essere informato con regolarità e precisione di quello che il figlio faceva, quando questi, o lui stesso, era assente da Roma per qualche tempo. Quando questo accadeva – in effetti relativamente spesso – Roffredo scriveva a suo padre almeno una volta a settimana, arrivando non di rado anche a due o tre volte. Il cospicuo patrimonio di lettere così venuto a crearsi comprende il periodo che va dai dieci ai quarantacinque anni di Roffredo, vale a dire dai primi anni Ottanta dell’Ottocento al 1917, anno in cui Onorato morì. Lo scambio epistolare con la madre Ada, nata BootleWilbraham, è in effetti meno intensivo ma ha inizio ugualmente nella sua

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IN CORSO SULLA VITA E L’OPERA DI ROFFREDO CAETANI 335
3 Vedi p. ghione – v. s. rossi, L’ archivio Leone Caetani all’Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, «L’ Erma» di Bretschneider, 2004, p. 112.

infanzia e si protrae fino agli anni Trenta. E poi vi è anche la corrispondenza con la moglie Marguerite, circoscritta naturalmente ai periodi in cui i due vivevano distanti uno dall’altra.

Weimar, Bayreuth, Magonza, Parigi. Nel corso della ricerca è emerso che anche alcuni archivi fuori d’Italia possiedono materiale di straordinario interesse. Questo riguarda in particolare archivi situati nelle città di Weimar, Bayreuth, Magonza e Parigi. Weimar, per via degli stretti vincoli di amicizia esistenti tra Carlo Alessandro, granduca di Sassonia-Weimar-Eisenach, e Michelangelo, Onorato e Roffredo Caetani. Principe amante dell’arte, con uno spiccato interesse per la letteratura, l’arte visiva, la musica e il teatro, Carlo Alessandro era orgoglioso di ospitare alla propria corte Franz Liszt in qualità di direttore straordinario della cappella di corte. Egli promosse il primo contatto tra Liszt e il nonno di Roffredo, Michelangelo 4; in più di un’occasione si recò in visita a Palazzo Caetani mentre Roffredo fu alcune volte suo ospite negli anni Novanta dell’Ottocento. Al granduca Roffredo dedicò «con profondo rispetto» la prima delle sue composizioni pubblicate, il Quartetto d’archi op. 1 scritto nel 18875. Anche dopo la morte di Carlo Alessandro, avvenuta nel 1901, il rapporto di Roffredo con Weimar non si interruppe, giacché nel 1926 vi ebbe luogo la prima del suo melodramma Hypatia.

Bayreuth, in quanto la prima visita di Roffredo al Festival di quella città nell’estate del 1886 rappresenta l’inizio di una lunga serie di viaggi con questa destinazione. La prima volta, all’età di quattordici anni, vi si recò insieme al padre che era un grande ammiratore di Richard Wagner. A poco a poco la permanenza a Bayreuth divenne per Roffredo molto più di una semplice visita al Festival e nell’assumere chiaramente il carattere di un soggiorno di studio divenne parte della sua formazione musicale e musico-teatrale. Spesso egli assistette a più rappresentazioni delle opere che erano in programma per la singola estate. Così nel 1896 seguì tre cicli completi de L’ Anello del Nibelungo. Portava sempre delle partiture con sé e a volte prendeva un pianoforte a noleggio. In particolare l’abitudine di seguire più rappresentazioni di una medesima opera comportava che egli si fermasse normalmente

4 k. hamburger, Franz Liszt et Michelangelo Caetani, duc de Sermoneta, «Studia Musicologica Academiae Scientiarum Hungaricae», XXI (1979), pp. 239-265.

5 r. caetani, Quartetto (re mag.) per due Violini, Viola e Violoncello, Mainz, B. Schott’s Söhne, [1889]. L’ incarico figura sulla pagina successiva al frontespizio della partitura.

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almeno un mese a Bayreuth. In queste occasioni egli era un gradito ospite della vedova di Wagner, Cosima. Il Festival era inoltre un’ottima occasione per conoscere personaggi influenti del mondo musicale internazionale. Uno di quegli incontri sarebbe stato decisivo per la sua affermazione come compositore nella Parigi dei primi anni del nuovo secolo.

A Magonza ha sede la rinomata casa editrice Schott, che pubblicò la maggior parte della produzione di Roffredo Caetani. Il lunghissimo rapporto tra il compositore e il suo editore diede vita a un nutrito scambio epistolare e dalle lettere di Schott, anch’esse conservate all’Archivio Caetani, si desume che le epistole di Roffredo contengono informazioni estremamente interessanti su un gran numero di aspetti delle sue composizioni. Se le origini del contatto con la casa editrice tedesca non sono state accertate, è però probabile che Giovanni Sgambati, presso il quale Roffredo studiò pianoforte, lo abbia in qualche modo favorito. Le sue opere facevano infatti fin dal 1877 parte del catalogo delle pubblicazioni di Schott6 . Una visita all’archivio di casa Schott consentirà di fare maggiore chiarezza anche su questo punto.

Chi abbia avuto modo di leggere o sentito raccontare qualcosa della vicenda di Marguerite Chapin e Roffredo Caetani ricorderà senz’altro la romantica storia del loro primo incontro a Parigi. Marguerite era all’Opéra con il principe rumeno Emmanuel Bibesco, grande amante dell’arte ed esponente del fior fiore dell’aristocrazia parigina. Avendo invano fatto la corte a Marguerite, era lentamente giunto alla conclusione che forse il matrimonio non le interessava affatto. Lo stesso si era riproposto di trovare l’uomo giusto per lei. Questo era il motivo per cui all’Opéra la presentò a Roffredo pur sapendo che questi aveva deciso di rimanere scapolo. L’ intuizione di Bibesco si rivelerà giusta. «We became engaged in about a minute – just like that», avrebbe dichiarato Marguerite molti anni dopo7.

L’ incontro si svolse nel 1911. Dati interessanti sul soggiorno parigino di Marguerite sono emersi in questi ultimi anni grazie al saggio biografico di Helen Barolini8 e allo studio storico-artistico di Gloria Groom sul pittore

6 Durante una serata musicale a Palazzo Caffarelli a Roma, il 22 novembre 1876, Richard Wagner ebbe occasione di ascoltare i due Quintetti per pianoforte e archi op. 4 e op. 5 di Sgambati, e ne fu talmente colpito da suggerirne la pubblicazione all’editore B. Schott’s Söhne di Magonza (vedi s martinotti, Ottocento strumentale italiano, Bologna, Forni, 1972, p. 434).

7 h. barolini, Yankee Principessa: Marguerite Caetani, in Their Other Side. Six American Women and the Lure of Italy, New York, Fordham University Press, 2006, p. 190.

8 Ibidem, pp. 177-231.

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CORSO SULLA VITA E L’OPERA DI ROFFREDO CAETANI

Édouard Vuillard9. Ma che cosa spinse Roffredo a Parigi nel 1911? Lungi dall’aver avuto risposta, questa domanda non è stata mai nemmeno posta.

Roffredo Caetani e la contessa Elisabeth Greffulhe.

Nel quadro della ricerca sugli spostamenti di Roffredo Caetani, sui luoghi dove egli soggiornò per periodi più o meno lunghi, ho potuto accertare che a partire dal 1902 egli fu ogni anno per lungo tempo nella capitale francese. Con l’espressione ‘per lungo tempo’ si intendono, più precisamente, periodi di cinque fino a dieci mesi, che spesso iniziavano a settembre o ottobre. Insomma, tra il 1902 e il suo incontro con Marguerite, Roffredo trascorse molto più tempo a Parigi che a Roma. E la cosa è singolare visto che ogni volta di nuovo egli aveva nostalgia per la cerchia familiare romana. Quello che lo trattenne in quegli anni a Parigi, tuttavia, fu l’ambizione di veder eseguite le sue opere in una delle grandi città europee della musica, di portarle all’attenzione di un pubblico molto critico e di conquistare ancor più difficili critici musicali.

Colei che rese possibile il raggiungimento dell’obiettivo, e di fatto ne condusse la regia, fu la contessa Elisabeth Greffulhe. Nella Parigi della Belle Époque la contessa Greffulhe era una figura di primo piano nell’ambito del mecenatismo musicale. Di importanza paragonabile a quell’epoca vi erano solo Marguerite de Saint-Marceaux, la principessa Edmond de Polignac e la contessa de Béarn. Ognuna interpretava il ruolo di mecenate a proprio modo. Marguerite de Saint-Marceaux riceveva nel suo salotto compositori, musicisti, esponenti delle arti visive e scrittori; la principessa Edmond de Polignac creò con il suo salotto un luogo dove venivano eseguite opere di cui lei stessa era la committente; la contessa di Béarn fece realizzare una gigantesca sala in stile neobizantino adatta ad accogliere esecuzioni di concerti e rappresentazioni di opere liriche e di danza; la contessa Greffulhe tenne un salotto dedicato ad iniziative di carattere musicale, ma volle far sentire la propria influenza anche nella vita musicale pubblica. In un recente studio la musicologa Myriam Chimènes ha mostrato in maniera convincente il rilevante impatto dell’azione del mecenatismo sul mondo musicale parigino tra 1870 e 193010.

9 g groom, An American Princess and the “Féerie bourgeoise”: The Commission for Mlle Chapin, 1910-1911, in Edouard Vuillard. Painter-decorator. Patrons and projects, 1892-1912, London/New York/Sydney/Toronto, BCA, 1994, pp. 179-199.

10 m. chimènes, Mécènes et musiciens. Du salon au concert à Paris sous la IIIe République, Paris, Fayard, 2004.

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Roffredo Caetani conobbe la contessa Greffulhe nell’estate del 1902 durante il Festival di Bayreuth11. Quest’incontro segnò l’inizio di una nuova fase nella sua carriera artistica. Una volta tornata a Parigi, la contessa cominciò ad operare come sua mecenate12. Si rivolse ai direttori d’orchestra Camille Chevillard, Édouard Colonne e Sylvain Dupuis, al pianista Alfred Cortot e al violinista Eugène Ysaÿe, per conoscerne la disponibilità ad eseguire le opere musicali del compositore ancora sconosciuto in Francia, del quale inviò anche alcune partiture chiedendo un giudizio al riguardo. L’ appassionata attività di promozione diede i suoi risultati in tempi sorprendentemente rapidi. E già ad ottobre, nello scenario del suo castello di BoisBoudran, non lontano da Parigi, furono eseguiti il Quintetto per pianoforte e archi op. 4 e la Sonata per violino e pianoforte op. 6. I musicisti provenivano dall’orchestra dei Concerti Lamoureux, di cui Chevillard era primo direttore. Due mesi dopo Chevillard eseguì con la sua orchestra il primo dei tre Préludes symphoniques op. 8. La maggior parte delle esecuzioni delle opere di Roffredo effettuate nel decennio seguente il 1902 a Parigi, Bruxelles e Monte Carlo fu conseguenza, più o meno diretta, dell’impegno e degli sforzi della contessa Greffulhe per porgere all’attenzione del mondo della musica l’opera del suo protetto13.

Roffredo stesso ebbe nella propria affermazione un ruolo di rilievo. Quasi sempre presente alle prove – dalle quali affermava di imparare moltissimo – intratteneva inoltre stretti rapporti con direttori e musicisti. Come già detto, tuttavia, era la contessa a condurre la regia ed egli era pronto a seguirne i consigli. Così, in considerazione del recente ingresso sulla scena musicale parigina, essa gli suggerì soprattutto di non richiamare l’attenzione sulle sue origini nobili, poiché questo avrebbe ostacolato pesantemente l’accettazione della sua opera da parte degli «scapigliati musicisti di Parigi»14. Nei primi anni di permanenza nella capitale francese questo riserbo fece sì che, nelle recensioni dei concerti dove venivano eseguite sue opere, l’unico cenno biografico sulla sua persona era che trattavasi di un «jeune compositeur italien».

11 Questo è quanto risulta da una lettera di Roffredo ad Onorato Caetani non datata ma senza dubbio scritta nell’agosto 1902 a Bayreuth (Archivio Caetani, Roma).

12 Alcuni esempi delle iniziative della contessa Greffulhe per promuovere la musica di Roffredo sono menzionate in chimènes, Mécènes et musiciens, pp. 659-661.

13 Nella sua biografia della contessa, Anne de Cossé Brissac si sofferma soprattutto sugli aspetti emozionali del rapporto tra Elisabeth Greffulhe e Roffredo Caetani (a. de cossé brissac, La comtesse Greffulhe, Paris, Librairie Académique Perrin, 1991).

14 Lettera di Roffredo ad Onorato Caetani, Parigi, 25 ottobre 1902.

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ROFFREDO CAETANI

Una produzione musicale interrotta.

La produzione di Roffredo Caetani è per una parte cospicua precedente la Prima Guerra Mondiale. Egli scrisse oltre la metà delle sue opere tra 1887 e 1905 e nel 1908 iniziò a lavorare al dramma musicale Hypatia. Quest’ultima datazione non coincide con la tesi corrente secondo la quale tale opera sarebbe successiva alla Grande Guerra, una convinzione cui deve aver senz’altro contribuito il fatto che la prima di Hypatia ebbe luogo nel 1926. L’ esame di tutte le fonti rilevanti disponibili, tuttavia, porta a conclusioni molto diverse riguardo alla genesi di questo dramma musicale. La prima bozza del libretto redatto in francese risale al 1908, la versione italiana completa è del 1910. Alla fine del 1913 è pronto l’abbozzo preparatorio dell’intera partitura. Nel maggio 1915, quando l’Italia dichiara guerra all’Austria-Ungheria, l’orchestrazione definitiva è già a buon punto. Come i fratelli Leone, Livio, Gelasio e Michelangelo coinvolto attivamente nel conflitto, Roffredo fece il servizio volontario per oltre un anno, dalla fine del maggio 1916 alla fine dell’agosto 1917. Egli riprese poi il lavoro e portò a termine la partitura di Hypatia nel 1918.

La corretta datazione di Hypatia evidenzia nell’attività creativa di Roffredo una lunga stasi finora passata inosservata. Terminata la Grande Guerra, infatti, ha inizio un periodo di totale assenza di composizioni che si protrarrà fino alla metà degli anni Trenta. Dopo questa fase, egli scrive oltre all’opera L’ Isola del Sole soltanto alcune brevi composizioni strumentali e vocali-strumentali.

Non è facile indicare il perché l’ispirazione compositiva lo abbandonasse così a lungo o per quali ragioni egli non si dedicasse per tanto tempo all’arte. Per il momento non possiamo che constatare che faccende diverse dal comporre ebbero, e forse dovettero avere, la precedenza. Ne citerò quattro. Anzitutto la cura della porzione di patrimonio immobiliare di Casa Caetani avuta in eredità alla morte di Onorato e poi aumentata considerevolmente in seguito alla scomparsa del fratello Gelasio nel 1934; in secondo luogo lo sviluppo – a partire dal 1920 – della Villa Romaine a Versailles a luogo di ritrovo per intellettuali e artisti, dove Roffredo assisteva la consorte Marguerite; terzo, il progetto, straordinariamente impegnativo in termini di tempo e di energie, per realizzare le diverse rappresentazioni di Hypatia a Weimar (1926), a Düsseldorf (1927) e poi a Basilea (1937); e infine i preparativi – dal 1925 – per la costruzione a Roma di una villa per la famiglia15. Vi è un’altra domanda, ugualmente interessante, che attende una risposta, e cioè

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15 Vedi c. benocci, Villa Tre Madonne. L’ Ambasciata del Belgio presso la Santa Sede e l’eredità spirituale di Giulio III, papa toscano, Roma, Editoriale Artemide, 2010, pp. 137-162.

che cosa lo spinse nel 1936, dopo aver deposto la penna per due decenni, a tornare nuovamente a comporre.

