l'Unità Laburista - Contropiede! - Numero 32 del 30 gennaio 2020

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Numero 32 del 30 gennaio 2020

Contropiede!


Sommario 

l’Editoriale / Bologna come Stalingrado - pag. 3 di Aldo AVALLONE

Libia, fatta la conferenza, scoperto l’inganno pag. 6 di Umberto DE GIOVANNANGELI Arte e società negli anni ’60 e ’70 e dintorni - pag. 11 di Giovan Giuseppe MENNELLA Verde bile - pag. 21 di Raffaele FLAMINIO Parliamo di amministrative? (conclusioni con ignorantezza) - pag. 25 di Antonella GOLINELLI

Buone notizie - pag. 31 di Antonella BUCCINI

Da capitano a capitone il passo è breve - pag. 33 di Aldo AVALLONE

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l’Editoriale

Bologna come Stalingrado Aldo AVALLONE

Abbiamo titolato l’ultimo numero de l’Unità laburista “La battaglia di Stalingrado” ritenendo che come a Stalingrado i nazisti furono fermati dall’eroica resistenza dell’armata rossa, creando i presupposti per la sconfitta di Hitler, così le elezioni in Emilia fossero decisive per bloccare la destra di Salvini. Il paragone non sembri irriverente ed eccessivo. Se la Lega avesse conquistato la regione simbolo della sinistra nel nostro Paese, si sarebbero aperte autostrade per la conquista del potere anche a livello nazionale. Ebbene la battaglia è stata vinta ed è stata vinta bene. Si tratta solo di una battaglia, ma può essere l’inizio della riscossa. Salvini, finora, si è giovato di una narrazione, supportata da una forte campagna di comunicazione, per cui l’ascesa della Lega sarebbe stata incontrastabile, quasi un evento ineluttabile. 3


La rossa Emilia, la terra dei fratelli Cervi, dei morti di Reggio Emilia, del buon governo e dalla tradizione comunista ha dimostrato che la destra, la peggiore che abbiamo mai avuto nel Paese, è sconfiggibile. E non si venga a dire che si tratta soltanto di un’elezione regionale: la campagna condotta in prima persona dal leader leghista che ha totalmente oscurato la candidata locale, ha trasformato il confronto in un test nazionale. Si tratta dello stesso errore commesso dall’altro Matteo, quando pretese di trasformare il referendum costituzionale in un voto sulla sua persona. La corroborante sconfitta del 4 dicembre segnò l’inizio della sua fine. È auspicabile che avvenga così anche per il Matteo verde. L’esasperazione dei toni, il dileggio dei disabili, le chiamate al citofono, le offese personali non hanno pagato. Anzi, hanno fatto scattare una risposta da parte della società civile che ha reagito prontamente di fronte a un pericolo evidente producendo i suoi naturali anticorpi. Il quasi raddoppio del dato dell’affluenza alle urne non può che essere interpretato che come un ritorno alla partecipazione di chi in passato aveva scelto l’astensione come forma di protesta. Di fronte al pericolo leghista si è tornati alle urne perché contrastare la destra è stato ritenuto prioritario. Ma non ci si illuda che questi voti rientrati siano per sempre. È solo un’apertura di credito che va sostenuta con azioni concrete. Nonostante la sonora e prevedibile debacle dei cinque stelle, paradossalmente il governo ne esce rinforzato. Probabilmente ci sarà una nuova diaspora di qualche deputato o senatore grillino che andrà a rinforzare la destra ma certamente nessun parlamentare avrà voglia di andare a nuove elezioni. L’esecutivo trovi il coraggio di proseguire il cammino su un percorso riformista. Il taglio del cuneo fiscale è un provvedimento condivisibile, anche se si sarebbe potuto osare di più allargandolo alla platea dei pensionati. Ma i decreti sicurezza sono ancora in vigore. Occorre intervenire subito per modificarli profondamente e la debolezza dei cinque stelle ora lo consentirebbe. In Spagna il nuovo governo formato dai socialisti e da Pode4


mos ha approvato aumenti per le pensioni, per i lavoratori dipendenti e per il salario minimo. Ci si muova su questa strada anche da noi. Solo così si potrà dare un segnale forte per confermare il successo elettorale in Emilia e allargarlo sul piano nazionale. Infine, ma non perché abbia minore rilevanza, va affrontato e subito il tema della costituzione di un nuovo soggetto politico socialista che non potrà che richiamarsi ai valori libertari e laburisti. Il segretario del Pd Zingaretti ne ha parlato qualche settimana fa ponendo le basi per un dibattito aperto a tutte le forze che si riconoscano in tale progetto. Il crollo dei cinque stelle accelera il percorso verso il ritorno a un sistema bipolare in cui la destra appare già ben strutturata e organizzata. Serve a sinistra un nuovo partito, inclusivo e con un programma che ponga al centro del suo essere il tema del lavoro. Aperto alle associazioni ambientaliste, a quelle del terzo settore, alla società civile e alle Sardine, la vera grossa novità della politica nazionale. La vittoria in Emilia porta il loro segno, se non ci fossero state le Sardine a mobilitare gran parte dei delusi di sinistra, a ricondurli nelle piazze, a partecipare, Salvini avrebbe vinto. Ed è una risposta netta a chi affermava che le Sardine non avrebbero portato voti. Certamente positivo è il riconoscimento venuto da parte di Zingaretti al loro contributo alla vittoria. A metà marzo le Sardine si riuniranno a Napoli per provare a darsi una struttura organizzativa con un progetto allargato dal punto di vista programmatico rispetto a quanto fatto finora. Le Sardine rappresentano un mondo variegato ma certamente di sinistra. La maggior parte sono giovani che con il loro entusiasmo possono recare energie nuove e idee innovative. Occorrerà seguire molto attentamente quanto avverrà a Scampia, luogo simbolo del degrado napoletano, scelto non a caso per il loro congresso. Se si vorrà davvero costituire un nuovo soggetto politico a sinistra non si potrà assolutamente non tenere conto di quanto stanno realizzando le Sardine. 5


