I’GIORNALINO
NO 13 GENNAIO 2021
"Nulla impedirà al sole di sorgere ancora, nemmeno la notte più buia" -Khalil Gibran
REDAZIONE 2
Direttrice AURORA GORI (VA)
Redattori
GIULIA AGRESTI (IVB), MARGHERITA ARENA (IVB), FILIPPO BELLOCCHI (IIIB), GIORGIA BERRETTINI (IB), GEMMA BERTI (IIIB), NICCOLÒ BETTINI (IIIB), GIULIA BOLOGNESE (IIIA), EMANUELE IPPOLITO BOZZO (IA), DIEGO BRASCHI (VA), ELENA CASATI (IIIB), GIOVANNI CAVALIERI (IIA), ELISA CIABATTI (VB), FILIPPO DEL CORONA (IIIB), GIOVANNI GIULIO GORI (IIB), DANIELE GULIZIA (VB), MATILDE MAZZOTTA (VC), RACHELE MONACO (IIB), ALESSIA MUÇA (VA), ALLEGRA NICCOLI (IIIB), ALESSIA ORETI (IVA), FRANCESCA ORITI (IVB), SARRIE PATOZI (IVB), PIETRO SANTI (VA), IRENE SPALLETTI (VA)
Fotografi SILVIA BRIZIOLI (caposervizio, VA), MARIA VITTORIA D’ANNUNZIO (IIIB), STELLA MEINI (IIID)
Collaboratori MARGHERITA CIACCIARELLI (IIB), MADDALENA GRILLO (VB), ALLEGRA NICCOLI (IIIB), ALESSIA ORETI (IVA), ALICE ORETI (VB) Art Director DANIELE GULIZIA (VB)
Disegnatori GREGORIO BITOSSI (IVA), VIOLA FANFANI (IVA), FABIOLA MANNUCCI (IVA), CATERINA MEGLI (IVA), SILVIA MONNO (IVA), REBECCA POGGIALI (VA), ERICA SETTESOLDI (IVA), FRANCESCA TIRINNANZI (IVB)
Social Media MARGHERITA ARENA (IV B), MARIANNA CARNIANI (IVB), MARTA SUPPA (IVA)
Ufficio Comunicazioni GIULIA AGRESTI (IVB)
Impaginatori GIULIA AGRESTI (IVB), DIEGO BRASCHI (VA), PIETRO SANTI (VA)
Collaboratore esterno GIULIA PROVVEDI
Referenti PROF. CASTELLANA, PROF.SSA TENDUCCI
W O R D S M AT T E R . T R U T H M AT T E R S . ACCOUNTABILITY MATTERS……………………………..4 LA CELLULA T……………………………………………….6 IL VACCINO ANTICOVID-19……………………………….7 MEGA UTILE………………………………………………..10 ARIA SOTTILE………………………………………………12 DIARIO DI SOPRAVVIVENZA PER IL LICEO…………..14 GRATTAGE…………………………………………………..15 GIRAMONDO 2.0…………………………………………..16 ESPLORANDO L’ITALIA…………………………………..18 LA TERRA DESOLATA ED EMPIA……………………….20
INDICE
SCANDALO A FILADELFIA……………………………….23 ALÈXANDROS………………………………………………25 RESOCONTI DEL SALOTTINO DELL’ALBERTIDANTE…………………………………………………….….26 FRA TERRA E CIELO………………………………………31
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“Words matter. Truth matters. Accountability matters” di Francesca Oriti
Il 6 gennaio è stato un giorno buio della storia americana, tanto che Hillary Clinton l’ha paragonato all’11 settembre 2001, sostenendo, con una citazione dal 9/11 Commission Report, che entrambi gli atti siano stati causati da “mancanza di immaginazione” (“the most important failure was one of imagination”). Mentre il presidente degli Stati Uniti d’America sobillava i suoi seguaci a lottare con violenza (“to fight like Hell”), alcuni membri repubblicani del Congresso si rifiutavano di accettare i risultati dell’elezione presidenziale; ciò nonostante forse rimaneva difficile immaginare ciò che sarebbe successo e questo è stato il motivo dell’azione notevolmente ritardata della Guardia Nazionale. Colpisce tuttavia che la stessa forza armata non abbia agito con gli stessi ritardi nella difesa del complesso governativo nei confronti dei manifestanti del movimento Black Lives Matter, che non avevano nessuna intenzione di attaccarlo. Nasce da qui il sospetto che questo indugio sia dovuto anche ad un altro elemento, molto più inquietante della mancanza di immaginazione: nei giorni delle proteste per i diritti civili, il presidente uscente Trump non ha esitato a ordinare lo schieramento della Guardia Nazionale in tenuta antisommossa per fare un servizio fotografico, ma ha lungamente esitato a dare lo stesso ordine (è stato convinto dal Vicepresidente uscente Mike Pence) nei confronti di una folla che ha deliberatamente cercato di ostacolare il processo democratico. Forse perché non erano lo stesso tipo di manifestanti, certamente quelli del movimento Black Lives Matter non erano iscritti a sette sostenitrici della supremazia bianca, né 4
esibivano la proditoria bandiera degli Stati Confederati d’America, simbolo di
Foto presa da: https://contropiano.org
opposizione a una democrazia multirazziale. Cosa viene dopo? Ancora non lo sappiamo. C’è tanta paura, tanta codardia, tanta incertezza. La giornata del 6 gennaio non si è conclusa a mezzanotte, ma alle tre e mezza del mattino successivo, quando il vicepresidente uscente Pence ha dichiarato la vittoria elettorale di Joe Biden e Kamala Harris, tuttavia il sangue delle vittime di quel giorno macchia ancora oggi le mani dei responsabili. Le segretarie ai trasporti e all’istruzione hanno lasciato il loro posto all’interno del Governo, un atto che alcuni ritengono frutto del disgusto per gli eventi che hanno fatto tremare Capitol Hill, mentre altri sostengono che sia stato dovuto alla fretta di cancellare il proprio nome dalla lista di chi li ha causati e dalla paura di invocare il famigerato articolo 4 del XXV Emendamento, che ammette la deposizione di un presidente quando ritenuto incapace di
svolgere le proprie funzioni dalla maggioranza del suo governo e dal vicepresidente. Tu t t a v i a c ’ è u n ’ a l t e r n a t i v a a l X X V Emendamento. Nonostante i terroristi ci abbiano provato, non sono riusciti ad uccidere gli ufficiali che hanno ancora un senso delle istituzioni: il 13 gennaio, esattamente una settimana dopo l’attacco al Congresso, 222 democratici e 10 repubblicani, membri della Casa dei Rappresentanti, hanno votato per la prima volta nella storia una seconda procedura di Impeachment a carico dello stesso presidente, accusando Donald J. Trump di incitamento all’insurrezione. Nancy Pelosi, la Speaker of the House, ha definito il presidente uscente Trump “Un presidente instabile, squilibrato e pericoloso” (“A deranged, unhinged, dangerous president”) e spiegando le ragioni dell’Impeachment ha detto: “Le parole contano. La verità conta. La responsabilità conta.” (“Words matter, Truth matters. Accountability matters”). La condanna del presidente uscente Trump è arrivata anche da diversi repubblicani: Liz Cheney, rappresentante repubblicana per il Wyoming, ha definito l’azione di Trump come il più grande tradimento di un presidente degli Stati Uniti al suo ufficio e al suo giuramento di difendere la Costituzione. Nonostante la procedura di Impeachment, che da adesso in poi sarà gestita dal Senato per la parte investigativa, non sarà conclusa prima del giuramento del presidente eletto Biden, qualora sia portata a termine, impedirà al presidente uscente Trump di ricandidarsi nel 2024. Dopo gli eventi di Capitol Hill, il presidente uscente Trump è stato escluso dai principali social media come Instagram e Twitter e l’accessibilità del social maggiormente usato dai conservatori estremisti, Parler, è stato fortemente limitata da Apple e Google. Questo ha dato adito a un ampio dibattito sulla libertà di espressione e sul potere che piattaforme private possono acquisire per limitarla. Illustri pensatori e politici italiani e non, come Massimo Cacciari e Angela Merkel, si sono detti preoccupati da azioni che limitano la libertà di parola di un individuo per ipotetiche ragioni di profitto. A loro si contrappongono
però voci altrettanto valide che, prendendo in mano i Termini e condizioni da sottoscrivere per l’accesso a qualsiasi social, affermano che non solo questi legittimano la chiusura degli account con l’accusa di incitamento alla violenza, ma che anzi l’avrebbero dovuta condizionare prima. Quando l’America si è risvegliata, probabilmente sorpresa di non essere sprofondata nella guerra civile, sono arrivate reazioni da tutto l’arco dell’universo morale che, per una volta, si è davvero orientato verso la giustizia. Il presidente eletto Joe Biden ha definito questo atto “un assalto allo stato di diritto” (“an assault on the rule of law”) e una condanna alla violenza della giornata è giunta dallo stesso presidente uscente Trump, le cui responsabilità nell’azione verranno investigate dal Senato. Insieme a lui, altri membri del partito Repubblicano hanno preso le distanze dalle frange estremiste che si sono rese colpevoli di un atto di terrorismo interno, ad esempio Arnold Schwarzenegger, ex governatore della California, che in un video messaggio divulgato sui social ha comparato il 6 gennaio alla Kristallnacht, il pogrom condotto dai gerarchi nazisti tra il 9 e il 10 novembre del 1938, per ricordarci che i totalitarismi non iniziano necessariamente dai colpi di Stato, ma soprattutto dalle parole.
