l'Unità Laburista - Com'è profondo il mare - Numero 23 del 23 Novembre 2019

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Numero 23 del 23 novembre 2019

Com’è profondo il mare


Sommario 

Sono sopravvissuta alla fatica e vi racconto il fatto - pag. 3 di Antonella GOLINELLI Iran, la “rivolta della benzina” infiamma il Paese e punta al cuore del regime degli ayatollah - pag. 6 di Umberto DE GIOVANNANGELI Il Muro di Berlino e le due Germanie - pag. 12

di

Giovan Giuseppe MENNELLA

Sardine, Sardine ovunque - pag. 21 di Aldo AVALLONE

Radio Taxi - pag. 24 di Antonella BUCCINI

Il Nazismo, il rogo dei libri e il controllo della cultura - pag. 27 di Giovan Giuseppe MENNELLA

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Politica

Sono sopravvissuta alla fatica e vi racconto il fatto Antonella GOLINELLI

Oggi terza giornata dell'iniziativa Pd a Bologna. A FICO. MAH. Ma non voglio dire altro a questo proposito. Quello che vi voglio raccontare è l'atmosfera, o meglio il cambio di atmosfera, che si respirava. Si sente. La mancanza del vivaista si sente. Caspita. La gente parla e dice quello che pensa. Come lo pensa. Persino quelli che prima volevano zittire gli altri e han fatto di tutto per allontanarli che rivendicano (piÚ che altro chiedono e sperano) il diritto di esprimere. Ecco. Qui siamo al paradosso. Ma come?!?!? Siete di quelli che non hanno permesso posizioni diverse e insinuate che non si possa parlare? Ma quando mai? #mognint PiÚ che altro gran parte della platea, molto numerosa ma proprio molto, era piutto3


sto perplessa da certe presenze delle quali non si capisce francamente la ratio. Ma tant'è. Lo storico intervenuto è stato fantastico, semplicemente fantastico. Bonaccini è stato lui. Quello era ed è. Contesto però saldamente il principio che “...in questi cinque anni...”. Ohi, noi eravamo avanti anche prima. Io avrei rivendicato quello, lo storico, la tradizione di buone prassi, non solo gli ultimi cinque anni. Ma io di politica, notoriamente, non capisco una cippa. È scappato velocemente ma del resto in effetti abbiamo un po' di emergenze idrauliche in regione (abbiamo piene in corso e in arrivo e ho notato che la terra non assorbe più). Ammetto che le conclusioni di Zingaretti mi hanno un po' impressionato., anche se effettivamente la seconda parte del suo intervento era a tutti gli effetti un comizio. Passare dal concetto del vivaista di giovanilismo e affermazione personale a quello di affermazione del principio di giustizia sociale è un bel cambio di paradigma. Potete dire quello che volete ma è proprio un'altra roba. Si è accennato un paio di volte al principio di un partito laburista. Beh, mi sembra un'ottima soluzione per sgombrare il campo da equivoci di sorta. Speriamo. Si è sancita la costituzione, per la prima volta in 12 anni, di una fondazione del partito. Non di una corrente. Del partito. Anche questo è un cambio di marcia importante. Qualcuno c'è all'interno, molto titolato anche, che è non soddisfatissimo della virata a sinistra. Oddio... ce n'è ancora di spazio per andare a sinistra. Ma evidentemente anche questa prima leggera coloritura per qualcuno è troppo violenta. Secondo me, nota ignorantona silvana, se ne faranno una ragione. Che facciano un po' loro. Hanno citato ancora le sardine, sulle quali non ho cambiato opinione, e cogliendo la palla al balzo Bonaccini ha annunciato una convocazione in piazza il 7 dicembre 4


“con le bandiere che vi pare”. Evidentemente non lo penso solo io che quella piazza ha bisogno di assumere ed esprimere un'identità. E se non piace l'identità a qualcuno pazienza. Per adesso è tutto. Se mi viene in mente ancora qualcosa ve lo racconto. Peggio per voi.

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Esteri

Iran, la “rivolta della benzina” infiamma il Paese e punta al cuore del regime degli ayatollah Umberto DE GIOVANNANGELI

“Banditi”. “Sabotatori”. “Criminali” al servizio di potenze straniere. L’ayatollah Ali Khamenei dichiara guerra alla “rivolta della benzina”. Un certo numero di persone" ha perso la vita nel corso degli scontri in Iran. Lo riferisce il canale televisivo in lingua inglese della Repubblica Islamica Press Tv. Il canale precisa che ciò avvenuto quando le proteste per l'aumento del prezzo della benzina sono sfociate nella violenza. Fonti ufficiose parlano di almeno 14 morti, tra i quali poliziotto, ucciso dopo essere stato raggiunto da spari in scontri con "rivoltosi e delinquen6


ti" nell'ambito delle proteste contro l'aumento dei prezzi del carburante a Kermanshah, nell'ovest del Paese. Lo riferisce l'agenzia di stampa di Stato iraniana Irna, che citando il capo della polizia provinciale Ali Akbar Javidan identifica la vittima come Iraj Javaheri. Quaranta persone sono state arrestate nella città iraniana di Yazd dopo uno scontro con la polizia durante le proteste contro il caro-benzina. Lo riporta l'agenzia di stampa semi-ufficiale Isna. I quaranta arrestati sono accusati di aver compiuto atti di vandalismo e la maggior parte di loro non sono persone del luogo, riferisce Isna citando il procuratore della provincia Mohammad Hadadzadeh. Ma l’attacco più forte contro i “rivoltosi” è venuto oggi dalla Guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali-Khamenei, che ha dichiarato il suo sostegno alla decisione governativa di razionare e aumentare i prezzi della benzina e ha accusato quelli che ha definito dei “banditi” di avere provocato gli incidenti avvenuti durante le proteste di piazza. “Non risolveranno niente, ma porteranno solo insicurezza”, ha aggiunto Khamenei, accusando l’ex famiglia reale dei Pahlavi e i “criminali” Mojaheddin del Popolo, gruppo armato che si oppone alla Repubblica islamica, di avere “incoraggiato” gli incidenti. Quanto alla decisione sul razionamento e il rincaro dei prezzi, la Guida ha sottolineato: “Io non sono un esperto, ma poiché la scelta è stata fatta dai capi dei tre rami istituzionali, la sostengo”. No Gaza, no Libano, sacrifico la mia vita per l’Iran”: è ciò che i manifestanti i iraniani cantano mentre danno fuoco alle effigi di Khamenei. La tensione è altissima. A testimoniarlo è anche la decisione di annullare la sesta giornata della SuperLega iraniana a causa delle proteste in atto in tutto il Paese. In un Paese sviluppato ma molto esteso, dove i mezzi pubblici sono insufficienti, e comunque raggiungono poche località, la decisione peggiore che il Governo poteva assumere in questi tempi difficili era deliberare un drastico aumento dei prezzi del carburante. Non solo. Accompagnare i rincari con una razionalizzazione. Quasi u7


