NO. 18 I'GIORNALINO

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NO 18 DICEMBRE 2021

I’GIORNALINO


REDAZIONE

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Direttrice GIULIA AGRESTI (VB)

Vicedirettrice MARGHERITA ARENA (VB)

Redattori CATERINA ADEMOLLO (IVB), RAVEN BEEL (IIC), GEMMA BERTI (IVB), ELENA CASATI (IVB), GIOVANNI CAVALIERI (IIIA), LETIZIA CHIOSTRI (IVB), GIOVANNI GIULIO GORI (IIIB), ELETTRA MASONI (IIIB), MARGHERITA MOLFETTA (IVB), RACHELE MONACO (IIIB), FRANCESCA ORITI (VB), SARRIE PATOZI (VB), GIORGIA VESTUTI (IVB)

Fotografi MARIA VITTORIA D’ANNUNZIO (IVB)

Social Media GEMMA BERTI (IVB), CATERINA CARAVAI (IVB), ELENA CASATI (IVB), MARIA VITTORIA D’ANNUNZIO (IVB)

Impaginatori GEMMA BERTI (IVB); MARIANNA CARNIANI (VB)

Referenti PROFESSOR CASTELLANA, PROFESSORESSA TENDUCCI


È D AV V E R O C O L PA D E G L I A B I T I ‘ T R O P P O PROVOCANTI’? ……………………………………………10 UN NUOVO ‘CENTRO COMMERCIALE’……………….11 D O N N E E A F G H A N I S TA N : U N A S T O R I A I N COMUNE…………………………………………………….12 TERZO GENERE E TRANSGENDER: FENOMENO MODERNO O STORICO?…………………………………14 LA FINE DI UN’ERA………………………………………..16 IL PROFILO DI PALAZZO VECCHIO..…………………..19 BARTOLOZZI E MAIOLI: BOTTEGA STORICA DI RESTAURO DEL LEGNO………………………………….20 IL SOGNO DI UNA BAMBINA DI NOVE ANNI…………22

INDICE

RECENSIONE: MEMORIE DI ADRIANO………………..24 RECENSIONE: FARENHEIT 451…………………………25

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CONTATTI: @i_giornalino

I’Giornalino dell’Alberti Dante

ilgiornalinodellalbertidante@gmail

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Cari lettori, anche quest’anno, sebbene un po’ in ritardo, è arrivato il primo dei tanti numeri del nostro giornalino scolastico. I’Giornalino vuole rappresentare il Polo delle Arti nato dalla fusione dei due storici licei fiorentini Dante, sede degli indirizzi classico e musicale, e Alberti, sede dell’indirizzo artistico. È un mezzo attraverso il quale ogni studente può sentirsi libero di esprimere il proprio punto di vista su argomenti che spaziano dall’attualità all’arte, dalla politica alla scienza. È nato ormai tre anni fa e ancora oggi continua ad esistere grazie al lavoro di tanti ragazzi che ogni settimana si impegnano a dare il meglio di sé, insieme all’aiuto della professoressa Tenducci e del professor Castellana. Come gli scorsi anni, ci impegneremo a portare avanti un giornalino più attivo che mai: una pubblicazione al mese, edizioni speciali, contenuti giornalieri sui social, partecipazione ad eventi scolastici ed extrascolastici. Con i nostri contenuti vogliamo presentare una realtà che vada oltre alla vita scolastica, seppur rimanendovi legata: una sorta di mondo visto attraverso gli occhi dei più giovani. Ringraziamo di cuore tutti i lettori, poiché tutto ciò non sarebbe possibile senza di voi che continuate a supportarci in ogni nostro numero. Cogliamo l’occasione per ricordare che saremmo felicissimi di accogliere la collaborazione di ciascuno di voi. A questo punto non possiamo che augurarvi una buona lettura! Giulia Agresti e Margherita Arena 5


LA REDAZIONE Giulia Agres! Lettrice accanita e appassionata scrittrice, stonata cantante e ragazza insonne, adoro fiondarmi nelle avventure più spericolate che mi si presentano davanti. Mi troverete sempre sospesa in aria, con un libro in mano o con una chitarra scordata. Il mio obiettivo? Conoscere nuove cose ed esplorare il mondo, un caffè e un Oki alla volta.

Margherita Arena Sono una persona razionale, per questo mi piace essere sempre organizzata, ma allo stesso tempo sono perennemente indecisa. Mi interessano vari ambiti culturali, soprattutto quello scientifico.

Elena Casa! IV B, Liceo Classico Dante. ‘Se non miri a qualcosa, non colpirai mai nulla’.

Ca"rina Ademo#o Collezionista full-time di figuracce, attivista, attrice e vittima a tempo perso, amo i gatti e procrastinare. La mia anima gemella? L’ansia.

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Sarrie Pa$zi Sono un’ossimorica fusione di sentimento e razionalità. La mia vita oscilla tra questi due poli senza che l’uno prenda il sopravvento sull’altro. Ho un’indomabile curiosità e una quantità immane di ore di sonno arretrate.

Giorgia Vestu! ‘La spontaneità è una posa difficilissima da mantenere’.

Gemma Ber! Come mi definisco? Testarda, ma volubile; ambiziosa e riflessiva; dotata di spirito di osservazione e non priva di autoironia. Alla ricerca di dettagli curiosi e contesti stimolanti!

Le!zia Chios%i Salve a tutti! Mi chiamo Letizia Chiostri (4ªB). Sono una ragazza solare, positiva e sorridente, ma anche attenta ai dettagli, determinata e sì, lo ammetto, anche un tantino egocentrica… Con i miei articoli vorrei trasmettervi la mia più grande passione: la recitazione. Il mio motto? ‘Un giorno senza sorriso è un giorno perso’ -Charlie Chaplin

Maria Vi&oria D’Annunzio Sono Maria Vittoria di 4ªB, nella vita amo cantare, recitare, fare un po’ di foto qua e là e nel tempo libero studio!

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Marianna Carniani Vorrei lavorare in un giornale di moda, amo viaggiare, New York e sorridere. Ho fatto di ansia e tisane la mia filosofia di vita, ho la testa fra le nuvole, ma sogni concreti.