Esteri

Libia, fatta la Conferenza, scoperto l’inganno Umberto DE GIOVANNANGELI

L’inganno di un embargo di armi proclamato dai partecipanti al summit di Berlino sulla Libia e poi puntualmente disatteso sul campo. Altro che stop alle armi o, come ripete stancamente il titolare della Farnesina, Luigi Di Maio, agire per un cessate il fuoco permanente. Perché, fuori dal mondo ovattato della diplomazia, quel fuoco non è mai cessato. Il portale Libia Observer, ritenuto vicino al governo di Fayez al-Sarraj, ha riferito che la contraerea delle forze del governo libico ha abbattuto un drone di Haftar mentre stava sorvolando proprio lo scalo internazionale 6


di Mitiga. Anche il Libyan National Army ha fatto sapere a sua volta di aver abbattuto un drone turco decollato dallo stesso aeroporto: anche se non vengono segnalate vittime oltre agli oltre 2.000 morti comunemente stimati fra i miliziani (senza contare i quasi 300 civili uccisi), la distruzione di “mezzi” è segno che i combattimenti sono violenti. Il portavoce delle forze di Tripoli ha rivendicato un'operazione contro i mezzi di Haftar che stavano avanzato verso la capitale. Il portavoce dell'Esercito di Haftar, ha invece ribadito l'istituzione della no fly zone sull'aeroporto di Mitiga, minacciando di abbattere anche gli aerei civili in caso di violazione. Le milizie di Haftar hanno attaccato la zona di Abu Qurain, a sud di Misurata, nonostante la richiesta di cessate il fuoco della Conferenza di Berlino: la denuncia è del Governo di accordo nazionale di al-Sarraj. Lo riferisce l'agenzia turca Anadolou. Secondo fonti ai media libici, i gruppi armati si stanno ritirando sul fronte occidentale di Sirte dopo il tentativo fallito di impadronirsi della città di Abu Qurain; e i pesanti scontri nella regione proseguono. La guerra continua. Almeno sette uomini delle forze vicine al Governo di accordo nazionale del premier libico, Fayez a- Sarraj, e un'altra decina delle truppe rivali, le forze al comando del generale Khalifa Haftar, sono morte nei violenti scontri avvenuti a sud della città Stato di Misurata. Il governo riconosciuto dall'Onu ha accusato le truppe di Haftar di aver violato la tregua tra le parti e la richiesta di cessate il fuoco della Conferenza di Berlino. Gli scontri sono avvenuti nelle città costiere di Al Hisha, Wed Zumzum e Abu Qurain a sud della città situata a 200 chilometri a est di Tripoli. Lo riportano fonti delle milizie alleate al governo di Tripoli, riconosciuto a livello internazionale. Le forze di Haftar stanno avanzando a circa 120 chilometri a est di Misurata, vicino alla città di Abugrain. Allo stesso tempo, un ufficiale delle forze di Haftar ha fatto sapere di aver strappato il controllo di due città, 7


Qaddaheya e Wadi Zamzam, proprio sulla strada per Abugrain. Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, è stato così costretto di nuovo a intervenire e a richiamare le parti al rispetto degli accordi scaturiti dalla Conferenza di Berlino:” Devono tutti accettare le conclusioni del Vertice di Berlino e rendersi conto è questa la strada per la pace, per una Libia unita in grado di essere governata dal popolo libico in pace e sicurezza, cooperando con i Paesi vicini in maniera positiva”. Un appello rigettato da uno degli attori esterni principali nella guerra per procura che si combatte il Libia: il presidente turco Recep Tayyp Erdogan, sostenitore del Governo di accordo nazionale (Gna) guidato da Fayez alSarraj. Il “Sultano” di Ankara si è scagliato contro il comandante dell'Esercito libico nazionale (LNA), il generale Khalifa Hatar, le cui forze starebbero venendo meno alla tregua concordata nelle scorse settimane. Erdogan ha lanciato pesanti accuse contro il maresciallo Khalifa Haftar, insinuando che le sue forze avrebbero violato la tregua in Libia. "Haftar sta ignorando gli sforzi per la pace fatti a Mosca e Berlino", ha dichiarato il leader turco poco prima di partire per la sua visita in Algeria. “Il rispetto dell’embargo Onu sulle armi risale al 2011 – rimarca su AnalisiDifesa Gianandrea Gaiani , tra i più autorevoli analisti di politiche militari - ed è stato sempre violato da tutti i molti sponsor (una dozzina secondo la missione delle Nazioni Unite in Libia) delle fazioni in campo. Violazioni plateali con immagini tv e articoli di giornale che mostravano armi, velivoli e veicoli giunti in Libia al GNA come all’LNA. Forniture che la Ue non potrà mai impedire in parte perché avvengono lungo le immense frontiere desertiche libiche o per via aerea mentre non è ipotizzabile che navi di flotte europee blocchino in mare cargo russi, turchi o di altra nazionalità diretti nei porti libici. Non a caso a Berlino non si è parlato di san8


zioni per chi dovesse violare l’embargo. Il terzo punto - prosegue Gaiani - fa quasi sorridere per la sua ingenuità: i paesi che attuano “interferenze” sono in realtà i veri protagonisti (a discapito dell’Europa e dell’Italia) di questa crisi: Qatar e Turchia al fianco del GNA, Russia, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Francia con l’LNA. Il loro ruolo è già decisivo in termini militari e lo sarà nel determinare se la crisi libica avrà una soluzione bellica o politica”. Quanto all’Italia, il giudizio di Gaiani è fondatamente spietato: “Sintetizzando il ruolo dell’Italia si potrebbe quindi liquidarlo con l’espressione “chi di photo-opportunity ferisce, di photo-opportunity perisce”, se non fosse per la reiterata proposta di schierare in Libia truppe europee e italiane in una forza di interposizione. Una missione che al momento non esiste, non è all’ordine del giorno del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, viene giudicata prematura da molti paesi Ue ed ha, nel caso italiano, pretese ridicole. Innanzitutto perché Paesi che hanno una reale influenza militare e politica in Libia (Russia e Turchia in testa), cioè quelli che attuano le cosiddette “interferenze”, saranno anche quelli che avranno l’ultima parola sulla composizione di eventuali forze di interposizione. Inoltre un simile dispositivo militare verrebbe schierato nel momento in cui entrambi i contendenti accettassero una tregua stabile nell’ambito di una road-map negoziale precisa e condivisa con una fascia smilitarizzata che le forze internazionali dovrebbero presidiare o monitorare registrando eventuali violazioni del cessate il fuoco. Un’ipotesi al momento remota”. Per concludere: “Diciamo piuttosto che la smania del governo italiano (unico vero sconfitto insieme alla Ue nel suo complesso dai recenti sviluppi libici) di avere una presenza militare in Libia nasconde l’aspirazione di utilizzare un pugno di militari per coprire il flop politico nella nostra ex colonia...”. La UNSMIL, la missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia, ha espresso pre9


occupazione per le continue violazioni dell'embargo militare nel Paese nordafricano. "La Missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia è molto rammaricata di dover constatare continue e spudorate violazioni dell'embargo bellico in Libia, a dispetto degli impegni presi a tal riguardo dai Paesi interessati durante la Conferenza internazionale sulla Libia, tenutasi a Berlino il 19 gennaio 2020", si legge nel comunicato ufficiale della UNSMIL. E' stato poi sottolineato come la tregua, siglata dal Governo di Accordo Nazionale (GNA) e l'Esercito Nazionale libico (LNA) il 12 gennaio, sia messa a repentaglio dal trasferimento di foreign fighters e armi, anche da Paesi che hanno partecipato al summit berlinese. "Negli ultimi dieci giorni, un gran numero di voli cargo contenenti armi, veicoli, advisor militari e combattenti sono stati visti atterrare negli aeroporti libici nella parte orientale e occidentale del Paese, la Missione condanna tali violazioni che rischiano di far piombare il Paese in un rinnovato clima di guerra", aggiungono dalle Nazioni Unite. Una guerra che non è stata fermata da una Conferenza-farsa.