Foto presa da: https://www.ilfoglio.it/esteri/ 2021/01/14/gallery/la-guardia-nazionale-chebivacca-a-capitol-hill-1680974/
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LA CELLULA T di Sarrie Patozi
Se da una parte nel 2020 alle vite dei singoli sono stati posti drastici e brutali limitazioni che hanno portato al completo sconvolgimento individuale, dall’altra la medicina ha continuato il proprio progresso. Gli studiosi dell’Università di Cardiff, in Galles, hanno individuato nel sangue un tipo di cellula immunitaria che potrebbe portare grandi benefici alla lotta tumorale, dando alla ricerca una svolta definitiva. La terapia genica è un campo relativamente nuovo all’interno dell’oncologia, e il suo obiettivo è quello di trattare una patologia mirando direttamente alle sue basi genetiche. Affinché ciò sia possibile, entrano in gioco i linfociti T che vengono prelevati dall’organismo umano e “riprogrammati” in laboratorio, per poi essere immessi nuovamente nel paziente; questa tecnica prende il nome di Car-T (Chimeric antigen receptor) ma ha tuttavia dei limiti: i “nuovi” globuli bianchi, infatti, sono in grado di riconoscere ed attaccare solo alcune tipologie di tumori. È qui che interviene la ricerca degli studiosi: costoro hanno optato per utilizzare il metodo CRISPR (Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats) grazie al quale hanno scoperto un altro recettore T (Tcr) che si lega a Mr1. Quest’ultimo è una molecola simile all’Hla, un antigene leucocitario che aiuta a rilevare le cellule tumorali, di portata però universale: ciò, spiegano i ricercatori, consentirebbe di avere un raggio d’azione maggiore su una maggior quantità di persone. Queste cellule sono state analizzate in laboratorio e i risultati sono stati sorprendenti: esse si sono rivelate in grado di rintracciare e attaccare diverse cellule cancerose come quelle polmonari, prostatiche, ossee, renali, cervicali, endocrine ed ovariche. "Ci sarebbe la possibilità di curare ogni paziente” afferma Andrew Sewell, a capo della scoperta, nella rivista Nature Immunology, “speriamo che questo nuovo Tcr possa fornirci una strada diversa per colpire e distruggere una vasta gamma di tumori in tutte le persone.” Prosegue poi dicendo: “La nostra scoperta, quindi, è una nuova frontiera entusiasmante. Solleva la prospettiva che un singolo tipo di linfocita T possa essere in grado di distruggere molti tipi di tumori. In precedenza nessuno credeva che ciò potesse essere possibile”. La ricerca ha avuto un impatto talmente importante da avere risonanza internazionale e a tal proposito così si pronuncia Daniel Davis, docente di Immunologia presso l’Università di Manchester: "Non vi è dubbio che si tratti di una scoperta molto eccitante, sia per il progresso delle nostre conoscenze di base sul sistema immunitario sia per la possibilità di future tecniche mediche. Ma al momento si tratta di una ricerca ancora acerba e lontana dalla realizzazione di farmaci reali per i pazienti". 6
IL VACCINO ANTICOVID Di Giulia Agresti e Margherita Arena
Ormai da quasi un mese medici e infermieri italiani si stanno sottoponendo al vaccino anti-covid, sul quale sono nate molte speculazioni. Ma come funziona? I vaccini servono per preparare il nostro organismo a combattere un determinato virus o batterio. Quando veniamo vaccinati infatti viene iniettata nel nostro corpo una forma indebolita di un virus o di un batterio che provoca una determinata reazione dai nostri anticorpi. Il principio alla base di questo meccanismo è la memoria immunologica: la capacità del sistema immunitario di ricordare quali microrganismi estranei hanno attaccato il nostro Foto da: https://www.labussolanews.it/2020/12/26/vaccine-day-al-viadomani-con-i-primi-vaccini-in-italia/ organismo in passato e di rispondere velocemente. Da quando è scoppiata la pandemia, molte aziende hanno cercato di guadagnarsi il primato del rimedio contro il SARS-CoV-2 e per ora in Italia vengono utilizzati due vaccini: il PfizerBioNTech, il primo ad essere stato approvato nell’Unione Europea, e il mRNA-1273, sviluppato da Moderna. Entrambi i vaccini devono essere somministrati in due dosi, l’una rispettivamente a 21 e 28 giorni di distanza dall’altra. Il Pfizer è stato autorizzato per persone dai 16 anni, mentre il mRNA solo per maggiorenni. I vaccini sono efficaci al 95% (fonte: NEJM), tuttavia dopo la prima iniezione è fondamentale mantenere le misure di prevenzione anticontagio, in quanto la copertura non è ancora totale. Il vaccino non ha ripercussioni né su coloro che sono precedentemente risultati positivi al SARSCoV-2, né su pazienti immunodepressi, né su donne in gravidanza. Il vaccino mRNA-1273 è stato sviluppato da Moderna e consiste in vescicole lipidiche in cui è contenuto il mRNA (RNA-messaggero) del SARS-CoV-2 insieme a lipidi, sali e zuccheri. Queste vescicole entrano nelle cellule, dove l’RNA-messaggero copia e riproduce la struttura delle proteine cosiddette ‘Spike’ di SARS-CoV-2. Il vaccino quindi non introduce nelle cellule il virus vero e proprio, ma solo la sua informazione genetica. Le copie poi si frammentano e seguono percorsi diversi. Possono infatti unirsi alla molecola MHC-11, per poi lasciare il reticolo endoplasmatico e uscire sulla superficie della cellula, dove sono riconosciute da una cellula T 7
citotossica2. Oppure possono disperdersi in cellule APC3 e unirsi con la molecola MHC-24, per poi tornare sulla superficie, dove sono riconosciute da cellule T-helper5. Questo vaccino dunque è altamente sicuro in quando conferisce sia un’immunità cellulo-mediata sia un’immunità anticorpomediata. Anche il Pfizer-BioNTech si basa sulla tecnologia dell’RNA-messaggero, tuttavia contiene sali, zuccheri e concentrazioni di lipidi diversi rispetto all’altro vaccino. La principale differenza tra i due consiste nella quantità delle dosi somministrate per paziente: per il vaccino sviluppato da Moderna vengono iniettati 100 microgrammi di soluzione, mentre per il Pfizer solo 30. Il Pfizer è più complesso da trasportare in quanto deve essere conservato a -70 gradi Foto da: https://www.unisr.it/en/news/2020/6/la-biologiaCelsius, e costa circa 20 dollari strutturale-per-sars-cov-2-la-proteina-spike americani per dose. La temperatura per l’mRNA invece è tra i 2 e gli 8 gradi Celsius, tuttavia costa di più: 25 dollari americani. Un altro vaccino che sta emergendo è quello AstraZeneca, già utilizzato in India e in Gran Bretagna. Esso è stato sviluppato dalla University of Oxford in collaborazione con la compagnia AstraZeneca e si è rivelato efficiente fino al 90%. A differenza degli altri due, questo vaccino non è costituito da mRNA, ma dal DNA modificato di un adenovirus6 di uno scimpanzé. Dopo essere stato iniettato, l’adenovirus entra nelle cellule e arriva al nucleo, in cui inserisce il proprio DNA. Esso viene poi letto e copiato in una molecola di mRNA, la quale produce le proteine Spike. Il procedimento successivo è poi analogo a quello degli altri due vaccini. Abbiamo inoltre intervistato Caterina Garaffo, farmacista dell’ospedale di Santa Maria Nuova di Firenze, la quale ha già ricevuto la prima iniezione del vaccino anti-covid. Quale dei due vaccini ha ricevuto? Mi è stata somministrata la prima dose di vaccino Comirnaty (Pfizer) mercoledì scorso ed il 3 febbraio effettuerò il richiamo. Ha avuto qualche effetto collaterale? Non ho avuto nessun effetto collaterale, nemmeno quello più descritto e molto comune che è il dolore nel sito di iniezione. Come e dove vengono conservati i vaccini? I vaccini Pfizer vengono conservati a -70 gradi in appositi congelatori per lo stoccaggio di farmaci a queste temperature fino al momento dell'utilizzo. Dallo scongelamento il vaccino può essere conservato in 8
frigo tra 2 e 8 gradi per 5 giorni, dopodiché se non viene inoculato non può più essere utilizzato. Quante persone vengono vaccinate al giorno all’ospedale di Santa Maria Nuova? Ogni giorno solo a S. Maria Nuova vengono vaccinati 102 operatori sanitari e vengono distribuite decine di dosi per le vaccinazioni di anziani e disabili ospiti delle residenze sanitarie dislocate sul territorio fiorentino. L’iniezione del vaccino anti-covid è diversa da quella di altri vaccini? L'infusione di Comirnaty è identica a quelle degli altri vaccini, sempre nel deltoide, muscolo del braccio. Molte ipotesi che sono state avanzate riguardo al vaccino anti-covid risultano quindi false e non fondate su una base scientifica. Si è sparsa ad esempio la voce che essi non siano sicuri in quanto sono stati preparati in fretta, tuttavia la scarsezza di tempo disponibile è stata compensata dalla cooperazione di medici e scienziati di tutto il mondo. Inoltre non è stata saltata nessuna delle regolari fasi di verifica e le Autorità competenti hanno approvato i vaccini solo dopo averne controllato accuratamente i requisiti di qualità e sicurezza. Non bisogna poi preoccuparsi per le nuove varianti del virus, come quella del Regno Unito: le proteine Spike infatti sono composte da numerosissime componenti ed è altamente improbabile che il mutamento di una sola di esse renda il vaccino inefficace. Infine, è stata provata falsa anche la teoria che i risultati del vaccino non siano duraturi: dopo 7 giorni dalla seconda somministrazione il Foto da: https://www.ndtv.com/india-news/tata-in-talks-to-launchpaziente è completamente moderna-covid-19-vaccine-in-india-report-2357604 immune al SARS-CoV-2. 1- MHC-1: proteine che insegnano alle cellule del sistema immunitario la struttura di elementi pericolosi per il nostro corpo; 2- cellula T citotossica: cellula che riconosce e distrugge elementi estranei o infettati da virus; 3- cellule APC: cellule che presentano l’antigene, ovvero una proteina che stimola il sistema immunitario; 4- MHC-2: proteine che si occupano del riconoscimento degli antigeni nel sistema immunitario; 5- cellule T-helper: cellule che aiutano la singola cellula a produrre specifici anticorpi che neutralizzino il virus in una eventuale infezione futura; 6- adenovirus: virus comune che causa solitamente febbre o influenza. FONTI: New England Journal Of Medicine, American Chemical Society, Istituto Superiore di Sanità, MicroBiologia Italia, Università degli Studi dell’Insubria, The National Health Service of England, The Food and Drug Administration, Centers for Disease Control and Prevention, Esanum, New York Times.
