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Fedaia sempre più secco “Prelievi per irrigare”
Francesco Dal Mas BELLUNORiecco l'isola in mezzo al lago di Fedaia. Di solito è coperta dall'acqua. Ma quando la diga si svuota - ad oggi di circa 16 metriricompare quell'atollo. Sul versante del Trentino, piuttosto che del Veneto. Il prosciugamento dipende dal pericolo che si stacchi una parete di ghiaccio dalla Marmolada? La paura si era palesata qualche giorno fa, quando le massime persistevano oltre i 10 gradi e lo zero termico rimaneva sopra i 4 mila metri, cioè circa un migliaio più dell'altitudine della montagna. Adesso fa freddo, soprattutto di notte. E l'Enel conferma: «A partire da inizio giugno, l'acqua del lago di Fedaia viene impiegata per alimentare il sistema idrico del Veneto a fini irrigui, alla luce dello straordinario periodo siccitoso».Un mese fa, come mercoledì prossimo, la tragedia della Marmolada, con 11 morti. Dopo una prima ordinanza di chiusura del ghiacciaio, il sindaco di Canazei, Giovanni Bernard, ha rinnovato questa disposizione, ampliandola. A seguito dell'individuazione di un crepaccio poco sotto le cresce, lungo 200 metri, con uno spessore tra i 25 e i 35 centimetri, il sindaco ha fatto chiudere due rifugi, il Ghiacciaio e il Cima 11 (oltre capanna Punta Penia, disattivata in precedenza) ed ha sbarrato la strada a valle della diga. Il timore era che da quel cratere potesse staccarsi una calotta di circa 3 milioni di metri cubi e che finisse nel lago. Anche per questo motivo così afferma, ad esempio, Aurelio Soraruf, gestore dell'Albergo Castiglioni si è accelerato il deflusso dal lago. «Tutti a temere un "effetto Vajont", ma io che vivo e lavoro quassù, non ho nessun timore di questo tipo perché spiega ancora Soraruf può contenere la massa ipotizzata. Ma di più: non siamo più nelle condizioni di collasso da temperature come una decina di giorni fa». Ed in effetti anche il sindaco di Canazei ha assicurato: «Nessun rischio per la sicurezza di cittadini ed ospiti». Il "guardiano delle dighe", Attilio Bressan, che abita a Malga Ciapela, conferma che da sempre l'Enel utilizza l'acqua del Fedaia, in gran parte sul territorio di Trento, per dissetare la pianura veneta. Solo un rigagnolo finisce sull'Avisio, ovvero il deflusso minimo vitale. La diga conteneva 17 milioni di metri cubi d'acqua, con l'inghiaiamento scende sotto i 16 milioni.È avventuroso il percorso delle acque della Marmolada che arrivano al Trevigiano e vanno oltre. Partono dal Fedaia e percorrono una galleria di 4 chilometri, poi scendono in picchiata per 700 metri, quindi intubate, nella centrale di Malga Ciapela. Qui non vengono dirottate lungo il rio Pettorina ma obbligate in una condotta che si abbassa fino a raggiungere la centrale di Saviner di Laste. Lasciate libere, raggiungono il lago di Alleghe. Altra centrale e altra condotta fino all'impianto idroelettrico di Cencenighe. Raccolto l'apporto del torrente Biois, il deflusso si fionda sulla centrale di Agordo. Le acque, di nuovo in condotta, proseguono la discesa sino all'impianto di Stanga. Di nuovo in condotta, attraversano in sotterranea il Cordevole, e finiscono nel lago del Mise, alimentando quest'altra centrale. Da qui alla struttura di produzione idroelettriche di Busche il passo è breve. Altra condotta fino a Quero, per dare acqua ad un nuovo impianto di energia. Intanto il Piave vive sul deflusso minimo vitale. Arriviamo all'altezza del Montello e a questo punto iniziano le captazioni dei Consorzi di bonifica. Parlando del lago o della diga di Fedaia, resta da precisare che si tratta in realtà di due bacini, uno artificiale e uno naturale. Nel 1956 furono separati da una diga gestita dall'Enel che come ricorda Bressan solitamente viene svuotata tra l'autunno e la primavera, mentre in estate viene riempita dall'acqua dello scioglimento delle nevi di copertura del ghiacciaio. Quest'estate, però, è stata pesante l'ablazione dello stesso ghiacciaio, come ammette uno dei più accreditati studiosi di questa montagna, Mauro Valt dell'Arpa di Arabba. ©
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Corriere delle Alpi | 3 agosto 2022 p. 19
La Regione: «Più acqua per il Piave» Al via i prelievi dai laghi del Bellunese
Francesco Dal Mas BELLUNO
Ha rischiato davvero un brutto quarto d'ora la comunità di Auronzo. Il rischio era di dover fare i conti con un lago svuotato proprio a ferragosto. Lo aveva annunciato, ieri pomeriggio, l'unità di crisi della Regione Veneto, per dare acqua al Piave. Dopo un'ora è stata ritirata quella che era stata anticipata come una richiesta ad Enel Green Power. Salvo, dunque, il lago di Santa Caterina, mai interessato dai grandi svuotamenti estivi. In compenso saranno maggiormente svuotati il bacino di Centro Cadore, il lago di Santa
Croce e quello del Mis, già vicino ai minimi storici. Via ai prelievi«Dopo aver messo in sicurezza il problema drammatico della risalita del cuneo salino lungo il Po e il Livenza, abbiamo deciso di mettere in atto delle azioni per aumentare la portata del fiume Piave e tutelarne il sistema idrico complessivo», fa sapere il presidente del Veneto, Luca Zaia. «Siamo in un momento importante anche per il mondo agricolo, in cui le coltivazioni maturano e siamo vicini alla raccolta autunnale. Nel caso del Piave si tratta di tutelare da un lato i vigneti e dall'altro tutte le coltivazioni di cereali».Zaia, come si sa, è Commissario delegato per gli interventi urgenti per gestione della crisi idrica. L'Unità di crisi, riunitasi ieri, si è concentrata sull'affrontare la diminuzione della portata del Piave che ha ripercussioni su un ampio sistema idrico a livello regionale. Il soggetto attuatore per il coordinamento Nicola Dell'Acqua aveva chiesto ad Enel Green Power di predisporre un decreto per favorire un maggiore rilascio dal lago di Santa Cristina di Auronzo per tutelare il sistema idrico legato al fiume sacro. Dopo qualche decina di minuti è arrivata una errata corrige, con la cancellazione di questa ipotesi. Non è dato sapere se il colpo di spugna è stato dato dopo una protesta di Auronzo. Appare più probabile che dall'Enel stessa sia arrivata l'indicazione che non si sarebbe potuto procedere, salvo la sollevazione popolare.Abbiamo interpellato l'assessore regionale alla protezione civile, ma Gianpaolo Bottacin ha precisato di non saperne nulla, in quanto non è stato chiamato a far parte dell'Unità di crisi (idrica). La Regione ha fatto, dunque, un passo indietro. Ha comunque sollecitato Enel Green Power ad aumentare le portate delle acque degli altri bacini.Sono già state avviate le relative operazioni a Sospirolo che hanno portato ad un aumento alla centrale di Quero. A Sospirolo arrivano, in condotta, le acque della Marmolada, raccolte nel lago diga di Fedaia. Lunedì sera sul ghiacciaio ha tempestato e di pioggia ne è arrivata parecchia. I numeri di ArpavIn luglio come da dati Arpav è proseguito il calo "fisiologico" del volume nei principali serbatoi del Piave, con un rallentamento solo negli ultimi giorni: a domenica scorsa il volume totale invasato era di 102,2 milioni di metri cubi (36,6 in meno rispetto alla fine di giugno), pari al 61% del volume massimo contenibile dei bacini di Pieve di Cadore, Santa Croce e Mis. Con un calo piuttosto discontinuo per il Centro Cadore, sceso dal 99% di riempimento di fine giugno all'83% di fine luglio. Un calo pressochè costante per Santa Croce, sceso dal 79% di riempimento a fine giugno al 58% del 31 luglio, ora poco sotto la media storica ( 24% ovvero meno 16 milioni di metri cubi). Un andamento analogo per il Mis, in calo molto accentuato già da metà giugno, passato dal 72% al 40% del volume massimo invasabile e ora sotto la media del periodo ( 44% ovvero 11.2 Mm3). Più che soddisfatti, ovviamente, i Consorzi di bonifica della Marca Trevigiana. In forte sofferenza sono non solo i seminativi, ma anche i vigneti di Prosecco. Lo stress della siccità, infatti, sta provocando una resa (alla prossima vendemmia) inferiore del 10, se non addirittura del 15%, in vigneti già colpiti dalla flavescenza idrica. Le precipitazioni di questi giorni sono state insignificanti, in pianura. Considerato il deficit pluviometrico già accumulato dall'inizio dell'anno idrologico, quindi ad ottobre ( 376 mm), in questo mese sarebbero necessari circa 477 mm ossia quasi cinque volte la precipitazione media di agosto (pari a 101 mm, serie 1994 2021). Anche guardando l'anno solare 2022 le piogge fin qui cadute (301 mm, valore medio) appaiono decisamente scarse, risultando solo la metà del valore atteso (585 mm): 49%. Mancano, insomma, ben 284 mm. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 6 agosto 2022
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Senza pioggia e con i serbatoi ridotti In Veneto è l'estate della grande sete
Riccardo Sandre VENEZIA
Lo stato delle acque in Veneto va sempre peggio: secondo i dati del mese di luglio pubblicati da Arpav, l'Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto, in media in regione sono caduti 54 mm di pioggia, quasi la metà rispetto a una media 1994 2021 di 90 mm. Nel periodo poi gli apporti legati alle piogge sono inferiori del 41% rispetto alle medie. In pratica si tratta di circa 400 milioni di metri cubi di acqua in meno caduti sul suolo Veneto in un solo mese. Una situazione per nulla confortante e che trova paragoni solo in due casi negli ultimi 28 anni: nel 2013, quando gli apporti mensili sono stati di 52 mm e nel 2015 con 48 mm. Secondo i dati dell'Arpav per recuperare il gap con la media del periodo ad agosto sarebbero necessari circa 477 mm di pioggia, ossia quasi cinque volte la precipitazione media che caratterizza il periodo. Anche guardando l'anno solare 2022 le piogge fin qui cadute (301 mm, valore medio sul Veneto) appaiono decisamente scarse, risultando solo la metà del valore atteso. Un dato tanto più allarmante se si guarda assieme ad un altro, e significativo: quello cioè relativo alle riserve di acqua contenute nei ghiacciai di montagna. In questo caso i dati sulle temperature in quota sono stati i peggiori, dopo il 2015, dal 1988. Si tratta di condizioni di scarse precipitazioni nei mesi fredde seguite da valori sopra lo zero anche in alta montagna che si annoverano nella categoria degli eventi rari, anche se sembrano verificarsi con frequenza sempre maggiore negli ultimi anni. Condizioni per le quali la neve in quota è pressoché scomparsa anche nelle zone glaciali. Nel contempo i livelli dei principali serbatoi di acqua della regione non sono mai stati così bassi da molti anni: nel Garda il calo dell'acqua è stato costante per tutto il mese di luglio, salvo arrestarsi negli ultimi 4 giorni, portando il livello medio del mese tra i peggiori in assoluto dal 1950. Ma si riduce anche il volume della risorsa idrica nei principali serbatoi del Piave, con un totale invasato ridotto al 61% di quanto potrebbero contenere. Se il lago di Pieve di Cadore alla fine di luglio si attesta su un valore molto vicino alla media storica del periodo e Santa Croce è sotto "solo" del 24%, il lago del Mis vede un 44% in meno della portata
d'acqua mentre il serbatoio del Corlo (sul Brenta) è a meno 37%. L'assenza di precipitazioni significative incide pesantemente anche su di un altro grande bacino di acque disponibili, quelle di falda. «Quasi tutte le stazioni monitorate» si legge in una nota di Arpav «mostrano andamenti e livelli in genere inferiori a luglio 2017 anno in cui, per la maggior parte delle stazioni, si sono raggiunti i livelli minimi degli ultimi 20 anni». A livello territoriale la situazione forse peggiore è quella dell'alta pianura vicentina e padovana. Il pozzo di Dueville è andato in asciutta il 26 luglio con circa un mese di anticipo rispetto a quanto avvenuto nel 2003 e il pozzo di Schiavon ha ancora poco margine prima che la falda arrivi a fondo pozzo, cosa avvenuta solo nel 2003 e a fine estate. Anche Cittadella è prossimo all'asciutta, che in questa stazione non è mai avvenuta né nel 2003 (quando i valori a luglio erano di circa un metro superiori) né nel 2017, quando dopo il minimo di fine aprile (poco superiore ai livelli attuali) c'era stata una robusta ricarica. Nell'alta pianura trevigiana tutte le stazioni sono inferiori ai minimi stagionali mai registrati (in genere 2017). La stazione di Castelfranco è in lieve ripresa ma comunque rimane prossima al valore minimo assoluto di fine giugno e ben inferiore ai livelli di luglio 2017, mentre Castagnole ha esaurito la ricarica a metà mese. Le cose vanno un po' meglio nel Veronese, che presenta comunque livelli che sono inferiori a quelli di luglio 2017 e poco superiori ai minimi assoluti per il periodo. Nell'area di media e bassa pianura, pur nella variabilità della risposta delle singole stazioni, l'emergenza è un po' meno grave che nell'area centrale del Veneto: qui a luglio si registrano in genere ulteriori cali. E non ci sono piogge "serie" in vista. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 11 agosto 2022
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«La crisi idrica era ampiamente prevista ma ci ha colti tragicamente impreparati»
L'INTERVISTA
FRANCESCO JORI
«È il Covid dell'acqua». Per inquadrare la devastante crisi idrica di quest'estate, ricorre a un'immagine forte Francesco Vallerani, padovano, docente di Geografia all'università veneziana di Ca' Foscari, dov'è anche titolare della cattedra Unesco sullo sviluppo sostenibile. E spiega: «Come per il Covid, è la prima volta che ci capita un evento del genere. E come per il Covid, ci stiamo dimostrando tragicamente impreparati ad affrontarla». Ma c'erano segnali, o è una calamità che ci è piombata tra capo e collo all'improvviso? «C'erano, e come, già da altri Paesi prima ancora che da noi, proprio come con il Covid. Basti pensare alla progressiva estinzione dei ghiacciai in tutto il pianeta, legata ai cambiamenti climatici. Era qualcosa di assolutamente prevedibile». Veniamo in casa nostra. In un Veneto da sempre terra ricca d'acqua, come si spiega questa siccità estrema?«Anche qui parliamo di un fenomeno che viene da lontano. Molti fiumi della nostra regione da tempo non possono più contare sul deflusso minimo vitale; si registrano grandi morìe di pesci per mancanza di ossigeno nell'acqua; c'è un eccesso di nutrienti impiegati in agricoltura, che alimenta una proliferazione della flora di alghe e piante a ridosso delle sponde. Ma la siccità rivela altre piaghe...».Di che tipo? «Faccio un esempio eloquente. La secca del Tronco Maestro a Padova ha portato alla luce una serie di scarichi abusivi. Paradossalmente, grazie alla siccità si può fare un censimento di chi non è collegato agli impianti di smaltimento ...».Ma dobbiamo prendercela solo con le estati anomale, o abbiamo anche peccati in opere e omissioni? «Ne abbiamo, e come. Esiste fin dal 2000 una direttiva europea sull'acqua, che stabiliva dei valori ecologici definiti, e dava tempo fino al 2015 per adeguarvisi. Una misura che assegnava tra l'altro un valore anche economico alla risorsa acqua, e che si basava sul principio che chi inquina paga. Purtroppo anche qui, come in altre materie, l'Italia risulta in ritardo, figurando oltretutto tra i pochi Paesi europei negligenti, assieme alla Bulgaria».All'interno di questo quadro, anche il Veneto ha le sue colpe? «Certamente. Pensiamo al capitolo critico dell'inquinamento delle falde acquifere, sulle quali è sostanzialmente mancata una politica di controllo sul piano industriale e su quello ambientale, anzi incoraggiando senza tanti scrupoli l'iniziativa privata. Con il risultato di dare vita ad esternalità negative non contabilizzate attraverso l'economia, che si riversano sulla società intera».Ma oggi, in questa estate che sta battendo ogni record negativo, la situazione è davvero critica? «Diciamo che alla luce del passato recente c'era da aspettarsi un'emergenza, ma non a questi livelli. Stiamo rotolando ad una velocità incredibile verso una pesantissima perdita di acque dolci. Mai si era assistito in Veneto a un razionamento; in particolare è allarmante la situazione dell'agricoltura, dove ormai c'è acqua disponibile soltanto per pochi giorni». Alla luce dei dati disponibili, può trattarsi di un fenomeno transitorio limitato a quest'anno, o ci sono da aspettarsi repliche? «Le variazioni in atto, e soprattutto l'accelerazione che stanno conoscendo in questa estate, ci devono far capire che ormai non si può più parlare di un'anomalia. È un fenomeno generale: da una decina d'anni non possiamo più contare sull'anticiclone delle Azzorre, che riusciva a garantire temperature più miti e schiudeva la porta all'ingresso delle perturbazioni atlantiche. Purtroppo, un'estate come quella che stiamo vivendo si ripeterà in futuro».Ma in attesa di misure planetarie, che comunque tardano, c'è qualcosa che possiamo fare almeno per mitigare il fenomeno, e per risparmiare acqua in vista delle crisi? «Sicuramente. Penso ad esempio a vari sistemi di ingegneria idraulica per riuscire a trattenere le acque dei fiumi durante le piene; o alla realizzazione di traverse fluviali, come pure agli interventi per dragare gli alvei a partire già dai piccoli fossi. Poi ci sono dei rimedi di fondo: come smettere di cementificare il territorio, vizio nel quale il Veneto è ai primi posti in Italia». Ci sono delle inadempienze pubbliche al riguardo?«C'è, tra le altre, una forte carenza del Genio Civile, che pure è l'odierno depositario di una straordinaria cultura millenaria del Veneto della Serenissima. Purtroppo non c'è dialogo ...». La siccità è figlia conclamata di cambiamenti climatici ormai incontestabili,
eppure il contrasto rimane debole. Siamo condannati? «Gli accordi globali su questo tema sono chiaramente della massima importanza. Ma nel frattempo, è importante adottare decisioni a livello di microcosmo, con interventi mirati sia sul verde che sul blu, per tutelare gli ecosistemi che la Natura ci ha dato gratis. Su questo terreno, esistono possibilità fornite da una branca specifica dell'ingegneria, quella sulla riabilitazione degli ecosistemi». Ma anche su questo terreno non pare si registri un gran che...«In effetti c'è una politica ambientale inadeguata ad affrontare l'emergenza. Ricordo qui in Veneto, dopo la disastrosa alluvione del 2010, chi parlava di tolleranza zero... Passato l'allarme, non si è fatto nulla; eppure ci sarebbero interventi possibili, come quello legato all'idrovia Padova Venezia, che pure rappresenterebbe un importante bacino cui attingere in caso di crisi idrica, oltre che svolgere un'attività specifica come scolmatore di piene». Dopo quello che sta succedendo, non sarebbe tempo di darsi una regolata? «In effetti, mai come ora c'è bisogno di una politica territoriale coscienziosa e previdente, in grado di fronteggiare la gravità ambientale e gli esiti deprimenti di un cambio climatico che sta accelerando i tempi di declino generale. Ondate di calore senza fine stanno evidenziando l'insipiente gestione del verde pubblico, dimostrando la scarsa consapevolezza del concetto di "isola di calore urbana"; il persistente inquinamento di ampi settori delle falde sotterranee regionali, le colture di mais in grandi estensioni dei suoli permeabili dell'alta pianura, quindi con forti prelievi di acqua per l'irrigazione, la mancata manutenzione degli alvei della rete idrografica nella bassa pianura, a partire dagli articolati sistemi di fossi, sono solo alcuni tra i più evidenti problemi da affrontare».
Gazzettino | 6 agosto 2022
p. 3, edizione Belluno
«Basta con i prelievi la pianura si attrezzi»
PIEVE DI CADORE
Il lago Centro Cadore è calato di quasi 4 metri, l'impressione che si ha è che, vista la condizione di grave carenza idrica, non sia poi così male. Ma ci sono occhi più attenti e nasi più fini; una delle ultime serate c'è stato chi ha fatto un giro in barca con amici arrivati appositamente per godere allo spettacolo, «purtroppo vicino alla riva l'odore era molto sgradevole». Certo non è come nel 2003 ma non è nemmeno come dovrebbe visto il periodo: al massimo dell'invaso.
«SACRIFICI PER TUTTI»
Per il momento non ci dovrebbero essere ulteriori rilasci, a beneficio della pianura assetata, ma non si può mai dire. Lo ha fatto capire il presidente del Veneto Luca Zaia dalla nuova base dell'elisoccorso, proprio con vista sul lago: «Mi scuso perché il lago sta un po' calando ma siamo in una situazione tragica, un po' di sacrificio lo chiediamo anche a questi territori perchè non abbiamo altra soluzione, l'acqua è vita e rivolgendosi al vescovo speriamo piova, conto sulla benedizione». «Con le necessità di irrigazione in pianura ci rimettiamo sempre noi bellunesi, ogni anno, non ogni tanto» sbotta il più attento conoscitore del lago cadorino.
ECONOMIA CHIAMATA TURISMO
Stefano Campi, già assessore in comune a Pieve e in Unione Montana, con deleghe specifiche in materia, invita i consorzi di bonifica «a rivedere l'uso che fanno dell'acqua che ci prendono, usandola con accortezza, fatevi gli accumuli di acqua nelle cave dismesse per usarli nei momenti di crisi, basta far solo la politica del prosecco o del mais sulle grave del Piave, anche in montagna abbiamo un'economia e si chiama turismo». Campi spera che, dopo le proteste di Auronzo, anche altri amministratori si mettano di traverso.
L'ACCORDO DEL 1943
«Ricordo che nel decreto del 1943 che diede il benestare alla creazione del lago Centro Cadore c'è scritto a chiare lettere la valenza turistica di questo bacino e che in estate si devono limitare gli svasi se non per improrogabili esigenze industriali». L'albergatore Luca Tonazzi, dell'hotel Ferrovia di Calalzo, non usa mezze parole, «se ci tolgono l'acqua, ci tolgono l'ossigeno» assicura. Ricorda le tante criticità affrontate negli anni durissimi della fine dell'occhialeria in Cadore, l'impegno per rinnovare l'azienda e renderla attrattiva per i vacanzieri e propone un dato: «Noi lavoriamo due mesi l'anno, quelli estivi; se ci tolgono l'acqua che è un grande richiamo per chi ci sceglie per le vacanze, è un disastro. Dico che è giusto dare una mano, ma che i sacrifici li devono fare tutti perchè paghiamo tutti le tasse e quindi perchè il nostro potrebbe essere lago sacrificabile mentre altri non lo sono?»
LA LAMINAZIONE
Un territorio per molti aspetti svantaggiato che non può subire altri attacchi, e il lago rappresenta la più grande risorsa. All'orizzonte c'è la laminazione, quella procedura, per farlo scendere così da poter usare l'invaso in caso di grandi precipitazioni, contestata ma fino ad oggi senza grandi risultati. Il livello deve calare di 16 metri entro metà settembre, a non più di 50 centimetri al giorno; per arrivare a tanto si inizia a rilasciare acqua dal 15 di agosto nel pieno della stagione. Di battaglie ne sono state fatte in grande quantità; era nato il Comitato in difesa del lago Centro Cadore, si erano spedite migliaia di cartoline di denuncia del problema all'autorità competente, non si contano i convegni e le azioni di protesta ma nulla di concreto si è ottenuto.
DENUNCIA IN PROCURA
Campi nelle scorse settimana si è rivolto con una documentata denuncia alla Procura della Repubblica, «è la nostra ultima speranza perchè noi volontari ci impegniamo molto ma non possiamo fare tutto e siamo stufi di pulire». L'ultimo problema, quello che ha fatto partire l'azione legale, è relativo al legname che, da Vaia in poi, è presente nell'acqua e che rappresenta un pericolo.