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Arte e Politica

Arte e società negli anni ’60 e ‘70 e dintorni Giovan Giuseppe MENNELLA

Negli anni ’60 e ‘70 del Novecento vennero al pettine nella società italiana molti nodi irrisolti dei periodi precedenti. La ricostruzione post-bellica e il miracolo economico erano stati compiuti grazie ai bassi salari e agli scarsi diritti dei lavoratori. Inoltre, la società ancora fortemente gerarchizzata non aveva riconosciuto sufficienti diritti a molti gruppi e categorie, come i giovani, gli studenti, le donne, i fedeli cattolici delle comunità di base, che iniziarono a pretenderli con azioni collettive. Si aprì quindi una stagione di forti rivendicazioni, dagli operai, agli studenti, alle donne, ai cattolici di base, cui le classi egemoni risposero con una altrettanto 11


forte repressione. Da una parte scioperi, lotte sociali, occupazioni di scuole e università, cortei, dall’altra l’azione di contrasto della polizia e la violenza dei gruppi neofascisti schierati in difesa dell’ordine gerarchico e antidemocratico preesistente. Ben presto comparve anche la strategia della tensione, innescata da complotti e attentati fomentati dai servizi segreti e dalle organizzazioni sediziose neofasciste come Avanguardia nazionale e Ordine Nuovo. Di queste lotte e tensioni si fecero interpreti i gruppi artistici di avanguardia, con mostre, performances, prese di posizione, manifesti ideologici. Essi teorizzarono e poi misero in pratica l’apertura e la partecipazione dell’arte e degli artisti alle tensioni e alle rivendicazioni esistenti nella società. L’esperienza delle mostre fu ibridata a eventi di partecipazione popolare che in quel periodo si consolidarono sulle piazze e sui litorali delle coste italiane. Il giornale L’Unità del 24 giugno 1968 riportò che la Biennale d’arte di Venezia era stata inaugurata in un clima di imbarazzo, impotenza e tensioni. Nella città lagunare i fascisti avevano scagliato bombe contro l’Accademia di Belle Arti occupata ormai da quattro mesi dagli studenti. Durante l’inaugurazione della rassegna, nei padiglioni della Biennale si svolsero manifestazioni di protesta: il grido “Vietnam libero” risuonò alto nel padiglione degli Stati Uniti. Al sestiere di Castello si svolse una grande manifestazione unitaria dei gruppi di contestazione, studenti, artisti, lavoratori, gruppi politici antifascisti. Lo schieramento delle forze dell’ordine durante tutto l’arco temporale di quell’evento veneziano fu talmente grande che quella del 1968 fu definita come la “Biennale poliziotta”. L’esposizione d’arte avvenuta ad Amalfi all’inizio dell’ottobre 1968 fu definita “un vivace week-end in costa d’Amalfi”. La gloriosa repubblica marinara ospitò numerosi artisti dall’Italia e dal mondo venuti a portare il movimento dell’Arte Povera nella mostra dal titolo “Arte Povera+Azioni Povere”. Le opere d’arte furono instal12


late nell’Antico Arsenale della città costiera e unite a spettacoli ed eventi che si dispiegarono per le piazze, le stradine e persino tra le barche tirate in secco sulla spiaggia. Quell’evento fu il terzo e ultimo di una serie di mostre organizzate dal giovane collezionista Marcello Rumma che stimolò in prima persona gli eventi. Era la terza mostra organizzata da Rumma ad Amalfi, dopo quella del 1966 “Aspetti del ritorno alle cose stesse” curata da Renato Barilli e quella del 1967 “L’impatto percettivo” con Alberto Boatto e Filiberto Menna come curatori. Marcello Rumma era un giovane salernitano, collezionista e gallerista, che con quell’evento riuscì a cambiare il corso dell’arte contemporanea a soli 25 anni, cosa impossibile oggi, e che sarebbe morto prematuramente a soli 28 anni. Il detonatore di quella svolta furono gli arredi e gli spazi esterni di Amalfi, dove si concentrò l’azione di un gruppo di artisti guidati da Germano Celant. Lo spirito era quello della “guerrilla” teorizzato dal critico genovese che, tra oggetti e “comportamenti”, decretò la nascita dell’arte povera. Il concetto era quello della liberazione dell’arte dalla mostra, la dematerializzazione dell’estetica e l’abbattimento delle convenzioni spaziotemporali, anche per quanto riguarda l’esposizione. Un’esemplificazione dettata anche dalla stagione storica che l’Italia stava vivendo, sulla spinta dei sessantottini. Parteciparono artisti come Yannis Kounellis, Michelangelo Pistoletto, Mario Merz, critici come Gillo Dorfles e Filiberto Menna. Richard Long stringeva le mani ai passanti, Paolo Icaro restaurava l’angolo di un palazzo, Anne Marie Boetti metteva sulle onde una zattera in polistirolo, John Dibbets provava a sistemare una linea bianca in mare, Pietro Lista seppelliva un neon acceso sotto la sabbia, Michelangelo Pistoletto suonava il fischietto con Ableo, Alighiero Boetti realizzava l’installazione

Shaman-Showman, in cui l’artista torinese, accampato davanti

all’ingresso, metteva insieme una trentina di gadget su una tela stesa a terra. Un ricordo di quelle performances e di Marcello Rumma è proposto in questo peri13


