NO 21 MARZO 2022
I’GIORNALINO
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Credo, Carlo Bramanti Credo che nessuno muoia credo che l’anima in realtà divenga un’ombra e al culmine del suo vagare si adagi ai piedi d’un fiore non visto, quei fiori gialli di cui son piene le campagne quando fai ritorno a casa.
Dedicato a Laura Florio e Riccardo… 3
REDAZIONE ffi
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Direttrice GIULIA AGRESTI (VB) Vicedirettrice MARGHERITA ARENA (VB) Redattori CATERINA ADEMOLLO (IVB), RAVEN BEEL (IIC), GEMMA BERTI (IVB), NICCOLÒ BETTINI (IVB), MARIANNA BEZZENGHI (IVB), CATERINA CARAVAI (IVB), ELENA CASATI (IVB), GIOVANNI CAVALIERI (IIIA), LETIZIA CHIOSTRI (IVB), FRANCESCO GIOVANNUZZI (IVB), GIOVANNI GIULIO GORI (IIIB), GIOVANNI GUIDI (IIIB), ELETTRA MASONI (IIIB), MARGHERITA MOLFETTA (IVB), RACHELE MONACO (IIIB), FRANCESCA ORITI (VB), SARRIE PATOZI (VB), SOFIA VADALÀ (IVA), GIORGIA VESTUTI (IVB) Social Media GEMMA BERTI (IVB), ELENA CASATI (IVB), MARIA VITTORIA D’ANNUNZIO (IVB) U cio Comunicazioni ELENA CASATI (IVB) Impaginatori GEMMA BERTI (IVB); MARIANNA CARNIANI (VB) Collaboratori esterni DIEGO BRASCHI, PIETRO SANTI Referenti PROFESSOR ANGELO CASTELLANA, PROFESSORESSA ELISABETTA TENDUCCI
8 MARZO....................................................................7 THE OSCARS.............................................................8 ASPETTANDO LUCILLA..........................................10 SANREMO 2022.......................................................12 MAURIZIO POLLINI, UN PIANISTA SENZA ETA'...14
#SIAMO TUTTI PANGEA.........................................15 TRAGICA STORIA DI UNA STRANA PAROLA.......16 IL FAIR PLAY.............................................................20
INDICE
IL DIAVOLO DELLA GIAMBOLOGNA.....................21 DUE CONSIGLI SULLO SCAFFALE........................23
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8 marzo: una ricorrenza fondamentale per ricordare la formidabile lotta per l’emancipazione delle donne di tutto il mondo. Ma perché è stata scelta proprio questa come data? Esistono due avvenimenti che vengono ricollegati a tale scelta, uno più simbolico, l’altro più sostanziale. 8 marzo 1908, New York Un gruppo di operaie dell’industria tessile Cotton promulgò uno sciopero contro le condizioni tremende in cui le donne si trovavano a dover lavorare, per cui i datori di lavoro le chiusero a chiave dentro la fabbrica per metterle a tacere e per far sì che non interrompessero il proprio lavoro. Scoppiò un incendio e morirono 134 lavoratrici bloccate all’interno dell’industria senza vie d’uscita. In realtà tale storia è vera solo parzialmente: l’incendio avvenne, ma nel marzo 1911 nella fabbrica Triangle, e uccise 146 persone, di cui la maggior parte erano donne. La distorsione dell’evento è dovuta alla forte connotazione politica che la Festa della Donna ha assunto nel corso degli anni. 3 maggio 1908, Chicago È questa la prima data in cui si celebrò il Woman’s day, giorno in cui la socialista Corinne Brown presiedette la conferenza del partito socialista a Chicago. Dopo tale avvenimento il 23 febbraio 1909 si decise di istituire la prima Giornata Nazionale della Donna negli Stati Uniti. L’anno successivo a Copenaghen durante la seconda Conferenza Internazionale delle Donne Socialiste si decise di istituire una giornata dedicata alla rivendicazione dei diritti della donna. La data verrà stabilita solo nel 1921 durante la seconda Conferenza Internazionale delle Donne Comuniste a Mosca: si scelse di dedicare la festa al ricordo dell’8 marzo 1917, giorno in cui le cittadine di San Pietroburgo manifestarono per chiedere la fine della guerra. In Italia invece la Giornata della Donna è stata celebrata il 12 marzo fino al 1944, quando l’UDI (Unione Donne Italiane) aderì alla data stabilita in Russia 22 anni prima. L’ONU ha poi riconosciuto nel 1975 l’8 marzo come Giornata Internazionale delle Donne e da quell’anno i movimenti femministi di tutto il mondo hanno festeggiato per ricordare la lotta all’emancipazione e all’uguaglianza dei due sessi. In ricordo di tali notevoli avvenimenti, non posso che augurare a voi lettrici de I’Giornalino una buona festa della donna (e a voi lettori una buona lettura!). Giulia Agresti
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di Margherita Molfetta
Giù la maschera
La 94 edizione dei Premi Oscar si terrà a breve, ovvero il 28 marzo, andiamo quindi a vedere insieme alcuni dei titoli candidati per il premio!
