Accademia Carrara Guida alla visita

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Accademia Carrara Guida alla visita


Un progetto di

Si ringrazia

Associazione Amici dell’Accademia Carrara

Con il contributo di


Accademia Carrara 5 Museo del collezionismo

Guida alla visita Il Rinascimento nell’Italia settentrionale

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I collezionisti

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Il Rinascimento nell’Italia centrale e nelle Fiandre

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Venezia e la terraferma nel secondo Quattrocento

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Scuole. L’Italia settentrionale tra Quattro e Cinquecento

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Il Rinascimento maturo

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Il trionfo della pittura. L’età del Barocco e del Rococò

78

La collezione di sculture

96

L’Ottocento. Il secolo borghese

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Indice degli artisti 116



Accademia Carrara Museo del collezionismo Due secoli di storia L’Accademia Carrara ha alle sue spalle oltre due secoli di storia. Un tempo ragguardevole per un’istituzione che può fregiarsi di essere una delle più antiche pinacoteche lombarde e che si è costruita negli anni una solida identità di museo del collezionismo e dei collezionisti. Sorta alla fine del Settecento grazie alla generosità di un privato cittadino, Giacomo Carrara (1714 -1796), l’Accademia ha visto crescere significativamente il proprio patri­monio per merito di una fitta serie di donazioni e lasciti, che testimoniano di un’ininterrotta tradizione di affetto e di mecenatismo avviata dal munifico gesto del conte Carrara. Questa tradizione è stata suggellata nel 1958 dall’immissione del Comune di Bergamo nella titolarietà dell’istituzione, che in questo modo diventava a tutti gli effetti un museo civico. Conoscitore d’arte ed erudito, Giacomo Carrara costituisce una ricchissima raccolta di dipinti, disegni e stampe che mette a disposizione degli appassionati e alla quale affianca una Scuola di Pittura.


Nel 1796, a conclusione di un’intera vita dedicata allo studio e alla promozione delle arti, egli istituisce sua erede universale la Galleria e la Scuola, affidandone la gestione alla Commissarìa, un organismo composto da esponenti dell’aristocrazia bergamasca. Per dotare la Scuola degli spazi adeguati e presentare dignitosamente la raccolta Carrara, alla quale nel 1804 si è aggiunto un ragguardevole nucleo di dipinti provenienti dalla collezione veneziana di Salvatore Orsetti, l’architetto Simone Elia nel 1810 completa la costruzione di un nuovo edificio di gusto neoclassico, che è tuttora la sede del museo, mentre la Scuola è trasferita tra il 1912 e il 1914 nel giardino retrostante. La necessità di rivedere l’ordinamento della pinacoteca ­allestita ancora a quadreria porta nel 1835 alla vendita all’asta di una parte delle raccolte e questa decisione impoverisce la collezione soprattutto delle testimonianze di pittura barocca. Nel corso di oltre due secoli il patrimonio dell’Accademia Carrara aumenta tuttavia in maniera straordinaria grazie alle numerose donazioni ricevute dal museo. Tra le principali vi sono il legato del conte Guglielmo Lochis (1789 -1859), amministratore pubblico, politico e formidabile collezionista. La sua prestigiosa raccolta è lasciata al Comune di Bergamo, che rinuncia a una parte consistente della collezione riservandosi di tenere 240 importanti opere pittoriche per collocarle in un’ala dell’Accademia Carrara.


Poco tempo dopo, nel 1891, giunge in museo anche la raccolta di dipinti di Giovanni Morelli (1816 - 1891), uno dei padri fondatori della moderna storia dell’arte. Accanto alle donazioni maggiori perviene negli anni una ricca costellazione di oltre duecento preziosi lasciti che arricchiscono il patrimonio dell’Accademia Carrara, ora costituito di 1.800 dipinti. A questi si aggiunge una ricca e importante raccolta di disegni e stampe e preziosi nuclei di arti decorative: dai ­bron­zetti alle medaglie, dai ventagli alle porcellane. L’ultimo legato in ordine di tempo è quello di uno dei maggiori conoscitori d’arte del Novecento, Federico Zeri (1921 - 1998), che lascia alla Carrara la sua raccolta di sculture.


Il nuovo ordinamento L’Accademia Carrara riapre al pubblico nell’aprile del 2015. Nei sette anni di chiusura che sono serviti a effettuare i necessari lavori di restauro e ­adeguamento impiantistico dell’edificio, il museo ha condotto una approfondita riflessione sulle proprie specificità e caratteristiche, il cui esito è il nuovo ordinamento della ­collezione permanente. Il percorso di visita dell’Accademia Carrara è organizzato su due piani e si sviluppa in ventotto sale di diversa ampiezza, tredici al primo piano e quindici al secondo, per un totale di quasi seicento opere esposte tra dipinti, in larga maggioranza, e sculture. L’itinerario si snoda lungo un arco cronologico di cinque secoli, dall’inizio del Quattrocento sino alla fine dell’Ottocento, e tocca le principali scuole pittoriche italiane, dalla Lombardia al Veneto, dal Piemonte all’Emilia Romagna, dalla Toscana all’Umbria. Non mancano sguardi alla pittura d’oltralpe, specialmente alle Fiandre e all’Olanda. La guida intende offrire ai visitatori uno strumento di primo orientamento all’interno del nuovo percorso di visita del museo. Essa è suddivisa in otto sezioni che raggruppano nuclei di sale consecutive e omogenee. Ogni sezione è introdotta da un breve testo, che fornisce un sintetico inquadramento ai diversi temi affrontati nelle sale, ed è corredata da snelle schede di commento delle opere principali.


Il lettore troverà notizie aggiornate su una selezione di sessantaquattro tra dipinti e sculture che costituiscono la spina dorsale del museo e consentono di farsi una idea della ricchezza e della varietà delle sue collezioni. Questa seconda edizione, che esce nel marzo 2019, a distanza di quasi quattro anni dalla prima, pubblicata nell’aprile 2015, è stata rivista e aggiornata anche sulla base dei risultati emersi dalla recente pubblicazione del primo volume dei cataloghi scientifici del museo: Accademia Carrara Bergamo.

Dipinti del Trecento e del Quattrocento. Catalogo completo, a cura di G. Valagussa, Milano 2018. L’auspicio è che la guida, oltre ad accompagnare il visitatore in museo, gli permetta in seguito di rivivere questa esperienza, diventando motivo e stimolo a nuove visite all’Accademia Carrara.



Guida alla visita


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Il Rinascimento nell’Italia settentrionale

Sale

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La conquista della realtĂ

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Luce e colore a Venezia


L’Italia settentrionale e i suoi fiorenti centri urbani durante il Quattrocento sono il palcoscenico di una splendida stagione artistica, che vede il lungo tramonto del gusto tardogotico intrecciarsi con la progressiva affermazione del Rinascimento. Figura emblematica di questo momento di passaggio è Pisanello, che coniuga eleganze e ideali ­cavallereschi tipici del mondo delle corti medievali con i primi fermenti dell’Umanesimo. Cuore pulsante del rinnovamento in senso rinascimentale è Padova. La presenza in città dello scultore fiorentino Donatello (1443 - 1453) spinge gli artisti a un più diretto confronto con le novità toscane: la costruzione prospettica dello spazio, lo studio dei modelli classici e la possibilità di rappresentare fedelmente la vita e le emozioni dell’uomo. A Padova cresce e si afferma Andrea Mantegna, protagonista del Rinascimento nell’Italia settentrionale. Il suo stile severo e solenne, fortemente improntato all’arte antica, costituisce un termine di paragone quasi inarrivabile per gli artisti della sua generazione, spesso impegnati a far convivere aspetti della narrazione fiabesca del mondo cortese con una più salda resa spaziale dei personaggi e delle architetture. A Venezia invece, durante la seconda metà del Quattrocento, emerge la personalità di Giovanni Bellini. La sua pittura si fonda sull’uso sapiente della luce e del colore, che donano alle sue composizioni una dolcezza e un palpito di vita mai raggiunti prima. L’artista è anche il primo grande interprete della figura umana immersa nel paesaggio naturale. In città, accanto a Bellini, operano maestri di diverso orientamento, molti segnati dall’esperienza di Antonello da Messina, l’artista siciliano che soggiorna a Venezia intorno al 1475. Spicca tra gli altri Vittore Carpaccio, che si specializza nell’esecuzione di grandi tele narrative destinate a quelle confraternite laiche che in laguna prendono il nome di “scuole”.

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La conquista della realtà

1441-1444 (?) tempera, oro e argento su tavola cm 29 × 19,5 collezione Giovanni Morelli, 1891

Pisa, Verona o San Vito (?) 1395 circa Napoli 1455 circa

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Pisanello (Antonio Pisano) Ritratto di Leonello d’Este Pisanello è l’ultimo esponente di quella elegantissima ­cultura delle corti conosciuta con il nome di gotico internazionale o tardogotico. Artista itinerante tra Verona e Venezia, Mantova e Milano, Roma e Napoli, egli fu a lungo al servizio di Leonello d’Este, il colto marchese di Ferrara. Il ritratto della Carrara fu eseguito forse in occasione di una celebre gara pittorica che vide contrapposti, nel 1441, Jacopo Bellini e Pisanello. L’impostazione di profilo riprende il modello delle medaglie antiche, ma i tratti caratteristici del volto sono indagati con precisione. La folta chioma di Leonello, il broccato dell’abito e i fiori da erbario del roseto sono descritti minuziosamente, attraverso una pennellata morbida e fusa, tipica del gusto raffinato e profano dell’artista.


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La conquista della realtà

1440 - 1445 circa tempera e oro su tavola cm 58,4 × 32,7 cm 58,1 × 34 dono Antonietta Noli Marenzi, 1901

documentato dal 1441 Padova ante 1450

Giovanni d’Alemagna Sant’Apollonia privata dei denti Sant’Apollonia accecata Giovanni d’Alemagna è un artista di origine tedesca che lavora tra Venezia e Padova negli anni Quaranta del ­Quattrocento. Insieme al cognato Antonio Vivarini, con il quale spesso collabora, è tra i più vivaci interpreti della stagione di passaggio tra Medioevo e Rinascimento in Veneto. I pannelli dell’Accademia Carrara appartengono a un complesso di cui ignoriamo l’aspetto originario, ma che comprendeva altre due tavolette con storie di ­sant’Apollonia conservate al Museo Civico di Bassano del Grappa e alla National Gallery di Washington. Il tono fiabesco della narrazione, il gusto profano per vesti e copricapi, le architetture che reinventano con libera fantasia il repertorio classico fanno delle storie di ­sant’Apollonia uno degli episodi più affascinanti dell’intreccio tra ­tradizione gotica e nuove istanze rinascimentali in pittura.

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La conquista della realtà

6 aprile 1450 o aprile 1456 tempera e oro su tavola cm 69 × 39 collezione Giacomo Carrara, 1796

Bagnolo Mella, Brescia, 1427 circa Brescia 1515/1516

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Vincenzo Foppa Tre Crocifissi Il dipinto è tra le prime opere di Foppa, quando il giovane pittore è impegnato a far dialogare il mondo incantato di Gentile da Fabriano e l’antichità rievocata da Jacopo Bellini con l’intensa espressività della scultura di Donatello, conosciuta a Padova. Siamo di fronte a una immagine devozionale di straordinaria potenza, che pone davanti agli occhi del fedele la solitaria agonia di Cristo, accompagnato dai due ladroni, ma privo del conforto offerto dalle consuete figure di Maria, della Maddalena e di san Giovanni. Sui corpi e sullo scabro paesaggio con foreste e città turrite si allunga la luce del tramonto. L’arco trionfale all’antica introduce lo sguardo dell’osservatore all’interno della scena e allo stesso tempo attenua il coinvolgimento emotivo, favorendo un approccio anche intellettuale al significato della Passione.


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La conquista della realtà

1485-1490 circa tempera e oro su tela cm 45,5 × 33,5 dono Carlo Marenzi, 1851

Isola di Carturo, Padova, 1431 Mantova 1506

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Andrea Mantegna Madonna col Bambino Giovane promettente nella Padova di Donatello e di Squarcione, Andrea Mantegna divenne ben presto uno dei più celebri artisti del suo tempo, predominio sancito dal suo definitivo trasferimento a Mantova alla corte dei Gonzaga. La Madonna col Bambino della Carrara è opera della maturità dell’artista, eseguita probabilmente negli anni in cui il pittore lavorava ai Trionfi di Cesare. Questa austera e al tempo stesso commovente immagine della maternità prefigura il futuro sacrificio di Cristo sulla croce: ad esso alludono il braccialetto di corallo rosso indossato dal Bambino e lo sguardo distante, velato di malinconia, della Vergine. I colori spenti dell’opera sono il risultato dell’adozione da parte di Mantegna della tecnica da lui prediletta della tempera, che utilizza stendendo sottili velature su una finissima tela di lino.