Corriere delle Alpi | 10 agosto 2022
p. 3, segue dalla prima
«Alte temperature e gravità. Così il permafrost non tiene e i cedimenti si moltiplicano»
Francesco Dal Mas
Tutta colpa dello "scongelamento" delle "crode" che stanno più in quota e che, pertanto, sono più esposte al sole, al riscaldamento? «Sì, il permafrost che non tiene o, quanto meno si alleggerisce, può essere una causa, ma solo in parte. In verità è la forza di gravità che lavora. E che non dorme mai. In primavera, col disgelo, è più attiva, ma si vivacizza anche quando piove». Luca Salti è un geologo. Opera nel Bellunese e da 35 anni sale e scende sui versanti, lungo i corpi di frana, scala le pareti rocciose che rilasciano sassi. Che cosa è successo sul Pelmo? Colpa del permafrost che, a causa delle persistenti temperature troppo alte, non fa più da collante?«Conosco bene quella parete del Pelmo. Ho compiuto una ricognizione a seguito della tragedia del 2011 quando una scarica di sassi fece precipitare due soccorritori. La parete ha importanti fessure. Le più pericolose sono quelle verticali. Quando la gravità forza, ecco che possono cedere i punti di appiglio, che in gergo tecnico si chiamano "punti di roccia". La gravità, si sa, è anche una questione di pesi».Quanto pesa un metro cubo di roccia? «Pesa 2 tonnellate e 700 chili».Perché i crolli sono così frequenti?«Ci sono sempre stati e sempre ci saranno. Noi li percepiamo solo perché i media, i social li pubblicizzano in tempo reale». Quanti sono l'anno?«Ogni anno sulle montagne venete si sviluppano fra i 150 ed i 200 eventi franosi. La metà sono grossi come quelli del Pelmo, della Val Fiscalina, nei giorni scorsi, della Moiazza, un mese fa. Nulla di straordinario. Vi ricordate la frana del 9 ottobre dell'anno scorso nel gruppo del Sorapis? La nube di polvere generata ha raggiunto le aree abitate, a pochi chilometri da Cortina d'Ampezzo. È l'evoluzione morfologica e geologica delle nostre terre più alte. I punti di dissesto in Veneto sono 9500, 6 mila nella sola provincia di Belluno, gli altri nel Vicentino e sulle Prealpi trevigiane».Quali sono i distacchi più pericolosi?«Quelli improvvisi, provocati dal maltempo. I sassi che cadono da una parete rocciosa ad una velocità di 30, 40 metri al secondo. E poi le colate di detriti, come quelli di Fiames, a Cortina, o del Frison, a Santo Stefano di Cadore, o ancora a Sauris, per fermarsi agli ultimi episodi. Non hai il tempo di metterti in salvo, quindi è quanto meno incauto soffermarsi in questi siti quando immagini che arrivi una bomba d'acqua».Tra le frane meno recenti si ricordano la frana di Borca di Cadore che nel 2009 che causò due morti e quella di San Vito di Cadore, nel 2015, in cui si verificarono tre vittime. Si può dire che oggi è tutto più instabile a causa dei cambiamenti climatici?«È evidente. Ma stiamo attenti ad incolpare la mutazione del tempo per tutte le 400 frane nuove che si verificano nel territorio veneto ogni anno. Determinate situazioni sono provocate dall'incuria dell'uomo, che non ha provveduto alle opere di messa in sicurezza». Quali sono i territori più fragili?«Gli insediamenti costruiti sulle conoidi. Cancia a Borca di Cadore è uno di questi. Ce ne sono tanti altri, come il sito recente di Vigo di Cadore dove alcune baite sono state quasi sommerse dalle colate». Non si dovrebbe più costruire in queste zone?«Ci sono esperti, come il professor D'Alpaos, che lo dicono dai tempi addirittura della ricostruzione di Longarone, avvenuta in parte sul Piave». La montagna va chiusa nei territori di maggiore pericolo?«Come si fa. La montagna è libertà. Ci vuole, invece, più responsabilità nell'accesso». © RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 10 agosto 2022
p. 3, segue dalla prima «Altri crolli recenti lì è meglio non salire»
BELLUNO
Di ritorno dal suo monte Rite, sabato pomeriggio, Reinhold Messner è salito per il passo Staulanza. «Mi sono fermato un istante ad ammirare il "mio" Pelmo e proprio sulla parete ovest racconta ho visto due chiazze bianche, due crolli che sono recenti. Quello di oggi (ieri, ndr) mi conferma nell'idea che mi sono fatto fino da giovane. E cioè che su quel pilastro è meglio non salire. Io avevo studiato una via nuova, ma non l'ho mai realizzata, perché temevo appunto i distacchi che all'epoca erano frequenti».Non ci sono dubbi, per Messner: la colpa è dei cambiamenti climatici. Che, a suo dire, sono più una conseguenza dell'azione dell'uomo che un evento naturale.«Girando per le strade delle Dolomiti, e compiendo ancora qualche camminata in quota, ho modo di osservare centina di crolli in tempi recenti».Crolli che magari si susseguono lungo la stessa parete, come è accaduto ieri sul Pelmo. «Le temperature eccessivamente calde e prolungate, fin dalla primavera, hanno ricadute pesanti sul permafrost, quel collante di ghiaccio che tiene unite le rocce spiega Gianni Marigo, a capo dell'Arpa di Arabba . Noi abbiamo un osservatorio sul Piz Boè, sopra Arabba, e ci risulta che questo collante si stia sciogliendo all'interno fino a una quota inferiore di 80 centimetri rispetto agli ultimi 10 anni di certificazioni. Gli esperti spiegano, in questo modo, anche la maggiore frequenza dei distacchi dei crolli». fdm© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il report della commissione glaciologica della Sat
Anche gli ultimi rilevamenti confermano una situazione drammatica
leonardo pontalti Tredici centimetri di ghiaccio persi in quattro giorni. E due metri in meno di un anno.Sono numeri devastanti, quelli che fotografano il ghiacciaio del Mandron, nel gruppo dell'Adamello.I dati sono quelli raccolti nei giorni scorsi dalla commissione glaciologica della Sat assieme alla Protezione civile del Trentino e al Servizio glaciologico lombardo.«Siamo saliti sabato scorso, il 20 agosto ha spiegato il presidente della commissione glaciologica della Sat Cristian Ferrari ed abbiamo potuto toccare con mano gli effetti di questa estate terribile per i ghiacciai. Le precipitazioni sono state molto scarse e, soprattutto, le temperature sono state per giorni e giorni elevatissime rispetto alle medie stagionali a quelle quote».Una situazione che si è presentata, per di più, dopo un inverno asciutto e avaro di precipitazioni nevose in quota. «Insomma ha spiegato ancora Ferrari non solo in pochi mesi la superficie dei ghiacciai si è consumata a ritmi impressionanti. Ma il calore, le temperature, l'estate ha "bruciato" un patrimonio di risorse che non era stato rinnovato e accresciuto dal precedente inverno».La somma di questi due fattori è stata impressionante, come ormai è noto a tutti. Tanto da lasciare sgomenti anche gli esperti stessi: «In tanti anni di attività in ghiacciaio non avevamo mai visto una cosa del genere.«Che i ghiacciai ovunque siano in sofferenza è ormai purtroppo un dato di fatto, ma abbiamo assistito tra le rilevazioni del settembre scorso e quelle di questi ultimi giorni a un consumo che abitualmente vedevamo in anni, non certo in pochi mesi. Parlando unicamente dell'Adamello, il ritmo con cui il ghiaccio si è sciolto quest'anno finora è doppio rispetto al solito. E l'estate non è finita: da qui all'autunno si arriverà, temiamo, a valori tripli».La commissione glaciologica della Sat monitora abitualmente dieci ghiacciai in Trentino, dal Mandron alla Marmolada, dal Careser al ghiacciaio d'Agola. Proprio quest'ultimo è stato oggetto dell'ultimo sopralluogo, mercoledì scorso: «Non è tra i ghiacciai principali dell'arco alpino ma è comunque il ghiacciaio più esteso del gruppo delle Dolomiti di Brenta. Purtroppo anche in questo caso l'estate 2022 lo ha intaccato in modo abbastanza incisivo», ha spiegato la commissione glaciologica sulla propria pagina Facebook: «La situazione di sofferenza di questo ghiacciaio è particolarmente preoccupante dato che, inserito com'è in un particolare circo glaciale tra le cime d'Ambiez e la cima d'Agola. la sua particolare esposizione a nord ovest in tanti anni ne ha permesso una sopravvivenza maggiore rispetto ad altri ghiacciai nelle Dolomiti di Brenta».Insomma, se anche i ghiacci e le nevi che per anni e anni hanno sempre coperto quella zona delle rocce del Brenta iniziano a soffrire, l'avvenire non promette nulla di buono.«Speriamo che la situazione che ha caratterizzato questa estate non si ripeta negli anni a venire. In caso contrario i" colpi" che verrebbero inferti ai ghiacciai sarebbero letali».
Gazzettino | 30 agosto 2022
p. 5, edizione Belluno
Installate quattro nuove stazioni nivometeorologiche
BELLUNO
Quattro nuove stazioni nivometeorologiche saranno installate sulla montagna bellunese con l'obiettivo di garantire maggiore sicurezza per quelli che si trovano a frequentare vette e sentieri.
LA PREVENZIONE
Strumentazione che, dopo quanto accaduto sulle nostre montagne, ed in particolare sulla Marmolada, e i cambiamenti climatici in atto, diventano sempre più strategiche per tenere sotto stretta osservazione il territorio. «Si tratta di un investimento che abbiamo voluto fare sui temi della previsione e della prevenzione per la sicurezza delle persone e dei territori» afferma l'assessore regionale all'ambiente Gianpaolo Bottacin.
LA NUOVA STRUMENTAZIONE
«Con l'obiettivo di continuare a potenziare la sicurezza del territorio, proseguono gli importanti investimenti che mettiamo in campo in particolare in termini di previsione e prevenzione dei rischi. Tramite il nostro braccio operativo di ARPAV stiamo infatti in questi giorni provvedendo a installare cinque nuove stazioni nivometeorologiche per il monitoraggio delle condizioni del tempo e di innevamento in alta quota». Ad annunciarlo, l'assessore all'Ambiente della Regione Veneto, che spiega come «le stazioni integreranno l'attuale rete di monitoraggio, che consiste già di diciotto stazioni automatiche, e copriranno alcune zone strategiche della montagna veneta in rapporto al rischio valanghivo».
I LUOGHI
Le nuove stazioni, per le quali sono stati investiti 130mila euro, che sono fra l'altro dotate di sensori di rilevamento di altezza e temperatura superficiale del manto nevoso, consentiranno un maggiore flusso di informazioni utili alla definizione dei bollettini di
pericolo valanghe e dei livelli di rischio valanghivo. «Negli scorsi giorni abbiamo installato quattro stazioni prosegue l'assessore : una in Comune di Auronzo di Cadore, nella zona delle tre Cime di Lavaredo, una in Comune di Cibiana di Cadore sul Monte Rite, una in Comune di Taibon Agordino sull'altopiano delle Pale di San Martino e una in Comune di Chies d'Alpago in alta Val Salatis». La quinta stazione sarà installata la prossima settimana nel territorio del Comune di Asiago presso Cima Dodici. I dati delle stazioni, dopo le opportune verifiche di funzionamento, saranno messi online a partire dalla prossima stagione invernale.
LA SICUREZZA
«Ancora una volta guardiamo alla sicurezza dei cittadini conclude l'assessore con iniziative di alto profilo nell'ambito di una programmazione puntuale che tiene conto di tutte le problematiche territoriali».
Corriere del Veneto | 30 agosto 2022
p 10, edizione Treviso Belluno
Marmolada, ghiacciaio a morte certa Gli esperti: «Lo scioglimento accelera»
Legambiente: peggiora, così altri 15 anni di vita. Bondesan: quello il trend, ma potrebbe arrivare al 2050
Antonio Andreotti
rocca pietore
Il ghiacciaio della Marmolada, il più grande delle Dolomiti e tra i maggiori di tutte le Alpi, sta scomparendo sotto i colpi del riscaldamento globale e il suo arretramento è in forte accelerazione. Resta da capire quanta vita ha ancora il ghiacciaio e qui le opinioni degli esperti, pur senza polemiche, divergono. Chi dice 15 anni, quindi fino al 2037, chi si spinge al massimo al 2050.
Su un punto c’è comunque piena convergenza tra gli osservatori. L’accelerazione del ritiro della Marmolada appare inarrestabile e porta con sé, ad esempio, l’aumento della frequenza di fenomeni come quello, con esiti tragici, del 3 luglio scorso quando il distacco di un enorme blocco di ghiaccio (seracco) costò la vita a undici tra alpinisti ed escursionisti. Quella domenica mattina di inizio luglio sul ghiacciaio, a Punta Rocca (versante trentino) a circa 3.200 metri d’altitudine, a causa dell’improvviso crollo di un enorme massa di ghiaccio 200 metri per 60 di altezza persero la vita 11 persone. La velocità del seracco staccatosi dalla montagna venne calcolata in 300 chilometri orari dai tecnici del Soccorso Alpino.
Per Legambiente, che in questi giorni sta facendo tappa sulla Marmolada con la sua «Carovana dei ghiacciai», l’orizzonte è a 15 anni. «Le condizioni della Marmolada sono peggiori del previsto» commenta la responsabile della «Carovana» di Legambiente, Vanda Bonardo, e quindi «le previsioni sulla sua scomparsa devono purtroppo essere ricalibrate in negativo. Se va avanti così, tra 15 anni il ghiacciaio non esisterà più».
Conclude la Bonardo: «Per noi è un segnale emblematico di come la montagna e gli ecosistemi nel loro complesso stanno cambiando e della necessità di spostare il punto di vista nell’osservarli ma anche nel rapportarci con la montagna stessa».
Più «ottimista», pur concordando sul trend assolutamente negativo sul futuro della Marmolada, è Aldino Bondesan, glaciologo dell’Università di Padova e responsabile del Comitato glaciologico italiano (Cgi) per il coordinamento della campagna glaciologica annuale nelle Alpi Orientali.
Secondo Bondesan «la Marmolada potrebbe arrivare al massimo al 2050, ma non oltre. Basti un dato: dal 2010 a oggi nella Marmolada la quantità di ghiaccio fuso supera del doppio quella degli ultimi 120 anni. La causa è il riscaldamento globale, che ha portato all’aumento della temperatura minima invernale di 1,5 gradi negli ultimi 35 anni».
Secondo il Cgi, nel corso dell’ultimo secolo il ghiacciaio della Marmolada si è ridotto di più del 70 per cento in superficie e di oltre il 90 per cento in volume. Oggi è grande circa un decimo rispetto a cento anni fa. Tornando a Legambiente, quella sulla Marmolada è la quarta tappa della carovana dei ghiacciai giunta alla terza edizione. La prima è stata sui ghiacciai del Monte Bianco del Miage e Pré de Bar (Valle D’Aosta). La seconda tappa sui ghiacciai del Monte Rosa di Indren (Piemonte). La terza ha riguardato il ghiacciaio dei Forni (Lombardia). Dopo la Marmolada, ultima tappa al ghiacciaio del Montasio (Friuli Venezia Giulia) dal 1° al 3 settembre.
“Ghiacciai una mappa del rischio”
«Tornare su luoghi di dolore e attività operativa è sempre importante, per ricordare le vittime e ringraziare le persone che operano con grande professionalità e generosità. Il disastro della Marmolada è stato un momento che è entrato nelle coscienze di ognuno di noi, per la tragicità e perché ci ha messo di fronte ai rischi della montagna. Eventi come questo devono stimolare un confronto, e su questo è partito un percorso con le Regioni, le comunità alpine e con chi affronta i cambiamenti climatici» a dirlo è stato, ieri, il capo della protezione civile nazionale Fabrizio Curcio, che ha partecipato ai due incontri ufficiali in val di Fassa. Due momenti, uno a Canazei, in municipio, con soccorritori e sindaci, e l'altro ai piedi della Marmolada, per un momento di preghiera, nel quale il parroco, don Mario Brevin, ha benedetto i luoghi. Tre i motivi per cui, si è ribadito, ha un senso tornare a Canazei a un mese dal dramma: esprimere la propria solidarietà alle famiglie delle vittime, ringraziare i soccorritori e dare sostanza aduna riflessione che è già partita. Perché un ghiacciaio che si spacca e frana non può essere considerato un evento da superare senza interrogarsi sulla sicurezza in montagna. Quanto alle parole per le vittime, sono arrivate sia dal presidente Maurizio Fugatti che dal sindaco di Canazei Giovanni Bernard. Sui soccorritori sono state chiare le parole del commissario del governo è stato E sui soccorritori sono definitive le parole del capo della protezione civile nazionale: «In condizioni estreme, sotto un rischio residuo importante, hanno fatto un lavoro straordinario ha osservato Curcio dobbiamo partire dalla capacità che questo Paese ha. La Protezione civile nazionale può dare supporto logistico, ma l'operatore locale, che conosce ogni singolo crepaccio di questa montagna, fa la differenza». La differenza l'ha fatta, ha osservato Fugatti ringraziando gli operatori del soccorso, il sistema trentino e la capacità di raccordo con le autorità nazionali, che hanno dimostrato «grande spirito di solidarietà e competenza. Crediamo di aver dimostrato, da una parte come protezione trentina di avere le competenze per fatti d questo tipo e dall'altra di mettere in campo una collaborazione a tutti i livelli nazionali che, vista la portata della tragedia era doverosa, perché non era stato facile gestire quanto accaduto, e quindi la presenza oggi qui dell'ingegner Curcio va nella direzione di confermare questo spirito collaborativo». Poi c'è il tema della sicurezza. Curcio ieri ha sorvolato il ghiacciaio «è come se si percepisse un grido di dolore, comunica una forma di sofferenza, dobbiamo essere attenti a questi segnali» e ha annunciato la mappatura del rischio in ambiente glaciale e periglaciale su circa 900 ghiacciai italiani. Ma parlando di sicurezza ha evidenziato la necessità di formazione. E in questo senso è stata apprezzata l'iniziativa del vicepresidente Mario Tonina, presidente della fondazione Unesco, che ha annunciato l'istituzione di tre giornate dei ghiacciai: un ciclo di incontri periodici che partirà il 13 settembre. Infine, dopo l'incontro autorità e soccorritori sono saliti nell'area Fedaia, ai piedi del ghiacciaio. Don Mario Brevin ha benedetto i luoghi: «La montagna non è mai maledetta, ma il luogo in cui la natura vive i suoi ritmi» ha osservato.
L’Adige | 6 agosto 2022
p. 13
Fedaia ferita, fatica a rialzarsi
chiara zomer
«Arrivano in pochi e quelli che lo fanno, spesso, ci chiedono solo dov'è il buco». Eva Soraruf praticamente è cresciuta ai piedi della Marmolada. I suoi nonni gestivano il rifugio Dolomia, poi i suoi genitori. Ora c'è lei, che quel ghiacciaio è costretta a vederlo agonizzante. Che l'ha visto spezzarsi. E che adesso fa i conti con un dopo, i cui contorni non sono chiari per nessuno. Lei risponde a tutti, certo. Ma le fa male. Perché è della Regina delle Dolomiti che si sta parlando. Sarà pure caduta, ma non si merita il turismo dell'orrore. Serve rispetto.Ad un mese dalla frana che è costata la vita a 11 persone, ieri sono saliti in val di Fassa il presidente Maurizio Fugatti e la giunta provinciale al completo, il commissario del governo Gianfranco Bernabei, il capo della protezione civile nazionale Fabrizio Curcio, i rappresentanti di forze dell'ordine e soccorritori, i sindaci della zona. Per un abbraccio alle famiglie delle vittime. Per ringraziare i soccorsi «per la professionalità e la compostezza». Per una benedizione dei luoghi. Perché serve non dimenticare.A Canazei la vita sembra scorrere come prima. D'altronde lì i turisti sono abbastanza, in questo inizio agosto, da intasare la fragile strada, nell'ora di punta. Ma lassù non dimentica proprio nessuno, perché ogni giorno è lì a ricordargli che niente è più come prima.«Basta guardare: ci sono parcheggi vuoti, quando mai è successo, in agosto? Qui abbiamo perso tantissimo». E fa i conti, Andrea De Bernardin, sindaco di Rocca Pietore, nel Bellunese, ma soprattutto gestore del rifugio all'imbocco del sentiero. Uno che la memoria della Marmolada la coltiva da sempre, con il suo museo della Grande Guerra. Fa i conti e scuote la testa: «Messe tutte insieme le
attività che sulla Marmolada vivevano, tra Trentino e Veneto, giù e giù fino a malga Ciapela, aggiungendo gli impianti, saranno 200 persone che lavoravano. Ma la situazione è critica: abbiamo perso il 50% della clientela. A Canazei è diverso, vivono su altre montagne, avranno sentito un calo minimo. Ma qui, è pesantissimo».Una stima anche ottimistica, secondo Eva Sorarif: «Qui sul fronte trentino siamo 8 strutture, poi ci sono i veneti. Facile fare i conti: la funivia in questa stagione faceva 1.800 passaggi. Adesso sono 3 400. Io una volta facevo 90 coperti ogni domenica, la scorsa ne ho fatti 17». E in effetti su quei tavolini rossi con vista sul ghiacciaio non c'è seduto nessuno. Ed è mezzogiorno. Solo una coppia, dall'altra parte del dehor. Questo non è lavoro, è aprire per spirito di servizio: «Esatto, stiamo aperti per garantire un servizio. E la gente chiede dov'è il buco, o dove deve andare per mettere un fiore, se si arriva in macchina sul luogo». Lei risponde e resiste, in quest'annata disgraziata, dove anche il lago fa tristezza, ridotto a poco più di una pozza.Sembra andare un po' meglio ai colleghi che sempre a Fedaia stanno, ma dall'altra parte del ponte. Sono sulla strada, di passaggio. Evidentemente aiuta: qui i parcheggi sono decisamente meno vuoti, anche se non c'è il pienone che si vede in valle o che si è visto in altre occasioni, in altre estati. Quando non si doveva chiudere un rifugio per pericolo crollo. Quando non si guardava un ghiacciaio come si guarda un sorvegliato speciale. Perché la protezione civile parla di «percorso in fase di elaborazione, sulla sicurezza che coinvolga tutti territori dell'arco alpino», ma quassù hanno capito che quest'estate il ghiacciaio non riaprirà più e anche nel futuro rimarrà tra quelli da guardare con attenzione o questa la paura con sospetto.Il sindaco , intanto, qualche risposta prova ad abbozzarla, pensando al futuro, anche se non è facile: «L'impegno, anche a livello comunale, sarà per far rinascere la zona del Fedaia ha assicurato Giovanni Bernard magari con progetti nuovi, penso al bacino Enel, penso allo stesso ghiacciaio che potrebbe essere valorizzato per la didattica, per incentivare la conoscenza delle difficoltà climatiche e ambientali che stiamo vivendo». Ripensarsi, insomma. E ripensare un luogo che fino a pochi anni fa era già perfetto così. Quanto al resto della valle, a partire da Canazei, l'impressione è opposta. Il turismo macina come negli anni buoni. «Basta che non parliamo di Marmolada», ti senti dire. E ancora: «Non ne possiamo più», sbotta una gentile signora, che offre anche indicazioni stradali. È evidente che qui, nel rispetto del dolore, si cerca di andare oltre il dramma. «Io su c'ero, quel giorno, sono pompiere volontario racconta Marco Macioce, responsabile di sala al Laurin, romano che dopo aver lavorato in mezzo mondo, nel 2008 ha scelto la val di Fassa per accasarsi ma ho fatto solo un giorno. Perché non ce l'ho fatta. C'è un limite a quel che si può chiedere a un volontario». Distoglie lo sguardo e si capisce che pensa alle ricerche tra detriti e ghiaccio. E ragiona sulla stagione, che a differenza che sul Fedaia non si è mai fermata: «No, c'è sempre stato il pienone. I turisti qui non sono mai mancati». E ieri bastava uno sguardo alla strada a capire che non sbaglia: fino alle 10 la statale era intasata come da tradizione, si procedeva a passo d'uomo. D'altronde Canazei vive non solo sulla Marmolada. Dal tavolino del ristorante si vede il Sass Pordoi, le Torri del sella, il Sasso lungo. Più a sud il Catinaccio. Da qui la Marmolada non si vede nemmeno. Qui è più facile andare avanti.
Corriere delle Alpi | 6 agosto 2022 p
Esperti "a guardia" del ghiacciaio Nel pool anche due bellunesi
PASSO FEDAIA
Un tavolo di esperti per gestire i ghiacciai in condizioni di emergenza. Ne faranno parte anche Gianni Marigo e Stefano Micheletti, dell'Arpa Veneto. Lo ha annunciato, a Canazei, Fabrizio Curcio, ad un mese dalla tragedia che ha fatto 11 vittime. Curcio è il capo della Protezione civile. «È allo studio un sistema per la sicurezza in ambiente alpino. La prospettiva della sicurezza deve essere valutata per ogni attività umana. Noi puntiamo a ragionamento di omogeneità». A Canazei ieri c'è stato un vertice della Protezione civile, col presidente della Provincia di Trento, Maurizio Fugatti, l'assessore regionale del Veneto, Giampaolo Bottacin, altri amministratori, dirigenti del Soccorso alpino e delle altre forze in campo. «Al momento non possiamo dire sì ad un sistema a semaforo», ha subito precisato Curcio, «perché l'informazione scientifica ci aiuta fino a un certo punto. È un sistema che richiederà tempo, ma l'elemento essenziale resta la consapevolezza del rischio».E il presidente Fugatti: «Tra un paio di settimane dovrebbero arrivare le conclusioni. Credo non si possa parlare di provvedimenti per chiudere la montagna, ma di sistemi di allerta omogenei, uguali per tutto l'arco alpino, in grado di segnalare i possibili rischi».Ma intanto? Il ghiacciaio della Marmolada resterà chiuso. Il presidente lo ha detto chiaro e tondo, tranciando le speranze degli operatori del Fedaia, ma precisando che saranno ristorati gli operatori turistici che hanno sospeso l'attività. Resta inteso, invece, che rimane aperto il versante veneto, con la funivia che da Malga Ciapela sale a Serauta e Punta Rocca. A riguardo del piano, precisa ulteriormente Bottacin: «Gli esperti definiranno anche le linee guida per gli eventuali allertamenti in caso di emergenza». Né bandierine gialle, dunque, né semafori. «Dobbiamo metterci in testa che non ci sarà il semaforo a dirci se possiamo andare o meno in un posto piuttosto che in un altro», ha insistito Curcio, «servono invece consapevolezza e formazione sull'approccio con cui ci avviciniamo alla montagna, ma in generale all'ambiente».Anche perché dalla commissione grandi rischi è emerso che i ghiacciai si ritirano di un metro all'anno.« Sorvolando la Marmolada ce ne siamo resi conto. Si sente il grido di dolore della montagna», ha testimoniato il capo della Protezione civile. Dopo il vertice a Canazei, tutti a passo Fedaia per rendere omaggio ai morti, con una benedizione da parte del parroco.«La natura è un continuo balletto di vita e morte. Ma questo ci ricorda che
anche noi appartiamo a questa natura, nel bene e nel male».Così, il parroco di Canazei (e pompiere volontario) don Mario Bravin, durante la breve cerimonia di benedizione . «Noi non possiamo più fare del bene alle vittime, ma possiamo raccogliere le loro spoglie come gesto di pietà e affidarli all'Onnipotente», ha detto Bravin.«Siamo ai piedi della Marmolada che in questo mese ci ha fatto tanto penare nella sua forza e bellezza. Nella sua bellezza riposano le persone morte nel disastro e quelle morte durante la guerra», ha concluso il sindaco di Canazei, Giovanni Bernard.«Andremo avanti nelle ricerche almeno fino alla fine del mese. Lo avevamo detto subito e lo ribadisco. Continueremo a salire sul ghiacciaio fino a quando le condizioni meteo lo consentiranno per recuperare fino all'ultimo reperto», ha assicurato il presidente del Soccorso alpino nazionale, Maurizio Dellantonio. francesco dal mas© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere del Veneto | 6 agosto 2022
p 4, edizione Treviso Belluno
Un piano della sicurezza per i ghiacciai «Ma non ci saranno bandiere rosse»
Il capo della Protezione civile Curcio sulla Marmolada: necessaria collaborazione tra Regioni e Province
Daniele Cassaghi
CANAZEI
Collaborazione. Questa è stata la parola più gettonata ieri durante le celebrazioni a poco più di un mese della tragedia della Marmolada. La prossima partita su cui dimostrare unioni di intenti sarà sulla gestione dei rischi sui monti. Lo dimostra la presenza del numero uno della Protezione Civile Nazionale, Fabrizio Curcio. Da Canazei rende noto che sono in cantiere «dei tavoli con gli esperti del settore e delle regioni alpine, per cercare di immaginare prodotti che migliorino la fruizione della montagna». Tradotto: si sta studiando un modo di dare un approccio uniforme alla sicurezza su tutte le Alpi. «Qua non si tratta di dare un sistema d’allarme simile a quello meteorologico specifica però Curcio Si tratta di individuare su tutto l’arco alpino se ci sono degli elementi che rendono più pericolose alcune aree rispetto ad altre». E il Trentino si proietta in avanti: «I sistemi di gestione che verranno presi a livello nazionale, varranno anche qui», dichiara il presidente della Provincia, Maurizio Fugatti. Intanto bisogna essere chiari: non si parla di un sistema di allarme, se con questo si immagina un semaforo che dice in anticipo cosa fare per mettersi in sicurezza. «Oggi questo non c’è o è limitato a situazioni molto specifiche che permettono di capire cosa monitorare e quindi il tipo di segnalazione, ma non esiste in modo generalizzato». E lo stesso si può dire per quelle proposte come l’introduzione delle bandiere rosse su modello delle coste marittime. Allo stato attuale non è possibile far sì che vengano adottate su tutte le Alpi in modo inequivocabile. E i motivi sono due. Se, da una parte è vero che un percorso per mappare le situazioni locali è stato già avviato, dall’altro, serve però molto tempo per portarlo a termine. E bisogna che sia stabile e sicuro. «Ricordo che anche il sistema meteo, nato a valle dei problemi del 1994 ha impiegato anni per essere sviluppato e dare quella tranquillità all’utente che dà oggi», puntualizza Curcio. Il secondo motivo è che i parametri utilizzati per monitorare i vari elementi delle Alpi non sono uniformi. Ogni territorio ha un approccio diverso, e superare questo scoglio è una precondizione per poter arrivare un giorno a un sistema di sicurezza comune. «Prendiamo ad esempio i censimenti dei ghiacciai spiega Curcio Sappiamo che ne abbiamo circa 900 sull’arco alpino, ma non sono monitorati. E sono stati censiti seguendo criteri diversi, che dobbiamo rendere uniformi».
E infatti la Commissione grandi rischi ha deciso di tracciare delle linee guida e dei criteri omogenei dei pericoli che si corrono nelle prossimità dei Ghiacciai. Insomma, il traguardo è la fine «dell’ognuno per sé». E il motivo lo si rintraccia nelle parole di Fugatti: «Credo che non debbano esserci fughe in avanti dei singoli territori. Sarebbe difficilmente comprensibile e comunicabile. Da noi, arrivano turisti stranieri e da diverse parti d’Italia. Sarebbe difficile far capire che, ad esempio, in Trentino c’è un approccio, in Piemonte un altro e in Veneto un altro ancora».