Giovanni Giulio Gori Dalle recensioni di film alle poesie nell’Angolo del Poeta, sono come le decorazioni durante le festività natalizie: ovunque.

Sofia Vadalà Ciao! Io sono Sofia Vadalá, sono della IV A dell’indirizzo Classico e partecipo al giornalino da due anni. Mi definisco una persona determinata, solare e altruista, con degli obbiettivi e tanta voglia di fare. Da sempre ho la passione per la scrittura, ragion per cui partecipo a questa attività ed ho una rubrica tutta mia dal titolo “ Esplorando l’Italia”, in cui descrivo paesini poco conosciuti nelle varie regioni del nostro Paese dove secondo me varebbe la pena andare.

Rachele Monaco Forte dipendenza da caffeina. Egocentrica, ironica, insopportabile e sempre con un libro in borsa.

Francesca Ori! Nel tempo libero amo leggere e suonare il pianoforte… peccato che di tempo libero non ne ho.

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Raven Beel Ciao, io sono Raven, vado in seconda e faccio parte della sede Magliabechi. In questo giornalino mi occuperò di parlare della storia delle situazioni attuali nel mondo… un po’ per spiegare come siamo arrivati qui insomma. Sono un ragazzo non binary, ho fatto coming out l’anno scorso e sono molto felice di poter finalmente firmare un mio lavoro con il mio nome!

Ca"rina Caravai ‘Life is what happens to you while you’re busy making other plans’ -John Lennon

Ele&ra Masoni Mi chiamo Elettra Masoni, amo molto scrivere, l'arte e la musica, spesso disegno, dipingo e canto. Faccio parte del giornalino perché sarei felice di condividere notizie, pensieri e argomenti che mi intrigano sperando che possano appassionare anche gli altri.

Giovanni Cavalieri Mi piace leggere, suonare la chitarra e informarmi su ciò che succede nel mondo. Per me il giornalino è un modo per confrontarmi con i miei coetanei e condividere alcuni dei miei interessi quali storia, cinema e letteratura.

Margherita Molfe&a ‘Scrivi qualcosa che sia degno di essere letto oppure fai qualcosa che sia degno di essere scritto’ -Benjamin Franklin

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È davvero colpa degli abiti ‘troppo provocanti?’

Pillole di attualità

di Rachele Monaco

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A Terni, sotto ordinanza del sindaco, alle donne è stato vietato di indossare gonne o scollature considerate “troppo provocanti” al fine di ridurre il fenomeno della prostituzione. Per chiarire le varie problematiche sociali che questo avvenimento rivela, mi focalizzerò su alcune riflessioni al riguardo, cercando di capire le profonde motivazioni , contestualizzando l’accaduto. Il primo punto sul quale mi soffermerei è quello della stigmatizzazione, per cui una donna che indossa abiti succinti, se associata a un concetto ancor meno accettato, ovvero quello della prostituzione, sarà ancora più soggetta a pregiudizio. Diamo per scontato che questo sindaco abbia un’immagine del genere femminile molto dispregiativa, in quanto egli è convinto che se una donna veste in un certo modo sia solo per compiacere gli uomini e attrarli. Noi donne, al contrario di come la cultura patriarcale ci ha sempre dipinte, non siamo animali, non siamo streghe, e non siamo solo corpi. Mi sembra appurato quindi che il concetto di una donna che si veste per stare comoda, piacere a se stessa e sentirsi a proprio agio non sia stato nemmeno preso in considerazione. Sicuramente una componente delle motivazioni per cui una donna sceglie cosa mettersi al mattino è anche quella di ricevere apprezzamento dal mondo esterno, ma è inutile puntare il dito, dato che siamo tutti animali sociali, uomini compresi, perciò non c’è bisogno di dar colpa, da ipocriti, a un esibizionismo estremo: siamo umani, siamo fatti anche di questo, abbiamo piacere nell’approvazione altrui, ma ciò non significa chiedere un apprezzamento dal punto di vista sessuale. Trovo inoltre inaudito il modo in cui quest’ordinanza alimenti la cultura dello stupro, in quanto un qualsiasi uomo si può sentire abilitato dall’abbigliamento indossato da una donna a esercitare su questa molestie, verbali o fisiche, e a trattarla quindi come se fosse una sex-worker, anche senza il suo consenso. Per di più la prostituzione, a parer mio, non andrebbe né demolita, né disincentivata - sarebbe una battaglia persa in partenza - andrebbe anzi regolamentata. Ho anche notato come la figura del gigolò sia più socialmente accettata, infatti nessun sindaco ha mai proibito a un uomo di mettersi pantaloncini o camicie sbottonate, perché potrebbe essere visto dalle donne come un chiaro richiamo sessuale. O sbaglio?


di Sarrie Patozi

America meridionale. Deserto dell'Atacama. È qui che, stando all’inchiesta dell’Agence France-Presse, ogni anno finiscono milioni e milioni di vestiti prodotti dalla Cina e dal Bangladesh e che vengono poi esportati in Europa, USA e Asia. Questi indumenti costituiscono “lo scarto” del mercato mondiale dell’abbigliamento, ovvero capi che non trovano acquirenti nei vari paesi e che rimangono invenduti. Si tratta di 59.000 tonnellate di abiti che per essere smaltite vengono inviate al porto di Iquique, nel nord del Cile. In seguito, gli importatori li trasportano nel deserto dell’Atacama, una zona franca, in cui li abbandonano. Col tempo una quantità immensa di vestiti si è accumulata qui, fino a formare delle vere e proprie montagne del fast fashion. Patricio Ferreira, sindaco di Alto Hospicio, ha detto in un’intervista: “La zona franca non è stata in grado di gestire e controllare questo fenomeno e anche lo Stato ci ha abbandonato. Siamo diventati una zona di sacrificio.” “Questi vestiti provengono da tutto il mondo. Ciò che non è stato venduto a Santiago o che non è stato contrabbandato in altri Paesi rimane qui, perché portarlo fuori dalla zona franca non sarebbe redditizio” ha raccontato all’Agenzia di Stampa Francese, Alex Carreño, un ex-operaio. Le immagini sono agghiaccianti e ciò che sconvolge è che ciò che vediamo è solo una parte del “cimitero”: alcuni indumenti hanno preso accidentalmente fuoco, altri sono stati seppelliti. Come riferisce la testata giornalistica del Corriere della Sera, “questi abiti sono tossici: non sono biodegradabili e contengono sostanze chimiche”. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite del 2019, la produzione globale di abbigliamento è raddoppiata tra il 2000 e il 2014, e l'industria è responsabile del 20% dello spreco totale di acqua a livello globale. Per fortuna, ci sono già nondimeno organizzazioni che si stanno mobilitando per risolvere o attenuare il problema: tra queste compaiono i nomi dell’organizzazione senza lucro “Desierto Vestido” e dell’azienda “Ecofibra”. La prima si occupa di sensibilizzare la comunità riguardo all’impatto ambientale dei suddetti residui, la seconda di trasformare i rifiuti tessili dell’Atacama in pannelli ecologici per l’isolamento acustico e termico. 11