na beffa per chi ha sempre vissuto con il carburante che costava molto meno di una bottiglietta d'acqua. La benzina costerà 15mila rials al litro, 11,5 centesimi di euro. Ma chi vorrà consumarne più di 60 litri al mese, allora dovrà pagare i litri extra ben 23 centesimi al litro.Il Governo ha dalla sua i numeri: in questo periodo di vacche magre, soffocati dalle sanzioni, con i budget costantemente in deficit, i sussidi all’energia, in particolare al carburante sono una zavorra insostenibile sui conti pubblici. Ecco la decisione dell’aumento. Che ha il sapore di una prova generale per tempi ancora più bui. Dopo un anno di difficoltà, gli iraniani hanno dunque perso la pazienza, e sono scesi in strada a protestare. In diverse città sono state dati alle fiamme cassonetti , pneumatici, in alcuni casi circoscritti sono state attaccate dalle banche. Ma, attenzione. Quella della benzina è solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Le sanzioni americane, le più severe di sempre, stanno strangolando l’economia. Da quando, lo scorso maggio, Washington ha annullato le moratorie per i Paesi autorizzati a importare greggio dall’Iran, Teheran riesce a malapena ad esportare il 20% dei volumi che vendeva prima. Quando va bene. Il riaal, la valuta locale, è precipitato (solo nel 2018 ha ceduto il 60% sul dollaro) , l’inflazione galoppa (+35%), la disoccupazione sta creando grandi malumori, soprattutto tra i giovani. Quest’anno la recessione rischia di sfiorare il 10 per cento. Mai, neanche durante la lunga e sanguinosa guerra con l’Iraq di Saddam Hussein (1980-1989) l’Iran si era trovato in una situazione economica così grave, ha denunciato il Fondo monetario internazionale. E la sensazione è che il peggio debba ancora venire. Lunedì 18 il segretario di stato Mike Pompeo ha annunciato che dal 15 dicembre saranno cancellate le esenzioni che finora hanno consentito alle società straniere di lavorare con il sito nucleare iraniano di Fordow senza sanzioni Usa. Di fronte a "rivolte", lo Stato "non deve permettere l'insicurezza", afferma il presidente Hassan Rouhani, in un discorso in diretta televisiva. Era stato il ministro 8


dell'Interno, Abdolreza Rahmani Fazli, ad avvertire che le forze di sicurezza ristabiliranno l'ordine se coloro che protestano contro l'aumento dei prezzi della benzina "danneggiano le proprietà pubbliche". "Finora le forze di sicurezza hanno mostrato moderazione e tollerato le proteste", aveva detto parlando dalla tv di Stato. "Ma - aveva aggiunto – poiché la calma e la sicurezza delle persone sono la nostra priorità, adempiranno al loro dovere di ristabilire la calma se continueranno gli attacchi alle proprietà pubbliche e private". Le autorità iraniane hanno "limitato l'accesso pubblico a Internet la scorsa notte e per le prossime 24 ore". Lo afferma l'agenzia Isna, confermando quanto già ieri era stato rilevato da Netblocks, sito che monitora il traffico on line globale. La decisione è stata presa dal Consiglio supremo per la sicurezza nazionale, ha riferito una fonte del ministero delle Telecomunicazioni, in seguito alla diffusione di filmati che, a dire delle autorità, esagerano le dimensioni della protesta in corso contro l'aumento della benzina e il razionamento del carburante. Tweet. L’appello è arrivato sotto forma di messaggio privato sul profilo Instagram del Sole 24 Ore, schiacciato tra una notifica di una condivisione di una storia e la segnalazione dell’ennesimo profilo che cerca follower. “Hanno staccato internet di un intero Paese e noi studenti iraniani ed espatriati (10 milioni di persone) stiamo morendo dall’ansia, non potendo contattare le nostre famiglie”. M.M. ha poco più di 30 anni e dalla foto del profilo si scorgono i suoi profondi occhi scuri. Sorride, in quella foto. Non oggi. Oggi è solo preoccupata e anche un po’ arrabbiata: 2I giornali italiani sono gli unici che non hanno detto niente!  Perché il silenzio? In Iran ci sono proteste in 100 città e il governo ha aperto il fuoco sui manifestanti”. Evidentemente, la rivolta iraniana, come quella irachena, come quella libanese, non “fanno notizia” per una informazione (?) appassionata alle beghe di palazzo e infetta dal virus del provincialismo. Ma la rivolta iraniana prosegue, mentre scriviamo. Una folla di manifestanti ha dato fuoco alla sede del9


la Banca centrale a Behbahan, nella provincia del Khuzestan. La protesta contro l'aumento del prezzo del carburante sembra non aver risparmiato Teheran, che oggi si è risvegliata sotto una coltre di neve nella sua parte settentrionale. La città è in preda agli ingorghi, visibili anche su Google Map digitando i dati relativi al traffico, ma molti di questi sarebbero stati causati più da un modo inedito di manifestare contro il governo che dalla neve, che ha spinto le autorità a chiudere le scuole e, di conseguenza, a diminuire il traffico in città. Secondo quanto riferiscono alcuni tweet di attenti osservatori, tra cui iraniani che studiano all'estero, nella capitale della Repubblica Islamica coloro che sono alla guida di auto comunicano le modalità di protesta attraverso la app Waze, indicando dove spegnere l'auto e causare l'ingorgo. Il bastone e la carota. Per provare a stoppare la rivolta il governo iraniano verserà entro stanotte, 19 novembre, a 20 milioni di persone i primi sussidi derivanti dalle nuove entrate per i contestati rincari sulla benzina. Entro sabato, i pagamenti riguarderanno altri 40 milioni di cittadini bisognosi, per un totale di 60 milioni. Lo riferisce il ministero del Welfare e del Lavoro di Teheran. La misura è stata anticipata rispetto ai 10 giorni previsti inizialmente dopo l'entrata in vigore degli aumenti per cercare di frenare le violenti proteste che stanno investendo il Paese. Si profila intanto un braccio di ferro sul tema anche dentro le istituzioni iraniane, dopo che un gruppo di parlamentari si è detto determinato a presentare un intervento d'urgenza che revochi la decisione all'origine del malcontento. Questo dopo che i vertici delle tre istituzioni statali iraniane - giudiziaria, legislativa ed esecutiva - che avevano deciso appunto l'aumento del prezzo della benzina e il suo razionamento, hanno annunciato in una comunicazione congiunta la piena collaborazione confermando il sostegno al provvedimento. Il gruppo di parlamentari si oppone alla decisione affermando che sarebbe toccato al parlamento ratificare un aumento del prezzo della benzina, da cui l'impegno a studiare un piano d'urgenza nel10


la sessione di domani e di votare per una revoca della decisione. "Il parlamento non è piÚ il pilastro della democrazia", ha sottolineato la deputata riformista Parvaneh Salahshuri su Twitter, "avrebbero potuto anche chiuderlo".