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Luce e colore a Venezia

1472-1473 circa tempera e olio su tavola cm 34 × 27,5 collezione Guglielmo Lochis, 1866

Venezia 1430 circa - 1516

Giovanni Bellini(?) Ritratto di giovane

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Il ritratto è impostato come un busto classico e richiama immediatamente i severi modelli di Andrea Mantegna, che aveva sposato la sorella di Bellini, Nicolosia. Il solido impianto volumetrico e lo sguardo intenso che il giovane rivolge allo spettatore testimoniano un precoce interesse per i ritratti di Antonello da Messina, attivo a Venezia intorno al 1475. Una iscrizione frammentaria sul retro (“IACOBUS D”), che inizialmente era stata interpretata come un riferimento all’autore dell’opera, è invece l’unico labile indizio per risalire all’identità del misterioso personaggio raffigurato.


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Luce e colore a Venezia

1480 olio su tavola cm 64,6 × 45 collezione Giacomo Carrara, 1796

Messina 1456 circa - Venezia (?) ante 1488

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Jacopo di Antonello (Jacobello di Antonello) Madonna col Bambino Il dipinto è l’unica opera firmata e datata del figlio di Antonello da Messina ed anche il solo lavoro che gli si possa assegnare con certezza. Alla morte del padre, nel febbraio del 1479, Jacobello ereditò la bottega impegnandosi a terminare le opere rimaste incompiute, tra cui probabilmente la Madonna col Bambino della Carrara. Nella costruzione potentemente tridimensionale dei volti, nello scorcio virtuosistico della mano che regge il bacile di vetro trasparente e nel paesaggio descritto con una minuzia che rammenta la pittura fiamminga, Jacobello riprende infatti alcune idee del padre, artista “non umano” ossia inimitabile, come si afferma nel cartiglio appoggiato sul parapetto.



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Luce e colore a Venezia

1487 circa tempera e olio su tavola cm 84,6 × 65 collezione Giovanni Morelli, 1891

Venezia 1430 circa - 1516

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Giovanni Bellini Madonna col Bambino (Madonna di Alzano) Il dipinto è tra i capolavori della maturità di Giovanni ­B ellini, l’artista che ha segnato indelebilmente il corso ­della pittura veneziana nella seconda metà del Quattrocento. L’immagine è caratterizzata dal rapporto tra il gruppo monumentale della Madonna col Bambino, e il nitido paesaggio che si distende alle loro spalle, per il quale si è sospettato l’intervento di un altro pittore. Maria stringe affettuosamente il Bambino in un abbraccio che è una sorta di accorata preghiera e rivela nello sguardo assorto la consapevolezza del futuro sacrificio del figlio ­sulla croce. Sul parapetto marmoreo è collocata una pera, frutto che per la sua dolcezza nella simbologia cristiana viene spesso associato alle figure della Madonna e di Gesù quale simbolo dell’amore che li unisce.


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Luce e colore a Venezia

1502 - 1504 circa olio su tela cm 128,5 × 127,5 collezione Guglielmo Lochis, 1866

Venezia 1465 circa 1525/1526

Vittore Carpaccio e bottega Nascita di Maria Carpaccio è il primo grande interprete della veduta cittadina, ma è anche un incantevole pittore d’interni, come rivela questo dipinto, nel quale il tempo sembra sospeso. La tela appartiene a un ciclo con storie di Maria realizzato per la Scuola degli Albanesi a Venezia. La madre della Vergine, sant’Anna, si riposa dopo il parto, assistita dalle inservienti e dalla levatrice, che prepara il bagno per la neonata. L’anziano marito, Gioacchino, sorveglia la scena un poco discosto. Il racconto è arricchito da episodi apparentemente secondari, ma fortemente simbolici: i due coniglietti che rosicchiano una foglia di cavolo alludono alla verginità di Maria; la scritta in ebraico “Santo Santo Santo nel Cielo benedetto Colui che viene nel Nome del Signore”, si ricollega al nome di Cristo inciso sullo stipite della porta sempre in caratteri ebraici.

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Luce e colore a Venezia

1505 - 1510 tempera e olio su tela cm 66 × 58,5 collezione Giovanni Morelli, 1891

Vicenza (?) 1449 circa - Vicenza 1523

Bartolomeo Montagna (Bartolomeo Cincani) San Girolamo a Betlemme Formatosi tra Vicenza e Venezia, guardando alla pittura di Giovanni Bellini e di Antonello da Messina, Montagna fu attivo in prevalenza nell’entroterra veneto. Il San Girolamo è un dipinto della maturità ed è commovente lo sforzo dell’artista di tenere il passo delle novità del tempo senza rinunciare al piacere di una narrazione minuta. L’autore della versione latina della Bibbia non è raffigurato come un anacoreta o vestito del rosso abito cardinalizio, ma abbigliato da abate e accompagnato dall’immancabile leone. Alle sue spalle si vede il monastero di Betlemme nel quale l’anziano teologo si ritirò a vivere. Uomini e animali vi convivono serenamente, intenti alle loro occupazioni quotidiane, mentre lontano sul fondo le montagne e il cielo si tingono delle prime luci della sera. L’immagine celebra la vita del chiostro ed elegge Girolamo a suo emblema perfetto.

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I collezionisti

Sala

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Collezionisti per il museo: Carrara, Lochis, Morelli


A differenza di molti musei civici italiani, sorti in seguito alle soppressioni degli enti ecclesiastici e alla dispersione delle quadrerie aristocratiche, il patrimonio dell’Accademia Carrara è il risultato di una lunga serie di grandi e piccole storie di appassionati che hanno saputo trasformare l’arte del collezionare e dunque del possedere, nell’arte del condividere donando, facendo della pinacoteca bergamasca uno dei più importanti musei italiani. In testa al lungo elenco di donatori, che comprende 240 nomi tra privati e istituzioni, svettano le figure di Giacomo Carrara, Guglielmo Lochis e Giovanni Morelli, tre grandi collezionisti che hanno costituito, in differenti momenti storici, importanti raccolte d’arte. Il diverso profilo di queste collezioni contribuisce a definire il carattere articolato e vario del patrimonio dell’Accademia Carrara. Fondatore della Pinacoteca, Giacomo Carrara spende una vita intera per realizzare il progetto di allestire la sua raccolta, che comprende dipinti, disegni e stampe, in un edificio che includa anche una scuola di pittura. La collezione, donata nel 1796 alla città, documenta in maniera esaustiva la storia dell’arte a Bergamo dal Quattrocento in avanti, ma ospita anche capolavori della pittura lombarda e veneta. Guglielmo Lochis allestisce nella villa alle Crocette di Mozzo, poco fuori Bergamo, una collezione di dipinti straordinaria, ricca di opere di Bellini, Raffaello, Tiziano, Canaletto, Tiepolo. Costituita allo scopo di rendere testimonianza delle diverse scuole artistiche italiane dal Quattrocento al Settecento, buona parte della raccolta giunge in Carrara nel 1866. Con il legato di Giovanni Morelli nel 1891, il museo si arricchisce della collezione di uno dei più grandi storici dell’arte dell’Ottocento. Morelli mette a punto un nuovo metodo per l’attribuzione dei quadri antichi, basato sull’analisi dei dettagli anatomici più trascurabili. La sua raccolta di dipinti e di sculture, che annovera capolavori di Pisanello, Bellini e Botticelli, viene destinata dopo la sua scomparsa all’Accademia Carrara. 27


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Collezionisti per il museo: Carrara, Lochis, Morelli

1886 olio su tela cm 125,5 × 90 collezione Giovanni Morelli, 1891

Schrobenhausen 1836 - Monaco di Baviera 1904

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Franz von Lenbach Ritratto del senatore Giovanni Morelli Il dipinto venne eseguito tra la primavera del 1885 e l’inverno del 1886 a Roma, in Palazzo Borghese, dove Lenbach aveva uno studio molto frequentato. Il brillante storico dell’arte, eletto nel 1873 senatore del Regno d’Italia, è raffigurato per tre quarti della sua figura, in soprabito scuro e cilindro, colto in atto di girare la testa verso l’osservatore, con uno sguardo vivo e penetrante. Il volto del gentiluomo emerge luminoso dal colore bruno del fondo e dal nero dell’abito: un’impostazione a effetto, apprezzata anche da Morelli, il quale stimava in modo particolare il pittore tedesco e lo considerava l’ultimo erede della grande tradizione ritrattistica cinquecentesca. Grazie ai suoi ritratti Lenbach si costruì in effetti una carriera straordinaria, lavorando non soltanto per i reali di mezza Europa, ma diventando anche il pittore ufficiale dell’aristocrazia germanica.



Il Rinascimento nell’Italia centrale e nelle Fiandre

Sale

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Il Rinascimento nell’Italia centrale

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Tra la Toscana e le Fiandre I Tarocchi


Durante il Quattrocento le città dell’Italia centrale si distinguono per la vivace produzione artistica. Firenze vanta una gloriosa tradizione figurativa e ha accolto con cautela il linguaggio ricercato e aristocratico dell’ultima splendida fiammata gotica. All’inizio del Quattrocento, con l’ascesa della famiglia Medici, si apre una straordinaria stagione di rinnovamento e la città diventa il centro propulsore delle novità del Rinascimento. Si afferma una pittura d’intensa luminosità, in cui lo spazio è costruito geometricamente attraverso le regole della prospettiva e i colori diventano tersi e squillanti. Nuovi soggetti e iconografie tratte dalla mitologia o dalla storia antica arricchiscono il repertorio degli artisti. Questa stagione esaltante ha il suo apice negli anni di Lorenzo il Magnifico, con Sandro Botticelli. Le forme e i temi rinascimentali irrompono anche a Siena, ma nell’orgogliosa città toscana resiste il legame con la tradizione gotica e il gusto per una materia preziosa e per sofisticate cadenze lineari. Nelle Marche l’avamposto delle ricerche figurative più aggiornate è la corte dei Montefeltro di Urbino, la quale vede il passaggio di Piero della Francesca ed è luogo privilegiato di confronto tra pittura italiana e pittura d’oltralpe. In Umbria, regione di scambio culturale tra le diverse località dell’Italia centrale, emerge nella bottega di Perugino la personalità di Raffaello Sanzio. Anche nelle Fiandre e nei Paesi Bassi si sviluppa durante il Quattrocento una grande scuola pittorica, che ha nelle fiorenti città mercantili di Bruges e Gand, di Anversa e Bruxelles i suoi centri principali. Estranei a quel fascino per l’antichità classica che seduceva molti artisti italiani, i pittori fiamminghi s’indirizzano verso una rappresenta­zione fedele della realtà. Grazie all’utilizzo della nuova t­ ecnica della pittura a olio, essi si mostrano capaci di inedite sottigliezze ottiche e di un realismo minuzioso, ma elaborano anche una moderna iconografia sacra, che risponde alle esigenze di una nuova e articolata società borghese.

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Il Rinascimento nell’Italia centrale

1440-1445 circa tempera e oro su tavola cm 34,7 × 29,5 collezione Guglielmo Lochis, 1866

Firenze 1420/1421 - Pistoia 1497

Benozzo Gozzoli (Benozzo di Lese) Madonna col Bambino e angeli (Madonna dell’Umiltà) Benozzo Gozzoli lavora a Firenze e in diverse località dell’Italia centrale, segnalandosi soprattutto come pittore di affreschi. Il dipinto appartiene alla fase giovanile e risente ancora dei modi preziosi di Beato Angelico, suo maestro. L’iconografia adottata è quella della Madonna dell’Umiltà, piuttosto diffusa nella pittura del Tre e del Quattrocento. Maria, seduta su un cuscino, stringe a sé il Bambino, che risponde con una carezza allo sguardo affettuoso della madre. Ai piedi della Vergine siedono su un pavimento di marmo due angioletti musicanti, mentre alle sue spalle due angeli reggono un panno in broccato lavorato a fili d’oro. Sullo sfondo un giardino di gigli e rose allude al motivo dell’hortus conclusus, il giardino recintato medievale simbolo della verginità di Maria.

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Il Rinascimento nell’Italia centrale

1470-1475 circa tempera e oro su tavola cm 58,2 × 43,5 collezione Giovanni Morelli, 1891

Siena 1447 - ante 1500

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Neroccio di Bartolomeo de’ Landi Madonna col Bambino Allievo a Siena del Vecchietta e operoso per diversi anni accanto a Francesco di Giorgio Martini, Neroccio de’ Landi fu abile scultore in legno e raffinato pittore. La Madonna col Bambino è una testimonianza esemplare della produzione di questo artista e un’immagine di rarefatta bellezza. La mano di Maria sfiora delicatamente quella di Gesù, che cerca con lo sguardo la madre, mentre le gote arrossate indicano l’emozione dell’abbraccio. Nell’opera convivono la fedeltà alla tradizione gotica senese, con la sua predilezione per gli ori, per un disegno sinuoso e per sottili stesure di colore, accanto alla rielaborazione di alcune novità del Rinascimento fiorentino. La posa atletica e l’anatomia classicheggiante del Bambino derivano da Donatello, così come il gusto per i dettagli realistici: l’ombra proiettata dal bimbo e le staffe che fissano le lastre di pietra del parapetto.