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Troviamo “Don’t look up”, che vede protagonisti Leonardo di Caprio, Meryl Streep, Jennifer Lawrence, Timothée Chalamet e altri. Una coppia di astronomi si accorge dell’esistenza di un meteorite in rotta di collisione con la Terra. I due scienziati cercano di avvertire tutti sulla Terra che il meteorite distruggerà il pianeta in sei mesi, ma nessuno sembra prenderli sul serio, nemmeno la Presidente degli USA. L’8 novembre 2019 la Paramount Pictures ha annunciato il progetto, con Adam McKay come regista, sceneggiatore e produttore. Il 19 febbraio 2020 Netflix ha acquistato dalla Paramount il film, che è risultato essere il più visto su Netflix in Italia nel periodo di Natale 2021 e nel gennaio 2022 è diventato il secondo film più visto di sempre sulla piattaforma. Le prime reazioni della critica statunitense sono state positive, soprattutto per il cast: IndieWire definisce il film “brillante e divertente”, elogiando l’interpretazione di Leonardo DiCaprio; Erik Davis di Fandango promuove la “divertente satira sull’apocalisse”; Scott Feinbergdel di The Hollywood Reporter elogia “le performance di uno dei migliori cast di sempre”; anche Jazz Tangcay di Variety loda il cast e pone il film tra i favoriti ai Premi Oscar 2022. Roberto Nepoti sulla Repubblica ha ritenuto che la pellicola rappresentasse con una certa banalità i temi trattati, dando un voto di 2,5 su 5; per Gianmaria Tammaro de La Stampa la pellicola propone un sistema di personaggi che, seppur ben congegnato, rappresenta la realtà con eccessiva semplificazione, andando a proporre una critica superficiale della società. Troviamo poi “Dune” che vede protagonisti ancora una volta Timothée Chalamet, Zendaya e Rebecca Ferguson. In un distante futuro, il duca Leto Atreides accetta la gestione di un pericoloso pianeta, Dune, che
diverrà fonte di una droga in grado di allungare la vita e fornire eccezionali capacità mentali. Con un budget di 165 milioni di dollari, le riprese del film iniziarono il 18 marzo 2019 negli Origo Film Studios di Budapest per poi proseguire in Giordania fino al termine dei lavori nel luglio 2019. Le scene ambientate sul pianeta Caladan sono state girate nella penisola dello Stadlandet, in Norvegia; mentre alcune scene sul pianeta Arrakis sono state riprese all’oasi di Liwa, negli Emirati Arabi Uniti. Prima della presentazione alla 78ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, il regista ha dichiarato di aver pianificato una trilogia di Dune, composta da due film basati sul romanzo e un terzo basato su Messia di Dune. La Warner Bros assicurò a Villeneuve che il sequel avrebbe avuto il via libera se il film avesse ottenuto buoni risultati su HBO Max, un servizio streaming di video on demand statunitense. Sull’aggregatore Rotten Tomatoes il film riceve l’83% delle recensioni professionali positive con un voto medio di 7,6 su 10 basato su 451 critiche; mentre su Metacritic ottiene un punteggio di 74 su 100 basato su 66 critiche; infine, Best Movie posiziona il film al terzo posto dei migliori nel 2021. Infine, troviamo “La fiera delle illusioni-Nightmare Alley” dal romanzo del 1946 Nightmare Alley di William Lindsay Gresham, trasposto in pellicola l’anno successivo da Edmund Goulding e nel 2021 da Guillermo del Toro. La pellicola vede protagonisti Bradley Cooper, Cate Blanchett, Willem Dafoe e altri. La prima versione del film aveva come unico nome di richiamo, sul quale gravava l’onere delle fortune pubblicitarie del film, quello del popolarissimo Tyrone Power. L’operazione non sortì l’effetto desiderato. Suscitando furiose polemiche alla sua uscita nelle sale, perché il pubblico statunitense non tollerava di vedere uno dei suoi divi più amati nei panni di un personaggio decisamente respingente, il film si rivelò un insuccesso commerciale, ma fu poi rivalutato in sede critica nel corso dei decenni. Nel 2021 è stato proposto un nuovo adattamento con la regia di Guillermo del Toro e con Bradley Cooper nel ruolo che fu di Tyrone Power e Cate Blanchett nei panni della spietata Lilith Ritter. Un giostraio ambizioso con un talento nel manipolare le persone con poche parole ben scelte inizia una relazione con una psichiatra che si rivela essere ancora più pericolosa di lui. Dopo l’anteprima di New York, la critica ha elogiato il film; Ramin Setoodeh e Clayton Davis, rispettivamente direttore e redattore di Variety, hanno elogiato la performance del protagonista Bradley Cooper, la regia e le scenografie del film; anche Erik Davis di Fandango loda le prove di Cooper e Cate Blanchett, la quale è stata profondamente elogiata anche da Kevin Polowy di Yahoo Entertainment. In alcune sale cinematografiche di Los Angeles è stata distribuita, per pochi giorni dal 14 gennaio 2022, la versione in bianco e nero del film, intitolata Nightmare Alley: Vision in Darkness and Light.
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ASPETTANDO LUCILLA di Letizia Chiostri
OGNUNO DI NOI HA TRE VITE: UNA PUBBLICA, UNA PRIVATA E UNA SEGRETA… Questo sarà il titolo della prossima commedia con la quale salirò sul palco il 26 e il 27 marzo al Circolo ACLI Gl’incontri, a Sesto Fiorentino, con la compagnia teatrale “Metropolis”. Lo spettacolo è l’adattamento teatrale del film “Perfetti Sconosciuti”, uscito nel 2016 e diretto da Paolo Genovese, con Marco Giallini, Kasia Smutniak, Benedetta Porcaroli, Valerio Mastandrea, Anna Foglietta, Alba Rohrwacher, Edoardo Leo e Giuseppe Battiston. Rocco ed Eva, marito e moglie con una figlia, Sofia, hanno organizzato una cena con i propri amici: Lele e Carlotta, coniugi in crisi, e Bianca e Cosimo, coppia sposatasi da poco. Tutti sono eccitati e stanno aspettando di conoscere Lucilla, la nuova compagna del loro amico Beppe, ex professore di ginnastica che ora ha messo su qualche chiletto… Tuttavia, con grande delusione degli altri, Beppe si presenta da solo, scusandosi molto perché Lucilla ha la febbre e non si sente molto bene. La cena procede normalmente, finché Eva non propone un gioco: tutti i messaggi e le chiamate che arriveranno per tutta la durata della serata trascorsa insieme dovranno essere letti pubblicamente ed ascoltate in vivavoce. Rocco vorrebbe tirarsi indietro perché è spaventato, non tanto del fatto che un suo segreto venga scoperto, quanto delle conseguenze che questo “giochetto” abbia nei loro rapporti. Ormai i nostri telefoni sono diventati la scatola nera della nostra vita. Qua dentro abbiamo riposto tutta la nostra interiorità senza alcuna riservatezza se non quella nei confronti di coloro che vorrebbero 10
interferire nella nostra sfera “privata”, o meglio dire digitale. Queste grandiose innovazioni tecnologiche ci hanno permesso di evolverci e, in un certo senso, hanno consentito a chiunque di esprimere le proprie opinioni, garantendo il diritto di libertà di parola. Eppure, hanno creato anche divisione sociale: basti pensare che spesso la maggior parte delle persone su un mezzo pubblico o per strada – e non solo giovani – guarda il telefono. Quasi la nostra società ha perso la capacità di alzare lo sguardo e di parlare faccia a faccia. In certi casi, dopotutto, è più facile farlo nascosti dietro uno schermo e, magari, dietro una falsa identità. Sembra quasi che le parole di Luigi Pirandello fossero profetiche, quando scrisse: “c’è una maschera per la famiglia, una per la società, una per il lavoro. E quando stai solo, resti nessuno.” Adesso potremmo aggiungere che esiste un’altra maschera per i social, che ci trasforma in qualcosa che non siamo realmente e ci porta a compiere atti che non avremmo mai pensato di poter compiere. E così anche i protagonisti della nostra storia, tra una risata e l’altra, sono costretti a confrontarsi con quel mondo temibile ed ingannevole che nasconde il nostro vero Io con una facciata innocente e felice. Con il gioco dei telefoni proposto da Eva questa apparenza viene ridotta in frantumi e tutti i personaggi sono obbligati a mostrare la loro vera natura e le loro cicatrici. Insomma, senza anticipare niente, coloro che hanno visto il film – o che verranno a vedere lo spettacolo – possono facilmente intuire che l’effetto ottenuto non potrà che rispecchiare totalmente le paure di Rocco. E il pubblico certamente prova un moto di compassione per i personaggi, ma in fondo in fondo si accorgerà che tutti abbiamo qualcosa da nascondere, fingendo che la nostra vita sia come quella di prima. Sarà bene ricordarsi che sotto la pressione della segretezza possiamo scegliere se piegarci e allontanarci dal mondo reale, o spezzarci e rivelare la verità. Ciò che più, a mio avviso, permette allo spettatore di immedesimarsi e immergersi completamente nella storia è la scelta scenografica compiuta dal regista, Tommaso Parenti, che – ovviamente – non svelerò.