Sono proprio i cittadini e i turisti i primi a dover fare attenzione alla propria incolumità. Per questo è importante la sensibilizzazione. «La prospettiva della sicurezza riguarda ogni attività umana conclude Curcio L’elemento essenziale rimane la consapevolezza del rischio». Gli fa eco l’assessore all’ambiente Mario Tonina, che declina il concetto in chiave di attività umane impattanti: «Il consiglio d’amministrazione della Fondazione Dolomiti Unesco che presiedo ha rinnovato l’impegno a informare sui temi del cambiamento climatico. E come provincia autonoma abbiamo già istituito tre giornate di discussione sui ghiacciai. La prima sarà il 13 settembre al Parco dello Stelvio». Infine, si torna al concetto di collaborazione, necessaria per avanzare nel progetto. In gioco, prima di tutto, le autorità. «I fatti di un mese fa hanno dimostrato la capacità collaborativa con la regione Veneto, quindi, il dialogo va avanti con le stesse modalità» precisa Fugatti. E trova una sponda nell’assessore regionale all’ambiente Gianpaolo Bottaccin: «Fin dai primi momenti abbiamo lavorato insieme alla Provincia di Trento. Per quanto riguarda la gestione successiva della montagna, come in tutte le aree, si fa una valutazione a seconda degli scenari specifici. Ed è stato così anche qui. Non c’è nessun tipo di problema nella gestione ordinaria del posto».
Turisti mordi e fuggi, passi su prenotazione Via libera alla sperimentazione dolomitica
Francesco Dal Mas LIVINALLONGOLe prenotazioni per il lago di Braies fanno scuola. «Questo modello sarà applicato anche ai passi Pordoi, Campolongo, Gardena e Sella, per poi essere esteso ad alti siti di iper accesso». La conferma arriva da Elisa De Berti, vicepresidente della Regione Veneto, dopo il nulla osta ricevuto a Roma dai ministri Vincenzo Colao, Enrico Giovannini e Massimo Garavaglia, incontrati insieme a Daniel Alfreider e Roberto Failoni, assessori delle province autonome di Bolzano e di Trento. «Abbiamo loro sottoposto il piano di mobilità sostenibile sui Passi Dolomitici, definito ancora l'anno scorso. I ministri della Digitalizzazione, delle Infrastrutture e del Turismo, l'hanno trovato molto interessante perché innovativo. Non andiamo a chiudere di brutto i passi, ma a regolare la mobilità, attraverso un sistema di prenotazioni e di servizi integrativi, simile a quello per il lago di Braies». parola d'ordine valorizzare«Noi crediamo molto nella valorizzazione delle Dolomiti ribadisce la vice del presidente Luca Zaia . Proprio per questo puntiamo su una gestione dei flussi di traffico regolamentata con sistema digitale e modelli intelligenti di mobilità». Che cosa significa in concreto? Una premessa: il monitoraggio del traffico sui passi, in corso da oltre un anno, dimostra che ogni cento automezzi che salgono o scendono, trenta sono di lavoratori pendolari da una valle all'altra o relativi ad attività commerciali, settanta di turisti. Molti di questi non sono villeggianti stanziali, ma di solo transito giornaliero, quindi con nessuna (o quasi) ricaduta economica sul territorio. «I passi non chiuderanno per chi lavoro in quota, per i pendolari tra le valli, per il trasporto commerciale o di servizio, neppure per i turisti che villeggiano sui passi stessi o che hanno prenotato la ristorazione rassicura De Berti . Per tutti gli altri vi sarà l'opportunità di prenotare i parcheggi eventualmente disponibili in quota, fino all'esaurimento. Oppure, aspettando in valle, prenoteranno la salita in navetta e, là dove sono presenti, con gli impianti di risalita». vetrina digitaleA questo riguardo è già allo studio una grande Piattaforma della sostenibilità che indicherà, oggi per i passi Dolomitici, domani per tutte le altre aree di maggiore interesse turistico (le Tre Cime di Lavaredo, in primis) tutti i servizi disponibili, con possibilità di prenotare i parcheggi, i pullman, le navette, le funivie, le cabinovie, nonché alberghi, rifugi, ristoranti. Le Dolomiti digitalizzate, in sostanza. «Ricordo ancora insiste De Berti che gli obiettivi primari del progetto sono il rispetto dell'ambiente, il miglioramento della qualità di vita della popolazione residente e dell'esperienza dei turisti. Partiamo da una base condivisa e sposata anche dai vertici ministeriali. Siamo sulla strada giusta». E i vertici ministeriali hanno assicurato che a sostegno di questo piano sono disponibili ad attingere i fondi necessari dal Pnrr. CICLABILI E TRASPORTO PUBBLICO«L'introduzione di una zona a basse emissioni ha lo scopo di orientare in modo ottimale i flussi di traffico sui Passi dolomitici e la gestione della mobilità deve essere migliorata in modo significativo con ulteriori misure come un sistema di guida ai parcheggi, l'ulteriore espansione del trasporto pubblico e la mobilità ciclabile», conferma a sua volta l'assessore Alfreider, che abita a Corvara, e che è anche vicepresidente della provincia di Bolzano. «Gli innovativi sistemi di prenotazione e di accesso digitale introdotti dal Piano Braies sono un modello pionieristico e possono essere utilizzati per altre aree sensibili in Italia e forse anche per le zone a traffico limitato (Ztl) nelle città» è arrivato a dichiarare il Ministro per l'Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione, Colao appunto. Vuoi vedere che il Governo è più decisionista oggi, in condizioni di proroga amministrativa, che prima, con i pieni poteri politici? Ecco, infatti, che, rassicurante, la vicepresidente De Berti così garantisce: «I ministri hanno annunciato che presto sarà indetta una gara d'appalto per il finanziamento di tali sistemi».
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Corriere delle Alpi | 1 agosto 2022
p. 13
Restrizioni anche per le moto più navette nelle ore di punta il commento
«L'adozione del modello Braies mi sembra positiva» ammette Leandro Grones, sindaco di Livinallongo. «La prenotazione, non si dimentichi, vale non solo per gli automobilisti, anche per i motociclisti. Potranno accedere ai passi, se avranno il parcheggio garantito. Via libera, invece, per i cicloturisti». Grones ricorda che le limitazioni per auto private e moto sono in vigore dalle 9.30 alle 16, tutti i giorni (dal 10 luglio al 10 settembre, per il lago di Braies) e che, quindi, nella primissima mattinata e nel pomeriggio, dopo le 16.30 è possibile accedere anche con mezzo privato, ovviamente fino alla disponibilità dei parcheggi. Sui passi ci sono già le navette, oggi
circa ogni mezz'ora; verranno incrementate, nelle ore di punta. L'utilizzo del servizio in futuro sarà consentito solo previa prenotazione (e pagamento) online dei biglietti, fino a esaurimento dei posti a disposizione. I bambini fino al compimento dei 6 anni viaggiano gratuitamente. Su tutti i mezzi pubblici gli amici a quattro zampe viaggiano al prezzo normale e devono essere muniti di museruola. Una delle preoccupazioni degli operatori turistici e di Osvaldo Finazzer, come coordinatore del Comitato è quella dell'accesso dei pullman turistici: sarà consentito se avranno la prenotazione (anche per il pranzo, ad esempio). Il permesso di transito è invece concesso ai residenti, agli ospiti di ristoranti, negozi e altri esercizi della Valle e ai turisti che vi alloggiano (valido in questo caso per tutta la durata della permanenza in Valle). L'accesso ad auto e moto sarà gestito in maniera digitale grazie al riconoscimento automatizzato delle targhe. Nel caso del lago di Braies, le disposizioni adottate consentono di mantenere il numero di visitatori in auto/moto entro un limite di 5.500 persone al giorno, anziché le 15 mila del passato.Tecnicamente come avverrà l'ingresso ai passi da Arabba? «Immagino come all'ingresso della valle di Braies quest'anno - risponde Grones - C'è una regolamentazione del traffico a tre corsie. Tutti i conducenti autorizzati possono superare automaticamente il punto di accesso sulla strada principale verso il lago: le telecamere leggono il numero di targa del veicolo e aprono la strada. Chi non è autorizzato a passare in auto può uscire da una rotatoria e utilizzare mezzi di trasporto sostenibili». Il sindaco di Livinallongo ricorda che non c'è nulla di rivoluzionario. «Qualcosa di simile dice è già in vigore al Lago di Carezza, sul Passo Sella e sul Passo Gardena, a Prato Piazza e alle Tre Cime». Insoddisfatti gli ambientalisti, che preferiscono come fa sapere Luigi Casanova di Mountain Wilderness la chiusura completa dei passi nei giorni di maggiore afflusso e nella parte centrale della giornata, con accesso esclusivo attraverso le navette. fdm© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 2 agosto 2022 p. 20
Park su prenotazione, altolà dai Passi «Il problema non è qui ma a fondovalle»
Francesco Dal Mas ARABBADai Passi Dolomitici un drastico altolà. Non va bene neanche la prenotazione del parcheggio, modello lago di Braies. Le mani avanti le mettono i 78 albergatori, ristoratori, rifugisti del Comitato presieduto da Osvaldo Finazzer e che nel passato si è battuto contro la chiusura.Le Province di Bolzano e di Trento e la Regione Veneto hanno rinunciato alla sperimentazione, continuata per due anni, della chiusura oraria dei quattro passi del Sellaronda nei giorni di maggiore pressing turistico e hanno annunciato di voler verificare la possibilità dell'accesso con prenotazione dei parcheggi in quota, oppure con le navette del servizio pubblico. Un modello per il quale si sono detti d'accordo anche i ministri Colao, Giannini e Garavaglia. REAZIONE DURANiente da fare. Osvaldo Finazzer, coordinatore del Comitato, reagisce con parole inusitatamente pesanti. «È incredibile che le decisioni sul futuro delle valli dolomitiche e dei Passi del Sellaronda vengano prese con un metodo putiniano nel chiuso degli uffici ministeriali, senza un confronto con chi opera nelle Valli e chi vive e fa vivere i Passi. Il problema del traffico e dell'inquinamento è evidentemente esagerato per motivi ideologici, l'inquinamento da traffico nei passi dolomitici è sotto ai limiti di legge consentiti come conferma la ricerca dell'Eurac nel 2013 e 2014 promossa dalla Fondazione Unesco e che dimostra anche che l'inquinamento da traffico è maggiore nei fondovalle».Il problema è che solo 3 automezzi ogni 10, diretti ai passi, sono di chi vi lavora o di pendolari; ben 7 sono di turisti, per gran parte neppure stanziali. «Il sovraffollamento stagionale delle valli dolomitiche è un fatto che non può essere affrontato con provvedimenti ad effetto», obiettano gli operatori turistici, «come la sbrigativa prenotazione di accesso sui passi, è un processo che va governato incidendo sulle vere cause di degrado e affollamento delle valli turistiche. Il problema è nel fondovalle, bisogna lavorare sulla qualità del prodotto turistico offerto, sui prezzi, sul posizionamento di mercato, limitando così il numero dei turisti ma non la spesa complessiva».«STRATEGIA MIOPE»Il progetto di chiudere o "assegnare al caso" l'accesso ai passi è per Finazzer e gli altri del Comitato di salvaguardia frutto di una strategia miope e sbagliata, non riconosce lo sviluppo tecnologico in corso con la diffusione di auto elettriche e a metano, impone limitazioni alla libertà di circolazione senza una solida e provata motivazione d'interesse collettivo che la giustifichi, crea ingiustificati danni economici alle aziende esistenti.«Gli imprenditori che sui passi vivono e lavorano, difendono l'importanza dei liberi collegamenti tra le valli nell'economia turistica e richiedono un metodo più partecipativo nell'elaborazione delle politiche del territorio dove essi vivono», insistono i diretti interessati che, riaffermata l'attenzione all'ambiente e ad una migliore qualità dei servizi turistici, ricordano che vi sono due forme di turismo sui passi: la prima è quella del turismo stanziale, ospiti delle valli dolomitiche che nelle loro escursioni giornaliere si orientano verso i passi. La seconda è rappresentata dal turismo itinerante, turisti in transito sul percorso che ha come riferimento Venezia, Cortina, Bolzano, per proseguire verso Nord a Innsbruck o verso Sud in direzione dei laghi o sulla costa adriatica. la propostaCon la continua riduzione dei periodi di vacanza, la concentrazione delle presenze a metà agosto crea problemi di traffico dovuti però agli stessi turisti stanziali che fanno vivere le valli e alla precaria viabilità di alcuni paesi. Limitare l'accesso ai passi a questi turisti sarebbe penalizzante per l'economia turistica delle valli. «Una politica ambientale deve affrontare il problema dai fondovalle. Perché non chiudiamo l'accesso alle valli dolomitiche ai veicoli a combustibile fossile? Da Agordo ad Arabba, da Cavalese a Canazei,
da Ponte Gardena e da Chiusa a Selva di Val Gardena, da San Lorenzo di Sebato a Corvara si transiti solo con i veicoli elettrici», conclude Finazzer. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere dell’Alto Adige | 2 agosto 2022
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Controlli a tappeto sui passi dolomitici Velocità eccessiva: emesse 70 multe
Come previsto dai commissari del Governo di Bolzano e Trento, domenica scorsa si sono svolti mirati servizi interforze di controllo in materia di sicurezza della circolazione stradale. Tali attività hanno interessato le principali arterie montane nonché le strade che conducono ai più rinomati passi alpini, caratterizzati, specie in questi mesi dell’anno, da un intenso traffico soprattutto motociclistico. In particolare, in Alto Adige le attività di monitoraggio e di prevenzione della sicurezza stradale hanno riguardato 16 passi o località, i passi Mendola, Sella, Gardena, delle Erbe, Montecroce, Palade, Giovo, Rombo, Costalunga, Pennes, Stelvio, Resia e Furcia nonché in val Sarentino, Renon e val Pusteria. Nel complesso sono state impiegate 29 pattuglie, per un totale di 58 operatori appartenenti alla polizia di Stato e stradale, a carabinieri e guardia di finanza nonché alle polizie municipali interessate. Sono stati controllati 302 veicoli, di cui 245 motocicli, ed identificate 377 persone.
Le infrazioni contestate sono state complessivamente 70, principalmente per velocità non adeguata e mancato rispetto della segnaletica stradale, cifra che parla generalmente a favore dei comportamenti di guida sui passi.
In merito ai passi dolomitici, è anche opportuno ricordare il recente accordo governativo, grazie al quale entro il mese di settembre le quattro province e le Regioni interessate all’area dei passi dolomitici, si sono impegnate alla ricerca di un accordo normativo di base, in deroga anche alle autonomie, per giungere ad una regolamentazione complessiva volta a calmierare il traffico turistico di puro transito sui passi dolomitici.(a.d.p. )
Alto Adige | 3 agosto 2022
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Passi, il Comitato: sbaglia chi vuole limitare gli accessi
BADIA/GARDENA/FASSA
Il Comitato per la salvaguardia dei passi dolomitici torna alla carica per esprimere il suo scetticismo sulla linea portata avanti da Alto Adige, Trentino e Veneto per contingentare le auto in quota. Il vero problema, secondo il presidente Finazzer, è nel fondovalle semmai e ci si ostina a decidere senza coinvolgere chi sui Passi ci lavora.«L'attenzione all'ambiente e ad una migliore qualità dei servizi turistici è condivisa anche dagli imprenditori dei Passi, non solo per dovere di protezione della natura ma anche perché tale scelta è la più oculata e lungimirante dal punto di vista imprenditoriale. Vi sono due forme di turismo sui passi dolomitici: la prima è quella stanziale, ospiti delle valli dolomitiche che nelle loro escursioni giornaliere si orientano verso i passi. La seconda è rappresentata dal turismo itinerante, turisti in transito sul percorso classico dolomitico che ha come riferimento Venezia, Cortina D'Ampezzo, Bolzano, per proseguire verso Nord a Innsbruck o verso Sud in direzione dei luoghi di villeggiatura sui laghi o sulla costa adriatica. Con la continua riduzione dei periodi di vacanza, la concentrazione delle presenze a metà agosto crea indubbi problemi di traffico, dovuti però agli stessi turisti stanziali che fanno vivere le valli e alla precaria viabilità di alcuni paesi. Limitare l'accesso ai passi dolomitici a questi turisti sarebbe penalizzante per la stessa economia turistica delle valli».Finazzer critica il mancato coinvolgimento degli esercenti che lavorano sui Passi. «È incredibile che le decisioni sul futuro delle valli dolomitiche e dei Passi del Sellaronda vengano prese nel chiuso degli uffici ministeriali, senza un confronto con chi opera nelle valli e di chi vive e fa vivere i Passi. Il problema del traffico e dell'inquinamento è esagerato per motivi ideologici, l'inquinamento da traffico nei passi dolomitici è sotto ai limiti di legge consentiti come conferma la ricerca dell'Eurac nel 2013 e 2014 promossa dalla Fondazione Unesco e che dimostra anche che l'inquinamento da traffico è maggiore nei fondovalle». Finazzer resta contrario all'idea di limitare la mobilità in quota. «L'economia delle valli dolomitiche si basa sul continuo interscambio di turisti e servizi tra le valli. La possibilità di collegamento con le valli confinanti è una componente essenziale per la qualità di proposta di ognuna di esse. Se si limita la mobilità sulle strade limitiamo la clientela nelle valli. Diminuisce così la qualità della proposta complessiva. La possibilità di accedere ad un'offerta differenziata a breve distanza all'interno del sistema Dolomiti, aggiunge proposte e varietà quindi ricchezza di offerta. L'insieme è molto di più dell'offerta di ogni singola valle. Una politica ambientale deve affrontare il problema del traffico nei fondovalle. Perché non chiudiamo l'accesso alle valli dolomitiche ai veicoli a combustibile fossile? Da Agordo ad Arabba, da Cavalese a Canazei, da Ponte Gardena e da Chiusa a Selva di Val Gardena, da San Lorenzo di Sebato a Corvara si transiti solo e soltanto con i veicoli elettrici. Gli impianti a fune offrono un servizio agevole e
sicuro ad una grandissima parte di turisti che vogliono raggiungere le vette ma non possono sostituirsi alle auto perché nessuno degli impianti raggiunge i Passi e tantomeno può l'attuale servizio di trasporto pubblico locale essere una alternativa».«Il sovraffollamento stagionale delle valli dolomitiche è un fatto che non può essere affrontato con provvedimenti ad effetto come la sbrigativa prenotazione di accesso sui passi, è un processo che va governato incidendo sulle vere cause di degrado e affollamento delle valli turistiche. Il problema è nel fondovalle, bisogna lavorare sulla qualità del prodotto turistico offerto, sui prezzi, sul posizionamento di mercato, limitando così il numero dei turisti ma non la spesa complessiva. Noi vinciamo se siamo altro rispetto alla città e se la città è rumore e confusione noi dobbiamo essere silenzio ed ordine, se la città è stress noi dobbiamo offrire serenità, se le città sono obbligo di orari, limiti di accessi e difficoltà di movimenti noi dobbiamo essere aperti, facilmente raggiungibili ed accessibili. Il progetto di chiudere o "assegnare al caso" l'accesso ai passi è frutto di una strategia miope e sbagliata, non riconosce lo sviluppo tecnologico in corso con la diffusione di auto elettriche e a metano, impone limitazioni alla libertà di circolazione senza una solida e provata motivazione d'interesse collettivo che la giustifichi, crea ingiustificati danni economici alle aziende esistenti.
OLIMPIADI: GLI AGGIORNAMENTI
Gazzettino | 1 agosto 2022
p. 9, edizione Belluno
Le Regole: «La pista da bob? Non ci riguarda»
Le Regole d'Ampezzo non prendono posizione sulle opere da realizzare in paese per le Olimpiadi e Paralimpiadi invernali 2026, se non sono di loro competenza, se non insistono sugli oltre 15 mila ettari di loro proprietà. Il presidente, la giunta e la deputazione della antica istituzione ampezzana non esprimono giudizi in merito agli interventi che non vengono realizzati sul territorio regoliero. E' la chiara risposta che compare sul notiziario Ciasa de ra Regoles, il foglio di informazione, in questi giorni nelle case di tutti i consorti regolieri, dopo una precisa richiesta di esprimersi, in particolare sul progetto della nuova pista di bob, nel bosco di Ronco.
LA POSIZIONE
«L'impianto sportivo si trova prevalentemente su proprietà comunale e privata, lontana dal territorio regoliero è la replica di conseguenza nessuna opinione verrà espressa, dagli organi amministrativi delle Regole. Esse possono e devono esprimere la loro opinione su questioni che interessano il territorio di competenza». Si precisa inoltre: «Ogni componente della deputazione, come cittadino di Cortina, può esprimere in privato il proprio giudizio in merito, ma non in qualità di amministratore della proprietà collettiva ampezzana».
La sollecitazione, espressa da un componente della lista ambientalista, che si è candidato alle recenti elezioni comunali, prendeva in esame in particolare la posizione di Flavio Lancedelli, che è presidente delle Regole d'Ampezzo, ma pure consigliere comunale di Vivere Cortina, la lista che ha espresso e sostiene il sindaco Gianluca Lorenzi, dichiaratamente a favore della nuova pista di bob. Le Regole rispondono che sia per la pista di Ronco, sia per ogni altra opera, realizzata su aree non di competenza regoliera, vale lo stesso principio, di non ingerenza: «Qualora i progetti olimpici, o di sviluppo turistico, interessino invece porzioni di territorio regoliero, saranno valutati di volta in volta dagli organi amministrativi: giunta, deputazione, assemblea, e approvati o meno, secondo le maggioranze previste».
INTERVENTI VALUTATI
Ogni anno le Regole sono chiamate a esprimersi su progetti che interessano il loro territorio, per opere di diverso genere. Le votazioni dell'assemblea prevedono la presenza di almeno un terzo degli aventi diritto e il voto della maggioranza qualificata, il parere favorevole di almeno due terzi dei presenti. Negli ultimi anni sono stati così approvati nuovi impianti di risalita; bacini per l'innevamento artificiale; piste da sci; tracciati per la mountain bike, così come per il campo di golf a Fraina, laddove sono stati utilizzati terreni di proprietà regoliera.
Marco DibonaL’Adige | 10 agosto 2022 p
Un piano trasporti "olimpico" andrea orsolin
FIEMME
L'utilizzo delle strade del territorio con ipotesi di viabilità dedicata, l'apertura o meno di scuole e impianti di risalita durante l'evento e, più in generale, il tema degli spostamenti nelle settimane delle Olimpiadi sono stati i temi discussi giovedì scorso a Trento nella sede di Trentino Marketing, in occasione della riunione per il piano olimpico dei trasporti per il cluster della val di Fiemme, Fondazione Milano Cortina 2026. Un primo approccio di tipo logistico per l'organizzazione della mobilità nei giorni dell'evento (6 22 febbraio 2026) al quale hanno preso parte diversi amministratori del territorio, tra cui i rappresentanti dei due Comuni che ospiteranno le competizioni di fondo (Tesero, con l'assessora Marisa Delladio) e salto e combinata nordica (Predazzo, con la sindaca Maria Bosin). Presenti inoltre i rappresentanti della Nordic Ski val di Fiemme, di Provincia e del Coni.Ipotesi viabilità dedicata. Tra meno di quattro anni la val di Fiemme sarà chiamata a gestire dei flussi di traffico importanti. Il dirigente della Pat Roberto Andreatta ha introdotto la riunione spiegando l'importanza del momento e rappresentando alcuni profili che meriteranno una riflessione, rispetto ad una ipotesi di lavoro che è comunque ancora in via di formazione da parte della Fondazione Milano Cortina. Una fase che durerà fino alla fine del prossimo anno, quando si entrerà più nel merito tecnico della questione. Con lo scenario attuale la soluzione ad oggi ipotizzata sarebbe quella di riservare la SP232 di fondovalle al traffico olimpico (da Masi di Cavalese a Predazzo) deviando tutto il traffico di base sulla SS48 delle Dolomiti. Nel tratto tra Predazzo e Moena regolamentare il traffico di base a intervalli orari o mettendo in piedi un sistema di pass per residenti, fornitori o altro. L'obiettivo sarebbe poi quello di far arrivare la maggior parte delle persone fino a Ora con il treno e da lì trasportarle con degli autobus sul territorio di Fiemme. Per chi invece si dovrà recare in val di Fassa si vuol cercare di evitare il passaggio attraverso la val di Fiemme, ipotizzando di dirottare il traffico sulla val d'Ega, sia per chi proviene da nord (Bolzano/Austria) che da sud (Trento/Verona).Bus Rapid Transit. Secondo la Fondazione Milano Cortina 2026 la situazione ideale per riuscire a gestire al meglio la viabilità durante i giochi sarebbe quella di avere una corsia riservata per senso di marcia tra i parcheggi scambiatori di Masi di Cavalese e Moena. È quanto prevede il Brt, il nuovo sistema di mobilità pubblica che dovrebbe viaggiare sulla SS48 per servire i centri abitati, creando alcuni allargamenti con la realizzazione di una terza corsia. Sul piatto c'è un finanziamento da 70 milioni di euro che dovrà consentire di coprire la tratta tra Ora e Penia con un sistema di trasporto sostenibile e flessibile.Interventi infrastrutturali. A Predazzo è necessaria la sistemazione dell'accesso nord al paese, effettuando uno slargo per l'accesso sul ponte (anch'esso da adeguare) e la sistemazione della strada che porta ai trampolini. Con il raddoppio delle corsie risulta necessario realizzare una rotatoria per permettere agli autobus l'accesso e l'uscita dal luogo dell'evento. A Tesero la rotonda che porta alla pista di fondo di Lago è considerata come già ottimale. Nei pressi della stessa gli esperti ritengono che serva creare un raccordo che permetta un accesso più agevole ai prati utilizzati come parcheggi. È necessario sistemare il collegamento tra la SS48 e la SP232 all'altezza dell'abitato di Tesero, con l'allargamento della strada che porta alla zona artigianale. Infine un tema sensibile ai partecipanti all'incontro riguarda una possibile chiusura degli impianti di risalita, proprio in un periodo che si prospetta ricco di turisti.