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MEGA UTILE di Elena Casati, Gemma Berti, Allegra Niccoli, Maria Vittoria D’Annunzio e Giulia Bolognese Vi state chiedendo a cosa serva ciò che studiate e ancora non siete riusciti a darvi una risposta? Non sapete quale università scegliere? Non vi preoccupate! Siamo cinque ragazze pronte ad aiutarvi! Ogni mese intervistiamo degli studenti universitari, che, con le loro risposte, potranno aiutarvi a porre fine ai vostri interrogativi. Per questo mese abbiamo intervistato Francesco Tomè, un ragazzo di 20 anni che ha frequentato il Liceo Musicale Dante. “Francesco, che università frequenti?” “Frequento l’Accademia della Belle Arti, poiché la fotografia è sempre stata una delle mie più grandi passioni. Sono molto interessanti gli argomenti trattati, mi trovo molto bene, nonostante non abbia avuto l’occasione di viverla a pieno, a causa del Coronavirus.” “È stata facile per te la scelta dell’università?” “No, inizialmente avevo deciso di frequentare il conservatorio, data la passione per la musica, in particolare per la chitarra. Successivamente però, una volta perso quest’interesse, non ho avuto difficoltà a capire che l’Accademia delle Belle Arti sarebbe stata la mia scelta.” “Come ti sei trovato al Liceo Dante?” “Ci sono stati alti e bassi ma, in generale, l’esperienza è stata bellissima. Ho avuto buoni amici con i quali mi sono sempre trovato bene e con cui, nel corso dei cinque anni, sono cresciuto; la classe era unita e vivace. I professori erano disponibili ed amichevoli, tutt’ora ho mantenuto buoni rapporti con alcuni di loro. Infatti, 10
dopo aver attraversato le Alpi Apuane, ho realizzato, con la compartecipazione del professor Albisani e del professor Pennati, un filmato che uscirà a Maggio su YouTube e successivamente al cinema.” “Cosa ti ha lasciato il Liceo Dante?” “Il Liceo Dante mi ha lasciato ricordi bellissimi e mi ha reso consapevole di quanto la musica sia stupenda e importante. Nonostante ciò, fare il musicale non implica che tu debba continuare con la musica. Dopo la morte del mio professore e a causa della reclusione in casa dovuta al Coronavirus, ho avuto un calo e ho smesso di suonare la chitarra, ma ciò non mi ha precluso altre strade.” “Vuoi raccontarci uno dei ricordi che più ti stanno a cuore del Dante?” “Io e i miei compagni ci siamo molto divertiti durante il liceo. Ricordo quando abbiamo posizionato un topo imbalsamato davanti alla porta di classe, facendo prendere un enorme spavento alla professoressa! Ovviamente abbiamo dovuto scontare una punizione, ma quante risate!” “Se tornassi indietro rifaresti questo liceo?” “Rifarei il liceo Dante altre mille volte, l’ambiente è molto bello e familiare. Devo dire che molto spesso mi manca quel periodo!” “Un abbraccio a tutti i dantini!”
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ARIA SOTTILE
di Irene Spalletti
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REINHOLD MESSNER, LEGGENDA DELL’ALPINISMO Reinhold Messner nasce in Alto Adige il 17 settembre del 1944, secondogenito di 9 fratelli. Eredita la passione per l'alpinismo dal padre, con il quale, a soli 5 anni, compie la prima ascesa a 3000 m sul Sass Rigais. A 13 anni inizia a scalare le vette della val di Funes, allargando successivamente l'attenzione alle Dolomiti e alle intere Alpi. Fin dagli anni 60 Messner è uno dei primi e più convinti sostenitori dello stile alpino, che consiste nello scalare contando solo sulle proprie forze, riducendo al minimo, o, quando possibile, eliminando, l'equipaggiamento, i mezzi artificiali e il supporto esterno, come quello dei portatori sherpa; una filosofia alpinistica volta dunque a non invadere le montagne, ma solamente a scalarle. Nel 1965, dopo un certo periodo di attività sui monti dell'Alto Adige, Messner compie la sua prima impresa di rilievo; insieme al fratello Günther, apre una via sulla parete Nord dell'Ortles. Si dedica quindi all'arrampicata dolomitica, aprendo nuove vie sempre seguendo lo stile dell’arrampicata libera. Nel 1970, viene invitato con il fratello Günther a partecipare ad una spedizione al Nanga Parbat, con l'obiettivo di salire dall'allora inviolato versante Rupal della montagna. Nonostante questa spedizione necessitasse di un abbondante uso di corde fisse e ausili tecnologici, Messner accettò; il 27 giugno si trovava col fratello Günther e con l'alpinista Gerhard Baur all'ultimo campo e, avendo ricevuto la notizia che il tempo sarebbe peggiorato il giorno successivo, aveva deciso di partire da solo senza usare corde fisse, sperando di raggiungere velocemente la vetta prima della fine del bel tempo. Günther e Baur avrebbero nel frattempo dovuto attrezzare una via per facilitare la discesa. Günther, tuttavia, decise di seguire il fratello e lo raggiunse 4 ore dopo la sua partenza. I due raggiunsero la vetta nel tardo pomeriggio ma, poiché era arrivato il tramonto e non era loro possibile la discesa per la via della salita, in quanto non era stata attrezzata, furono costretti ad un bivacco d'emergenza e a passare la notte all'addiaccio. Il giorno successivo decisero di scendere per il versante di Amir, senza aspettare i soccorsi che stavano salendo con le corde. Quasi alla fine della discesa, una valanga travolse i due fratelli e Günther scomparve. Reinhold fu creduto morto per diversi giorni ma, quasi una settimana dopo, arrivò ad una Valle e fu trasportato prima in spalla e poi in barella a ricevere i soccorsi. Riportò gravi congelamenti a sette dita dei piedi, subendone una parziale amputazione, e alle ultime falangi delle mani. Come se non bastasse, l’alpinista diventò per anni e anni oggetto di polemiche infamanti, che lo accusavano di aver abbandonato Günther in cima al Nanga Parbat, ben prima della discesa, sacrificandolo alla propria ambizione di attraversare per primo il versante di Amir. Fu solo 30 anni dopo, con il ritrovamento del corpo di Günther proprio nel punto in cui Reinhold aveva affermato fosse scomparso, che queste accuse cessarono. Nel 2010 è stato girato un film, intitolato “Nanga Parbat”, che racconta la tragedia. 13
DIARIO DI SOPRAVVIVENZA PER IL LICEO
Solidarietà e rispetto di Alessia Oreti
La scuola è il nostro ambiente. Purtroppo? Per fortuna? Dipende da come si vive la cosa. Ognuno di noi dovrebbe aiutare l'altro e fare in modo che ogni aspetto della nostra permanenza a scuola possa essere gradito. Molto spesso però non succede. Pur non volendo ammetterlo, siamo esseri egoisti, molto spesso inconsciamente. Purtroppo ancora più spesso la solidarietà tra compagni non è così frequente come vorremmo. La rivalità, la necessità di primeggiare, di eccellere e di spiccare rispetto ad altri sono ostacoli dannosi alla convivenza tra i banchi scolastici. Perché ci sentiamo giustificati ad affossare il prossimo pur di ottenere ciò che vogliamo? Perché non potremmo pensare anche agli altri, invece che solo a noi stessi? Perché non pensiamo egoisticamente solo dove concesso? Spalleggiarsi è importante e ammirevole, ma non è sempre la scelta migliore. Non è necessario fare totale affidamento sugli altri per sentirsi al riparo da ogni cosa. Parlando in termini più concreti: se si ha la convinzione che all'interrogazione del giorno dopo il nostro compagno andrà volontario, dovremmo fidarci ciecamente e non studiare, oppure prepararci a dovere lo stesso? La risposta è scontata. Ognuno pensa alla propria istruzione, ai propri voti e alla propria vita scolastica. Non si può ignorare la percentuale di possibilità che qualcosa vada storto e che il volontario in questione non si presenti. Questo è il punto focale. Affidiamoci pure agli altri, è così bello, ma non 14