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Storia e Politica

Il Muro di Berlino e le due Germanie Giovan Giuseppe MENNELLA

Da poco è stato celebrato il trentesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino. Può essere interessante ripercorrerne la storia, inserita nel più ampio contesto di quella della Germania e della Guerra Fredda a partire dal 1945, fino a quel fatidico 9 novembre 1989. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, gli alleati vittoriosi occuparono tutto il territorio della Germania. Con l’accordo di Potsdam, le potenze vincitrici spartirono tra loro il territorio tedesco. Alla Gran Bretagna fu assegnata come zona di occupazione la Germania nord-occidentale, alla Francia quella Centro-occidentale, 12


agli Stati uniti la parte sud-occidentale e all’Unione Sovietica quella orientale. Anche Berlino fu divisa in quattro zone di occupazione, ma, trovandosi la città all’interno della zona occupata dai sovietici, i settori statunitense, francese e inglese, che poi sarebbero stati conosciuti in tutto il mondo come Berlino Ovest, vennero a formare una enclave della parte occidentale della Germania, poi Repubblica federale tedesca, all’interno della parte orientale, poi Repubblica democratica tedesca. I sovietici spinsero ben presto perché la parte occidentale della Germania pagasse loro i danni di guerra, benché di questa pretesa non ci fosse traccia negli accordi di occupazione. Il Presidente statunitense Harry Truman rifiutò di accedere alla richiesta sovietica e il 18 giugno del 1948 introdusse nel settore occidentale della Germania il nuovo marco tedesco al posto della precedente valuta di occupazione. Gli statunitensi erano rimasti da soli a occupare e gestire l’occupazione della parte occidentale della Germania in seguito al ritiro della Gran Bretagna e della Francia, entrambe alle prese con gravi problemi di politica interna ed estera; la Francia perché ormai duramente impegnata in Indocina dalle guerriglie indipendentiste di quelle popolazioni e la Gran Bretagna perché il nuovo governo laburista di Clement Attlee era assorbito dal varo della politica sociale di welfare state. Tuttavia, le potenze occidentali restarono tutte e tre a gestire le rispettive zone della città di Berlino ovest. Gli Stati Uniti favorirono la nascita della Repubblica Federale tedesca, con capitale a Bonn, comprendente il territorio dei tre settori occidentali già occupati da USA, Gran Bretagna e Francia, che vide la luce ufficialmente il 23 maggio 1949. Fu una misura adottata per mettere pressione sui sovietici perché terminassero l’occupazione militare e collaborassero alla riunificazione di una Germania scon13


fitta ma di nuovo indipendente. L’Unione Sovietica rifiutò di ritirarsi, perché voleva una Germania smilitarizzata e strettamente controllata, per impedire che si ripetessero in futuro le due invasioni in trenta anni che aveva dovuto subire dai tedeschi. Così, la zona di occupazione sovietica fu trasformata a sua volta in uno Stato formalmente indipendente, anche se sotto strettissimo controllo dei russi, la Repubblica democratica tedesca, con capitale a Pankow, sobborgo di Berlino Est, che nacque ufficialmente il 7 ottobre del 1949. Già in precedenza, il 24 giugno 1948, l’Unione sovietica aveva bloccato gli accessi da ovest ai tre settori occidentali di Berlino, cioè dal territorio della parte orientale della Germania da loro occupata, volendo che gli occidentali se ne andassero da Berlino Ovest per avere il controllo completo del territorio. Furono tagliati i collegamenti stradali e ferroviari e anche la rete elettrica. Berlino ovest divenne una città buia e assediata, senza viveri e medicinali. Era cominciato il “blocco di Berlino”, uno dei momenti più duri e decisivi della Guerra fredda. Il generale statunitense Lucius Clay, in comando delle truppe occidentali, propose di effettuare una incursione di carri armati e veicoli corazzati dalla Germania ovest a Berlino, passando nel territorio della Germania Est controllato dai sovietici. L’obiettivo sarebbe stato quello di portare i materiali necessari per la sopravvivenza della città, senza intenzioni ostili ma difendendosi con le armi in caso di attacco militare sovietico. Il Presidente Truman respinse la proposta perché avrebbe fatto correre il grave rischio di innescare un confronto militare caldo tra le due superpotenze. Si decise così di organizzare un gigantesco ponte aereo che dal 25 giugno 1948, giorno successivo alla proclamazione del blocco, durò per 462 giorni, con 278.228 voli che trasportarono in totale 2 milioni 326mila 406 tonnellate di rifornimenti, tra cui pic14


coli paracadute con pacchetti di caramelle per i bambini. Il blocco fu rimosso dai sovietici il 12 maggio 1949 e il ponte aereo, che durò per precauzione fino al 30 settembre del 1949, si rivelò un successo politico e organizzativo degli occidentali, soprattutto degli statunitensi. Inizialmente, ai cittadini di Berlino fu consentito di circolare liberamente in tutti i settori; tuttavia, con l’aggravarsi del confronto est-ovest in Guerra fredda, i sovietici e i tedesco-orientali limitarono sempre più i movimenti dei berlinesi e dei tedeschi in genere. Nel 1952 fu chiuso Il confine tra Repubblica federale e Repubblica democratica e quindi aumentò l’attrazione dei settori occidentali di Berlino per gli abitanti della Repubblica democratica tedesca. Tra il 1949 e il 1961 passarono all’Ovest ben 2 milioni 600 mila tedeschi dell’Est. Quindi, per fermare l’esodo delle persone della Germania Est, il regime comunista, nella notte tra il 12 e il 13 agosto del 1961, iniziò la costruzione di un muro attorno ai tre settori occidentali. Dapprima fu posto solo il filo spinato, poi il 15 furono piazzati elementi prefabbricati di cemento. Berlino Ovest fu completamente circondata, trasformando i tre settori occidentali in un’isola racchiusa nei territori orientali. Da quel 12 agosto 1961 al 1975 il muro fu sempre più perfezionato e reso invalicabile, con una zona interna tra due muri, detta “zona della morte”, torri di guardia, militari sempre pronti a sparare. Per estensione, fu definito “Muro” anche tutto il confine tra la Germania Est e quella Ovest che si snodava per centinaia di chilometri, seguendo per lo più il corso del fiume Elba. L’episodio della costruzione del muro fu in sé un successo per il regime comunista, dal punto di vista esclusivamente pratico e materiale, perché gli occidentali furono colti di sorpresa e perché l’esodo dei tedeschi dell’Est all’occidente crollò dai 2 milioni e 600 mila cittadini del periodo 1949-1961 alle sole 5.000 persone di tutto il periodo 1961-1989. Ed erano per la maggior parte professionisti, lavoratori spe15