Vi aspettiamo a teatro sabato 26 alle ore 21 e 15 e domenica 27 alle ore 17. E mi raccomando, portate Lucilla con voi! 11
di Giovanni Gori
Più di una settimana fa si è conclusa la settantaduesima edizione del Festival di Sanremo, condotta da Amadeus per il terzo anno consecutivo e che ha visto la vittoria di Mahmood e Blanco con Brividi, davanti ad Elisa con “O forse sei tu” e a Gianni Morandi, terzo classificato con “Apri tutte le porte”. Questa edizione del festival (come le precedenti) ha ottenuto ottimi consensi da una parte, ma da un altro lato ha sollevato numerose polemiche (che, nel 99,5% dei casi, va detto, sono costruite ad arte), riguardanti soprattutto alcuni ospiti e il comportamento sul palco di alcuni artisti. Andiamo, allora, ad analizzare pregi e difetti di questo Festival che fa parte integrante della nostra cultura dal 1951 e a riflettere sul perché sia diventato così importante per noi italiani da settantun anni a questa parte. Il Festival di Sanremo è, sicuramente, come già accennato, un caso mediatico di enorme importanza, che da anni a questa parte si è trasformato non solo nel più importante evento del panorama musicale italiano, ma anche una palestra di evasione dalla società in cui viviamo, una sorta di realtà alternativa se vogliamo dirla tutta. E’ principalmente nelle ultime tre edizioni, che hanno visto Amadeus al timone, che il Festival ha 12
subìto una sorta di rinnovamento non solo musicale ma anche comunicativo: in particolare il podio finale dell’ultima edizione, inserendo tre generazioni ciascuna con una canzone a modo suo meravigliosa , è stato in grado di accontentare un pubblico enormemente vasto: vi sono due giovani che portano sul palco dell’Ariston una ballata incentrata sui problemi che si hanno ad esternare i propri sentimenti magari per una questione di orgoglio, un’artista affermata che parla d’amore con una delicatezza unica, avvalorata da una voce incantevole; immutata da quella che aveva ventun anni fa quando vinse il Festival alla sua prima e finora unica partecipazione con quel piccolo gioiello che era “Luce (Tramonti a Nord-Est)” e un veterano della musica italiana che porta sul palco un brano ballabile e spensierato firmato Jovanotti , con la stessa grinta che lo caratterizzava fin dagli inizi della sua carriera, nei lontani anni sessanta, dopo essere stato anche un ottimo conduttore del Festival nel biennio 2011-2012. Tra i cantanti in gara ha fatto scalpore l’esibizione di Achille Lauro (in gara assieme all’Harlem Gospel Choir con Domenica, poi giunta al quattordicesimo posto) noto per l’esibizionismo sul palco
che mira alle provocazioni contro esponenti della classe politica italiana noti per la loro omofobia e contro membri del clero (quest’anno la polemica era dovuta al fatto che ha simulato un battesimo), provocazioni che molto spesso consentono di distogliere l’attenzione dalle numerose incapacità musicali del soggetto in questione. Ma chi veramente merita una menzione d’onore in questa edizione del Festival sono gli ospiti, che, ognuno a modo suo, hanno portato sul palco quella scossa che, in qualche modo, serviva a far smuovere le coscienze del pubblico e a far riflettere sui nostri punti di vista: in particolar modo, oltre al monologo sul razzismo di Lorena Cesarini, ha suscitato scalpore la partecipazione di Checco Zalone. Il noto comico, infatti, attraverso vari sketch, ha preso in giro l’italiano medio; la sua ironia, tuttavia, ha spaccato in due l’opinione pubblica: da un lato vi sono le persone che lo esaltano per la sua presa di giro, appunto, dell’italiano medio, omofobo e misogino, dall’altra c’è chi, anche e soprattutto tra gli esponenti delle cosiddette “minoranze” parodiate da Zalone, si è sentito offeso da questi sketch, dicendo che inneggiavano alla transfobia. L’intento antiomofobo era abbastanza chiaro (parere personale dell’autore dell’articolo), quindi è strano tutto questo fraintendimento. E c’è da dire che se un uomo di spettacolo riesce a far dividere l’opinione generale, allora è perfettamente riuscito nell’intento di far parlare di sé. Oltre a Zalone ha fatto molto parlare di sé anche Drusilla Foer: partiamo con il dire che Drusilla Foer non esiste nella vita reale(così come non esiste nella vita reale Checco Zalone, maschera inventata da Luca Medici): dietro la maschera dell’irriverente signora anziana, infatti, si cela Gianluca Gori, attore fiorentino, il quale ha creato questo personaggio, Drusilla Foer appunto, sua alter ego al femminile, il (o “la”) quale ha fatto un
monologo il cui argomento è stato il monito di non considerare le persone “diverse” (per il loro orientamento sessuale o colore della pelle) ma “uniche”: affermazione che in molti potrebbero dare per scontata, ma che, a ben guardare (specie di questi tempi) non lo è. Quindi, un grande applauso a Drusilla e alla sua geniale irriverenza e sagacia sul palco. Insomma, il Festival di Sanremo, è un evento che, nel bene o nel male, coinvolge tutto ciò che interessa all’Italia e agli italiani: riesce a far stare insieme tutte le generazioni . E poco importa se qualcuno afferma che non segue il Festival e non ascolta le canzoni, perché, in linea di massima, chiunque, una volta finito Sanremo, ha da dire la sua su qualunque cosa si sia fatta polemica e sentirà, magari mentre la passano in radio, oppure sul suo cellulare; per pura curiosità, una canzone tra le tante in gara. Sanremo interessa tutti. Anche quelli che non sono interessati a Sanremo. E questa settantaduesima edizione altro non ne è che l’ennesima prova.