Influssi tedeschi e francesi.

Dopo aver composto il suo Quartetto d’archi op. 1 (1887) all’età di soli quindici anni, Roffredo Caetani scrisse per due decenni esclusivamente musica strumentale: opere per pianoforte solo, per diversi complessi da camera e per orchestra. La sua produzione musicale di questi anni si inserisce pienamente nel quadro della rinascita della musica strumentale in Italia, un movimento che iniziò a manifestarsi già all’indomani dell’unità nazionale e che produsse effetti tanto sul piano della produzione musicale che su quello dell’attività concertistica16. Importanti pionieri di questo movimento come Giovanni Sgambati e Giuseppe Martucci furono attivi in entrambi i campi. Insieme ad altri compositori che condividevano i loro ideali, come Marco Enrico Bossi e Leone Sinigaglia, essi si orientarono verso i grandi esempi della tradizione austro-tedesca della musica strumentale come Beethoven, Mendelssohn, Schumann, Brahms e Liszt. L’ influenza di questa tradizione è percettibile anche nelle opere strumentali di Roffredo, senza risultare però predominante né ostacolare lo sviluppo di un suo idioma personale. Non sorprende l’orientamento verso la poetica musicale austro-tedesca in un allievo di Sgambati, a sua volta allievo di Liszt. Ma ora che è accertato che fin dal 1902 Roffredo soggiornò ogni anno per lunghi periodi a Parigi, e naturalmente prese anche parte alla ricca vita culturale della città, l’attenzione si ferma involontariamente sul fatto che vi è pochissima ‘Parigi’ nelle opere composte in quegli anni: la Passacaglia per orchestra (1903), la Ballata per orchestra (1904), il Quartetto d’archi op. 12 (1905) e l’opera Hypatia (1908-1918)17. I nuovi universi musicali di Gabriel Fauré, Claude Debussy o

16 Pubblicato quasi quarant’anni fa, nel 1972, l’innovativo saggio Ottocento strumentale italiano di Sergio Martinotti (vedi n. 6) è tuttora un testo basilare per ogni ricerca sull’argomento. Negli anni passati sono apparsi contributi interessanti sulla dimensione musicale, su quella estetica e su quella storico-culturale del fenomeno, fra i quali: g. salvetti, I quartetti di Beethoven nella “rinascita strumentale italiana” dell’Ottocento, «Analecta Musicologica», XXII (1984), pp. 479-495; m pessina, Il repertorio sinfonico italiano 1861-1884, «Quaderni del Corso di Musicologia del Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano» 3 (1995), Musica strumentale dell’Ottocento italiano, a cura di g salvetti, Lucca, Libreria Musicale Italiana, 1997, pp. 11-136; r. valsecchi, Aspetti del quartettismo italiano dopo l’unità, ibidem, pp. 137-164.

17 Pur trattandosi della trascrizione di una delle Composizioni per pianoforte op. 9, risalente al 1899 circa, la Ballata per orchestra viene qui menzionata in quanto la sua orchestrazione si colloca nel periodo parigino di Roffredo.

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Maurice Ravel sembrano aver avuto a stento una qualche influenza su queste composizioni. Evidentemente Parigi era per Roffredo anzitutto un podio per la propria musica e non una fucina di rinnovamento musicale. Quando egli giunse in quella città i fondamenti del suo idioma musicale personale erano già interamente definiti. E il più importante di quei fondamenti è forse un’armonia tonale che è arricchita cromaticamente ma conserva i propri rapporti funzionali. In quel quadro armonico egli trovò spazio sufficiente per dispiegare la propria creatività compositiva. Altra caratteristica fondamentale è la strumentazione delicata, presente fin dalla sua seconda opera per orchestra, i Préludes symphoniques op. 8, la cui composizione si colloca poco prima della fine del secolo. Il cambiamento che intervenne quasi dieci anni dopo l’Intermezzo sinfonico per grande orchestra op. 2 (1889-1890), caratterizzato da un’orchestrazione un po’ pesante, potrebbe derivare dalla ricezione dell’arte della strumentazione francese fin de siècle. All’inizio del primo Prélude symphonique si incontrano particolari che confermano quest’ipotesi: gli archi sono divisi e suonano con sordina, la dinamica prescritta è pianissimo, l’arpa conferisce mediante arpeggi alcuni accenti di colore. Si tratta di particolari riscontrabili ad uno ad uno anche sulle prime pagine del Prélude à l’après-midi d’un faune (1894) di Debussy. Roffredo aggiunse peraltro alla sua tavolozza orchestrale l’arpa, tanto caratteristica del colorito dell’impressionismo francese, per la prima volta nei Préludes symphoniques.

Il «jeune compositeur italien» sembra insomma aver incorporato un aspetto specifico della musica moderna francese nel proprio idioma musicale, questo però alcuni anni prima che Parigi divenisse la sua seconda dimora.

Un direttore, un pianista e un compositore esprimono il proprio giudizio.

Nell’ottobre 1902, poco dopo aver conosciuto Roffredo a Bayreuth, la contessa Greffulhe chiese a Camille Chevillard e ad Alfred Cortot di esprimere un parere su alcune partiture del compositore che essa aveva fatto pervenire loro. Entrambi i musicisti diedero seguito alla richiesta e le risposero con una lettera. Lasciando da parte ogni frase di circostanza, essi dicono, così sembra, la loro opinione senza reticenze. Ciò rende questi documenti ancor più interessanti18.

Chevillard scrisse la sua lettera dopo aver assistito alle prove di musicisti della sua orchestra, che dovevano eseguire il Quintetto per pianoforte e archi op. 4:

18 Le epistole in questione sono approdate all’Archivio Caetani perché all’epoca, dopo averle lette, la contessa Greffulhe le inoltrava a Roffredo.

PAUL OP DE COUL 342

J’avais assisté à l’une de leurs répétitions et j’avais trouvé de réelles qualités dans le quintette du maestro Caetani, surtout dans les deux dernières parties, car le premier morceau de cette composition m’a semblé trop long.

Je ne serais pas surpris que les oeuvres de Mr. Caetani pêchassent par excès de longueur, ce défaut me semble être un des principaux de son intermezzo19 qui me ne semble pas en cela être d’accord avec son titre. aussi j’ai hâte de connaître d’autres oeuvres de cet artiste 20

(Ho assistito a una delle loro prove e potuto apprezzare qualità autentiche nel quintetto del maestro Caetani, soprattutto negli ultimi due movimenti, perché il primo mi è sembrato troppo lungo.

Non mi sorprenderebbe scoprire che le opere del M r. Caetani soffrono di eccessiva lunghezza; mi sembra uno dei principali punti deboli del suo intermezzo, che sotto quest’aspetto non mi sembra coerente con il titolo. non vedo perciò l’ora di conoscere altre opere di questo artista.)

Il venticinquenne Alfred Cortot, ancora agli inizi della sua considerevole carriera, scrisse:

Je viens de finir la lecture des trois oeuvres de M. Gaètani et je me permet de vous exprimer ma reconnaissance pour m’avoir donné la rare surprise de faire la connaissance d’un vrai et sincère musicien.

Le quintette surtout me plait infiniment; c’est une oeuvre élégante, solide et sérieusement conçue à la manière de Brahms.

L’ Intermezzo pour orch. me parait un peu uniforme de pensée et d’écriture, un peu lourd d’orchestre; au demeurant une oeuvre puissante.

Mais puis-je vous l’avouer?, le Trio21 me déplait totalement. On n’y trouve point les qualités d’inspiration et de facture du quintette; ce n’est autre chose qu’une honorable oeuvre d’élève.

Malgré ces quelques critiques, après la lecture de ces trois ouvrages, on a la réelle sensation d’être en présence d’une absolue valeur musicale. Je ferai certainement jouer le quintette chez moi.

(Ho appena finito di leggere le tre opere del M. Gaètani e mi permetto di esprimerle la mia gratitudine per la straordinaria sorpresa che mi ha procurato nel farmi conoscere un musicista autentico e genuino.

Soprattutto il quintetto mi piace molto; si tratta di un componimento elegante, solido e concepito seriamente alla maniera di Brahms.

19 Intermezzo sinfonico per grande orchestra op. 2 (1889-1890).

20 Lettera di Camille Chévillard alla contessa Greffulhe, 16 ottobre 1902 (Archivio Caetani, Roma). Si riporta il testo della lettera presente e di quella seguente senza alcun intervento redazionale.

21 Trio per pianoforte, violino e violoncello op. 5 (1894-1895).

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CORSO SULLA VITA E L’OPERA DI ROFFREDO CAETANI 343

L’ Intermezzo per orchestra mi sembra leggermente uniforme quanto a concezione e composizione, orchestrato in modo un poco pesante; ma a parte questo è un’opera potente.

Il Trio – posso essere sincero? – è invece una delusione. Mancano completamente sia l’ispirazione che la qualità compositiva del quintetto; non è altro che un onesto lavoro d’allievo.

Malgrado questi rilievi ho davvero l’impressione che si tratti di un talento musicale assoluto.

Sarò lieto di eseguire il quintetto a casa mia.)

Nel gennaio 1905, nel quadro dei Concerti Lamoureux, furono eseguiti due movimenti della Suite per orchestra op. 10 (1900) sotto la direzione di Pietro Mascagni. Su Le Figaro apparve una recensione scritta dal compositore Gabriel Fauré:

Hier, M. Mascagni, qui cette fois encore dirigeait l’orchestre aux ConcertsLamoureux, faisait entendre, en première audition, deux pièces intéressantes, essentiellement musicales et d’excellente tenue: l’ »Adagio« et le »Scherzo« de la Suite en si mineur de M. Roffredo Caetani.

La phrase principale de l’Adagio – qui fait un peu songer à une voix dans la nuit, sous les étoiles, – ample, expressive, se déroule et se prolonge de façon toute naturelle et dans une belle et chaude sonorité. Quant au Scherzo, très symphoniquement traité, il est construit, écrit et orchestré avec un soin, un art et une dextérité qui s’élèvent singulièrement au-dessus du »laisser aller« qu’affecte parfois la nouvelle école italienne.

Ces deux compositions de M. Caetani ont été très favorablement accueillies.

(Ieri Mascagni, che stavolta ha diretto l’orchestra dei Concerti Lamoureux, ha effettuato la prima esecuzione di due brani interessanti, molto armoniosi e di eccellente livello: l’ Adagio e lo Scherzo della Suite in si minore del M. Roffredo Caetani. Il tema principale dell’ Adagio – che ricorda vagamente una voce nella notte sotto un cielo stellato – è un’ampia melodia espressiva, che si dispiega con grande naturalezza ed è incastonata in un suono bello e caldo. Lo Scherzo, decisamente sinfonico, è modellato, scritto e orchestrato con una cura, un’abilità artistica e una perizia che spiccano in modo notevole rispetto al »laisser aller« che a volte caratterizza la nuova scuola italiana.

Le due composizioni del M. Caetani hanno avuto un’ottima accoglienza da parte del pubblico.)

Queste tre voci di oltre un secolo fa tornano oggi ad avere una chiara funzione: ci ricordano che la musica di Roffredo Caetani non deve rimanere nascosta negli archivi, e merita di essere riscoperta da storici della musica, musicisti e pubblico.

PAUL OP DE COUL 344

LA CORRISPONDENZA DI MARGUERITE CAETANI*

Alle origini della mia ricerca sulla rivista «Commerce». Ai fini di un inquadramento generale della ricerca in oggetto sarà utile illustrare le vicende che mi hanno condotta all’Archivio Caetani. Dopo aver concluso la tesi di laurea specialistica alla Facoltà di Lettere dell’Università di Amsterdam, ambivo a intraprendere la carriera accademica e per realizzare quest’aspirazione occorreva anzitutto redigere un’altra tesi, una tesi di dottorato. Seguendo le indicazioni del mio relatore, docente di Letteratura italiana, approdai alla scoperta del periodico «Commerce». La rivista, consultabile in Olanda in originale nella biblioteca universitaria di Amsterdam e in quella di Groningen, conteneva infatti poesie di Giuseppe Ungaretti1 oggetto di un saggio del professore Pieter de Meijer, che era per l’appunto il mio relatore di tesi 2. «Raccolga tutto quanto è stato scritto su quella rivista», fu la sua consegna da sviluppare nella tesi. Nella ricerca di articoli di carattere generale emersero in effetti alcuni studi interessanti sull’argomento3, tuttavia la totale

* Traduzione dall’olandese a cura di Cecilia Tavanti, Roma.

1 Giuseppe Ungaretti, Appunti per una poesia, «Commerce», IV; Appunti per una poesia (2), «Commerce», XII. La prima serie è composta da sette poesie che sono dedicate ‘a Benito Mussolini, in segno di gratitudine’. La seconda serie, anch’essa di sette poesie, è scritta, come la prima, in italiano e poi tradotta in francese dall’autore stesso. Ambedue le versioni sono accolte in «Commerce», XII: i testi in lingua italiana sono nella pagina sinistra quello francese nella pagina destra. La seconda serie è dedicata a Léon-Paul Fargue (cfr. s. levie, Commerce 1924-1932. Une revue internationale moderniste, Roma, Fondazione Camillo Caetani, 1989, p. 190 e segg.).

2 d aristodemo e p de meijer, Varianti di una stagione francese di Ungaretti Atti del Convegno Internazionale su Giuseppe Ungaretti, (Urbino 3-6 ottobre 1979), Urbino, Edizioni Quattroventi, 1979, pp. 111-144.

3 Individuai all’epoca sette articoli (cfr. levie, «Commerce», capitolo I, in particolare pp. 15, 16, note 4 e 7). La mia ricerca progredì soprattutto grazie agli articoli di Iris Origo e Giovanni Macchia (cfr. i origo, Marguerite Caetani, «Atlantic Monthly», CCXV, 1965,

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

sophie levie
Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013

assenza di saggi monografici dedicati al periodico fu per la sottoscritta motivo per fare di «Commerce» il tema della propria dissertazione.

La compilazione di un indice dei ventinove numeri di «Commerce» evidenziò ovviamente il marcato taglio internazionale del periodico (tra i tanti nomi vi erano quelli di T.S. Eliot e Virginia Woolf, Rainer Maria Rilke e Friedrich Nietzsche, Alexander Puškin e Leonid Pasternak) ma al contempo anche l’assoluta prevalenza degli autori francesi. «Commerce» aveva inoltre tre redattori francesi, che erano Paul Valéry, Léon-Paul Fargue e Valery

Larbaud: decisi dunque di recarmi a Parigi.

Del nome di Marguerite Caetani, tuttavia, la mecenate del periodico che dietro le quinte aveva le funzioni di caporedattore e in quelle vesti intratteneva un nutrito scambio epistolare con gli autori ammessi a pubblicare su «Commerce» – di nazionalità francese, tedesca, austriaca, italiana, britannica, americana e russa – non vi era alcuna traccia nella rivista. Al principio di questa mia indagine, dunque, non sapevo ancora che l’archivio di Palazzo Caetani racchiudesse un corpus di lettere che per qualunque storico della letteratura interessato alla letteratura internazionale del Novecento è come manna dal cielo.