cializzati e anche disertori dell’Armata popolare della Germania Est. In realtà la costruzione del muro fu voluta soprattutto da Nikita Kruscev, il Segretario generale del Partito Comunista sovietico, e fu una delle sue mosse azzardate che quella volta riuscì. Non andò altrettanto bene l’anno dopo con la crisi dei missili sovietici a Cuba, da cui l’URSS si ritirò precipitosamente per la ferma risposta americana. L’apparato di potere sovietico non perdonò mai quell’azzardo e quell’insuccesso e pochi anni più tardi Kruscev fu sostituito alla guida dell’URSS da Leonid Breznev. Tuttavia, dal punto di vista morale e dell’immagine che il comunismo diede al mondo, l’edificazione del muro fu molto negativa. Nel 1963 il Presidente americano John Fitzgerald Kennedy, in un famoso discorso alla Porta di Brandeburgo di fronte al muro disse che chi pensava ancora che il comunismo fosse un’ideologia e un sistema politico di libertà e giustizia, avrebbe dovuto recarsi a Berlino per costatare con i propri occhi, grazie alla visione del muro, come invece tarpasse le ali a ogni libera espressione del pensiero e della libertà di vivere come e dove meglio si volesse. In quel famoso discorso, pronunciò anche la frase, passata alla storia, che, come nell’antichità, durante il dominio di Roma, le persone affermavano con orgoglio “civis romanus sum”, ora lui poteva dire, con altrettanto orgoglio, “ich bin ein berliner”, io stesso sono un berlinese. Qualcuno però fece notare l’inesattezza, o piuttosto l’inopportunità, della frase in tedesco, perché “berliner” era anche un particolare tipo di salsicciotto berlinese. Nei 28 anni di durata del muro, si contarono innumerevoli tentativi di fuga, la maggior parte finiti tragicamente con la morte dei transfughi, colpiti dalle pallottole della milizia orientale. Tuttavia, alcuni riuscirono, anche con modalità rocambolesche. Si annoverarono anche alcuni curiosi scavalcamenti e irruzioni in senso contrario, da Ovest a Est. Chi per andare a visitare un amico che abitava nella parte o16


rientale a pochi metri, chi, come il pacifista canadese John Runnings, che passeggiò per beffa lungo la cresta del muro e due volte irruppe clamorosamente a Est. Tutti furono arrestati, interrogati dalle autorità tedesco-orientali e rimandati a Ovest dopo alcune ore o giorni di prigione. Un altro caso particolare di irruzione da Ovest a Est fu quello dei punk e degli autonomi occidentali del “triangolo di Lennè”. Una delle particolarità del muro era che in alcuni tratti esso non si trovava perfettamente allineato al confine. Proprio in mezzo alla città, a Potsdamer Platz, c’erano circa 4 ettari di terreno, delimitato da tre strade, il triangolo di Lennè, appartenente a Berlino Est ma situato al di fuori del muro. Nel marzo del 1988 Berlino Est e il Senato di Berlino Ovest si accordarono su uno scambio di terreni, per cui il triangolo sarebbe diventato territorio di Berlino Ovest. Fino a che l’accordo non entrò in vigore l’area, rimasta extraterritoriale, fu occupata da giovani “autonomi” e punk di Berlino Ovest, tollerati dalle autorità dell’Est. Vi edificarono una baraccopoli denominata Kubat-Dreieck, da Norbert Kubak, un dissidente occidentale che si era ucciso in carcere dopo essere stato arrestato per protestare contro una decisione edilizia del Senato di Berlino Ovest. La polizia dell’Ovest e gli autonomi si scontrarono più volte. Gli autonomi si rifugiavano ogni volta nel triangolo, dove la polizia non poteva ancora entrare. La mattina del 1° luglio 1988, entrati in vigore gli accordi, la polizia fece irruzione nel triangolo e 200 punk, per fuggire, scavalcarono il muro in direzione Est. Le autorità di Berlino Est, dopo averli identificati, li rimandarono indietro il giorno dopo. Negli anni ’60 e ’70 Berlino Ovest ebbe uno sviluppo stupefacente. Invece Berlino Est e la Germania democratica scontarono le enormi difficoltà tipiche di un’economia pianificata in cui, mancando i sensori del mercato, le decisioni economiche dello Stato rischiavano di essere spesso sbagliate. Anche se l’economia della Germania Est fu la migliore tra quelle del blocco dei Paesi del Patto di Varsa17


via, tuttavia il confronto con la Germania Ovest fu sempre impietoso. La televisione di Stato tedesco-orientale e l’automobile Trabant, entrambe drammaticamente scadenti e inefficienti, furono il tangibile simbolo dell’inferiorità sociale, economica e organizzativa della DDR rispetto alla repubblica consorella dell’occidente. Tuttavia il livello del welfare era buono, come testimoniato dalle prestazioni della sanità e dell’istruzione pubblica. La svolta nella situazione bloccata del muro cominciò a delinearsi nel 1985, con l’avvento alla Segreteria del Partito comunista sovietico di Mikhail Gorbacev e con il conseguente avvio della politica di rinnovamento, conosciuta in tutto il mondo come perestrojka. In politica estera Gorbacev abbandonò la teoria della sovranità limitata dei paesi del blocco sovietico e informò i capi politici di quei paesi che l’Unione sovietica non sarebbe più intervenuta militarmente a sostegno della politica repressiva dei partiti comunisti fratelli. Questo mutato atteggiamento produsse nei paesi satelliti i primi atteggiamenti politici di minore controllo sulla popolazione e di maggiori liberalizzazioni. Lo stesso Gorbacev andò in visita ufficiale a Berlino Est e fu accolto come un eroe, proprio per la sua politica di liberalizzazione e apertura. Tuttavia, proprio la Germania Est fu il paese che meno si attenne a una politica di maggiore apertura e riforme, per cui molti suoi cittadini, per espatriare più facilmente, iniziarono a recarsi in altri paesi comunisti dalle frontiere più aperte verso l’ovest. Moltissimi cittadini tedesco-orientali si diressero verso l’Ungheria con le loro trabant che abbandonavano lungo la strada, espatriarono in Austria e da lì rientrarono nella Germania Ovest. Il 17 ottobre del 1989 Erich Honecker, segretario del partito comunista tedescoorientale particolarmente inviso e compromesso con la politica di repressione, rassegnò le dimissioni e fu sostituito da Egon Krenz. 18