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MAURIZIO POLLINI, UN PIANISTA SENZA ETÀ di Giovanni Guidi
7 febbraio 2022… Maurizio Pollini è tornato! La Sala Santa Cecilia del parco della Musica di Roma era gremita di gente e, nonostante aspetto ed età diversi, eravamo lì tutti per lo stesso motivo, ovvero quello di assistere al concerto di uno dei più grandi pianisti contemporanei che, pur avendo da poco compiuto 80 anni, non ha perso né il suo spirito né la sua espressività senza pari. “Pollini non suona mai per dimostrarti quanto è bravo, ma per farti sentire quanto è bella la musica che sta facendo”, tali parole del violinista Salvatore Accardo sono sufficienti per delineare uno degli aspetti principali di questo artista; infatti, è proprio l’umiltà che, in unione con la sua ineguagliabile bravura, lo rende il formidabile pianista che è oggi, quel pianista che, nonostante l’età, segue la sua passione a tal punto da scegliere un programma estremamente complicato, ma che non lasci fuori Beethoven, Schumann e Chopin, i suoi tre compositori preferiti con i quali il rapporto è quasi fraterno. Il suo ingresso in sala è stato come un’apparizione e lo scroscio di applausi così immediato e intenso che sarebbe potuto continuare per ore, ma Pollini, dando prova ancora una volta della sua forte personalità, lo ha bruscamente interrotto sedendosi di fronte a quel meraviglioso Steinway e iniziando ad accarezzarne i tasti. Dalle prime e amabili note della Bagatella op. 126 n. 3 di Beethoven a quelle forti e decise dello Scherzo n. 1 di Chopin, ultimo brano del programma, l’emozione e la felicità erano palpabili nell’aria e visibili sul volto di chiunque. Quando il concerto è terminato, oltre che a non andarsene, nessuno di noi accennava a muoversi, come se quelle stesse sensazioni provate fino a poco prima volessero tenerci lì inchiodati per paura di svanire o di essere dimenticate. Allo stesso modo di un sogno, questo momento sembrava interminabile, ma, pochi attimi dopo, tutti stavamo applaudendo anche se, in realtà, nessuno di noi ne era cosciente; l’entusiasmo era tale da rendere il gesto spontaneo come il respiro e, nonostante i minuti passassero, nessuno sembrava intenzionato a far cessare quel momento, diventato per tutti indispensabile. Questa magia, però, si era spezzata, o meglio aveva raggiunto il culmine, quando Pollini, rientrato in sala per l’ennesima volta, si era seduto e, con quella sua immancabile delicatezza e profondità, aveva cominciato a suonare la ballata n. 1 di Chopin. È proprio con quest’ultimo brano fuori programma, che il concerto è definitivamente terminato e noi eravamo lì, sbalorditi e in ammirazione verso quel pianista che rispetto all’inizio dell’esibizione sembrava cambiato poiché, come dice spesso: “soli, immersi nella musica, il tempo si ferma. A volte persino va indietro e si torna giovani”. 14
#SIAMOTUTTIPANGEA di Caterina Ademollo e Francesca Oriti
Pillole di attualità
Giovedì 17 febbraio abbiamo avuto la fortuna di intervistare Luca Lo Presti, fondatore e direttore di Pangea Onlus, un’associazione per le donne di tutto il mondo, per chi vuole ricostruirsi una vita e ritrovare la pace, e per chi vuole aiutarle a raggiungerla. Pangea opera in varie zone del mondo, in Italia, in Afghanistan, o in India, e siamo andati a scoprire più nel dettaglio cos’è, cosa fa e come. Com’è nata Pangea? Per caso, ero in missione, operando sul campo come volontario presso i campi p r o f u g h i . Ve d e n d o l e situazioni di crisi, e la sofferenza dei bambini e delle famiglie, ho capito di dovermi attivare, ma anche di non poterlo fare lì, su due piedi, senza supporti o appoggi: invece che concentrarmi sui singoli individui, ho cercato di trovare il modo per aiutare più persone possibile. Ed è da questo desiderio che è nata Pangea: inizialmente senza obiettivo, abbiamo fatto un po’ più di fatica per stabilizzarci, ma poi pian piano abbiamo capito dove concentrare i nostri sforzi. Vedendo le varie problematiche dei bambini negli orfanotrofi, siamo poi arrivati a toccare in prima persona quelle che sono anche le situazioni al di fuori di questi, ovvero, com’è naturale, nelle famiglie: così ci siamo avvicinati alle donne, e siamo giunti a comprendere che, aiutando queste ultime, possiamo gradualmente portare aiuto anche ai loro figli, per evitare che esperienze magari violente o traumatiche possano poi avere ripercussioni sul bambino e sulle interazioni all’interno del nucleo familiare, introducendo così nuova sicurezza e consapevolezza riguardo al futuro che potranno costruire. E per quanto riguarda l’azione di Pangea in Italia? Qui in Italia agiamo attraverso il progetto “Reama”, nel quale le donne vittime di violenza sono ascoltate e formate affinché possano uscire dalla loro situazione e mettere la propria esperienza a disposizione di altre donne. Vengono inserite in un programma vasto che guarda al futuro, ad esempio con il progetto “Giovani donne: che impresa!”: Pangea prioritizza l’offrire soluzioni alle donne in modo che queste possano 15
