Lungarno n. 85 - giugno 2020

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Superdeliri al supermarket di Michele Baldini

illustrazione di Rame13

C

he la vita faccia giravolte inaspettate non è una novità. Come non c’è da sorprendersi se c’è chi perde la brocca in situazioni oltremodo inaspettate, tipo il COVID-19. Banalità che tuttavia introducono bene al focus della storia che segue. Lorenzo è una guida turistica, una di quelle professioni che fino a pochi mesi fa potevano dirsi sicure in una città come la nostra. Eppure, le cose cambiano. Così si trova senza turisti in una città d’arte chiusa, nell’attesa che la “normalità” torni. Ma la fortuna (oppure la capacità di adattamento?) bussa alla porta e salta fuori un’opportunità: fare il commesso in un supermercato, che per discrezionalità chiameremo Supermarket “Fair” (eticamente molto fair, economicamente molto meno, questo è un dettaglio). In questa nuova avventura Lorenzo, con uno spirito propositivo già di suo invidiabile, sperimenta molte delle reazioni umane che possono appunto costellare l’evento inaspettato, il fattore

X: la Pandemia. Durante la telefonata che gli faccio me ne racconta alcune. La mascherina non è un optional, almeno in un luogo aperto al pubblico in cui chi lavora deve stare - specie alla cassa - a una distanza esigua dal flusso ininterrotto di clienti. E quando al cliente ricordi che quella mascherina la deve tenere lui che fa? Si incazza. Si incazza fino a rovesciare in terra o lanciare la merce dagli scaffali, prendere a male parole la collega, costringere le forze dell’ordine all’intervento. Sulla stessa linea d’onda c’è anche chi risponde indispettito all’addetto gastronomia dopo che questo gli ricorda di rispettare distanze e di lavarsi accuratamente le mani prima di metterle sulla merce. Molti, una volta poggiata la spesa sul nastro, esprimono al cassiere le proprie (dubbie) opinioni non richieste sull’origine artificiale del virus, l’inadeguatezza (per non dire l’incapacità) del governo e via e via di complotto in complotto. C’è poi chi ti rinfaccia, una volta tornato a casa stanco da lavoro, di essere una specie di untore “che porta il virus nel quartiere”.

C’è da capirli, si dirà, del resto chiusi tra quattro mura per due mesi la vita è difficile. Certo. Infatti le ultime settimane sono state più rilassate. In più, accanto a questi episodi di nervosismo e frustrazione spiccioli, la maggioranza dei clienti (il nostro Lorenzo tiene a dircelo) non manca di esternare la propria gratitudine e di dimostrare rispetto nei confronti di chi, anche durante il lockdown più duro, è stato “sul fronte”. “È dai dettagli che ho imparato le cose importanti e ho tratto le più preziose soddisfazioni professionali” ci dice. “A lavoro siamo stati una squadra e ci siamo aiutati”. Gli chiedo se si sono sentiti eroi di serie B. “Nessuno si è sentito un eroe, abbiamo solo cercato di fare attenzione a fare il nostro lavoro meglio che possiamo”. Prendere il meglio dal peggio è forse (e da sempre) la regola numero uno di quel famoso buon senso a cui molti si appellano ma che in pochi applicano. In un momento in cui tra i “ce la faremo” e i “se aprono loro perché io no” c’è chi si lamenta e chi si dà da fare senza giocare a gomiti alti. E - ironia della sorte - uno di quei rari casi in cui ciò che sembra una banalità è in realtà genio.

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