Il 9 novembre, l’importante dirigente politico tedesco-orientale Gunter Schabowski annunciò nuovi provvedimenti del governo sulla liberalizzazione dell’espatrio dei cittadini. Rispondendo alla domanda del giornalista italiano Riccardo Hermann sulla data di inizio dei provvedimenti, precisò che la decorrenza era immediata. La domanda di Hermann e la risposta esplicita di Schabowsky accelerarono il corso della storia. Immediatamente, allertati dalla trasmissione in diretta della conferenza e dalle notizie rilanciate dai media, valanghe di cittadini dell’Est, che erano rimasti imprigionati per 28 anni, si riversarono attraverso i passaggi nel muro e cominciarono a recarsi all’Ovest senza essere fermati dalla polizia di frontiera. Si è molto discusso se la dichiarazione di Schabowsky fosse stata intenzionale o un errore dovuto alla concitazione del momento. Probabilmente fu un modo per forzare la mano ai suoi colleghi politici tedesco-orientali che ancora non erano riusciti a prendere una decisione chiara. Evidentemente, davanti alla stampa di tutto il mondo e alla valanga umana che si stava assiepando tutto intorno, non avrebbe potuto rispondere che non conosceva ancora la data di decorrenza dei provvedimenti di liberalizzazione degli espatri perché i politici del suo paese erano ancora indecisi. Già da quella notte, folle di cittadini iniziarono a demolire larghe parti del muro, anche se la demolizione ufficiale sarebbe cominciata dal giugno 1990. Moltissimi continuarono a espatriare all’ovest direttamente da Berlino, anche se, come detto, era stato già possibile uscire dalla Germania Est attraverso l’Ungheria. Tutto ciò accelerò il processo di unificazione della Germania, perché se quel flusso inarrestabile fosse continuato ancora per qualche tempo, le regioni dell’Est sarebbero rimaste completamente spopolate. Infatti, l’unificazione della Germania avvenne il 3 ottobre del 1990, previo accordo tra Kohl e Mitterrand, col quale la Francia accettò l’unificazione tedesca e la Germania aderì al futuro varo della moneta unica europea con conseguente fine del 19


marco. Va rilevato che la società operaia e industriale dell’ex Germania Est ebbe una reazione negativa prima all’apertura del muro e poi alla riunificazione. I cittadini dell’Ovest li accolsero bene, lo Stato ex occidentale si accollò tutto il debito dell’Est e il cambio tra la moneta orientale e il marco federale fu attuato alla pari. Tuttavia, lo sconcerto e lo scontento piombarono ugualmente sugli ex tedescoorientali, perché la loro vita nell’ex DDR era stata sempre sicura e priva di sorprese e d’imprevisti, ognuno aveva il proprio posto stabilito. Anche i dirigenti politici non avevano mai dovuto decidere e rischiare nulla perché tutte le decisioni erano prese a Mosca. In fondo, non era stato l’Inferno, ma un Purgatorio sotto anestesia. Uno scrittore che aveva vissuto la propria vita nella DDR e poi si era trovato dal 1990 nella Germania unificata, disse che in Germania orientale potevi non lavorare o lavorare male e nessuno ti licenziava, ma se parlavi male del governo, finivi in carcere. Viceversa, nella Germania unificata, se parlavi male del governo non ti succedeva niente, ma se non lavoravi, o lavoravi male, eri subito licenziato. Tutto questo, insieme al completo annullamento della storia e delle usanze della DDR causato dall’assorbimento senza colpo ferire nella Repubblica federale, contribuì alla crescita di una certa nostalgia dei tempi della Germania democratica, quella che fu definita Ostalgia. Qualche anno più tardi, un film satirico, ma non troppo, Goodbye Lenin, ne parlò in modo delicato e divertente. Però un’analisi approfondita della storia e delle sofferenze degli esseri umani, non può che portare alla conclusione che quella memoria, soprattutto del Muro, non meritava di essere tenuta in vita. 20


Politica

Sardine, Sardine ovunque Aldo AVALLONE

Abbiamo titolato il numero scorso “Sardine”. È la notizia del momento. La settimana scorsa dodicimila persone hanno riempito piazza Maggiore a Bologna. Altre seimila, ieri sotto la pioggia, a piazza Grande a Modena, cantando “Bella ciao”, hanno replicato la manifestazione anti Salvini. Non bisogna esaltarsi oltre il dovuto, in passato altri movimenti sono riusciti a smuovere masse anche maggiori (i girotondi, ad esempio) per poi sgonfiarsi strada facendo, ma non bisogna nemmeno sottovalutare la spinta che viene dal basso, da cittadini normali, soprattutto giovani, finalmente, che lasciano da parte i social e tornano in piazza. A parlare, a cantare, a manifestare con la loro presenza fisica la protesta contro la destra peggiore che sia mai esistita nella storia dell’Italia post fascista. "Piazze piene e urne vuote", commentò Nenni nel 1948 prendendo atto della sconfitta elettorale che consegnò il Paese al governo ultradecennale della Democrazia Cristiana. Questo per ricordare 21


che la protesta di piazza, nata sotto una spinta principalmente emotiva, non si trasforma automaticamente in voti. Soprattutto dalle nostre parti, a sinistra. Siamo abituati a essere ipercritici, ad analizzare fino allo sfinimento ogni pensiero e ogni azione, a trovare il pelo nell’uovo anche nelle espressioni ideali più genuine. E’ un nostro pregio ma anche la nostra maledizione. Dalle “sardine” prendiamo il buono che c’è. Una voglia spontanea e prepotente di opporsi “fisicamente” alle manifestazioni che la Lega sta tenendo in una terra tradizionalmente rossa, quale l’Emilia. La destra non è vincente come vogliono far credere, le elezioni che si terranno nel gennaio prossimo sono apertissime e avranno un’importanza che supererà il livello locale. Dimostreranno che la destra si può fermare, che esiste una parte del Paese che vuole un futuro diverso da quello oscurantista prospettato da Salvini. In attesa di seguirne con attenzione gli sviluppi, occorre, però, che i partiti che si riconoscono in un progetto riformista, socialista e laburista si facciano carico di convertire le domande che vengono dal basso in programma politico. Non è più tempo di lasciare alla destra le parole d’ordine legate al sociale. È ovvio che ci si riferisca ad Articolo 1, che ha tenuto a Roma sabato 16 novembre la sua Assemblea nazionale, e al Partito Democratico che viene da una interessante “tre giorni” bolognese. Il progetto di Articolo 1, a nostro avviso, si muove nella direzione giusta. Da tempo affermiamo che sia necessario superare lo status quo per costruire un soggetto politico totalmente nuovo nelle forme, nelle persone e nei contenuti che riesca ad aggregare tutte le forze di sinistra su parole d’ordine semplici ed evidenti. Un nuovo soggetto, la forma non è importante, che riporti alle urne l’infinito mondo dei delusi, rifugiatisi nell’astensione o nel voto di protesta. D’altro canto, il Partito Democratico, con lentezza e difficoltà, sta avviando al suo interno un processo di rinnovamento che dovrà essere seguito e stimolato da un dibattito aperto a tutta la sinistra. Va bene la modifica dello Statuto, va bene il richiamo forte all’impegno sui diritti e 22