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Il Rinascimento nell’Italia centrale

1475-1480 circa tempera e oro su tavola cm 52 × 39 collezione Giovanni Morelli, 1891

Firenze 1446 - 1498

Francesco Botticini Tobiolo e l’arcangelo Raffaele L’episodio raffigurato è tratto dal Libro di Tobia, ­nell’Antico Testamento, dove si narrano le vicende dell’ebreo Tobia e del figlio Tobiolo, in esilio a Ninive. Nel dipinto si vede Tobiolo, accompagnato dall’arcangelo Raffaele, in viaggio versa Ecbatana, antica capitale della Media. Il giovane ­tiene in mano il pesce miracoloso catturato nel fiume Tigri che gli permetterà di sconfiggere il demonio Asmodeo e di sposare l’amata Sara, nonché di guarire dalla cecità il ­padre Tobia. A Firenze la storia di Tobiolo era particolarmente popolare tra mercanti e viaggiatori e Botticini, che era iscritto alla Compagnia dell’Arcangelo Raffaelle con sede in Santo Spirito, ne realizzò diverse versioni, tra cui questa destinata alla devozione domestica. Per la fluidità del disegno e l’espressione sognante dei volti, il dipinto si colloca negli anni in cui l’artista risente maggiormente della pittura di Sandro Botticelli, suo compagno di studi nella bottega del Verrocchio.

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Il Rinascimento nell’Italia centrale

1499-1500 circa tempera, olio e oro su tavola cm 83,5 × 162 collezione Giovanni Morelli, 1891

Firenze 1445-1510

Sandro Botticelli (Alessandro di Mariano Filipepi) Storia di Virginia romana Nella Firenze della seconda metà del Quattrocento ­Botticelli incarna il clima coltissimo e antichizzante che si respira nella cerchia dei Medici intorno a Lorenzo il ­Magnifico. Il dipinto della Carrara si colloca nell’ultima fase del suo percorso. Esso fungeva in origine da spalliera e si inseriva in un rivestimento in legno o cuoio che ricopriva le pareti di un ambiente privato. Vi è raffigurato un episodio della storia romana narrato da Tito Livio. Botticelli sceglie di giustapporre i diversi momenti della vicenda, che celebra le virtù femminili dell’onore e della castità difese a prezzo della vita. Il decemviro Appio Claudio, invaghito della giovane Virginia, già promessa al tribuno Lucio Icilio, incarica Marco Claudio di rapirla, fingendo che sia una sua schiava fuggita. Difesa dagli astanti, Virginia viene condotta davanti al tribunale, presieduto dallo stesso Appio, che la dichiara schiava di Marco. Il padre, Lucio Virginio, la colpisce a morte per evitare che il suo onore sia macchiato. La narrazione si conclude con il dolore dei parenti e con la cacciata dei decemviri da Roma.

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Il Rinascimento nell’Italia centrale

1502-1503 circa tempera e olio su tavola cm 45,5 × 36 collezione Guglielmo Lochis, 1866

Urbino 1483 Roma 1520

Raffaello Sanzio San Sebastiano

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Originario di Urbino e attivo inizialmente nella bottega del Perugino, Raffaello lavora a Siena, forse come collaboratore di Pintoricchio, e vede poi la sua definitiva affermazione a Firenze nei primi anni del Cinquecento. Il San Sebastiano fu dipinto quando Raffaello non aveva nemmeno vent’anni, ma si impone per una straordinaria finezza esecutiva e per la capacità quasi miracolosa di gradazione della luce, che avvolge la figura in un’atmosfera dolce e sognante. L’opera fu realizzata per la devozione personale di un raffinato committente e questo spiega perché un santo come Sebastiano, solitamente associato alla pietà popolare, venga raffigurato dal pittore in vesti aristocratiche, mentre tiene nella mano la freccia simbolo del martirio, invece che nudo e trafitto dai dardi, come prevedeva l’iconografia tradizionale.



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Tra la Toscana e le Fiandre

1405 circa tempera e oro su tavola cm 33 × 23 collezione Giovanni Morelli, 1891

Firenze, documentato dal 1391 al 1422

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Lorenzo Monaco (Piero di Giovanni) Vir Dolorum (Cristo in Pietà) Lorenzo Monaco, frate nel convento di Santa Maria degli Angeli, è tra i principali interpreti dello stile tardogotico nella Firenze dei primi anni del Quattrocento. Il raffinato linguaggio fiorito nelle corti di mezza Europa è sviluppato dall’artista in senso devozionale, in formule di astratta eleganza. La tavola della Carrara raffigura il tema popolare di Gesù Cristo in Pietà. Il Cristo morto fuoriesce dal sepolcro, col capo reclinato e le mani incrociate sul busto, mentre nel fondo si innalza la Croce. L’immagine presenta una radicale semplicità di impostazione e si ispira ancora a modelli iconografici della fine del Duecento. Questo ricercato arcaismo si nota soprattutto nel disegno semplificato delle anatomie e del volto, nella calligrafica esecuzione dei capelli, e sottolinea l’aspetto spiccatamente devoto del dipinto.


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Tra la Toscana e le Fiandre

1480 - 1485 olio su tavola cm 40,2 × 33 collezione Giacomo Carrara, 1796

Bruges, seconda metà del 1400

Maestro della Leggenda di sant’Orsola Ritratto di giovane

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Il ritratto è attribuito a un pittore anonimo, attivo a Bruges nei decenni finali del Quattrocento, al quale è stato assegnato il nome convenzionale di Maestro della Leggenda di sant’Orsola. L’opera più importante di questo artista è infatti un grande polittico con storie della santa conservato presso il Groeningemuseum di Bruges. Il giovane è rappresentato a mezzo busto, con la testa p ­ osta di tre quarti, davanti a un paramento di velluto scuro. Alle sue spalle si apre un paesaggio con una città affacciata su uno specchio d’acqua e animata da esili figure di cavalieri. L’impostazione generale del dipinto e il realismo analitico con cui sono delineati i particolari del volto e del paesaggio si ispirano alle opere di Hans Memling, un grande artista di origine tedesca che a Bruges tenne una fiorente bottega.



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I Tarocchi

1455-1460 circa; 1485-1490 circa tempera su carta con argento e oro cm 17,6 × 8,7 (ciascuna carta) dono Francesco Baglioni, 1900

Cremona, documentato dal 1444 al 1477 Cremona, documentato dal 1450 al 1482 Cremona, documentato dal 1480 al 1516

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Bonifacio Bembo e Ambrogio Bembo; Antonio Cicognara Ventisei carte da gioco e tarocchi I tarocchi sono carte da gioco di origine incerta, ma diffusi nelle corti dell’Italia settentrionale durante il Quattrocento. Un mazzo è costituito da cinquantasei carte ripartite in quattro serie di semi (denari, coppe, spade e bastoni) e da ventidue carte illustrate con figure umane e animali dal s ­ ignificato simbolico, anticamente dette “Trionfi”. Il mazzo Colleoni-Baglioni, oggi diviso fra l’Accademia Carrara, che custodisce 26 carte, la Pierpont Morgan Library di New York e una raccolta privata, è tra i più completi giunti sino a noi. Il committente fu probabilmente Francesco Sforza, duca di Milano dal 1450 al 1466. L’esecuzione spetta principalmente a Bonifacio Bembo, uno dei principali esponenti del tardogotico lombardo, forse con la c ­ ollaborazione del fratello Ambrogio, mentre Antonio Cicognara intervenne in un secondo tempo per integrare l’insieme con tre carte mancanti, perché perdute o rovinate.


Venezia e la terraferma nel secondo Quattrocento

Sale

6

La scuola di Giovanni Bellini

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La Sacra Conversazione

8

Riconoscere i santi

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Sugli altari di Bergamo


Nel Rinascimento gli artisti imparano il mestiere attraverso un periodo di apprendistato nelle botteghe di maestri già esperti e affermati. La formazione prevede una gradualità di ruoli e di mansioni, dalla preparazione dei colori fino alla collaborazione diretta con il caposcuola. Tra Quattrocento e Cinquecento diverse generazioni di pittori che provengono soprattutto dai domini di Venezia frequentano la bottega di Giovanni Bellini, la più importante allora presente in laguna. Completato il periodo d’istruzione e tirocinio, i giovani iniziano una carriera autonoma in città o nei luoghi d’origine diffondendo nella terraferma il messaggio della pittura veneziana. Nella bottega di Bellini si eseguono opere di diverso tipo e finalità. Agli altari delle chiese erano destinati inizialmente maestosi polittici di tradizione gotica: macchine complesse, organizzate su diversi registri e composte di vari pannelli raffiguranti santi, martiri, padri della chiesa. Gradualmente i polittici sono sostituiti da pale a superficie unificata che ospitano una delle composizioni più diffuse della ­pittura del Rinascimento, la Sacra Conversazione. Lo schema prevedeva in genere la Madonna col Bambino al centro, in posizione sopraelevata su un podio o un trono, circondata da santi e talvolta da committenti La scena era ambientata in uno spazio architettonico unitario e i personaggi erano rappresentati a figura intera. Questa nuova iconografia si diffonde a Venezia proprio grazie a Giovanni Bellini, che inventa la Sacra Conversazione a mezze figure. Le dimensioni del dipinto si riducono e il formato diventa orizzontale; i personaggi non abitano più gli spazi di una chiesa, ma sono immersi nel paesaggio naturale e il dialogo tra loro si fa più fitto, grazie a una gestualità affettuosa che li lega l’uno all’altro. Nata per soddisfare le esigenze di devozione della committenza aristocratica, la Sacra Conversazione a mezze figure finirà per affermarsi come l’immagine stessa della pittura veneta.

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6

La scuola di Giovanni Bellini

1505 olio su tavola cm 47 × 37,5 collezione Guglielmo Lochis, 1866

Venezia o Cremona (?) 1480 circa Venezia 1531 circa

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Bartolomeo Veneto Madonna col Bambino Attivo tra Veneto, Emilia e Lombardia agli inizi del Cinquecento, Bartolomeo Veneto è noto per i suoi ritratti che mostrano una grande cura nella resa del costume. Meno conosciuta è la sua produzione devozionale alla quale si dedica soprattutto agli inizi della carriera. Il dipinto della Carrara è infatti tra le opere più antiche del pittore e fu eseguito nel 1505, quando Bartolomeo aveva da poco terminato il suo apprendistato nella bottega di Giovanni Bellini. La posa della Madonna e di Gesù Bambino deriva da un modello del maestro che gli allievi utilizzarono in diverse occasioni e da idee di Bellini è preso anche il paesaggio, forse una raffigurazione del Castello di ­Monselice, vicino a Padova. Nel disegno tagliente dei profili, nella ­raffigurazione accurata dello sfondo e nella lucentezza dei colori emerge invece quell’interesse per l’arte nordica che fu una caratteristica della pittura di Bartolomeo.


6

La scuola di Giovanni Bellini

1521 olio su tavola cm 84 × 67 collezione Giovanni Morelli, 1891

Venezia 1470/1475 circa - post 1530

Marco Basaiti Ritratto di gentiluomo in nero

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Marco Basaiti è un protagonista poco conosciuto della pittura veneta a cavallo tra Quattro e Cinquecento. Il g ­ entiluomo della Carrara è uno dei suoi capolavori nell’ambito del ritratto, genere al quale si dedicò con impegno. Il nome dell’autore e la data 1521 sono indicati nell’iscrizione “m. baxiti. f. mdxxi” che ora si legge a malapena sulla roccia che fa da sfondo, mentre non vi sono indizi per identificare il personaggio, quasi sicuramente un aristocratico veneziano. L’opera appartiene alla stagione finale dell’artista ed è influenzata dalla ritrattistica di ­Giorgione e dei suoi seguaci, come testimonia l’impostazione monumentale della figura e la volontà di caratterizzare psicologicamente l’effigiato, che osserva lo spettatore con aria severa e stringe con determinazione i guanti.


7

La Sacra Conversazione

1511 - 1513 olio su tavola cm 89,5 × 118,5 dono Francesco Baglioni, 1900

Brembate di Sopra (?), Bergamo, 1480 circa Bergamo 1528

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Andrea Previtali Madonna col Bambino tra i santi Gerolamo e Anna Come molti giovani di talento provenienti dalla terraferma, il bergamasco Andrea Previtali si formò a Venezia nella bottega di Giovanni Bellini. In laguna rimase circa un decennio per poi ritornare in patria, dove ricevette numerose commissioni e risentì della presenza di Lorenzo Lotto. La Madonna Baglioni è forse tra le prime opere eseguite dall’artista dopo il rientro a Bergamo, avvenuto verso il 1511. Il tema sviluppato nel dipinto è quello rinascimentale della Sacra Conversazione, con la Vergine al centro circondata da santi. La composizione dipende dai modelli di Bellini, sia nell’adozione del formato orizzontale, che nella scelta di immergere le figure in un luminoso paesaggio naturale occupato sulla destra dalle rovine di un edificio classicheggiante.