DONNE E AFGHANISTAN: UNA STORIA IN COMUNE di Caterina Ademollo

Denunciare. Voce del verbo denunciare, prima coniugazione, infinito presente. È un verbo immediato, semplice, ma che racchiude in sé un significato ben più profondo dell’apparenza. Chi denuncia, infatti, lotta. Chi denuncia, rischia. Chi denuncia, dà voce a chi non ne ha, o non sa di averla. Quindi, chi denuncia, per definizione, è un simbolo. Ed è risaputo che chi vuole mandare un messaggio di oppressione e privazione delle libertà, chi vuole portare la paura nel cuore delle persone, prima di colpire la folla, colpisce i simboli. Questo è esattamente ciò che è successo a Zarifa Ghafari, la prima donna ad aver ricoperto, a Maidan Shahr, in Afghanistan, la carica di sindaca a soli 26 anni, rimanendo in carica per ben due anni, e detenendo il primato come donna più giovane mai fatta sindaco in questo tanto controverso Paese. Dopo essersi laureata in economia all’Università del Punjab (Chandigarh, India), Zarifa ha deciso di tornare nel suo Paese, perché, dopo aver vissuto sulla propria pelle l’occupazione statunitense in Afghanistan, e le violenze subite soprattutto dalle donne da parte dei talebani, ha deciso di prefiggersi una missione, ovvero di rappresentare un simbolo di lotta e speranza per i più deboli, in particolare per le donne, e di combattere per l’emancipazione e per la libertà della sua terra, non facendosi 12

abbattere dalle difficoltà. Arrivata in Afghanistan, si è candidata come sindaco presso la cittadina di Maidan Shahr, e benché sia stata eletta nel 2018, ha potuto effettivamente iniziare il proprio mandato solo nel 2019. Nelle interviste che ha rilasciato, Zarifa racconta di come fosse, su 138 candidati, l’unica donna presente; di come, una volta iniziato il mandato, i dipendenti dell’ufficio comunale si siano rifiutati di riconoscere la sua autorità; di come, nel suo primo giorno di lavoro, abbia dovuto affrontare le molestie e le aggressioni di un gruppo di uomini che, dopo aver assalito il suo ufficio, le hanno intimato di dimettersi. Quando è diventato


chiaro che Zarifa era ben lontana dall’arrendersi, e che stava iniziando ad essere vista da molti come un modello di resistenza e coraggio, sono iniziate le vere e proprie minacce di morte da parte dei talebani e dell’ISIS, seguite poi da svariati tentativi di omicidio, che trovano il culmine nell’assassinio di suo padre, il 5 novembre 2020, davanti a casa sua. Ma nonostante questo, nonostante tutto, Zarifa è rimasta e ha lottato, introducendo una stazione radio dedicata all’emancipazione femminile e un mercato per sole donne, non permettendo alla paura di impedirle di seguire il suo sogno di un Paese più sicuro e inclusivo. Per il suo coraggio nel 2020 ha r i c e v u t o a Wa s h i n g t o n i l p r e m i o International Woman of Courage e in quest’occasione ha pronunciato un discorso, di cui qui un estratto: “Le donne afgane spesso sono viste come vittime -ha dichiarato Zarifa- e questa è la verità. Ma ci sono altre storie da raccontare, di donne che hanno combattuto, e stanno lottando per i loro diritti, e non si arrendono.” In seguito all’arrivo dei talebani in Afghanistan il 15 agosto 2021, la giovane sindaca ha potuto comunicare al resto del mondo solo poche, lapidarie parole: “Sono qui seduta ad aspettare con mio marito e con la mia famiglia che vengano a prendermi. Non c’è nessuno che possa aiutarci. E

verranno, per persone come me, e mi uccideranno. Non posso lasciare la mia famiglia. E comunque, dove andrei?”. In seguito per fortuna ha potuto lasciare il Paese, dimettendosi conseguentemente dalla sua carica, e si trova tutt’ora in salvo in Germania. Partecipe del documentario “Noi donne afgane” di Didi Gnocchi, in cui, oltre alla sua, sono riportate varie esperienze di donne afgane sopravvissute e in fuga dai talebani, Zarifa sostiene la necessità di instaurare un dialogo con gli invasori, anche assassini di suo padre, per continuare a lottare per i diritti delle donne e per ottenere risultati concreti. Nell’intervista rilasciata al quotidiano Avvenire, Zarifa si racconta così: “Voler vivere da eroe è abbastanza normale, chi non vuole farlo? Ma quando la vita finisce, è allora che la gente deve ricordarti come un eroe. Anch’io desidero vivere da eroe e da modello per il mio Paese e per la mia gente. Ma desidero soprattutto morire da eroe – perché so che un giorno morirò – lavorando sempre di più, di più, di più per la mia gente e per il mio Afghanistan». Il suo coraggio e la sua inarrestabile determinazione l’hanno portata a fare esattamente ciò e ad essere: un’eroina, un esempio e un modello per tutte noi. Zarifa ha denunciato, lottando, rischiando e diventando simbolo di tutte le donne oppresse. 13