odo nella mostra “I sei anni di Marcello Rumma 1965-1970”, inaugurata a Napoli al Museo Madre il 17 dicembre. Il 21 settembre 1969 si svolse a Como l’evento “Campo aperto”. Nel suo ambito ci furono eventi estetici nella dimensione collettiva urbana che videro coinvolti creativi di varie discipline, tra cui Bruno Munari, Ugo La Pietra, Enrico Baj, Gianni Colombo, Gianni Pettena, Dadamaino e Ugo Mulas. L’obiettivo era di portare la riflessione dell’arte, dell’architettura, del design, della musica, in mezzo alla gente attraverso interventi radicali partecipativi che coinvolgessero la collettività, proprio negli spazi in cui quotidianamente essa viveva. Fu memorabile la performance di Bruno Munari che visualizzò l’aria di Piazza Duomo invitando la popolazione a piegare e tagliare pezzi di carta e a lanciarli dalla torre. Dadamaino gettò quadrati di materiale fluorescente nell’acqua del lago. Gianni Pettena allestì delle clothesline di bucato violando l’ufficialità della piazza. Nell’aprile del 1971 Fabio Mauri presentò l’evento chiamato “Cosa è il fascismo?” Si svolse il 2 aprile 1971 negli studi cinematografici Safa Palatino di Roma, con la partecipazione degli allievi dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”, a conclusione del seminario “Gesto e comportamento nell’arte di oggi” curato da Giorgio Pressburger. Lo spunto storico fu la visita di Adolf Hitler a Firenze nel 1938, in occasione della quale la squadra degli studenti bolognesi, di cui faceva parte lo stesso Fabio Mauri con l’amico Pier Paolo Pasolini e altri giovani, vinse la competizione dei “ludi juveniles”, sorta di olimpiade culturale e sportiva che veniva organizzata periodicamente dai gruppi giovanili del Partito fascista, tra cui la GIL, Gioventù italiana del Littorio. Nel corso dell’evento di Fabio Mauri si susseguirono saggi ginnici, incontri di scherma, esibizioni di pattinaggio, sbandieramenti, inni, dibattiti culturali sull’argomento della “Mistica fascista”. L’intera azione della performance ideata da Mauri si svolse su di un tappeto rettangolare con 14


il simbolo della svastica posto al centro di un tappeto rosso, fra tribune nere suddivise per corporazioni fasciste degli Ingegneri, Artisti, Edili, Agrari e così via, dove fu fatto sistemare un pubblico affine alle categorie. Due piccole tribune con la stella di Davide, dove erano confinati ebrei e donne, stavano a significare la discriminazione razziale del tempo fascista, che era presentata in Italia come innocua e abituale. Le musiche del repertorio classico del tempo fascista precedevano e accompagnavano lo svolgimento delle azioni. Dal podio di comando era diretta la grande adunata della GIL. Alla fine della competizione erano proiettati su uno schermo d’epoca i filmati dell’Istituto Luce, cinegiornali di notizie, pieni delle evidenti falsità della propaganda del tempo del regime. In “Che cosa è il fascismo?” il contrasto tra l’apparente normalità degli eventi e la presenza di segnali negativi generava un senso d’inquietudine progressiva e di evidenza dell’improntitudine mortale della “Bugia di Stato”, così come dell’ottimismo infondato di un popolo. Nel 1972 si svolse a Venezia la Biennale d’Arte moderna che fu detta “Biennale del comportamento”. Con il termine comportamento ci si riferiva all’insieme di esperienze con cui si era espresso lo spirito rivoluzionario del ’68: Minimalismo, Body Art, Land Art, installazioni, performances, Arte concettuale. Renato Barilli chiamò in totale sei artisti a esporre al padiglione Italia della rassegna veneziana. Il comportamento era caratteristica della cosiddetta Arte povera. Ci fu Mario Merz con il suo igloo e la sequenza di Fibonacci. Poi Gerry Schum, padre della videoarte, con le sue registrazioni dedicate alla Land Art, con il suo camper-laboratorio da cui trasmetteva sui monitor il meglio del suo repertorio. E ancora, altro esponente dell’arte povera, Luciano Fabro che partecipò al “comportamento” con la sua opera Piedi, cioè zampe di qualche gallinaccio, ma di puro cristallo per le zampe e preziosa seta per i gambali. Gino De Dominicis volle dare esempi di immortalità, e da 15


questo la sua scelta, casuale, di ricorrere come soggetto a un ragazzo affetto dalla sindrome di down che incontrò ai giardini della biennale. Il ragazzo, piazzato in mostra, fu fatto oggetto di scherno, ma anche di benevola protezione, così come le persone usano fare verso i down. L’intenzione di De Dominicis era di fare di quell’esistenza un campione di serenità, già pervenuto in una specie di paradiso, in quanto sottratto ai problemi di tutte le persone comuni. Però, in seguito allo scatto di un fotografo, la performance fu interrotta, anche se ci resta una fotografia che testimoniò l’avvenimento. In genere, il down di De Dominicis fu purtroppo considerato come un atto di violenza dell’artista. Recentemente, alla Fondazione Prada dal 9 maggio al 24 settembre 2017, Francesco Vezzoli ha presentato la mostra “TV ’70. Guarda la RAI”. Il progetto, in collaborazione con la RAI, traduceva lo sguardo di Vezzoli in una forma visiva che esplorava la produzione televisiva degli anni ’70, quando in Italia esisteva ancora solo la Tv pubblica. La Televisione era osservata dall’artista come una forza di cambiamento sociale e politico in un paese sospeso, in quei ’70, tra la radicalità degli anni 60 e l’edonismo degli anni ’80 e come una potente macchina di produzione culturale di identità. Considerava la televisione dei ’70 come il nostro Beauburg, l’age d’or della produzione televisiva, non a caso erano gli anni di Paolo Grassi alla direzione della RAI. Ricordiamoci che viceversa negli anni ’70 Pasolini accusò la TV di essere specchio del fascismo, non certo del cambiamento del costume. Durante quel decennio dei ’70, la RAI ripensò il proprio ruolo pedagogico e si contraddistinse per l’alto livello culturale dei prodotti, come la collaborazione con i registi Bernardo Bertolucci, Federico Fellini, Paolo e Vittorio Taviani. La televisione, divisa tra austerità formale e spinta innovativa, amplificò lo sviluppo dell’immaginario collettivo in una molteplicità di prospettive, anticipando le modalità di racconto tipiche di quella che sarebbe stata la televisione commerciale del 16


decennio successivo. Diventò un medium specifico e i suoi programmi subirono una progressiva mutazione: dalla cultura transitarono nell’informazione e infine nella comunicazione. Secondo Vezzoli, la televisione degli anni ’70 produsse riti e, di conseguenza, miti assoluti e duraturi che ancora oggi, riproposti in mostra, possono ispirare scelte non convenzionali. Con una successione di documenti immateriali delle teche RAI, accostati alla materialità di dipinti, sculture e installazioni, la mostra di Vezzoli si articolava in tre sezioni: relazioni della televisione pubblica italiana con l’arte, con la politica, con l’intrattenimento. Si concludeva, all’interno della sala cinematografica della Fondazione Prada, con una sua nuova opera, intitolata Trilogia della RAI, costituita da un montaggio di estratti televisivi. L’artista inseriva icone che avevano segnato la sua infanzia e la sua adolescenza all’interno del flusso televisivo dai generi e registri diversi, trasformando i filmati d’archivio in una materia viva e la memoria personale intima in una narrazione condivisa. Mescolava in un palinsesto serrato le tracce di contraddizioni e aspirazioni di un Paese che si specchiava nella sua produzione mediatica. Nella sala cinematografica era esposta l’installazione di Gianni Pettena del 1968 dal titolo “Applausi”, un invito ironico rivolto al visitatore che viveva la doppia e ambigua condizione di spettatore televisivo e nello stesso tempo spettatore di una mostra d’arte. Nel 1972 Fabio Mauri propose una performance all’interno della trasmissione Happening per il secondo canale della televisione italiana, dopo una esemplificazione storica dei primi happening statunitensi di Allan Kaprow e altri. Nella performance comparivano le immagini dell’autore di fronte a uno schermo con la scritta “The End”. Quindi la trasmissione si interrompeva, come per un guasto, producendo circa 60 secondi di vuoto. Sotto l’immagine bianca si sentiva un pianto dolente. Tornava sullo schermo la scritta “il televisore che piange” e quindi la telecamera 17