8

RIconoscere i santi

1506 olio su tavola cm 125 × 51 cm 124,5 × 59,5 cm 124,5 × 51,5 dono Giovanni Piccinelli, 1908

Santa Croce, Bergamo, 1470/1475 Venezia 1508

Francesco di Simone da Santacroce San Giovanni Battista San Giacomo Maggiore Sant’Alessandro Francesco da Santacroce è il capostipite di una famiglia di pittori attiva a Venezia per oltre un secolo. L’appartenenza alla colonia di bergamaschi residenti in città assicurò all’artista diversi lavori nella terra d’origine, tra cui il trittico della Carrara, proveniente dalla parrocchiale di Lepreno in Val Serina. L’iscrizione affissa sul bastone da pellegrino di san Giacomo Maggiore tramanda il nome dei committenti dell’opera: Alessandro di Antonio, Alessandro detto Serva, Giovanni di Bartolomeo e Ponzio di Gerolamo, probabilmente priori della chiesa di Lepreno. Lo schema del dipinto riprende il trittico eseguito dal suo maestro, G ­ iovanni ­B ellini, per la chiesa veneziana di San Cristoforo della Pace. L’uso spregiudicato di invenzioni di artisti più dotati non è insolito da parte di Francesco e diventerà il marchio di fabbrica dell’attività successiva dei Santacroce.

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Sugli altari di Bergamo

1517 tempera su tavola cm 188 × 148 acquisto dalla chiesa di Sant’Agata a Bergamo, 1858

Bergamo, documentato dal 1490 al 1527

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Antonio Boselli San Lorenzo tra i santi Giovanni Battista e Barnaba La monumentale tavola si trovava in origine sull’altare maggiore della chiesa di San Lorenzino a Bergamo, edificio abbattuto nel 1561 nell’ambito dei lavori di edificazione delle mura venete. La pala appartiene alla produzione matura di Boselli, pittore attivo nel territorio bergamasco come frescante e come autore di opere sacre. L’artista costituisce la punta più avanzata di un fenomeno di resistenza alla progressiva affermazione della cultura figurativa veneta in città, un processo sancito definitivamente con l’arrivo di Lorenzo Lotto. Nel dipinto si mescolano infatti i richiami alla tradizione prospettica milanese e alla cultura antiquaria lombarda, evidenti nella costruzione spaziale della scena e nel dettaglio degli oculi con teste clipeate. Si rintracciano inoltre riferimenti alla pittura di Bernardo Zenale e ai modelli leonardeschi, ad esempio nella testa leggermente reclinata del san Giovanni Battista.


Scuole. L’Italia settentrionale tra Quattro e Cinquecento

Sale

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Milano e la Lombardia

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La scuola di Leonardo

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Il Piemonte

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Bologna e Ferrara


Uno dei tratti distintivi della civiltà figurativa italiana è la grandissima ricchezza di stili che contraddistingue la moltitudine di centri sparsi nella penisola. Al pari dei dialetti nella lingua parlata, i linguaggi delle forme artistiche prendono un’intonazione particolare nelle diverse regioni, dando origine a tradizioni o scuole che riflettono gli orientamenti culturali e politici dei committenti e le esperienze degli artisti stessi. A Milano la presenza di una corte dai gusti internazionali come quella degli Sforza determina per diverso tempo una tenace fedeltà allo stile tardogotico. La tradizione locale si rinnova in senso rinascimentale con due interpreti d’eccezione, Vincenzo Foppa e Ambrogio Bergognone, ma l’arrivo in città di Leonardo da Vinci segna un deciso punto di svolta. Grazie alla tecnica dello sfumato l’artista fiorentino infonde nei suoi dipinti una morbidezza e una naturalezza mai viste prima, mentre lo studio scientifico ­dell’anatomia lo conduce a raffigurare con una sensibilità nuova i moti interiori dell’animo. Intorno a Leonardo si raccolgono ­numerosi allievi e collaboratori che ne proseguono l’opera, ma le novità rivoluzionarie della sua pittura sono accolte anche da artisti che rielaborano in maniera personale le conquiste del maestro. Tra le scuole artistiche del Rinascimento italiano quella piemontese è una delle meno conosciute. Influssi francesi e fiamminghi che giungono da oltralpe e dai porti della Liguria si mescolano con le tendenze locali, ma grande importanza riveste anche la pittura lombarda, che segna indelebilmente la vicenda di Gaudenzio Ferrari.

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Bologna e Ferrara verso la fine del Quattrocento e i primi del Cinquecento sono i centri di una sorprendente fioritura artistica che coinvolge i territori dell’Emilia e della Romagna. A Bologna Lorenzo Costa e Francesco Francia indirizzano gli artisti verso uno stile dolcemente classicista al quale si oppone solo Amico Aspertini, pittore dalla vena eccentrica. A Ferrara con l’avvento del duca Alfonso I d’Este la città vive un momento straordinario, favorito dal clima raffinato della corte. Mazzolino, Garofalo e i due fratelli Dossi danno origine a una pittura dai forti accenti favolistici e ricca di invenzioni fantastiche.


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Milano e la Lombardia

1492-1495 circa tempera grassa e oro su tavola cm 62×46,8 collezione Guglielmo Lochis, 1866

Milano (?); documentato a Pavia dal 1491; Milano, ante 1525

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Maestro bramantesco (Bernardino Bergognone ?) Madonna che allatta il Bambino Nel dipinto sono combinati due temi molto diffusi, la Madonna della Rosa, evocata dal roseto alle spalle della Vergine, e la Madonna del Latte. L’iconografia di Maria allattante era tra le più popolari e apprezzate in ambito devoto e l’artista ne offre una versione di struggente bellezza, tutta giocata su una gamma ristretta di colori: il grigio argenteo degli incarnati, i bruni del paesaggio, il blu del manto della Vergine. Indimenticabile rimane ilbrano di vita cittadina raffigurato sullo sfondo, dove l’anonimo autore del dipinto - battezzato con il nome di Maestro bramantesco e forse identificabile con Bernardino, fratello di Ambrogio Bergognone - rivela la sua indole di poetico interprete del paesaggio lombardo. Altrettanto memorabile è il dettaglio, di un naturalismo domestico, delle anatre che solcano placide il rivolo d’acqua in primo piano.



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La scuola di Leonardo

1503 - 1505 tempera e olio su carta incollata su tavola cm 39 × 31,5 collezione Guglielmo Lochis, 1866

Milano 1465/1477 1524 circa

Andrea Solario Ecce Homo

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Tra i numerosi artisti lombardi sedotti da Leonardo, Solario è quello che più degli altri ha saputo rielaborare gli insegnamenti del maestro toscano senza rinunciare a un proprio linguaggio originale, nel quale confluiscono anche esperienze diverse: la tradizione coloristica veneta, conosciuta da giovane a Venezia, e l’interesse per la pittura fiamminga, approfondita negli anni del soggiorno in Francia. L’Ecce Homo risale al momento in cui il dialogo con L ­ eonardo è più stretto, al punto che nella figura di Cristo si è ravvisato un richiamo a quella dipinta nel Cenacolo di Santa Maria delle Grazie a Milano. Il valore devozionale dell’immagine, il cui obiettivo era suscitare pietà e compassione nello spettatore, è sottolineato dall’esecu­zione minuziosa e dall’intensa umanità del volto sofferente di Cristo che emerge dal fondo scuro.


11

La scuola di Leonardo

1508 circa olio su tavola diametro cm 54 collezione Guglielmo Lochis, 1866

Milano 1467 - 1516

Giovanni Antonio Boltraffio Madonna del latte Boltraffio è il principale allievo di Leonardo a Milano e lavora per diversi anni nella sua bottega. Successivamente, pur rimanendo sempre fedele agli insegnamenti del maestro, sviluppa un suo stile personale, specia­lizzandosi nell’esecuzione di ritratti. Opera di grande fascino per l’uso sapiente della luce e per la linea armoniosa dei volumi, la Madonna del latte appartiene alla produzione tarda di Boltraffio e coniuga in una sintesi equilibrata le diverse esperienze dell’artista: lo sfumato leonardesco, le suggestioni della pittura dolce e devota di Francesco Francia e le astrazioni geometriche di Bramantino. Il soggetto riprende un tema di origine medievale che sarà completamente abbandonato con la Controriforma perché ritenuto sconveniente.

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Il Piemonte

1520 circa olio e tempera su tavola cm 47 × 30 cm 47 × 30 dono Francesco Baglioni, 1900

Piemonte occidentale, notizie dal 1509 al 1535

Defendente Ferrari Flagellazione di Cristo Cristo in meditazione seduto sulla croce Non sono molte le notizie certe su Defendente Ferrari, artista sofisticato nel quale convivono la tradizione figurativa piemontese quattrocentesca e una particolare attenzione alla pittura d’oltralpe. Numerose invece le opere del pittore che si sono conservate e quasi tutte provenienti dai territori del ducato sabaudo. I due pannelli della Carrara fungevano da ante mobili di un complesso che aveva al centro la Crocifissione, ora conservata nelle raccolte di Palazzo Madama a Torino. Il trittico, destinato probabilmente alla devozione privata, sviluppa il tema della Passione di Cristo inserendo un episodio di derivazione nordica, quello del Cristo spogliato che medita sul suo prossimo sacrificio, mentre uno sgherro sta finendo di preparare la croce. La tecnica accurata e la finezza esecutiva, la qualità smaltata dei colori e il gusto del racconto minuto caratterizzano quest’opera e, più in generale, lo stile del pittore.

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Bologna e Ferrara

1480-1481 circa tempera, olio e oro su tavola trasportato su tela cm 81,3 × 54,8 collezione Giovanni Morelli, 1891

Ferrara 1460 circa Mantova 1535

Lorenzo Costa San Giovanni Evangelista Formatosi a Ferrara, sua città d’origine, Lorenzo Costa lavora lungamente a Bologna, presso i Bentivoglio, e poi a Mantova, dove prende il posto di Mantegna come pittore di corte dei Gonzaga. Il dipinto della Carrara appartiene alla sua stagione giovanile ed è il solo frammento superstite di una grande pala d’altare di cui non si conoscono l’originaria collocazione e l’aspetto complessivo. La rigorosa costruzione prospettica dell’architettura e la nitida definizione della figura d ­ ell’evangelista suggeriscono che l’opera fu dipinta all’inizio degli anni Ottanta del Quattrocento, quando l’artista risente ancora della sua educazione ferrarese e in particolare di Francesco del Cossa, da poco scomparso.

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13

Bologna e Ferrara

1515 - 1516 circa olio su tavola cm 52,5 × 35 collezione Guglielmo Lochis, 1866

Ferrara 1476 circa - 1559

Garofalo (Benvenuto Tisi) Madonna in trono tra i santi Sebastiano e Rocco Garofalo è uno dei principali esponenti della scuola ferrarese nella prima metà del Cinquecento. Il suo stile ha solide radici nella tradizione figurativa cittadina, ma si alimenta di diverse esperienze: il colore dei veneti e la pittura di Raffaello in particolare. L’opera della Carrara si colloca in un momento ben preciso del percorso dell’artista. Sono gli anni della collaborazione con Dosso Dossi all’esecuzione del polittico Costabili, oggi alla Pinacoteca di Ferrara. Il dialogo tra i due pittori si fa intenso e il giovane collega coinvolge Garofalo nella moda per la pittura di Giorgione, che si diffonde nella pianura padana dopo la morte del grande artista veneto. Il piccolo dipinto bergamasco riecheggia infatti nella composizione la celebre pala di Castelfranco di Giorgione e mostra nell’esecuzione mossa e nervosa l’influsso di Dosso.

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Il Rinascimento maturo

Sale

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Il Rinascimento in Europa

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Lorenzo Lotto e Giovanni Cariani

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Pittura veneta del primo Cinquecento

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Giovan Battista Moroni

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Pittura veneta del secondo Cinquecento


Nella Venezia dei primi decenni del Cinquecento Tiziano porta a compimento le ricerche di Giovanni Bellini e di Giorgione sulla luce e sul colore in composizioni di grande equilibrio e di respiro monumentale. Le maestose pale d’altare, i seducenti dipinti di soggetto mitologico, i solenni ritratti dell’artista conquistano l’aristocrazia veneziana ed europea. Poco dopo la metà del secolo, accanto all’anziano e affermato maestro emergono nuove grandi personalità, come quelle di Paolo Veronese, Jacopo Tintoretto e Jacopo Bassano. Nelle città della terraferma si erano nel frattempo sviluppate vivaci scuole locali capaci di confrontarsi in ­ maniera ­autonoma con le proposte provenienti da Venezia. A Bergamo in particolare è attivo per circa un ­decennio Lorenzo Lotto, che nella località lombarda matura d ­ efinitivamente il suo stile, cambiando il corso della storia pittorica cittadina. La vita irrequieta di Lotto e la forza commovente dei suoi dipinti fanno dell’artista uno degli ­interpreti più sensibili della crisi religiosa che ­ scuote ­l’Europa con la Riforma luterana e la Controriforma cattolica. Negli stessi anni lavorano a Bergamo anche Andrea ­Previtali e Cariani, bergamaschi d’origine ma cresciuti artisticamente a Venezia. Previtali coltiva una pittura semplice e coloratissima, ancora legata a schemi quattrocenteschi, mentre Cariani diffonde in città le novità di Giorgione e Tiziano, facendo dialogare la tradizione coloristica veneta con il realismo lombardo. Nel panorama bergamasco della seconda metà del Cinquecento si distingue Giovan Battista Moroni. Allievo e collaboratore di Moretto a Brescia e attivo per qualche anno a Trento, trascorre il resto della sua vita tra Bergamo e Albino, suo borgo natale. Autore di pale d’altare e di dipinti devozionali, la fama del pittore è tuttavia legata soprattutto ai suoi ritratti e alla loro straordinaria capacità di raffigurare con immediatezza e verità i dettagli del costume, la fisionomia e l’espressione del modello, tanto da renderlo naturale e vivo.