raggiungere un’autonomia economico-finanziaria e una propria vera capacità decisionale. Proprio per questo si impegna a fornire strumenti adeguati che le aiutino, in un percorso di accompagnamento, supporto, informazione e formazione per coloro che vogliano entrare nell’universo lavorativo realizzando la propria, unica e inimitabile idea di impresa. Un’esigenza più che mai attuale, viste anche le ripercussioni economiche che la pandemia in atto ha avuto soprattutto sull’universo femminile. Quali erano le vostre iniziative in Afghanistan prima dell’avvento dei talebani? La nostra filosofia è sempre stata “ascoltare, accogliere e accompagnare”. Trovandoci immersi in un contesto culturale nuovo, la prima cosa da fare era capire le esigenze reali senza imporre la nostra visione del mondo. Tra le donne italiane ed afghane c’è una differenza sostanziale, infatti se quando accogliamo le vittime di violenza domestica nel nostro Paese il primo passo è ridare loro autostima, le donne afghane hanno già raschiato il fondo e non avendo quell’assurda necessità di nascondere il dolore e la morte che invece la nostra società impone, riescono a costruire importati reti di sorellanza. Chiaramente l’ascolto necessita di tempo, ad esempio la mortalità infantile in Afghanistan nella fascia 0-5 è una delle più alte al mondo quindi uno dei nostri primi obbiettivi era la costruzione di asili, ma non abbiamo voluto imporre delle istituzioni che magari poi sarebbero solo risultate inutili, abbia aspettato un arco di 10 anni durante i quali abbiamo agito aiutando le madri in modo che dopo averci dato fiducia fossero loro stesse a richiederci la costruzione degli asili. La nostra idea è sempre stata di creare un progetto di sviluppo, non tanto una rete di assistenzialismo, da qui deriva il microcredito. In realtà il progetto è nato all’improvviso come è nata all’improvviso la stessa Pangea. Ci trovavamo a casa di una donna afghana che possedeva un pollaio e una casa, ma con la guerra si era trovata a fronteggiare la concorrenza di Iran e Pakistan sulle uova e chiaramente non poteva abbassare il prezzo. Siamo arrivati alla conclusione che la cosa migliore sarebbe stata lavorare le uova per farne dolci e altri prodotti, dando alla donna una quantità di denaro necessaria ad attivare un’attività redditizia. Diamo alle donne afghane l’opportunità di accedere ad un microcredito che può variare da un minimo di 120 a un massimo di 500 Euro, da restituire nell’arco di un anno. Mentre le banche occidentali spesso si trovano con clienti fortemente indebitati, noi abbiamo un tasso di insolvenza del 2% perché prestiamo denaro a donne povere e non a uomini ricchi che lo userebbero per dei capricci, rendiamo subito chiari i tassi di interesse e su un ipotetico 10% riprendiamo solo il 5%, arrivando però a disporre solo con il tasso di interesse recuperato di 2000 euro da investire in ulteriori aiuti. Un’altra profonda differenza tra le donne italiane e quelle afghane è che queste ultime raramente fanno piani per il futuro perché non sanno se il giorno dopo loro e i loro figli saranno ancora vive. Il microcredito ha donato loro la speranza nel futuro, che ha portato di conseguenza all’istituzione degli asili fino ad arrivare ad un vero e proprio miracolo, la creazione di una squadra di calcio femminile di ragazze sorde di ogni età che giocavano allo stadio di Kabul sotto la supervisione dell’allenatore della nazionale femminile. Ovviamente tutto ciò si è infranto il 15 agosto dello scorso anno. 16
L’avvento dei talebani poteva essere evitato? Che azioni ha intrapreso Pangea dopo il 15 agosto? La guerra in Afghanistan è stata dichiarata esclusivamente per proteggere l’America e punire chi l’aveva messa in pericolo, l’intento di costruire una democrazia è stato dichiarato solo molti anni dopo dalla Segretaria di Stato Clinton, per analogia con la guerra in Iraq. Gli Americani hanno speso per questo conflitto 3 trilioni di dollari e se consideriamo che un pasto in Afghanistan costa appena 10 centesimi è una vergogna che questi soldi siano stati spesi in armi e non in alimenti per la popolazione affamata. Armi che peraltro sono sempre state inutili, sia quando i soldati occidentali combattevano effettivamente sul campo, dato che il Paese è geograficamente impossibile da conquistare, ma in particolare negli ultimi anni, da quando è stato deciso di proteggere i militari americani e alleati per evitare che le loro morti pesassero sulle campagne elettorali e di mandare a combattere invece i cosiddetti contractors. Queste truppe mercenarie, approfittando dell’assenza di una gerarchia organizzata, hanno perpetrato stupri, massacri e rapine, insomma soprusi niente affatto diversi da quelli dei talebani che quindi hanno ricominciato a guadagnare potere sulla popolazione. D’altra parte gli americani sono sempre stati rappresentati come coloro che vogliono portare via agli afghani il loro Dio, l’unica fonte di sicurezza per una società soggetta da sempre a dominazioni straniere e all’analfabetismo e all’incertezza. C’è inoltre da considerare un fattore geopolitico determinante quale il conflitto tra Stati Uniti e Cina, che ha reso urgente l’abbandono delle guerre infruttifere come quella in Afghanistan, motivo per cui l’amministrazione Trump, accordandosi con i talebani a Doha, ha permesso alle truppe occidentali di mascherare la sconfitta sotto il nome più dignitoso di ritiro. Per quanto riguarda Pangea, abbiamo agito rapidamente, bruciando gli archivi in cui erano contenuti i nomi delle tante donne afghane che abbiamo aiutato negli anni in modo che non venissero perseguitate e redigendo delle liste per decidere chi potesse partire immediatamente verso l’Italia. Abbiamo trasformato un progetto di sviluppo in un’iniziativa volta ad affrontare l’emergenza umanitaria, infatti eroghiamo pacchi di alimenti a circa 80.000 persone e mettiamo a disposizione di donne e bambini delle safe houses, dove ospitiamo anche giornalisti perseguitati. E’ molto difficile salvare afghani portandoli in Italia perché i corridoi umanitari possono partire solo dai Paesi limitrofi e ci sono pochi visti a disposizione. Nonostante l’efficace propaganda e gli incontri a Oslo, in cui ci sono stati dialoghi tra talebani e attiviste, il nuovo governo rimane sempre e comunque uno Stato totalitario incapace di controllare una rete così vasta di rappresentanti che hanno potere di vita o di morte sulla popolazione e refrattario a qualsiasi tipo di dialogo perché l’interlocutore viene sempre incontrato da un kalashnikov spianato. Ringraziamo il direttore di Pangea per averci dedicato il suo tempo e invitiamo i nostri lettori a tenere viva l’attenzione sull’Afghanistan.