Terzo genere e transgender: fenomeno moderno o storico? di Raven Beel

Molti di noi, soprattutto qui in Italia, siamo cresciuti pensando che gli unici 2 generi siano "uomo" e "donna". E che si capisce chi e chi in base al sesso biologico. Questa divisione binaria è ben ancorata nella nostra società e nelle sue norme sociali. Fortunatamente, in questi ultimi decenni la comprensione del genere sta cambiando Ma in verità esempi del fenomeno del terzo genere si possono trovare attraverso la storia di molte culture del mondo, soprattutto di quelle non occidentali. Nella Mesopotamia del 2-3 millennio a.C., per esempio, i sacerdoti della dea della guerra Inanna, che erano chiamati Kalu o Gala, non venivano considerati né uomo né donna, anche se la maggior parte di loro aveva un corpo biologicamente maschile. E alcune volte arrivavano alla castrazione parziale o completa per portare modifiche al proprio corpo, grazie alla mancanza di testosterone. Simile all'esempio precedente, nel popolo Ankole, che risedeva nell’attuale Uganda, prima della colonizzazione, si eleggeva un uomo nato in un corpo femminile per diventare il sacerdote del dio Mukara. E abbiamo anche prove di questo fenomeno proprio qui a Firenze, nei nostri Uffizi, con la statua dell’Ermafrodito dormiente chre rappresenta Ermafrodito, nella mitologia greca figlio di Ermes e Afrodite. Anche se figlio di due dei, Ermafrodito era stato cresciuto da un gruppo di ninfe, tra cui c’era Salmace, che si era follemente innamorata di lui. Salmace pregò gli dei di potersi unire a Ermafrodito per sempre. La richiesta fu esaudita alla lettera e gli dei unirono i loro corpi insieme. Da quel giorno in poi, Ermafrodito fu descritto come un essere umano con i genitali maschili e i seni femminili. Ma questo non è l’unico esempio di tale fenomeno nell'antica Grecia e ci sono diversi miti che presentano tematiche simili. Uno dei più famosi Tiresia trasformato in una donna, Pietro della Vecchia, Museo è il mito della vicenda di un giovane delle Arti di Nantes. c h i a m a t o Ti r e s i a c h e v i e n e 14


Ermafrodito Dormiente, ristrutturato da Gian Lorenzo Bernini, Museo del Louvre, Parigi.

trasformato in una donna come punizione perché separa due serpenti che si stanno accoppiando. Tiresia passa sette anni nel corpo femminile e riesce a ritrasformarsi solo quando ripete il gesto compiuto inizialmente. Grazie alla sua esperienza Tiresia riesce ad aiutare Zeus ed Era in un dibattito su chi, tra uomo e donna, prova più piacere durante un rapporto sessuale. E senza esitazione risponde che le donne provano sette volte il piacere degli uomini. Un altro mito greco simile al precedente è quello di Cenis, principessa dei Lapidi, che, avendo subito una violenza sessuale da parte di Poseidone, riceve la realizzazione di un desiderio in cambio della verginità perduta. Cenis dunque chiede di diventare un uomo invincibile dal nome di Ceneus. Anche nella mitologia indiana questa divisione binaria è leggermente modificata: l’Induismo concepisce il genere e la sessualità diversamente dal pensiero occidentale. Esistono vari termini per indicare i generi, tra i più comuni per il terzo genere viene usato “tritiya-prakriti”, per gli uomini “sri-prakriti” e per le donne “pumps-praktiri”. In epoca vedica, cioè dal 1500 al 500 a.C., le persone appartenenti a un terzo genere o di diversi orientamenti sessuali non erano giudicate o perseguitate, anzi, l’unica cosa che non veniva tollerata era che praticassero riti che non si allineavano con il loro orientamento, come un uomo omosessuale sposato con una donna, visto che l’accettazione dell’orientamento e della variabilità di genere erano considerate parte della filosofia fondamentale induista. Anche nel famoso Kamasutra, un testo indiano che fornisce indicazioni sul sesso e sul desiderio sessuale, si può trovare una sezione che parla in modo specifico del piacere per le persone del terzo genere. Tra l’altro, per un periodo le persone trans simboleggiavano buona sorte ed erano protette dalla società: visto che avevano un’identità al di fuori dal binario del genere, veniva dato loro un importante ruolo equilibratore nella natura. Questi sono soli pochi esempi dell’esistenza del terzo genere nella storia e probabilmente potrei stare qua anni a elencarne altri. In quasi tutte le culture si possono trovare miti e leggende che la testimoniano. Questo quindi è una prova che noi abbiamo convissuto con questi concetti per milioni di anni, eppure ancora oggi c'è una grande parte della popolazione mondiale che non ci crede o che li considera sbagliati. E allora io mi faccio una domanda. Perché se i nostri antenati non avevano problemi con l’idea del terzo genere, noi, una civiltà che dovrebbe essere più evoluta, non possiamo accettarla e viverci? 15


La fine di un’era

Globally

di Francesca Oriti

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Angela Merkel è stata nel bene e nel male l’arbitro della politica europea per quasi due decenni, ricoprendo il ruolo di Cancelliera Federale della Germania dal 2005 al 2021, per un tempo comparabile solo a quello di Helmut Kohl, suo mentore. Nel 2018, assumendosi la responsabilità per il fallimento elettorale del suo partito, l’Unione CristianoDemocratica (CDU), ha annunciato che non si sarebbe ricandidata alle successive elezioni tenutesi il 26 settembre 2021, decretando così la fine della cosiddetta Era Merkel. È stata definita mutti (mamma) dai suoi elettori, la donna più potente del mondo da Forbes, ma chi è e qual è la sua eredità? Dopo i primissimi anni ad Amburgo, la famiglia Kasner (Merkel è il cognome del primo marito) si spostò nella Germania

