Dove osano le fate Diego Infante
Mentre l'UNESCO concede l'iscrizione nella lista del patrimonio mondiale a siti che non sono in reale pericolo, in tre remote valli dell'Hindu Kush situate nel distretto di Chitral (Pakistan settentrionale) la millenaria cultura politeistica dei Kalash si trova in una condizione sempre più precaria. I kafiri (infedeli per gli islamici) rappresentano l'ultimo baluardo del politeismo indoeuropeo nel panorama monolitico del monoteismo trionfante, a eccezione dell'India, dove pure si riscontrano tendenze monistiche o addirittura monoteistiche, sebbene di natura completamente diversa da quelle di nostra conoscenza. I Kalash, che oggi sono soltanto 4000, appartengono linguisticamente alla famiglia indoeuropea, essendo la lingua kalash parte del gruppo dardico. Assai simili agli europei, spesso con occhi azzurri e capelli biondi, i Kalash vivono da sempre pressoché isolati nel profondo delle valli, conservando la propria specificità in un ambiente di serena e nobile bellezza. La loro cultura si esprime in una serie di costumi, usanze e rituali che presentano suggestive affinità con le pratiche descritte nei Veda, il grande corpo di testi religiosi in sanscrito che costituiscono le più antiche scritture dell'induismo. Rispetto a questi, però, i loro rituali non includono certi culti, come quello del fuoco e quello della vacca. Prive di fondamento, invece, si sono rivelate le tesi di una discendenza dalla spedizione di Alessandro Magno del IV secolo a.C.: questo eurocentrismo è stato sconfessato dalle analisi genetiche, che sembrano convalidare la tesi della migrazione ariana dal nord. Quello delle valli kalash è un piccolo scrigno, un prezioso microcosmo che serba al suo interno le coordinate del macrocosmo universale. La sua leggerezza si dispiega in un linguaggio architettonico di graziose abitazioni lignee. Le frugali dimore, dal tetto piatto che ne consente la sovrapposizione e il terrazzamento sulle rupi scoscese, si raggruppano in piccoli villaggi facendo tesoro dell'elasticità di antiche travi, utili ad assecondare le onde d'urto dei terremoti. Anche qui troviamo un riferimento vedico: il terremoto è indresti, "impulso di Indra". Da questo sereno scenario di rigogliosi alberi da frutto, campi dissodati, vigne e foreste secolari di cedri i Kalash traggono tutto il necessario, ma anche la materia prima per un vino che stimola una gestualità antica, più unico che raro in un Pakistan che per precetto divino deve astenersi dal "nettare degli dei". Stando alle suggestioni vediche si tratterebbe proprio del soma celebrato negli inni vedici. In ogni villaggio le donne dispongono di particolari camere, dette bashali, dove rimangono "confinate" durante il periodo mestruale e nel corso della gravidanza. In questi ambienti si può osservare l'effigie scolpita di Dezalik, caratterizzata da riproduzioni della vulva: questa divinità femminile, venerata soltanto dalle donne, presiede alle nascite. Secondo la concezione di purezza rituale, sussiste una netta demarcazione tra il puro e l'impuro, motivo per cui la stessa levatrice deve ristabilire la propria purezza con un lavaggio integrale. Qui è evidente l'influsso induista. Il rapporto uomo-donna, pur in quella differenziazione delle mansioni propria delle economie semplici, è sostanzialmente paritario, con le donne che restano piene artefici del proprio destino potendo scegliere di divorziare in piena libertà. Il sacro permea tutti gli aspetti della vita. Innanzitutto trova espressione in elaborate credenze spirituali che mostrano ancora una volta sorprendenti analogie con quelle dei Veda, così da configurare l'ultimo esempio di religiosità politeistica indoeuropea sopravvissuta a uno stadio primigenio. Tracce di queste analogie sono presenti nella figura di Dezau, il creatore, dio supremo del Cielo corrispondente al Dyaus Pitar della religione vedica e allo Zeus della tradizione greca, cui tuttavia non sono dedicati specifici luoghi di culto. Figura molto importante è Indr, stessa divinità del pantheon vedico (come nei Veda il nome del-