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TRAGICA STORIA DI UNA STRANA PAROLA di Sarrie Patozi Era il 3 gennaio 1925 quando Benito Mussolini pronunciò alla Camera dei Deputati il suo discorso sul delitto Matteotti. E’ questa la fatidica data, la svolta determinante, il momento cruciale che segna l’inizio vero e proprio della dittatura fascista. Il Regno d’Italia assumeva così una fisionomia totalitarista con conseguente soppressione delle libertà individuali e un forte accentramento di potere nelle mani del Presidente del Consiglio. L’Europa, grazie alla seconda rivoluzione industriale, si vedeva permeata già dal 1870 da un generale atteggiamento aggressivo e nazionalista da parte delle varie nazioni. A partire dalle crisi di sovrapproduzione, Mussolini e i ministri fascisti, seduti nei banchi dovute questa volta alla prima rivoluzione del Governo alla Camera dei Deputati, 3 industriale, la politica economica aveva gennaio 1925 subito un drastico cambiamento: il capitalismo rischiava di collassare e la borghesia si mise all’opera. Nascevano così i trust (fusioni di imprese dello stesso settore) e i cartelli (accordi di mercato) il cui intento primario era riportare la ricchezza “all’antico splendore”. Ciò si tradusse, sul piano della politica estera, in un individualismo statale esasperato che portò ad un imperialismo in cui gli interessi della nazione prevalevano non solo su quelli dei propri cittadini ma addirittura su quelli dei cittadini altrui. Si assiste quindi ad un’inflessione della borghesia che assume un carattere sempre più reazionario e conservatore. Nel 1831 scompariva Hegel, uno dei pilastri della filosofia moderna, il quale guardava al rapporto individuo-Stato come un rapporto di totale annullamento del primo a favore del secondo: l’uomo è a favore della nazione, al servizio della Patria. Già qui si avvia quel processo finalizzato ad attribuire al governo un ruolo sempre più autoritario e dispotico. Vi è inoltre nella filosofia hegeliana la convinzione della naturalità della guerra: se Kant parlava di “pace perpetua”, il filosofo parla della guerra come “il movimento dei venti” che “preserva il mare dalla putredine, nella quale sarebbe ridotto da una quiete durevole, come i popoli da una pace durevole o addirittura perpetua”. Per Hegel dove c’è vita c’è conflitto. Ora, fino a quando questa visione riguarda la dialettica, quindi è da intendersi a livello “intellettuale”, l’idea del filosofo è aperta, conciliante, e, se si vuole, matura. Quando questo nobilissimo concetto filosofico viene però strumentalizzato per 18
giustificare e intraprendere azioni disumane, è necessario prenderne le distanze accostandosi invece all’ideale kantiano. A questo clima non fu immune neppure l’Italia. Se in un primo momento Mussolini preferisce avere ancora un politica di distensione, nel 1935 decide invece di intraprendere la brutale invasione dell’Etiopia. Ed è qui che si arriva al fulcro del discorso. Mussolini voleva dare alla dittatura il prestigio delle armi: l’Etiopia era l’unica parte dell’Africa rimasta al di fuori dalle spartizioni coloniali degli altri Paesi europei. Il regno d'Italia, umiliato dalla sconfitta di Adua, aveva indirizzato le proprie mire espansionistiche. Le motivazioni erano sia di carattere economico, per incrementare la produzione internazionale e trovare uno sbocco alla disoccupazione, sia di politica interna, per avere il consenso popolare al regime e deviare le tensioni sociali (tattica che aveva utilizzato, a suo tempo, anche Crispi). Mussolini pensava poi di non incontrare l’ostilità dell’Europa: la Francia, per timore di un avvicinamento tra Italia e Germania, non sarebbe intervenuta, mentre d’Inghilterra sarebbe rimasta fedele al suo carattere “isolazionista”. Il breve periodo di occupazione delle truppe italiane in Etiopia, vide la caduta della capitale Addis Abeba con successiva fuga del principe. Il mantenimento della conquista non fu pacifico perché le popolazioni indigene organizzarono delle guerriglie che minavano continuamente l’esercito italiano. Nel mentre, nella penisola, il re Vittorio Emanuele assumeva il titolo di Imperatore d’Etiopia. Tali atti furono ritenuti una vera e propria aggressione e la Società delle Nazioni applicò delle sanzioni finanziarie nei confronti dell’Italia che, per motivi economici, non furono attuate e mantenute fino in fondo. Questa vittoria contro l’Etiopia creò negli Italiani grande entusiasmo: l’Italia ora aveva un proprio impero e ciò costituiva una rivincita nei confronti delle nazioni più ricche. Nel febbraio del 1936 ci fu un conflitto armato presso il monte Amba Aradam tra le forze dell’esercito italiano, capeggiato da Pietro Badoglio, e quelle etiopi, guidate da Mulughietà. Le forze abissine furono sconfitte e in parte si disgregarono durante la ritirata a causa dell'iprite, un gas vescicante rilasciato a bassa quota dall’aviazione dell'esercito regio italiano, anche sui civili. A terra, i soldati sparavano proiettili all’arsina e al fosgene, fortemente tossici. Badoglio non mostrò alcuna clemenza, né compassione. Tre anni dopo una carovana di partigiani, vecchi, donne e bambini, si rifugiarono in una profonda grotta della zona. Per stanarli gli Italiani usarono gas e lanciafiamme, in seguito, non riuscendo a perlustrare tutte le ramificazioni della grotta, chiusero l'imboccatura murando vivi gli ultimi sopravvissuti.