sull’abolizione dei decreti sicurezza varati dal precedente governo. Ma si può e si deve fare di più. Lo stimolo proveniente dal basso, dalle “sardine” come dal sindacato, dalle associazioni come dai singoli cittadini, può essere una spinta determinante per accelerare il processo in atto. Sarebbe davvero un segnale importante, al di là delle conseguenze pratiche, il ripristino totale dello Statuto dei Lavoratori in quelle parti abolite da Renzi. Un gesto simbolico che evidenzi il taglio netto con il passato recente. Intanto attendiamo segnali significativi dalla manovra economica in discussione in questo periodo. Essere riusciti a impedire l’aumento dell’Iva è un risultato importante. Qualcuno è fuggito dal governo per paura di affrontare questo nodo. Inoltre, le risorse aggiuntive per la sanità pubblica, il taglio del cuneo fiscale, i fondi per gli asili nido rappresentano un primo passo soddisfacente. Infine, sarà importante opporsi con tutte le forze e tutte i modi possibili alla chiusura dello stabilimento dell’Ilva di Taranto. In un contesto socio economico già abbondantemente disastrato, quale è quello del Mezzogiorno, la sua dismissione darebbe il colpo di grazia. Confidiamo nell’impegno totale del governo, dei sindacati, di tutte le forze politiche affinché impediscano un’ulteriore ferita al tessuto industriale del Paese.

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Politica

Radio Taxi Antonella BUCCINI

Se non fosse vero ci sarebbe da divertirsi come quando si assiste a una farsa o si ascolta una boutade. Magari anche con un po’ di noia, perché la sceneggiata è opaca e la battuta fiacca. Invece pare sia proprio accaduto, ne hanno scritto i giornali, parlato i telegiornali, sono insorti politici, associazioni, insomma un certo frastuono. Sto riandando alla storia del sindaco di Predappio. La conoscete certamente. Questo signore aspirava a un momento di visibilità ma anche per questa occorre un po’ di intelligenza altrimenti rischi di mettere in imbarazzo perfino i tuoi, leghisti e fratelli d’Italia, naturalmente. Insomma il sindaco ha negato a uno studente il fi24


nanziamento del Comune per partecipare a un treno della memoria, destinazione Aushwitz . “Il problema” afferma il signore “non è la cifra, 370 euro, ma la modalità: si va solo a visitare i campi di concentramento e mai i luoghi di altri eccidi come le foibe e gli orrori del comunismo. La storia va insegnata a 360 gradi”. Straordinario per sintesi e intuizione. E a pensarci bene, il ragionamento fila: niente foibe? E allora non ce n’è per nessuno! Si agisce per sottrazione, less is more, dunque, tradotto da una radical chic. Ma non finisce qui. Nei giorni scorsi un tal on.le Galeazzo Bignami di fratelli d’Italia, insieme a un camerata consigliere comunale, si è prodotto nella coraggiosa operazione condomini. In diretta facebook ha ispezionato i citofoni delle case popolari della Bolognina e non per la manutenzione che sarebbe stata opera buona. L’onorevole voleva contare tutti i nomi stranieri degli inquilini che, guarda un po’, sarebbero superiori agli italiani assediati! Non è finita. Dopo gli insulti a Balotelli il capo degli ultras del Verona, anche militante di forza nuova, compagno di corteo dell’ex ministro della famiglia, per non farsi mancare nulla, ha dichiarato “Balotelli non sarà mai del tutto italiano” e, quando ha inneggiato a Hitler in una manifestazione, ha precisato che si trattava di “goliardata”. Mi viene in mente il rogo dei libri del 1933 e, con le dovute proporzioni, ho l’impressione che oggi il vuoto abbia rimpiazzato le fiamme. Si ha l’impressione che alla democrazia sia lentamente e costantemente sottratto significato fino a che ne resterà un guscio appunto vuoto. A riempirlo ci stanno già pensando senza armi e senza marce. Eppure, a parte l’incoraggiante e straordinario percorso delle “sardine” di questi giorni, mi conforta ripensare al signor Alfonso. L’ho conosciuto durante l’ultimo sciopero dei trasporti e insieme di pioggia a Napoli, combinazione allarmante nella mia città. Infatti, riuscii, con un po’ di fortuna a intercettare un taxi. Una volta salita, intravidi il profilo del mio salvatore: un signore forse cinquantenne, capelli quasi rasati, giubbino di pelle. La radio era acce25


sa e, con un certo pregiudizio, mi aspettavo qualche neomelodico o un parlottio ossessivo sul calcio. Sbagliavo. Me ne resi conto dopo essermi sistemata, fradicia di pioggia, con la valigia, la borsa e quant’altro. Un attore stava leggendo. Era la pagina di un libro, senza dubbio, probabilmente un classico, mi ricordava Anna Karenina. Il tassista taceva concentratissimo e io, incuriosita, l’osservai meglio, guidava con prudenza, e ogni tanto armeggiava con il volume dell’apparecchio. Alla fine, silenziosi entrambi, arrivammo a destinazione. Prima di uscire dall’auto gli chiesi cosa ascoltasse alla radio. Mi rispose che era una rubrica quotidiana di letteratura con la lettura di testi classici e non solo. L’apprezzava molto, aggiunse, tanto da registrare le trasmissioni e conservarle tutte. Mi diede la mano per salutarmi, si chiamava Alfonso. Lo ringraziai riconoscente.