inquadrava di nuovo la scritta “The End”. Molti utenti telefonarono alla RAI per chiedere il motivo dello strano e prolungato guasto e chi era quel personaggio che piangeva nel vuoto dello schermo. Il pianto, nell’intenzione di Mauri, era politico, addolorato per le contraddizioni della vita e per la situazione politica molto problematica in Italia. Invita lo spettatore a chiedersi che cosa possa succedere con quel mezzo di comunicazione. Ketty La Rocca (1938-1976) fu un’altra artista che indagò sul rapporto dell’arte con le manifestazioni più evidenti della vita sociale e delle sue evoluzioni e contraddizioni. Aderì al Gruppo ’70, artisti e poeti visivi che decisero di creare un moderno volgare, il cui lessico proveniva dall’ambito della comunicazione di massa, cioè dai quotidiani, dai rotocalchi, dalla pubblicità e dai fumetti. Utilizzò e miscelò i più svariati media, dal collage poetico-visivo, alla fotografia, al libro d’artista, al video. Il suo lavoro, nella sua breve vita durata trentotto anni, si pose in un punto di connessione e di passaggio tra le ricerche primo-novecentesche di un’arte “totale” alle contemporanee pratiche multimediali. Già verso la metà degli anni ’60 produsse lavori che rilevavano con incisività e sarcasmo la reificazione del corpo femminile nella società consumistica, come nel caso di “Dolore…come natura crea”, in cui il volto compunto di una donna era attorniato da dettagli corporei seduttivi o “Non commettere sorpassi impuri”, dove la classica bionda provocante era circondata dalla sagoma ripetuta di un borghese letteralmente “piccolo”, cioè minuscolo (un montaggio, forse ispirato dalle “Tentazioni del dottor Antonio”, l’episodio con regia di Fellini e interpretazione di Peppino De Filippo del film Boccaccio ’70 ). Queste composizioni per frammenti, tipiche delle ricerche verbovisuali dell’epoca, in cui era visibile il prelievo diretto da giornale o da rotocalco, erano affiancate da pannelli più ampi in cui il connubio si fondeva in un’unica immagine, quasi a voler raggiungere un grado di compiutezza. 18


Un’altra riflessione artistica sulla donna nella società dei consumi fu fatta da Giosetta Fioroni. Nel 1968 a Roma, alla galleria La Tartaruga di Plinio De Martis, dove si erano formati gli artisti della scuola di Piazza del Popolo, la Fioroni ideò l’installazione “Spia ottica”. In una stanza chiusa della galleria di De Martis, un’attrice, Giuliana Calandra, amica dell’artista e sua alter ego, mimava la giornata di una donna annoiata nella sua camera. Si truccava, si vestiva, si metteva il cappotto, usciva, rientrava, guardava una rivista, spegneva la luce, riaccendeva la luce, il tutto secondo un rituale ideato, sceneggiato e diretto dall’artista stessa. Una parte dell’arredamento della stanza era proprio quello della camera da letto della Fioroni, precisamente la testata arancione del letto. L’originalità risiedeva nel fatto che i visitatori potevano guardarla solo da uno spioncino, perché la porta era chiusa. Il visitatore come spettatore-voyeur che entrava in uno spazio privato e lo osservava senza essere autorizzato. La spia ottica rimpiccioliva l’immagine, per cui si vedeva tutto come in una sorta di lanterna magica e tutti i movimenti sembravano lievemente più lenti. La spia ottica, con la sua piccola lente, raccontava una visione resa più irreale e magica. Secondo una sua testimonianza recente, Giosetta Fioroni avrebbe voluto dare all’installazione il titolo “Una donna sola che si annoia”, ma poi lo cambiò in “Spia ottica”, ritenendolo più rappresentativo. Per la cronaca recente, va sottolineato che Francesco Vezzoli, nella sua già sopracitata mostra del 2017 “TV 70 guarda la Rai”, ha voluto ricostruire e citare proprio quella installazione del 1968. Nel 1978 ci fu la concomitanza tra il rapimento Moro e il grande successo della proiezione del film “La febbre del sabato sera”. L’anno successivo, il 1979, aumentarono a dismisura le discoteche e l’esigenza del divertimento puro, come se si passasse dalla solidarietà all’egoismo. Dalla cupezza dei colori degli anni di piombo si passava alla fantasmagoria dei vestiti di Fiorucci. Alcuni osservatori hanno notato 19


acutamente che la vicenda di Moro chiude il ‘900 con la sua violenza e “La febbre” preconizza il futuro. Ancora una volta Francesco Vezzoli nella sua mostra TV 70 ha colto l’ambivalenza della società italiana in quello snodo decisivo, mettendo l’accento sull’importanza socio-culturale del successo, in quella fine dei ’70, di trasmissioni televisive come “Mille Luci” e “Ma che sera”. Nel suo film sul rapimento di Aldo Moro, “Buongiorno, notte”, Marco Bellocchio filma i rapitori mentre guardano alla televisione proprio “Ma che sera” con Raffaella Carrà. E il cerchio, forse il corto circuito, tra società e arte si chiude davvero.