Nel 1981 andai quindi un po’ alla ventura a Parigi e in seguito a Vichy, la cui Bibliothèque Municipale custodisce l’eredità di Valery Larbaud. La bibliotecaria conosceva nome e indirizzo dell’erede della famiglia Caetani, che avrei dovuto interpellare per la consultazione e la citazione delle epistole individuate a Parigi e Vichy. Fu così che scrissi a Sir Hubert Howard, a Palazzo Caetani a Roma, ottenendo poco tempo dopo, con grande gioia, non solo l’autorizzazione scritta ad esaminare un gruppo di lettere che Marguerite Caetani aveva inviato negli anni Venti e Trenta ad una serie di autori francesi, tra i quali André Gide, ma anche un suo invito a venire a Roma4.

Arrivata a Roma nel gennaio 1982, telefonai alla Fondazione Caetani. Mi fu detto che ufficialmente l’archivio era ancora chiuso per le ferie natalizie, ma considerato che venivo nientemeno che da Amsterdam e munita di un invito di Sir Hubert Howard in persona, sarei potuta passare qualche giorno dopo, il pomeriggio verso le cinque e mezza. Così feci e quella fu la

pp. 81-88; g. macchia, Biografia di una rivista: “Commerce”, Il paradiso della ragione, Torino, Einaudi, 1972, pp. 378-386).

4 Hubert Howard concesse l’autorizzazione dalla sua abitazione nel Cumberland, Lyulph’s Tower, scrivendo tra le altre cose: «All’Archivio Caetani è conservato abbondante materiale documentario di grande importanza su ‘Commerce’, che sarebbe per Lei interessante consultare. There is a great deal of very important documentary material about ‘Commerce’ in the Archivio Caetani which it would be in your interest to consult» (lettera del 28 agosto 1981 di Sir Hubert Howard a Sophie Levie).

SOPHIE LEVIE 346

prima volta che salii con l’ascensore, suonai e attesi che la porta si dischiudesse. E chi venne ad aprire? Osvaldo Carpifave. Molti dei frequentatori dell’archivio vi avranno incontrato Osvaldo nel corso degli anni Ottanta. All’epoca in cui Sir Hubert viveva ancora, Osvaldo godeva di buona salute ed era un uomo cordiale e disponibile. Negli anni che seguirono alla morte di Howard, la sua famiglia conobbe momenti molto difficili mentre la sua salute andò gradualmente peggiorando. Ho l’impressione che all’epoca in cui stava bene Osvaldo fosse per Luigi un valido sostegno nella gestione quotidiana dell’archivio.

Ed ecco menzionato il nome di Luigi Fiorani. Fu ovviamente lui nel gennaio 1982 a mostrarmi per la prima volta qualcosa del materiale che tanto ha significato e tuttora significa per la mia carriera accademica.

Dopo quel primo rapido esame del contenuto dell’armadio dove sono custoditi i raccoglitori delle lettere inviate dagli autori di «Commerce» a Marguerite Caetani, tornai all’archivio nel giugno 1982 e per un mese mi dedicai alla trascrizione di lettere, a partire da quelle del francese Marcel Achard fino a quelle dell’inglese Virginia Woolf. Da quella prima visita a Palazzo Caetani sono trascorsi poco meno di trenta anni durante i quali sono tornata quasi ogni anno un paio di volte, dapprima come dottoranda dell’università di Nimega, quindi come professoressa associata all’Università di Utrecht e dal 2001 in qualità di docente dell’Università di Nimega. Tutte quelle visite all’Archivio Caetani avvenivano in nome della ricerca che svolgevo sul periodico «Commerce» e ogni volta Luigi Fiorani si informava con sincero interesse come procedesse il lavoro e di quali autori mi stessi occupando in quel momento.

Un’edizione di tutte le lettere del periodo di « Commerce».

Su richiesta di Hubert Howard il 15 marzo 1985 tenni presso l’Archivio una conferenza per presentare i primi risultati delle mie indagini 5. Furono scattate anche delle foto in quell’occasione e ricordo molto bene Luigi Fiorani in piedi nel vano della porta, come un ‘padre’ un po’ preoccupato. E ricordo come al termine della conferenza preferisse declinare l’invito del direttore del Reale Istituto Olandese di Roma ad unirsi alla piccola compagnia internazionale che andava a mangiare al ristorante. Dopo quella conferenza Hubert Howard mi chiese se fossi interessata a pubblicare le lettere degli autori di «Commerce» in modo da far conoscere all’esterno quel pre-

5 s. levie, Il ruolo di Marguerite Caetani nella letteratura europea 1924-1932, Roma, Fondazione Camillo Caetani, 1985, (Quaderni della Fondazione Caetani», V).

LA CORRISPONDENZA
DI MARGUERITE CAETANI 347

zioso materiale. In particolare gli premeva che anche il mondo anglosassone potesse apprezzare vastità e portata dell’importante lavoro che la suocera ha svolto per singoli autori e in generale per la letteratura internazionale del periodo interbellico. Mi raccontò come, quando era a Palazzo Caetani, egli avesse più di una volta portato su in casa una delle cartelle contenenti i vari carteggi e letto, tanto per fare un esempio, quello che Rilke aveva scritto in francese (!) a Marguerite. Egli si adoperò persino per contattare la consorte di T.S. Eliot promuovendo in tal modo uno scambio: le lettere di Eliot che sono custodite qui a Roma vennero copiate e spedite in Inghilterra, mentre dall’Inghilterra veniva inviato un pacchetto contenente tutte le lettere che Tom aveva scritto a Marguerite.

Inutile dire quanto mi sentissi onorata da quella proposta e accettai dunque con entusiasmo. Il giorno seguente Luigi, con il quale Howard aveva ovviamente parlato del progetto, venne da me e insieme iniziammo a predisporre i preparativi per la pubblicazione di tutte le lettere di «Commerce», come eravamo ormai soliti chiamarle.

La casa editrice sarebbe stata le Edizioni di Storia e Letteratura, cui Luigi era legato da ottimi rapporti. Venne dunque programmata una visita a Via Lancellotti dove Luigi mi presentò a Maddalena De Luca. Quella fu una delle poche occasioni in cui feci quattro passi per Roma in compagnia di Luigi. Ricordo perfettamente che camminava con passo talmente spedito da obbligarmi di tanto in tanto ad accelerare per non perderlo di vista. Secondo i piani sarebbe stata pubblicata presso le Edizioni di Storia e Letteratura anzitutto la mia dissertazione su «Commerce», poi in un secondo momento anche le lettere dei redattori di «Commerce» (Paul Valéry, Léon-Paul Fargue e Valery Larbaud) e tutti gli altri autori di «Commerce» di cui l’Archivio Caetani custodisse del materiale. Su richiesta della Fondazione e della casa editrice, e da queste autorizzata, cercai di promuovere anche in relazione ad altri autori uno scambio di lettere simile a quello realizzato nel caso di T. S. Eliot. L’ iniziativa diede qualche risultato, il numero di lettere superstiti di Marguerite Caetani risultò tuttavia molto più modesto di quanto sperato in partenza. A causa di circostanze e impedimenti di varia natura, molto tempo è trascorso prima che i progetti concepiti a fine anni Ottanta potessero essere realizzati. Non era facile individuare una formula in grado di raccogliere il consenso di tutti gli interessati e soddisfare nello stesso tempo i criteri internazionali vigenti per l’edizione di un carteggio. Nel frattempo trascrivevo tutte le lettere francesi, inglesi, italiane e tedesche relative al periodo di «Commerce» e facevo controllare i testi da ‘native speakers’, tanto che ormai ho più di mille lettere su computer, che attendono di essere pubblicate. Luigi mi esortava a essere soprattutto prudente con il materiale raccolto

SOPHIE LEVIE 348

e insisteva perché le lettere venissero pubblicate tutte in un’unica occasione. Dal momento che ritenevo l’idea di difficile realizzazione espressi più volte le mie perplessità e mi dichiarai a favore di una collaborazione con specialisti delle diverse letterature nazionali interessate, e dunque la francese, l’anglosassone, l’austro-tedesca, l’italiana e la russa. Secondo il piano di pubblicazione di cui ero fautrice, il primo volume avrebbe accolto le lettere degli autori francesi, quello seguente le lettere degli autori anglosassoni e così via. Una simile sistemazione avrebbe consentito ai documenti di funzionare nel modo più significativo nell’ambito della specifica storia letteraria nazionale. Se poi al progetto, e in particolare nel predisporre l’apparato delle note, avesse preso parte un esperto di letteratura francese fra le due guerre e poi uno di letteratura inglese, e via dicendo, questo non poteva che essere utile al lancio delle lettere. Oltretutto frequentemente arrivavano richieste francesi, nonché da altri paesi, per poter esaminare le lettere. Luigi Fiorani sembrava riconoscere la validità dell’impianto che proponevo, eppure continuò a tener fede al proposito di raccogliere tutto il materiale in un unico grosso tomo.

Il primo volume: la corrispondenza con gli autori di lingua tedesca.

In qualunque paese del mondo, e l’Olanda non fa certo eccezione, il consiglio di facoltà vuole vedere risultati concreti delle ricerche condotte dai propri docenti e per me divenne quindi urgente approdare alla pubblicazione. Nel settembre 2008 tenni una conferenza a Parigi nell’ambito di un convegno incentrato sulla presenza di Rilke in quella città negli anni Venti. Parlai delle poesie francesi di Rilke apparse su «Commerce» e citai dei passi delle sue lettere a Marguerite Caetani6. Alcuni celebri studiosi di Rilke presenti tra il pubblico si mostrarono ben informati dell’esistenza di lettere sue e di altri autori di lingua tedesca presso la Fondazione Camillo Caetani e uno di loro, Klaus Bohnenkamp, manifestò il proprio interesse a collaborare alla pubblicazione del materiale. D’intesa con il vice-presidente Antonelli e Caterina Fiorani, è stata quindi in tempi brevissimi predisposta una collaborazione con il risultato che all’inizio del 2011 è stato consegnato per la stampa alle Edizioni di Storia e Letteratura il primo volume della Corrispondenza di Marguerite Caetani. Non meno importante è il risultato

6 s. levie, “L’ in-employable par excellence”. Lettres de Rainer Maria Rilke à Marguerite Caetani, in Rilkes Paris 1920-1925, Neue Gedichte. Im Auftrag der Rilke-Gesellschaft herausgegeben von e. unglaub – j. paulus, «Blätter der Rilke-Gesellschaft», XXX (2010), pp. 149-161.

LA CORRISPONDENZA
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delle ricerche di Bohnenkamp, che negli archivi tedeschi ha rintracciato oltre cento lettere di Marguerite che sono raccolte nell’opera7. Il lettore avrà dunque modo di seguire uno scambio epistolare effettivo e vedrà non solo le lettere degli autori di «Commerce» ma anche in che modo Marguerite Caetani discorresse con loro di letteratura, di politica e di quell’internazionalizzazione della vita letteraria che essa tanto auspicava.

Il progetto «Commerce».

Apparsa nel 1989 come primo numero della collana «Studi e Documenti d’archivio», la mia tesi di dottorato delineava un profilo del periodico sulla scorta dei dati contenuti nelle lettere che a Marguerite Caetani scrissero i membri della redazione e alcuni autori di «Commerce»8. Non essendo mai stato formulato alcun programma redazionale, il mio unico punto di riferimento, a parte ovviamente i numeri della rivista stessa, erano proprio le lettere. Sulla base dei testi degli autori ammessi a pubblicare su «Commerce» e della loro posizione nell’ambito delle rispettive letterature nazionali (la francese, l’inglese, la tedesca e così via) definii il periodico come modernista. Mediante questo termine, ormai generalmente diffuso nella storiografia letteraria per indicare innovatori moderati come Paul Valéry e Valery Larbaud, T.S. Eliot e Virginia Woolf, Rainer Maria Rilke e Hugo von Hofmannsthal, ho assegnato al periodico, appena noto negli studi sulle letterature internazionali, un posto nella storia della letteratura tra le due guerre. «Commerce» aveva la singolare abitudine di pubblicare esclusivamente testi primari, senza fornire alcun aiuto al lettore con informazioni più dettagliate circa un autore e la sua opera. Altra caratteristica era il fatto che tutti i testi venivano tradotti in lingua francese, la rivista del resto veniva pubblicata a Parigi. Un ultimo particolare di rilievo della sua poetica era la marcata esibizione del legame con la tradizione: ogni numero di «Commerce» presentava un cosiddetto ‘ancien texte’.

A quell’epoca, negli anni Ottanta, il mio obiettivo principale era quello di inquadrare nell’ambito della storia della letteratura una simile impresa letteraria cosmopolita. In altri termini, stabilire in che modo il periodico dovesse essere classificato. Ipotizzando di scrivere nuovamente un saggio sull’argomento oggi, a distanza di venticinque anni, porrei in evidenza

7 Le lettere di Marguerite Caetani rinvenute di recente sono custodite nell’archivio privato degli eredi di Rilke, presso lo Schweizerisches Rilke-Archiv a Berna e il Deutsches Literaturarchiv a Marbach am Neckar.

8 s. levie, Commerce 1924-1932. Une revue internationale moderniste, Roma, Fondazione Camillo Caetani, 1989.

SOPHIE LEVIE 350

elementi diversi e in linea con gli sviluppi della scienza della cultura mi soffermerei più diffusamente sulle iniziative di Marguerite Caetani come mecenate. Designerei con il termine attuale ‘cultural transfer’ il cospicuo impegno profuso da Marguerite Caetani e dai redattori del periodico per l’internazionalizzazione della letteratura. E la tensione esistente tra desiderio degli autori di «Commerce» di conquistare notorietà al di fuori dell’area linguistica di appartenenza e la perplessità visibile in numerosi passaggi della corrispondenza allorché l’autore si confrontava con la traduzione francese del proprio testo, la definirei come la volontà di serbare la propria identità linguistica e semantica. Un esempio davvero molto bello di questo è il giudizio che il filosofo Rudolf Kassner, dopo aver visto la versione francese del suo saggio in tedesco, scrisse a Marguerite Caetani ‘ich liebe mich nicht auf Französisch’, ‘non mi piaccio in francese’.

Il seguito del progetto di edizione delle lettere.

Fortunatamente ho avuto l’opportunità di integrare questa nuova visione dell’imprenditorialità culturale di Marguerite Caetani e di «Commerce» con i miei studi del passato nel contesto della premessa al volume contenente le lettere degli autori di lingua tedesca che, come già segnalato, è andato alle stampe agli inizi del 2011 ed è uscito nel 2012. Il progetto prevede inoltre la pubblicazione, sotto la direzione della sottoscritta, delle lettere degli autori delle altre lingue nell’ambito di collaborazioni con specialisti delle diverse letterature. L’ augurio è che vengano reperite lettere di Marguerite Caetani anche nelle biblioteche e negli archivi francesi, inglesi e italiani, così che anche questi volumi si configurino come scambi epistolari9.