Est, dove alla giovane Angela venne proibita ogni attività politica, infatti perseguì inizialmente la carriera accademica con una laurea in fisica. Tuttavia la sua provenienza ebbe un’influenza positiva a lungo termine perché Helmut Kohl la scelse nel 1990 come Ministro delle Donne e della Gioventù proprio in rappresentanza della Germania Est, data la necessità di rendere omogeneo il primo governo federale successivo alla riunificazione. Da quel momento inizia una carriera sfolgorante e in appena dieci anni Angela sconvolge chi la sottovalutava soprannominandola “Kohl’s Mädchen” (la ragazzina di Kohl). Nel 1999 infatti Merkel chiede in Parlamento le dimissioni di Kohl in seguito agli scandali legati a finanziamenti illegali al partito, acquisendo poco dopo la leadership della CDU, a cui sia lei che il suo mentore appartenevano, e diventando nel 2005 Cancelliera Federale. La politica interna della cancelliera è stata contraddistinta dallo spostamento del suo partito dall’ala più conservatrice al centro liberale, che è servito a ricompattare un Paese che faticava a superare la divisione causata del muro di Berlino. I critici sostengono che sia stata più un’amministrativa abile e moderata che una riformista con uno sguardo al futuro, tanto che in tedesco è addirittura nato in suo onore un verbo, Merkeln, col significato di ‘ponderare a lungo una decisione'. La prudenza però è


anche la ragione per cui la cancelliera è considerata una politica affidabile, tanto che il suo abituale gesto di tenere le mani a triangolo denominato Merkel Raute (il diamante Merkel) è diventato simbolo del sentirsi in buone mani e in quanto tale è stato raffigurato in un murales a Berlino per le elezioni del 2013. Nonostante ciò, negli ultimi anni il suo partito ha sofferto sconfitte elettorali non indifferenti, specie con l’avanzata del partito dei Verdi, nato dall’opposizione alla decisione di Merkel di rinunciare all’energia nucleare, alternativa sostenibile ai combustibili fossili, ma origine

di grandi disastri quali Chernobyl e Fukushima (decisione su cui la cancelliera ha tentennato negli ultimi tempi). All’estero invece, specialmente alla fine della sua carriera, il Pew Research Center ha registrato un tasso di fiducia del 77% verso le decisioni internazionali della cancelliera. Questo non significa che non abbia preso decisioni unilaterali senza curarsi particolarmente dei risultati che questi avrebbero avuto sul resto dell’Europa, come la costruzione del gasdotto Nord Stream 2 per fare arrivare gas naturale direttamente in Germania, e da lì in Europa, autorizzando tacitamente l’intromissione del governo russo negli stati baltici che sono attraversati dall’infrastruttura. Angela Merkel è passata alla storia per la sua straordinaria abilità di risolvere qualsiasi crisi che le ha permesso di guidare la Germania e l’Europa attraverso i momenti più difficili degli ultimi sedici anni: la crisi finanziaria del 2008, con la conseguente crisi dell’Euro, la crisi dei migranti del 2015

e la pandemia da Covid-19. La crisi finanziaria la coglie con numeri di approvazione in caduta, quindi Merkel è costretta a tenere ben presente la reticenza dei tedeschi verso l’Unione Europea, nonostante le sue reiterate dichiarazioni che se l’Europa fallisce, fallisce anche la Germania. La cancelliera vota dunque per una linea dura contro i Paesi più poveri d’Europa, come la Grecia: si tratta dell’austerity, ovvero il taglio della spesa pubblica per ridurre il deficit statale con conseguenti tasse più alte per i contribuenti in cambio di una grande iniezione di denaro da parte dell’Europa. I critici sostengono che tale iniezione fosse in realtà volta a salvare le banche tedesche e non la Grecia, dato il debito che la legava a queste, ed è innegabile che nel Paese si sia verificata una crisi di proporzioni abnormi. Nonostante il successo della politica di austerity in Germania, infatti nel 2015 il Paese raggiunse una percentuale di disoccupazione del 5% contro il 12% italiano, la sua applicazione alla Grecia è risultata in misure fondamentalmente insostenibili, come sostenne Schröder, ex cancelliere e primo fautore dell’austerity negli anni ’90, in un articolo sull’Handelsblatt del settembre 2012. Infatti se è vero che servivano delle riforme impossibili da praticare con i tassi di deficit che presentava la Grecia, è altresì vero che queste stesse riforme erano impraticabili con un tasso di disoccupazione altissimo, che passò dal 7,6% del 2008 al 27,47 del 2013. Per quanto riguarda la crisi migratoria, la sua decisione è stata senza dubbio alcuno la più coraggiosa e la più umana tra quelle degli stati europei: con il suo Wir schaffen Das (“Possiamo farcela”) ha aperto le frontiere della Germania ad un milione di profughi, di cui 250.000 provenienti solo dalla Siria. Proprio in quell’occasione si diffuse l’appellativo di Mutti (Mamma) con cui la apostrofano i suoi elettori. Ciò nonostante, i critici hanno osservato che è stata proprio l’apertura di Merkel ai migranti a far emergere una forza politica di matrice 17


nazionalista, l’Alternativa per la Germania (AfD), che nelle ultime elezioni ha ottenuto non meno di 83 seggi nel Bundestag, il Parlamento tedesco. Va osservato che, sebbene la posizione del suo partito sia vicina alla destra conservatrice, la politica di Merkel appare sulla scena internazionale leggermente più vicina al centro-sinistra, prova ne sia il fatto che durante la presidenza di Donald Trump la cancelliera tedesca è stata soprannominata leader of the free world (“leader del mondo libero”), titolo generalmente attribuito all’inquilino della Casa Bianca. Infine l’ultima grande crisi che la cancelliera ha affrontato e attraverso la quale ha guidato l’Europa è stata la recente crisi pandemica. Merkel ha sempre mantenuto un atteggiamento calmo e flessibile, facendosi forte anche della sua stessa formazione scientifica per spiegare ai cittadini l’andamento della pandemia e non esitando a riconoscere i propri errori, come quando a marzo del 2021 si rese conto che il lockdown pasquale avrebbe inficiato l’economia più di quanto la situazione sanitaria richiedesse. Nel pieno della pandemia, precisamente da luglio a dicembre 2020, è stata presidente del Consiglio dell’Unione Europea, coronando i negoziati strenui iniziati a maggio dello stesso anno affinché si creasse finalmente un debito pubblico europeo con conseguenti investimenti per i Paesi maggiormente colpiti, come il nostro. E’ nato così il Next Generation EU (meglio conosciuto in Italia come Recovery Fund), una risorsa senza pari specialmente per gli Stati del Sud Europa, che Merkel ha garantito anche a scapito del suo personale successo in Patria e tra i cittadini del Nord Europa, il cui volere invece era stato maggiormente tenuto in conto nelle decisioni riguardanti la crisi finanziaria del 2008. Un’altra delle grandi critiche che Merkel ha ricevuto è di essere stata una leader donna che non si è adoperata per le donne. D’altra parte è vero che la Germania rimane uno dei Paesi con il tasso di disparità salariale più 18

alto, secondo il rapporto della Commissione Europea del 2020 al 20%, nonostante questo sia senza dubbio anche influenzato dall’alto tasso di occupazione. Questa, come altre, rappresenta una grande contraddizione del suo operato, dato che dopo anni di esitazione si è recentemente dichiarata femminista, dichiarando anche che tutti dovrebbero esserlo.