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14

Il Rinascimento in Europa

1533 - 1535 circa olio su tavola cm 24 × 21 collezione Guglielmo Lochis, 1866

Bruxelles 1480 Parigi 1541

Jean Clouet Ritratto di Louis de Clèves

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Originario delle Fiandre, dal 1516 Jean Clouet è al servizio del re di Francia, Francesco I, distinguendosi nella realizzazione di ritratti di gentiluomini e dame legati alla corte. Questi dipinti sono eseguiti su supporti lignei di piccole dimensioni, utilizzando schemi piuttosto semplici e ripetitivi, ma restituiscono in maniera precisa le fisionomie dei personaggi. Il ritratto della Carrara è una testimonianza esemplare di questa produzione e raffigura Louis de Clèves (1495-1545), signore di Nevers e conte di Auxerre, secondogenito di Engilbert de Clèves e di Charlotte de Bourbon-Vendôme. Clouet costruisce l’opera sul contrasto tra lo sguardo distante del gentiluomo e il dettaglio straordinariamente vivo delle mani appoggiate al parapetto, uno spunto già presente in due disegni a pastello del Musée Condé di Chantilly preparatori per il dipinto.


15

Lorenzo Lotto e Giovanni Cariani

1517 - 1520 olio su tavola cm 48 × 37,5 collezione Guglielmo Lochis, 1866

Fuipiano al Brembo, Bergamo, 1485/1490 circa - Venezia post 1547

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Cariani (Giovanni Busi) Redentore con la Croce Nell’agosto del 1517 Cariani si trasferisce a Bergamo per eseguire una grande pala per la chiesa di San Gottardo. In città rimane fino al 1523 e in questi anni realizza diverse opere, nelle quali raggiunge la piena maturità artistica. All’inizio del soggiorno bergamasco si colloca il Redentore con la Croce. Il dipinto doveva appartenere in origine a Leonino Brembati, marito di Lucina Brembati, la donna ritratta da Lorenzo Lotto in una celebre opera anch’essa all’Accademia Carrara. Cariani riprende lo schema­ iconografico del Cristo portacroce, molto popolare all’inizio del Cinquecento nella pittura dell’Italia settentrionale. C ­ risto tuttavia non è raffigurato sofferente, con la corona di spine e avviato verso il Calvario, ma è rappresentato nelle vesti di Redentore dell’umanità, trionfante sulla morte.


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Lorenzo Lotto e Giovanni Cariani

1518-1520 circa olio su tela cm 84,4 × 84 collezione Guglielmo Lochis, 1866

Fuipiano al Brembo, Bergamo, 1485/1490 circa - Venezia post 1547

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Cariani (Giovanni Busi) Ritratto di Giovanni Benedetto Caravaggi Negli anni del suo soggiorno a Bergamo, Cariani stringe rapporti con la nobiltà di Crema, che gli commissiona alcuni dipinti. A questo piccolo gruppo di opere cremasche appartiene il Ritratto di Giovanni Benedetto Caravaggi. Lo stemma e l’iscrizione apocrifa sulla tenda verde offrono informazioni attendibili sul personaggio raffigurato, esponente di una famiglia di letterati e laureatosi a ­ ll’università di Padova in medicina e filosofia. Il gentiluomo è presentato nella veste di umanista, mentre sfoglia un pesante volume manoscritto; alle sue spalle si apre un ampio paesaggio immerso nella luce rosata del tramonto. L’impostazione del dipinto richiama la ritrattistica di Giorgione e di Tiziano in particolare, ma il morbido realismo del volto e delle mani è tipico di Cariani. L’artista bergamasco ha ritratto anche il fratello maggiore di Giovanni Benedetto Caravaggi, Giovanni Antonio, in una tela che ora si trova al museo di Ottawa.


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Lorenzo Lotto e Giovanni Cariani

1518 - 1523 circa olio su tavola cm 53,5 × 44,5 acquisto da Degnamerita Grumelli Albani, 1882

Venezia 1480 circa - Loreto, Ancona, 1556/1557

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Lorenzo Lotto Ritratto di Lucina Brembati Lotto giunge a Bergamo nel maggio 1513, con l’incarico di eseguire una grande pala per la chiesa dei Santi Stefano e Domenico, e si ferma in città fino al 1525 circa. Gli anni trascorsi nella città orobica rappresentano un momento di sintesi delle esperienze compiute in gioventù tra Venezia, Treviso, Recanati e Roma. Il Ritratto di Lucina Brembati è un emblema di questa stagione e uno dei capolavori della ritrattistica di Lotto. Lo stemma della famiglia Brembati che compare su uno degli anelli e il rebus costituito dalle lettere CI, che inscritte al centro della luna formano il nome di Lucina, consentono di identificare la gentildonna con la moglie di Leonino Brembati. Lucina esibisce un abbigliamento sfarzoso e un’elaborata acconciatura chiamata “capigliara” le raccoglie i capelli, mentre il ciondolo dorato a forma di uncino è probabilmente un arnese per la pulizia dei denti.


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Lorenzo Lotto e Giovanni Cariani

1523 olio su tela cm 189 × 134 collezione Giacomo Carrara, 1796

Venezia 1480 circa - Loreto, Ancona, 1556/1557

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Lorenzo Lotto Nozze mistiche di santa Caterina d’Alessandria, con il committente Niccolò Bonghi Il dipinto, firmato e datato 1523 sul poggiapiedi in legno, è una delle opere più celebri eseguite da Lotto durante il periodo bergamasco. La tela era stata commissionata dal mercante Niccolò Bonghi, proprietario della casa nei pressi di San Michele al Pozzo Bianco in cui l’artista abitava. Vi è raffigurata la scena dello sposalizio mistico di santa Caterina con Gesù Bambino, ma Lotto ha interpretato con grande personalità lo schema iconografico tradizionale, inserendo nella posizione normalmente occupata da san Giuseppe la figura di Niccolò Bonghi. Una castigata dolcezza colora i volti di Maria e Caterina, vestite con abiti opulenti e cromaticamente squillanti, ma straordinario è il gioco studiatissimo della mani. La superficie neutra di grigio alle spalle del gruppo sacro sostituisce la stesura originaria, che rappresentava probabilmente un paesaggio con il monte Sinai.



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Pittura veneta del primo Cinquecento

1507 circa olio su tavola cm 38 × 47 collezione Guglielmo Lochis, 1866

Pieve di Cadore, Belluno, 1488/1490 circa - Venezia 1576

Tiziano Vecellio Madonna col Bambino in un paesaggio Tiziano ha dominato una lunga e straordinaria stagione dell’arte veneta, esercitando una profonda influenza su diverse generazioni di artisti. La sua pittura si fonda sulla forza espressiva del colore, una qualità che caratterizza sia i limpidi e armoniosi lavori della giovinezza e della maturità sia le drammatiche opere della vecchiaia. La Madonna della Carrara è uno dei primi lavori dell’artista e mostra come in questi anni Tiziano dialoghi in maniera molto stretta con Giorgione e con un altro esordiente di talento, Sebastiano del Piombo. Le figure non sono al centro della composizione, ma sono spostate a destra e immerse in un vasto paesaggio naturale. La Vergine presenta una nuova e sorprendente monumentalità, costruita con una materia cromatica vibrante e sensuale, che definisce le forme non tramite il disegno ma attraverso ampie campiture di colore.

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16

Pittura veneta del primo Cinquecento

1513 circa olio su tavola cm 58 × 48 collezione Guglielmo Lochis, 1866

Cremona 1490/1491 ante 1543

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Altobello Melone Ritratto di gentiluomo Altobello Melone è tra i principali esponenti della scuola cremonese del Cinquecento. La sua formazione avviene tra Cremona e Venezia, ma nella maturazione del suo stile sono decisivi l’incontro con Girolamo Romanino e la passione per le stampe nordiche. Il dipinto della Carrara è una delle opere più celebri del pittore ed è stato creduto per molto tempo il ritratto di Cesare Borgia, il Valentino. Vi è raffigurato un gentiluomo dallo sguardo fiero, sullo sfondo di un paesaggio temporalesco attraversato da due misteriose figure. L’immagine dipende dalla ritrattistica di Giorgione e del giovane Tiziano, conosciuta però attraverso l’interpretazione sentimentale che ne dava in quegli anni Romanino. Ad Altobello spetta la scelta di una gamma di colori freddi: le tonalità argentee del cielo, il verde oliva del paesaggio, il blu petrolio della veste.


16

Pittura veneta del primo Cinquecento

1520 circa olio su tavola cm 71 ×99 collezione Guglielmo Lochis, 1866

Serina, Bergamo, 1480 circa - Venezia 1528

Palma il Vecchio (Jacopo Negretti) Madonna col Bambino fra i santi Giovanni Battista e Maria Maddalena Nell’ambito della pittura veneta del Rinascimento, Palma il Vecchio è innanzitutto l’autore di solenni sacre conversazioni ambientate nel paesaggio naturale e di sensuali figure femminili. Queste due tipologie di quadro da stanza erano diffuse a Venezia, ma il contributo dell’artista bergamasco fu fondamentale per la loro affermazione. Nel dipinto della Carrara, Palma riprende da Bellini lo schema tradizionale della Sacra Conversazione. Le figure tuttavia non sono isolate l’una dall’altra, non se ne stanno in silenzio a meditare sulle sacre scritture, ma dialogano tra loro animatamente. La posa scattante del Bambino, proteso verso il vasetto d’unguenti, innesca un moto che si ripercuote su tutti i personaggi, legandoli indissolubilmente. Nuova inoltre è la monumentalità della Vergine e della Maddalena, che nella loro rigogliosa bellezza richiamano le floride figure femminili a mezzo busto protagoniste di numerose opere successive dell’artista.

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17

Giovan Battista Moroni

1570 - 1573 olio su tela cm 40 × 32 collezione Guglielmo Lochis, 1866

Albino, Bergamo, 1520/1524 circa - 1579

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Giovan Battista Moroni Ritratto di bambina di casa Redetti La fama di Moroni è legata soprattutto ai suoi ritratti, che spiccano per l’analisi penetrante dei tratti fisionomici e per l’immediatezza psicologica. La Bambina di casa Redetti è tra i dipinti più celebri dell’artista ed è una delle immagini più familiari per i visitatori dell’Accademia Carrara. La bimba è raffigurata a mezzo busto, vestita come una gentildonna del suo tempo, con una sopravveste di broccato, sotto la quale s’intravede una camiciola di un bianco candido. Nel contrasto tra l’eleganza ricercata dell’abbigliamento e lo sguardo velato di malinconia della bambina, nemmeno troppo intimorita dal ruolo che è costretta a impersonare, il dipinto manifesta la sua coerenza con le opere della maturità dell’artista, nelle quali emerge con radicalità la scelta a favore di una ritrattistica somigliante e naturale.



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Giovan Battista Moroni

1576 circa olio su tela cm 97 × 80 collezione Giacomo Carrara, 1796

Albino, Bergamo, 1520/1524 circa - 1579

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Giovan Battista Moroni Ritratto di vecchio seduto (Pietro Spino?) Il dipinto è un capolavoro della vecchiaia di Moroni, l’esito di una ricerca approfondita intorno a questo schema ritrattistico. La sedia dantesca su cui siede l’anziano gentiluomo è collocata leggermente in diagonale in modo da restituire efficacemente il senso della profondità. Egli indossa una sopravveste foderata di pelliccia e stringe con la mano destra il bracciolo, mentre nella sinistra tiene un piccolo libro. Ha appena interrotto la sua lettura e si volta con fierezza verso di noi, fissandoci con uno sguardo interrogativo. L’ampio fondale accresce l’intensità psicologica del ­ritratto, giocato su una gamma selezionatissima di grigi, bruni e neri. Il personaggio raffigurato non è stato ancora identificato, ma si è suggerito di riconoscervi Pietro Spino, letterato e storico originario di Albino, come l’artista.