lamentiamoci delle ripercussioni che avremo su noi stessi. Ricordiamo sempre, in aggiunta, che essendo la scuola il nostro ambiente, è necessario non solo essere solidali, ma anche rispettosi. È inutile fare finta che non accada, si sa che siamo portati a dubitare degli altri. Nessuno ci impedisce di farlo, chiaramente, ma forse sarebbe il caso di pensare svariate volte a ciò che potrebbe accadere nel caso in cui iniziassimo ad esprimere ad alta voce questi dubbi. Un altro esempio pratico? Siamo ragazzi, e come tali, è più che naturale che ci venga da sparlare di un nostro compagno, esprimendo anche idee non richieste e facendo girare voci forse non corrette. Cosa dire riguardo questo? Be', semplicemente, smettiamola! Può essere che qualche volta ci si dimentichi che anche gli altri hanno sentimenti e possono rimanerci male, ma probabilmente dovremmo averlo più presente, si eviterebbero molte spiacevoli situazioni. Non è necessario essere amici tra compagni, ma come in ogni altro campo della vita vale una semplice regola: essere rispettosi. Inviterei chiunque a farsi un piccolo esame di coscienza per potersi migliorare. Non siamo perfetti, ma il primo passo per vivere tranquillamente con gli altri è capire dove stanno i nostri errori e cercare di rimediare. Se lo facessimo tutti la scuola sarebbe sicuramente un posto più tranquillo e piacevole.
GRATTAGE di Erica Settesoldi, Caterina Megli, Viola Fanfani, Fabiola Mannucci, Gregorio Bitossi e Silvia Monno Il grattage è una tecnica surrealista che consiste letteralmente nel “grattare” la pittura ancora fresca stesa s u l l a t e l a . Ve n g o n o sovrapposti, spesso con i pastelli ad olio, più strati di pigmenti differenti; gli strati più superficiali sono poi grattati via facendo emergere i colori sottostanti e dando vita a stupendi contrasti cromatici. Per la tecnica del grattage, per grattare via il colore, oltre a pennelli e spatole, ci si avvale anche dell’utilizzo di strumenti nuovi, sperimentando oggetti di uso quotidiano quali spugne, lamette e stiletti. Questa tecnica fu utilizzata per la prima volta da Max Ernst, pittore e scultore di origine tedesca, a seguito della scoperta del frottage, tecnica basata sul principio dello sfregamento. La tecnica del grattage permise a Ernst di liberare le forze creative ricche di suggestione, meno teoriche e più inconsce. Con questa tecnica affiorano maggiormente temi cupi e inquietanti, principalmente a causa dei segni che se ne traggono. Questo aspetto risalta maggiormente nella riproduzione dei paesaggi, poiché permette di creare immagini frutto di fantasia e Max Ernst La mer et le soleil, 1926, olio e grattage su tela. spontaneità. Foto da: https://www.pinterest.com/pin/485262928599969281/ 15
GIRAMONDO 2.0
BERLINO di Giorgia Berrettini
Berlino è una splendida città europea con una storia complessa e tormentata. Distrutta durante la Seconda Guerra Mondiale e per anni divisa in due parti da un muro, oggi è una città giovane e dinamica. Tanti sono i luoghi d’interesse di questa città, e ciò rende difficile descriverla in poche righe; mi limiterò quindi a parlare di quelli a mio parere più significativi. La Porta di Brandeburgo è un bellissimo monumento di stile neoclassico, a cui i berlinesi sono molto legati in quanto rappresenta il simbolo della riunificazione delle due Germanie. In numerosi punti della città ci si può imbattere nelle tracce del Muro che ha segnato la drammatica divisione tra Berlino Est e Berlino Ovest; il tratto più esteso forma la East Side Gallery, la più lunga collezione di murales all’aperto del mondo dipinti da artisti di ogni provenienza che con le loro opere hanno voluto lanciare un messaggio di pace e di speranza. Non si può poi perdere l’Isola dei Musei, il complesso monumentale che custodisce il patrimonio artistico di Berlino. La visita non può che partire dal Pergamonmuseum, dove, tra i tanti tesori, è possibile ammirare il maestoso altare che da il nome al museo e l’imponente ricostruzione della Porta di Ishtar. Non meno interessante è il Museo Egizio dove è esposto il busto della regina Nefertiti dallo sguardo magnetico che cattura i visitatori. Una gita in battello sulla Sprea è certamente un’esperienza piacevole e consente di vedere la città da un’altra prospettiva. Il punto più alto della città è la Torre della Televisione (in tedesco Berliner Fernsehturm 368 m.), una torre per antenne trasmittenti radiotelevisive situata proprio nel centro di Berlino; si può salire fino alla piattaforma a 203 metri, da 16
dove la vista è davvero unica! Il Reichstag, ricostruito dopo la Seconda Guerra Mondiale, è oggi la sede del Parlamento tedesco. Il palazzo è caratterizzato dalla splendente cupola di vetro progettata dall’architetto Foster che lo ha reso meta di migliaia di visitatori ogni anno. Nelle vicinanze si trova il suggestivo e commovente monumento labirinto composto da 2711 stele di cemento di diversa altezza che commemora le vittime dell’Olocausto (Holocaust Mahnmal). C’è poi un angolo di Berlino, forse meno conosciuto, ma ricco di tantissimi significati e capace di risvegliare forti emozioni. Lo incontri subito dietro Alexanderplatz in Rosenstrasse; nell’inverno 1943 le mogli cristiane di uomini ebrei, arrestati per essere deportati, si ritrovarono in quel luogo per chiedere la liberazione dei propri mariti. Rimasero lì per molte settimane fino a quando la loro voce non fu ascoltata. Dove un tempo sorgeva l’ufficio per gli affari ebraici nazista è stato eretto un monumento in pietra rosa. Una storia di resistenza alle barbarie che vale la pena conoscere. A poche ore di aereo dall’Italia, Berlino è una metropoli multiculturale dal fascino davvero unico che offre l’occasione per riflettere sui più significativi eventi della storia d’Europa e tante opportunità di divertimento.
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ESPLORANDO L’ITALIA
di Sofia Vadalà
CHAMOIS Il paesino che esploriamo oggi è situato a sud-est della Valle d’Aosta in provincia di Torino, con 96 abitanti e 65 famiglie; è un piccolo borgo dai meravigliosi paesaggi che non ha ancora risentito della mano dell’uomo. Chamois partecipa dal 2006 al progetto “Alpine Pearls” il quale collega varie località delle Alpi che si trovano occupate in un turismo sostenibile. È l’unico in Italia ad essere privo di strade e di conseguenza anche di macchine, l’aria è pulita e da ogni zona è possibile ammirare la splendida vista alpina. È possibile raggiungerlo, soprattutto per gli appassionati di trekking, percorrendo il sentiero di Seingles, poi ne segue un altro chiamato “percorso energia”. Foto da: https://perlealpine.it/chamois-il-paese-senza-macchine/
Foto da: https://www.civediamoquandotorno.it/2017/09/22/valle-daosta-chamois-il-lago-di-lod-il-santuario-diclavalite/ 18
È possibile raggiungerlo, soprattutto per gli appassionati di trekking, percorrendo il sentiero di Seingles, poi ne segue un altro chiamato “percorso energia”. Il paese è molto curato, caratterizzato da vicoli stretti ma agevoli a piedi e le case, alcune delle quali risalenti addirittura al XVII secondo, sono molto tradizionalmente costruite in pietra e legno, con anche una cappella all’interno del mulino di Crepin e la chiesa parrocchiale di San Pantaleone. Per noi toscani è un luogo perfetto d’inverno, con una funivia ad una altezza di 250 metri ed una pista di 16km completa si discese per sci e snowboard. Credo sia il posto ideale in cui recarsi se si è alla ricerca di una pausa dalla frenetica vita in città e si desidera solamente trascorrere del tempo immersi nella natura tra il freddo e la neve delle Alpi. Foto da: https://mole24.it/2020/06/27/chamois-valle-daosta-lincantevole-paesesenza-auto-della-valtournenche/
È presente inoltre il lago Lod, raggiungibile tramite la funivia a 2000m di altitudine vicino al quale si colloca un’area picnic. Ecco alcune foto della straordinaria bellezza di questo piccolo e poco conosciuto paesino!