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L ‘ Angolo dello sport 20
di Niccolò Bettini e Francesco Giovannuzzi Salve a tutti lettori del giornalino e benvenuti in un nuovo articolo de: La Rubrica Dello Sport! La rubrica del giornalino che parla di sport a 360°! Oggi vedremo un elemento che dovrebbe essere ciò su cosa si basa lo sport, il fair play. CHE COS'E' IL FAIR PLAY I valori della correttezza sportiva e della sana competizione, il riconoscimento del dovuto onore a chi è stato più bravo sono acquisizioni piuttosto recenti. È solo nell’Ottocento, infatti, che in Inghilterra nasce il concetto di fair play, inteso come gioco praticato lealmente. Genera reciproca fiducia, favorisce la socializzazione, avvicina le persone fornendo occasioni di conoscenza, comprensione e apprezzamento, anche tra individui di diverse origini culturali. Applicato inizialmente nelle competizioni sportive, il concetto di fair play si è diffuso (ma purtroppo non sempre è stato
applicato) anche nei rapporti sociali e in politica, perché è un modo di pensare, non solo un modo di comportarsi. IL FAIR PLAY Il fair play (“gioco corretto”) è molto più che giocare lealmente. comprende una serie di regole dettate da un codice dI comportamento che mette al primo posto il rispetto di sé stessi, degli altri e delle regole, oltre agli ideali dell’amicizia e dello spirito sportivo. Il rispetto di sé stessi si esprime nell’impegno e nella cura del proprio lavoro, nell’autodisciplina, nel coraggio nell’affrontare le difficoltà, nella capacità di misurare il rischio. Il rispetto degli altri si manifesta nell’attenzione ai compagni e agli avversari, nel controllo delle proprie azioni in modo da non mettere a rischio la sicurezza degli altri e nella disponibilità al dialogo. Il rispetto delle regole nasce quando si capisce che la regola è necessaria: se ognuno
giocasse secondo le proprie regole, ne nascerebbe una grande confusione. Giocare correttamente non è facile quando gli altri non lo fanno, tuttavia il proprio comportamento può essere di esempio e indurre anche compagni e avversari ad attenersi alle regole. Il rapporto di confidenza e familiarità, che è alla base dell’amicizia, è fondato sui valori della stima, della lealtà, della fratellanza, della condivisione e della solidarietà, gli stessi che esistono nel concetto di fair play. PRINCIPI DEL FAIR PLAY Giocare per divertirsi. Giocare con lealtà. Rispettare le regole del gioco. Rispettare i compagni di squadra, gli avversari, gli arbitri e gli spettatori. Accettare la sconfitta con dignità Rifiutare il doping, il razzismo, la violenza e la corruzione. Essere generosi verso il prossimo e soprattutto verso i più bisognosi. Aiutare gli altri a resistere nelle difficoltà. Denunciare coloro che tentano di screditare lo sport. Onorare coloro che difendono lo spirito olimpico dello sport. FAIR PLAY: EPISODI ED ESEMPI PA O L O D I C A N I O ( C A L C I O ) : Dicembre 2000, stadio Goodison park di Liverpool. Si sta disputando una partita veramente attesa e sentita tra i tifosi, Everton-West Ham. Il risultato è fermo sull'1-1, quando, poco prima dello scadere dei 90 minuti, l'estremo difensore dell'Everton decide di fare un'uscita fuori dall'area alquanto rischiosa. Un colpo fortuito lo fa accasciare a terra lasciando così la porta sguarnita. Da parte del West Ham arriva un cross per l'attaccante italiano Paolo di Canio, che, con un tiro ben piazzato, avrebbe siglato il goal vittoria per la sua squadra. Ma Di canio si accorge dell'infortunio del portiere e così, in segno di fair play, decide di bloccare la
palla con le mani per ricominciare l'azione da capo. GRIGOR DIMITROV (TENNIS): Durante gli Australian Open del 2018, proprio nel mezzo della gara tra Dimitrov ed Edmund, il tennista britannico Edmund si infortunia mentre i due si stavano sfidando a colpi di diritti e rovesci. Edmund cade a terra con uno strazio di dolore ma il suo avversario non ci pensa due volte; Dimitrov scavalca in corsa la rete che separa i due atleti e si precipita ad assicurarsi delle condizioni dello sfidante per poi, dopo aver raccolto la sua racchetta, scortarlo sotto braccio fino alla panchina accompagnato da un fragoroso applauso da parte del pubblico. JUSTIN KIEVIT(WRESTLING ALLA ROMANA STUDENTESCO): I giochi studenteschi erano ormai iniziati alla Sunset Middle School, scuola americana famosa proprio per le giovanili di wrestling. Durante un torneo di apertura, Justin Kievit ha deciso di regalare a Jared Stevens, ragazzo afflitto da una paralisi celebrale, un momento indimenticabile. "La scuola non si è messa d'accordo con mio figlio, tutto ciò è venuto spontaneo, è un grande gesto". Questo il commento del padre di Justin dopo che il wrestler si è lasciato sottomettere da Jared in una gara tra i due, così che tutti potessero vedere che anche i bambini sanno andare oltre queste cose, sanno dimostrare che tutti hanno i propri difetti e soprattutto che nessuno deve essere lasciato indietro.
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IL DIAVOLO DEL GIAMBOLOGNA
Arte a km zero
di Gemma Berti, Elena Casati e Giorgia Vestuti
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Su uno degli angoli di Palazzo Vecchietti (Via Vecchietti - Via Strozzi), poco sotto lo stemma della casata, si trova una strana statuetta: un portabandiera in bronzo a forma di diavolo. La storia che si cela dietro ad essa risale al 1245, quando una numerosa folla si era radunata in Piazza del Mercato Vecchio (l’attuale piazza della Repubblica) per ascoltare San Pietro Martire, in una delle sue prediche contro gli eretici. Proprio durante questo evento apparve, improvvisamente, il diavolo, sotto le sembianze di un grande cavallo nero. Questo cominciò a cavalcare all’impazzata, travolgendo tutto quello che gli si presentasse davanti, provocando così la dispersione della folla spaventata. A questo punto San Pietro Martire alzò il braccio e tracciò il segno della croce in direzione del cavallo imbizzarrito e questo, come pietrificato, si fermò improvvisamente e svanì nel nulla. Alcuni secoli dopo, Bernardo Ve c c h i e t t i o r d i n ò a l Giambologna di creare un diavoletto da porre all’angolo del proprio Palazzo, nel punto in cui il cavallo si era arrestato e poi svanito miracolosamente. Così oggi, in memoria di questo terrificante episodio, la statua del diavolo ci guarda dall’alto con un’espressione intimidatoria.
