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N.39, LUGLIO - AGOSTO 2020
IMMUNI… AL DIGITALE
La fredda accoglienza dell’app per il tracciamento dei casi Covid-19 va di pari passo con il rapporto con le nuove tecnologie
I
a cura della redazione
mmuni è il nome dato all’applicazione per cellulari che rintraccia i contatti di una persona risultata positiva al coronavirus. È entrata in funzione su tutto il territorio nazionale a metà giugno, dopo aver superato il vaglio rigidissimo del garante della privacy. Nelle prime ore di vita, l’app è stata criticata per la sua immagine grafica di copertina. Vi appariva da una finestra una donna con in braccio un bimbo in fasce e una piantina e, dalla finestra accanto, un uomo al computer. Pronto l’intervento dell’attivista del Partito democratico Anna Paola Concia che l’ha definita “un’immagine fuori dal tempo” e sessista e alla fine la ministra dell’Innovazione tecnologica, Paola Pisano, l’ha fatta sostituire. Nella nuova versione appare una donna al computer e la piantina e, dirimpetto, un uomo con un bimbo in braccio. «Almeno potevate darci anche la piantina!», ha commentato su Twitter un ironico utente maschio. Un problema più serio è che l’applicazione, dopo alcune settimane dal lancio, è stata scaricata solo da qualche milione di utenti, troppo pochi perché sia veramente efficace a contrastare la diffusione del virus (per raggiungere questo scopo, si stima, dovrebbe essere utilizzata dal 60-70 per cento della popolazione). E allora veniamo a un altro problema, ancora più serio, di cui la app è solo la punta dell’iceberg: gli italiani e il digitale. Secondo l’ultimo rapporto Desi della Commissione europea, che rileva l’indice di digitalizzazione dell’economia e della società, il 42 per cento degli italiani ha sul
tema solo competenze di base (rispetto al 58 per cento della media UE); tra i laureati, l’1 per cento ha scelto discipline delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e il 17 per cento della popolazione non ha mai usato Internet. Malgrado un ingente intervento pubblico messo in campo negli ultimi anni, ad avere accesso alla banda larga è il 13 per cento delle famiglie. Tutto ciò colloca l’Italia al 25esimo posto su 28 Paesi nel rapporto Desi 2020, seguita solo dalla Romania, dalla Grecia e dalla Bulgaria. Ma per chiudere con una nota positiva sullo tsunami del coronavirus, come ha detto Vito Borrelli, rappresentante in Italia della Commissione europea, con la pandemia «siamo tutti dovuti ricorrere, volenti o nolenti, alle tecnologie digitali per comunicare e continuare il nostro lavoro». E chissà se questo non ci farà fare un cambio di passo! n
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