Con mio sommo dispiacere Luigi Fiorani non assisterà alla pubblicazione di questi volumi di epistole, ma sono certa che avrebbe approvato l’evoluzione che il progetto ha avuto in questi ultimi due anni e di cui ha ancora visto le battute iniziali. Sebbene sia trascorso tanto tempo tra l’inizio dell’impresa e il raccolto, che ora è possibile mietere, la nostra visita alle Edizioni di Storia e Letteratura a via Lancellotti continua per me ad esserne il punto di partenza. Con profonda gratitudine ripenso all’atteggiamento caloroso con cui mi ha accolto per tutti quegli anni all’Archivio Caetani, al pomeriggio in cui insieme leggemmo le lettere di Giuseppe Ungaretti ed egli corresse gli errori che avevo commesso nel mio dattiloscritto. Ricordo poi molto bene

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CAETANI
9 Le lettere di Marguerite Caetani a Valery Larbaud, Paul Valéry e Jean Paulhan sono già presenti in copia all’Archivio Caetani. C’è già stato in passato uno scambio di lettere con gli eredi e le biblioteche in cui sono custoditi i rispettivi lasciti.

quella volta che trovandosi Hubert Howard a Ninfa con le chiavi dell’armadio delle lettere io non potevo lavorare perché i cassetti erano irrimediabilmente chiusi e Luigi mi consolò con la granita di caffè con panna più grande che io abbia mai visto. Luigi chiamò con una certa regolarità Amsterdam per discutere di questioni concernenti la ricerca. In un rigidissimo gennaio, quando l’Olanda fu colpita da gravi inondazioni, egli telefonò per sincerarsi che fossimo al sicuro. Desidero concludere con la saggia lezione che volle darmi quando, autore scientifico alle prime armi a metà degli anni Ottanta, mi misuravo a fatica con la scrittura del mio primo testo su «Commerce», a suo avviso un po’ scarno. Luigi mi insegnò: ‘un buon autore è sempre in grado di ampliare il proprio testo.’ Ancor oggi queste sue parole aleggiano spesso intorno a me mentre scrivo un articolo.

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CONCLUSIONI

Buona parte dei relatori intervenuti all’interessante convegno organizzato in onore di Luigi Fiorani dalla pietà filiale di Caterina e dalla devozione amicale di Domenico Rocciolo – colgo l’occasione per ringraziarli dell’invito – hanno accompagnato la trattazione di un tema storico o storiografico legato alla sua produzione con la rievocazione di momenti o aspetti di una conoscenza diretta e personale. Vorrei anch’io iniziare questo intervento conclusivo con il ricordo della sua amicizia. Ho conosciuto per la prima volta Luigi verso la metà degli anni Settanta – non riesco a ricostruire la data esatta, ma stavo senza dubbio lavorando al rapporto tra religione e politica nell’età della Rivoluzione francese: probabilmente svolgevo gli ultimi controlli per il libro sulla collaborazione tra Mirabeau e Lamourette – durante un soggiorno di studio alla Biblioteca Apostolica Vaticana; l’ho rivisto per l’ultima volta nel settembre del 2008, quando, per una fortuita coincidenza, percorremmo assieme il breve tratto di strada tra l’uscita della metropolitana e l’aula dell’Università di Roma Tre in via Ostiense dove si svolgeva il convegno in onore di Pietro Stella.

In questo arco di tempo le occasioni di frequentazione non sono state continue né numerosissime; eppure mi pare di poter dire che i diversi incontri (di solito alla Vaticana, ma talora anche a Palazzo Lancellotti, all’École française de Rome e in altre sedi, per simposi o seminari) hanno approfondito un rapporto amicale che fin dall’inizio si era impiantato su una solida base. In quel primo colloquio mi avevano infatti assai colpito la sua curiosità intellettuale – espressa attraverso domande precise e incalzanti – per le ricerche che stavo conducendo e la conseguente indicazione di puntuali riferimenti bibliografici e documentari nella prospettiva di arricchire l’indagine. A quelle date non conoscevo le rassegne settecentesche su «Studi romani», sulla cui funzione di apprendistato storiografico ha richiamato l’attenzione, con la consueta finezza e lucidità, la relazione di Mario Rosa. Ed anche ignoravo la pubblicazione del saggio e del volume dedicati a Onorato Caetani,

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

daniele menozzi
Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013

il cui significato di scavo in ordine al confronto tra cattolicesimo e mondo moderno ha ben delineato l’intervento di Massimo Cattaneo: li avrei scoperti qualche anno più tardi, dopo la lettura del Concilio romano del 1725. Ma, anche se Luigi si guardò bene dal ricordarmi il suo lavoro su questioni affini a quelle che stavo indagando, secondo uno stile di discrezione in ordine ai risultati storiografici personalmente conseguiti che tutti i suoi conoscenti possono testimoniare, sul terreno di un comune interesse alla storia della cultura religiosa del Settecento si stabiliva un iniziale scambio intellettuale che sarebbe continuato per tre decenni.

Lo avrebbe ben presto consolidato la riconoscenza per la generosa disponibilità di Luigi ad aiutare gli studi che via via affrontavo con preziosi suggerimenti di fonti ed anche con la predisposizione di qualche fotocopia di materiali di non facile reperimento da parte di chi poteva meno agevolmente accedere dell’archivista della Vaticana allo straordinario patrimonio delle biblioteche romane. Ma direi che l’elemento su cui si saldò definitivamente la nostra amicizia va individuato nella solidarietà – spesso implicita e silenziosa, ma non per questo meno effettiva – tra studiosi che condividevano una valutazione di fondo circa la necessità di intraprendere il percorso che, in seguito all’aggiornamento conciliare, sembrava essersi dischiuso alla pratica della storia religiosa nel nostro paese. Ci accomunava infatti una persuasione: la scarsa considerazione per questo ambito di studi – emblematicamente palesata dalla loro assenza nella più rilevante impresa storiografica, la Storia d’Italia Einaudi, messa in opera in quegli anni – aveva ragione non solo nel pregiudizio ideologico di pur dotati e valenti studiosi circa la mancanza di autonomia del fattore religioso nel divenire della vita collettiva, ma anche nei ritardi con cui veniva praticata nella penisola la storia delle chiese. Ci sembrava insomma che, se si voleva contribuire alla corretta ricostruzione di un passato in cui il richiamo alla religione aveva giocato un ruolo centrale nella vita concreta degli uomini, fosse indispensabile aggiornare – secondo quella linea di apertura al moderno che il Vaticano II aveva promosso in diversi altri campi relativi alla presenza della chiesa nella società contemporanea – anche l’analisi delle vicende storiche del mondo cattolico.

Non si trattava solo del fatto che il concilio, richiamando l’attenzione su nuove dimensioni della realtà ecclesiale, aveva prospettato ambiti di indagine che potevano facilmente convergere con questioni ben presenti e dibattute nella migliore ricerca storica di quel periodo. Certo anche questo elemento aveva una sua rilevanza e penso che non a caso su alcuni temi sollecitati dal rinnovamento conciliare – ad esempio l’interesse per l’atteggiamento della chiesa verso i poveri, per le chiese locali e il loro governo, per la vita religiosa del laicato – i nostri lavori, senza alcun preventivo accordo, si

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sarebbero incrociati. Ma giocava un elemento più profondo e rilevante: l’assise ecumenica aveva espresso una piena accettazione verso quei metodi di ricerca scientifica che faticavano ad entrare nella pratica storiografica sulle vicende religiose di un paese in cui la pesante eredità dell’antimodernismo si risolveva spesso in una ricostruzione del passato segnata da intenti programmaticamente polemici o apologetici. Proprio sull’acquisizione di questa strumentazione intellettuale – se non ricordo male, la questione fu oggetto di un colloquio durante una pausa per un caffè alla Vaticana – ci pareva dovesse misurarsi la capacità dei cultori della storia religiosa di fuoriuscire da quella irrilevanza cui tendeva a confinarli la più titolata e diffusa storiografia di quegli anni. Sotto questo profilo il richiamo continuo di Luigi alla completezza della base documentaria per lo svolgimento di qualsiasi investigazione, su cui ritornerò, assume un ulteriore significato: rappresenta anche un invito a dare adeguata fondazione scientifica ad una restituzione del passato capace di ricollocare la tematica religiosa nel circolo dell’alta produzione storiografica.

Non sempre peraltro i nostri itinerari sono stati a questo proposito convergenti: ricordo ancora il velo di delusione che traspariva dal volto e dalle parole di Luigi al momento in cui costatò che non ci trovavamo in sintonia, per la mia insistenza sulla dimensione politica del culto, sui percorsi da seguire nell’impostazione di una stimolante ricerca sulla pietà mariana che intendeva avviare. Alla fine – non a causa, ovviamente, della mia ritrosia ad un coinvolgimento nel progetto – quell’indagine non andò in porto e sono sempre più convinto che il suo mancato svolgimento abbia rappresentato una grave perdita per gli studi. Comunque i dispareri non hanno mai intaccato una profonda solidarietà, derivante dal condiviso impegno ad affrontare la vicenda storica della religione, ovviamente per questo paese in primo luogo del cattolicesimo, secondo i criteri e gli strumenti della più attrezzata storiografia contemporanea, in modo da renderne la comprensione un elemento ineludibile per chi volesse seriamente giungere ad una corretta intelligenza del passato.

Si potrebbero chiudere questi ricordi personali con una nota di compiacimento, costatando come il panorama attuale della storiografia presenti una ben diversa condizione rispetto a quella che alimentò l’inizio della nostra trentennale amicizia: la storia religiosa è diventata infatti una robusta componente della produzione che compare nelle librerie e sui mezzi di comunicazione di massa, mentre la pretesa di annullare la sua specificità in una generica storia culturale trova ormai ben pochi adepti. Di questa nuova situazione l’einaudiana Storia d’Italia può ancora essere assunta a emblema: nel 2000 Luigi appare infatti come uno dei curatori del volume degli Annali

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dedicato alla città del papa. Ma penso che condividerebbe la mia cautela nell’avventurarmi a formulare un giudizio di piena soddisfazione per il pur rilevante cammino compiuto da queste ricerche. All’indubbia proliferazione quantitativa non mi sembra infatti corrispondere quell’innalzamento del livello qualitativo che alla fine degli anni Settanta ci appariva la condizione di un rinnovamento e di un progresso.

Non si tratta solo della larga diffusione di una pubblicistica che – vagheggiando esplicitamente il ritorno alla tradizionale societas christiana – assume, in spregio alle regole elementari della conoscenza scientifica, come categorie di giudizio storico le categorie di giudizio politico-religioso elaborate dall’intransigentismo cattolico ottocentesco; ma soprattutto di una linea storiografica che, pur presentandosi come rispettosa dei canoni della modernità scientifica – anzi talora proclamando di esserne vessillifera ed ottenendone conseguenti riconoscimenti –, piega in realtà la documentazione a tesi precostituite in funzione di opzioni dettate dalla politica ecclesiastica condotta dagli ambienti o dai personaggi che la producono. Un lungo lavoro resta insomma ancora da compiere perché nella produzione storico-religiosa l’oggettività delle fonti, interpretate alla luce di tutti i moderni strumenti critici, assuma quel ruolo centrale che aveva rappresentato un auspicio comune su cui si era fondato il nostro rapporto amicale.

Ma il convegno, senza dimenticare i ricordi personali, ha voluto offrire anche oggettivi apporti conoscitivi. Cercherei dunque di riprendere alcuni dei temi emersi in ciascuna delle tre sezioni in cui, dopo gli indirizzi di saluto, sono stati opportunamente raggruppati i diversi contributi: la ricerca negli archivi, gli studi storici su Roma religiosa e i lavori sulla famiglia Caetani di Sermoneta. Tali cornici scandiscono infatti in maniera limpida i più rilevanti aspetti che caratterizzano il profilo culturale di Luigi. Voglio subito dire che le mie considerazioni non hanno alcuna pretesa di completezza, né esauriscono la ricchezza degli elementi via via proposti nei singoli interventi. Mi limito soltanto a sottolineare qualche aspetto che più mi ha colpito, sollecitandomi a svolgere qualche riflessione generale.

Le diverse relazioni sulla figura di Luigi come archivista, oltre a mettere in luce una serie di dati e documenti che ci consentono di seguire gli aspetti essenziali del suo itinerario biografico e le principali attività da lui svolte nelle sedi di lavoro, hanno evidenziato alcuni tratti comuni a tutta la sua operosa presenza in questo settore: la curiosa attenzione alle carte come via per restituire la realtà degli uomini concreti che in esse si celavano, in particolare di quelle persone che, vivendo al di fuori dei centri del potere, non avevano tradizionalmente ricevuto grande attenzione storiografica; la forte preoccupazione per i pericoli di dispersione, corruzione e perdita di

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complessi di fonti capaci di portare alla conoscenza della vita vissuta di interi segmenti delle passate società; la tenace volontà di costruire relazioni tra istituzioni e strutture – ecclesiastiche e civili – in grado di consentire l’accesso pubblico e lo studio sistematico di una documentazione ordinata e classificata. Mi pare inutile sottolineare il rilievo di tutti questi aspetti, ognuno dei quali meriterebbe un adeguato approfondimento. Val comunque la pena di provare a collocarli in un contesto più ampio.

Com’è noto, il confronto con la moderna scienza storica aveva portato la tradizionale storiografia ecclesiastica – anche per l’eredità di una illustre tradizione – ad accentuare l’aspetto erudito e filologico della propria prassi, nell’illusione di potersi così sottrarre al confronto con i generali quadri ermeneutici che la modernità veniva elaborando. In realtà quelle ricostruzioni, così precise e puntuali su aspetti particolari, finivano poi per essere ricondotte all’interno di schemi complessivi d’interpretazione del processo storico che, lungi dal derivare dal lavoro storiografico, trovavano la loro effettiva radice in altre regioni del sapere, venendo recepite soprattutto dalla teologia e dalla dottrina cattolica. Mi pare che il contributo di Luigi come archivista si collochi in uno snodo decisivo di questo percorso delle pratiche storiografiche, fornendo un rilevante apporto al miglioramento complessivo degli studi storici.

In effetti la sua attenzione alla costruzione di strumenti archivistici che permettono una ricognizione completa delle serie documentarie disponibili allo studioso che voglia affrontare un determinato problema costituisce una sollecitazione a evitare la concentrazione sul frammento particolare, promuovendo una considerazione dell’insieme delle carte in cui si inseriscono quelle relative alla specifica questione indagata. Ma in questo modo non si rende solo un servizio – allargandone gli orizzonti – a quella storiografia cattolica che si era spesso ripiegata sulla considerazione minuta del singolo aspetto nel timore di incorrere, al momento di giungere all’espressione di valutazioni generali, nello scrutinio dell’ortodossia dottrinale delle proprie affermazioni. Allo stesso tempo si fornisce a tutta la storiografia – anche quella che, sicura della solidità scientifica del suo incedere, si era avventurata nella formulazione di canoni, modelli e paradigmi che ben poco avevano a che fare con le fonti effettivamente messe in opera – la possibilità di misurare le proprie generalizzazioni su complessi di materiali documentari in grado di consentire la verifica della loro fondatezza storica.