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Politica

Verde bile Raffaele FLAMINIO

Questo lunedì 27 gennaio 2020 ha portato buoni auspici. La vittoria di Bonaccini in Emilia Romagna dirada le fosche nubi che si assiepavano sul cielo della sinistra italiana. Il movimento delle Sardine nato per contrastare l’odio e la volgarità, ha ridato fiato e coraggio a tanti elettori che per anni avevano disertato le urne. La politica rinasce e funziona partendo dalla presenza fisica delle persone che si toccano, ascoltano, partecipano e propongono. Di tutto ciò ne ha fatto le spese il Movimento 5 Stelle che, da astro nascente della politica italiana, si ritrova ai minimi termini nella regione che lo aveva fatto nascere e accudito. La chiusura nel palazzo l’ha reso asfittico. La rigidità delle scelte e l’arroccamento 21


politico hanno determinato l’allontanamento della base dall’idea originaria di potente cambiamento che il Movimento 5 Stelle si proponeva. Pizzarotti, sindaco di Parma, è stato avvertito come una cassandra, la sua giunta, se, pur con le difficoltà della politica, è stata flessibile. Ha saputo intercettare le istanze della cittadinanza. Matteo Salvini, dal punto di vista della comunicazione, si conferma una “Bestia”: un emiliano su tre ha votato Lega. L’argine, però, è stato posto. Ciò non significa che sia stato sconfitto. Il malessere nel Paese in tutte le sue componenti è presente ed evidente. Il Matteo “verde” ha scelto di metterci la faccia. Si è sovra esposto, Lui che meditava di essere un “ Il novello Garibaldi” unificatore all’insegna dell’odio e dell’apartheid è arretrato. La sua faccia, nella conferenza stampa di domenica poco prima di mezzanotte, mal celava il livore verde che trasudava. Per fortuna gli italiani ogni giorno si alzano presto e vanno a lavorare conoscendo meglio di lui che cosa significhi il lavoro oggi. Il PD finalmente ha battuto un colpo. Ammaccato dalla doppia scissione di Leu e Italia Viva, sembra riprendere la barra a diritta ma, guai a fidarsi troppo presto. Zingaretti, al contrario di Salvini, ha scelto il profilo basso in queste elezioni regionali. Non commettendo l’errore di nazionalizzarle per la tenuta del governo, trattando l’appuntamento elettorale per quello che era: elezioni locali. Certo qualche problema il Governo lo avrà. Una parte di esso si è liquefatta. Ma la sua tenuta complessiva non dovrebbe essere a rischio. Nessuno degli attuali parlamentari ha realmente voglia di nuove elezioni. Gli appuntamenti elettorali in questo 2020, saranno molteplici e saranno un banco di prova serio. Intercettare e capire le esigenze degli italiani, sia a livello locale che nazionale sarà difficile, ma non impossibile. L’attuale congiuntura politica internazionale, dietro il nostro uscio di casa, non lascia spazi a tentennamenti o in22


certezze. Il recupero di credibilità internazionale dell’Italia potrà e dovrà dare frutti positivi. Bisogna osservare attentamente la Francia e la Germania sullo scacchiere mediterraneo. Il Mediterraneo è il “ Mare Nostrum”. Il dialogo aperto dal governo con le Organizzazioni sindacali è la chiave di svolta delle politiche del lavoro. La giungla di contratti nella quale si muovono i lavoratori italiani è diventata, come il filo spinato della Grande Guerra che imprigiona, stritola e dissangua le persone che lavorano. La schiavitù da lavoro deve cessare. Chi lavora deve vivere e avere una prospettiva di crescita economica e civile. I protocolli siglati tra le associazioni datoriali e i sindacati sulla rappresentatività, devono trovare spazio in una legge quadro che regolamenti la materia ponendo fine ai contratti pirata che flagellano il mondo produttivo e i lavoratori, restituendo dignità e corpo al lavoro che somiglia, sempre più, ad un corpo floscio in cui alberga l’alien dello sfruttamento. Il mondo produttivo, complessivamente, nei rinnovi dei CCNL e negli accordi di secondo livello in molti comparti è più avanti della politica. Il Jobs act è stato tenuto fuori nel rinnovo del CCNL dei bancari, si è istituita una cabina di regia nella quale le segreterie generali delle OO.SS. di categoria e le aziende si confronteranno sull’ organizzazione del lavoro e degli impatti che la digitalizzazione potrà comportare sui lavoratori. E’ indispensabile che la legge sugli appalti sia rinnovata e adeguata, eliminando il concetto di massimo ribasso che a cascata si ripercuote sulla struttura aziendale e sui lavoratori. Questi sono alcuni dei temi che i cittadini sperano siano affrontati e risolti dalle politiche che il governo si accinge a discutere con i sindacati. La prima risposta sulla riduzione del cuneo fiscale sul lavoro è un passo che concorre a intraprendere una strada virtuosa. 23


Quello che il cittadino elettore chiede è la risoluzione di problemi concreti che attengono il quotidiano. Una progettualità di medio termine fattibile che comporti un sollievo concreto rispetto alle angustie e alle incertezze che vessano il ceto medio nazionale che corrisponde alla spina dorsale del Paese. Questa tornata elettorale di carattere locale ha dimostrato che, la partecipazione, la condivisione, la semplicità e la chiarezza delle parole, sono gli strumenti di lavoro più idonei che la sinistra deve utilizzare per rifondarsi e radicarsi nei territori, li dove gli interessi dei cittadini sono più concreti e urgenti, sconfiggendo il senso di solitudine e di isolamento che le persone sentono in questi anni. Solo l’occupazione fisica degli spazi vuoti lasciati in questi anni dalla sinistra può restituire alla stessa dignità e forza di rappresentanza.

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Politica

Parliamo di amministrative? (conclusioni con ignorantezza) Antonella GOLINELLI

Premessa. La volta scorsa in Emilia Romagna votò il 37 e qualcosa per cento. Una cosa mai vista. Noi storicamente abbiamo sempre avuto una partecipazione al voto invidiabile, elevatissima. Cos'era successo? Semplicemente che le politiche renziane non erano approvate dai cittadini dell'Emilia Romagna. Il jobs act, l'abolizione dell'art. 18 e compagnia cantante non li abbiamo approvati. Ed è curioso pensare alla fortissima affermazio25


ne alle primarie di Renzi. Anche nei circoli a dirla proprio tutta. Ciò nonostante ci siamo stati a casa. Siamo entrati nel bosco e ci siamo rimasti per un bel pezzo. La sintesi migliore della vicende le fece Gianni Morandi “noi siamo più a sinistra di questo governo”. Questa premessa è essenziale per capire. Ignorarla significa mistificare la realtà. Caricare il voto in Emilia Romagna di valenze nazionali, combattere sul nostro territorio per conquistare il governo (dopo averlo buttato giù in Romagna il governo), scorrazzare in lungo e in largo per il territorio per mesi mettendo in scena una drammatizzazione tanto strampalata, non è stata una grande idea. Siamo stati vittime per mesi di una narrazione orribile. Ci hanno definito una pattumiera. Noi. Noi che i termovalorizzatori li abbiamo, noi che la differenziata la facciamo da anni per non dire decenni con risultati più che dignitosi, noi che i depuratori li abbiamo da sempre, le fogne pure. Noi che facciamo le multe a chi abbandona i rifiuti. Noi. La pattumiera. Ohi. Ci hanno dipinto come orchi, una comunità in particolare, cavalcando un'inchiesta giudiziaria i cui esiti stanno uscendo ora. Una vicenda bruttissima che ha visto la regione mettere in piedi una commissione d'inchiesta. Però non è stato nemmeno preso in considerazione questo fatto. Il PD è il partito di Bibbiano. Si in effetti si. Ha preso il 60%. ma non è questo il punto. Il punto è che hanno dipinto un paese e di conseguenza una comunità vasta come una congrega di mostri che ruba i bambini per lucro. Noi. Noi che gli asili li abbiamo inventati. Noi che proprio proprio ci lamentiamo perché non ci sono posti sufficienti. Poi è vero che vicende di questo tenore posso26