L’eredità di Merkel si presenta quindi mista, dato che il suo operato è stato sì caratterizzato dalla prudenza, ma non per questo da assenza di valori, perché, come ha detto Barack Obama, distinguendola fortemente dagli altri politici, “di pochi leader si può avere fede che pongano i propri principi sopra qualsiasi ristretta affermazione di interesse personale” (“Very few political leaders can be counted upon to put their principles above any narrow definition of self interest”).


Il profilo di Palazzo Vecchio

Arte a chilometro zero

di Gemma Berti, Elena Casati, Giorgia Vestuti

La città di Firenze cela molte particolarità misteriose: alcune, più apparenti, saltano subito all’occhio, mentre altre sono ben nascoste, quasi invisibili. In Piazza della Signoria, posizionandosi davanti al portone principale di Palazzo Vecchio, su una pietra in basso a destra, è inciso il profilo di un uomo che i cittadini hanno soprannominato “l’inopportuno” a causa delle leggende che ad esso sono legate. La voce popolare racconta infatti che fu Michelangelo Buonarroti a realizzarlo, ma c’è ancora incertezza sull’identità del personaggio raffigurato. Secondo una prima versione, Michelangelo avrebbe rappresentato un suo debitore che si racconta fosse solito fermare l’artista per strada per tediarlo con le sue chiacchiere. Così un giorno Michelangelo durante uno dei tanti incontri, stanco di questa persecuzione, con degli scalpelli che aveva portato con sé, durante il dialogo, incise il volto con le mani dietro la schiena. Anche in un’altra versione si parla di un debitore, in questo caso però, condannato alla gogna in Piazza della Signoria. Passando per di lì, Michelangelo, incuriosito, si avvicinò a dei soldati e chiese quanto tempo ancora quel pover’uomo avrebbe passato in quella condizione. Uno di questi prontamente rispose: “Per troppo poco tempo, abbisogna che i fiorentini si ricordino più a lungo di lui!” Così Michelangelo si mise subito all’opera, desideroso che il ricordo del debitore divenisse indelebile. Un’altra leggenda, molto simile, racconta invece che l’artista abbia scolpito il volto dell’uomo alla gogna perché colpito dalla sua espressione, ma privo di matita e penna alla mano! Insomma, in poco tempo si diede da fare con uno scalpello e una superficie di pietra. Secondo alcune voci, invece, il volto è frutto di una scommessa. Michelangelo venne sfidato a scolpire il suo ritratto senza potersi guardare allo specchio e con le mani dietro la schiena! E chissà, ne sarà uscito vincitore? 19


Bartolozzi e Maioli, bottega storica di arte e restauro del legno di Margherita Molfetta

La bottega storica Bartolozzi e Maioli nasce nel 1938 a Firenze, fondata da Giuseppe Maioli e Fiorenzo Bartolozzi. I due iniziano insieme come restauratori nella bottega, ma nel dopoguerra viene proposto loro dalle autorità italiane di rifare completamente il Coro e la Sagrestia dell’Abbazia di Montecassino, distrutta dagli americani durante la seconda guerra mondiale. Dopo dodici anni di lavoro per il restauro di Montecassino i due soci si fecero conoscere anche negli Stati Uniti, poiché erano stati gli stessi americani a sovvenzionare il lavoro dell’Abbazia in seguito alla sua distruzione. Con il boom economico degli anni ’50 in Italia fecero arredamenti per case e ville negli USA, entrando in contatto con grandi architetti statunitensi di quel periodo; e a seguito di questo successo all’estero anche in Italia cominciarono ad arrivare committenze da parte di personaggi celebri, come il noto regista Luchino Visconti, nominato agli Oscar nel 1970 per “La caduta degli Dei”, il pittore Giorgio De Chirico, rappresentante della corrente pittorica Metafisica, il Fiorenzo Bartolozzi che insieme ad un direttore d’orchestra Zubin Metha ecc. Negli anni si sono collega lavora su un progetto. susseguite opere pubbliche quali l’arredo del Quirinale a Roma, la Camera del Senato, la Residenza della Repubblica e molti altri; tra gli ultimi lavori più importanti troviamo il completo ripristino delle sale del trono del Cremlino a Mosca (sala Sant’ Alessandro e la sala Sant’ Andrea). Da dopo la scomparsa dei due soci, la bottega è stata guidata dalla figlia Fiorenza Bartolozzi e dalla nipote Gaia, che continuano a portare avanti la tradizione di famiglia, tant’è che nel 2019 viene riconosciuta come bottega storica protetta dalle leggi dell’Unesco. La straordinarietà primaria della Bottega sta nella sua autenticità della completa esecuzione a mano di ogni prodotto, dal disegno alla realizzazione. 20


Sopra un artigiano e sotto Fiorenza Bartolozzi e la figlia Gaia Valentini.