Se sotto il profilo ora accennato mi pare che Luigi in quanto archivista abbia dato un contributo significativo allo sviluppo della storia come scienza – cioè come disciplina capace di esibire pubblicamente un oggettivo riscontro documentario per ogni determinazione cui perviene –, non vorrei sottacere

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un altro apporto rinvenibile in questo versante del suo lavoro. Lo si evince dalla sua trattazione di temi ‘spinosi’, ad esempio il modernismo nella città del papa – nella sua indagine in materia Annibale Zambarbieri ha ben colto l’abbandono di una riduttiva contrapposizione tra ortodossia e eterodossia –; o il rapporto della chiesa con gli ebrei, in ordine al quale Marina Caffiero ha ricordato come Luigi, correttamente, non avesse esitato a parlare di «furore conversionistico». Mi sembra che questi lavori, oltre che rivelare il rifiuto di una visione selettiva, a scopi politici o edificanti, della ricerca sul passato, siano sorretti da una precisa interpretazione del rapporto tra lavoro dell’archivista e ricezione pubblica dei risultati dell’indagine storica. Il costante richiamo all’imprescindibile ancoraggio di ogni seria ricostruzione ad insiemi di fonti correttamente esaminate, rende insignificante la consonanza delle vicende studiate con le attese diffuse o i convincimenti dei contemporanei: in questa prospettiva infatti non appare rilevante il tema considerato – qualunque sensibilità manifesti su di esso l’odierna opinione pubblica – ma solo l’oggettiva adeguatezza della documentazione messa in opera rispetto al conseguimento della maggiore approssimazione possibile a quanto è effettivamente accaduto. Negli argomenti ‘spinosi’ che ho appena richiamato, anche perché affrontati proprio con la sensibilità dell’archivista ora ricordata, Luigi ha conseguito, come è stato notato da alcune relazioni, innovativi risultati conoscitivi; ma credo che questa valutazione possa ugualmente applicarsi al secondo campo in cui il convegno ha inquadrato la sua opera: lo studioso della vicenda storica della Roma religiosa. In questo ambito l’arco cronologico dei suoi lavori appare assai ampio: si va dall’iniziale attenzione per le antichità cristiane fino alla Resistenza; e gli argomenti affrontati, come mostra una rapida scorsa agli indici delle «Ricerche per la storia religiosa di Roma», sono assai vari. Non è possibile in questa sede soffermarsi su ciascuno di essi, in particolare sugli studi relativi alle confraternite – la questione che forse riteneva il terreno privilegiato di tutta sua attività di ricercatore –: del resto essi vengono largamente illustrati nelle relazioni di Anna Esposito e Mirella Mombelli Castracane. Vorrei invece richiamare alcune linee generali che mi pare si possano ricavare dalla sua produzione in questo settore. Un primo aspetto mi pare occorra sottolineare: negli studi sulla Roma religiosa riemergeva con forza particolare quella consapevolezza del nesso tra passato e presente che, alla luce di diversi interventi, può assumersi come il filo rosso rinvenibile nell’intero percorso intellettuale di Luigi. Come ha documentato Massimiliano Ghilardi, in risposta alla comunicazione con cui nel dicembre 1996 lo si informava dell’elezione a socio corrispondente della Società di studi romani, Luigi, nel ringraziare per una nomina che non aveva sollecitato, manifestava la sua piena disponibilità a partecipare

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alla vita dell’istituto in nome del suo lungo impegno a favore di «tutto ciò che opera per dare a questa “scassata” città un minimo di dignità e di consapevolezza delle sue radici storiche». Mi pare si trovi in questa frase una spiegazione profonda dell’intensa opera dispiegata da Luigi nel promuovere gli studi storici su Roma. Il confronto con quello che è effettivamente accaduto nel passato costituisce non solo una via per la corretta intelligenza del presente, ma anche un modo per individuare le linee con cui intervenire su di esso, cercando di migliorarlo. Luciano Osbat ha giustamente messo in luce la passione civile che animava il lavoro storico di Luigi: si trattava di rimettere in circolo ragioni di convivenza sociale e di solidarietà umana che il tempo aveva dissolto. Aggiungerei che ai suoi occhi questo percorso non era diretto a ritrovare soluzioni pratiche ed immediate ai problemi odierni, ma a cogliere le radici dei processi che erano sfociati nelle alterità del presente rispetto al passato, in modo da rendere più agevole l’identificazione dei campi bisognosi di opportune trasformazioni.

Alcune relazioni hanno poi evidenziato altre ragioni per la focalizzazione dell’interesse su Roma ed in particolare sulla sua storia religiosa. Il pontificato giovanneo, rilanciando il ruolo del successore di Pietro come vescovo di Roma, e il concilio Vaticano II, ponendo il problema del rapporto tra governo della chiesa universale e governo della chiesa locale, avevano messo in rilievo il ruolo speciale che assumeva agli occhi dell’intero mondo cattolico la diocesi del papa. La ricerca storica di Luigi si inoltrò nell’esplorazione di questa connessione sulla lunga durata, indagando le modalità di una vita religiosa romana che appariva tanto più rilevante in quanto, svolgendosi sotto la sorveglianza diretta del pontefice, acquisiva inevitabilmente il valore di un modello esemplare a livello planetario. Certo giocavano nella spinta ad approfondire questa realtà anche altri fattori: come hanno messo in rilievo da diversi punti di vista Stefania Nanni e Paola Vismara, radicata era in Luigi la persuasione che dall’analisi del mondo cattolico romano emergesse nitidamente come gli uomini, in particolare i poveri, i bisognosi, gli emarginati, i sofferenti in genere, avessero trovato nelle sue svariate espressioni religiose una forma di protezione sociale, una risposta alle ingiustizie subite, la compensazione ai mali dell’esistenza, il conforto di una speranza. Ma in fondo anche queste modalità di organizzazione della vita religiosa consentivano di evidenziare che la chiesa romana non aveva rappresentato una mera appendice della Santa Sede; aveva invece assunto la consistenza di una concreta comunità ecclesiale alle cui modulazioni peraltro l’intero orbe cattolico guardava anche per misurare le sue pratiche e i suoi indirizzi.

Il valore esemplare di Roma come luogo in cui si manifestano tendenze che percorrono la chiesa universale riveste poi un significato particolare

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negli studi dedicati alla risposta religiosa all’emergere di quella «città nuova» che hanno ricordato Marina Caffiero e Mario Tosti. Davanti ad uno svolgimento storico che portava al dissolvimento dell’unità religiosa come garanzia della compattezza sociale e dell’efficacia politica, Luigi assumeva da Vittorio Emanuele Giuntella – lo ha ben mostrato Mario Rosa – la categoria della crisi come giudizio esplicativo di una incapacità della chiesa romana a mettere in sintonia il suo messaggio spirituale con «i nuovi tempi» della modernità, segnati dal pluralismo confessionale, dalla rivendicazione dei diritti del singolo, dall’autodeterminazione degli istituti della vita collettiva. Ma l’acuta sensibilità verso le molteplici manifestazioni della presenza dei cattolici nella storia, lo portavano a sottolineare non solo le difficoltà dei responsabili del governo dell’istituzione ecclesiastica ad uscire dai quadri mentali ereditati dal regime di cristianità, ma anche gli sforzi compiuti da diversi cattolici romani per cercare un aggiornamento ecclesiale che, imperniato sul rilevamento della differenza tra messaggio evangelico e interpretazioni della rivelazione debitrici delle contingenze della storia o talora, più semplicemente, basato su un soprassalto nello slancio della carità cristiana, mettesse la chiesa in grado di dialogare nuovamente con l’uomo moderno.

Gli interventi di Annibale Zambarbieri a proposito del modernismo e di Lidia Piccioni a proposito della Resistenza, hanno evidenziato la lunga durata di un percorso che, iniziato nel complesso confronto tra cattolicesimo e lumi ed emblematicamente irrigidito nel minaccioso contrapporsi della città rivoluzionaria alla città religiosa, ha segnato anche la storia successiva di Roma. Nella indagine sulle strade con cui tormentate coscienze religiose inseguivano nel primo Novecento una conciliazione della fede con l’irruzione della storia nel campo del dogma, allora giudicato vero solo se confinato nella sfera dell’intemporale; o nella ricerca sulle modalità in cui l’appartenenza cattolica si è fatta fermento di liberazione alimentando la resistenza civile al nazifascismo riemerge ancora quel nesso tra passato e presente che attraversa l’intera attività di Luigi sulla storia religiosa della sua città. Peraltro secondo una accezione, più profonda, ma forse ancora più vera: la volontà di cercare nel passato romano risposte capaci di illuminare quel problema generale di relazione tra religione cattolica e modernità che, nonostante l’aggiornamento conciliare, ha affannato tutta la generazione che ha intensamente vissuto i processi di mutamento ecclesiale innescati dal Vaticano II.

Concludo il mio intervento, già troppo lungo, con qualche rapida considerazione – non perché si tratti di argomenti meno importanti, ma perché i temi affrontati sono meno consueti al mio lavoro – sull’ultimo ambito di attività di Luigi preso in considerazione dal convegno: la promozione degli studi sui Caetani di Sermoneta. Gli interventi hanno evidenziato l’intensa

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valorizzazione delle diverse potenzialità che si offrivano all’archivista della Fondazione Caetani: dall’esame degli aspetti economici, politici e sociali dei territori su cui si esercitava il dominio feudale prima e poi signorile della famiglia all’analisi delle vicende artistiche, architettoniche, letterarie e musicali che consentiva il suo ricco patrimonio di beni culturali. Nel promuovere le ricerche in questi campi Luigi ha mostrato particolare sensibilità alla contestualizzazione storica degli aspetti e delle figure via via portate all’attenzione degli studi, insistendo in particolare sulla possibilità di leggere queste vicende come cartine di tornasole capaci di illustrare significativi momenti di passaggio nel divenire storico. Senza soffermarmi sulle singole acquisizioni, evidenziate del resto dalle relazioni, vorrei davvero concludere proponendo una valutazione sintetica dell’insieme del lavoro compiuto da Luigi

Mi pare la si possa ricavare da un sintagma che Caterina Fiorani, nel ricostruire l’instancabile opera svolta dal padre presso la Fondazione, ha rinvenuto in una lettera del settembre 1970 ed ha opportunamente ripreso come titolo del suo intervento. Al rientro dalle ferie estive, ormai impiegato da un anno alla Biblioteca Vaticana, ma avendo già consolidato il suo nuovo rapporto con la famiglia Caetani, Luigi scriveva a Hubert Howard del piacere che provava nel ritrovarsi tra le carte depositate in via delle Botteghe Oscure, attribuendo questa gradevole sensazione al rafforzarsi in lui della dimensione dell’«archivista filosofo». La frase che seguiva esplicitava il senso dell’espressione: egli affermava infatti la sua distanza – quella distanza che tradizionalmente si attribuisce alla figura del filosofo rispetto alle accidentali contingenze del mondo – nei confronti dei coetanei (ma non credo sia una forzatura estendere il riferimento a larghi strati di una popolazione la cui mentalità appariva ormai condizionata dall’avvento in quegli anni della società opulenta che portava ad una concentrazione sul presente) che guardavano ai documenti del passato con fastidio e talvolta con ripulsa. Mi chiedo tuttavia se la locuzione così inconsueta non celi anche un altro significato che va oltre, senza contraddirlo, al pur evidente senso letterale di una alterità rispetto a dominanti tendenze coeve. In una società in cui la conoscenza storica appare largamente surrogata dai miti mutuati dalle mode intellettuali o dagli usi politici del passato o dal sensazionalismo mediatico su revisioni di inesistenti canoni storiografici, l’archivista filosofo non è anche colui che – senza curarsi delle congiunture del momento – continua serenamente ad apprestare gli strumenti documentari perché al consorzio umano sia sempre resa disponibile l’opportunità di cercare di alimentare la costruzione del suo futuro sulla base di una corretta conoscenza del passato? Credo che in questa accezione del sintagma si rinvenga il più riconoscente omaggio che si possa oggi rendere alla memoria dell’amico scomparso.

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Una storia da rinnovare, «Nóter» (= «Periodico d’informazione culturale dell’Arciconfraternita dei Bergamaschi in Roma»), X, 1, p. 2.

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Città religiosa e città rivoluzionaria (1789-1798), in «Deboli progressi della filosofia». Rivoluzione e religione a Roma, 1789-1799 (= «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 9), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, pp. 65-154.

I Caetani nel Palazzo al Corso e I Ruspoli: una famiglia nella città, in Palazzo Ruspoli, a cura di c. pietrangeli, Roma, Editalia, pp. 81-88 e 91-118.

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Intervento in Le confraternite in Italia centrale fra antropologia musicale e storia, a cura del Centro di Catalogazione dei Beni Culturali dell’Amministrazione Provinciale di Viterbo, Viterbo, Amministrazione Provinciale, pp. 79-88.

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Povertà e malattia nella Roma post-tridentina (secc. x VI-x VII), in L’ Ospedale dei Pazzi di Roma dai papi al ’900. Lineamenti di assistenza e cura a poveri e dementi, a cura di f. fedeli bernardini, II, Bari, Edizioni Dedalo, pp. 75-86.

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Storia religiosa di Roma. Note intorno a recenti esperienze di ricerca, in Ricerca storica e Chiesa locale in Italia. Risultati e prospettive, Atti del Ix convegno di studio dell’Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa, Grado 9-13 settembre 1991, Roma, Edizioni Dehoniane, pp. 225-258.

Semeria «romano» (1880-1895), «Barnabiti studi», 12, pp. 7-86.

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Roma democratizzata. La basilica di S. Pietro, il Vaticano e la Rivoluzione, in Roma religiosa nell’età rivoluzionaria 1789-1799 (= «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 11), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, pp. 85-103.

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I Caetani e Tommaso Campanella, in Laboratorio Campanella. Biografia, contesti, iniziative in corso, Atti del Convegno, 19-20 ottobre 2006, a cura di g. ernst e c. fiorani, Roma, «L’ Erma» di Bretschneider, pp. 105-110.

Gli ultimi Caetani. Una famiglia, una civiltà, x Ix-xx secolo, in Palazzo Caetani. Storia arte e cultura, a cura di id., Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello StatoLibreria dello Stato, pp. 315-330.

2009

Roma città aperta, 1943-1944, in Chiesa, mondo cattolico e società civile durante la Resistenza (= «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 12), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, pp. 23-104.

Pubblicazioni postume

2010

Archivio Salviati. Il Fondo Salviati della Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana (= Estratto anticipato da «Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae», XVII, pp. 1-75).

2011

Archivio del Capitolo di S. Pietro, in Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della biblioteca Vaticana. I. Dipartimento manoscritti, a cura di f. d’aiuto e p. vian, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana (Studi e testi, 466), pp. 671-677.

Archivio Barberini, in Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della biblioteca Vaticana. I. Dipartimento manoscritti, a cura di f. d’aiuto e p. vian, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana (Studi e testi, 466), pp. 677- 683.

Computisteria Ottoboni in Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della biblioteca Vaticana. I. Dipartimento manoscritti, a cura di f d’aiuto e p vian, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana (Studi e testi, 466), pp. 710714.

BIBLIOGRAFIA DI LUIGI
FIORANI 370

Archivio Salviati, in Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della biblioteca Vaticana. I. Dipartimento manoscritti, a cura di f d’aiuto e p vian, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana (Studi e testi, 466), pp. 716-717.

S. Anastasia, in Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della biblioteca Vaticana. I. Dipartimento manoscritti, a cura di f. d’aiuto e p. vian, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana (Studi e testi, 466), pp. 718-719.

S. Maria in Cosmedin, in Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della biblioteca Vaticana. I. Dipartimento manoscritti, a cura di f. d’aiuto e p. vian, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana (Studi e testi, 466), pp. 721-723.

S. Maria in Via Lata, in Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della biblioteca Vaticana. I. Dipartimento manoscritti, a cura di f d’aiuto e p vian, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana (Studi e testi, 466), pp. 724-726.