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Pittura veneta del secondo Cinquecento

1542 circa olio su tela cm 74 × 54 dono Mario Frizzoni, 1966

Bassano del Grappa, Vicenza, 1510 circa - 1592

Jacopo Bassano (Jacopo Da Ponte) Madonna col Bambino e san Giovannino Jacopo Bassano è il principale esponente di una famiglia di pittori originari di Bassano del Grappa. Le sue opere sacre sono gremite di motivi naturalistici e di situazioni tratte dalla vita quotidiana ed egli è considerato l’inventore della scena pastorale. La Madonna Frizzoni è un dipinto relativamente giovanile e testimonia della complessa formazione dell’artista e del suo temperamento sperimentatore. La Vergine stringe in un abbraccio Gesù Cristo e san Giovanni Battista, formando un compatto gruppo monumentale che occupa gran parte dello spazio disponibile. Sono gli anni in cui a Venezia giungono le novità del Manierismo e Bassano si mostra pronto a recepire queste nuove suggestioni. Lo testimonia anche la tela della Carrara con le sue figure allungate, il disegno elegante e sinuoso, i colori freddi e metallici.

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Pittura veneta del secondo Cinquecento

1558 circa olio su tela cm 80,5 × 80,5 collezione Guglielmo Lochis, 1866

Treviso 1500 Venezia 1571

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Paris Bordon Estasi di santa Caterina da Siena presentata dalla Vergine al Salvatore Paris Bordon fu operoso tra Venezia e Treviso, ma lavorò anche fuori dai confini della Serenissima: ad Augusta in Germania, a Milano e in Francia a Fontainebleau. La sua pittura è segnata inizialmente dall’influsso di Tiziano e quindi dall’interesse per le formule eleganti del Manierismo. Noto specialmente per le sensuali allegorie mito­logiche, Bordon ricevette numerosi incarichi anche per opere religiose. A tale ambito appartiene il dipinto della ­Carrara, da collegare ai lavori eseguiti dall’artista per le domenica­ne di San Paolo a Treviso. Un ampio paesaggio e un cielo s­ ovrannaturale di nuvole dorate sono lo scenario della mistica visione di santa Caterina. La tela è l’espressione di una ­spiritualità devota, che verso la metà del C ­ inquecento si andava diffondendo tra i difensori dell’ortodossia cattolica.


1

Il trionfo della pittura. L’età del Barocco e del Rococò

Sale

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Tra Naturalismo e Classicismo

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Il Seicento nei Paesi Bassi

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Fra Galgario e la ritrattistica tra Sei e Settecento

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Il Settecento a Venezia

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I “generi” della pittura: natura morta, paesaggio e veduta


La pittura del Seicento e del Settecento è segnata in tutta Europa dal confronto tra Naturalismo e Classicismo. Le due tendenze hanno origine a Roma agli inizi del Seicento, grazie a Michelangelo Merisi detto il Caravaggio e ad Annibale Carracci. Entrambi abbandonano le astratte sottigliezze della pittura del Manierismo, Caravaggio dipingendo la verità delle cose così come appaiono, mentre Carracci ricercando una bellezza classica, semplice nelle forme e armoniosa nella composizione. Seguaci e allievi diffondono in ogni angolo della penisola e del continente le conquiste di questi grandi maestri, adattandole alle tradizioni locali e nazionali e alla propria esperienza. Nel corso del Seicento si modifica radicalmente il contesto sociale in cui gli artisti lavorano. In Italia e nei paesi rimasti fedeli al cattolicesimo una parte rilevante della produzione pittorica è ancora riservata a opere di soggetto religioso destinate agli altari delle chiese o alla devozione privata. Nei paesi protestanti invece viene meno la domanda di opere sacre e gli artisti si dedicano ad altri temi, di cui diventano veri e propri specialisti. Nascono i generi: la natura morta, il paesaggio, la battaglia. Le opere non sono più eseguite per uno specifico committente, ma sono sottoposte al gusto del pubblico e al severo giudizio del mercato. Durante il Settecento i pittori veneziani conquistano nuovamente l’Europa. Nel campo della grande decorazione a fresco primeggia Giovan Battista Tiepolo, ma accanto a lui vi sono gli specialisti della veduta, come Canaletto, Bellotto e Guardi, e della scena di genere, come Pietro Longhi. Nel campo del ritratto è il bergamasco Fra Galgario a primeggiare, coniugando l’esuberanza della tradizione coloristica veneta con la vocazione lombarda ad una raffigurazione vera e fedele della realtà.

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Tra Naturalismo e Classicismo

1640 - 1650 olio su tela cm 72 × 61 dono Antonietta Noli Marenzi, 1901

Amersfoort 1600 circa - Sicilia (?) post 1650

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Matthias Stomer Uomo con candela accesa e caraffa di vino Stomer è uno dei principali seguaci olandesi di Caravaggio. Si forma a Utrecht, dove si era sviluppata una importante scuola caravaggesca, ma lavora soprattutto in Italia, paese nel quale si trasferisce a poco più di vent’anni. Il dipinto della Carrara è un esempio significativo della produzione dell’artista, che prediligeva le ambientazioni notturne, a lume di candela. Il soggetto appartiene alla tipologia delle figure o scene di genere: rappresentazioni di individui e situazioni tratte dalla vita quotidiana che diventarono una specialità dei seguaci di Caravaggio e di Stomer in particolare. Spesso questi dipinti potevano celare significati allegorici: nell’Uomo con candela accesa e caraffa di vino, di cui la Carrara conserva il pendant raffigurante un Giovane che accende una candela, si è proposto di riconoscere una immagine dell’Autunno o del Gusto.


19

Tra Naturalismo e Classicismo

1640 - 1650 olio su tela cm 47 × 37 collezione Guglielmo Lochis, 1866

Sassoferrato, Ancona, 1609 Roma 1685

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Sassoferrato (Giovan Battista Salvi) Madonna orante Sassoferrato è noto soprattutto per la ricca produzione di dipinti devozionali. Le sue opere si distinguono per l’eleganza purista delle forme, le stesure smaltate e la qualità esecutiva sempre impeccabile. L’immagine di Maria riveste un’importanza fondamentale nel repertorio del pittore, che di questo soggetto realizzò innumerevoli versioni. L’iconografia deriva da un’opera oggi dispersa del bolognese Guido Reni, un punto di riferimento costante per l’artista marchigiano. Nella dolcezza dell’espressione, nel vagheggiare un ritorno a una bellezza ideale e senza tempo Sassoferrato tuttavia s’ispira intenzionalmente anche alla pittura di Perugino e Raffaello, di cui propone un precoce recupero in chiave devota.


20

Il Seicento nei Paesi Bassi

1635 circa olio su tavola cm 71 × 54,3 collezione Giovanni Morelli, 1891

Haarlem 1610 circa - 1668

Jan Miense Molenaer Giovane fumatore

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Molenaer si forma ad Haarlem, ma è attivo soprattutto ad Amsterdam, dove si dedica quasi esclusivamente a soggetti di genere, raffigurando la vita dei poveri, dei contadini e della piccola borghesia mercantile olandese. Nell’ambito di questo repertorio il fumatore era un tema molto popolare e spesso da intendere come ammonimento a non abbandonarsi a piaceri voluttuari. Pipa in bocca e un bicchiere vuoto che dondola nella mano sinistra, il giovane di Molenaer ci osserva con sguardo assorto, allungando le gambe per scaldarsi al fuoco del camino. Sul tavolo ricoperto da un panno si trovano una tabacchiera, una brocca di peltro e un’altra pipa. L’artista non si sofferma sulle conseguenze nocive del vizio, ma nella figura di questo giovane pensieroso, sembra proporre una riflessione sulla fugacità della vita, paragonabile alla consistenza eterea del fumo che si volatilizza nell’aria.




21

Fra Galgario e la ritrattistica tra Sei e Settecento

1654 circa olio su tela cm 111 × 93 collezione Giacomo Carrara, 1796

San Giovanni Bianco, Bergamo, 1609 Bergamo 1679

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Carlo Ceresa Ritratto di Jacopo Tiraboschi Carlo Ceresa è il principale interprete seicentesco ­della straordinaria tradizione ritrattistica che a Bergamo si s ­ viluppa per diversi secoli nel segno di un realismo ­schietto e sincero. Il Ritratto di Jacopo Tiraboschi è un tipico esempio della produzione dell’artista. L’anziano gentiluomo era originario di Serina e apparteneva a una delle famiglie più in vista di questo borgo, situato nell’omonima valle bergamasca. Ceresa lo raffigura seduto sopra una sedia rivestita di velluto rosso, contro un fondale grigio piombo. Le mani afferrano con forza i braccioli e il viso, dall’espressione burbera e severa, è descritto con spietata precisione. L’assoluta semplicità della messa in scena e la sobrietà esecutiva sono i tratti salienti del dipinto e più in generale dello sguardo rigoroso di Ceresa.


21

Fra Galgario e la ritrattistica tra Sei e Settecento

1737 olio su tela cm 93 × 82 collezione Guglielmo Lochis, 1866

Bergamo 1655 - 1743

Fra Galgario (Vittore Ghislandi) Ritratto di Francesco Maria Bruntino

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Nella memorabile galleria di gentiluomini e gentildonne della società bergamasca e lombarda ritratti da Fra Galgario, il volto di Francesco Maria Bruntino, con la sua espressione arcigna e persino scostante, rimane uno dei più indimenticabili. Personaggio di umili origini, Bruntino fu un’originale figura di mercante amatore di pittura che trascorse la sua vita raccogliendo e commerciando quadri, stampe e libri pregiati. Fra Galgario lo raffigura vestito senza troppa cura, il gomito appoggiato a una colonna, sopra la quale sono posti alla rinfusa alcuni volumi e una maschera in gesso. Il dipinto appartiene alla maturità dell’artista ed è uno dei suoi ritratti più celebri per l’equilibrio raggiunto tra l’esecuzione spregiudicata, coloristicamente esuberante, e la capacità di fissare sulla tela con implacabile rigore la personalità del modello.



21

Fra Galgario e la ritrattistica tra Sei e Settecento

1732 circa olio su tela cm 78 × 66 collezione Giacomo Carrara, 1796

Bergamo 1655 - 1743

Fra Galgario (Vittore Ghislandi) Ritratto di giovane pittore

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La bottega di Fra Galgario era frequentata da giovani desiderosi di apprendere i segreti del mestiere e tra i suoi dipinti un buon numero ritrae ragazzi con i quali l’artista pare avere una certa familiarità. Spesso questi modelli sono vestiti in maniera bizzarra, con abiti e cappelli di foggia stravagante, oppure posano da pittori, come il giovanotto ritratto nella tela della Carrara, che di questa particolare produzione dell’artista è uno dei capolavori. L’atteggiamento spavaldo del ragazzo, che poggia orgogliosamente la mano sinistra sul fianco e tiene nella destra la cannuccia con il gessetto, e l’innocenza del suo sguardo ci restituiscono l’immagine di una persona viva; la qualità materica dei colori e delle celebri lacche utilizzate da Fra Galgario ne fanno un emblema della sua pittura.


21

Fra Galgario e la ritrattistica tra Sei e Settecento

1740 circa olio su tela cm 60,5 × 54,9 collezione Giovanni Morelli, 1891

Milano 1698 - 1767

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Giacomo Ceruti (il Pitocchetto) Ritratto di fanciulla con ventaglio L’umanità schietta e vera immortalata nei ritratti e le ­commoventi tele con poveri e mendicanti raffigurati quasi a grandezza naturale hanno consentito a Ceruti di conquistarsi un posto di primo piano tra i pittori della realtà in Lombardia. La fanciulla dai grandi occhi malinconici e dalle labbra tumide ritratta nella tela della Carrara è una delle immagini più famose della sua pittura e una delle più toccanti interpretazioni dell’adolescenza. La figura della giovane si staglia davanti a un semplice fondale bruno e si consegna allo sguardo del pittore con una semplicità disarmante, indossando una veste turchese e tenendo nella mano un grande ventaglio viola. In questa disadorna modalità di presentazione del personaggio e nella sobrietà dell’esecuzione si ritrova la sostanza del realismo di Ceruti.


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Il Settecento a Venezia

1743 circa olio su tela cm 40 × 22,4 dono Francesco Baglioni, 1900

Venezia 1696 Madrid 1770

Giovan Battista Tiepolo Martirio di san Giovanni vescovo di Bergamo Tiepolo ha dominato la pittura veneziana ed europea del Settecento con le sue monumentali pale d’altare, i raffinati quadri di soggetto mitologico e soprattutto con le imponenti decorazioni ad affresco, che si distinguono per la straordinaria vena inventiva e per la sorprendente vivacità e leggerezza cromatica. Secondo una prassi tipica della tradizione pittorica sei e settecentesca, Tiepolo fissava le linee generali della composizione in bozzetti da sottoporre ai committenti per un’approvazione preliminare. Questi dipinti alimentavano anche un fiorente mercato collezionistico, costituito da amatori che apprezzavano in essi la freschezza della prima idea e la testimonianza più immediata della mano del maestro. La tela della Carrara è un bozzetto della pala realizzata da Tiepolo per il Duomo di Bergamo nel 1743.