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IL SOGNO DI UNA BAMBINA DI NOVE ANNI di Letizia Chiostri

Mi ricordo ancora chiaramente di quando, da piccolina, andavo a veder recitare mio zio con la compagnia “Namastè Teatro”. Soprattutto, mi è rimasta impressa quella volta in cui, dopo la fine dello spettacolo “Benvenuti in casa Gori” di Ugo Chiti e Alessandro Benvenuti, gli chiesi: «Zio, non avete mai una parte che possa recitare anche io? So di essere piccola, ma mi va benissimo anche solamente stare nella carrozzina e fare la bambina!» All’epoca avrò avuto sì e no nove anni; avevo iniziato a seguire un corso di teatro l’anno precedente. Tuttavia, la mia è una passione nata da molto prima, forse proprio grazie a mio zio, che ha sempre recitato, e a mia madre, anche lei attrice, che mi portava a vedere gli spettacoli sin da quando ero piccola. Mi teneva sempre in collo e mi racconta che ero una bambina agitata, o meglio dire curiosa, perché mi muovevo costantemente in qua e in là per guardare ed osservare attentamente tutto ciò che mi circondava; ma ogni volta che iniziava uno spettacolo, come incantata, mi fermavo e rimanevo a bocca aperta davanti alla vista di quei personaggi indaffarati nelle proprie vicissitudini amorose, oppure straziati da un profondo conflitto interiore. «Sai, non ci sono molti ruoli per bambine... Vedremo se riusciremo a trovare una parte per te!», mi aveva risposto mio zio. Passano gli anni, e arriva il 2018. Fu allora che mi disse che avevano bisogno di una giovane ragazza per una parte. Il mio primo spettacolo con “Namastè Teatro” fu “Allegretto (perbene... ma non troppo)”, di Ugo Chiti, ambientato durante il fascismo in un paesino italiano dove avviene un fatto assai insolito e vergognoso proprio prima della visita del Duce. Come descrivere l’emozione di una ragazzina di nemmeno 14 anni che vede avverarsi il suo sogno più profondo? Ero euforica, felicissima, e rimarrò per sempre legata a questo spettacolo. Per i due anni seguenti ci siamo esibiti nell’adattamento del testo di Molière de “Il Borghese 22


Gentiluomo”. Già erano in programma altri spettacoli, e mi sentivo come se avessi raggiunto il mio scopo, perché facevo ciò che riusciva a rendermi più felice al mondo. Ma poi è il sopraggiunto il famigerato Coronavirus, che ha bloccato ogni attività. Per quasi due anni sono rimasta chiusa in casa senza avere la possibilità di ritornare sul palco. È stato per me un dolore fortissimo. Il teatro è, infatti, la mia valvola di sfogo, il modo attraverso il quale riesco ad esprimermi mettendo completamente a nudo i miei pensieri e le mie emozioni tramite il mio personaggio. Secondo me, recitare non vuol dire solo ripetere le proprie battute meccanicamente: quando interpreto una parte divento quel personaggio, divento il suo modo di parlare, il suo modo di muoversi nello spazio circostante e assumo perfino la sua postura. Per me è fondamentale, quindi, comprendere a fondo il mio ruolo, e cercare di approcciarmi alle situazioni dello spettacolo come se fossi io in prima persona partecipe di quegli accadimenti. Per questo, ogni personaggio mi ha lasciato qualcosa di sé nel profondo: una riflessione, un comportamento, un modello da seguire. Se c’è qualcosa che accomuna tutte le parti che ho interpretato finora, è una forza immane nell’approcciarsi alle problematiche che si presentano loro davanti, un grandioso desiderio di riscattarsi e di farsi valere. Caratteristiche che rispecchiano perfettamente la mia determinazione e forza di volontà. Lo scorso anno scolastico ho deciso di non abbandonare la mia passione, ma di seguire un corso di teatro offertomi dalla scuola tenuto dal professor Vezzosi. In gran parte si è svolto in didattica a distanza, eppure ogni settimana nell'ora in cui mi collegavo mi sentivo viva, rinata, come se fossi salita di nuovo sul palco. Questo corso di teatro mi ha trasmesso un'enorme gioia che mi era difficile ritrovare in tempi così bui e una grande forza di cui ho avuto enormemente bisogno per affrontare non solo il lockdown, ma anche l’attesissimo ritorno sul palco. Finalmente, dopo due anni di ritiro forzato da ogni tipo di espressione artistica, la compagnia “Namastè” mi ha dato la possibilità di tornare in scena, proprio con quello spettacolo che tanto ho amato e sognato di interpretare da bambina: “Benvenuti in casa Gori”. Sono molto felice, entusiasta, emozionata, e anche onorata, perché questa recita aveva già un grande valore affettivo per me, e ora il mio sogno si sta realizzando proprio nel momento della ripartenza artistica. È il giorno di Natale del 1986, e la famiglia Gori si è riunita per festeggiarlo tutti insieme. In questa iniziale atmosfera gioiosa, i segreti più profondi sono destinati a venir fuori, e alcuni conti in sospeso dovranno essere saldati. “Benvenuti in casa Gori” è molto più di una commedia familiare: è un testo estremamente profondo e malinconico che fa scaturire un riso amaro, portandoci a riflettere sulla nostra stessa interiorità. Saremo ancora in scena sabato 4 dicembre alle ore 21 e domenica 5 dicembre alle 17, al teatro Reims (via Reims- 30, Firenze Sud). 23