BIBLIOGRAFIA DI LUIGI FIORANI 371

INDICE DEI NOMI*1

Accoramboni Vittoria, 327

Aceti Tommaso, 318n

Achard Marcel, 347

Adami Tobias, 301n

Ago Renata, 255n

Aiello Rita, 29

Albareda Anselmo, 5

Alberigo Giuseppe, 114

Alessandroni Rosanna, 244-245

Alessandro VI (Rodrigo Borgia), papa, 36, 259, 262

Alessandro VII (Fabio Chigi), papa, 20, 189, 270

Alfonso Maria de’ Liguori, santo, 187n, 192

Alighieri Dante vedi Dante Alighieri

Allegrezza Franca, 254 e n

Amabile Luigi, 302n, 309n, 313n, 315 e n, 317-318

Amendola Adriano, 253n

Ameyden Dirk van, 162

Ancajani Carlo, barone, 330

Ancina Giovenale, 197

Andosilla Rodesindo, 285

Angelelli Claudia, 35n

Angelo da Acri, 187n

Angiolini Enrico, 27

Annibal Caro, 7

Annibaldi (famiglia), 258

Ansalone Pietro, 187n

Antolini Bianca Maria, 334n

Antonazzi Giovanni, 69-71, 73-76, 79-81, 239n

Antonelli Giacomo, xiii, xvii-xix, 270, 302 e n, 349

Antonetti Gina, 47n

Antonio da Olivadi, 187n

Arangio Ruiz Vincenzo, 133

Arata Antonino, 188n

Ariosto Ludovico, 287n

Aristodemo Dina, 345n

Armando David, 221 e n

Arquato Panzutti Agnese, 297

Attias Jean Christophe, 195n

Audifreddi Giovanni Battista, 293

Aurigemma Giulia, 269

Azara José Nicolás de, 295-296

Bach Johann Sebastian, 71

Badalà Carlo, 243n, 247n

Baglioni Paolo, 144n

Balboni Francesca, 50n

Baldini Artemio Enzo, 302-303

Baldinucci Antonio, 185-187, 191

Balestrino Maria Teresa, 25

Balthasar Hans Urs von, 116

* Il nome di Luigi Fiorani non è stato indicizzato.
Luigi Fiorani, Storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di Caterina Fiorani e Domenico Rocciolo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013
ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

Balzac Honoré de, 322 e n

Bandi Giovanni Carlo, 291

Bandini Giovanni Luca, 288, 291

Barberini (famiglia), 20, 22, 30

Barberini Antonio, 316n

Barberis Walter, 241n

Barletti Carlo, 297

Barnave Antoine, 326

Barolini Helen, 337 e n

Barone Giulia, 36 e n, 110-112, 114, 135136

Barrio Giacomo, 318n

Barroero Liliana, 287n

Bartoccini Fiorella, 277-278

Bartoli Daniello, 144 e n

Bartolini Giovanni, 313-314

Bartolini Leone, 81, 190n

Bartolucci Vincenzo, 294

Bassani Giorgio, 11

Batoni Pompeo Girolamo, 267-268, 287288, 296

Battaglini Mario, 48n

Battelli Giulio, 61n

Baudelaire Charles, 331 e n

Bayle Pierre, 292

Bazin Catherine, 243n

Béarn Martine, comtesse de, 338

Beccaria Cesare, 268, 291

Beccaria Giambattista, 290

Bedeschi Lorenzo, 231n

Beduschi Nerina, 88n

Beethoven Ludwig van, 71, 341

Beggiao Diego, 61n

Bellarmino Roberto, santo, 142-143, 312n

Belli Giuseppe Gioachino, 328

Benedetto Giuseppe Labre, santo, 209, 270

Benedetto XIII (Pietro Francesco Orsini), papa, 33, 118, 175, 214

Benedetto XIV (Prospero Lambertini), papa, 191, 213

Benedetto XV (Giacomo Della Chiesa), papa, 37

Benelli Giovanni, 17

Benigni Umberto, 36, 58 e n, 233

Bennassar Bartolomé, 195 e n

Bennassar Lucile, 195 e n

Benocci Carla, 272, 340n

Bergomas Vittorio, 17

Bernini Gian Lorenzo, 20

Bernis François-Joachim Pierre de, cardinale, 226

Bertolio, 48

Berti Domenico, 306n, 309n

Betri Maria Luisa, 278n

Bianconi Giovanni Ludovico, 294

Bibesco Emmanuel, principe, 337

Bignami Odier Jeanne, 23

Billanovich Liliana, 25n

Billot Louis, 236

Bisconti Fabrizio, 85n

Blet Pierre, 225, 246n

Blondel Georges, 231

Boaga Emanuele, 77n

Bocchini Camaiani Bruna, 242n

Boccioni Umberto, 281

Bodoni Giambattista, 295 e n

Bohnenkamp Klaus, 349-350

Bolgeni Giovanni Vincenzo, 219

Bolgiani Franco, 206-207

Bonadonna Russo Maria Teresa, 197, 246n

Bonaventura da Bagnoregio (Giovanni Fidanza), santo, 111, 135

Bonella G., 167n

Bonifacio VIII (Benedetto Caetani), papa, 9, 11, 20, 23, 253

Bonomelli Geremia, 230

Bootle Wilbraham Caetani Ada, 281n, 335

Borea Evelina, 267

Borghese Scipione, cardinale, 308n

Borgia (famiglia), 257-262

Borgia Francesco, cardinale, 259

Borgia Giovanni, 259

Borgia Lucrezia, 259

Borgia Rodrigo, 259

Borgia Stefano, cardinale, 226

INDICE DEI NOMI 374

Borgongini Duca Francesco, 40

Borraccini Rosa Marisa, 29

Borromeo Carlo, santo, 119

Borzacchini Marco, 36n

Boschet Antoine, 190n

Boscovich Ruggero, 293, 297

Bossi Marco Enrico, 341

Bottari Giovanni Gaetano, 290

Bourgin Georges, 224

Boutry Philippe, 219 e n, 225

Bovini Giuseppe, 91

Bowron Edgar Peters, 287n

Boyle Leonard Eugene, 26

Bracco Federico, 6

Braccucci Matilde, 50-51

Brahms Johannes, 341, 343

Brambilla Elena, 52n, 278n

Brandmüller Walter, 310n

Bravo Anna, 244n

Breuers Antonio, 316n

Brezzi Paolo, xxii, 16, 86 e n, 94-96, 98-99, 102

Broggio Paolo, 184n

Brunetti F., 71n

Bruno di Colonia, santo, 29

Bucci Oddo, 43n

Bucciantini Massimo, 314n

Buffon Georges Louis Leclerc, comte de, 292

Bujanda Jesús Martinez de, 307n

Buonaiuti Ernesto, xviii, 63, 232-233

Buonanno Roberto, 293n

Buonarroti Michelangelo vedi Michelangelo Buonarroti

Buonocore Marco, xiii, xix, 17n, 19n, 24n, 85n

Busoni Ferruccio, 333

Bussotti Giovanni Battista, 154n

Cabibbo Sara, 52 - 53

Cacciaglia Luigi, 15n, 19n, 21, 24, 27 e n, 30, 249n

Caciorgna Maria Teresa, 257n

Cades Giuseppe, 287n

Caetani di Maenza (famiglia), 254, 263

Caetani di Sermoneta (famiglia), xi-xii, xxii, 9, 12-13, 15, 209, 253-264, 267269, 271-273, 277-283, 291n, 293, 302, 307, 312-315, 322n, 324, 327, 340, 346, 356, 360-361

Caetani Bootle Wilbraham Ada vedi Bootle Wilbraham Caetani Ada

Caetani Antonio, cardinale, 7, 301, 303304, 306-309, 315

Caetani Bonifacio, cardinale, 301, 309-315

Caetani Bonifacio, duca, 269

Caetani Camillo, signore di Sermoneta, 268

Caetani Camillo, di Roffredo, 5, 282

Caetani Cesare, 263

Caetani Rzewuska Calista vedi Rzwewuska Caetani Calista

Caetani Ondedei Zonga Carlotta vedi Ondedei Zonga Caetani Carlotta

Caetani Enrico, 322

Caetani Enrico, cardinale, 9, 260, 315

Caetani Filippo, xii, 273, 321-331

Caetani Francesco IV, duca di Sermoneta, 7

Caetani Francesco V, duca di Sermoneta, 289-293, 296, 298-299

Caetani Gelasio, 3-5, 13, 273, 281-282, 285 e n, 306n, 317n, 340

Caetani Grénier Giovannella, 3-4, 280281n

Caetani Guglielmo, 259-261

Caetani Lelia, xviii, 7-8, 10

Caetani Leone, duca di Sermoneta, 3-4, 12, 253, 273, 280-281, 335, 340

Caetani Livio, 340

Caetani Lovatelli Ersilia, 278-279, 283

Caetani Luigi, cardinale, 315, 317 e n

Caetani Knight Margaret vedi Knight

Caetani Margaret

Caetani Marguerite vedi Chapin Caetani Marguerite

Caetani Michelangelo I, duca di Sermoneta, 287-288,

INDICE DEI NOMI 375

Caetani Michelangelo II, duca di Sermoneta, 12, 273, 277-280, 322-323, 330n,

Caetani Michelangelo, 3, 340

Caetani Onorato III, signore di Sermoneta, 258-259

Caetani Onorato VII, duca di Sermoneta, 3, 273, 281n, 335-336, 339-340

Caetani Onorato, monsignore, xii, 8, 90-91, 253, 268, 285-300, 319 e n, 321, 353

Caetani Onorato, 260

Caetani Onorato, detto Onoratino, 281n

Caetani Roffredo, duca di Sermoneta, xii, 3-7, 280, 282-283, 333-344

Caetani Sveva, 281

Caetani Corsini Teresa vedi Corsini

caetani Teresa

Caetani de’ Rossi Teresa vedi Rossi Caetani Teresa de’

Caetani Colonna Vittoria vedi Colonna

Caetani Vittoria

Cafaro Costantino, 137n

Caffiero Marina, xiii, 51-52, 54, 193-195, 197n, 199n, 205 e n, 207 e n, 209, 212, 219 e n, 222 e n, 286n, 294 e n, 358, 360

Cagliostro Alessandro (Giuseppe Balsamo), conte di, 299

Cajani Luigi, 110

Calasso Francesco, 133n

Calzona Arturo, 260n

Camillo De Lellis, santo, 149-150, 157 e n

Campanella Tommaso, xii, 7, 12, 253, 301-304, 306-319

Campitelli Alberta, 272

Cancellieri Francesco, 293

Canciani Mario, 247n

Candida Carlo, 330

Cannelli Cristina, 273n, 277n, 321n, 323

Canone Eugenio, 307n, 313n, 316n, 318 e n

Canonici Claudio, 65n, 199, 200-201, 221 e n

Cantarutti Giulia, 295n, 297n

Cantimori Delio, 218 e n

Capizzi Carmelo, 56n

Cappelli Giovanna, 17n

Capra Carlo, 291n

Caprini Antonio, 126

Caputo G., 138n

Caracciolo Alberto, 286 e n

Caracciolo Chia Marella, 281n

Carafa Carlo, cardinale, 187-188, 192

Carbonetti Vendittelli Cristina, xiii, 111

Carcopino Jérôme, 91

Cardilli Luisa, 37n

Carducci Giosuè, 278

Carena Maria, 25

Carli Maddalena, 246n

Carlo III di Borbone, re di Napoli e di Sicilia, poi re di Spagna, 299

Carlo VIII di Valois, re di Francia, 259

Carlo Alessandro, granduca di SassoniaWeimar-Eisenach, 278n, 336

Carlo da Motrone, 187n

Carocci Sandro, 254 e n

Carpegna Gaspare, cardinale, 155

Carpi Daniel, 195n

Carpifave Osvaldo, 7, 10, 347

Carpinello Mariella, 54n

Carusi Enrico, 4

Casaroli Agostino, cardinale, 17

Casciola Brizio, xviii, 232

Casella Alfredo, 334

Castagnoli Ferdinando, 88n

Castellana Riccardo, 86n

Castellani (famiglia), 279

Castellani Fortunato Pio, 279

Castiglione Tommaso R., 297n

Cattaneo Massimo, xiv, 65n, 204n, 285, 319n, 354

Catto Michela, 184n

Cavallaro Anna, 36n, 110

Cavalli Atanasio, 293-294

INDICE DEI NOMI 376

Cavallo Pietro, 241n

Cavazzuti Giuseppe, 294n

Cazzola Franco, 260n

Cecchelli Carlo, 85-86, 88-89

Ceglie Simonetta, 52-53

Celli Claudio Maria, 18

Cenci Beatrice, 327

Ceresa Massimo, 17

Ceruti Giacinto, 294

Cervini Tommaso, 191

Cesaretti Felice, 153n

Cesarini Virginio, 311n

Cesi (famiglia), 313-315

Cesi Federico, il Linceo, 18, 308, 313n, 315

Chapin Caetani Marguerite, xii, 9, 11-12, 253, 280, 282, 333, 336-338, 340, 345351

Chateaubriand François-René, vicomte de, 322

Châtellier Louis, 187n, 192n

Chenu Marie Dominique, 231 e n

Chevillard Camille, 324, 339, 342-343

Chiabò Maria, 62 e n, 110, 257n

Chigi (famiglia), 20

Chimènes Myriam, 338-339

Ciappelli Giovanni, 52n

Ciavarella Angelo, 295n

Cicatelli Sanzio, 149-150

Ciliberto Michele, 316n

Cini Filippo, conte, 324

Cini Giulia, contessa, 324-326

Cirillo Bernardino, 150

Ciucci Giorgio, 293n

Clemente VIII (Ippolito Aldobrandini), papa, 28, 136, 182, 185n, 270, 303, 306

Clemente X (Emilio Bonaventura Altieri), papa, 157

Clemente XI (Giovanni Francesco Albani), papa, 191, 214

Clemente XII (Lorenzo Corsini), papa, 290

Clemente XIII (Carlo della Torre di Rezzonico), papa, 289

Clemente XIV (Lorenzo Ganganelli), papa, 296

Codignola Arturo, 206

Colesanti Massimo, xiv, 321, 327n

Colonna Carlo, duca, 330

Colonna Fabio, 315

Colonna Giovanni, 85n

Colonna di Sciarra (famiglia), 20

Colonna Caetani Vittoria, 280-281

Colonne Édouard, 334, 339

Contini Alessandra, 54n

Copernico Niccolò, 310-312

Corona Camillo, 290-291, 298

Corsini Caetani Teresa, 290

Corsini Neri, cardinale, 290

Cortonesi Alfio, 257n

Cortot Alfred, 339, 342-343

Cossé Brissac Anne de, 339n

Costaguti Angelo, 20

Costantino I, imperatore romano, 89, 134 e n

Coste Jean, 11, 59 e n, 107, 185-186, 191192, 257n

Cotugno Domenico, 290n

Courier Paul-Louis, 322 e n, 324n

Cozza Francesco, 302, 316, 318

Crasso Lorenzo, 316n

Cretoni Antonio, 219

Crispi Francesco, 163 e n

Cristina, regina di Svezia, 125, 199 e n

Cristofano Amaduzzi Giovanni, 294

Crognale Gabriele, 61n

Cunich Raimondo, 290

Cunsolo Luigi, 316n

Curri Naldini Elisa, 73

D’Addario Arnaldo, 60-61

D’Addio Mario, 308n, 312n

D’Aiuto Francesco, 19n, 23

Dakhlia Jocelyne, 199n

D’Alatri Mariano, 176n

Dal Pane Luigi, 211

Damiani Nazareno, 236n

Dammacco Gaetano, 44n

INDICE DEI NOMI 377

Dammig Enrico, 212

D’Annunzio Gabriele, 278

Dante Alighieri, 9, 279

Dartevelle Raymond, 65n, 219n

Dauvillier Jean, 86n

De Angelis Agostino, 61n

De Angelis Paolo, 143-144

Debussy Claude, 341-342

De Caro Gaspare, 259n, 309n

De Cesare Raffaele, 322n

De Cesaris Luigi, 293

De Felice Fortunato Bartolomeo, 287289, 297-298, 300 e n

De Felice Renzo, 211, 218-219

Dejardins Paul, 234

De La Roncière Charles Bourel, 175 e n

Del Drago Massimo Teresa, principessa, 331

De Leo Pietro, 29

Del Giudice Vincenzo, 138n

Del Litto Victor, 324-325

Del Lungo Isidoro, 311n

Del Re Niccolò, 150n

De Luca (famiglia), xx

De Luca Giuseppe, xii, xx, 31, 34, 57n, 60-61, 70-71, 74-76, 79-83, 123, 181, 213, 231, 246

