IN COPERTINA MoRe IMPRESA FESTIVAL
Rampello: “Il momento dei grandi artigiani è ora” Ecco perché valorizzarli significa rilanciare il Paese
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on la rubrica di Striscia la Notizia “Paesi e Paesaggi” Davide Rampello ha portato nelle case degli italiani il meglio del saper fare italiano. Con “Beni culturali viventi”, il suo ultimo saggio pubblicato da Skira, ha ricostruito in modo originale la storia di questo inestimabile patrimonio. Grazie ai padiglioni Expo da lui curati (Shangai, Milano, Dubai) ha coinvolto migliaia di persone in un racconto sensoriale dell’Italia di grande impatto. Un lavoro encomiabile che lo rende uno dei più stimati e riconoscibili ambasciatori del made in Italy nel mondo. Lo abbiamo intervistato in vista della serata di apertura di MoRe Impresa Festival, mercoledì 13 ottobre. Professor Rampello, nei suoi interventi e nel suo ultimo libro, lei parla di beni culturali viventi. Cosa intende? «Mi riferisco ad uno dei grandi patrimoni del nostro Paese. Noi abbiamo i beni culturali e i beni culturali viventi. Abbiamo i beni paesaggistici, i beni immateriali e i beni viventi. Quelle donne e quegli uomini che hanno accumulato, rielaborato, re-interpretato saperi e “saper fare”, in un modo ricco di intelligenza e sensibilità. Hanno perciò rispettato fino in fondo il concetto di tradizione che la cui etimologia proviene dal verbo lati-
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n° 05 - 2021
no “tradere” cioè “portare di qua”. Queste donne e uomini straordinari hanno portato nel nostro presente i saperi, i gesti che i loro padri, i loro nonni, hanno consegnato loro. Ma con la capacità di sapere valorizzare, attualizzare questi antichi saperi. È così che la ricetta della nonna si rinnova perché gli ingredienti sono diversi, o perché i gesti, le mani della nipote si muovono in modo diverso da quelli della nonna o perché è diverso il forno e così via…». C’è poi anche dimensione etica attorno al lavoro artigianale e manuale. Fare le cose aiuta a pensare e, come suggerito da Richard Sennett, ad essere cittadini, uomini e donne migliori. «È questo che è fondamentale, la dimensione etica che li guida. Perché quando mi trovo a parlare con un contadino, con un artigiano, con un agricoltore, io non mi permetto mai di parlare di sostenibilità o economia circolare. Sono loro che la insegnano a me. Dico queste due parole perché sono sulla bocca di tutti, ma la vita contadina, la vita artigiana, è sempre stata all’insegna del non spreco. Della grande attenzione di ciò che circonda, al riciclo costante e favorire i cicli naturali. La sapienza che ha il pescatore quando pesca in modo da non depauperare il giacimento, perché ha chiaro il patrimonio che ha a disposizione, sapendo che esso va
mantenuto per sé, per i figli e per i nipoti che verranno». Eppure le realtà di cui lei parla nella rubrica di Striscia la notizia “Paesi e Paesaggi”, sono trascurate dai media e dalla politica nostrana… pensiamo invece a ciò che accade in Francia o Giappone, o nel mondo anglosassone, giusto per fare alcuni esempi virtuosi di valorizzazione dei saperi. Perché? «Questo fa parte della poca intelligenza e della poca sensibilità di certa politica e informazione. Ma ora, dopo i grandi stilisti, le archistar e gli chef, è venuto il momento dei grandi artigiani. Bisogna aprire loro la scena. Innanzitutto perché sono il vero patrimonio del made in Italy, non a caso i grandi marchi di moda sempre di più hanno bisogno di personalizzare e vanno da chi ha le mani e la sensibilità per accontentarli. E nel libro “L’Italia fatta a mano” (Skira 2019) racconto tutto questo, come il vero DNA italiano». Eppure nella rivalutazione del lavoro artigiano molti vedono una battaglia di retroguardia. Una difesa della “tradizione” purchessia… «La gente pensa che la tradizione