Memorie di Adriano

Recensendo…

di Letizia Chiostri

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“Come spesso accade, la mia vita definisce meglio quello che non sono stato” Le persone scalpitavano all’entrata del Teatro della Pergola. Non era il primo spettacolo della stagione teatrale ( c’era stato “The Dubliners”, il primo ottobre), ma per molti rappresentava il ritorno alle abitudini ante Covid, me compresa. Le signore indossavano cappotti eleganti a lungo tenuti chiusi nell’armadio e gioielli luminosi, i signori si sistemavano la cravatta o la pochette nel taschino. Quando finalmente le porte si aprirono, tutti entrarono soddisfatti, mostrando la certificazione verde. Poi, dopo che gli spettatori avevano preso posto, le luci si abbassarono e iniziò lo spettacolo. Sipario. Luci. In scena. Finalmente tornavo a teatro, seppur in veste di spettatrice. Prima dell’avvento della pandemia andavo abitualmente ad assistere a spettacoli, oppure recitavo io stessa, e ho sofferto enormemente la mancanza di quelle poltrone rosse, dei riflettori e del palco di legno. Adesso, dopo tanto tempo, ho la possibilità di tornare in quel luogo magico che io definisco la mia seconda casa. Per questo, mi immaginavo che il primo spettacolo che sarei tornata a vedere dopo il lockdown avrebbe dovuto avere qualcosa di molto speciale. E, devo ammetterlo, questa rappresentazione ha soddisfatto le mie aspettative. “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar, adattato da Maurizio Scaparro ed interpretato da Pino Micol, è senza dubbio uno occasione per indurci a riflessioni personali. L’imperatore romano, ormai vicino alla morte, ripercorre gli eventi principali della propria vita. Ovviamente non si può considerarla tanto una biografia dal punto di vista storico, quanto invece è un interessante spunto da un punto di vista umano e psicologico. Adriano viene presentato come un uomo vecchio, stanco dei molti dolori che ha vissuto, ma allo stesso tempo non nostalgico, bensì quasi innamorato della propria esistenza. È, cioè, capace di cogliere non solo gli aspetti negativi, ma anche quelli positivi che hanno reso la sua vita degna di essere vissuta. Forse non potremo mai ritrovare conferma della veridicità delle parole di Adriano nei libri di storia, ma ciò che più colpisce di questo personaggio è la sua umanità, la sua espressività, la sua capacità di mettersi completamente a nudo. È il ritratto dell’Uomo, più che l’immagine di un imperatore, di un’autorità storica, che potremmo trovare più cristallina e lontana da noi. “Dal balcone del Palatino sognavo una sovranità olimpica. Fu allora che cominciai a sentirmi Dio. Ero Dio, semplicemente perché ero uomo”: questa frase rappresenta pienamente il suo spirito intraprendente, curioso, desideroso di mettersi in gioco e anche consapevole delle proprie capacità e dei propri limiti. Oserei dire uno spirito dai tratti umanistici. Alla forza e alla bellezza delle sue parole si accompagna una scenografia composta da pochi oggetti di scena. Certamente, “Memorie di Adriano” non è un monologo che eccelle per la sua comicità, ma non ho trovato affatto questa rappresentazione pesante, grazie anche all’intervento dei due musicisti, Cristiano Califano e Arnaldo Vacca, con i loro particolari strumenti. La loro musica è stata capace di dare maggiore movimento al monologo già di per sé intenso di Pino Micol. Meraviglioso è stato poi l’intervento del ballerino, Federico Ruiz, molto elegante ed espressivo nei movimenti.


Farenheit 451 di Giovanni Cavalieri

Fahrenheit 451 è un romanzo di genere fantascientifico pubblicato nel 1953 e scritto dal romanziere statunitense Ray Bradbury. Il protagonista del romanzo, Guy Montag, vive in una società distopica, in cui il possesso o la lettura di libri è considerato un grave reato ed è vietato ogni ricordo del passato. Il controllo sulle menti viene esercitato attraverso la televisione, che diventa l’unica possibile fonte di intrattenimento. I cittadini, su cui viene esercitato un forte “lavaggio del cervello”, credono di vivere in un mondo di discreta felicità. Montag lavora nel corpo dei pompieri, chiamati anche “milizia del fuoco”, che hanno il compito di scovare libri e bruciarli insieme al proprietario. Inizialmente Montag sembra convinto nel ricoprire la sua mansione di pompiere; ma l’incontro con Clarisse, una ragazza anticonformista che evoca spesso ricordi del passato tramandati a lei dallo zio porta Montag a vedere il mondo e la società con occhi nuovi e con maggiore profondità. D’altra parte, l’incontro con una vecchia donna, poi bruciata nella sua casa in quanto colpevole di possedere libri, gli fa provare una certa curiosità verso i libri, e soprattutto fa nascere in lui la domanda del perché le persone rischino la loro vita e la loro casa per essi. Inizia dunque a conservare alcuni libri e a leggerli di nascosto. Comincia così, grazie ai libri e nonostante le avversità, una fuga dalla monotonia e dalla cupezza della sua vita quotidiana, segnata dall’opprimente presenza della tecnologia. Il romanzo di Bradbury è una proiezione di tendenze quali l’alienazione tecnologica e la distruzione della memoria e della cultura attraverso l’incendio dei libri. La tematica dell’alienazione tecnologica è attuale, dal momento che l’impatto della tecnologia è molto forte in ogni aspetto della vita quotidiana; mentre ai tempi dell’autore essa si manifestava soltanto nell’emergente mania per la televisione. La tematica della distruzione della memoria e della cultura propria dell’autore è molto attuale: per la “milizia del fuoco”, Bradbury prende ispirazione dalla pratica dei Bücherverbrennungen, roghi di libri praticati dal regime nazista in Germania. Questa pratica è comune a regimi e gruppi fanatici: oltre che i già citati roghi di libri del regime nazista, anche le Guardie Rosse durante la Rivoluzione Culturale in Cina e molte dittature militari instauratesi in Cile e Argentina negli anni ’70 fecero uso di questa barbara pratica; è inoltre testimoniato che anche i miliziani dell’ISIS, intorno al 2015, hanno bruciato migliaia di libri poiché ritenuti, secondo la visione estremista e distorta della religione islamica del gruppo terroristico, “non corretti nei confronti dell’Islam”. L’autore dà quindi due messaggi importanti: primo, che la tecnologia può essere uno strumento di alienazione, e secondo che i libri sono un importante strumento di espressione e stimolo del pensiero, che si riflette sul mondo e i suoi possibili cambiamenti – motivo per cui sono un pericolo per lo status quo. Il romanzo è coinvolgente e profondo. I personaggi sono ben caratterizzati e ognuno delinea un aspetto della società descritta nel libro: dal poliziotto consapevole, ma parte del sistema, alla giovane emarginata che vede il mondo con maggiore profondità; dalla casalinga frivola e annoiata al gruppo di colti viandanti che custodiscono la memoria culturale dell’umanità. La società e i temi trattati dall’autore sono fortemente attuali, poiché rispecchiano una società alienata dalla tecnologia non tanto diversa da quella odierna; un mondo in cui lo sviluppo tecnologico tende a far prevalere la modernità sulla cultura e sulla memoria. Questa è purtroppo tuttora una grave mancanza, di cui le persone sembrano avere sempre meno consapevolezza, analisi e senso critico, lasciandosi dunque guidare dal pensiero di altri. Tuttavia Bradbury, alla fine del romanzo, lascia una speranza per il futuro: la cultura e la conoscenza potranno essere diffuse alle nuove generazioni, che potranno così dar vita a una nuova età del genere umano. 25


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