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Il Settecento a Venezia

1757 - 1760 circa olio su tela cm 61 × 49,3 collezione Guglielmo Lochis, 1866

Venezia 1702 - 1785

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Pietro Longhi (Pietro Falca) Il ridotto Dopo un esordio nel campo della pittura sacra e della decorazione ad affresco, Pietro Longhi si orientò con decisione verso i nuovi soggetti della pittura di genere, che riscuotevano crescente interesse presso i collezionisti. Nascono i quadri dedicati alla vita veneziana osservata nelle calli e negli interni dei palazzi nobiliari, negli svaghi del popolo minuto e in quelli del patriziato. Tele di piccolo formato, dai colori vivaci e dalla stesura pittorica raffinata, che sono una cronaca schietta delle abitudini della società veneta dell’epoca e che hanno reso celebre l’artista. Il dipinto della Carrara raffigura un tema ricorrente dell’opera di Longhi, il ridotto di Ca’ Giustinian a Venezia, una frequentata sala da gioco pubblica aperta soprattutto durante il periodo del Carnevale.



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I “generi” della pittura: natura morta, paesaggio e veduta

1665 - 1675 olio su tela cm 88,5 × 114,5 dono Giovanni Marenzi, 1926

Bergamo 1617 - 1677

Evaristo Baschenis Strumenti musicali e tendone verde La natura morta come genere autonomo si afferma nel corso del Seicento in tutta Europa e nell’ambito di questa vicenda Evaristo Baschenis è riconosciuto come uno dei grandi interpreti della specialità. La fama dell’artista bergamasco è legata in particolare alle nature morte raffiguranti strumenti musicali, talmente apprezzate da favorire la nascita di una schiera di seguaci e imitatori. La Carrara conserva quattro tele di Baschenis, tra cui questa magnifica composizione che appartiene alla sua produzione matura. Il dipinto è dominato dalla piramide di strumenti a corda e ad arco accatastati sul tavolo con apparente casualità. Un silenzio assoluto e un rigoroso quanto segreto ordine geometrico governano questa immagine rarefatta, dove lo scorrere ineluttabile del tempo è scandito soltanto dalla polvere che si deposita sugli oggetti.

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I “generi” della pittura: natura morta, paesaggio e veduta

1726-1728 circa olio su tela cm 61,7 × 99,3 collezione Guglielmo Lochis, 1866

Venezia 1697 - 1768

Canaletto (Antonio Canal) Il Canal Grande da Ca’ Foscari verso il ponte di Rialto Canaletto è il più celebre tra i vedutisti veneti e i suoi scorci di Venezia hanno contribuito a consacrare il mito della Serenissima. Nei suoi dipinti non soltanto ha registrato esattamente la realtà topografica della città, ma attraverso un’osservazione attenta della luce egli ha saputo restituire un’immagine imperturbabile ed eterna della Venezia settecentesca. Nella tela della Carrara Canaletto riprende il Canal Grande attraverso una inquadratura che era stata codificata da Luca Carlevarijs in una celebre tela, ma adotta una costruzione più ampia e dilatata della scena, spia della sua formazione e del suo iniziale impegno come scenografo. In primissimo piano a sinistra si distingue la facciata di palazzo Balbi, a destra si riconoscono i palazzi Erizzo, Contarini e Mocenigo, mentre il ponte di Rialto s’intravede appena in lontananza.

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I “generi” della pittura: natura morta, paesaggio e veduta

1785 - 1790 olio su tavola cm 19 × 15 collezione Guglielmo Lochis, 1866

Venezia 1712 - 1793

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Francesco Guardi Il Rio dei Mendicanti La vicenda del vedutismo veneziano si chiude con Francesco Guardi, che ai suoi dipinti consegna un’immagine palpitante e suggestiva di Venezia, lontana dalla città disegnata dalle geometrie prospettiche e dalla luce tersa di Canaletto. Affrancandosi progressivamente dai modelli e dalle iconografie della tradizione vedutistica, Guardi giunge negli ultimi anni, attraverso il disfacimento delle forme nel colore quasi a negare le radici architettoniche e prospettiche del genere. Il Rio dei Mendicanti appartiene proprio alla stagione finale dell’artista e raffigura il tratto di canale dominato dalla chiesa di San Lazzaro dei Mendicanti, incorporata nella facciata dell’omonimo ospizio. Questo dipinto di dimensioni davvero minute, dove le figure e le architetture hanno la consistenza di fantasmi, è una delle più incantevoli vedute veneziane della fine del Settecento.


La collezione di sculture

Sale

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Le sculture della raccolta Zeri

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I Fantoni: una bottega di scultori


L’Accademia Carrara custodisce una piccola ma preziosa raccolta di sculture che vanno dalla fine del Quattrocento alla metà dell’Ottocento. I nuclei principali della collezione sono due e presentano un profilo molto differente. Il gruppo di opere dei Fantoni offre una selezione rappresentativa della produzione di questa celebre famiglia di intagliatori e scultori originaria di Rovetta, in Val Seriana. Nella Lombardia del Settecento i Fantoni crearono una bottega artigiana tra le più moderne e articolate del tempo, un’officina organizzata e capace di produrre una quantità di oggetti disparati, che rispondevano alle esigenze di una committenza anche molto diversificata. Oltre a celebri capolavori di soggetto profano, come il gruppo con Venere Vulcano e Amore o come l’Alcova di Ganimede, che testimoniano l’abilità dei Fantoni nell’intaglio ligneo, il museo possiede un gruppo di bozzetti in terracotta di spigliata e libera esecuzione, preparatori per i rilievi dell’altare della Pietà nel Duomo di Bergamo e per altri lavori di ambito sacro. Il secondo importante nucleo di sculture è quello giunto in Accademia Carrara con il lascito di Federico Zeri. Storico dell’arte di statura internazionale ed erede di una illustre tradizione di conoscitori, Zeri non è stato soltanto un fuoriclasse nella sua disciplina, ma anche un brillante scrittore, un caustico polemista, un eccentrico collezionista. Con la Carrara lo studioso ebbe un legame speciale, di collaborazione e di affetto, suggellato dalla decisione di lasciare la sua raccolta di sculture al museo bergamasco. Questa collezione composita e sorprendente, costituita senza un progetto preciso ma frutto di una vorace curiosità per opere e artisti da approfondire o magari da riscoprire, consente di compiere un itinerario insolito e originale nella storia della scultura italiana ed europea, specialmente di epoca barocca.

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Le sculture della raccolta Zeri

1610 - 1615 marmo cm 105 × 52,5 × 40 collezione Federico Zeri, 1998

Sesto Fiorentino, Firenze, 1562 Roma 1629

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Pietro Bernini Andromeda Pietro Bernini è uno dei protagonisti di spicco della scultura romana tardo manierista, ma la sua figura è stata messa in ombra per molto tempo dalla personalità del figlio Gian Lorenzo, scultore, pittore e architetto tra i più noti dell’epoca barocca. La statua di Andromeda è entrata in Accademia Carrara grazie al legato dello storico dell’arte Federico Zeri, uno dei fautori della riscoperta dell’artista. La figlia di Cefeo e di Cassiopea, sovrani d’Etiopia, è rappresentata nel momento in cui ancora incatenata alla roccia, volge lo sguardo verso Perseo, in procinto di liberarla dal drago, secondo quanto racconta Ovidio nelle Metamorfosi. Il marmo proviene dalla decorazione di una fontana, probabilmente quella del giardino del cardinale Scipione Borghese sul colle del Quirinale, nel cuore di Roma.


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I Fantoni: una bottega di scultori

1774 - 1775 circa legno cm 435 × 470 × 70 dono Ferdinanda Sottocasa, 1996

Rovetta, Bergamo 1713 - 1798

Grazioso Fantoni il Giovane e bottega Alcova di Ganimede I Fantoni sono una famiglia di intagliatori e scultori operosa prevalentemente in Lombardia dalla metà del Quattrocento sino agli inizi dell’Ottocento. La realizzazione di arredi sacri è l’aspetto predominante della loro attività, ma un peso non meno importante ha la produzione profana, come testimonia l’Alcova di Ganimede. L’opera risale alla stagione finale dei Fantoni, negli anni in cui la bottega è condotta da Grazioso il Giovane e dal fratello Francesco Donato, e celebra le nozze tra il committente, Gerolamo Sottocasa, e una giovane della famiglia Lupi. Il manufatto si presenta come un fronte scenografico ed è strutturato su tre registri che ospitano statue e bassorilievi con scene tratte dalla mitologia. Svetta in alto il gruppo scultoreo con l’aquila di Giove che ghermisce Ganimede, da interpretare come una celebrazione del matrimonio e della sua facoltà di elevare l’anima al cielo.

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I Fantoni: una bottega di scultori

1714 legno cm 116 × 161,5 × 43 collezione Giacomo Carrara, 1796

Rovetta, Bergamo, 1659 - 1734

Andrea Fantoni Vulcano, Venere e Amore (Favola di Venere) Andrea è l’esponente più celebre della famiglia Fantoni e contribuì a fare della bottega, che guidò per oltre mezzo secolo, uno dei luoghi più qualificati nella produzione di sculture e arredi lignei in ambito lombardo. Il gruppo scultoreo composto dalla figura di Vulcano che fabbrica i fulmini, dall’aquila che li porta a Giove e da Venere che siede e scherza con Amore è stato scolpito nel 1714 per Ventura Carrara e serviva da sopra camino nella casa dei Carrara a Bergamo. La favola di Venere è narrata da Ovidio nelle Metamorfosi e da numerosi altri scrittori, ma Andrea Fantoni fornisce una versione ingentilita e garbata della storia, scegliendo di omettere la scena dell’amplesso tra Venere e Marte che scatenò la vendetta di Vulcano, marito della dea.

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L’Ottocento. Il secolo borghese

Sale

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Il ritratto nell’Ottocento: da Piccio a Tallone

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La pittura di Storia tra letteratura e vero

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Il paesaggio nell’Ottocento


L’Ottocento è il secolo che sancisce la fine della supremazia artistica dell’Italia sugli altri paesi europei. Il primato era insidiato da molto tempo e non fu sufficiente a preservarlo la straordinaria fama internazionale di uno scultore come Canova e il fascino che Roma come capitale delle arti continuò a esercitare per lungo tempo. Il ruolo di nazione guida nella cultura e nel gusto spetta ora alla Francia e specialmente a Parigi. L’Italia rimane comunque un paese importante nella geografia artistica continentale, diviso tra la nostalgia per un passato illustre e il problema della costruzione di una identità nazionale. Per diversi secoli la storia figurativa dell’Italia si era distinta per la ricchezza e la varietà di centri, scuole e tradizioni artistiche. Durante l’Ottocento emerge invece il ruolo egemone di Milano, moderna metropoli europea. La fondazione dell’Accademia di Brera e lo sviluppo di un innovativo sistema di concorsi e di esposizioni fanno della città il centro del mercato e del collezionismo di arte contemporanea. Milano diventa così il palcoscenico dei principali avvenimenti artistici della penisola: il romanticismo storico di Francesco Hayez, l’affermazione della pittura di genere, del paesaggio e del ritratto, lo sviluppo delle tendenze naturaliste e veriste, e infine la nascita del Divisionismo italiano. Con la Scuola di pittura e la Pinacoteca fondate dal conte Giacomo Carrara, Bergamo si ritaglia una posizione singolare nel panorama italiano. L’intransigente educazione al disegno impartita agli allievi da Giuseppe Diotti consolida l’Accademia Carrara roccaforte del classicismo e dello stile alto e sublime in pittura. Tuttavia ciò non impedisce che nelle sue aule cresca una delle personalità più originali dell’Ottocento italiano, Giovanni Carnovali detto Piccio. Il rinnovamento arriverà qualche decennio dopo con Cesare Tallone che inviterà i giovani a un maggiore confronto con la realtà attraverso la pratica della pittura dal vero.

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Il ritratto nell’Ottocento: da Piccio a Tallone

1845 circa olio su tela cm 135,5 × 89,5 dono Antonio Pesenti, 1981

Montegrino, Varese, 1804 Cremona 1873

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Piccio (Giovanni Carnovali) Ritratto della contessa Anastasia Spini Allievo di Giuseppe Diotti alla Scuola di pittura ­dell’Accademia Carrara, Piccio era noto tra i contemporanei per il t­ emperamento ribelle e irrequieto e per la sua esistenza ritirata. Egli si dedicò con alterne fortune alla pittura di storia e al paesaggio, ma fu soprattutto uno straordinario ritrattista. La contessa Anastasia Spini apparteneva a una famiglia della piccola nobiltà di provincia, che fu particolarmente legata a Piccio. Il ritratto della gentildonna è tra i capolavori dell’artista e tra le immagini indimenticabili ­dell’Ottocento italiano. Anastasia siede comodamente su una poltroncina rivestita in pelle e tiene tra le dita una ­presa di tabacco da fiuto; sembra aver abbandonato la lettura del libro di preghiere appoggiato sul tavolo e ci osserva con uno sguardo rassegnato e mite che l’artista ritrae con un’impudenza disarmante.