Corriere delle Alpi | 17 agosto 2022
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Opere olimpiche, un conto da 2 miliardi A Cortina cinque interventi indispensabili
Francesco Dal Mas
CORTINA
Poco più di 150 milioni da investire nei prossimi due anni e mezzo, pena lo stop delle gare a Cortina. Le opere "essenziali indifferibili" sono il Villaggio olimpico, il Medal Plaz di Zuel, la ristrutturazione dello Stadio del ghiaccio, la pista di bob (di slittino e skelton), l'aggiornamento della pista delle Tofane, alcune sistemazioni all'Arena di Verona. Sono gli interventi chiesti da Luigi Valerio Sant'Andrea per il solo Veneto e che la giunta regionale ha recepito, deliberato e pubblicato nel Bur il 12 agosto.Poi ci sono altri 698 milioni di investimenti definiti "essenziali", ma che per la complessità della realizzazione possono essere differiti. Dalle varianti di Cortina e Longarone al collegamento con Socreps (ben 95 milioni di euro), alle sistemazioni di alcune stazioni ferroviarie. Indispensabili per i Gochi OlimpiciÈ classificato "essenziale e 'indifferibile" il Villaggio Olimpico di Cortina, a carico della Società Infrastrutture: costa 47 milioni e 827 mila euro, di cui 10 del Governo e 37,8 della Regione Veneto. Priorità "essenziale" anche per il Medal Plaza Cortina: costerà 10 milioni di euro, tutti a carico della Regione. Il progetto comprende la ristrutturazione del trampolino di lancio del 1956 e del braciere, nonché alcuni interventi infrastrutturali relativi al collegamento tecnologico e ai sottoservizi. Altri 6 milioni, di competenza della Regione Veneto, per la ristrutturazione di quello che sarà l'Olympic Stadium Cortina, con la realizzazione degli spogliatoi per atleti paralimpici, il miglioramento dell'accessibilità del pubblico e l'integrazione dei servizi. Nonché l'Upgrade tecnologico ed impiantistico. Sia questa opera che la Piazza Medaglie saranno realizzate dalla Società Infrastrutture Milano Cortina. Non compare il curling, nel capitolo dello stadio. È finita? Assolutamente no. Sulla Pista Olimpica delle Tofane bisogna intervenire con un altro milione e 380 mila euro (fuoriuscita regionale), per l'Upgradde delle strutture e delle dotazioni per l'aggiornamento alle nuove tecnologie e alle competizioni paralimpiche. Il soggetto attuatore è la Società Infrastrutture. E attenzione: un altro milione, sempre a carico della Regione, per sistemare l'Arena di Verona, ai fini della cerimonia di chiusura e a quella di apertura della Paralimpiadi.Pista di bob E
veniamo all'investimento più discusso, ad oggi da 85 milioni di euro: la pista di bob, che sarà strutturata anche per lo slittino e lo skeleton. Attenzione, qui la competenza è del Commissario Straordinario. Si tratta dell'adeguamento della pista Eugenio Monti per l'ottenimento si spiega delle omologazioni per ospitare le competizioni internazionali per le discipline bob, parabob, slittino e skeleton. L'omologazione arriverà con le prove pre olimpiche del febbraio 2025. La Regione interviene con 22 milioni di euro, la Provincia di Belluno con mezzo milione, il Comune di Cortina con altri 500 mila euro. Il resto lo mette lo Stato.Interventi essenziali, ma differibiliEd ecco quali sono gli interventi definiti essenziali ma che finiranno dopo le Olimpiadi. Compaiono i 95 milioni per un nuovo sistema integrato di mobilità intermodale nel Comune di Cortina, tra il centro e Socrepes, con un parcheggio da 850 posti macchina. Si attiverà la Finanza di progetto. Se ne è presa carico la società Infrastrutture: 66 milioni e 700 mila euro a cura dei privati del Project, 25 del Ministero delle infrastrutture, poco meno di 7 da parte della Regione Veneto. Altri 15 milioni, del Ministero delle infrastrutture, saranno dirottati verso la riqualificazione di immobili pubblici nel Comune di Cortina da destinare a funzione direzionale, servizi logistici e ospitalità, in chiave di legacy per il territorio. Non è finita ancora. Tra le opere "essenziali", ma non "indifferibili",2 milioni del ministero per il Piano Stazioni Olimpiche, con soggetto attuatore Rfi. Altri 12 milioni di euro per riqualificare la stazione di Longarone, con miglioramento della accessibilità e velocizzazione degli itinerari; sempre con incarico a Rfi. 5 milioni di euro per completare il rinnovamento della stazione di Ponte nelle Alpi. Ci sono dentro anche i 270 milioni di euro per la variante di Longarone, a cura del Commissario straordinario. Ci sono pure 298 milioni e 770 mila euro per la variante di Cortina, anche questa a carico del Commissario. Il totaleComplessivamente 2 miliardi 165 milioni di euro: questo il costo dei Giochi . Le opere non differibili ammontano a 284 milioni di euro, di cui appunto 150 solo tra Cortina e Verona. Le seconde, pari a 1 miliardo e 878 milioni di euro, possono procedere per stralci. La giunta del Veneto, approvando l'intesa, ha accantonato 22 milioni di euro per la pista di bob. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 17 agosto 2022 p. 17
«Le Olimpiadi per ripopolare la montagna»
«Le Olimpiadi servono per riportare le persone in montagna: per ripopolarla. Ci stiamo riuscendo. Basta constatare come si è rimessa in moto Cortina, col mercato immobiliare» . Lo ha dichiarato ieri Luca Zaia, presidente della Regione, intervenendo a Radio Cortina. «Non possiamo pensare alla montagna come fosse la nuova Amazzonia. Le terre alte», ha specificato, «hanno bisogno che l'uomo ci viva. Vanno aiutati soprattutto i giovani ad intraprendere, attraverso attività che siano remunerative. Quindi no alla montagna selvaggia, al wilderness. Chi insiste sulla necessità di investire nella zootecnia, nell'alpeggio, deve sapere che non lo si può fare per un afflato folcloristico, ma con la consapevolezza che i giovani devono lavorarci e viverci».
Corriere delle Alpi |
29
agosto
Zaia: «La pista da bob è irrinunciabile Senza perderemmo l'80% dei Giochi»
l'intervento «Vogliamo ascoltare tutti fino in fondo, dagli ambientalisti alle regole, passando per i Comitati, ma la pista di bob si farà, è irrinunciabile». Luca Zaia, presidente del Veneto, lo ha detto chiaro e tondo ieri sera, intervenendo ad Una montagna di libri, davanti al pubblico che affollava l'Alexander Girardi Hall, compresi il commissario Luigi Valerio Sant'Andrea e il sindaco Gianluca Lorenzi. «Ma quali piloni?», è sbottato Zaia descrivendo il progetto di pista allo studio. «L'impianto sarà per gran arte ipogeo, cioè in trincea, e sarà più corto della Eugenio Monti. Non andrà ad intaccare il tennis», ha inoltre assicurato. Per gran parte dell'incontro, Zaia ha parlato del suo libro "Ragioniamoci sopra", di cui sono state vendute oltre 40 mila copie. E che doveva titolarsi "Gesù o Barabba?", ipotesi subito scartata dalla Marsilio. Alla vigilia della presentazione delle opere olimpiche, questo pomeriggio quando in piazza saranno presenti anche Comitati e ambientalisti Zaia si è soffermato sui costi. Ha ricordato che la Monti, ristrutturata per le Olimpiadi del 1956, è costata 30 milioni e mezzo di vecchie lire, quindi non bruscolini. Il primo impianto è datato 1928 e rappresenta una storia gloriosa. Il dossier della nuova pista, fatto esaminare da Ca' Foscari per capire se i conti potevano tornare, sarebbe costato 63 milioni, senza il recente aumento dei prezzi. La pista è per il bob, per lo slittino, per lo skeleton ed è la prima pista paralimpica di bob. Rinunciarvi costerebbe 45 milioni, 30 da spendere ad Innsbruck, per aggiornare quell'impianto, e 15 per bonificare la vecchia Monti. La differenza con la nuova opera è di 18 milioni.«Ho chiesto a Ca' Foscari se il gioco valeva la candela. Mi hanno risposto di sì, perché il Pil generato dai Giochi a Cortina è di 850 milioni. Per paradosso, il gioco varrebbe», ha aggiunto il presidente, «anche se il giorno dopo le Olimpiadi la struttura dovesse essere tolta. Si sappia che se Cortina dovesse perdere il bob, perderebbe l'80% delle Olimpiadi», ha tenuto a
ribadire Zaia, confermando poi che «tutte le regole, tutte le leggi saranno rispettate». Se è vero, poi, che gli atleti di bob sono solo 17, il presidente ha sollecitato a tener conto anche di quelli delle altre discipline, dallo slittino allo skeleton, alle paralimpiadi. «Senz'altro più di un centinaio. Se il ragionamento dovesse fondarsi sul numero dei praticanti, dovremmo chiudere, per assurdo, le piste di Formula 1», ha sorriso Zaia. Il presidente, concludendo la riflessione si è infine chiesto. «La montagna sta morendo: ho voluto le Olimpiadi per tentare di salvarla. Se fa proprio schifo, la prossima volta ci penserò...». Zaia ha poi raccontato che non è stato facile portare a casa la candidatura. E non solo perché ci aveva provato anche Torino, ma anche perché: «Non tutti i partner dolomitici erano convinti, allora, della bontà della scelta; adesso sì». Molto si è parlato, durante l'incontro, della pandemia, quasi nulla di politica stretta. Un ospite pugliese, nel dibattito conclusivo, ha auspicato che il presidente veneto sia ministro del prossimo governo. «Io ministro? È impraticabile. Ho già detto che voglio portare a termine il mandato in Regione. È un impegno che mi sono preso con i Veneti», ha risposto Zaia, precisando di avere due grandi dossier da portare a compimento. Uno è quello dell'autonomia, l'altro non lo ha voluto spiegare. «È un dossier importantissimo, di rilevanza internazionale per il Veneto. Mi auguro di realizzarlo con il governo Draghi, cioè entro settembre. E anche se non vedrà la luce entro questa data, si capirà comunque che valeva proprio la pena provarci», ha concluso Zaia, tenendo in sospeso la sala dell'Alexander Girardi hall di Cortina.Quanto all'autonomia, ha aggiunto: «Spiace assistere ad un dibattito che è barbarico, medievale e che non ha nulla a che vedere con il Rinascimento. L'accordo, per la verità, è già chiuso con la Legge quadro», ha concluso Zaia, auspicando che il tema sia subito portato all'esame del nuovo Parlamento. «Questo è un appuntamento con la Storia, è una scelta di modernità. Non è affatto la secessione dei ricchi, come taluno sostiene». Francesco Dal Mas© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 26 agosto 2022
p. 29
«Le polemiche ci sono ovunque ma pensiamo alle opportunità»
IL DIBATTITO
«Volontà di fare chiarezza per togliere ogni dubbio, perché la comunicazione è importante, noi siamo al servizio della cittadinanza».Con queste parole il sindaco Gianluca Lorenzi ha introdotto l'incontro pubblico organizzato ieri dal Comune di Cortina per fare chiarezza sulle opere che ruotano attorno alle Olimpiadi, in particolare la contestata pista da bob di Cortina. L'incontro arriva a due settimane da quello organizzato dal Comitato civico Cortina in piazza Dibona: l'Amministrazione allora, pur invitata, aveva deciso di non partecipare. Oggi la risposta. Ma non in piazza, bensì nella sala consiliare del municipio, con 26 posti liberi e 14 riservati, più qualcuno che ha potuto assistere stando in piedi. In piazza c'erano però alcuni manifestanti con cartelli con domande aperte sull'utilità delle Olimpiadi in un ambiente montano fragile e sui costi esorbitanti dell'evento che sarebbe dovuto essere a costo zero per il contribuente. Poco più di cinquanta persone hanno potuto quindi seguire la tavola rotonda tra il sindaco Lorenzi, la vice presidente della Regione Veneto Elisa De Berti, il vice ministro alle Infrastrutture Alessandro Morelli e il commissario per le opere olimpiche Luigi Valerio Sant'Andrea, moderata dal giornalista Luigi Bacialli.Nessuno spazio è stato lasciato per le domande o per gli interventi dal pubblico.«Per Cortina le Olimpiadi sono un'opportunità che deve essere colta. Senza le Olimpiadi non avremmo le infrastrutture che aspettiamo da decenni. Il nostro compito è verificare che vengano portate avanti le opere. Abbiamo la massima fiducia nel commissario e nelle istituzioni», ha detto il sindaco. Poi ha preso la parola il vice ministro Morelli. «Sono convinto che sarà un grande successo, come a Milano con l'Expo. Ci sono state anche allora tante polemiche, oggi ci sono sulla pista da bob. Ma guardiamo l'obiettivo comune: utilizziamo questa opportunità come vetrina internazionale. Sono stati stanziati 2 miliardi di euro per la maggior parte destinati alle infrastrutture: opere attese da decenni ora vedranno la luce. Siamo in ritardo, è vero, ma c'è piena condivisione tra gli enti coinvolti, i costi sono tutti coperti». «Credo molto nella trasparenza, ogni tanto è opportuno fare riunioni come questa», ha detto la De Berti. Riferendosi al precedente incontro organizzato dal Comitato civico e alla relazione dettagliata sui costi della pista del giornalista Giuseppe Pietrobelli, De Berti ha precisato: «Ho già vissuto il balletto delle cifre con la Pedemontana. Dal progetto preliminare al definivo ci furono effettivamente degli aumenti. Qui si è partiti dal dossier olimpico che parlava di un costo base di 63 milioni per la riqualificazione della pista da bob esistente; ora le cose sono cambiate, siamo arrivati a 85 milioni. L'aumento dei costi vale per tutti i cantieri», ha spiegato, «la Regione ha messo della garanzie sugli interventi che farà a Cortina. In via prioritaria vi è comunque la copertura della pista da bob. Non c'è stato quindi un balletto delle cifre, ma un aumento dei prezzi, che sarà ancora maggiore di questo».È intervenuto infine il commissario Sant'Andrea. «Il tempo è il nostro più grande nemico. La società Infrastrutture è stata costituita a dicembre 2021 e io sono subentrato ad aprile di quest'anno. La pista da bob è nelle opere essenziali non differibili e si è accelerato tutto. Entro fine anno ci sarà la demolizione, nel frattempo il perfezionamento del progetto definitivo ed esecutivo, per giugno il via ai lavori». Marina Menardi© RIPRODUZIONE RISERVATA
«Senza pista da bob, né Giochi né strade»
CORTINA
«Spostare a Innsbruck le gare di bob? Non se ne parla nemmeno. La pista da bob si fa e basta, perché serve alle Olimpiadi; e, senza i Giochi, non ci sarebbero nemmeno i soldi per le varianti di Longarone e Cortina. Per questo la pista è priorità assoluta». L'opzione Innsbruck (avanzata dai comitati locali e dalle associazioni ambientaliste, ma anche dallo stesso Comitato olimpico internazionale), non è dunque minimamente presa in considerazione dal vice ministro per le Infrastrutture con delega olimpica Alessandro Morelli.Il che, traducendo in un concetto semplice, sta a significare che le Olimpiadi sono diventate a conti fatti una questione soprattutto politica, col governo centrale che ha messo la faccia sul progetto e che non ha nessuna intenzione di cederne una parte (peraltro importantissima, soprattutto per Cortina). La pista va inquadrata insomma in un discorso più generale; contesto nel quale il governo ha investito 600 milioni per le varianti; soldi che altrimenti, a detta del vice ministro, non sarebbero mai arrivati in provincia.«Cortina non vive solo fino al 2026, ma anche oltre. Finalmente si potranno vedere realizzate opere che la comunità attende da 40/50 anni».L'altra sera a Cortina Morelli ha poi snocciolato i soldi che il governo ha stanziato per queste Olimpiadi: 2 miliardi, per la maggior parte investiti in infrastrutture, oltre ai 400 milioni inseriti nel decreto Aiuti Bis in fase di approvazione per eventuali rincari nelle materie prime. Nelle somme stanziate rientrano anche gli 85 milioni della pista da bob, spesa che originariamente sarebbe dovuta essere interamente a carico della Regione Veneto. La costruzione della nuova "Eugenio Monti" è ora in mano al commissario straordinario Sant'Andrea, anch'egli presente all'incontro in municipio a Cortina. Sant'Andrea ha spiegato che la pratica sulla pista ha subito una accelerazione dopo la sua nomina, in quanto rientra nelle opere essenziali non differibili, pur riconoscendo che si è in ritardo e che il «tempo è il nostro più grande nemico». È poi ancora aperto il procedimento della dichiarazione di interesse culturale (da parte della Sovrintendenza) per la vecchia "Eugenio Monti", che verrà discusso in conferenza dei servizi il prossimo 8 settembre. La questione sembra essere risolta con uno «strip out di quota parte della pista»: verrà cioè mantenuta una parte, probabilmente quella dell'attuale arrivo che ruota attorno ai campi da tennis di Sopiazes. Inoltre verrà allestito un box informativo sulla storia e la cultura che ruota attorno alla pista originaria, affinché il nuovo impianto vada verso uno sviluppo non solo sportivo, ma anche culturale.«Sui tempi, salvo imprevisti, lo strip out della pista avverrà entro l'anno», ha spiegato Sant'Andrea, « seguirà l'istruttoria per il progetto definitivo ed esecutivo a gennaio, e successivamente per l'appalto dei lavori. La costruzione del nuovo impianto inizierà a giugno 2023». Marina Menardi© RIPRODUZIONE RISERVATA
AURONZO DI CADORE E COMELICO SUPERIORE: UN AGGIORNAMENTO SUI VINCOLI
Corriere delle Alpi | 9 agosto 2022
p. 2, segue dalla prima
Comelico e Auronzo, vincoli cancellati
Il Tar: «Comprimono lo sviluppo»
Alessia Forzin
Comelico
Avevano ragione i sindaci di Auronzo e del Comelico: i vincoli apposti dal ministero della Cultura avrebbero azzerato ogni possibilità di sviluppo dei territori. Ora lo dice anche il Tar del Veneto, che con la sentenza 1280/2022, depositata ieri dopo l'udienza del 28 aprile, ha annullato il decreto del Mibac, deducendo «l'illegittimità del provvedimento per difetto di istruttoria e motivazione». Non c'era ragione per fare un provvedimento «così stringente e penetrante», scrive il Tar, considerando che già oltre il 96% del territorio è vincolato per legge. Il ministero ha usato dati «erronei, incompleti e non aggiornati» per giustificare il provvedimento, che rischia di favorire lo spopolamento invece di contrastarlo, non lasciando margini autorizzativi agli enti locali per creare nuove strutture turistiche.LA STORIAI ricorsi (tre, riuniti in un unico procedimento) erano stati proposti dal Comune di Auronzo (assistito dall'avvocato Bruno Barel, socio fondatore dello Studio BM&A di Treviso), da altri Comuni della zona e dalla Regione Veneto, con l'intervento a sostegno della Provincia di Belluno. I ricorrenti chiedevano l'annullamento del decreto 1676 del 5 dicembre 2019, con il quale il ministero della Cultura aveva imposto pesanti vincoli paesaggistici su Auronzo, Comelico Superiore, Danta, San Pietro, San Nicolò Comelico e Santo Stefano,
attraverso la "Dichiarazione di notevole interesse pubblico dell'area alpina". Un'area di oltre 420 kmq. Si erano opposte al ricorso Italia Nostra, Mountain Wilderness Italia e Lipu.I ricorrenti contestavano il decreto perché introduceva, in aggiunta a tutti quelli già esistenti, un ulteriore vincolo molto dettagliato, che finiva con esautorare di ogni potere le comunità locali nel governo del territorio. Il decreto precludeva ogni possibilità di sviluppo, fra cui quello del collegamento sciistico con la Pusteria.«IL MINISTERO HA USATO DATI ERRATI»Il Tar inizia premettendo che lo Stato poteva apporre il vincolo, come affermato dalla Corte Costituzionale nel 2021, per conservare il paesaggio, ma, si sono chiesti i giudici: quel potere è stato esercitato in modo corretto, ragionevole e proporzionato, all'esito di una congrua istruttoria e sulla base di una chiara e coerente motivazione? La risposta, dipanata nella sentenza, è no.«Il decreto poggia su dati istruttori errati e non aggiornati, e su una motivazione perplessa e contraddittoria», scrivono i giudici. L'area compresa fra Auronzo e il Comelico è «già sottoposta a molteplici vincoli ex lege, che hanno sinora consentito la "straordinaria conservazione di detto territorio e delle sue bellezze"». Infatti è già vincolato il 96% del territorio. Il ministero diceva che era scoperto il 25%, ma non aveva considerato gli usi civici, il patrimonio regoliero, era errato il calcolo dell'estensione dei vincoli su boschi e foreste.NORME STRINGENTI E PENETRANTIInoltre è stata introdotta una «disciplina d'uso estremamente penetrante e dettagliata, che non è formata da meri indirizzi e criteri, bensì da vere e proprie norme tecniche operative di dettaglio che regolamentano ogni minuto intervento sul territorio, finanche l'installazione di recinzioni, insegne e cartelloni pubblicitari».«Non è dato comprendere quale sia la necessità, logicità, ragionevolezza e proporzionalità di un intervento ministeriale così stringente e penetrante, adottato per giunta in via d'urgenza». Secondo il Mibac bisognava evitare il rischio di sfruttamento intensivo del territorio determinato dalla crescita turistica e i «fenomeni di alterazione in atto della componente rurale». Che però, scrivono i giudici, non sono dimostrati.SPOPOLAMENTOI vincoli non servono nemmeno a contrastare lo spopolamento. Anzi, rischiano di aggravarlo secondo il Tar. «L'apposizione di una disciplina vincolistica accompagnata da una disciplina d'uso che non lascia in concreto alcun margine autorizzativo (o quasi) per la creazione di nuove strutture turistiche, sciistiche o, più in generale, ricettive (come i parcheggi o gli spazi attrezzati per il camping), finisce di fatto per comprimere irrimediabilmente le possibilità di sviluppo economico e sociale delle aree interessate, favorendo ulteriormente il fenomeno dello spopolamento delle aree montane che il decreto vorrebbe contrastare». E rischia di favorire «un lento ma inesorabile declino economico sociale delle aree alpine considerate».La tutela paesaggistica deve essere «coordinata e armonizzata con tutti gli interessi in gioco», trovando un «punto di equilibrio che assicuri il "best interest" delle aree alpine e delle comunità locali che hanno finora contribuito, in modo decisivo, alla "straordinaria conservazione" dei paesaggi che si intendono preservare».«PROVVEDIMENTO ILLEGITTIMO»Per tutte queste ragioni il Tar accoglie il ricorso dei Comuni, della Regione e della Provincia, deducendo l'illegittimità del provvedimento. Spese compensate fra le parti.«Nella prassi della giustizia amministrativa sono piuttosto rare le pronunce nelle quali vengono annullati decreti ministeriali di vincolo», fa sapere lo studio legale BM&A. «In questo caso, però, non erano a confronto interessi privati contro l'interesse generale, ma piuttosto il rispetto delle autonomie locali nella protezione del territorio». Il ministero potrà impugnare la decisione del Tar al Consiglio di Stato. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 9 agosto 2022
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Ma ora c'è il timore che salti il collegamento sciistico
COMELICO SUPERIORE
Sono più di 500 le autorizzazioni paesaggistiche che la Soprintendenza ha riconosciuto in tre anni nel solo Comelico, qualche centinaio anche ad Auronzo. In tre anni di vincoli. I 6 Comuni quasi quasi avevano fatto l'abitudine. Pochissimi i casi in cui le richieste venivano respinte. E i tempi erano contenuti di media in un mese. Questo, almeno, testimonia il presidente dell'Unione Montana Giancarlo Janese. La soddisfazione è palese, a partire dagli amministratori. Ma è attraversata in queste ore da una crescente preoccupazione.Non tanto e non solo perché contro la sentenza del Tar sarà fatto ricorso, ma perché in queste settimane si stava concludendo una delicatissima trattativa per il collegamento sciistico tra Padola e la Val Pusteria, precisamente il Col Colesei.Le indiscrezioni davano per imminente l'accordo con la Soprintendenza: finalmente in settembre.Da ieri pomeriggio, quando si è diffusa la notizia dello svincolo paesaggistico, il timore è che salti il tavolo.E di conseguenza anche il perfezionamento dell'accordo. Non solo il Comune di Comelico Superiore, ma tutte le Amministrazioni avevano sostenuto in questi mesi la necessità che come "compensazione" della sostenibilità ambientale della valle (attraverso appunto il massimo di tutela) le si concedesse un minimo di sostenibilità sociale ed economica: il collegamento con l'hub dell'alta val Pusteria. Comelico Superiore aveva accettato, in questo senso, anche di sacrificare alcune attese tecniche dall'impianto e dalla sua implementazione.La Soprintendenza si sarebbe dimostrata disponibile. Ma se gli ambientalisti s'irriteranno in presenza della sentenza del Tar e s'impunteranno sul no all'impianto che lambisce il territorio delle Dolomiti Unesco, il rischio è di una nuova guerra. Ecco spiegata la cautela delle reazioni. Ecco perché l'ingegner Francesco De Bettin, tessitore della giornata di ieri, si limita a dire: «Sembra essere una giornata di buone notizie». E però aggiunge: «Speriamo non ne seguano dieci di cattive. La sentenza ridà a tutti noi la dignità che ci spetta e ci si aspetta. Ci carica di responsabilità, perché rimette in mano a chi governa gli enti locali la possibilità di orientare il futuro di chi ha deciso di essere montanaro per scelta. Non siamo esperti ma immaginiamo, qualora possibile, che il risultato ottenuto non sia oggetto a sua volta di ricorso e, soprattutto,
aspettiamoci che chi voleva toglierci il diritto di vivere nelle terre non se la prenda con il "collegamento" sciistico per puro spirito di rivincita. Questa sera siamo tutti molto contenti». Una dichiarazione di cautela che dice tutto. f.d.m.© RIPRODUZIONE RISERVATA
Comis: «Ora un confronto serio con tutte le sigle ambientaliste»
LE REAZIONI
Dopo tanti mesi di mobilitazione, di allarme, diciamo pure di sofferenza, finalmente un 8 agosto di speranza. Questa la reazione alle notizie da Venezia e da Roma, sui vincoli paesaggistici e sulla strada di valle.«Sarà certamente ricordata come una giornata importante che potrebbe dare una svolta positiva alla vita della Val Comelico», commenta Alfredo Comis, fondatore del Comitato per l'alternativa alla galleria, «una sentenza del Tar del Veneto ha annullato il decreto del ministero della Cultura con cui si calava sull'intero territorio del Comelico e di Auronzo un pesantissimo vincolo ambientale, che di fatto bloccava ogni possibilità di sviluppo impiantistico e non solo».Secondo Comis è giunto il tempo per istituire un tavolo di confronto e di collaborazione con le associazioni ambientaliste, trovando una sintonia sugli obiettivi e sulla modalità per raggiungerli.«Altra bella notizia è il risultato raggiunto dal presidente dell'Um, che a Roma ha ottenuto dal ministro Franco l'impegno a finanziare la riapertura della vecchia strada della valle. Opera indispensabile secondo Franco per creare il bypass necessario a evitare la chiusure della galleria. Confidiamo che Anas accetti di posticipare i lavori in galleria di almeno 3 anni, il tempo utile per realizzare il primo lotto dei lavori sulla vecchia strada».Comis lancia poi una sfida.«Sfido Anas a dichiarare che i lavori eseguiti in galleria lo scorso anno (1.971.385, 17 euro) non ne garantiscano la sicurezza per altri 3 anni».Ed anche sulla facciata del municipio di Santo Stefano è apparso lo striscione "No alla chiusura della galleria Comelico senza alternative". Davide Zandonella Necca, referente di Confcommercio Comelico, tira anche lui un sospiro di sollievo. «Abbiamo appreso due notizie che risollevano il morale di tutta la popolazione, ma in particolare delle attività commerciali ed imprenditoriali che temevano tre anni di chiusura, con danni calcolati in 200 milioni di euro. Sarebbe stata la nostra fine». Anche Zandonella Necca auspica un confronto a tutto campo, per rigenerare la valle nel rispetto della sostenibilità ambientale, «ma», aggiunge, «anche quella sociale ed economica». f.d.m.© RIPRODUZIONE RISERVATA
Gazzettino | 9 agosto 2022 p. 3
«Ci siamo tolti un peso: ora vanno rivisti subito i progetti sul territorio»
AURONZO
Un sospiro di sollievo, la sensazione di essersi tolti di torno un peso, il rinnovato entusiasmo per riprendere in mano progetti che rischiavano di ammuffire nei cassetti, ma soprattutto la consapevolezza e il riconoscimento nero su bianco che certe scelte non possono essere fatte nei palazzoni romani e calate dall'alto: sprizza soddisfazione il sindaco di Auronzo Dario Vecellio Galeno dopo aver saputo che il Tar ha accolto il ricorso presentato durante l'amministrazione di Tatiana Pais Becher dal Comune contro i vincoli ambientali imposti dal Ministero abbattendo di fatto rigidi paletti che in nome dell'ambiente rischiavano di mettere in ginocchio, alla lunga, un intero comprensorio.
IL COMMENTO
«Speriamo ora che il ministero non presenti a sua volta ricorso contro la sentenza del Tar sorride Vecellio sarebbe un nuovo blocco dello sviluppo, ingiusto visto che comunque, già prima dell'irrigidimento imposto e poi bocciato, del Ministero, qualsiasi attività sul territorio doveva sottostare a una serie di misure molto stringenti». Ma il sindaco la vede anche come una sorta di riscossa locale: «La sentenza ha messo in luce anche alcune incongruità procedurali, come per esempio il fatto che non possono essere imposti vincoli in maniera unilaterale, serve una concertazione che in effetti non c'è stata».
ALL'ORIZZONTE
Ancora prematuro scendere nei particolari e prevedere cosa in sostanza potrebbe cambiare dopo l'atto del Tar sul piano della progettazione per i Comuni che erano stati toccati dal vincolo cancellato. «Per quanto ci riguarda andrà rivisto tutto spiega il primo cittadino di Auronzo su svariati progetti che erano stati tenuti in stand by». In questo contesto potrebbero trovare spazio anche proposte e suggerimenti che le stesse Regole avevano avanzato in merito ad alcune questioni aperte, non ultima quella riguardante la revsione completa dei parcheggi da realizzare a Misurina per liberare le sponde del lago dalla presenza delle auto.