no accadere ma è pure vero che l'inchiesta è partita per i sospetti di un tribunale dei minori. Quindi affermare a voce altissima che qui siamo dei ladri di bambini è una porcheria bella e buona. Piccola chiosa. Serve di raccordo. Perchè sono nati gli asili? Sono nati per avere un luogo sicuro con persone fidate e conosciute cui affidare i figli per poter lavorare in tranquillità. Perchè la necessità di tutti di lavorare e portare a casa un salario, compresi i padroni che avevano bisogno di manodopera, ha fatto in modo che in tempi remoti si siano create strutture laiche e religiose di affido sicuro. La mattina si prende su, si portano i bimbi e si va a lavorare. Uomini e donne. Oh! L'esuberanza delle romagnole. In occasione di una fiction su Nilde Iotti abbiamo assistito ad una serie di esibizioni e di titoli di giornali di destra da far accapponare la pelle. Il clou lo abbiamo raggiunto con direttore di giornale che si permise di affermare con un certo compiacimento “conosciamo tutti l'esuberanza delle romagnole”. Sono saltata sulla sedia. A parte che la Iotti era emiliana, tu imbecille di proporzioni cosmiche, cosa vuoi dire esattamente? Perchè sentirsi tirate in ballo in quel modo da un maschio, brutto, di destra non è esattamente bellissimo. Cosa ci viene attribuito? Una libertà di costumi? Ingordigia? Una sorta di attribuzione professionale? Secondo voi l'abbiamo presa bene? no. Ovvio che no. Chi sei tu? Come ti permetti di pensare, anche solo di pensare, di affibbiare una reputazione alle donne di un'intera regione? Ma chi sei? Cosa vuoi? Statti a casa tua! (confesso: questo ce l'ho sul fegato. Lo incontro. Prima o poi lo incontro. Due parole gliele voglio dire). Il citofono. Il segretario della lega durante una tappa della campagna elettorale, in 27


un quartiere periferico, prende su le gnacchere e va a suonare un campanello a favore di telecamere completo di scorta, chiedendo se l'abitante dell'appartamento spacciasse. L'ex ministro dell'interno. Pensate che il quartiere l'abbia presa bene? Vorrei specificare un fatto: si ci sono quartieri meno centrali a Bologna. Mi pare ovvio. Il Pilastro è una virgola lunga di case con qualche torre. È stata costruita circa negli anni 60\70 per fornire abitazioni all'emigrazione, allora, in atto. La gente la devi mettere al coperto. Non la puoi mica lasciare in mezzo ad una strada, vi pare? Serviva mano d'opera. Si è fatto. Ma è un quartiere servito. C'è tutto. Ha una reputazione, un po' reale molto attribuita, ma sono tutte persone normali. Definire il Pilastro una periferia degradata è piuttosto azzardato. Fossero cosi i quartieri degradati di altre città saremmo tutti dei signori. La signora, che risulta sia stata precedentemente contattata dalla lega per indicare i luoghi di spaccio, si è prestata allo show e si è ritrovata a sua volta vittima di un atto vandalico. Un ex ministro ha messo in pericolo cittadini comuni per mero interesse di potere. Il giochino l'ha rifatto a Modena. Verso la serranda di un negozio vuoto però. In un giorno al Pilastro hanno organizzato una manifestazione di protesta. Bella piena. Poi? Ah si! È girato un video del vice sindaco di Ferrara in cui si esibiva in parole e gesti minacciosi. Anche questo ha fatto un danno immenso. Fossi nel Sindaco di Ferrara lo caccerei a calci. Una danno permanente effettivo. Finalmente abbiamo votato. E siamo usciti da Sherwood. Ci sono entrati parecchi five stras. Ohi. Speriamo non ci facciano danni alle costruzioni e soprattutto alle 28


rotonde. Non ci siamo impauriti. Ci siamo arrabbiati, indignati, indispettiti. Ma come si permettono questi! Noi siamo gente per bene, dediti al lavoro e alla famiglia. Noi siamo stati poverissimi e ci siamo tirati su a forza di braccia, lavoro, studio e salario. Noi produciamo cibo per tanta gente nel paese e cibo di qualità. Noi produciamo attrezzature che vendiamo in tutto il mondo. Noi produciamo sapere. Abbiamo la libera università più antica del mondo. Libera. Significa che essendosi stufati delle interferenze del clero si prese su e si andò altrove a far lezione. L'avete mai visto da un'altra parte? Noi che abbiamo l'Adriatico, che è una pozza non certo i Caraibi, ci siamo inventati la riviera romagnola. Noi, per sopravvivere e migliorare le nostre condizioni materiali, ci siamo inventati le cooperative. Complete di medico. Noi le incursioni incendiarie delle milizie di Balbo le abbiamo subite. Abbiamo comunque resistito e alla fine ci siamo liberati da soli. Ravenna fu liberata senza sparare un colpo grazie alla mediazione di Bulow. Quindi questi ci volevano liberare da cosa? Facciamo da soli grazie. Qui quattro ragazzi si sono inventati le sardine, ovvero l'occupazione delle piazze per incontrarsi, chiacchierare, suonare e ballare pure. In maniera civile, normale, senza aizzare gli animi continuamente con un perpetuo uso di cattiveria. In sostanza ci siamo stufati e abbiamo fatto un semplice scatto di orgoglio. 29


Vedete, è vero che a noi piace divertirci ma non siamo quella macchietta con la quale veniamo rappresentati. Il punto è che la lega ha usato la macchietta come riferimento non la cittadinanza. A partire dai fatti del Papeete. Certo i lombardi, come tutti gli altri compresi i tognini (per fortuna non più in sandali e calzini bianchi), ci invadono tutti gli anni e noi farciamo tutti come i tortorini. Alcuni perdono l'ombrella in tutto questo sfavillio di bellezza, musica, cibo e buon bere. Le conseguenze sono queste. Vedete, noi abbiamo l'ignorantezza, che è quella cosa per la quale è capitato che votanti di destra hanno fatto il voto disgiunto. Il che la dice lunga. Di destra va bene ma quando è troppo è troppo. Sapete come vedo io Salvini? Avete presente un pataca? Il pataca è quel soggetto che usura il jeans in un certo punto preciso e esagera, facendo il buco con la carta vetrata. Con lui dentro però. È chiaro? Ecco. Cosi. Ricordate sempre che, come dice Giacobazzi, quando scatta la gara d'ignoranza un romagnolo non può arrivare secondo. Fasi mo' vò.