Foto da: https://www.civediamoquandotorno.it/2017/09/22/valle-daosta-chamois-illago-di-lod-il-santuario-di-clavalite/
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La terra desolata ed empia di Francesca Oriti Thomas Stearns Eliot nasce a St Louis nel 1888. Dopo una permanenza di qualche anno in Europa, durante la quale entra in contatto con le idee del filosofo e scrittore Bergson e studia a fondo Dante, ritorna in America e consegue la laurea in filosofia ad Harvard nel 1911. Nel 1917 si trasferisce in Inghilterra e l’anno successivo sposa Vivienne Haigh-Wood, una donna con delle instabilità psichiche che influenzeranno fortemente anche l’autore. La vita di Eliot fu caratterizzata da una profonda inquietudine, a cui il poeta cercò di porre rimedio prima con le cure in un istituto psichiatrico di Losanna e poi con la conversione all’Anglicanesimo, l’evento spartiacque della sua produzione letteraria. Nel 1927, ottenuta la cittadinanza britannica, si definì “classicista in letteratura, monarchico in politica, Anglo-cattolico in religione”. In quanto eminente rappresentante della poesia modernista, fu insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 1948. Morì a Londra il 4 gennaio del 1965. Publio Virgilio Marone nasce nel 70 a.C. ad Andes, un villaggio nel mantovano in cui la famiglia possedeva delle terre: è qui che viene a contatto con la vita contadina. Alla fine della guerra civile tra Cesare e Pompeo subisce l’esproprio delle terre di famiglia, che dovevano essere distribuite ai veterani. Come T.S. Eliot, anche Virgilio vive in un mondo belligerante, in una Roma incapace di scappare dalla trappola di schemi politici ricorrenti che la tiene sotto scacco da un secolo. Tuttavia negli ultimi anni della sua vita il poeta latino gode anche dei fasti e della gioia per una pace insperata che caratterizzano l’epoca augustea. I valori che contraddistinguono i primi anni del principato vengono celebrati nell’Eneide, il poema epico di Roma, per la cui grandiosità il poeta americano T.S. Eliot definirà Virgilio “il centro della civiltà europea” (Cos’è un Classico, 1944). Prima di poter effettuare l’ultima revisione sul suo capolavoro, nel 19 a.C. Virgilio muore a Brindisi. The Waste Land è un poemetto suddiviso in 5 parti, caratterizzato da due elementi fondamentali: un linguaggio finalizzato precipuamente all’evocazione di emozioni e sentimenti e continue citazioni intertestuali. L’opera è dedicata ad Ezra Pound, poeta statunitense e fondatore della corrente dell’imagismo, che revisionò l’opera prima della pubblicazione. Il tema alla base del poema è il contrasto tra la fertilità di un passato mitologico, a cui si allude con elementi leggendari appartenenti a varie culture, e la sterilità spirituale del mondo occidentale che si risveglia davanti ai cumuli di macerie che ha prodotto la prima guerra mondiale e che non trova più punti fermi a cui appoggiarsi. La percezione del lettore di caos e distruzione è ulteriormente accentuata dallo stile che spazia tra vari generi poetici e diverse tipologie di versi. Dunque il passaggio dell’uomo nella terra desolata è segnato dalla ricerca della salvezza, simboleggiata dal Sacro Graal, la cui leggenda viene ripresa dal testo di antropologia From Ritual to Romance (di Jessie L. Weston): alla 20
terra sterile del Re Pescatore della leggenda si associa la situazione politica dell’Europa, all’infertilità del suolo la desolazione dell’uomo dopo un disastro epocale come la guerra che devastò il Vecchio Continente. Le Bucoliche sono una raccolta di dieci componimenti che raccontano la vita dei pastori. Il modello sono gli Idilli di Teocrito, poeta ellenistico non molto apprezzato nell’élite culturale dei neoteroi perché la vita dei campi era ritenuta simbolo di mediocrità. Questa critica si rivelerà fondamentale per lo svezzamento di Virgilio dall’ambiente neoterico e l’approdo al classicismo augusteo: visto l’attrito che c’era tra i poeti elegiaci, in qualche modo successori dei neoteroi, e l’ambiente augusteo, il poeta latino mette al centro della sua opera l’agricoltura in quanto base del mos maiorum, da cui tutta la società latina dovrebbe essere ispirata per condurre una vita retta. Tuttavia la poikilìa, cioè la varietà di termini catartici, le dichiarazioni di poetica e le reminiscenze di una tradizione molto erudita, ci presenta Virgilio come l’ultimo discendente dei poeti alessandrini. I due temi alla base delle Bucoliche sono l’amore e il furor distruttivo che causa, e il canto, inteso come medicina amandi, definizione offerta nell’Egloga VI. Lo stile delle Bucoliche viene definito dallo stesso poeta tenuis e humilis, con un equilibrio di raffinatezza e sobrietà. L’Egloga I di Virgilio è il canto proemiale delle Bucoliche, strutturato in forma di dialogo tra due pastori e poeti, Titiro e Melibeo, in cui si contrappone alla libertà del primo di comporre poesie e vivere nei campi il destino di quest’ultimo pastore, che subisce l’esproprio delle terre poi ridistribuite ai veterani da Augusto. In questo componimento notiamo l’emergere di caratteristiche tematiche che ritroviamo anche in un’opera della poesia modernista: The Waste Land, di T.S. Eliot. La prima sezione del poemetto novecentesco, The burial of the dead, particolarmente vicina alla composizione virgiliana, è un intreccio di versi frammentari riguardanti principalmente il contrasto tra la morte e la vita, la prima rappresentata dalla cartomante Madame Sosostris (versi 43-59), dalla città nebbiosa di baudelairiana memoria (versi 60-61) e da un amore struggente (versi 39-40), e la seconda dai lillà che spuntano dalla terra morta (verso 2), dalle radici che si avvinghiano alla terra (verso 19) e dai giacinti (versi 36-37). La terra è in entrambe le opere un elemento essenziale, infatti i vari frammenti del poemetto di Eliot trovano una base comune nella leggenda del Sacro Graal, in quanto esemplificazione dei riti di rinascita della vegetazione, mentre in Virgilio la campagna, con la capanna e le spighe di grano (verso 68-69), simboleggia l’identità stessa di Melibeo. Ad una prima analisi emerge un’antitesi tra la natura e l’uomo: infatti Eliot afferma che “April is the cruellest month” (“Aprile è il mese più crudele”, verso 1) perché, di fronte alla capacità della natura di rigenerarsi perfino dopo la morte, con i vivaci colori dei lillà e la crescita dei tuberi (versi 2-7), il Figlio dell’Uomo si sente impotente, vedendo il suo mondo costellato solo di “stony rubbish” (“pietrose rovine”, verso 20) e di “broken images” (“immagini frante”, verso 22); Virgilio analogamente contrappone i boschi che cantano il nome di Amarillide (verso 5), come un coro che ubbidisce a Titiro nel ruolo di direttore, alla sorte di Melibeo, costretto a perdere le sue radici e a lasciare la sua terra per andare in mezzo a popoli stranieri (verso 3-4). E’ impressionante la tenacia che Eliot attribuisce agli elementi naturali, grazie alla quale le spente radici del verso 4 diventano poi “the roots that clutch” (“le radici che s’avvinghiano”) al verso 21
19, mentre sia il Melibeo virgiliano che il Figlio dell’Uomo eliotiano sono disillusi di fronte a un futuro che sembra non prospettare niente di positivo. Una differenza tra le due opere riguardo al tema naturale potrebbe essere riscontrata nel fatto che, mentre il prototipo umano prospettato dal poeta americano si trova di fronte a una natura che non dà né riparo, né sollievo né speranze di vita (versi 23-24), Melibeo è costretto a lasciare una campagna descritta come un locus amoenus (versi 51-58). Tuttavia è importante notare che l’immagine di una natura lussureggiante si guasta con la descrizione delle sofferenze di chi vive al suo interno: la partenza di Melibeo causa l’arrivo del soldato empio beneficiario dell’esproprio, che con la colpa di aver ucciso soldati del suo stesso popolo, durante le guerre civili, avvicina “haec tam culta novalia” (“i campi ben coltivati”, verso 70-72) alla desolata natura eliotiana; il poeta latino completa il quadro di dolore rappresentando anche la sofferenza degli animali, come la capretta costretta a partorire sulla nuda pietra (13-15). Il degrado della natura virgiliana è quindi direttamente collegato all’esproprio, che potrebbe essere considerato in un’ottica più ampia come una delle conseguenze delle dinamiche del mondo politico-militare sulla popolazione civile. Analogamente tra i versi 62 e 65 Eliot rappresenta una folla di anime, modellata sull’immagine dantesca dei dannati di fronte all’Acheronte, che sono simbolo dei molti morti tra i civili che ha meritato alla Prima Guerra Mondiale il nome di Grande Guerra. Nella sezione di The Waste Land in analisi c’è un preciso richiamo alla storia romana che spiegherebbe questo collegamento riguardante il motivo bellico: al verso 70 c’è un riferimento alle guerre puniche e più