DUE CONSIGLI SULLO SCAFFALE di Marianna Bezzenghi
Recensendo
Anche questo mese vorrei condividere con voi qualche titolo dai miei scaffali che, per un motivo o per un altro, ho particolarmente apprezzato, sperando di fornire spunti utili per la scelta di una nuova lettura! Una storia semplice (Leonardo Sciascia, 1989) Con una racconto poliziesco di davvero poche pagine (per la precisione 66, nell'edizione Adelphi) Leonardo Sciascia, come suggerisce il titolo, narra quella che in apparenza sembra una vicenda semplice, ma in verità nasconde tutta la complessità del sistema criminale purtroppo presente nella sua amata terra, la Sicilia. Lo scrittore come suo solito, toccando amare tematiche quali l'ingente quantità di indagini aperte e successivamente insabbiate, l'intreccio tra delinquenza e autorità, il diffuso traffico di droga e, implicitamente, l'onnipresenza della mafia, affronta un caso di trafugamento di p a t r i m o n i o artistico, spaccio, omicidio e suicidio, ispirato al realmente accaduto 23
furto della “Natività con i santi Lorenzo e Francesco d'Assisi” di Caravaggio. Consiglio questa breve lettura sia perché, trattandosi di pochi capitoli, può essere un agevole primo approccio all'autore, sia perché personalmente la trama mi ha coinvolta e affascinata di più rispetto anche a classici maggiormente inflazionati come il notissimo“Il giorno della civetta”. A livello stilistico tendo a trovare la narrazione di Sciascia talvolta poco scorrevole e a tratti complicata da seguire soprattutto a causa delle numerose proposizioni incidentali; tuttavia mi sono veramente appassionata a questi romanzi sia per la lucidità con cui l'autore riesce ad affrontare il tema della criminalità (essendo stata una realtà molto vicina a lui, che era anche un uomo di politica) sia per l'incredibile capacità di trasportare i lettori fin dentro le strade dei paesi siciliani a respirarne l’aria. Dalla parte delle bambine (Elena Gianini Belotti, 2018) In occasione del mese nel quale ricorre la festa dedicata alla donna, ho pensato di presentarvi uno dei miei saggi preferiti in assoluto, che ha come oggetto proprio la difesa e l'emancipazione del genere femminile. Con questo libro infatti, la scrittrice, pedagogista e insegnante Elena Gianini Belotti ci espone come, in base ai suoi studi e pareri, le diverse inclinazioni di gusti e di carattere tradizionalmente e visibilmente manifestate dai maschi e dalle femmine non siano un fattore innato, bensì il frutto dei distinti modelli educativi che sono tutt'ora e sono sempre stati adottati da parte delle figure di riferimento nella crescita. Attraverso svariati esempi, nonché veri e propri studi psicologici, l'autrice dimostra che le tanto discusse barriere che si ergono tra i generi non solo non sono state affatto abbattute, ma ancora oggi la società si presenta prevalentemente più aperta e favorevole alla figura dell'uomo. Sull'argomento della disparità dei sessi sono ormai state
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scritte ingenti quantità di libri, ma personalmente ho apprezzato questo per la chiarezza dell'esposizione, la vicinanza che ho percepito con gli esempi riportati e il fatto che venga utilizzato un tanto di tono polemico sufficiente per farsi sentire senza però sfociare in vana eccessività. Il messaggio che ne viene è forte e lampante: sono state le condizioni costantemente imposte nella storia a determinare la disparità di genere che vige nella società, ma allo stesso tempo devono essere i componenti della società stessa, attraverso l'educazione e cambiando gli ormai datati canoni, a rivoluzionare la situazione e instaurare il tanto desiderato concetto di “uguaglianza”. Proprio in questo mese dunque, leggere qualcosa su questo argomento potrebbe rivelarsi uno spunto davvero utile. L'orto di un perdigiorno (Pia Pera, 2003) Come già ho avuto occasione di ricordare nell'articolo pubblicato nel numero di febbraio (nel quale ho parlato anche del romanzo “Due vite” di Emauele Trevi), Pia Pera è una scrittrice italiana morta prematuramente nel 2016 che, a metà della sua vita, ha deciso di fuggire dalla frenesia della città, comprendendo che ritirarsi nel podere di famiglia in Toscana per curare appassionatamente giardino e orto (e scrivere libri su questi) sarebbe stata la scelta che l'avrebbe resa più felice. Possiamo definire questo testo un vero e proprio “diario stagionale”, ciascun capitolo del quale corrisponde a un mese di un anno che l'autrice ripercorre attraverso il minuzioso e, talvolta, anche molto tecnico resoconto del suo stile di vita agreste. Con tono ironico e trasparente ella racconta sé stessa mediante il giardinaggio, varie ricette orgogliosamente preparate con gli ortaggi da lei coltivati e rigeneranti passeggiate con gli amici dei terreni confinanti, oltre a includere tutti gli alti e i bassi del lavoro contadino e mostrarci che il rapporto con la natura è tutt'altro che semplice, poiché richiede impegno e dedizione costanti. A primo impatto può sembrare una lettura molto tecnica, magari un po' noiosa e non in sintonia con il gusto dei più ma, nonostante fossi io stessa titubante a intraprenderla, posso affermare che la lentezza con cui la narrazione procede è proprio una delle caratteristiche che la rende gradevole ed è capace di alleviare il nozionismo; una volta finito, ho davvero sentito la mancanza dell'atmosfera che si respirava tra le pagine e della serenità interiore che riusciva a procurarmi. Si è inoltre rivelato per me uno stimolo per riscoprire l'interesse verso le piante e cimentarmi in piccole operazioni di giardinaggio per contribuire alla cura del giardino, cosa che ai miei genitori non dispiace affatto! 25
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