De Luca Maddalena (Nuccia), xx, 73, 348

De Luna Giovanni, 241n

De Maio Romeo, 15, 71-72

De Marco Vittorio, 48n

De Meijer Pieter, 345 e n

De Rosa Gabriele, 25 e n, 34, 69-71, 73n, 114, 138n, 174 e n, 208-209, 213, 239n, 242n, 244n, 246-247, 249 e n, 289n

De Sandre Giuseppina, 114

De Tipaldo Emilio, 287n

Di Falco Anna, 282n

Di Mattia Spirito Silvana, 36n, 110, 113 e n

Di Nola Alfonso Maria, 70

Dolara Anna Vittoria, 51-53

Dompnier Bernard, 182n, 184n, 190n

Donati Claudio, 260n

Donati Maurizio, 279

Donato Maria Pia, 294n

Doodley Brendan, 313n

Dore Giampiero, 25

Dostoevskij Fëdor Michajlovič, 71

Dovere Ugo, 123n, 184n

Duchesne Louis, 89 e n, 232

Dufourcq Albert, 217-219

Dugnani Antonio, 224

Duphot Mathurin-Léonard, 299

Dupuis Sylvain, 339

Durand Jean-Dominique, 235n

Eldarov Giorgio, 86n

Eliot Thomas Stearns, 346, 348, 350

Ellis Howard Harriet, 277, 280

Ercole, 89

Ernst Germana, 12, 301 e n, 303n, 306n, 313-314, 316n, 318n

Esposito Anna, xiii, 36n, 109n, 112n, 136n, 256n, 358

Eusebio di Cesarea, santo, 134n

Faberi Francesco, 233

Fabi Montani Francesco, 287-288

Fabre Pierre-Antoine, 197 e n

Fabri Giovanni, 308 e n

Fagiolo Marcello, 36n, 123n

Fantaguzzi Emilia, 51n

Fantoli Annibale, 310n, 312n

Fanucci Camillo, 162

Faralli Carla, 185n

Fargue Léon-Paul, 345-346, 348

Farina Raffaele, xiii, xix-xx, 18

Fauré Gabriel, 341, 344

Favilla Pietro Giacomo, 306-308, 314 e n

Favaro Antonio, 311n

Feliciani Giorgio, 44n

Fernández Alonzo Justo, 167n

Ferrari Andrea Carlo, cardinale, 235

Ferrari Guy, 88

Ferrari Stefano, 297 e n

Ferrero Fabriciano, 59 e n

Ferrua Antonio, 89 e n

INDICE DEI NOMI 378

Filippo Neri, santo, 161, 197

Filippo III d’Asburgo, re di Spagna e di Portogallo, 308

Filippone Vincenzo, 225

Fini Francesco Antonio, cardinale, 215

Fiocca Alessandra, 260n

Fiorani Agostino, xix

Fiorani Caterina, xiii, xix, xxi, 3, 12, 23, 30, 69, 263 e n, 278, 280-281, 283n, 301n, 304, 327, 349, 353, 361

Fiorani Malvina, xix

Fiorani Silvana, xix, 30

Fioravanti Rita, 29

Fiore Domenico, 324n

Fiorentini Giovan Domenico, 267

Fioretti Donatella, 292 e n, 300 e n

Fiori Antonio, 56 e n

Fiorucci Angelo, 158

Firmian Carlo Giuseppe di, 291

Firpo Luigi, 302 e n, 306n, 311 e n, 316317

Fiume Giovanna, 198n

Floridi Ambrosio, 315 e n

Foa Anna, 195n

Foggini Pier Francesco, 290

Fontana Fulvio, 190n

Forcella Enzo, 242n

Fosi Irene, 29, 263n

Fouilloux Étienne, 234n

Fracassini Tommaso, 233

France Anatole, 278

Francesco de Geronimo, 187n

Frank Charles, 295n

Franza Gerardo, 57n

Frisi Paolo, 297

Froment Pierre, 234

Gabrieli Giuseppe, 4n, 313n, 315n

Gabriella, beata, 54n

Gaetani di Fondi (famiglia), 12

Gaetani d’Aragona Onorato II, 13

Gagov Iosif, 86, 95-96

Gaiotti De Biase Paola, 58n

Galassi Paluzzi Carlo, 91

Galerio Gaio Valerio Massimiano, imperatore romano, 134n

Galilei Galileo, 312-314, 318

Gallarati Scotti Tommaso, 235

Gallerano Nicola, 244n

Garampi Giuseppe, cardinale, 216 e n, 290

Gardi Andrea, 9

Garlato Pietro, 61n

Gaudio, padre, 288

Gazzini Marina, 137

Gemini Fiorenza, 60 e n

Genocchi Giovanni, 63, 232

Gentiloni Silveri Umberto, 246n

Gerhard Eduard, 278

Gesù Cristo, 89, 158n, 192, 235-237

Gherardi, padre, 288

Ghilardi Massimiliano, xiii, 85, 209, 358

Ghione Paola, 12, 278n, 281n, 335n

Giancotti Francesco, 308n

Giannone Pietro, 215, 292

Giard Luce, 184n

Giardina Andrea, 204n

Gide André, 346

Giovagnoli Agostino, 244n

Giovannetti Patrizia, 246n

Giovanni XXIII (Angelo Giuseppe Roncalli), papa, 233

Giovannoni Giulio, 88n

Gisolfo Pietro, 192 e n

Giulio II (Giuliano Della Rovere), papa, 261

Giuntella Vittorio Emanuele, 49n, 207209, 211-213, 218-219, 226n, 242n, 286 e n, 360

Giuseppe Calasanzio, santo, 158

Giusti Martino, 112

Gonzaga (famiglia), 259-260

Gorgone Giulia, 273n, 277n, 321n, 323

Gotelli Angela, 25

Gout Mario, 17

Grabar André, 90

Grafinger Christine Maria, 15n

Granata Giovanna, 29

INDICE DEI NOMI 379

Grand R., 235n

Grattagliano Maria, 47n

Greffulhe Elisabeth, contessa, 338-339, 342-343

Gregorio I Magno, papa, santo, 158n

Gregorio XIII (Ugo Buoncompagni), papa, 152, 170, 312n

Gregorio XV (Alessandro Ludovisi), papa, 308

Gregory Tullio, 289n

Greipl Egon Johannes, 310n

Grendi Edoardo, 134 e n

Grénier Alberico, barone, 281n

Groom Gloria, 337-338

Gross Hanss, 293n

Grossi Monica, 43n

Gualdo Germano, 61n

Guanzelli da Brisighella Giovanni Maria, 307n

Guarducci Margherita, 90 e n

Guarnieri Romana, 69-71, 73 e n, 75n, 79-81, 83, 231n, 239

Guasco Maurilio, 231n, 233n, 235n

Guasti Niccolò, 296n

Guerra Floridea, 270

Guevarre André, 156 e n

Guidobaldi Federico, 35n

Hadermann Misguich Lidie, 9

Haller Albrecht von, 297

Hamburger Klara, 336n

Hambye Edouard René, 86n

Harnack Adolf von, 232

Hazard Paul, 118

Hébert Ernest, 325-326

Helvétius Claude-Adrien, 300

Henzen Wilhelm, 278

Herrera Francisco de, 312n

Hickley Dennis, 86n

Hofmannsthal Hugo von, 350

Howard Hubert, xviii, 7-11, 346-348, 352, 361

Huetter Luigi, 167-168

Hügel Friedrich von, 232

Hunter John, 9, 11, 268-269

Hurtubise Pierre, 30 e n

Ignazio di Loyola, santo, 154, 196

Imperiali Vincenzo, 191

Incardona Pietro, 264n

Ingoli Francesco, 310 e n, 314 e n

Innocenzo III (Lotario dei Conti di Segni), papa, 136

Innocenzo IV (Sinibaldo Fieschi dei Conti di Lavagna), papa, 136

Innocenzo X (Giovanni Battista Pamphilj), papa, 125, 182, 270

Innocenzo XI (Benedetto Odescalchi), papa, 147 e n, 214

Innocenzo XII (Antonio Pignatelli di Spinazzola), papa, 152, 155-156, 189 e n, 214

Iozzelli Fortunato, 63 e n, 234n

Ippolito, santo, 103

Jacobini Domenico, 63

Jacquier François, 294

Jarry Jacques, 86n

Jatta Barbara, 19n

Jedin Hubert, 236

Jemolo Arturo Carlo, 205

Jeronimidis Anna, 327n

Jervolino Angelo Raffaele, 25

Jordán de Urríes y de la Colina Juan, 295n

Kassner Rudolf, 351

Kauffman Angelika, 268, 287-288

Keplero Giovanni (Johannes Kepler), 314n

Knight Caetani Margaret, 280

Kraus Karl, 232

Krautheimer Richard, 88

Kristeller Paul Oskar, 9

Kritzkoff, segretario dell’ambasciatore russo, 330

Laberthonnière Lucien, 231

INDICE DEI NOMI 380

Labre Benedetto Giuseppe vedi Benedetto Giuseppe Labre, santo

Lagrange Reginaldo Garrigou, 232

Lainati Maddalena, 243n

Lalande Joseph-Jérôme Lefrançois de, 292, 297

Lallemand Léon, 162 e n

La Manna Federica, 295n

Lamberini Daniela, 260n

Lamioni Claudio, 207n

Lamourette Antoine-Adrien, 353

Larbaud Valery, 346, 348, 350-351

Lassus Jean, 86n

Lattanzio Lucio Cecilio Firmiano, 134n

Lauro Agostino, 56n

Le Bras Gabriel, 70, 134 e n, 138n

Lebreton Maria Magdalena, 28-29

Le Brun Jacques, 200n

Leibniz Gottfried Wilhelm von, 292

Lemme Lodovico Paolo, 277n

Lemos Fernando Ruiz de Castro Andrade y Portugal, VI conte di, viceré di Napoli, 315

Leonardo da Porto Maurizio, santo, 182n, 190, 192, 209

Leone XII (Bartolomeo Della Genga), papa, 35

Leone XIII (Gioacchino Pecci), papa, 166 e n, 229, 231, 233-234

Leone Giorgio, 316-317

Leone l’Africano (Al-Hasan Al-Wazzam), 200

Leopoldo II vedi Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena

Lerner Michel-Pierre, 301n, 308-312, 317n

Lerou Paul, 65n, 219n

Levi David, 295n

Levi della Vida Giorgio, 233 e n, 280 e n

Levie Sophie, xiv, 9, 11, 253, 333, 345347, 349-350

Licinio Valerio Liciniano, imperatore romano, 134n

Liguori Alfonso Maria de’ vedi Alfonso Maria de’ Liguori, santo

Linhartová Milena, 308n

Lirosi Alessia, 52n

Liszt Franz, 336, 341

Lo Bianco Anna, 287n

Locke John, 292

Lodolini Tupputi Carla, 85n

Loisy Alfred Firmin, 236

Loparco Grazia, 243n

Lorenzo, santo, 10

Lovatelli Giacomo, 278

Lucchesini Giuseppe, 318n

Lucrezio Tito Caro, 71

Luigi Orione, santo, 234

Lutz Georg, 306n

Luzi (sorelle), 51

Luzi Caterina, 51n

Luzio Romano, 269

Maccarone Michele, 25

Macchia Giovanni, 345-346

Madonna Maria Luisa, 36n, 123n

Maffioli Cesare, 260n

Magini Giovanni Antonio (Maginus), 314n

Maire Vigueur Jean-Claude, 254

Majorana Bernadette, 184n

Malgeri Francesco, 69n, 244n, 246n

Mallerini Prospero, 22

Mandeville Bernard de, 292

Manelfi Domenico, 144n

Mangiatordi Giuseppe, 219

Manni Domenico, 292

Manselli Raoul, 208-209

Mantovano Giuseppe, 91n, 209 e n

Manzo Michele, 63 e n

Maratta Francesco, 290

Marchesi Francesco, 156 e n

Marchetti Gian Luigi, 6-7

Marchetti Giovanni, 219-220, 226

Marchetti Longhi Giuseppe, 278n

Marchetti-Selvaggiani Francesco, cardinale, 236

INDICE DEI NOMI 381

Mareste Adolphe de, 324n

Margiotta Broglio Francesco, 206n

Maroni Lumbroso Matizia, 109 e n, 168 e n

Martina Giacomo, 69, 123n, 184n, 208209

Martini Antonio, 91n, 109 e n, 168-169, 209 e n

Martino Anna, 25

Martinotti Sergio, 337n, 341n

Martire Egilberto, 21

Martucci Giuseppe, 341

Masaccio (Tommaso di ser Giovanni di Mone Cassai), 71

Mascagni Pietro, 344

Mascardi Giacomo, 143n

Massimo Mario, duca di Rignano, 324

Matheus Ricarda, 193n

Mattei (famiglia), 272

Matthiae Guglielmo, 88

Mattioli Hary Nicoletta, 23

Maury Jean-Siffrein, cardinale, 224

Mausbach Joseph, 236 e n

Mayaud Pierre-Noël, 310n

Mazzocca Fernando, 287n

Meersseman Gilles Gérard, 169 e n

Mejia Jorge María, cardinale, 18

Melata Benedetto, 139n

Mendelssohn Bartholdy Jakob Ludwig

Felix, 341

Mengs Anton Raphael, 268, 287-288, 295 e n

Menochio Giovanni Stefano, 146n

Menozzi Daniele, xiv, 192n, 215 e n, 353

Mercati Angelo, 34

Merlo Grado Giovanni, 233n

Metastasio (Pietro Antonio Trapassi), 287n, 296

Meyer Fr., 182n

Mezzadri Luigi, 188n

Miccoli Giovanni, 231n

Michelangelo Buonarroti, 71

Milano Attilio, 195 e n

Millini Celso, 144 e n

Minardi Tommaso, 279, 322

Minghetti Marco, 163

Mira Giuseppe, 36n, 246n

Mirabeau Honoré Gabriel Riqueti, conte di, 353

Modica Vasta Marilena, 53n

Molajoni (famiglia), 232

Mombelli Castracane Mirella, xiii, 131, 137-140, 175n, 262n, 358

Mommsen Theodor, 278

Monachino Vincenzo, 76-78, 176n

Monaco Giuseppe, 293n

Monaco Michele, 69 e n

Mongiò Lorenzo, 303-304

Monsagrati Giuseppe, xiii, 12, 277 e n, 280, 294n, 324 e n

Monterisi Nicola, 81

Montesquieu Charles-Louis de Secondat, 292

Monticone Alberto, 69, 79, 108, 114, 131, 177n, 239n

Morandi Orazio, 313 e n

Morello Giovanni, 58n

Mores Francesco, 233n

Morghen Ruggero, 9

Morichini Carlo Luigi, cardinale, 160162

Moro Renato, 247n

Morosini Giuseppe, 245

Mulè Alessandra, 111

Muratori Lodovico Antonio, 78, 215

Murri Romolo, 232

Mussolini Benito, 5 e n, 345n

Mylbach Sylvain, 182n

Nacinovich Annalisa, 294n

Nahon Umberto, 195n

Nanni Stefania, xiii, 181, 209, 359

Napoleone III Bonaparte, 279

Natali Martino, 288-289

Naudé Gabriel, 317-318

Negro Angela, xiii, 267, 287n

Negroni (famiglia), 272

Neveu Bruno, 193 e n

INDICE DEI NOMI 382

Nicotra Laura, 279n

Nietzsche Friedrich, 346

Norci Cagiano de Azevedo Letizia, 327n

Nordhagen Per Jonas, 89 e n

O’Connell Marvin, 232, 234 e n

Ojetti Benedetto, 138n

Ondedei Zonga Caetani Carlotta, 287

Op De Coul Paul, xiv, 333

Orchi Emanuele, 147-148

Origo Benedetta, 334 e n

Origo Iris, 345n

Orioli Giovanni, 91n, 209 e n

Orione Luigi vedi Luigi Orione, santo

Orlandi Giuseppe, 185n

Orsini (famiglia), 152, 254

Ortroy Francesco van, 232

Osbat Luciano, xiii, 69, 71n, 77n, 239n, 359

Ossicini Adriano, 246-247, 249

Ossola Carlo, 188n

Ottoboni Pietro, cardinale, 20, 22

Pagano Sergio, xiii, xix, 33, 35-38, 110 e n, 193-194, 231n

Paglia Vincenzo, 36 e n, 61n, 66n, 69n, 78 e n, 109-110, 170-172, 176, 181n, 230-231