precisamente alla battaglia di Milazzo, che viene inserito in modo paradossale nella narrazione. Oltre alla compresenza di vari piani temporali, troviamo anche vari livelli interpretativi del materiale tematico: il titolo che Eliot sceglie per la prima sezione, The burial of the dead, fa riferimento sia al rito funebre anglicano, sia alla sepoltura dell’effige del dio, simbolo della rinascita della natura, sia alla scomparsa sotto terra degli “uomini vuoti” (che danno il titolo a una poesia posteriore dell’autore), inermi di fronte al dramma che si dispiega davanti ai loro occhi. In questo sbigottimento del genere umano di fronte alla guerra, possiamo riconoscere l’eco della fuga di Melibeo, costretto a lasciare “patriae finis et dulcia...arva” (“la terra dei padri e i dolci campi”, verso 3) in seguito alla rovinosa irruzione della Storia nella sua esistenza, poiché non è stato in grado di concludere il compromesso con il potere che ha decretato la libertà di Titiro (versi 19-25). Di fronte a una simile prospettiva disastrosa non c’è qualcosa di terreno che possa risollevare l’animo umano, infatti sia T.S. Eliot che Virgilio parlano dell’amore, che solitamente è dipinto come una consolazione, come un’esperienza distruttiva: l’uomo innamorato della ragazza dei giacinti, tormentato da una fenomenologia simile a quella stilnovista (versi 39-40), fa eco al protagonista virgiliano Titiro, incapace di trovare la libertà e di occuparsi delle sue finanze a causa del sentimento che lo lega a Galatea (versi 31-32). L’ultima speranza quindi è rivolgersi alla divinità: è curioso osservare come un personaggio pagano si dichiari devoto a un singolo deus (verso 6), lo iuvenis identificato con Augusto, mentre un cristiano come Eliot trovi “shadow under this red rock” (“ombra sotto questa roccia rossa”, verso 25), espressione che fa riferimento alla dimensione collettiva della Chiesa, nonostante The Waste Land sia stata composta cinque anni prima della conversione dell’autore all’Anglicanesimo. In conclusione possiamo notare come due opere distanti di venti secoli rimandino a temi similari, complice l’uso da parte di Eliot del “metodo mitico”, basato sulla costruzione di relazioni tra passato e presente e tra mito e realtà. The burial of the dead e l’Egloga I risultano accomunate da un profondo bisogno di ritornare all’origine, riconosciuta nella natura, per ritrovare il senso dell’esistenza della stirpe umana, che nel millennio intercorso tra le due opere non ha fatto altro che tentare l’autodistruzione, un processo idealmente iniziato con le guerre civili che misero in ginocchio la potenza più grande dell’antichità e destinato a continuare fino alla fine dei tempi. 22
SCANDALO A FILADELFIA di Giovanni Gori
“Scandalo a Filadelfia” (The Philadelphia story) è un film del 1940 diretto da George Cukor e con protagonisti Katharine Hepburn, James Stewart e Cary Grant. TRAMA La viziata ereditiera Tracy Lord (Hepburn), caccia via di casa il marito C.K Dexter Haven (Grant) per il suo bere eccessivo, nonché per i conflitti tra le loro forti personalità su chi assume il ruolo dominante all’interno della coppia, e chiede il divorzio. Due anni dopo è fidanzata con George Kittredge (John Howard), uomo fattosi da sé, ed in procinto di risposarsi. Sidney Kidd (Henry Daniell), direttore della rivista scandalistica “Spy”, detestata da Tracy, invia il giornalista Macaulay Connor (Stewart) alla villa di Tracy con l’incarico di fornirgli delle cronache piccanti: Dexter favorisce il lavoro di Connor, del quale è un ex collega, perché intenzionato a mettere i bastoni tra le ruote a George e tornare con Tracy, della quale è ancora innamorato. Connor giunge nella villa assieme alla sua assistente, la fotografa Liz (Ruth Hussey) ed entrambi vengono accolti da Tracy, che ha intuito il gioco, ma decide di assecondarlo, almeno in parte, perché sa che Kidd ha minacciato la reputazione della sua famiglia con un articolo sulla relazione di suo padre con una ballerina 23
tanto più giovane di lui. In quella serata ogni convinzione di ciascuno si ribalterà e, grazie a Connor, Tracy riuscirà finalmente a capire a chi è davvero rivolto il suo cuore. RECENSIONE Considerata a ragione come una delle commedie più brillanti e sofisticate di Hollywood, è una satira pungente all’alta società americana, dove gli elementi tipici del genere non mancano. La regia di Cukor, parafrasando il Mereghetti, è elegantissima, discreta, ma piena di tensioni sotterranee e gli interpreti sono perfetti nelle parti assegnate, sia in quanto a physique du role sia in quanto a stile recitativo. Fu la stessa Hepburn (che era veramente figlia dell’alta società americana) ad interpretare lo spettacolo teatrale a Broadway nel 1939 e, in virtù del successo che la pièce riscosse, ad assicurarsi i diritti per farne un film con tanto di libertà di decidere sia il regista sia i partner sullo schermo. Grazie al successo ottenuto da questo film la Hepburn si liberò dell’appellativo di “veleno del botteghino” con cui era stata soprannominata a causa del fatto che i suoi film precedenti (che oggi invece sono dei classici) erano stati un flop dopo l’altro. Inizialmente la Hepburn e la produzione, con a capo Joseph L. Mankiewicz, prevedevano per Cary Grant (già partner sullo schermo della Hepburn nelle commedie “Susanna!” e “Incantesimo”), attore già noto allora per il carisma e la perizia dimostrata in ogni genere cinematografico, oltre che per l’ammaliante fascino il ruolo del giornalista e per Stewart, noto allora per i suoi ruoli di giovane idealista e di buone maniere il ruolo dell’exmarito innamorato, ma Grant preferì il ruolo di Dexter. Stewart non si aspettava di vincere l’Oscar come Miglior attore protagonista, anche perché non aveva votato per se stesso, bensì per l’amico Henry Fonda, nominato per “Furore”. Il film è inoltre uno degli esempi (se non addirittura il più famoso) della cosiddetta “Comedy of remarriage”, genere popolare tra gli anni trenta e quaranta in cui una coppia divorziava, intratteneva relazioni con altri partner e infine si risposava (un altro esempio valido potrebbe essere “L’orribile verità”, anch’esso con protagonista Cary Grant), espediente utilizzato per rappresentare una relazione extraconiugale, all’epoca non accettata nella società americana.
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ALÈXANDROS di Giovanni Cavalieri Aléxandros è una trilogia di romanzi storici, opera dello scrittore e archeologo Valerio Massimo Manfredi. TRAMA Il romanzo racconta l’intera vita di Alessandro Magno: dalla nascita nella reggia di Pella, nel regno di Macedonia, alla morte a Babilonia. Il primo libro racconta la giovinezza di Alessandro, segnata dalla vita a palazzo, dagli insegnamenti del filosofo Aristotele, dalla morte del padre, Filippo II, e dal patto di sangue con i suoi fedeli compagni; il secondo libro, invece, racconta l’inizio della campagna militare di Alessandro contro l’Impero Persiano: in Asia Minore, Alessandro si scontra con Memnone di Rodi, mercenario greco al servizio dei Persiani, per poi raggiungere l’Egitto, dove fonda la città di Alessandria; il terzo libro narra poi la vittoria greca a Gaugamela, con la conquista dell’Impero Persiano e i viaggi di Alessandro ai confini del mondo conosciuto. Qui incontra e combatte popoli come gli Sciti, popoli nomadi abitanti le steppe euroasiatiche, e arriva fino all’India. RECENSIONE Questo libro sviluppa la storia di Alessandro Magno in maniera epica e coinvolgente, rimanendo fedele agli eventi storici senza essere troppo lento o monotono. Inoltre il contesto storico è rappresentato in maniera vivida e precisa, permettendo una maggiore immersione nella storia. Il sogno di Alessandro, lo stesso del padre Filippo, lo porta a fare scelte difficili e a combattere numerose battaglie, sia sul campo di guerra che nella sua mente. Il romanzo non affronta solo le battaglie e le conquiste intraprese da Alessandro, ma soprattutto la sua vita: racconta la sua crescita da ragazzo a uomo, timoroso di deludere il padre e soffocato dall’attaccamento della madre, oltre all’amicizia e la fedeltà dei compagni che si indeboliscono nei momenti più difficili. Alessandro viene quindi presentato come un uomo fragile, turbato da timori e sofferenze, nonostante il suo coraggio e la sua determinazione. I rapporti tra i personaggi sono trattati in modo convincente ed equilibrato. Lo stile di scrittura, scorrevole ma intenso, induce il lettore a divorare questo libro in poche settimane, nonostante le sue oltre novecento pagine. Narrare la storia di un personaggio storico come Alessandro Magno non è semplice, vista la sua complessità e la portata di eventi di cui è protagonista, ma lo scrittore è riuscito ad affrontare la tematica storica sia da un punto di vista narrativo che storico, in uno stile che dà al romanzo un tono epico.