IL PRECEDENTE
Quella dei Comuni bellunesi è stata una posizione contraria al decreto di Dichiarazione di notevole interesse pubblico dell'area alpina compresa tra il Comelico e la Val d'Ansiei, firmata nel dicembre 2019 dal Ministero per i beni ambientali e culturali. Tutti allineati contro una decisione vissuta come l'ennesima vessazione della burocrazia contro un territorio già in difficoltà e che cerca da anni di poter avere il via libera al collegamento sciistico con la Val Pusteria. ll vincolo toccava i Comuni di Comelico Superiore, Santo Stefano, Auronzo, San Nicolò Comelico, Danta di Cadore e San Pietro di Cadore.
Corriere delle Alpi | 10 agosto 2022 p. 28
Vincoli, la partita è aperta Sarà ricorso ambientalista
COMELICO SUPERIORE
Via i vincoli paesaggisti, restano gli altri, compresi quelli di tutela europea. Ma sul Comelico e Auronzo incombe anche il ricorso da parte degli ambientalisti. Con i quali, dunque, bisogna correre subito a trattare. Altrimenti rischia di saltare l'accordo, ormai prossimo (più o meno un mese? ) con la Soprintendenza per quanto riguarda il sul collegamento sciistico. «È probabile che si ricorra al Consiglio di Stato, anche per offrire agli amministratori degli enti locali delle certezze minime nella loro azione di governo».È quanto anticipa Luigi Casanova, di Mountain Wildernes e Cipra, sul ricorso ambientalista, dato per probabile, contro la sentenza del Tar sui vincoli paesaggistici.Se fino a ieri la responsabilità delle autorizzazioni era della Soprintendenza, da oggi passa ai sindaci e ai loro collaboratori tecnici. Solo in Comelico Venezia ne ha licenziate più di mezzo migliaio in tre anni.«Pensino oggi i sindaci a quale responsabilità ricade su di loro nella gestione di territori privati di Regole e norme certe: già gli uffici tecnici comunali sono stati depotenziati da interventi legislativi nazionali e regionali. Chi oggi protegge più i nostri sindaci?».Per Casanova e gli ambientalisti, il decreto 5. 12. 2019 non imponeva vincoli, ma offriva alle comunità locali delle opportunità.«Non mi si venga a dire che il collegamento del Comelico con l'area della Drei Zinnen è una opportunità: venti posti di lavoro se andrà bene, 26 milioni di euro pubblici gettati al vento».Ovviamente non la pensano così in Val Comelico.Ma anche in Provincia, a Belluno. Dove si teme che il ricorso delle forze ambientaliste possa frenare la trattativa sull'iter del collegamento, rispetto al quale pesano, in ogni caso, tutti i vincoli preesistenti. Da qui la necessità, come hanno avvertito associazioni e comitati, che si apra subito un tavolo con gli stessi ambientalisti. Un tavolo, suggerisce il presidente della Provincia, Roberto Padrin, sul quale si ponga parallelamente il tema dello spopolamento. E da qui l'importanza anche della seconda canna della galleria del Comelico, rispetto alla quale si sono fatti passi avanti nell'incontro dell'altro ieri a Roma con l'assicurazione dei fondi (il Mef è al lavoro), la progettazione e la realizzazione da parte dell'Anas.«Se c'è una pietra tombale sulla tutela della montagna e dei paesaggi dolomitici, questa è lo spopolamento, nient'altro. Lo ha compreso anche il Tar», premette Padrin, «e il fatto che il Tar stesso abbia riconosciuto che eventuali nuovi vincoli avrebbero compresso per non dire annullato le possibilità di sviluppo economico dell'area del Comelico rende merito a quanto diciamo da tempo, cioè che lo spopolamento è la vera causa del declino di un territorio e in quanto tale vanno trovate tutte le misure per contrastarlo. L'impossibilità non solo di realizzare i nuovi collegamenti sciistici», dice Padrin, « ma di annullare qualsiasi tipo di intervento, anche solo di sistemazione edilizia, avrebbe compromesso le capacità di sviluppo di un'intera vallata».La Provincia ricorda che la montagna è un sistema di equilibri molto delicato, tra la corretta tutela dell'ambiente e il legittimo diritto a viverci. Ebbene, «l'impianto vincolistico deve essere sempre ponderato rispettando questo equilibrio». Francesco Dal Mas© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 10 agosto 2022
p. 28
Bottacin: «Un'impugnazione ci vedrebbe pronti a resistere»
L'AVVERTIMENTO
Ambientalisti avvisati. Se ricorreranno al Consiglio di Stato, la Regione Veneto farà altrettanto. Parola di Gianpaolo Bottacin. «Il Tar ci dà ragione, con una sentenza epocale che sottolinea come la montagna deve poter essere messa in condizione di vivere».L'assessore all'Ambiente esulta, ma non più di tanto: «Prima di cantare vittoria assoluta bisogna essere cauti, perché in quel di Roma, o anche a livello più locale, ci potrebbero essere dei "difensori della montagna" pronti a ricorrere al Consiglio di Stato. Mi auguro che ciò non accada, altrimenti comunque noi resisteremmo».Bottacin ricorda quando, insieme al sindaco Marco Staunovo di Comelico Superiore e al senatore Saviane, è stato a Roma a sostenere il collegamento sciistico del Comelico e la risposta è stata che quell'area era poco vincolata. «Rimanemmo stupefatti e ciò che ne seguì ci lasciò senza parole. Pensavamo si trattasse di uno scherzo. Il Comelico è un'area più che tutelata e come ho sempre detto i montanari sanno come gestire le loro terre. Su questo mi sento di condividere il
pensiero di Mauro Corona quando dice che bisogna difendere la montagna dai difensori della montagna».«A pochi giorni dal primo anniversario dalla morte del senatore Paolo Saviane, questa sentenza del Tar è una vittoria che noi dedichiamo a lui». A dirlo è il commissario provinciale della Lega Franco Gidoni a commento di un riconoscimento che dà ai territori la libertà di progettare il proprio sviluppo: «Un riconoscimento che oggi, di fatto, finalmente solleva il Comelico e Auronzo dai più stretti vincoli imposti dal ministero. Una battaglia, quella a favore delle terre alte bellunesi e del loro diritto di autodeterminarsi, che Saviane aveva portato avanti a Roma per permettere il via libera al collegamento Comelico Pusteria e, più in generale, per liberare la montagna dai lacciuoli imposti dal governo, da burocrati che, così diceva, non sapevano nulla delle terre alte». Secondo Gidoni, ora il Comelico può tornare a progettare il proprio futuro e a immaginarsi non solo come punto da cui si parte, ma anche come meta attrattiva per il lavoro e per le chance che offre. f.d.m.© RIPRODUZIONE RISERVATA
Gazzettino | 10 agosto 2022
p 13, edizione Belluno
Vincoli azzerati dal Tar, Staunovo: «Ora avanti tutta con le nuove piste»
Nell'esultanza generale per la sentenza del Tar del Veneto, che boccia i vincoli imposti dal Ministero dei Beni culturali e ambientali sul territorio del Comelico e della Val d'Ansiei, si registrano anche le considerazioni più pacate di amministratori locali, che la materia dei vincoli e del loro superamento, soprattutto per quanto riguarda il progetto di collegamento tra Valgrande e Passo Monte Croce, la conoscono bene e stanno lavorando da anni in contatto con la Soprintendenza del Veneto, trovando degli accordi sia per la parte che riguarda la pista di raccordo tra Valgrande e Col dla Tenda sopra Padola, sia per gli interventi strutturali previsti, come i parcheggi, gli edifici a servizio delle piste e l'impianto di innevamento artificiale delle piste.
IL CONTESTO
«Il nostro progetto dice il sindaco di Comelico Superiore Marco Staunovo Polacco è inserito in una zona già sottoposta a vincolo e i nostri passi fatti in questi anni in dialogo con la Soprintendenza di Venezia, sono sempre stati fatti in prospettiva di accordi che unissero le esigenze paesaggistiche e ambientali con quelle economiche e turistiche che permettessero alla popolazione locale di avere una prospettiva di sviluppo sia del turismo invernale, che di quello estivo in una valle che soffre di arretratezza in questo settore. Collegarci con la Pusteria e i suoi caroselli, che vanno da Passo Monte Croce fino a Versciaco può essere un inizio di crescita del turismo da Padola all'intero Comelico». Pur non avendo ancora risposte certe sulla stazione di arrivo della cabinovia che sale ai Colesei, per poi scendere a Passo Monte Croce, che è ancora il punto di discussione tra il Comune di Comelico Superiore e la Soprintendenza, tuttavia il sindaco fa trasparire una speranza di accordo a breve. Sarebbe la conclusione di un iter decennale, che però affonda nel passato di oltre vent'anni. Portare a casa il benestare per i lavori del collegamento tra Valgrande e Passo Monte Croce sarebbe il risultato maggiore che l'amministrazione Staunovo otterrebbe nei dieci anni di lavoro su questo spinoso progetto.
LA SODDISFAZIONE
Soddisfatti per la sentenza del Tar, sia Staunovo che Ianese, sindaco di San Nicolò e presidente dell'Unione Montana, vedono modificarsi in positivo i rapporti tra cittadini e pubbliche amministrazioni, senza i gravami che i vincoli imposti dal Ministero hanno avuto in questi anni passati sulle pratiche edilizie e sulle pratiche relative all'ambiente. Alla soddisfazione del sindaci del Comelico e di Auronzo si aggiungono le prese di posizione dei parlamentari bellunesi. Questa è una vittoria non solo del Comelico e di Auronzo dice il deputato Dario Bond ma dei territori di montagna. È la dimostrazione che i vincoli che impediscono lo sviluppo dei territori non solo non servono, ma sono dannosi. Da Franco Gidoni della Lega un riferimento al lavoro svolto dal defunto senatore Saviane. Quella per togliere i vincoli scrive è stata una battaglia di autonomia e di contrasto allo spopolamento, Saviane ha avuto la lungimiranza di capirlo. Una valutazione positiva da parte della Provincia di Belluno, che aveva fatto ricorso ad adiuvandum. La sentenza del Tar scrive il presidente Roberto Padrin ci consegna un messaggio forte e chiaro: lo sviluppo delle comunità locali è condicio sine qua non per tutelare il paesaggio. Il parlamentare Roger De Menech accoglie con soddisfazione la sentenza del Tar e sottolinea le motivazioni della sentenza. La vera emergenza scrive in una nota lo spopolamento e, come affermano i giudici, L'apposizione di una disciplina vincolistica si legge nella sentenza del Tar accompagnata da una disciplina d'uso che non lascia in concreto alcun margine autorizzativo (o quasi) per la creazione di nuove strutture turistiche, sciistiche o, più in generale, ricettive (come i parcheggi o gli spazi attrezzati per il camping), finisce di fatto per comprimere le possibilità di sviluppo economico e sociale delle aree interessate, favorendo lo spopolamento che il decreto vorrebbe contrastare'. In definitiva il Tar scrive una sentenza storica perché riconosce che le popolazioni delle Dolomiti hanno saputo preservare il proprio patrimonio».
Lucio Eicher Clerep. 10, edizione Treviso Belluno
Il Tar cancella il vincolo in Comelico ambientalisti e ministero fanno ricorso Battaglia sul futuro della valle. Polacco: così iter più snelli. In sospeso anche il progetto per gli impianti
Tommaso Moretto santo stefano di cadore I festeggiamenti dei sindaci del Comelico per l’annullamento del vincolo paesaggistico posto nei loro Comuni dal ministero nel 2019 sono durati poco. La loro vittoria al Tar, nota da lunedì quando è stata pubblicata la sentenza, è il risultato del primo tempo di una partita destinata a concludersi al Consiglio di Stato, il tribunale d’appello della giustizia amministrativa. Lo spiega l’avvocato Laura Polonioli che nel procedimento rappresenta le associazioni ambientaliste Italia Nostra, Mountain Wilderness e Lipu. Si è già consultata anche con la collega dell’avvocatura di Stato che difendeva il ministero dei Beni culturali, cioè la Soprintendenza, che aveva apposto il vincolo.
Le due legali avrebbero condiviso le stesse riflessioni. «Ce lo chiede la sentenza, di fare appello spiega l’avvocato Polonioli Riteniamo che il Tar abbia sbagliato, c’è una sentenza della Corte costituzionale che, richiamata, ci consentirà di avere ragione in appello. I vincoli pre esistenti non escludono l’apposizione di nuovi vincoli che possono avere finalità diverse. Inoltre il Tar è entrato nel merito di una decisione discrezionale da parte del Ministero».
La questione però «è slegata da quella sul collegamento sciistico con la Val Pusteria dice Marco Staunovo Polacco perché quel progetto era già all’interno di aree vincolate prima del 2019 e deve ancora ottenere l’autorizzazione paesaggistica e la valutazione di impatto ambientale». Il sindaco del Comune di Comelico Superiore sta parlando dell’impianto di risalita che collegherebbe la zona sciistica di Sesto Pusteria con Padola attraverso passo Monte Croce, costerebbe circa 45 milioni di euro di cui 15 a carico dei privati. Staunovo Polacco spiega anche qual è il reale perimetro di questa sentenza del Tar: «Oggi tutte le pratiche di edilizia che avevano un impatto sull’esterno degli edifici avevano bisogno di un’autorizzazione paesaggistica che non sarà più necessaria».
I vincoli della Soprintendenza invece erano utili, secondo Luigi Casanova di Mountain Wilderness: «Ci auguriamo che la Soprintendenza faccia ricorso e che si riapra un dialogo con i Comuni». Il ricorso ci sarà, il conflitto tra enti continua, come rileva con rammarico, pur avendo vinto, l’avvocato Bruno Barel del Comune di Auronzo: «L’idea che i rapporti tra le istituzioni passino per i giudici è demenziale, significa che non funzionano gli strumenti di cooperazione». Edilizia e impianto di risalita son questioni ancora aperte. Così come l’altro grosso tema infrastrutturale del Comelico, i lavori nella galleria per Santo Stefano. Il cantiere prevederebbe una lunga chiusura al traffico che isolerebbe il Comelico. I sindaci chiedono che almeno venga prima ripristinata l’alternativa tra Cima Gogna e la fine della galleria. «I soldi del ministero servirebbero per questa alternativa ma l’Anas dovrebbe accettare di posticipare i lavori di tre anni spiega Alfredo Comis, del comitato che promuove questa soluzione Lunedì il ministro Daniele Franco si è preso l’impegno di fronte al parlamentare Dario Bond. Speriamo arrivino anche i provvedimenti».
Corriere delle Alpi | 24 agosto 2022
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Il caso vincoli: «D'ora in poi si contratterà con gli enti»
SANTO STEFANO DI CADORE
D'ora in avanti, qualsiasi imposizione ministeriale dovrà essere contrattata con gli enti sul territorio. Perché, appunto, non diventi un'imposizione, come quella dei vincoli paesaggistici imposti da Roma e cancellati dal Tar.Non si sa ancora se il ministero dei Beni ambientali farà ricorso al Consiglio di Stato. Ma, intanto, il presidente dell'Unione montana Giancarlo Ianese ha organizzato un incontro tra i colleghi sindaci e l'avvocato Michele Steccanella che ha promosso il ricorso per i cinque Comuni del Comelico. Come ha spiegato Steccanella, «il Decreto del Ministero paga dazio per aver completamente escluso gli enti e le comunità locali dal processo di valutazione che ha portato alla sua emanazione».«L'aver calato un vincolo tanto esteso dall'alto, senza nemmeno sentire i Comuni coinvolti che hanno potuto unicamente presentare osservazioni a provvedimento già confezionato, e senza nemmeno tenere in considerazione le previsioni dei Piani Regolatori comunali, ha condotto a un risultato che il Tar non ha potuto non giudicare inaccettabile, in tal modo condividendo le preoccupazioni e perplessità che avevano indotto gli amministratori a promuovere il ricorso».La sentenza, infatti, imputa fondamentalmente al Ministero proprio di aver travisato, sia di fatto che giuridicamente, l'effettivo modo di essere dell'amplissimo contesto territoriale che si è preteso vincolare, secondo lo stesso Ministero tuttora "straordinariamente conservato". Questa sentenza, ha concluso Steccanella, «costituisce certamente uno snodo importante, mettendo in luce che una corretta gestione paesaggistica del territorio non può prescindere dall'interlocuzione con le istituzioni più vicine ad esso e le popolazioni
insediate, che proprio per questo meglio ne conoscono le peculiarità, i problemi e i bisogni; e suggerendo che la via da perseguire è quella della più ampia, fattiva e leale collaborazione». FDM© RIPRODUZIONE RISERVATA
PLAN DE CUNFIN: LA RICHIESTA DI TUTELA
Alto Adige | 31 agosto 2022
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«Plan de Cunfin va messo sotto tutela»
val gardena «Le montagne non hanno bisogno di un esaltatore di sapidità, e quindi il Plan de Cunfin e il gruppo del Sassolungo devono definitivamente essere messi sotto tutela ambientale»: ad affermarlo sono stati ieri i rappresentanti di numerose associazioni ambientaliste e della montagna che si sono riunite al Plan de Cunfin. Nell'incontro, i rappresentanti di Nosc Cunfin, della Lia da Mont Gherdëina, della Lia per Natura y Usanzes, della sezione dell'Avs Sciliar, della sezione Avs di Bressanone, dell'Alpenverein Alto Adige, della Confederazione per la tutela della Natura e dell'Ambiente, Tutela Ambiente Montano Cai e della Heimatpflegeverband hanno sottolineato, riferisce una nota, che «non basta riconoscere una piccola parte del territorio come ambito di tutela delle acque, ma che devono essere protetti l'intero Plan de Cunfin ed il gruppo del Sassolungo. Solo così si può frenare definitivamente la perennemente ricorrente pulsione a deturpare la zona, tesa ad una massimizzazione degli utili per pochi, cosa che tra l'altro è miope e a breve termine».A settembre, l'assessora provinciale Maria Hochgruber Kuenzer, conclude la nota, prenderà nuovamente parte ad un giro al Plan de Cunfin e le associazioni ambientaliste chiedono in buona sostanza «un impegno chiaro da parte dell'amministrazione provinciale per la tutela del gruppo del Sassolungo e dei suoli del Cunfin». ©RIPRODUZIONE RISERVATA
BOSTRICO
Corriere delle Alpi | 18 agosto 2022 p. 16
Boschi bellunesi decimati Cinque volte i danni di Vaia
BELLUNO
L'allarme arriva, questa volta, direttamente dalla Regione. Per il bostrico e le sue conseguenze. «Il diffondersi dell'infestazione desta notevole preoccupazione per gli impatti che sta già iniziando ad avere e che potranno divampare nei prossimi anni in particolare sulle funzioni protettiva, economico produttiva, paesaggistico ricreativa e ambientale dei boschi colpiti». E' quasi un "urlo" quello che troviamo contenuto nelle linee guida per la lotta al coleottero, licenziate il 9 agosto dalla Giunta regionale. L'emergenza, si spiega, continuerà ancora per 4 anni. E farà danni al bosco «pari a 5 6 volte quelli di Vaia», anticipa l'assessore regionale all'ambiente, Giampaolo Bottacin. Primi Dati A seguito degli eccezionali eventi meteorici del 28, 29 e 30 ottobre 2018, con lo schianti di alberi su una superficie di18mila ettari, pari a quasi 2,7 milioni di metri cubi di legname abbattuto, a partire dal 2021 la questione fitosanitaria ha assunto rilevanza in riferimento agli attacchi parassitari da parte di coleotteri scolitidi, in particolare a carico dei boschi di abete rosso. Il riepilogo è del professore Andrea Battsti, dell'Università di Padova, consulente della Regione. Ad essere colpiti, non solo i tronchi a terra non prontamente esboscati, ma anche piante in piedi.I monitoraggi Il dinamismo del bostrico è stato monitorato sia attraverso la collocazione di trappole a feromoni sia con elaborazioni da dati satellitari per individuare le superfici colpite, sia infine tramite la sorveglianza diretta. Il monitoraggio del 2021, attraverso le trappole più di 57 i siti oggi sotto controllo, dal Feltrino fino al Comelico ha evidenziato una sensibile crescita, rispetto al 2020, con livelli medi di cattura nelle prime settimane pari a quanto normalmente viene osservato nel corso di un intero anno e catture medie per trappola, ben oltre il valore soglia di allerta, stimato in 78.000 insetti/trappola durante la stagione. Ma ecco il numero medio di insetti per trappola l'anno scorso: 38.355 nel Bellunese, 44.045 nell'Agordino, 41.524 nel Feltrino, 43.998 nel Longaronese e nello Zoldano, 29817 in Val Bpoite, 20225 in Cadore, 24.067 in Comelico,
34.186 in provincia di Treviso. Il monitoraggio da satellite ha consentito di stimare che nel 2020 le superfici colpite ammontavano a circa 153 ha, mentre nel 2021 sono aumentate a 975 ha, di cui oltrela metà in Agordino. In provincia, circa il 58 % dei nuclei di infestazione si colloca in aree di proprietà pubblica, il 23 % in aree private, mentre il 17 % in proprietà di tipo collettivo (Regole, Comunioni, ecc.). Problemi gestionali Il 56% delle aree bostricate si colloca dove si può procedere all'esbosco aereo su fune entro 380 m dalla strada, mentre il 25% è sostanzialmente inaccessibile. Ecco perché l'asportazione del materiale legnoso, a quattro anni circa dalla tempesta Vaia, è del 60% in Veneto, ovvero dell'81% in provincia di Vicenza e del 48% nel Bellunese.«L'azione di Protezione Civile nel contesto della gestione post Vaia ricorda al riguard Bottacin è stata necessariamente improntata prioritariamente a mettere in sicurezza versanti e infrastrutture e a garantire l'incolumità della popolazione residente». In qualche Comune ci si lamenta di ritardi pesanti. «Ad ostacolare gli interventi di esbosco hanno concorso diversi fattori spiega ancora Bottacin spesso di natura stazionale e infrastrutturale (accidentalità dei luoghi, scarsa dotazione viaria, ecc.), senza dimenticare che in molti casi le superfici schiantate sono situate in prossimità di elementi sensibili da proteggere, da cui la necessità di preservare in alcuni luoghi la funzione protettiva garantita dai tronchi, dilazionando la fase di sgombero del materiale legnoso». I tempi Il professor Battisti rileva che le infestazioni di bostrico su piante in piedi si avviano sempre con almeno un anno di ritardo rispetto all'evento calamitoso e perdurano per almeno 5 6 anni. Le prospettive «Nei prossimi 2 4 anni, preoccupa un possibile aumento delle proliferazioni del bostrico, in quanto le popolazioni sono in una condizione di densità molto elevata sottolinea il prof. Battisti Ciò dipenderà dalle condizioni climatiche e dalla disponibilità di piante ancora sane, soprattutto se indebolite da fattori quali vento, neve, incendi, siccità prolungata, anche in conseguenza degli effetti del cambiamento climatico». Le conseguenze Preoccupante l'analisi della Regione. «I danni da bostrico, soprattutto se interessano ampie porzioni di versanti acclivi, possono portare a una grave perturbazione dell'equilibrio e dell'assetto del territorio, venendo meno la funzione protettiva svolta dalle foreste e innescando fenomeni di dissesto idrogeologico che se non efficacemente controllati possono causare gravi danni sia a manufatti ed infrastrutture che alle altre formazioni forestali esistenti, fino a minacciare l'incolumità delle popolazioni residenti». E' la stessa Regione Veneto ad ammetterlo. Inoltre, la diffusa presenza di piante secche può favorire il propagarsi di incendi boschivi, aggravando i fenomeni di degrado. Dal punto di vista commerciale, la perdita di valore del legname colpito fanno notare gli stessi esperti della Regione , ancorché interessato dall'azione del bostrico limitatamente alla parte corticale, è dovuta dalla colorazione bluastra che il legno assume a causa della presenza di funghi simbionti dell'insetto che, diffusi all'interno delle gallerie, penetrano nel legno causandone la caratteristica colorazione e il conseguente deprezzamento. Il legname così alterato è inoltre maggiormente soggetto ad infestazioni secondarie di insetti xilofagi che colonizzano il legno in profondità. Impatto economico Altro significativo allarme, questa volta di natura economica. «Una forte concentrazione dell'offerta di legname nell'arco alpino orientale potenzialmente da opera e di alta qualità ma soggetto a rapido deterioramento potrà avere sul mercato le criticità e ripercussioni sull'assetto e disponibilità delle imprese boschive e dell'intero sistema logistico del settore, è evidente che notevoli sono gli impatti su quello che, per le proprietà gestite, è un patrimonio che rappresenta una risorsa ed una fonte di reddito non trascurabile e caratterizzata da periodicità ricorrente nel tempo». È evidente il rischio di stravolgere nel tempo e nello spazio le utilizzazioni forestali pianificate a garanzia della sostenibilità dei prelievi e per preservare il patrimonio forestale: i prelievi forzosi indotti dall'infestazione concentreranno in un tempo ristretto buona pare della massa prevista al taglio per l'intero periodo di validità del piano, impedendo o tralasciando, per mantenere l'equilibrio complessivo, di fatto, l'esecuzione nella restante superficie di interventi ordinari necessari alla complessiva buona gestione dei soprassuoli. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Incontri d’Alt(r)a Quota anche all’Alpe di Tires
dolomiti Parole, pietre, paesaggio. Gli "Incontri d'Alt(r)a Quota", organizzati anche quest'anno dalla Fondazione Dolomiti Unesco, consentiranno di camminare al cospetto dalla parete d'argento della Marmolada, ascoltando i racconti dello scrittore Matteo Righetto, di contemplare i pinnacoli della Dolomiti di Brenta comprendendone il valore geologico, di imparare a fotografare albe e tramonti tra Sciliar e Catinaccio. La seconda tappa è prevista oggi nelle Dolomiti di Brenta, al rifugio Agostini, gestito da Roberto Cornella e questa volta la protagonista assoluta sarà la Dolomia grazie al geotrekking organizzato in collaborazione con i geologi del Muse di Trento e del Parco Naturale Adamello Brenta Geopark. Quando le ombre inizieranno ad allungarsi sulla fine della stagione estiva, il 17 18 settembre, sarà invece il momento di mettere nella borsa la macchina fotografica, scegliere i giusti obiettivi e salire al rifugio Alpe di Tires / Tierser Alpl Sciliar/Catinaccio, dove Stefan e Judith Perathoner ospiteranno un workshop fotografico curato da Moreno Geremetta. Per informazioni e iscrizioni scrivere a press@dolomitiunesco.info.