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Ambiente e Politica

Buone notizie Antonella BUCCINI

E mentre citofoni e prosciutti impazzavano su social e giornali, il World Economic Forum 2020 si apriva sul tema dello sviluppo sostenibile. Il cambiamento climatico è stato l’argomento sotteso al complessivo incontro anche se Greta Thunberg si è detta delusa per le richieste del movimento totalmente ignorate. Tuttavia la Germania abbandonerà il carbone entro il 2038 e la Merkel ha auspicato il dialogo tra gli attivisti e i negazionisti mentre dall’altra parte dell’oceano, magari solo per

fini

elettorali,

sembra

emergere

sulla

questione

una

breccia

nell’amministrazione Trump. In contemporanea, su iniziativa del Sacro Convento, si sono tenuti i lavori sul Manifesto di Assisi dove pure si è affrontata l’emergenza clima. Il Manifesto intende promuovere un’economia a misura d’uomo contro la crisi climatica e un’alleanza per l’azzeramento delle emissioni di CO2 entro il 2050. Hanno aderito oltre a Vincenzo Boccia ed Ettore Prandini, Presidenti di Con31


findustria e Coldiretti e Francesco Starace Ad di Enel, circa 2mila sottoscrittori tra imprenditori, ambientalisti, intellettuali. Si tratta dunque di un accordo ambizioso, all’esito di anni di lavoro e di studi, che intende coniugare un’economia produttiva con il recupero e il rispetto dell’ambiente. Anche se si insinua il sospetto di un’istanza speculativa sulla conversione della grande industria a sistemi innovativi, ciò che conta è la consapevolezza di una visione condivisa nella direzione di una nuova, futura economia reale. Sembra che il nostro paese, sul concreto avvio di una produzione green, sia avvantaggiata. Lo sostiene l’Ad di Enel Starace in considerazione della vocazione della nostra industria nella trasformazione di materie prime, di cui scarseggiamo, e della particolare efficienza che vantiamo nelle attività di riciclo dei materiali e dell’economia circolare. Negli stessi giorni il Presidente del Parlamento europeo David Sassoli ha affermato che con il New Green Deal ci saranno 50 iniziative legislative nei prossimi due anni. Steven Pinker è uno scienziato cognitivo professore di psicologia all’Università di Harvard. Bene. Il professore sostiene che l’epoca che stiamo vivendo è la più pacifica della storia. Il benessere in termini di longevità, salute, libertà, dalla seconda guerra mondiale, è aumentato e non solo in occidente ma a livello mondiale. La percezione della realtà, secondo il professore, è dunque falsata dai media perché le buone notizie non fanno clamore. Se si tenesse conto delle statistiche, invece, si scoprirebbe che ad esempio nel 2020 nel mondo ci sono 99 democrazie a fronte delle 87 nel 2000 e delle 10 nel 1920. Il superamento dell’analfabetismo, della miseria o di talune malattie è chiaramente graduale. Perché non dare il giusto credito al professore e leggere con un filo di ottimismo le iniziative su temi nevralgici che coinvolgono gli Stati e ciò che si muove nel nostro paese? Ragioniamo sul futuro, diamo valore alle buone notizie e concediamoci una piccola tregua dalle miserie e dai rutti della politica nostrana. 32


Politica

Da capitano a capitone il passo è breve Aldo AVALLONE

La narrazione, ideata e portata avanti da “La bestia”, la struttura organizzativa che cura la comunicazione di Matteo Salvini, per la quale il leader leghista era diventato “Il Capitano”, non si sa bene poi di cosa o di chi, rischia di trasformarsi rapidamente in un boomerang. Nei titoli dei giornali, sui siti web e sui social il capitano sta diventato rapidamente il capitone. Sì, proprio quel pesce anguillesco che tradizionalmente a Natale fa una brutta fine, finendo sulle tavole di molti italiani. Spinto da manie di grandezza e da una buona dose d’incoscienza il nostro ex capitano, nel lontano agosto 2019, con un colpo di scena degno del miglior thriller di Dario Argento, decise di far cadere il governo nel quale rivestiva il ruolo importan33


te di ministro dell’Interno, nonché vice premier. Contava in rapide elezioni che era certo di stravincere per prendere finalmente i “pieni poteri” e impedire al “gigantesco flusso” di qualche migliaio di poveri cristi di approdare sul sacro suolo. Ma si sa l’ambizione gioca brutti scherzi. La strategia, come tutti sappiamo, miseramente fallì. E allora l’ex capitano si diede a un’opposizione durissima fatta di mangiate stratosferiche, bevute di mojito al ritmo di dance music sulle spiagge romagnole, a continui cambi di look, fatto quasi esclusivamente di felpe con le più svariate scritte. E poi, fu l’Emilia. In un’elezione regionale oggettivamente difficile per il tradizionale buon governo del centrosinistra, il furbo ex capitano ha trasformato la consultazione elettorale in un referendum sulla sua persona. L’ignota candidata leghista non è quasi mai apparsa in pubblico mentre lui ha girato tutti comuni della regione proprio come una trottola, stringendo mani ed elargendo selfie. Era certo della vittoria. Avrebbe strappato la rossa Emilia alla sinistra e da lì sarebbe arrivato trionfalmente a Roma. Ma i referendum personali non portano affatto bene ai Mattei. Non è andata propriamente così e lui, povero, ha dovuto affrontare l’ennesima umiliazione. Anche in Calabria, dove il centrodestra ha eletto il proprio governatore, la Lega ha perso dieci punti percentuali rispetto alle ultime europee finendo dietro persino al vecchio Berlusca. E la cosa più pericolosa per lui è che questi insuccessi in serie non dispiacciono per niente ai suoi alleati di coalizione che contano in futuro di dire la loro nella scelta della leadership del centrodestra. Termina qui, per il momento, la storia della resistibile ascesa dell’ex capitano. Ancora in sella, è vero, ma su di un arcione così traballante da apparire velocemente avviato al ruolo di nuovo capitone. E se lo dice il web, fossi in lui, comincerei a preoccuparmi seriamente. 34


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Testata online aperiodica Proprietà: Comitato per l’Unità Laburista, Strada Sesia 39 14100 Asti (AT) Direttore Responsabile: Aldo Avallone - Stampatore: www.issuu.com web: www.issuu.com/lunitalaburista - mail: lunitalaburista@gmail.com - Tel. +39.347.3612172 Palo Alto, CA (USA), 30 gennaio 2020 36


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