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Resoconti di Margherita Arena e Marianna Carniani
Incontro 3/12/20 Giovedì 3 Dicembre si è tenuto il primo episodio di quest’anno del Salottino dell’Alberi-Dante. Sono stati due gli ospiti, molto diversi tra loro: il maestro Alessandro Cosentino ci ha parlato di come è riuscito a unire la sua passione per tutti i genere musicali con la sua formazione classica. Tra intermezzi musicali con il suo violino e molti altri strumenti ci ha parlato della sua storia e di come ha riscritto la Bohème di Puccini nell’opera Mimi è una civetta. E il Dottor Cecili ci ha spiegato cosa è la dignità attraverso esempi, dai più divertenti ai più seri. Per esempio in Francia un nano si faceva lanciare in aria, e veniva pagato per questo, ma il governo francese non lo riteneva giusto perché la sua dignità non era rispettata: secondo voi cos'è più giusto? Spostandoci in Germania troviamo il dibattito riguardante la possibilità di abbattere un aereo che è stato dirottato con passeggeri a bordo. Spostandoci in Italia ci ha parlato del caso di DJ Fabo.
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Incontro 10/12/20 Nella prima parte dell’incontro di giovedì 10 Dicembre abbiamo ospitato Davide Pietroniro e Riccardo Ventrella che ci hanno parlato della Carta 18/XXI, un progetto nato dalla collaborazione tra il Théatre de la Ville di Parigi e il Teatro della Pergola di. La Carta si propone come obiettivo quello di invitare i ragazzi del XXI secolo ad un dialogo in merito a quattro macro-tematiche fondamentali del nostro tempo: arte, scienza, educazione e ambiente. L’obiettivo è creare un ponte, un dialogo, una connessione tra le diverse discipline, tra paesi e città, ma anche tra ventesimo e ventunesimo secolo e tra generazioni diverse. Infatti, diventa fondamentale l’esperienza di persone giovani, ma nate e cresciute nel secolo precedente, che abbiano conseguito risultati importanti nei più diversi campi della cultura e della scienza. Non solo sono importanti le loro esperienze, ma anche il modo in cui hanno affrontato questo periodo storico particolare e come vedono quello che ci aspetta, soprattutto dal punto di vista di un giovane che si affaccia alle questioni fondamentali della vita e del futuro. Spesso i giovani lamentano la mancanza di strumenti di orientamento, la carta può essere vista quindi come una sorta di “manuale di istruzioni” del mondo, nel senso che può contribuire a creare una piccola mappa del mondo con cui orientarsi, capire cosa sta succedendo e quali potrebbero essere le conseguenze nel futuro. Nella seconda parte dell’incontro abbiamo incontrato Alessio Pieroni, fondatore della I.M.A. Sfx, azienda artigiana specializzata in scenografie, effetti speciali e personaggi meccanici. L’azienda nasce nel 1998 grazie alla creatività del signor Pieroni e al suo desiderio di portare avanti la passione per gli effetti speciali e le maschere. L’azienda, divisa in più settori di lavorazione, è un laboratorio dove si fondono arte e artigianato, manifattura artigiana e manifattura digitale, quindi ad esempio la scultura viene affrontata sia con il metodo tradizionale che con quello digitale. In questi anni l’azienda si è dedicata non solo alla realizzazione di effetti per il cinema, ma anche al mondo della moda, alle vetrine e ad allestimenti particolari per produzioni teatrali. Il nostro ospite ci ha parlato della creazione delle maschere che inizialmente erano in lattice, negli ultimi anni si è iniziato a produrle in silicone, un materiale più facile da lavorare, per passare infine alla produzione con la stampante 3D, che permette di bypassare o velocizzare fasi di lavorazione molto lunghe. In particolare, il Sig. Pieroni ha sottolineato come si debba sviluppare una nuova sensibilità perché in Italia, a differenza di altri paesi, questa professione artistica viene purtroppo sottovalutata.
Incontro 17/12/20 Nell’incontro del Salottino dell’Alberti Dante del 17 Dicembre abbiamo avuto come ospite il Dottor Alberto Paloscia, ex-dantino, che ha sempre avuto una grande passione per la musica, specialmente per la musica lirica, ed oggi è arrivato a essere un importante regista. Dopo il diploma classico ha preso una laurea in musicologia e grazie a questa ha iniziato a collaborare per quotidiani e riviste fino a quando nell’83 ha instaurato una collaborazione con il Maggio Fiorentino. Dal ’94 invece ha iniziato a fare il regista di opere: ha vissuto l’opera a tutto tondo! In seguito abbiamo avuto il piacere di intervistare il Dottor Giuseppe Giari, archivista presso l’archivio dell’Opera del Duomo di Firenze. Ci ha parlato di che cosa si occupa come archivista, delle persone con cui lavora quotidianamente e con quali tecniche. Soprattutto ci ha mostrato alcuni esempi di documenti: i registri delle persone battezzate nel Battistero di San Giovanni tra il 1450 e 1900, in cui troviamo nomi di figure importanti e famose, quali Niccolò Machiavelli e Amerigo Vespucci. Oppure il verbale di una riunione svoltasi per decidere dove posizionare il David di Michelangelo, in cui compaiono alcune tra le personalità più importanti del rinascimento fiorentino, come Leonardo Da Vinci e Sandro Botticelli. 27
Incontro 7/01/21 Nella prima parte della puntata di giovedì 7 Gennaio abbiamo incontrato Giovanni Micoli, attore di cinema e di teatro, che ci ha parlato della storia e del teatro e di come può aiutarci a conoscere noi stessi. Micoli ha studiato recitazione a New York e ha partecipato a varie fiction e film per la televisione, ha scritto e diretto opere teatrali per la città di Firenze e alcune di queste sono state anche rappresentate all’estero. La storia del teatro, ha spiegato, nasce nell’Atene del V secolo a.C., e la grande particolarità era che le rappresentazioni si tenevano all’aperto e alla luce del sole, quindi attore e pubblico si vedevano. C’era un rapporto molto diretto in cui l’attore mimava i suoi stati d’animo, anche perché indossava una maschera ed era quindi impossibile distinguere le espressioni del suo viso. Allora come adesso, fondamentale era che l’attore si sentisse solo e senza pubblico. La parola emozione deriva dal verbo latino moveo quindi l’attore per portare in scena le emozioni si deve muovere in base a queste emozione. Se si muove bene ‘cum muove’ il pubblico (il pubblico si muove con lui). Il giovane attore però all’inizio non è libero di muoversi perché protegge sé stesso, in modo inconscio salva il proprio corpo dai dardi che pensa possano arrivare dal pubblico. Proprio la paura è l’ostacolo maggiore al fluire dell’arte ed il teatro è un mezzo eccezionale per sperimentare sé stessi. Micoli ha fondato l’associazione culturale ‘La stanza dell’attore’ e collabora anche con la Fondazione Meyer grazie a Teen Academy, una web TV di cui è direttore. Teen Academy si occupa in particolare di fare video che trattano di temi come la salute, il benessere e la felicità, con l’obiettivo di coinvolgere i ragazzi ricoverati in ospedale. Nella seconda parte della puntata abbiamo incontrato Claudia Brancaccio, professoressa d’orchestra e violista. Musicista, diplomata in pianoforte e viola, è sempre stata incuriosita dal come si arriva ad un concerto, come si organizza un evento culturale, perché spesso gli artisti si tengono lontani dagli aspetti organizzativi di uno spettacolo. Per approfondire questo aspetto si è laureata in Psicologia con indirizzo Comunicazioni e Organizzazioni. La maestra Brancaccio ci ha parlato della sua attuale esperienza come direttrice e responsabile artistica dell’Orchestra di Milano Classica, un’orchestra da camera che organizza concerti, presso la Palazzina Liberty di Milano, che hanno la caratteristica di offrire un modo nuovo di approcciarsi al pubblico. La sfida è quindi proprio quella di provare a fare avvicinare alla musica classica un pubblico non abituato a questo genere di concerti, proponendo anche musica più difficile e meno conosciuta ma in modo diverso, ossia cambiando il contesto e cambiando il modo di presentarla. Un passo avanti è stato quello di spostare l’orchestra al centro della sala con tutto il pubblico intorno. La maestra ci ha confidato che si è trattato di una scelta coraggiosa perché avere il pubblico intorno è un’emozione fortissima, è bellissimo per i musicisti percepire l’energia del pubblico ed è bellissimo anche per il pubblico osservare da vicino i musicisti. Il pubblico non è quello del Teatro alla Scala, ma è un pubblico meno esperto che magari non sa nemmeno cosa andrà a sentire, ma che sa che sicuramente parteciperà ad un’esperienza artistica forte e di valore. L’incontro si è concluso con un quadro generale sulla discriminazione che anche in ambito musicale colpisce uomini e donne, soprattutto per quanto riguarda la funzione di direttore artistico.