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Storia e Politica

Il Nazismo, il rogo dei libri e il controllo della cultura Giovan Giuseppe MENNELLA

Poco tempo fa a Roma sono state appiccate le fiamme ed è stata completamente bruciata la libreria indipendente “La pecora elettrica”, luogo di riunione e di cultura che era stata oggetto di attacco anche sei mesi prima. L’episodio non è rimasto isolato, seguito poco dopo da nuovi tentativi di mettere a tacere con la violenza altre voci culturali libere. Nella storia si sono susseguiti roghi di libri e messe al bando di arte e cultura che furono considerate scomode. 27


Durante il nazismo i roghi dei libri e della cultura e dell’arte furono all’ordine del giorno, con un programma ben studiato e applicato che veniva da lontano, dalla nascita stessa del Partito nazista. La sera del 10 maggio del 1934, con l’organizzazione e la supervisione del Ministro della Cultura Goebbels, nella piazza del Teatro dell’Opera di Berlino furono date alle fiamme 25000 opere d’arte e libri che secondo il nazismo avevano lordato la vera cultura tedesca. Quella sera furono bruciati i libri in altre trentaquattro città tedesche, grandi e piccole. Quelli di Brecht e Marx perché comunisti, di Hemingway e Jack London perché esponenti della cultura liberale anglosassone, quelli di Max Brod, Stefan Zweig, Franz Kafka e altri perché ebrei. Tutto era stato orchestrato da Goebbels, con la partecipazione di intellettuali e professori che spiegarono le ragioni di quella messa al bando dalla cultura tedesca. Hitler aveva dato carta bianca ai suoi seguaci di bruciare il passato per giungere a una rinascita culturale nel nome della Germania. In realtà si attuò una paurosa regressione nell’incultura e nell’illiberalità. L’opera di cancellazione della cultura non conforme alle visioni nazionalsocialiste continuò negli anni, interessando anche i Paesi stranieri che furono via via conquistati alla grande Germania. Oltre che gli uomini, si dovevano bruciare le loro idee, la loro cultura, la loro memoria. Dovevano essere eliminate tutte le caratteristiche sociali e culturali che avevano caratterizzato l’odiata Repubblica di Weimar. Fu bruciato l’Istituto di Studi delle problematiche sessuali, un’istituzione del tutto particolare, contro cui si accanì la violenza nazista come simbolo della degradazione dell’epoca di Weimar. Per il nazismo, la liberalità in campo sessuale che si era vissuta durante il periodo precedente, con rapporti liberi, omosessualità alla luce del sole e così via, era bolscevismo morale e culturale che minava la purezza della 28


razza ariana tedesca. Si giunse ad acquisire ed esaminare minuziosamente gli elenchi dei frequentatori di quell’Istituto per perseguitarli e incarcerarli. La messa al bando della cultura degenerata che poteva minare le cosiddette tradizioni del popolo tedesco era già contenuta nel programma del Partito nazista del 25 febbraio 1920. Nel 1928 Alfred Rosenberg, l’ideologo del Partito sui temi razziali, aveva fondato un Istituto per la tutela della purezza della razza ariana. Tutto ciò accadde nel solco della cultura tedesca guglielmina tra i due secoli, che era stata autoritaria e conservatrice, in opposizione a quella liberale, rivoluzionaria ed ebraica. L’iniziativa di bruciare i libri sulla piazza dell’Opera di Berlino, pur orchestrata e guidata dal partito nazista, fu presa da giovani studenti fanatici. Su quella piazza sorgeva anche la prestigiosa Università Humboldt, sulla cui facciata era scritta una frase di Karl Marx in cui era detto che i filosofi nel passato si erano limitati a descrivere il mondo, ma era tempo che lo cambiassero. E quei pensatori fanatici del partito nazional-socialista si stavano davvero dando da fare per cambiarlo. Ma in un peggio che ben presto si sarebbe tinto dei colori dell’incubo. Quella mobilitazione di studenti aveva un precedente storico. Negli anni successivi alla sconfitta di Napoleone, il giorno dell’anniversario della battaglia di Lipsia, nel castello di Wartburg, gli studenti bruciarono i libri legati alla Rivoluzione francese e alla cultura rivoluzionaria e progressista e, comunque, tutto ciò che era degenerato, nel senso di non tedesco. Nel rogo delle opere d’arte degenerata di quel 1934, gli studenti furono sostenuti da moltissimi professori che illustrarono con dotte argomentazioni la differenza tra la cultura degenerata e quella ariana e tedesca. Sul rogo dei libri Bertolt Brecht scrisse una famosa poesia, su un poeta che scoprì che i suoi libri non erano stati bruciati e invitò i potenti a farlo, perché vi aveva 29


sempre scritto la verità e quindi meritavano di essere bruciati. Fu ostracizzato, tra gli altri, soprattutto il romanzo di Erich Maria Remarque “Niente di nuovo sul fronte occidentale”. Infatti, metteva in risalto l’inutilità e l’assurdità delle sofferenze e della morte, patite nella Grande Guerra dai giovani soldati tedeschi, ingannati dai loro insegnanti, dalla classe dirigente guglielmina e spinti al massacro in nome di ideali di patria, di gloria e di onore che si erano rivelati fasulli. Il nazismo invece aveva considerato la guerra una cosa giusta e patriottica che era stata perduta solo per la pugnalata alle spalle inferta all’esercito dai disfattisti, dai pacifisti, dagli ebrei e dai bolscevichi. Chi attaccava la giustezza e la santità della guerra commetteva un sacrilegio. Secondo i nazisti non era la barbarie che distruggeva quei libri, ma erano proprio quei libri che provocavano una barbarie contro la razza e la cultura tedesche. Hitler pretese l’allineamento della cultura con il regime per estirpare dalla Germania ogni forma di tolleranza, liberalismo, socialismo, internazionalismo. La condanna si estese all’arte figurativa, travolgendo in un unico mucchio cubismo, dadaismo, espressionismo, forme di espressione artistica non figurative che pertanto agli occhi dei nazisti minacciarono la distruzione dei principi della sana e incontaminata cultura tedesca. Furono perseguitati e le loro opere messe al bando, quando non distrutte, Edvard Munch, Vassily Kandinsky, Franz Marc, molti altri artisti non classicisti e tutti quelli ebrei. Anche la musica e i musicisti soffrirono persecuzioni di ogni genere. Paul Hindemith e Arnold Schonberg furono banditi e costretti all’esilio, fu proibita l’esecuzione di brani di musicisti ebrei come Felix Mendelssohn e Gustav Mahler. Il caso del grande direttore d’orchestra Wilhelm Furtwangler fu alquanto diverso. Dopo la guerra fu accusato di collaborazionismo con il Regime e sottoposto a un processo che si concluse con l’assoluzione. Il caso fu raccontato in un film in cui 30