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Il ritratto nell’Ottocento: da Piccio a Tallone

1845 circa olio su tela cm 131 × 95 dono Beatrice Presti Tasca, 1910

Bergamo 1812 Pavia 1882

Giacomo Trécourt Ritratto di Beatrice (Bice) Presti Tasca Nato in una famiglia di modeste condizioni, Giacomo Trécourt studia all’Accademia Carrara sotto la guida di Giuseppe Diotti, diventando nel 1842 direttore della Civica Scuola di Pittura di Pavia. Il Ritratto di Bice Presti Tasca raffigura la figlia di Ottavio Tasca, poeta e patriota bergamasco, e di Francesca Bossi. Beatrice all’epoca aveva vent’anni ed era da pochi mesi la sposa di Giovanni Presti, committente dell’opera. La giovane indossa un abito verde smeraldo che fa risaltare il suo eburneo incarnato e l’elegante profilo della figura sembra misurarsi con quello ancor più perfetto del vaso orientale posto sopra la consolle. Il dipinto è un’immagine di algida bellezza e sancisce la momentanea adesione di Trécourt a un raffinato purismo formale nel quale si mescolano la lezione classicista del maestro Diotti e l’influsso di Francesco Coghetti, che due anni prima aveva eseguito il ritratto del marito di Beatrice, anch’esso alla Carrara.

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Il ritratto nell’Ottocento: da Piccio a Tallone

1847 - 1848 circa olio su tela cm 71 × 58,5 dono Luigi Trécourt, 1882

Montegrino, Varese, 1804 Cremona 1873

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Piccio (Giovanni Carnovali) Autoritratto con tavolozza Piccio si è conquistato una posizione di solitaria grandezza nella storia dell’arte italiana dell’Ottocento. La sua pittura recupera la lezione del naturalismo lombardo e la grazia di Correggio, adottando con il passare degli anni una stesura sempre più vaporosa e spesso volutamente non finita. Questa evoluzione dello stile è leggibile anche attraverso i numerosi autoritratti che punteggiano l’intero arco della sua esistenza, diventando una sorta di autobiografia ­d’artista. Nella tela della Carrara, che risale alla fine degli anni Quaranta, Piccio si raffigura a mezzo busto, con gli strumenti di lavoro, la tavolozza e i pennelli. L’intenso scavo psicologico si accompagna al progressivo ammorbidirsi e sfumare dei contorni in una ricerca espressiva sempre più personale e appartata.



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Il ritratto nell’Ottocento: da Piccio a Tallone

1889 olio su tela cm 241 × 145 dono Maria Gallavresi Bietti, 1946

Savona 1853 Milano 1919

Cesare Tallone Ritratto di Maria Gallavresi bambina con la madre

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Artista dalla solida formazione accademica, Tallone si è imposto come uno degli ultimi grandi interpreti del ritratto, prima che questo genere fosse sostituito dalla fotografia. Nel 1884 vince il concorso per la cattedra di pittura all’Accademia Carrara, incarico che ricopre sino al 1899, avviando un profondo rinnovamento dei metodi di insegnamento. A questi anni bergamaschi appartiene il Ritratto di Maria Gallavresi bambina con la madre, che raffigura la moglie e la figlia di Emilio Gallavresi, avvocato e uomo politico originario di Caravaggio, sostenitore delle idee socialiste. Le due donne sono rappresentate a figura intera e a grandezza naturale, dinanzi a una parete ricoperta da una tappezzeria damascata. Realizzato dal vero, nello studio dell’artista, il doppio ritratto è eseguito con una pittura robusta, di intensa forza espressiva.


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La pittura di Storia tra letteratura e vero

1842 olio su tela cm 121 × 151 dono Giulia Frizzoni, 1932

Venezia 1791 Milano 1882

Francesco Hayez Giorgio Cornaro inviato a Cipro dalla Repubblica Veneta fa conoscere alla regina Caterina Cornaro, sua parente, ch’ella non è più padrona del suo regno, poiché lo stendardo del Leone sventola già sulla fortezza dell’isola Hayez è il maggior esponente della pittura del Romanticismo in Italia. La fama del pittore è affidata ai dipinti di soggetto storico, spesso carichi di significati patriottici o allusivi alla situazione politica italiana, ma grande entusiasmo suscitarono anche i suoi ritratti e le sue sensuali figure femminili.La tela della Carrara fu commissionata da Antonio Frizzoni, esponente di una famiglia attiva a Bergamo nel settore dell’imprenditoria tessile. Il dipinto raffigura l’episodio culminante di una vicenda molto popolare nella prima metà dell’Ottocento. Giorgio Cornaro informa la sorella Caterina, regina di Cipro, che la Repubblica di Venezia ha deciso la sua destituzione e le annuncia il futuro confino nel castello di Asolo. La scena è costruita attraverso uno studio calibrato della luce e delle pose dei personaggi ed ha un tono fortemente teatrale, tipico della pittura di Hayez.

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La pittura di Storia tra letteratura e vero

1887 circa olio su tela cm 100 × 231 dono Cesare Pisoni, 1923

Ferrara 1852 Lavagna, Genova, 1920

Gaetano Previati Paolo e Francesca Gaetano Previati è con Giovanni Segantini e Pellizza da Volpedo il principale protagonista del divisionismo italiano e uno dei più sensibili interpreti dei temi del simbolismo. Il dipinto della Carrara precede la definitiva conversione dell’artista alla tecnica della divisione del colore e appartiene invece alla sua stagione iniziale, legata al gusto tardoromantico e alla Scapigliatura. La storia di Paolo e Francesca, raccontata da Dante nell’Inferno, era uno dei soggetti più sfruttati del repertorio ottocentesco, ma Previati non è interessato a raccontare l’evento nei suoi dettagli, aspira invece a una pittura capace di raffigurare sentimenti, emozioni, idee. L’artista sceglie di adottare un claustrofobico formato orizzontale, occupando il primo piano con le figure dei due infelici amanti riversi sul loro letto di morte, trafitti entrambi dalla medesima spada. Ne scaturisce un’immagine vigorosa e cupa, che si distingue per l’enfasi melodrammatica e per l’esasperato naturalismo.

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Il paesaggio nell’Ottocento

1887 olio su tela cm 35 × 28,5 dono Arturo Toscanini, 1913

Milano 1851 - 1920

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Vittore Grubicy de Dragon Neve in agosto a Schilpario Vittore Grubicy è una figura cruciale dell’arte italiana di fine Ottocento ed ebbe un ruolo decisivo nella nascita del Divisionismo, diffondendo nella penisola le teorie sulla rifrazione della luce e sostenendo i pittori che sperimentavano la nuova tecnica della divisione del colore. Dalla metà degli anni Ottanta Grubicy comincia a dipingere, approfittando inizialmente dei periodi di villeggiatura in alcune località alpine. L’appartato borgo di Schilpario, in valle di Scalve, fu meta di ripetuti soggiorni e il tema della nevicata uno dei preferiti dall’artista. Il dipinto della Carrara fu eseguito nel 1887 con una tradizionale stesura a impasto e ripreso vent’anni dopo sovrapponendo alla superficie originaria un pulviscolo di colori divisi, attraverso un’applicazione non scientifica ma intuitiva ed emozionale della tecnica divisionista.



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Il paesaggio nell’Ottocento

1889 olio su tela cm 106 × 79 dono Giuseppe Pellizza da Volpedo, 1897

Volpedo, Alessandria, 1868 - 1907

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Giuseppe Pellizza da Volpedo Ricordo di un dolore (Ritratto di Santina Negri) Pellizza da Volpedo è noto specialmente come autore de Il Quarto Stato, quadro simbolo della pittura italiana di fine Ottocento e icona della modernità. Sintesi delle esperienze formative del p ­ ittore è invece Ricordo di un dolore, che fu donato dall’artista alla Carrara in ricordo degli insegnamenti ricevuti da Cesare Tallone durante i due anni trascorsi a Bergamo tra il 1888 e il 1890. L’immagine della lettrice era assai diffusa all’epoca, ma il significato dell’opera va oltre la scelta del tema. Nello sguardo lucido della volpedese Santina N ­ egri, Pellizza ha espresso il dolore per la scomparsa di sua s ­ orella Antonietta, deceduta nell’ottobre del 1889. L’impostazione del ritratto deriva da Tallone, mentre la costru­zione dello spazio per piani di colore luminoso steso a grandi campiture rammenta la pittura dei macchiaioli.


Indice degli artisti

Bartolomeo Veneto Basaiti, Marco Baschenis, Evaristo Bassano, Jacopo (Jacopo da Ponte) Bellini, Giovanni Bembo, Ambrogio Bembo, Bonifacio Benozzo di Lese: vd. Gozzoli, Benozzo Bergognone, Bernardino: vd. Maestro bramantesco Bernini, Pietro Boltraffio, Giovanni Antonio Bordon, Paris Boselli, Antonio Botticelli, Sandro (Alessandro di Mariano Filipepi) Botticini, Francesco Busi, Giovanni: vd. Cariani Canal, Antonio: vd. Canaletto Canaletto (Antonio Canal) Cariani (Giovanni Busi) Carnovali, Giovanni: vd. Piccio Carpaccio, Vittore Ceresa, Carlo Ceruti, Giacomo (il Pitocchetto) Cicognara, Antonio Cincani, Bartolomeo: vd. Montagna, Bartolomeo Clouet, Jean Costa, Lorenzo Falca, Pietro: vd. Longhi, Pietro

46 47 93 76 20, 23 43 43

98 57 77 51 37 34

94 65, 66

24 85 89 43

64 59


Fantoni, Andrea Fantoni, Grazioso il Giovane Ferrari, Defendente Filipepi, Alessandro: vd. Botticelli, Sandro Foppa, Vincenzo Fra Galgario (Vittore Ghislandi) Francesco di Simone da Santacroce

100 99 58

17 86, 88 50

Garofalo (Benvenuto Tisi) Ghislandi, Giuseppe detto Vittore: vd. Fra Galgario Giovanni d’Alemagna Gozzoli, Benozzo (Benozzo di Lese) Grubicy de Dragon, Vittore Guardi, Francesco

16 32 103 95

Hayez, Francesco

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Jacobello di Antonello: vd. Jacopo di Antonello Jacopo di Antonello (Jacobello di Antonello) Landi, Neroccio de’: vd. Neroccio de’ Landi Lenbach, Franz von Longhi, Pietro (Pietro Falca) Lorenzo Monaco (Piero di Giovanni) Lotto, Lorenzo

61

21

28 91 40 67, 68

Maestro bramantesco (Bernardino Bergognone ?) 54 Maestro della Leggenda di sant’Orsola 41 Mantegna, Andrea 18 Marinoni, Antonio 12 Melone, Altobello 71 Molenaer, Jan Miense 82 Montagna, Bartolomeo (Bartolomeo Cincani) 25 Moroni, Giovan Battista 73, 7


Negretti, Jacopo: vd. Palma il Vecchio Neroccio de’ Landi Palma il Vecchio (Jacopo Negretti) Pellizza da Volpedo, Giuseppe Piccio (Giovanni Carnovali) Piero di Giovanni: vd. Lorenzo Monaco Pisanello (Antonio Pisano) Pisano, Antonio: vd. Pisanello Pitocchetto: vd. Ceruti, Giacomo Previati, Gaetano Previtali, Andrea (Andrea Cordegliaghi)

33 72 115 104, 107

15

112 48

Raffaello 38 Sanzio, Raffaello: vd. Raffaello Salvi, Giovan Battista: vd. Sassoferrato Sassoferrato (Giovan Battista Salvi) Solario, Andrea Stomer, Matthias

81 56 80

Tallone, Cesare 109 Tiepolo, Giovan Battista 90 Tisi, Benvenuto: vd. Garofalo Tiziano 70 TrĂŠcourt, Giacomo 106 Vecellio, Tiziano vd. Tiziano



Accademia Carrara Guida alla visita (Seconda Edizione) Pubblicata da Accademia Carrara, Bergamo con il contributo di Ressolar Testi Paolo Plebani Revisione seconda edizione Paolo Plebani Paola Rota Progetto grafico e impaginazione Lupo & Burtscher, Bolzano collaborazione di Claudia Polizzi, Nike Auer Impaginazione seconda edizione Matteo Ducoli Coordinamento della produzione Paola Azzola Crediti fotografici Archivio fotografico Accademia Carrara Studio Fotografico Da Re, Bergamo Fotolito Eurofotolit, Cernusco sul Naviglio (Milano) Stampa e legatura Intergrafica S.R.L., Bergamo Finito di stampare nel mese di marzo 2019 Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore

© 2019 Accademia Carrara, Bergamo Prima edizione, aprile 2015; Seconda edizione riveduta, marzo 2019


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