Sentieri aperti ai disabili: le Dolomiti e l'inclusività
BELLUNO
Dolomiti patrimonio di tutti, nessuno escluso. Per la Fondazione, favorire la frequentazione delle montagne anche a chi ha capacità motorie limitate, è un obiettivo primario. «L'inclusione è un tema di grande attualità non solo una parola "di moda" dice il presidente della Provincia, Roberto Padrin - Per il nostro territorio, montano e quindi spesso difficile, dove le pendenze rendono complesso spostarsi, è un obbligo e insieme una necessità». Che il 10 e l'11 settembre troveranno luogo di confronto ad Auronzo.Al mattino della prima giornata si approfondirà il tema "Dalla Persona al Territorio. Crescere insieme nelle relazioni reciproche". La sessione vedrà la partecipazione della direttrice della Fondazione Mara Nemela, dell'architetto Loredana Ponticelli, del terapista occupazionale Alex Veronese, della Guida Alpina Simone Elmi e di Elena Galli della associazione "Cortina senza confini". Nella sessione pomeridiana si terrà la tavola rotonda, che grazie all'intervento di numerosi rappresentanti delle Associazioni attente all'inclusività sul territorio dolomitico, cercherà di rispondere alla domanda "Dolomiti, territorio inclusivo?". La prima giornata si chiuderà con la testimonianza dell'alpinista Moreno Pesce, che grazie alla sua esperienza, porrà il focus sul ruolo della Guida e sul rapporto di fiducia con essa.Domenica è invece prevista un'escursione guidata alla Foresta di Somadida, uno dei 36 percorsi del progetto "Dolomiti accessibili". «I valori di inclusività non sono ristretti alla cerchia delle persone con disabilità, ma sono allargabili alle differenze di età, ceto sociale, mezzi e altri fattori», conclude il presidente Padrin. © RIPRODUZIONE RISERVATA
IMPRONTE DEI DINOSAURI:
L’INAGURAZIONE DEL NUOVO PERCORSO
Corriere delle Alpi | 12 agosto 2022
p 28
Orme dei dinosauri: domenica il debutto
Val di Zoldo
Il Comune alza il sipario sul percorso delle orme dei dinosauri. L'appuntamento è per domenica alle 10 quando la popolazione è invitata al passo Staulanza per la presentazione alla popolazione del progetto di sistemazione, messa in sicurezza e valorizzazione del sentiero che dal passo porta al Pelmetto nell'ambito del sito geopaleontologico "Impronte di dinosauri". «Il progetto», puntualizza il sindaco Camillo De Pellegrin, «è stato finanziato per 113 mila euro da parte del programma sviluppo rurale del Veneto 2014 2020 a regia del Gal Alto Bellunese (sempre presente e utile nell'individuare occasioni di finanziamento) e la parte rimanente dalla pubblica amministrazione». «I lavori», continua De Pellegrin, «inizialmente, si sono concentrati nella sistemazione di alcune zone paludose del sentiero e con il tracciamento sul vialone che arriva alla piattaforma per la visione delle orme. Sulla piattaforma è stato installato un visore, un cannocchiale, per vedere le orme e una vasca dove è possibile lasciare la propria impronta sull'argilla. Lungo il percorso, sono stati installati cinque Geostop attraverso i quali, mediante la applicazione Geochip di Dolomiti Projet, è possibile accedere a contenuti multimediali: storia delle Dolomiti, la montagna e il cambiamento del clima, le Dolomiti Unesco. Domenica, dopo la presentazione al passo Staulanza alla quale è invitata tutta la popolazione, si potrà quindi partecipare ad una escursione guidata al sito di visione delle orme dei dinosuri. L'intervento di valorizzazione del sentiero è avvenuto senza modificare l'esistente. «Con le Regole di Mareson e di Borca di Cadore», dice infatti il sindaco De Pellegrin, «si è condiviso di effettuare interventi minimi al sentiero per la conservazione delle caratteristiche peculiari e suggestive. È in atto anche l'individuazione di un percorso alla base del ghiaione che possa permettere ai diversamente abili di visitare il sito». «La volontà dell'amministrazione comunale di Val di Zoldo, come di quella di Selva di Cadore», conclude il sindaco, «è quella di recuperare risorse e rendere il sito più efficace condividendo anche la pianificazione dei parcheggi, tenendo presente i due parcheggi del passo Staulanza e del rifugio Città di Fiume». Mario Agostini© RIPRODUZIONE RISERVATA
Sette giorni per dare nuova vita al bivacco incassato nella roccia
IL PROGETTO
Nuova vita in arrivo per lo storico bivacco Carlo Buffa di Perrero. Letteralmente aggrappato alla parete di forcella Padeon, sul Cristallo, la struttura tornerà presto fruibile grazie ai lavori di ristrutturazione che vedranno impegnate le divise del 6° Reggimento Alpini di stanza a Brunico in collaborazione con maestranze e professionisti ampezzani.Si comincia lunedìI lavori di ristrutturazione del bivacco, ritenuto inagibile circa un anno fa a causa del cedimento del tetto sotto la pressione della neve, inizieranno lunedì ed andranno avanti per circa una settimana. Il cronoprogramma è già pronto e vedrà operare sul posto gli uomini del 6° Reggimento Alpini; ma le manovre preliminari sono già iniziate grazie all'ausilio di un elicottero che ha trasportato in quota i materiali necessari ai lavori, precedentemente preparati all'interno di due aziende ampezzane doc specializzate nel legno: la lattoneria Schiavon di Ivan Schiavon e la falegnameria di Sisto Pompanin. Il bivacco verrà dapprima messo in sicurezza, successivamente si procederà alla ristrutturazione del tetto. Una volta completati i lavori, la struttura tornerà a disposizione degli escursionisti in transito a forcella Padeon mentre il 17 settembre sarà effettuata una cerimonia di inaugurazione. I lavori di ristrutturazione del bivacco Carlo Buffa di Perrero saranno seguiti dalle telecamere della nota trasmissione "Falegnami ad alta quota" in onda sul canale Dmax. Presto spiegata, dunque, la presenza in quota, tra le varie maestranze, dei fratelli altoatesini Curzel, protagonisti del fortunato format televisivo giunto ormai alla seconda edizione.La storiaIl bivacco Carlo Buffa di Perrero è stato costruito durante la prima guerra mondiale. Venne intitolato al colonnello Carlo Buffa di Perrero, nato a Torino e deceduto in guerra nel novembre del 1916 a Locvizza Kostanie, colpito da una granata. Ricevette una medaglia d'argento al valor militare a seguito di una operazione condotta al comando del battaglione Cadore del 7° Alpini tra le vette del Cristallo nell'ottobre del 1915. In seguito alla sua morte, il 15 marzo del 1917 ricevette anche una medaglia d'oro al valore militare.DEGRADO E RINASCITALa situazione di grave pericolosità del bivacco venne segnalata da alcuni escursionisti impegnati sul sentiero attrezzato Ivano Dibona. A seguito della segnalazione, il soccorso alpino di Cortina effettuò una ricognizione sul posto anche grazie all'aiuto di un elicottero, registrando il cedimento del tetto sotto i colpi delle intemperie. L'impegno ad alta quota del 6° Reggimento Alpini di Brunico rientra tra le attività legate alla celebrazione dei 150 anni del corpo degli alpini che in questi giorni ha interessato anche Cortina. Al progetto di ricostruzione del bivacco partecipano attivamente anche le Regole d'Ampezzo e l'associazione nazionale alpini. Gianluca De Rosa© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 13 agosto 2022 p. 20
Rifugi a macchia di leopardo: «In "periferia" si soffre ancora»
ad Alta quota
Vi ricordate le estati con le code di 300 metri per salire in funivia, al ritorno dalla passeggiata in quota? E i tre turni per pranzare ai rifugi? Altra epoca. Eppure era solo l'anno scorso. «Quest'estate è una stagione in chiaroscuro», afferma Mario Fiorentini, che gestisce il rifugio "Città di Fiume", ai piedi del Pelmo e che coordina una quarantina di colleghi di altrettanti rifugi del Veneto. «Abbiamo una frequentazione e un afflusso a macchia di leopardo. Ci sono ancora grosse differenze tra le varie aree del territorio. E la comunicazione fa la differenza».Sono presi d'assalto i rifugi intorno alle Tre Cime, quelli più blasonati davanti alle Tofane, quindi sopra Cortina, o in riva al lago Sorapis. Altrove non è il deserto, ma in qualche caso poco ci manca, soprattutto in periferia. Il tutto esaurito? In rari casi a pranzo, sì. Di notte no. «In ogni caso», ammette Fiorentini, « è buono il ritorno degli stranieri nei trekking con i pernottamenti. Le alte vie tornano a essere frequentate, anche dagli stranieri».Si percepisce la situazione economica in difficoltà, con la minore capacità di spesa delle famiglie: «Specie nella ristorazione. Si fanno molte merende al sacco e si fruisce del rifugio», lamenta Fiorentini, «limitatamente ai soli servizi o poco più. Ma si tenga conto dei costi importanti quest'anno su acqua, smaltimento rifiuti, energia». Secondo Fiorentini, è necessaria una efficace comunicazione e una attenta organizzazione dei flussi per orientare la scelta delle destinazioni e il periodo di fruizione finalizzata alla riduzione del carico nei periodi critici che portano più che altro a problemi per tutti: «Dire che va tutto a gonfie vele perché nelle settimane centrali di agosto c'è il pienone è troppo facile», chiosa Fiorentini, con un pizzico di preoccupazione. Infine il problema del personale. «Considerate le particolari condizioni in cui si lavora (spazi, tipologia del lavoro, "isolamento", competenze) completare i team di lavoro è stato veramente complesso e non sempre ci si è riusciti anche per difficoltà
legate alle problematiche contrattuali imposte dalla legge che ovviamente non possono tenere conto di situazioni così particolari e specifiche». Fdm© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 17 agosto 2022
p 30
Rifugio sul Rite, salasso energia Scola: «Alzo bandiera bianca»
CIBIANA
Ferragosto con sorpresa a dir poco amara per Giorgio Scola. Il gestore del rifugio Dolomites situato sul monte Rite a due passi dal museo di Reinhold Messner si è visto recapitare una bolletta pari a 13mila 879,60 euro relativa alle spese di energia del solo mese di agosto. Per la precisione, 9.999,21 euro di consumi che con i balzelli vari imposti dalla burocrazia italiana sale a quota 11. 376,72 a cui va ulteriormente aggiunta l'Iva per un totale di 13.897,60. Numeri da capogiro, quando è bastato a Giorgio Scola per decidere di alzare bandiera bianca. «È impossibile andare avanti in questa maniera. Questa mattina (ieri, ndr), appena ricevuta la bolletta, la prima telefonata l'ho fatta all'entourage di Reinhold Messner per spiegare l'accaduto ed avvisarli che da fine estate ho intenzione di valutare la possibilità di chiudere il rifugio». Scola è a dir poco amareggiato dell'accaduto. Che, stando a quanto racconta desolato, non rappresenta una novità. «Negli ultimi otto mesi ho ricevuto e pagato bollette per un importo complessivo pari a circa 45mila euro compresa l'ultima che scadrà a fine mese» rivela il gestore del Dolomites, «nel recente passato in tutto l'anno la cifra spesa per luce e gas al rifugio non ha mai superato i 13/14mila euro. Gli aumenti sono esorbitanti ed ingiustificati. Ho fatto i salti mortali per garantire l'apertura di questo rifugio tutto l'anno. Estate ed inverno. A proposito di inverno, mi sono dotato di un gatto delle nevi, acquistandolo, per garantire la battitura della strada che dal passo Cibiana sale fino in cima al monte Rite. E questi sono i risultati. Con una bolletta di quasi 14mila euro da pagare entro il 29 agosto prossimo, quanto dovrei fatturare per ricavarne dal mio lavoro anche un dignitoso guadagno?».Inevitabile la decisione di abbassare le saracinesche. «C'è un momento in cui bisogna avere il coraggio di dire basta» prosegue a cuore aperto Giorgio Scola, «gestisco tra mille difficoltà questo rifugio da cinque anni, qui ho trasferito anche la mia residenza. Pago l'affitto perché il rifugio è di proprietà del Comune di Cibiana, pago un mutuo che ho acceso quando ho intrapreso questa avventura. Adesso ci si mettono anche queste bollette dagli importi inverosimili. Cos'altro posso fare se non decidere di mollare tutto? Non ricevo aiuti da parte di nessuno. Volevo installare i pannelli fotovoltaici ma non ho ancora ricevuto risposta. E adesso cosa mi resta tra le mani? Questa bolletta a dir poco salata ed ancora mutuo ed affitto da garantire» . La disamina di Giorgio Scola prosegue. «Quando ho acceso il mutuo, era di una determinata cifra. Quella cifra adesso è aumentata e non diminuita. Questo significa che, non solo le spese aumentano di volta in volta, ma anche che per quanto mi riguarda non ci sto guadagnando niente ma solo rimettendo. Ora non mi resta che alzare bandiera bianca».Spiragli per un ripensamento? «I pannelli fotovoltaici li ritengo indispensabili». Gianluca De Rosa © RIPRODUZIONE RISERVATA
L’Adige | 25 agosto 2022 p. 33
Nove rifugi verso la liberazione dalla plastica
Oggi e giovedì 1 settembre il Parco Naturale Adamello Brenta, in collaborazione con l'Azienda per il turismo Madonna di Campiglio e l'Associazione Plastic Free onlus, organizza due escursioni pomeridiane gratuite che hanno come meta alcuni rifugi che aderiscono al progetto "Let's Green". Parliamo di strutture che hanno messo al bando la plastica monouso (piatti, bicchieri, posate e simili), che hanno avviato un percorso che permetterà di non utilizzare più la plastica in futuro, e/o che hanno adottato un compattatore per smaltire, riciclandola, la plastica residua (come le bottigliette d'acqua). Due le destinazioni: oggi l'escursione andrà da cascina Zeledria al rifugio Nambino (nella foto) e ritorno con partenza alle 14 da malga Zeledria. Giovedì 1 settembre si andrà dalla cima del Doss del Sabion (raggiunta in funivia da Pinzolo, sempre con orario di ritrovo alle ore 14) a malga Cioca e poi al rifugio Prà Rodont. Si raccomanda di avere abbigliamento e calzature da trekking, portare con sé la borraccia e riportare i rifiuti a valle a fine escursione. Prenotazioni online presso l'Apt Madonna di Campiglio, telefono 0465 447501 email: info@campigliodolomiti.it."Let's Green No Time to Waste" è un'ambiziosa iniziativa sviluppata dal Parco Naturale Adamello Brenta assieme all'Azienda per il Turismo Madonna di Campiglio e all'Associazione Plastic Free Onlus, che si prefigge «l'obiettivo di sensibilizzare e coinvolgere la popolazione, i Comuni, le strutture ricettive, i luoghi di lavoro sulle azioni da intraprendere per la riduzione della plastica, la separazione e la compattazione dei materiali di rifiuto ed il rispetto dell'ambiente in relazione all'inquinamento del suolo, delle acque e dell'aria, ai cambiamenti climatici ed alla perdita di habitat e di biodiversità: tematiche locali con effetti globali che richiederanno nei prossimi decenni grande coraggio e
soluzioni efficaci». Così parlò il Parco Adamello Brenta. Fra i rifugi finora hanno aderito al progetto "100% Plastic Free" Malga Montagnoli e Cascina Zeledria di Madonna di Campiglio; stanno andando verso un futuro senza plastica monouso i rifugi Nambino, Patascoss, Casinèi e Malga Ritorto di Madonna di Campiglio, Rifugio Doss del Sabion, Ristorante Prà Rodont e Malga Cioca di Pinzolo. G.B.
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Rifugisti e guardie costretti a fare gli spazzini in quota
cortina
La scatoletta di tonno che ha rischiato di uccidere lo stambecco del Sorapis era stata abbandonata da tempo, già arrugginita, ma il problema dei rifiuti è notevole su tutte le Dolomiti. «I gestori dei rifugi e le guardie fanno pulizia quasi tutti i giorni, ma è difficile arrivare ovunque». A spiegarlo è Michele Da Pozzo, direttore del Parco regionale delle Dolomiti d'Ampezzo, svelando come queste figure svolgano un ruolo che va ben oltre i loro incarichi. «Non lo fanno per dovere, ma per coscienza», precisa Da Pozzo. Il lago di Sorapis non è compreso nel Parco, fa parte delle Regole che hanno le loro guardie, ma la competenza rimane della Polizia provinciale e, nella pratica, la collaborazione tra questi enti è molto elastica. «Le guardie fanno giri periodici, ma è impossibile essere ovunque. Lo stambecco del Sorapis è stato fortunato, perché la guardia si è trovata nel posto giusto nel momento giusto e non è la prima volta che succede». Da Pozzo rivela che c'è un precedente specifico, anche se risale a parecchio tempo fa: «Sono passati quasi trent'anni», precisa il direttore. «Nei pressi del rifugio Biella, sulla Croda del Becco (gruppo della Croda Rossa), fu trovato uno stambecco che aveva ingoiato una lattina di Coca Cola. Anche quella volta ci fu l'intervento di un veterinario, ma l'animale morì qualche giorno dopo a causa del forte stato di debilitazione in cui si trovava».Il precedente serve a far capire quanto sia pericoloso abbandonare rifiuti in montagna: «Gli animali sono curiosi e golosi e qualsiasi rifiuto può rivelarsi letale per loro. La scatoletta di tonno del Sorapis sicuramente non aveva più l'odore di cibo, eppure lo stambecco ha cercato di mangiarla lo stesso».Ma il pericolo non arriva solo dai rifiuti non degradabili: «Spesso le persone pensano che gli avanzi di cibo non siano un problema e che nel giro di qualche mese spariranno. In realtà per gli animali è un rischio anche mangiare un rifiuto biodegradabile. Una buccia di banana, ad esempio, rischia di soffocarli. Noi sensibilizziamo il più possibile e mettiamo cartelli ovunque, ma i rifiuti che troviamo in giro sono sempre tanti». © RIPRODUZIONE RISERVATA
L’Adige | 31 agosto 2022
p. 13, segue dalla prima
CorriereIl rifugio Pedrotti come un "faro" ristrutturazione nel segno del rosso
UGO MERLO
Sarà, quella del rifugio Tommaso Pedrotti alla Tosa, ai 2491 metri, poco sotto la Bocca di Brenta una ristrutturazione parziale: rifacimento dell'ultimo piano, (il sottotetto) con 8 stanze, il tetto a falda asimmetrica, per installare i pannelli fotovoltaici, ricoperto di lamiera aggrappata rossa, un corpo aggiunto sul lato nord est che include la nuova scala antincendio. Questo il progetto di massima realizzato dall'architetti Stefano Pasquali, Samantha Minozzi, Alberto Stangherlin e dall'ing. Andrea Moser, vincitori del concorso, indetto dalla Sat, proprietaria del rifugio, che ha deciso di effettuare dei lavori di sistemazione di un rifugio strategico nel cuore del Gruppo Brenta, base di partenza per le scalate alle vette che lo circondano e per i sempre numerosi alpinisti che affrontano la storica via delle Bocchette. La ferrata delle Bocchette è una delle opere alpinistiche più importanti del Trentino concepita nel 1930 da Giovanni Strobele. È la prima volta che la Sat adotta la modalità del concorso di progettazione per la ristrutturazione di un suo rifugio e lo ha fatto come hanno spiegato alla conferenza stampa, tenuta nella sede dell'Ordine degli architetti di Trento, la presidente Anna Facchini e la sua vice Iole Manica, con una visione innovativa e positiva e una spesa di 19 mila euro. Mauro Giovanazzi, presidente dell'Ordine degli architetti trentini ha espresso la sua soddisfazione, per il successo del concorso, ben 60 i progetti arrivati alla giuria, la cui gestione è stata condivisa, oltre che con la Sat, rappresentata nella giuria dell'ex vice presidente ing. Roberto Bertoldi, anche con l'Ordine degli ingegneri della provincia di Trento. Ha partecipato alla conferenza stampa la presidente Silvia Di Rosa. Giovanazzi ha espresso il suo compiacimento per il fatto che il concorso sia stato vinto da professionisti trentini e che sono giovani, in un momento in cui non è facile per loro emergere. La scelta della ristrutturazione di uno dei primi rifugi della Sat, il Pedrotti fu costruito ai primi del secolo scorso dalla sezione di Brema della Doav e passò alla Sat nel 1914, è stata fatta dopo molte riflessioni. Si prospettavano due soluzioni: costruire il Pedrotti alla Tosa ex novo, la seconda intervenire con una ristrutturazione parziale, mantenendo l'attuale edificio migliorandolo. L'architetto Pasquali ha spiegato i dettagli del progetto. Il Pedrotti alla Tosa, che manterrà invariati i posti letto: 135, sarà ampliato in termini di volume di 134 metri cubi, pari al 5% dell'attuale, con una migliore funzionalità. Il nuovo sottotetto, infatti, sarà più alto di mezzo metro rispetto all'attuale. Sarà demolito l'attuale tetto e sostituito con uno realizzato con travi pannello, isolato e ventilato, ricoperto da lamiera aggrappata di colore rosso. «La scelta del rosso ha detto Pasquali è dovuta al concetto che vogliamo dare al rifugio, con una visibilità che lo faccia sembrare un faro di montagna». Altra importante novità sono i pannelli fotovoltaici, che saranno collocati sulla falda più ampia del Pedrotti lato sud ovest, che forniranno un picco di energia elettrica pari a 20 chilo watt e permetteranno quindi di sfruttare l'energia del sole, che è gratuita e non inquina, con un risparmio per il gestore di gasolio per l'alimentazione del gruppo generatore. Per quanto riguarda la scala antincendio, collocata sul lato nord est dell'edificio, al rendering sembra un po' impattante, essa sarà appoggiata su di un basamento di calcestruzzo e sarà in acciaio, ma come ha detto Pasquali: «La scala non avrà solo la funzione di sicurezza, ma sarà l'elemento propulsore per la ristrutturazione, in diverse fasi, di tutto il corpo di fabbrica. Collegando tutti i quattro piani del rifugio permetterà nel tempo di ripensare gli spazi interni. Fondamentale la scelta della struttura composta da telaio metallico dimensionato per garantire un adeguamento sismico dell'intero edificio». Il costo della ristrutturazione del Pedrotti in Brenta è stata fissata dalla Sat in 990 mila euro. Ora il team dei progettisti vincitori del concorso lavoreranno per realizzare il progetto definitivo entro il 2022.I progetti dovranno essere quindi sottoposti all'approvazione degli enti: provincia, comune di San Lorenzo Dorsino, Parco Adamello Brenta. Quindi la Sat dovrà appaltare i lavori. La Sat, come hanno confermato Facchini e Manica, conta di iniziare i lavori nel giugno del 2023. Per la prossima stagione, per il gestore Franco Nicolini, lassù con la famiglia da 10 anni e per gli alpinisti si prospetta una stagione con qualche disagio, ma il Pedrotti sarà aperto. Poco sotto il Pedrotti c'è il rifugio Tosa, a 2440 metri, della Sat costruito nel 1881, un edificio storico datato, che forse si poteva demolire e accorpando i volumi realizzare, ovviamente con costi ben più elevati, una struttura nuova.
Turismo sostenibile
Parco e Provincia visitano le strutture
LONGARONE
Sopralluogo al rifugio Pian de Fontana per i presidenti della Provincia di Belluno e del Parco nazionale Dolomiti bellunesi. Visita che rientra nella strategia del Parco per pianificare interventi di valorizzazione del turismo slow e sostenibile. «Stiamo promuovendo diversi sopralluoghi sul territorio, all'interno del perimetro dell'area tutelata», spiega il presidente del Parco, «si tratta di visite propedeutiche a pianificare gli interventi e gli investimenti che intendiamo fare sulla sentieristica. L'obiettivo è sviluppare pacchetti turistici per zone particolari. E nell'ultimo sopralluogo ci siamo concentrati sul rifugio Pian de Fontana, passaggio suggestivo e tappa dell'Alta via numero 1. Abbiamo approfittato della presenza del Cai di Longarone, del sindaco e del tecnico dell'Unione montana per parlare della rete di sentieri». Il rifugio Pian de Fontana è di proprietà del Comune di Longarone e si trova a quota 1.632, alla testata della Val dei Ross,
Corriere delle Alpi | 31 agosto 2022su un pascolo alla base delle splendide conche glaciali dei Van de Zità. Costituisce la principale base di appoggio per una delle tappe dell'Alta via delle Dolomiti n. 1 e nel 2023 festeggerà il trentennale di attività. «L'obiettivo è valorizzare sempre di più queste strutture e l'ambiente di pregio in cui sono inserite», commenta il presidente della Provincia Roberto Padrin, «il turismo delle alte vie e dei sentieri di montagna è sostenibile e porta ogni anno migliaia di persone alla scoperta delle nostre Dolomiti, soprattutto dall'estero. La sinergia con il Parco per lo sviluppo di questo genere di turismo, anche attraverso pacchetti dedicati da promuovere attraverso i rifugi, è sicuramente uno dei valori aggiunti del territorio bellunese e delle sue eccellenze». e.D.C.© RIPRODUZIONE RISERVATA
NOTIZIE DAI PARCHI
Corriere delle Alpi | 17 agosto 2022
p. 23
«Il Parco valorizzi il territorio invece di porre ostacoli inutili»
la missiva
«Credo molto nel valore dell'ente Parco e nelle potenzialità che può esprimere per il territorio bellunese». Inizia così la lettera con cui Camillo De Pellegrin, sindaco di Val di Zoldo, ha formalizzato le sue dimissioni dal consiglio direttivo del Parco. «Il Regolamento del Parco, di recente entrata in vigore, sembra censurare a priori le competizioni motoristiche, indipendentemente dalle modalità di svolgimento della corsa», contesta De Pellegrin, «ed in effetti, a seguito dell'ultima riunione del direttivo è stato ufficialmente annunciato dal presidente Vigne il diniego del Parco al rilascio dell'autorizzazione. Decisione che mi trova contrario e che mi ha portato quindi a maturare la scelta di lasciare, pur con rammarico, il direttivo».«La gara si snoda sulla strada provinciale 473. Viabilità regolarmente e ordinariamente destinata al transito dei veicoli, senza particolari limitazioni, così come confermato dall'articolo 18 del Regolamento del Parco», fa notare il consigliere dimissionario. «La decisione, assunta a maggioranza, è stata di interpretare in modo letterale il solo articolo 29 del regolamento, senza operare una lettura combinata con il disposto dell'articolo 18 comma 1 del medesimo, a mente del quale, all'interno del Parco, la circolazione sulle strade regionali, provinciali e comunali (la cui circolazione è quindi regolata dal Codice della Strada anche per quanto riguarda le relative competizione sportive con veicoli a motore) prive di divieto di transito è normalmente consentita». «Era pertanto possibile, dal mio punto di vista, operare un'interpretazione, o meglio una precisazione della portata dell'articolo 29», sottolinea il sindaco di Val di Zoldo, «che esplicitasse l'ambito di operatività del divieto di gare con veicoli a motore: al di fuori delle strade sopra citate, normalmente destinate alla circolazione veicolare. Interpretazione possibile e che sembra essere stata sposata anche dal ministero della Transizione ecologica (deputato all'esame preventivo del regolamento del Parco a cui la struttura e il Comune di Pedavena si erano rivolti proprio per la questione in oggetto)».Il Parco ha come fine la tutela dell'area protetta, insiste De Pellegrin, che quindi trova illogico «con una mano vietare la competizione, per un mero formalismo, e con l'altra, come deciso e annunciato in conferenza stampa, avviare la procedura di modifica dell'articolo in questione per consentire un futuro svolgimento della competizione». È una chiara ammissione, dice De Pellegrin, che la Pedavena Croce d'Aune non crea danni all'area protetta. «Diversamente si sarebbe detto che la disposizione regolamentare oggi in vigore ha la sua ragione d'essere e così va applicata, in questa occasione, come in quelle future riguardanti altre manifestazioni».De Pellegrin contesta la bocciatura della sua proposta di delibera che voleva fissare l'interpretazione del regolamento, ma contesta anche il fatto che «ci si dichiara favorevoli ad una versione rivista della gara che di fatto, mutando per il tratto in zona Parco il termine da "competizione" a "trasferimento", di fatto consente il transito dei medesimi veicoli. Un escamotage solo formale».Per De Pellegrin la mossa del Parco «manifesta, credo, una illogicità e una incoerenza, che espongono tra l'altro l'ente ad un ricorso amministrativo il cui esito è tutt'altro che scontato sia a favore del Parco». Ma soprattutto: «Il Parco deve valorizzare e tutelare il territorio, non deve porre inutili ostacoli burocratici, privi di sostanza, allo sviluppo delle comunità che ci vivono e al mantenimento delle tradizioni che le contraddistinguono e arricchiscono». --©
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Corriere delle Alpi
Niente volo libero nell'area
Parco Dolomiti
Roberto CurtoFeltre
Una grana tira l'altra. Non bastava il no alla gara di velocità in salita Pedavena Croce d'Aune. Il regolamento del Parco delle Dolomiti Bellunesi diventato legge nell'ottobre 2021 limita pure l'attività del volo libero. Restrizioni che hanno convinto il comitato organizzatore della "Dolomiti Superfly", competizione internazionale di hike & fly con base a Levico a tenersi a distanza dai confini dell'area protetta bellunese. La manifestazione prende il via oggi con al via i migliori specialisti di tutto il mondo e domani è probabile che i feltrini, alzando gli occhi all'insù, potranno vedere alcuni dei piloti in transito. Ma non sarà come due anni fa e nel 2018, quando la gara ebbe a Feltre uno dei punti di rilevamento, circostanza che obbligava i piloti a transitare nell'area del Parco.E non sarà così neanche in futuro, come spiega il direttore di gara Silvano Samaretz: «Abbiamo il massimo rispetto dell'ente che ha emanato il regolamento e proprio per questo l'area del Parco delle Dolomiti Bellunesi è stata e sarà esclusa dal percorso. C'è il divieto di decollo e atterraggio all'interno dei suoi confine e vige una distanza minima di 500 metri dalle creste per non disturbare la nidificazione dei rapaci. È ovvio che in queste condizioni per noi è impossibile includere quest'area».Eppure l'hike and fly è l'essenza del rapporto paritario tra uomo e natura, perché a differenza del parapendio, qui i concorrenti fanno tutto a piedi, comprese le salite per raggiungere le aree di decollo: «In effetti questa è una specialità che ha il massimo rispetto del territorio e chi la pratica è già un conoscitore della montagna», spiega ancora Samaretz. «Tra le cose che diciamo ai partecipanti c'è quella di non lasciare neanche un segno del proprio passaggio sul territorio, ma è una raccomandazione superflua perché si tratta di gente che avendo scelto di praticare questo sport è per forza un amante della montagna».Samaretz spiega tecnicamente perché è impossibile valutare un percorso che possa anche solo lambire il Parco: «Ci sono degli spazi aerei ben delimitati come gli aeroporti o le aree militari che noi inseriamo direttamente nei dispositivi dei piloti, i quali se si avvicinano troppo ricevono un segnale. Ma con un'area protetta come quella del Parco, delimitata solo sulla cartina è impossibile. E poi si rischierebbe la sicurezza dei piloti che potrebbero avventurarsi in zone pericolose per il volo libero. Restiamo in attesa, se in futuro il regolamento sarà modificato non ci saranno ostacoli per ricomprendere il Feltrino nel percorso. Tra l'altra siamo in eccellenti rapporti anche con il P&Da Club Feltre con il quale abbiamo già collaborato in passato.
