Lungarno n. 85 - giugno 2020

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ODONOMASTICA

PERSONAGGI FIORENTINI di Tommaso Ciuffoletti

di Daniele Pasquini

illustrazione di Marcho

Celestino Bianchi

C

hi ama scrivere sa bene che giungere alla pubblicazione è spesso difficile. La storia dell’editoria è costellata di rifiuti e di infinite pene patite da geni incompresi e megalomaniaci assortiti. Ma spesso i più saggi hanno fatto tappa nelle redazioni di riviste e giornali, vere e proprie palestre in cui sperimentare l’arte della parola. Prima che esistessero i social network, questo era anche l’unico modo possibile per diffondere le proprie idee. Non ci interessa esprimere qua un giudizio sul valore di Celestino Bianchi, che fu più volte deputato e insegnante. Ci preme ripercorrerne il curriculum giornalistico, affinché sia di esempio agli odierni aspiranti prosatori. Celestino iniziò la carriera al periodico La Patria, per poi fondare il giornale filo-piemontese Il Nazionale col benestare di casa Savoia. Alla restaurazione del Granducato la testata fu soppressa e a Bianchi fu vietato l’insegnamento. Si scoraggiò, forse? Giammai! Cominciò a scrivere sotto pseudonimo e rilevò una tipografia, tentando di mettersi in proprio. L’impresa fallì, ma gli permise di conoscere l’editore Gaspero Barbera, che diventò suo socio. Collaborò allora con le riviste Il Genio e La Polimazia di famiglia, nel 1855 fondò Lo Spettatore finché non fu chiamato a collaborare alla Biblioteca Civile degli Italiani. Pubblicò il pamphlet Toscana e Austria, e alla caduta del Granducato ebbe il riconoscimento a cui ambiva. Scrisse per la Gazzetta di Torino e infine nel 1872 fu chiamato a dirigere La Nazione. Morì a Firenze nel giugno 1885, senza riuscire a completare il libro a cui stava lavorando. 
Nessuna delle testate menzionate continua a vivere – tranne una – ma il nome di Celestino Bianchi è tutt’ora impresso negli stradari: a lui è dedicata un’elegante via a senso unico in zona Statuto. Non demordete, perciò, autori di belle speranze!

[odonomàstica s. f. Disciplina che ha per oggetto lo studio dei nomi delle strade] 18

O

Il Bighe

ggi ci sono questi ragazzotti che vanno in palestra, si sistemano i capelli, indossano l’outfit giusto e si fanno la foto per Instagram o il video per TikTok. Si prendono i like e poi magari aspettano che qualcuna gli scriva in direct per vedere se qualcosa si rimedia. Luca Bigongiari, detto il Bighe, invece faceva il latin lover. Una roba diversa, di tanti anni fa. Quando una ragazza capitava di doverla rincorrere per strada con una scusa, rivolgerle parola a freddo al tavolino di un bar, fingere d’inciamparle accanto e attaccare bottone. Un mestiere molto più rischioso, giocato su quel genio che è fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione. O ce l’hai o non ce l’hai. Io non posso dire se Luca Bigongiari quel genio ce l’avesse davvero, perché purtroppo è morto giovane, a soli 50 anni nel 2002. Ma certo nel libro che ha scritto proprio poco prima di morire, Diario di un latin lover fiorentino - La dolce vita, le donne e la Firenze degli anni Settanta raccontati da un protagonista, di genio ce n’è. Più che genio letterario - che si potrebbe immaginare eredità del padre (il poeta e critico Piero Bigongiari) - è un genio narrativo, epico e buffo, molto fiorentino. “Se si escludono quattro anni di matrimonio sono stato costantemente a caccia di donne, all’imbrocco, come si dice da queste parti”. Il libro è una chicca, con capitoli dai titoli emblematici come “L’imbrocco”, “Le donne dell’est”, “Alcuni imbrocchi da ricordare” e così via. Personalmente ne ho tratto tanti insegnamenti. E il Bighe, devo dire, mi sarebbe piaciuto conoscerlo.


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