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Incontro 14/01/2021 Giovedì 14 Gennaio abbiamo avuto il piacere di ospitare lo storico dell’arte Francesco Montanari. Il tema principale dell’incontro è stato l’importanza del pensiero critico in tutti i campi. Da Socrate agli scrittori moderni, abbiamo fatto un tuffo nella cultura e su come questa è utile in qualsiasi campo. La scuola spesso viene considerata il luogo in cui si devono formare i “pezzi di ricambio” del mondo, ma non dovrebbe essere così, le nuove generazioni dovrebbero riuscire a cambiarlo. La bellezza della conoscenza e che attraverso questa siamo tutti sullo stesso piano, il dibattito avviene a pari dignità e mutuo rispetto perché nel sapere c’è la volontà di comunicare e interagire con altre persone. L’oggetto della storia è l’uomo o meglio gli uomini nella loro collettività e per questo la storia può essere considerata la scienza del diverso. Molto interessante è stata anche la riflessione sul rapporto fra il presente e il passato: l’incomprensione del presente viene dall’ignoranza del passato, ma si deve conoscere il presente per capire il passato.
Incontro 21/01/20 Nella prima parte dell’incontro di giovedì 21 Gennaio abbiamo ospitato Mario Pietramala, attore professionista, che ci ha parlato di due progetti da lui ideati. Il primo “Incursioni nei classici”, nasce con l’idea di irrompere in classe la mattina e condurre una lezione di italiano dando una lettura teatrale e interpretata di un testo classico. Leggendo a voce alta e con passione, si crea un’alchimia in classe che aiuta chi ascolta ad immedesimarsi nel testo. Il secondo progetto “Diamo corpo alle parole” prevede incontri e giornate di approfondimento presso il ‘Lavoratorio’, con l’intento di insegnare a leggere a voce alta. Si tratta quindi di un corso di formazione dove si apprendono tecniche di dizione e lettura espressiva. L’obiettivo non è solo quello di trasformare gli allievi in attori, o di rendere accattivanti i testi classici, ma è quello di avvicinare le persone ad una componente di sé che non sempre si prende in considerazione, ossia la parte immateriale che abbiamo dentro, che ci emoziona, che si muove insieme a noi e che alleniamo sempre troppo poco. Il nostro ospite ci ha poi spiegato alcuni esercizi per migliorare la dizione: davanti allo specchio per imparare ad articolare bene i suoni, gli scioglilingua, ed in particolare uno brevettato da lui, la sillabazione sbagliata, una sorta di scansione in sillabe dove però è necessario mettere l’accento non sulle vocali ma sulle consonanti. Nella seconda parte dell’incontro abbiamo ospitato Elena Bianchini, responsabile del Laboratorio di Costumi e Scene del Teatro della Pergola. Qualche anno fa, con la nomina del Teatro della Pergola a Teatro Nazionale, è partito il progetto di realizzare un laboratorio sia per le scene che per i costumi. Il laboratorio si trova nelle soffitte del teatro e da qualche anno è sede di corsi di formazione. In particolare, ci sono due sessioni di corsi all’anno relativi alla messa in scena degli spettacoli; sono corsi molto pratici che spaziano dalla sartoria teatrale, alla realizzazione di attrezzeria, alle maschere, ma si occupano anche di macchineria teatrale e illuminotecnica. La nostra ospite ci ha parlato della differenza tra costumi teatrali e cinematografici. Si tratta di tipologie di costumi diverse, non tanto dal punto di vista dei modelli, ma perché i costumi teatrali devono essere osservati da lontano, mentre quelli cinematografici vengono inquadrati da vicino attraverso la telecamera. La nostra ospite ci ha poi mostrato alcuni bozzetti realizzati per spettacoli già andati in scena e ci ha spiegato come solo sulla scena sia possibile valutare se un costume è stato realizzato bene oppure no: solo sotto l’effetto delle luci di scena è possibile vedere se il costume verrà valorizzato. 29
Incontro 28/01/21 Nella prima parte della puntata abbiamo ospitato la Dott.ssa Ilaria Pagni, ricercatrice presso il dipartimento di giurisprudenza di Firenze. L’obiettivo della nostra conversazione è stato quello di ragionare sul concetto di cittadinanza e su due punti fondamentali: i diritti che spettano al cittadino e quelli che spettano al non cittadino, per arrivare poi a definire chi è il cittadino e a specificare in base a quali elementi una persona può essere considerata un cittadino. La cittadinanza, ci ha spiegato, ha una dimensione giuridica con diritti e doveri, una dimensione politica ossia legata all’appartenenza ad una comunità politica e quindi legata all’esercizio dei diritti politici, una dimensione sociale e una identitaria. In termini giuridici, la cittadinanza è una condizione che appartiene ad un individuo e a questo status sono collegati diritti e doveri. La Dott.ssa Pagni ci ha quindi coinvolto in un dibattito riguardo al diritto di voto, al diritto alle cure del servizio sanitario nazionale e alla possibilità di circolare liberamente nel territorio nazionale. Nella costituzione non troviamo regole che ci dicono esattamente chi possa essere considerato cittadino e chi no, anzi c’è anche una certa ambiguità riguardo ai diritti. A volte gli articoli della costituzione parlano di diritti dei cittadini, a volte parlano di diritti degli uomini o di tutti. Un’ulteriore distinzione viene fatta tra cittadino straniero comunitario e non. Avere la cittadinanza ha un impatto sia di accesso ai diritti, perché tutto è più facilitato, sia a livello simbolico, identitario e anche a livello politico. Nella seconda parte della puntata abbiamo ospitato il Dott. Vittorio Gasparrini, presidente del Centro per l’Unesco di Firenze che ci ha introdotto il tema della bioetica. I Centri per l’Unesco sono delle organizzazioni che sul territorio sono autorizzate a promuovere gli ideali e i programmi di azione dell’Unesco. L’Unesco, che è anche scienza, si è occupata del problema della bioetica molto presto, ha creato un comitato internazionale nel 1993 composto da 36 membri competenti nel campo delle scienze biomediche, in quello delle scienze umane e sociali, nel campo dei diritti umani e della filosofia. Uno degli argomenti principali è ad esempio quello del genoma umano, a proposito del quale si specifica che non è permessa la manipolazione genetica per altri fini oltre a quelli previsti nella Dichiarazione universale sul Genoma Umano, e che la ricerca genetica non può essere un mezzo per creare discriminazioni tra le persone. Attualmente il comitato sta affrontando alcune tematiche relative alla pandemia di Covid-19, in particolare cosa si debba fare per garantire l’accesso delle cure a tutti, a come vadano distribuite le risorse in modo equo, e anche a come affrontare il problema delle fake news relative ai vaccini. Al termine della puntata il Dott. Gasparrini ha sottolineato che a scuola ci dovrebbe essere più spazio per la bioetica anche se non come materia a sé, ma con la possibilità di cercare le tematiche nelle materie che normalmente si studiano.
Troverete le puntate sul canale YouTube della nostra scuola 30
Fra terra e cielo di Aurora Gori
3 Febbraio 2021 ore 18.00 L’area educazione, coordinata da Enrica Paoletti, dell’Opera di Santa Maria del Fiore che da sempre ha proposto offerte formative innovative e stimolanti, a causa dell’emergenza Covid-19, da marzo 2020, si è dovuta adeguare alle normative. Non per questo si è però fermata, proponendo una didattica in presenza e online con nuove ed incredibili esperienze modulate sulla consapevolezza che è giunto il tempo per i musei di rinnovare il proprio ruolo sociale, guardando al futuro. In vista di ciò, in data 3 Febbraio 2021 alle ore 18.00, Chiara Damiani presenterà le nuove proposte educative a cura di Stazione Utopia, impresa sociale per la cultura e lo spettacolo; Sergio Givone, filosofo e membro del consiglio d’amministrazione dell’Opera di Santa Maria del Fiore, proporrà a insegnanti e appassionati una conversazione sulla realizzazione della Cupola del Duomo, da sempre espressione di un atteggiamento mentale che mira ad andare oltre, sfidando i limiti dello stesso pensiero. Ed è proprio in momenti di dubbi e incertezze come quelli che stiamo vivendo che le sfide ai limiti dell’impossibile si trasformano nel trampolino per il futuro. Ma quale eredità culturale, quali modelli concreti consentirono a Brunelleschi di compiere questo balzo in avanti, ed entrare in una nuova era? Troverete il link per l’iscrizione alla videoconversazione con il professor Givone sulla pagina de I’Giornalino!
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