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Padrin: «No alle interpretazioni conservative all'eccesso»
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le reazioni C'è un rischio da cui guardarsi. Pericoloso oggi e soprattutto in prospettiva. La distanza che aumenta tra Istituzioni, Enti e società. «Può diventare un problema», avverte l'onorevole Roger De Menech riflettendo sulla vicenda del Parco delle Dolomiti e della mancata autorizzazione della Pedavena Croce d'Aune. Dimissioni di un membro del direttivo a parte (Camillo De Pellegrin), il pericolo è che il territorio interpreti quella che dovrebbe essere un'opportunità di sviluppo, il Parco stesso, ancorché attraverso vincoli e relativi sacrifici, in un "problema", appunto, da cui liberarsi.Via ogni vincolo? Via il Parco, comincia a sostenere qualcuno. Così come in Comelico c'è chi, dopo "la liberazione dagli ultimi vincoli paesaggistici", attacca Soprintendenza, prima ancora gli ambientalisti, il Ministero, la Regione, Provincia e Comuni chiedendo mano libera e la libertà di fare non uno ma tre collegamenti sciistici. E per quanto riguarda i Passi dolomitici o i siti più iconici, perché prenotazioni, parcheggi numerati, magari anche pedaggi? Via la Fondazione Dolomiti Unesco che li suggerisce e le Province, nonché la Regione che invece li stanno studiando.«Attenzione», avverte Roberto Padrin, presidente della Provincia, «a questa deriva si arriva quando si esasperano le posizioni; quando si danno interpretazioni conservative all'eccesso». La vicenda della Pedavena Croce d'Aune, al di là di alcuni aspetti grotteschi come li definisce De Menech per cui si preclude la possibilità di svolgere un evento sportivo su una strada aperta al traffico veicolare, ripropone sempre ad avviso del parlamentare dem uno scontro tra ambientalismo e il resto della società. «Questo atteggiamento è un errore, in primo luogo culturale. Il Parco è una risorsa per tutti. Per la tutela che offre, per i progetti di ricerca che è in grado di sviluppare in connessione con gli atenei italiani ed europei, per le economie che inevitabilmente muove. Le esigenze di tutela del ministero, quindi dello stato e dei Comuni, in realtà coincidono. Proprio per questo è pericoloso oggi spezzare quest'unione e polarizzare l'opinione pubblica». «Lascio da parte il motivo diretto delle mie dimissioni dal Consiglio del Parco; spero che darà una risposta chiarificatrice il Tar», interviene Camillo De Pellegrin, sindaco di Val di Zoldo. «De Menech ha perfettamente ragione quando sostiene che non abbiamo alcun bisogno di riproporre contrapposizioni del secolo scorso, ma la necessità di dialogo; non di intransigenza, ma di capacità di relazioni con l'esterno».Padrin, quanto all'intransigenza delle posizioni e delle rivendicazioni, ricorda che i cambiamenti in corso richiedono flessibilità. E disponibilità anche a modificare le regole superate. «Il Parco non è ingessato, ma stia attento al rischio di diventarlo». francesco dal mas© RIPRODUZIONE
Corriere delle Alpi | 21 agosto 2022«Alta via numero 1 fin dentro la città: avviato il progetto»
BELLUNO
Portare il Parco in città, collegare l'Alta via numero 1 al centro storico e, poi, alla rete museale del capoluogo. I turisti, allora, potrebbero scendere dalla Schiara, passare per il Bus del Buson e poi giù lungo l'Ardo fino a Piazza Piloni. «Belluno è l'unico capoluogo di provincia all'interno di un Parco nazionale», precisa il sindaco di Belluno, Oscar De Pelegrin. «Abbiamo avviato un confronto con il presidente del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi Ennio Vigne spiega il sindaco di Belluno, Oscar De Pellegrin per sondare le possibilità di realizzare un nuovo tracciato, un proseguimento dell'Alta via numero 1 attraverso i boschi e lungo l'asta del torrente Ardo. Ora per raggiungere la città è necessario camminare lungo la strada, se si riuscisse a creare il tracciato allora in futuro la passeggiata potrebbe proseguire nella natura, attraverso luoghi di interesse storico come le officine Orzes e l'ex pescicoltura di Fisterre. Un progetto a cui aveva già pensato Piero Rossi, tra i padri del nostro Parco». Il percorso sarebbe in parte da realizzare da zero, in parte utilizzerebbe il tracciato già esistente che da Fisterre si collega a Borgo Pra. A finanziarlo potrebbero essere fondi dell'ente Parco. «Nella nostra città spiega il sindaco , nel giro di pochi chilometri si può passare da un'escursione tra le Dolomiti alle sale di un museo, spostandosi a piedi. Non è mica una cosa da poco, è una prerogativa del nostro territorio che va valorizzata e il sentiero di collegamento con il centro storico si muove in questa direzione. Siamo ai confronti iniziali, non è ancora partito nulla, ma c'è l'intenzione di cogliere l'occasione di questi fondi e di farlo con un progetto di cui Belluno ha bisogno». «È un progetto interessante sotto l'aspetto turistico e della sicurezza spiega l'assessore ai lavori pubblici, Franco Roccon . L'Altavia numero 1 passa per le Case Bortot, scende quindi in centro città e prosegue poi verso il Nevegal, ma il transito lungo la strada di Bolzano Bellunese verso Fisterre, ora come ora, è pericoloso. L'iniziativa permetterebbe di proseguire il tracciato nella natura, in tutta sicurezza e potendo godere di luoghi incantevoli lungo l'asta dell'Ardo. Esiste già uno studio realizzato anni fa dall'Ascom proprio su questo percorso, sarà un punto di partenza prezioso. Nei prossimi giorni incontreremo i portatori d'interesse e capiremo meglio la fattibilità e i costi dell'operazione». (Fe.Fa.)
Corriere delle Alpi | 24 agosto 2022
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Vigne: «Volo libero e Parco Non c'è divieto, ma regole»
Roberto Curto Feltre«L'esclusione dell'area del Parco dalla manifestazione della Dolomiti Superfly è una scelta autonoma del comitato organizzatore della manifestazione che non ha presentato nessuna domanda. La pratica del volo libero nel Parco non è vietata, ma regolamentata, allo scopo di ridurre al minimo i potenziali effetti negativi di questa pratica sulla fauna selvatica, in particolare sui rapaci». Il presidente del Parco delle Dolomiti Bellunesi, Ennio Vigne, replica così alla notizia che gli organizzatori della gara con partenza e arrivo in Trentino hanno quest'anno deciso di non transitare nell'area del Parco come avvenuto nelle edizioni del 2020 e del 2018 (la gara è a cadenza biennale). «I limiti dell'area in cui è ammesso il sorvolo all'interno del Parco, oggi inseriti nel regolamento», prosegue la nota di Vigne, «sono stati definiti negli anni scorsi grazie a un lavoro preliminare di confronto e collaborazione tra il Parco e il Para & Delta club Feltre. La necessità di delimitare le aree in cui svolgere il volo libero non riguarda solo il Parco, ma è prevista da una norma dell'Unione europea che si applica a tutte le aree che fanno parte della Rete Natura 2000». Vigne sottolinea i recenti eventi di volo libero che si sono svolti all'interno dell'area del Parco: «A dimostrazione della stretta collaborazione esistente da anni tra il Parco e le realtà locali che si occupano di volo libero è sufficiente citare lo svolgimento, a Feltre, di una tappa del campionato italiano dell'Hike & Fly Italian League, il 30 e 31 luglio scorsi, e dei campionati italiani di parapendio, a giugno di quest'anno. Entrambi gli eventi sono stati autorizzati dal Parco, e nel caso dei campionati italiani, anche patrocinati dall'Ente».«Sembra ci sia in corso», aggiunge il presidente del Parco, Ennio Vigne, «una campagna strumentale contro il Parco, alimentata da polemiche che non hanno motivo di esistere. La regolamentazione del volo libero è un chiaro e inequivocabile esempio di come le attuali regole del Parco siano il frutto di un lavoro preparatorio e di confronto e di ascolto delle istanze del territorio. A questo proposito desidero ringraziare il Para & Delta club Feltre per la collaborazione prestata negli anni scorsi nella stesura delle norme che regolamentano l'attività dei loro associati e delle migliaia di appassionati che frequentano regolarmente il Feltrino per volare nel rispetto delle regole, coniugando la pratica sportiva con il rispetto e la tutela della fauna che il Parco è chiamato a proteggere».Regole che evidentemente il comitato di Dolomiti Superfly deve avere comunque ritenuto troppo stringenti. Il direttore di gara di Dolomiti Superfly, oltre alla questione della distanza da tenere dalle creste, aveva fatto riferimento anche al divieto di decollo e atterraggio all'interno dell'area protetta. Chissà che nel 2024 non ci sia la possibilità di intavolare un dialogo preparatorio per riavere sui cieli feltrini la competizione internazionale, valida nel circuito del campionato mondiale di hike & fly. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Smottamenti e cadute sassi: pericoli lungo sentieri e ferrate
L'allerta
Ritorna il caldo torrido. Il Soccorso Alpino lancia l'allarme rispetto ai sentieri troppo esposti. E l'Arpa segnala che il permafrost sta ulteriormente scendendo. «In quest'estate, caratterizzata da temperature elevate e scarsità di regolari precipitazioni, ma interessata da fenomeni temporaleschi molto intensi e localizzati, bisogna evidenziare che lungo i sentieri e le vie ferrate si possono verificare, ancor più che in altre annate, smottamenti o cadute di sassi», avvertono dal Soccorso alpino bellunese. «Particolarmente pericolosi per gli escursionisti sono i passaggi nei conoidi di ghiaia e sassi, lungo e sotto le pareti rocciose, su sentieri scoscesi e percorsi attrezzati». Anche quando la montagna viene affrontata dall'escursionista con responsabilità, consapevolezza delle proprie possibilità fisiche, rispetto per l'ambiente naturale e per il prossimo, «essa rimane pur sempre un ambiente austero e non privo di pericoli oggettivi e imprevedibili, ancor più in epoca di cambiamenti climatici». Il Soccorso alpino mette dunque in guardia: «Impossibile è per chiunque prevedere e valutare la pericolosità di un sentiero o di un percorso attrezzato in caso di violenti fenomeni temporaleschi. Si consiglia vivamente di non affrontare tali itinerari in queste condizioni, evitando di camminare sotto pareti rocciose, in gole torrentizie, su nevai o su ghiaioni».Nel caso, poi, delle vie ferrate, si ricorda che queste sono divise in gradi di difficoltà e vanno percorse in base alle proprie capacità e dotati di attrezzatura idonea e omologata.Un nuovo allarme arriva dall'Arpa, che ha diffuso il rapporto di luglio sulle risorse idriche. «In quota il mese di luglio è stato, dopo il 2015, il più caldo dal 1988. La neve è pressoché scomparsa anche nelle zone glaciali. Lo strato attivo del permafrost nel sito campione di Piz Boè, nella terza decade del mese di luglio, è più profondo di circa 80 cm (temperature positive fra i 4.5 e i 5.5 metri di profondità) rispetto alla media (fra i 3.5 e i 4.5 m di profondità». Che cosa significa? Che c'è un maggiore rischio di crolli, come sempre, peraltro, si sono avuti dalle pareti più fragili. Le precipitazioni totali mensili, informa ancora l'Arpa, sono state inferiori alla norma, in alcune zone in maniera significativa, con deficit mediamente compresi fra 15 ed il 35%, anche se si riscontrano estremi che vanno dal 6% a Forno di Zoldo al 51% a Col Indes di Tambre, dove è piovuto quindi la metà del consueto. Il bilancio pluviometrico da inizio anno mostra ancora un deficit consistente sulle zone centro meridionali della provincia, con scarti compresi fra 25 e 55%, mentre su quelle settentrionali l'anomalia risulta inferiore ( 20% in media) o addirittura assente (a Santo Stefano è piovuto l'8% in più). Fdm© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere dell’Alto Adige | 9 agosto 2022
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«Lavoro bellissimo e drammatico Escursionisti male equipaggiati? Al mare guarderebbero storto noi»
BOLZANO
Oliver Kasslatter è un infermiere elisoccorritore, caposervizio operativo della Heli dal 2016. Lo raggiungiamo al telefono mentre conclude il turno di servizio sul Pelikan 2. Non certo una giornata in ufficio: cinque voli, con tre persone trasportate d’urgenza per problemi cardiaci all’ospedale di Bolzano. «Erano tutti in alta Pusteria. Se avessero dovuto fare la strada in macchina in questo periodo di alta stagione turistica, non sarebbe finita bene».
In generale, come si gestisce un’emergenza quando arriva una chiamata?
«La centrale operativa manda un segnale alla radio portatile. Io rispondo e prendo in carico l’intervento. Il tecnico verricellista prepara l’elicottero, il pilota accende i motori e carica infermiere e medico d’urgenza. Quando veniamo allertati abbiamo le coordinate e ci danno un’idea della gravità di quanto accaduto. Fondamentale è calcolare il percorso: dobbiamo capire se ci sono ostacoli tipo teleferiche».
Ci sono anche rischi legati al meteo?
«La situazione peggiore è legata alla nebbia: i piloti di elisoccorso volano a vista, e se non hai contatto visivo col suolo diventa tutto più pericoloso».
Come si alternano gli equipaggi di volo?
«I piloti lavorano a settimane alternate, dal giovedì al mercoledì, e ce ne sono 8 in tutto l’Alto Adige che ruotano tra i tre Pelikan. I medici di solito volano un giorno e poi si alternano, mentre noi siamo in quattro per ogni base (Bolzano, Bressanone e Lasa)»
Com’è distribuita la casistica degli interventi?
«La maggior parte sono per persone del posto, prevalentemente per cause di natura medica, soprattutto infarti ed ictus. Poi ovviamente c’è la stagione invernale, dove facciamo interventi sulle piste da sci». Che però, insieme ai turisti della montagna, sono quelli che fanno più discutere. Capita spesso di soccorrere gente mal equipaggiata?
«Mettiamola così: a tante persone piace la montagna. Per noi che siamo montanari è normale affrontarla in maniera diversa rispetto a chi viene da fuori. Allo stesso modo, è probabile che se io andassi al mare un bagnino mi guarderebbe storto chiedendosi cosa sto facendo. Mettere un timbro e dare a tutti degli sprovveduti non è corretto. Ci può essere quello che sbaglia, come in tutti i casi». Se dovesse scegliere i momenti più significativi vissuti in elicottero?
«Ce ne sono di meravigliosi e di drammatici, purtroppo. Ho visto un parto gemellare che rimarrà sempre nella mia mente, ma ho visto anche padri di famiglia tenere in braccio figli morti. Cose che, da padre di due bambini piccoli, ti restano sotto la pelle. E poi c’è la natura: una volta, il 31 dicembre, siamo partiti in missione sulle Alpi Sarentine mentre calava il sole. Uno spettacolo che ricorderò per sempre, come l’alba del capodanno successivo. Mentre altri facevano festa noi volavano sopra le montagne. Sono momenti che servono anche per tirare su il morale all’equipaggio: c’è gente che pagherebbe per vedere queste immagini».
Corriere dell’Alto Adige | 9 agosto 2022
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Elisoccorso, i turisti pagano 6 milioni l’anno
Francesco Mariucci
BOLZANO
Uno dei temi che ciclicamente torna d’attualità in Alto Adige è quello relativo ai costi degli interventi in elisoccorso. Soprattutto quando, ad essere recuperati, sono turisti sprovveduti smarriti in montagna o finiti dentro un lago ghiacciati, il ritornello che si sente è «fategli pagare il conto». Ma, in realtà, i turisti il conto lo pagano ed è proprio grazie a loro che l’Alto Adige può permettersi un elisoccorso di altissimo livello. «Per i pazienti italiani ma residenti fuori provincia si fa un riaddebito tramite la compensazione interregionale: la fattura ammonta a 140 euro per ogni minuto di volo, a carico della Asl di provenienza» spiega Ivo Bonamico, che come direttore della Croce bianca fa parte dell’associazione Heli Elisoccorso Alto Adige, insieme a Alpenverein, Bergrettung, Soccorso alpino e Cai.
Facendo un rapido calcolo, un intervento della durata media di 35 minuti costa 4.900 euro. Il tutto a prescindere dalla gravità dell’accaduto, sia che si tratti di un codice rosso o di un incauto passeggiatore: citando un caso famoso, i voli dello scorso aprile sul lago di Braies per soccorrere i turisti caduti nel lago ghiacciato sono costati circa 25mila euro.
Stesso schema, e stesso prezzo, per i pazienti provenienti dall’estero, dove però possono entrare in gioco delle assicurazioni private. L’eccezione la fanno gli altoatesini: «Grazie ad una delibera provinciale conferma Bonamico ogni residente paga 100 euro a forfait, indipendentemente dal tipo di intervento. In generale, le spese sono coperte dal servizio sanitario, non è il singolo che paga per l’emergenza».
Una regola che in molti cominciano a mettere in discussione «Lascio decidere ad altri se sia giusto pagare o meno. Io mi occupo della parte tecnica, queste sono decisioni politiche. Ma credo sia giusto considerare anche il pericolo che corrono i soccorritori, spesso per persone negligenti. Questo non può essere quantificato economicamente» glissa Bonamico.
Anche perché, guardando i bilanci (l’ultimo è stato approvato lo scorso 2 agosto), le fatturazioni ai privati restano una delle principali fonti di entrate della Heli: «Nel 2021 gli elicotteri Pelikan e l’Aiut Alpin sono costati poco più di 14 milioni. Ma non sono tutti soldi a carico della collettività, perché vengono recuperati proprio facendo pagare gli interventi» commenta il direttore della Croce Bianca. Prendendo ad esempio sempre il 2021, sono stati incassati 3,37 milioni da privati residenti all’estero e altri 2,55 da italiani non altoatesini. Dato il prezzo forfettario, l’impatto sul bilancio dei residenti in provincia è limitato, appena 138mila euro. Alla fine, il costo effettivo dell’elisoccorso provinciale nel 2021 è stato di 7,9 milioni. Se si guarda il preventivo del 2022, questo dato è previsto in calo, proprio perché è previsto un aumento degli interventi di soccorso, e quindi una crescita degli introiti: secondo le prime stime, il costo totale dovrebbe sfiorare i 16 milioni, ma quello effettivo dovrebbe scendere a 6,1 milioni.
La spiegazione di Bonamico è semplice: «Già con il ritorno a pieno ritmo sulle piste da sci ci attendiamo molte più chiamate. Fondamentalmente, più pazienti trasportiamo (soprattutto esteri), meno costa il servizio». Va sottolineato però che le emergenze traumatologiche non sono la maggioranza: sempre stando all’ultimo bilancio di Heli, dei 2.728 interventi primari eseguiti nel 2021, ben 847 sono stati per persone da soccorrere in casa (l’esempio tipico è l’infarto, dove un rapido trasferimento in ospedale è fondamentale). Gli incidenti nel tempo libero sono stati 598, quelli sul lavoro 118.
Gazzettino | 14 agosto 2022
2, edizione Belluno
Elisoccorso come taxi ma il 40% non paga
BELLUNO
Elisoccorso chiamato quasi come taxi dai sempre più numerosi escursionisti impreparati bloccati in vetta. Poi moltissimi non pagano il conto. Ammonta a quasi mezzo milione di euro il totale dei ticket non pagati per l'elicottero dal 2020 a oggi dai turisti soccorsi senza motivi medici. A fare i furbetti in particolare gli stranieri: quasi un 40% non salda il dovuto all'Ulss 1 Dolomiti. Ma in quel caso le procedure di recupero crediti sono complicate: non solo è difficile individuare il loro domicilio ma sono maggiormente costose soprattutto le pratiche di incasso.
IMPROVVISATI
Quasi la metà delle persone che chiamano il 118 chiedendo aiuto al soccorso alpino e elicottero tornano a terra con codice bianco. Un numero che ha avuto un picco nel 2021 (46%) ma che è sceso nell'anno in corso (43%). Capita sempre più spesso, infatti, che le persone sbaglino a valutare i tempi di percorrenza e restano bloccati in quota: invece di scendere a piedi magari per 2 ore, preferiscono chiamare il 118 e farsi venire a prendere. E ancora crisi di panico, paura, stanchezza, errore nei sentieri, salti di roccia non previsti. Le ragioni sono tante e si ripetono con uno stesso copione ad ogni stagione estiva. Quando si trovano nei guai, pur non avendo riportato alcuna ferita o trauma, chiamano il soccorso alpino. Ma va ricordato che tutte queste chiamato sottraggono risorse e forze per eventuali attività più urgenti, dove magari c'è in gioco una vita. D'altro canto il Soccorso Alpino, quando viene avvertito tramite telefonata dal 118 o dai carabinieri, deve obbligatoriamente correre in aiuto dell'escursionista che ha lanciato un Sos per sé o per un compagno di uscita.
LE TARIFFE
Dal 2011, come avviene in tutti gli altri paesi stranieri, la Regione Veneto ha introdotto un ticket per il codice bianco di elisoccorso. Lo prevede la delibera di giunta regionale 1411/2011 nella parte delle Disposizioni relative agli oneri dei Servizi di Soccorso e Trasporto Sanitario. In assenza di ricovero si paga l'uso dell'elicottero da 86,76 al minuto, fino a un massimo di 7.500 euro. Invece, per l'intervento di soccorso con sole squadre a terra la spesa è di 200 euro per ciascuna squadra (fino a tre soccorritori), ai quali vanno sommate 50 euro per ogni ora aggiuntiva di operazioni oltre la prima per ciascuna squadra, fino a un importo massimo di 1.500 euro.
LE FATTURE
Dando un'occhiata ai conti dell'elisoccorso per i pazienti codici bianchi emerge che nel 2020 sono stati 366 per una compartecipazione alla spesa richiesta di 608mila euro. La fetta più grande sono gli italiani, che sono il 77%, gli stranieri solo il 23%. Nel 2021 c'è stato un calo, dovuto anche al precedente picco di pandemia: le fatture sono state 192 per 324mila euro. Quest'anno siamo già a 308mila euro per 173 persone che hanno chiamato i soccorsi, pur non essendo feriti.
GLI STRANIERI
Sono tedeschi, americani e polacchi a far la parte del leone. Nel 2020 i turisti della Germania hanno avuto un conto di 78mila euro per 25 fatture, con una media di circa 3mila euro da pagare. I polacchi 54mila con una media di 9mila euro a fattura. Nel 2021 i tedeschi 52mila euro e quest'anno già 80mila.
GLI INSOLUTI
Ma solo poco più di metà degli stranieri quando tornano a casa pagano il conto dell'elisoccorso italiano. Lo dicono i numeri degli insoluti. Le fatture del 2020 ancora da incassare dall'Ulss riguardano il 35% i turisti da fuori Italia e il 25% i nazionali. Nel 2021 la percentuale sale ancora di più: il 38% di stranieri non ha pagato lasciando un buco di 53 mila euro (il 24% italiani per 43mila euro). Infine i dati di questo 2022, da prendere però con le pinze le fatture infatti sono appena state emesse e gli insoluti sono quindi falsati: il 37% degli stranieri (53mila euro) non ha saldato il conto e il 55% degli italiani (78mila euro). Ma per questi ultimi il dato si abbasserà a breve.
Olivia Bonetti
Gazzettino | 14 agosto 2022 p. 2, edizione Belluno
Quattro interventi ogni giorno, 1778 soccorritori in azione
BELLUNO
In questa estate caldissima anche per i soccorsi dal primo maggio al 12 agosto abbiamo viaggiato con una media di 4 interventi del Cnsas al giorno. Sono 428 in totale, rispetto ai 362 dello stesso periodo dell'anno precedente. Purtroppo in aumento sono anche i decessi: 36 nel 2022, 15 nel 2021. E anche scorporando gli 11 morti della Marmolada si resta comunque a 10 salme recuperate in quota in più rispetto all'anno precedente.
TIPOLOGIE DI INTERVENTO
Dai dati raccolti dal primo maggio 2022 ad oggi possiamo avere un quadro dei motivi per i quali è stato attivato il soccorso alpino. La caduta è la voce più frequente per la quale si attiva la macchina dei soccorsi: 115 da maggio ad oggi, molte con traumi gravi, una
fatale. Ma alla seconda voce c'è incapacità, ovvero gli sprovveduti, coloro che non riescono a proseguire sul sentiero e che chiamano il 118: sono 53 ad oggi e di questi 50, ovvero quasi tutti, erano illesi. Segue la perdita di orientamento (51 soccorsi), il maltempo (45 uscite del Cnsas) scivolata (44 interventi). Tanti anche i malori in vetta: 41, due dei quali fatali. Poi ancora 53 soccorsi per scivolata, 16 per sfinimento, 12 per ritardo ovvero persone che si sono fatte sorprendere dalla notte o che comunque non riuscivano a completare il percorso prima del buio e che quindi avevano calcolato male il percorso. Due le richieste di aiuto per puntura insetti, uno per vipera.
ATTIVITÀ
A fare la parte del leone nella richiesta di soccorsi l'escursionismo con 270 interventi, ovvero il 55 % delle uscite del Cnsas. Secondo l'alpinismo con 61 soccorsi (13%). Terzo chi affronta ferrate: 35 persone soccorse (8%). Ma in crescita i ciclisti che affrontano sentieri e vie impervie e chiedono aiuto perché cadono o restano feriti: 32 gli interventi in questa estate.
I SOCCORRITORI
Al lavoro un vero e proprio esercito di soccorritori: 1778 quelli impegnati in questa estate per le varie uscite, per 7341 ore di lavoro. 403 le persone soccorse senza elicottero: centinaia le missioni degli elicotteri solo dall'inizio di maggio. Basti pensare che solo il nuovo velivolo di Dolomiti Emergency entrato in azione da inizio luglio ha già effettuato 100 soccorsi.