Harvey Keitel interpretò il ruolo dell’ufficiale americano che sostenne l’accusa. In realtà, è stato dimostrato che Furtwangler aiutò alcuni orchestrali ebrei della Filarmonica di Berlino, di cui era il direttore, non fece mai il saluto nazista, si rifiutò sempre di eseguire gli inni nazisti e si scontrò con Hitler le due volte che lo incontrò, tanto che si minacciò di sostituirlo nella direzione della Filarmonica con il giovane Herbert von Karajan. Probabilmente le accuse di collaborazionismo nacquero dalla circostanza che non andò in esilio come molti degli intellettuali e artisti tedeschi. Ma lo fece per difendere ciò che rimaneva della cultura e della musica tedesche, la stessa ragione per cui Benedetto Croce era rimasto in Italia sotto il fascismo. Il 21 luglio 1937 fu organizzata la mostra dell’arte degenerata, un’esibizione pubblica del nemico modernista che il popolo doveva conoscere per evitare di farsi coinvolgere. Fu divisa in varie sezioni, dai nomi deliranti, come “Disgregazione del senso della forma e del colore”, oppure “Degenerazione dell’arte figurativa” e così via. Le opere furono accostate a foto di malati e di ebrei, con professori di antropologia culturale che pretendevano di spiegare scientificamente gli aspetti di similitudine tra l’arte moderna e le malattie fisiche, morali e le presunte degenerazioni razziali. Tutto sommato, la mostra si ritorse contro gli organizzatori e a favore degli artisti, in quanto il clamore suscitato si trasformò in pubblicità per le opere. Il filosofo Martin Heidegger fu tra quegli intellettuali che tentarono di dare al nazismo una giustificazione ideologica e un significato filosofico. Accettò integralmente il concetto che il Fuhrer incarnasse l’idea stessa di autorità e la sua politica fosse giusta e utile per la grandezza della Germania. Da poco tempo sono stati scoperti i suoi cosiddetti “diari neri” in cui riteneva gli ebrei responsabili dell’oblio dell’essere. La rivoluzione nazista non si limitò a stroncare ogni forma di arte e di cultura con31


traria ai principi a cui si ispirava, ma creò anche una nuova produzione artistica di regime, in tutto consona a quella che poi era la visione di arte e cultura borghese, classicista, tradizionalista, propria della classe dirigente guglielmina alla svolta dei due secoli e coincidente anche con le personali opinioni artistiche piccolo borghesi del Fuhrer e dei gerarchi. Gli artisti diventarono pubblici funzionari che furono incaricati di promuovere le idee del nazismo in termini di cultura e di arte. Così Goethe e Schiller furono arruolati in retrospettiva come veri precursori del nazismo, Bach e Beethoven come i veri musicisti tedeschi nazionali, l’architettura si ispirò a quella monumentale dell’impero romano, con la costruzione di giganteschi edifici in cui si celebrassero i riti e le adunate del Regime. Hitler era sempre presente al festival wagneriano di Bayreuth, poiché Wagner fu osannato come il perfetto musicista antisemita e tra le sue opere furono predilette soprattutto Parsifal e il ciclo del Ring, l’anello del Nibelungo, celebrative degli antichi miti germanici e della purezza del sangue ariano. Anche il cinema fu costretto a ispirarsi alle vedute ideologiche correnti, con pellicole che ricalcavano le tradizioni semplici e popolari della vecchia Germania. Nello stesso anno del rogo dei libri e delle opere d’arte fu curata una rassegna di opere perfettamente ariane, con la solita fissazione della purezza razziale. Il risultato fu che, nei dodici anni del regime nazista, l’arte tedesca scomparve, di fatto, dalla storia. Il paradosso della storia è che nel dopoguerra si corse il rischio di un ostracismo uguale e contrario da parte degli individui e delle nazioni che avevano subito la violenza fisica e morale del nazismo. Il fatto è che il concetto di arte degenerata in quanto non consona a determinate vedute politiche e ideologiche non era certo nato con il nazismo, ma fu sempre una costante nel corso della storia, anche se il nazismo per la verità lo portò a livelli di patologia e di paranoia difficilmente eguaglia32


bili. Così nel dopoguerra in Israele fu proibito eseguire le opere di Wagner, l’ebreo sionista Max Nordau aveva già introdotto per conto suo il concetto di arte degenerata, includendovi appunto Wagner. D’altra parte, tutta la cultura istituzionale tra ‘800 e ‘900 considerò con disprezzo tutta l’arte d’avanguardia. In genere tutte le dittature hanno sempre prediletto un’arte classicheggiante e facile da comprendere da parte delle masse, considerate semplici e manipolabili. Anche il bolscevismo e il fascismo lo fecero, basti pensare al bruttissimo quarto d’ora fatto passare da Stalin a Shostakovich all’indomani della prima esecuzione dell’opera “La lady Macbeth del distretto di Mcensk”, accusata di essere atonale e incomprensibile per i bravi lavoratori socialisti dell’Unione Sovietica. O anche alle vedute di un’arte e di un’architettura retorica e monumentale proprie del fascismo italiano e anche dell’Unione Sovietica dove gli artisti di avanguardia furono quasi tutti liquidati nei gulag. Spesso anche le democrazie non sono immuni dal pericolo di infliggere colpi durissimi all’arte e alla cultura, come per esempio si vide nella seconda guerra del golfo quando gli statunitensi a Bagdad lasciarono mano libera al saccheggio e alla distruzione di moltissime opere d’arte. Il nazismo era irrazionalismo e nichilismo, come del resto paradossalmente anche l’arte di avanguardia, ma il primo ritenne di incarnare l’ordine, la normalità, la sanità mentale (!), in contrapposizione alla seconda che era bollata di degenerazione, vizio, incomprensibilità. Tutto ciò che era arte dovette rispecchiare il concetto di arte di Hitler, borghese e classicheggiante, di ispirazione ellenistica, condizionata dall’insegnamento settecentesco di Winckelmann. Da questo punto di vista vanno ricordate le opere cinematografiche della regista Leni Riefenstal che mise in scena la bellezza e la perfezione dei corpi maschili e femminili, una mascolinità e femminilità che dovevano rispecchiare la perfezione e la classicità della razza tedesca. Tornando infine al luogo, la piazza dell’Opera di Berlino, in cui avvenne il rogo 33


delle opere di cultura in quel 10 maggio 1934, si nota che, accanto alla targa che ricorda l’avvenimento, è stata posta un’opera d’arte dell’artista israeliano Micha Ulmann, composta di vuoto e di silenzio, vuoto perché è una libreria vuota di libri, silenzio perché è sotterranea.

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