Palazzolo Maria Iolanda, 278n

Palermo Luciano, xix-xxi, 264n

Palumbo Margherita, xiv, 301

Paluzzi Caterina, 75

Palese Salvatore, 77n

Pani Ermini Letizia, xiii, 92, 103-104

Panzetta Alfonso, 282n

Paolo della Croce (Paolo Francesco

Danei), santo, 187n, 192, 209

Paolo III (Alessandro Farnese), papa, 268

Paolo V (Camillo Borghese), papa, 185n, 270, 307n, 308-309, 311-312

Paolo VI (Giovanni Battista Montini), papa, 17

Paolucci Scipione, 190

Pappagallo Pietro, 245

Paratore Ettore, 85n

Parente Fausto, 195 e n

Parisella Antonio, 245n

Parocchi Lucido, 63

Pascal Blaise, 147n

Pascucci Francesco, 57n

Pasini Cesare, 15n

Passerin d’Entrèves Ettore, 206-207

Passionei Domenico, cardinale, 286, 290

Pasternak Boris, 346

Pastor Ludwig von, 169 e n, 225

Patetta Federico, 21

Patrizi Maddalena, 232

Paulhan Jean, 351n

Paulus Jörg, 349n

Pavan Paola, xiii, 36n, 109-110, 113 e n, 176n, 257n

Pavone Claudio, 36n, 245n

Pecchiai Pio, 5-6, 22, 91n, 209 e n, 285 e n

Pecoraro Paolo, 245, 249 e n

Peirone Giulietta, 297n

Pellegrini L., 138n

Pelletier Gérard, 25

Pelliccia Guerrino, 60 e n

Paluzzi Caterina, 81

Perdifumo (famiglia), 28

Perego Salvioni Luigi, 48n

Pergola Philippe, 85n

Perin Del Vaga, 268

Perin Raffaella, 235n

Persio Antonio, 315 e n

Pertinace Scipione, 302

Pesiri Giovanni, 257n, 259n

Pessina Marino, 341n

Pessuti Gioacchino, 294

Petrocchi Massimo, 69 e n, 147n, 150n

Petroni Guglielmo, 12

Petrucci Armando, 278n

Petrucciani Mario, xxi, 92-93, 105-106

Piastrelli Luigi, 233

Piazza Carlo Bartolomeo, 153-154, 162

INDICE DEI NOMI 383

Piazza Ugo, 25

Piazzoni Ambrogio M., 19n

Piccialuti Caprioli Maura, 36n

Piccioni Lidia, xiii, 239-242, 245n, 360

Pichois Claude, 331n

Picozzi Maria Grazia, 283n

Pieralisi Sante, 22

Pier Luigi Farnese, duca di Castro e di Parma, 269

Pietrangeli Carlo, 267, 272-273

Pietro, santo, 64, 177, 235, 359

Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena, granduca di Toscana (Leopoldo II), 291

Pozzo Cassiano dal, 317

Pietromarchi Bartolomeo, 248n

Pignatelli Tommaso, 219, 317

Pignoni Teresa, 51n

Pinamonti Giampietro, 142 e n, 187n

Pini Giandomenico, 26

Pioli Giovanni 233

Pio V (Michele Ghislieri), papa, 149n

Pio VI (Giovanni Angelo Braschi), papa, xiii, 64, 214, 220, 223, 225-227, 293n, 296

Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti), papa, 161-162, 165, 277

Pio X (Giuseppe Sarto), papa, santo, 37

Pio XI (Achille Ratti), papa, xii, 20, 27, 229, 234-235, 237-238

Pio XII (Eugenio Pacelli), papa, 20, 40, 246-247

Pisanelli Giuseppe, 164 e n

Piscitelli Enzo, 245n

Pitocco Francesco, 239n

Pizzi Gioacchino, 294

Pizzoni Canzio, 233

Pizzorusso Giovanni, 29

Plongeron Bernard, 65n, 218-219, 225 e n

Poletti Ugo, 61

Polignac Winnaretta Singer Edmond, princesse de, 338

Pollastri Sylvie, 12-13

Pompili Basilio, cardinale, 63, 236

Pontremoli Alessandro, 184n

Postigliola Alberto, 205n

Poulat Émile, 230, 233-234

Pozzi Giovanni, 116 e n

Preti Cesare, 302n

Procaccia Micaela, 65n, 201n

Prodi Paolo, 82 e n, 144n

Prosperi Adriano, 23, 38 e n, 52-53, 82 e n, 121n, 184n, 203 e n, 230 e n, 250n

Pugliatti Teresa, 9, 268

Purnell Frederick, 315n

Puškin Alexander, 346

Quaranta Sisto, 247n, 249n

Querini Quirino, 164-165

Raes Alfonso, 15-16

Raganella Libero, 240 e n, 242n, 245n

Rannaud Gérald, 326n

Rannaud Yvonne, 326n

Ranzato Irene, 50-52

Rao Anna Maria, 205n

Rapone Tiziana, 246n

Ravel Maurice, 342

Renazzi Filippo, 285

Respighi Pietro, 63

Rezzonico Gastone della Torre di, 295296

Riccardi Andrea, 60, 242n

Ricci Scipione de’, 207

Ricciardi Riccardo, 206

Richelieu Armand-Jean du Plessis, duca di, 156

Righetti Igino, 26

Rilke Rainer Maria, 346, 348-350

Rimoldi Antonio, 234n

Risset Jacqueline, 12

Rita Andreina, 15n, 24

Riva Clemente, 231n

Roberti Luciana, 62 e n

Robertson Edmund, 292

Rocciolo Domenico, xiii, xxi, 24, 37, 39 e n, 52n, 55 e n, 61n, 63n, 65-66, 69, 110, 193-194, 198, 209n, 213n, 223 e n, 226-227, 244n, 248-249, 354

INDICE DEI NOMI 384

Rodano Franco, 246

Rodolfo II d’Asburgo, imperatore, 306, 308

Rodrigo d’Aragona, 259

Roettgen Steffi, 287n, 295n

Rolfi Ožvald Serenella, 295-296

Romanelli Pietro, 86, 89n

Romano Antoniazzo, 110, 293n

Roncière Charles de la, 114

Rosa Mario, xiii, 192n, 205, 212n, 289n, 353, 360

Roscetti Fernanda, 86, 92-94, 98-104

Rospigliosi Clemente, principe, 330

Rossi Giovanni Gherardo de’, 322

Rossi Guido, 144n

Rossi Mario, 233

Rossi Sergio, 36n, 110

Rossi Caetani Teresa de’, 278, 322

Rostagno Lucia, 195 e n

Rota Ettore, 205

Rotundo Donatella, xx

Rotundo Giovanna, xx

Rousseau Jean-Jacques, 298

Rovigatti Luigi, 16

Rudt de Collenberg Wipertus Hugo, 194 e n, 198

Rusconi Roberto, 29

Ruspoli (famiglia), 272

Russo Carla, 134n

Russo Vincenzo, 218

Rutto Giuseppe, 206-207

Ruysschaert Josè, 6, 15, 23n

Rzewuska Caetani Calista, 280 e n

Rzewuska Rosalie, 280n

Sacchetti Giulio, marchese, 26

Sagaria Rossi Valentina, 12, 281n, 335n

Saggiorato Annarosa 91

Sainte-Aulaire Louis-Clair de Beaupoil, conte di, 331

Saint-Marceaux Marguerite de, 338

Saint-Simon Claude-Henri de Rouvroy, conte di, 325n

Saitta Armando, 72

Sala Giuseppe Antonio, 49n, 222

Salamon Louis-Siffrein-Joseph de, 224

Salvadori (famiglia), 232

Salvetti Guido, 341n

Salvetti Matteo, 306n

Salvetti Firpo Laura, 306n

Salviati (famiglia), 20, 30

Samorè Antonio, cardinale, 17

Sandri Leopoldo, 69 e n

Santone Laura, 12

Santori Giulio Antonio, cardinale, 303 e n

Sardelli Teresa, 59 e n

Sbrana Carla, 59 e n

Scaiola Anna Maria, 327n

Scaduto Francesco, 164n, 208-209

Scanarolo Giambattista, 148 e n, 153-154, 162

Scaraffia Lucetta, 53n, 195n, 244n

Scarpellini Feliciano, 293n

Scattigno Anna, 54n

Scavizzi Pirro, 236

Schoppe Kaspar (Gaspar Scioppio), 308 e n, 309n

Schumann Robert Alexander, 341

Sciarra Mario, 73

Segneri Paolo, 187n

Semeraro Cosimo, 235n

Semeria Giovanni, 229-232, 234

Seneca Antonio, 119

Sensi Mario, 78 e n

Serbelloni (famiglia), 272

Sermoneta Giuseppe, 195 e n

Serni Pompeo, 172 e n

Serra Armando, 36n, 174n, 189n

Sgambati Giovanni, 337, 341

Siciolante da Sermoneta Girolamo, 9, 11, 267-269

Siciolante da Sermoneta Tullio, 269

Sinigaglia Leone, 341

Siniscalchi Pierpaolo, 79n

Sisto V (Felice Peretti), papa, 152

Slop de Cadenberg Giuseppe Antonio, 293

INDICE DEI NOMI 385

Solinas Francesco, 316-317

Sommella Paolo, xiii, xxi

Sonnino Eugenio, 60, 63n

Sorgiovanni Francesco, 316n

Sozzini Mariano, 156, 197

Spadaro Letizia, 35n

Sparti Donatella Livia, 317n

Sperelli Alessandro, 144-146

Spini Giorgio, 311n

Spruit Leen, 302-303

Starn Randolph, 212 e n

Stay Benedetto, 290

Stella Pietro, 206, 209, 215-216, 353

Stendhal (Henri Beyle), 321-327, 331

Stickler Alfonso, 9, 17

Stigliola Niccolò Antonio, 315

Strangio Donatella, 264n

Strinati Caludio, 36n, 110, 316n

Stuart Henry, duca di York, cardinale, 17

Subiaco Piergiulio, 264n

Sulis Ubaldo, 23

Syndicus Eduard, 88 e n

Tacchi Venturi Pietro, 169 e n

Tacus Renata, 56 - 57

Taglietti Franca, xiv, 271, 278n

Tamassia Paolo, 12

Tanari Bartolomeo, 158

Tardini Domenico, 235n

Tarzia Fabio, 294n

Tasso Torquato, 7, 287n, 292

Tavanti Cecilia, 333n

Tchalenko Georges, 86n

Tellier Jean, 170

Tenerani Pietro, 279, 322, 326, 330n

Terenzi Umberto, 236n

Tessitore Fulvio, 12, 280

Testini Pasquale, 85-87, 90, 92, 94-98, 102-104

Themelly Mario, 290n

Thorvaldsen Bertel, 279

Tiraboschi Girolamo, 297

Tisserant Eugenio, cardinale, 15, 17

Tolomeo Claudio, 314 e n

Tolstòj Lev Nikolàevič, 71

Tommaso da Cori, padre, 187n

Tommaso d’Aquino, santo, 231

Tomory Peter Alexander, 287n

Torga Miguel, 230

Torlonia Alessandro, principe, 330

Torquemada Tomás de, cardinale, 155

Tortora Massimiliano, 12

Toscano Bruno, xiii, xvii, 272 e n

Tosetti Urbano, 288-289

Tosti Mario, xiii, 214, 217, 360

Toussaint Stephan, 12

Tozzi Glauco, 35n

Traniello Francesco, 206-207

Trompeo Pier Paolo, 322n, 325n

Tufo Mario del, principe, 302-303

Turvasi Francesco, 58n

Ugolini Francesco Alfonso, 109n

Unelli Teresa, 51n

Ungaretti Giuseppe, 345 e n, 351

Ungaro Lucrezia, 85n

Unglaub Erich, 349n

Urbano VIII (Maffeo Vincenzo Barberini), papa, 270, 304n, 311-313, 315n, 317

Valentinelli Francesco, 49n

Valéry Paul, 346, 348, 350-351

Valier Agostino, cardinale, 27

Valletta Giuseppe, 72

Valli Stefania, 12

Valsecchi Raffaella, 341n

Vannugli Antonio, 36n, 110

Vanti Mario, 150n

Vaquero Piñeiro Manuel, xiii, 253, 257n, 259n, 264n

Vaucelles Louis de, 184n

Vauchez André, 204n

Vendittelli Marco, xix, xxii, 11, 254, 256-257

Venier Elio, 249 e n

Venturi Franco, 206 e n, 211, 279n

Venzo Manola Ida, xiii, 41, 47n, 52n

INDICE DEI NOMI
386

Verga Marcello, 188n

Vernet Horace, 330

Vernet Louise, 330

Verri Alessandro, 268, 296

Verri Pietro, 268, 291 e n, 296

Vian Giovanni, 234n

Vian Paolo, 19n, 23, 71n

Vielliard René, 88

Vigouroux Fulcran, 232

Villapadierna Isidoro da, 176n

Villot Giovanni, cardinale, 17

Vincent Bernard, 199n

Vincenzo de’ Paoli, santo, 187-188

Viollet-Le-Duc Geneviève, 322n

Viscardi Giuseppe Maria, 231n

Visceglia Maria Antonietta, 188n, 260n

Vismara Paola, xiii, 115, 192n, 359

Vitolo Giovanni, 114

Vittorio Emanuele II di Savoia, re d’Italia, 159, 277, 279

Vizzari Domenico, 192n

Vodret Rossella, 316n

Vogel Cyrille, 89 e n

Volpe Gioacchino, 134 e n

Volpicelli Paolo, 328-329

Volta Alessandro, 291

Voltaire (François-Marie Arouet), 268, 298, 300

Vuillard Édouard, 338

Wagner Cosima, 337

Wagner Richard, 336-337

Weaver Elissa B., 53n

Winkler Johann, 290

Woolf Virginia, 346-347, 350

Ysaÿe Eugène, 334, 339

Zaccaria Francesco Antonio, 293

Zambarbieri Annibale, xiii, 229-231, 358, 360

Zambrano Maria, 115

Zapperi Roberto, 9

Zarri Gabriella, 53n

Zemon Davis Natalie, 200 e n

Zito Paola, 29

Zocca Mario, 88n

Zola Émile, 234, 278

Zuber Valentine, 233n

Zucconi Angela, 75 e n

INDICE DEI NOMI 387

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