LA GIORNATA
Anche ieri è stata una giornata impegnativa per gli angeli della montagna. Attorno alle 15 un squadra del Soccorso alpino di Livinallongo è stata inviata nella zona di Porta Vescovo per un incidente con la bici. Un quattordicenne di Molinella (BO), che stava scendendo in gruppo in mountain bike, era infatti caduto riportando diverse escoriazioni. I soccorritori gli hanno prestato prima assistenza, per poi caricarlo a bordo del fuoristrada e accompagnarlo a valle. Attorno alle 14.30 una squadra del Soccorso alpino della Guardia di finanza di Cortina è partita in direzione della Val di Fanes, poiché una ciclista tedesca era caduta facendosi male. La 50enne aveva perso il controllo della mountain bike ed era finita a terra, aveva riportato un taglio al ginocchio e un sospetto trauma al gomito. I soccorritori hanno caricato a bordo della jeep l'infortunata, he era stata già medicata, per poi trasportarla direttamente in ospedale.
Gazzettino | 14 agosto 2022
p. 3, edizione Belluno
La bocciatura di Barattin «Cauzione per scalare? Non risolverebbe nulla»
«Una cauzione per i soccorsi come per il Monte Bianco? Non la vedo come risolutiva del problema». Alex Barattin, delegato del Soccorso alpino Dolomiti Bellunesi, non vede come soluzione per i furbetti dell'elisoccorso quanto prospettato dal sindaco di Saint Gervais, villaggio francese che vuole scoraggiare gli impreparati in vetta. «Bisogna fare attenzione nel fare queste azioni sottolinea Barattin . Così tu dai possibilità di salire a gente che ha disponibilità economiche molto alte, ma questo fattore non coincide con la preparazione». Diversa l'ipotesi di prenotare la salita. «Cose di questo tipo potrebbero dare a un riferimento a chi sale riflette : sapere che ci saranno 5 o 100 alpinisti su quella montagna, potrebbe aiutare».
GIORNATE INTENSE
«Queste settimane sono veramente impegnative», confessa Alex Barattin ricordando come dal primo maggio a oggi gli interventi siano aumentati del 20% rispetto all'anno prima. Ma se si prende solo queste settimane di agosto abbiamo un incremento del 40%. «Avendo anche due elicotteri a disposizione prosegue il capo del soccorso alpino la mole di lavoro è molto grande. Avere due elicotteri aiuta tantissimo: ci ha permesso di risolvere tanti interventi velocemente».
EFFETTO MARMOLADA
Gli sprovveduti che attivano la macchina dei soccorsi sono in leggerissimo calo, ma sempre troppi. «Gli eventi choc come quello della Marmolada può aver innescato nella gente un'attenzione maggiore», dice Barattin. Ma da maggio a oggi si contano comunque 209 persone bloccate in vetta che hanno chiamato il 118 ed erano illesi. «Viste le temperature molto alte spiega il capo del Cnsas quest'anno abbiamo tanti casi di affaticamento e scarsa preparazione. Sembra che non si riesca recepire questo aspetto: andare alle 11 verso il rifugio sotto il sole fatica chiunque, anche uno preparato: questi percorsi vanno fatti al mattino e va calcolato che per fare 400 metri ci vuole un'ora e mezza».
INFLUENCER
In crescita anche le persone che si ritrovano bloccate per aver seguito consigli di escursioni e percorsi sui social. «Bisogna avere senso critico raccomanda Barattin ci sono alcuni veicoli di informazione che sono codificati, siti molto all'avanguardia e strutturati. E poi ci sono gli influencer. L'importante è prendere informazioni sempre con senso critico, perché non conosciamo la persona che ce le sta dando. Sicure sono pagine come Dolomitici, con la quale collaboriamo: ci chiamano e ci scambiamo informazioni. Ma diffidare degli influencer delle vette».
L'EMERGENZA
In impressionante crescita i soccorsi per incidenti di ciclisti sui sentieri. «Le e bike, bici con pedalata assistita ti permettono si salire in quota e ti danno un aiuto importante dice Barattin , ma ti portano in un ambiente che è diverso da quello usuale. Quando ti trovi a
scender su mulattiera è molto pericoloso. Inoltre bisogna farsi piegare bene come comportarsi, perché la batteria finisce e sono bici che pesano tanto 20 25 kg»
NOTIZIE DAI MUSEI DELLE DOLOMITI
L’Adige | 4 agosto 2022
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Tante le proposte in campo: ecco il programma. E in piazza pellicole del Trento Film Festival
ANDREA ORSOLIN PREDAZZOL'estate al Museo Geologico delle Dolomiti porta con sé un intenso programma di attività, che si svolgono sia all'interno della struttura che all'esterno, coinvolgendo il territorio di Fiemme. Nei mesi di luglio e agosto, in particolare, ogni giorno ci sono nuove opportunità che ci vengono esposte da Riccardo Tomasoni, geologo del Muse e responsabile della sede di Predazzo.Le mostre. Sono due quelle attualmente visitabili all'interno del museo. "Forest Frame. La foresta tra sogno e realtà" (visitabile fino al 4 giugno 2023) è realizzata con le fotografie di Maurizio Galimberti e indaga il rapporto tra natura e umanità. Le foreste e i boschi della val di Fiemme e del resto del Trentino sono protagonisti di uno sguardo sospeso fra visioni oniriche e reali. "Predazzo in acquerello" (fino al 7 gennaio 2023) accoglie invece una serie di vaporosi acquerelli a cura dell'artista Valerio Barchi, che illustra gli scorci più suggestivi di Predazzo e accompagna la recente pubblicazione della guida storico artistica del paese realizzata da Nicola Zanotti.Dialoghi erranti. Le esposizioni sono occasione per allargare lo sguardo all'esterno del museo attraverso la formula dei "Dialoghi erranti", passeggiate con esperti in cui il partecipante è invitato ad immergersi nel paesaggio per riflettere su sostenibilità ambientale, morfologia del territorio, storia e identità delle comunità dolomitiche. L'attività si svolge il mercoledì ed è prenotabile (come tutte le altre) chiamando il 331 9241567. Il prossimo appuntamento è il 10 agosto a Pozza di Fassa (ore 15 in località Vidor) con "A spasso nell'El Dorado della mineralogia". Il 17 agosto "Itinerari dipinti, ritualità, tradizione e poesia", camminata tra le vie di Predazzo con Nicola Zanotti, l'autore citato sopra; il 24 agosto a Bellamonte "Sguardare, laboratorio fotografico itinerante" con l'autore della mostra Forest Frame, per osservare la natura con lo sguardo dell'artista e cogliere in ogni scatto la meraviglia. I "Dialoghi erranti" prevedono anche delle letture in collaborazione con la Biblioteca Comunale di Predazzo.Cinema in piazza. Anche quest'anno la piazza Santi Filippo e Giacomo si trasforma nel suggestivo Nuovo Cinema Dolomiti. Ogni giovedì sera fino al 18 agosto saranno proiettati alcuni dei titoli premiati alla 70° edizione del Trento Film Festival, un ciclo di film per riflettere sulle connessioni che definiscono la complessità del mondo in cui viviamo, un'opportunità di approfondimento e riflessione sui grandi temi della contemporaneità. Si comincia stasera alle 21 con "Alpenland". In caso di maltempo le proiezioni (che proseguiranno anche l'11 e 18 agosto) si terranno al cinema teatro.Laboratori per grandi e piccoli.Ci sono poi tutta una serie di altre iniziative sul territorio con cadenza settimanale. Visite guidate a tema con "Predazzo, c'era una volta un vulcano" (ogni martedì alle 10) e "Dolomiti patrimonio Unesco, ma perché?" (ogni venerdì alle 17). Geolabs sulle meraviglie della natura, cioè laboratori all'interno del museo (età 6 12 anni), tutti alle ore 17: "Sicurezza in montagna" (4 e 18 agosto), "Sulle tracce dei Dinosauri!" (14 e 25 agosto), "Minerali, il Dna delle cose" (7, 28 agosto e 4 settembre) e "Geologo per un giorno" (11, 21 agosto e 1 settembre). Per i più piccoli (età 3 6 anni) ci sono i baby geolabs con "Un mondo da scoprire!", ogni mercoledì fino al 31 agosto (alle 10) e ogni venerdì fino al 26 agosto (alle 17). A Bellamonte il geolabs è con "Fragile come il bosco" (13, 27 agosto e 3 settembre, ore 17).Escursioni. "Torre di Pisa, nel cuore dell'atollo fossile del Latemar" (ogni mercoledì fino al 31 agosto, dalle 9.30 alle 16) e "Monte Agnello. Sulle tracce della Pompei del Triassico" (ogni lunedì fino al 29 agosto, dalle 9.30 alle 14.30) sono i due trekking proposti dal museo, che ha ideato uno spettacolo itinerante lungo il sentiero del Dos Capèl chiamato "Le avventure di Gea sulla crosta terrestre" (ogni mercoledì fino al 24 agosto, ore 10.30). C'è infine spazio anche per il Teatroscienza (ogni martedì fino al 30 agosto, ore 17), un viaggio nel tempo alla scoperta delle tracce di rettili e dinosauri delle Dolomiti.
Alto Adige | 10 agosto 2022
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La storia delle Dolomiti rivissuta in un museo Ortisei
Tra i 242 e i 237 milioni di anni fa la vita sulla Terra fece un enorme sviluppo, le cui tracce sono conservate negli strati rocciosi intorno a Ortisei. A questo periodo geologico, il Ladinico, nel Museum Gherdëina è dedicato il riallestimento della sezione geopaleontologica, che riunisce le attuali conoscenze scientifiche in paleontologia, mineralogia e geologia. La sezione è stata presentata al pubblico nei giorni scorsi."Nella storia della Terra, cinque milioni di anni sono pochi", ha spiegato il paleontologo e conservatore onorario per la Geo Paleontologia del Museum Gherdëina Andrea Tintori. Ma i milioni di anni su cui si concentra la nuova area espositiva sono fondamentali. "Si tratta di un periodo importante per la vita sulla Terra, perché vide un impulso evolutivo eccezionale dopo la grande crisi che, 252 milioni di anni fa, rischiò di far scomparire la vita", ha detto Tintori all'inaugurazione alla presenza di Monika Conrater, direttrice dell'Ufficio provinciale Musei e ricerca museale, e di Jürgen Runggaldier, direttore dell'Ufficio Cultura ladina e Giovani.Nelle rocce tra il Secëda con le Odle e il Gruppo del Sassolungo con i Denti di Terrarossa e l'Alpe di Siusi, questo cambiamento è rintracciabile ancora oggi. "I fossili che si sono conservati ci aiutano a comprendere cosa sia successo. Le rocce che li contengono ci danno dettagliate informazioni sui vari tipi di ambiente marino presenti così tanti milioni di anni fa nell'area che oggi conosciamo come le Dolomiti", ha spiegato Tintori.Nella nuova visione d'insieme tra rocce, fossili e paleoambienti marini diversi tra di loro però contemporanei sono stati integrati anche i minerali dell'Alpe legati alle sconvolgenti eruzioni laviche. Inoltre, il reperto fossile più spettacolare della mostra, l'Ittiosauro del Monte Secëda, risalente a 241 milioni di anni fa, è ora presentato in maniera del tutto nuova. "È interessante per i visitatori ammirare da entrambe le parti quelli che sono gli unici resti al mondo di un Ittiosauro vissuto nel periodo del Ladinico", ha detto Johann Comploj, uno degli scopritori del rettile marino.Matthias Höglinger, presidente del Museum Gherdëina, ha spiegato che unire rocce, minerali e fossili ha permesso di presentare un contesto geologico più ampio. La direttrice del museo Paulina Moroder ha inoltre sottolineato che il museo non si considera solo uno spazio espositivo, ma anche un laboratorio legato al paesaggio: "Solo se rendiamo accessibili a un vasto pubblico le nuove scoperte scientifiche, si potranno vedere le Dolomiti come espressione di vita della Terra".
LE DOLOMITI IN TV
Corriere delle Alpi | 12 agosto 2022
p. 30
L'effetto "Un passo dal cielo" più forte anche della pandemia
SAN VITO
La fiction "Un passo dal cielo" batte anche la pandemia. San Vito gongola di fronte all'indagine di mercato firmata dalla fondazione Think Thank Nord Est riguardante il gettito prodotto dall'imposta di soggiorno. Una "anomalia" unicaAnalizzando da vicino i dati del comune della valle del Boite, balza all'occhio "un'anomalia" unica non solo per la provincia di Belluno ma per tutto il Veneto: San Vito è uscita dal periodo pandemico con il segno "più" alla voce tassa di soggiorno. 108mila euro la somma incassata nel 2020, "l'anno nero" del turismo per eccellenza, addirittura in crescita rispetto al 2019 (69mila euro) ovvero l'anno di riferimento pre pandemico ed anche rispetto al 2021 (74.100 euro) ovvero l'anno considerato della ripartenza. Per rendere l'idea, nel 2020 Cortina ha fatto registrare un 50% degli introiti rispetto al 2019 con un indice di variazione 2019 2021 attestatosi a 32, 7% laddove San Vito invece presenta un +7, 3%. L'analisi del sindacoDetto dei numeri, quali motivi si celano dietro l'exploit turistico di San Vito? «Difficile dirlo, in campi come questo non esistono le assolute certezze», spiega il sindaco Emanuele Caruzzo, «di certo l'aver portato il set di "Un passo dal cielo" sulle rive del lago di Mosigo ha dato al paese una visibilità altrimenti inimmaginabile e, di conseguenza, ha offerto un notevole impulso alle presenze turistiche a partire proprio dal 2020, anno delle prime riprese nonostante la pandemia in corso. Abbiamo avuto per diversi mesi alberghi operativi, impegnati nel progetto di ospitalità del set. L'effetto curiosità in seguito ha fatto il resto. Senza dubbio "Un passo dal cielo" ha rinvigorito l'appeal turistico di San Vito offrendo una seconda vita all'intero comparto ricettivo. Va sottolineato anche come, a proposito di tassa di soggiorno, i nostri operatori siano stati anche bravi nel fare il loro dovere».Effetto perduranteLa lunga mano di "Un passo dal cielo" continua a stendersi sul paese. Sempre in tema di tassa di soggiorno, le previsioni per 2022 ipotizzano infatti una ulteriore crescita rispetto al triennio 2019 2021. «Il flusso turistico sui luoghi delle riprese, a partire dal lago di Mosigo, si presenta costante», prosegue il primo cittadino analizzando nel dettaglio l'estate in corso, «bisogna essere bravi nel costruire un prodotto in grado di reggersi sulle proprie gambe. A tal proposito, continueremo ad investire i proventi dell'imposta di soggiorno nell'organizzazione di eventi e manifestazioni. Il coinvolgimento della comunità locale è fondamentale. "Un passo dal cielo"? Presto riprenderanno le riprese, la nuova serie è stata già ufficializzata e sarà ancora una volta concentrata attorno al lago di Mosigo; ma, per il Comune di San Vito, è di fatto un prodotto promozionale a costo zero. Continueremo a fare il nostro compito convinti della bontà del progetto che in televisione fa registrare numeri da capogiro, ma gli investimenti economici sulla fiction interessano altri enti. Lavori in programma sul lago? Ci sarà qualche sorpresa, per ora non posso dire di più» . Gianluca De Rosa© RIPRODUZIONE RISERVATA
“Rete di impianti a fune per togliere auto. Il Veneto investa parte dei fondi olimpici” belluno «Da 20 anni gestisco, a mie spese, il Museo fra le nuvole sul monte Rite. È della Regione Veneto, ma non ho ricevuto nemmeno un grazie. Non me ne dolgo, ma se il presidente Luca Zaia vuole davvero la mobilità sostenibile, anziché le auto, verso le quote più alte, potrebbe scucire non più di 5 milioni dagli investimenti olimpici per realizzare la micro cabinovia che porta ai 2.180 metri del Rite. Rinunceremmo così alle navette». Dopo una notte di maltempo, splende il sole sul monte Rite, il balcone più panoramico delle Dolomiti, e il re degli ottomila, Reinhold Messner, dispiega le sue proposte di sostenibilità sociale e ambientale come eredità delle Olimpiadi per il territorio. E a proposito di sostenibilità e Olimpiadi, rispetto al progetto di ricostruzione della pista di bob, spendendo 80 milioni, sottolinea: «È difficile non comprendere chi lo classifica come uno spreco. So che in Austria trovano difficoltà a ristrutturare persino la loro pista, quella di Innsbruck, perché questo sport, seppur glorioso, non ha seguito. Capisco che per Cortina la pista è il simbolo, il presupposto dei Giochi Olimpici. Ma se proprio la si vuole, l'investimento venga contenuto».Una prospettiva, aggiunge che potrebbe aprire a nuove opportunità. «È da 20 anni che chiediamo un piccolo impianto da passo Cibiana al monte Rite per evitare il transito delle navette. Costerebbe una cifra minima, fra 3 e i 5 milioni di euro. Ho letto che la Regione propone i collegamenti tra hub sciistici, da 80, 100 milioni. Ma attenzione, oggi la neve non è più quella di una volta. Si investa, invece, in una rete di impianti alternativa alle auto. Il progetto per il monte Rite è già pronto».Al limite dalla valle del Boite, e cioè da una stazione del futuro treno delle Dolomiti, anziché dal passo Cibiana? «Un sogno realizzabile. Arrivi da Venezia, scendi dal treno, sali sulla cabinovia e in una manciata di minuti ti trovi sul balcone più bello delle Dolomiti. Ma attenzione, un museo e un impianto non bastano». E qui il ragionamento si apre a che cosa serve alla montagna. «Si impari da Cibiana. Questo paese una volta soffriva la povertà, adesso lentamente comincia a vivere di turismo. La prima cosa da fare è investire nella ristrutturazione delle case abbandonate. Chi lavora a Cortina deve abitare a 30 km di distanza. Non ne trovano gli imprenditori per i loro collaboratori, neppure i medici, gli insegnanti. Perché non ritagliamo una quota degli investimenti olimpici per recuperare queste case? È proprio necessario costruire ex novo un villaggio olimpico o non è più saggio ricavare l'ospitalità da tanti alberghi diffusi, risanando il patrimonio edilizio?».Tante piccole Katmandu da avviare nei borghi mezzi disabitati. «Lo dicevo ancora 20 anni fa. Ma la politica ha disatteso questa prospettiva. E la montagna si sta spopolando». Intanto entro l'anno non arriverà neppure la nuova legge sulla Montagna, attrezzata di un fondo da 100 milioni (200 nel 2023). «Scommetto che non arriva per la caduta del governo Draghi e del Parlamento. Giorni addietro ho incontrato la mia amica Angela Merkel, che nel 2006 è venuta a farmi visita quassù al monte Rite. Mi ha chiesto, in tono di rimprovero: perché voi italiani avete osato di fare la pazzia di mandare a casa Draghi? Io no di sicuro, le ho risposto. Sì, è stata una pazzia. Draghi era una sicurezza ed una garanzia in campo internazionale. La legge sulla Montagna? Chissà mai se i populisti la ripresenteranno. E se lo faranno, sarà probabilmente una legge assistenzialista. Ma le terre alte hanno bisogno di tutt'altro. Non di un reddito di montagna. Ma di aiutare chi vuole investire». Innanzitutto nel settore agricolo, spiega Messner, abbinato al turismo. «Esattamente come si è fatto in Alto Adige. L'agricoltura serve, tra l'altro, a bonificare e a tenere pulito e mantenuto il territorio. Poi, è vero, i cambiamenti climatici possono portare disastri anche nelle valli meglio gestite, come è accaduto in queste ore. Ma soprattutto qui nel bellunese c'è molto territorio da recuperare, da riportare a dignità. Magari anche attraverso le più tipiche produzioni locali, che tanto attraggono il turista».E poi la riflessione si allarga sulla fragilità della montagna, come insegna la tragedia della Marmolada, e alla necessità o meno di limitare l'accesso. «Chiudere il ghiacciaio della Marmolada? Ma una decina d'anni fa, se non erro, è caduta un'intera parete del Civetta. È nella natura delle Dolomiti, delle montagne. Dovremmo chiudere ovunque. Dappertutto dovremmo piantare bandierine rosse o installare semafori. No, no. La montagna deve rimanere libera. Sta nella responsabilità di chi la frequenta essere avvertito dei pericoli. In determinate condizioni si sta solo a casa».
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Corriere delle Alpi | 28 agosto 2022 p. 17
«Una città metropolitana da Venezia alle Dolomiti»
La prospettiva di Brugnaro per una governance unica
L'intervista
Una Città Metropolitana, quella di Venezia, di dimensioni olimpiche. È ciò che prospetta Luigi Brugnaro, il sindaco, salito a Falcade per salutare le sue due squadre di basket, Umana Reyer e San Giobbe Chiusi. Sostiene che i Giochi non siano soltanto un evento sportivo, ma anche culturale, ma che l'appuntamento del 2026 rischia di mancare di un'anima. Il dibattito è arido, a suo dire, immiserito intorno alla pista di bob, mentre sarebbe necessario confrontarsi sui cambiamenti climatici, a partire dall'acqua che manca, sugli spopolamenti ai diversi livelli, piuttosto che sulle infrastrutture. Si fa sentire, ad esempio, la mancanza della Venezia Monaco («ovviamente in galleria, non sui viadotti»). «Se volete un'intervista sulle Olimpiadi mette subito le mani avanti prendete a prestito il titolo del mio prossimo libro: "I bambini ci giudicano"». Che cosa c'azzecca questo titolo con le Olimpiadi? «Saranno i bambini i giudici di quello che faremo o non faremo. Ricordiamoci che ci chiederanno conto delle scelte che facciamo oggi». Degli 85 milioni della pista di bob, dei 600 delle circonvallazioni di Cortina e Longarone. Che cosa aggiungiamo ancora? «Ci chiederanno conto non delle infrastrutture ma dello sviluppo che sapremo promuovere con i Giochi (anche quelli Paralimpici, troppo spesso li dimentichiamo). Abbiamo pensato alle Olimpiadi come opportunità per contrastare lo spopolamento? Parlo di Città Metropolitana dalle Dolomiti a Venezia, non a caso».Vale a dire? «Si spopola quota zero, il centro storico di Venezia, come perdono abitanti le quote più alte. Perfino Cortina. Ci stiamo chiedendo che cosa fare, concretamente, da domani mattina per affrontare questo problema. Le Olimpiadi, sì, ma dopo?». E che cosa possiamo fare? «Aiutare le giovani coppie, ad esempio. Tante coppie rinunciano alla maternità per la paura di non poter accompagnare i figli nella loro crescita. Una grande Città Metropolitana, in quanto ente intermedio fra i Comuni e la Regione, potrebbe meglio coordinare interventi così orientati. Come, anche, in tema dell'acqua». Olimpiadi ed acqua? Ci spieghi la sua fantasia. «Nessuna fantasia. Venezia è la città d'acqua per antonomasia. Da dove arriva quest'acqua? Dalla Marmolada, dalle Dolomiti del Piave. Non passa giorno senza che non si parli di siccità. Bene, cogliamo un evento come le Olimpiadi, per chiederci che cosa possiamo fare per conservare quest'acqua. Se ne spreca troppa». Cosa potremmo fare?«Invasi. E ancora invasi. Le casseforti dell'acqua, il nostro bene più prezioso. Ecco un'altra sfida d'impegno per la Città Metropolitana olimpica». Ma i Giochi sono soprattutto sport. Che ne pensa del dibattito sulla pista di bob? «Le Olimpiadi sono una genialata del presidente Zaia. C'è poco da discutere della pista di bob. E' l'icona di Cortina, il simbolo. Ci sono problemi? C'è chi contesta? Perché si sono persi due anni senza ascoltarci reciprocamente, gli uni e gli altri. Per poi decidere, ovviamente. Ma al meglio. Come fanno le imprese, confrontandosi con la controparte, come si diceva una volta».Adesso si ipotizza un cambio di governance al vertice della Fondazione Milano Cortina. Lei, scommettiamo, preferirebbe Scaroni al posto di Novari. «Non conosco la situazione. So, invece, chi è Scaroni. Un amico, ma anche un grande manager, di cui il presidente Draghi ha la massima stima. Scaroni è, tra l'altro, colui che a capo dell'Enel mi ha votato come presidente dell'Associazione Industriali di Venezia. Ho una stima straordinaria delle sue capacità. Basta vedere come si comporta a capo del "mio" Milan». La sua candidatura è insidiata da quella di un altro manager Uva. «Non lo conosco direttamente. Mi dicono che sia bravo anche lui».Due anni di ritardo, si diceva. «Smettiamola di guardarci indietro. Decidiamo sul presente e sul futuro».Resta un sogno, però, il treno delle Dolomiti. In due ore da Venezia a Cortina. «E' un progetto ambizioso. Certo, se usassimo i treni all'idrogeno, sarebbe una scelta più saggia. Ma anche in questo caso, abbiamo davvero ascoltato le comunità locali? Siamo sicuri che preferiscono il treno all'autostrada?».Intende il prolungamento dell'A27? «Questa è la grande scommessa infrastrutturale per collegare il Veneto direttamente al Centro Europa. Una risposta anche allo spopolamento. Certo, il progetto va discusso. Non possiamo pensare a dei viadotti che attraversano le valli dolomitiche. Ma traforare le montagne non è difficile come un tempo».Meglio la Venezia Monaco che il ponte sullo stretto di Messina? «Meglio un bagno di sano realismo. Basta proposte irrealizzabili. E, in ogni caso, la Venezia Monaco ha ben altri costi rispetto allo stretto».Ma se ci sarà un Governo di Centrodestra, lei inserirà questa priorità infrastrutturale per il Veneto? «Non dipende da me. Dico solo che il Brennero ha la necessità di un' alternativa per il Centro Europa. Se per qualche ragione si ferma il tunnel, l'Italia è destinata a rimanere bloccata. Avere un altro sbocco è quanto meno saggio».Una curiosità, sindaco. Sarà lei, da presidente della Regione, a rappresentare il Veneto alle Olimpiadi di Cortina e Verona? «No, E' prevista una proroga sulla scadenza del 2025. Quindi, meritatamente, sarà ancora Zaia». Nel febbraio 2026. Ma alle Regionali in primavera? «Chi vivrà vedrà. Io penso a far bene il sindaco». Lei è stato, nei giorni scorsi, in Vaticano. Per fare che cosa? «Per pregare sulla tomba di papa Luciani. Non posso esserci alla beatificazione, il 4 settembre, a causa della concomitante Regata Storica. In Vaticano, però, ho trovato l'accesso sbarrato alla tomba, Uno dei presenti mi ha riconosciuto e mi ha lasciato inginocchiarmi per una preghiera. Ho visto che stavano modificando la dicitura con l'aggiunta di "Beatus". Ho provato commozione».Lo ha conosciuto personalmente? «Sì, grazie a mio padre Ferruccio. Che all'epoca faceva il sindacalista, Ed era molto duro sulle lotte operaie, a difesa dei lavoratori. Il patriarca Luciani era molto sensibile, sul piano sociale. Pensi che mio padre ebbe il coraggio di bloccare in strada l'allora ausiliare, monsignor Olivotti, durante una manifestazione. Di qui non si passa, gli disse».Lei è anche molto amico di monsignor Ettore Formezza, che a Cencenighe ha voluto dedicare a Luciani un borgo, con un sentiero... «Ed una statua di Luciani che lo ritrae in misura puntuale. Pensi che è stata realizzata in Thailandia da un artista amico di un veneziano. Ma più perfetta non potrebbe essere». Mentre parliamo arriva don Ettore, Un abbraccio e poi, a bruciapelo, lo stesso Brugnaro gli chiede. «Tu che sei stato il suo uomo di fiducia, è proprio vero quello che gli rivelò suor Lucia a Fatima, al patriarca?». Risposta del monsignore: «Era una chiacchierona». Suor Lucia predisse la morte repentina del Papa. Francesco Dal Mas© RIPRODUZIONE RISERVATA