Numero 4 del 25 luglio 2019
IL RITORNO DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE
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Sommario
Per una cultura europea - pag. 4 di Umberto SCOTTI DI UCCIO INCHIESTA / Se settanta milioni vi sembran pochi - pag. 6 di Umberto DE GIOVANNANGELI
Boris Brexit - pag. 12 di Antonella GOLINELLI
La sinistra e le elezioni prossime venture - pag. 15 di Aldo AVALLONE
INCHIESTA / Arma locale - Capitolo Tre: il ritorno dello Sviluppo Sostenibile - pag. 20 di Fabio CHIAVOLINI
OPINIONI - pag. 30
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Cultura e Politica
Per una cultura europea di Umberto SCOTTI DI UCCIO
Ursula Von Der Leyen, neoeletta Presidente della Commissione Europea, tocca il tema della formazione universitaria dichiarando che intende triplicare il fondo Erasmus. Da sinistra, dobbiamo considerare questa promessa molto qualificante. Vediamo perché.
L’Italia è uno dei Paesi che maggiormente hanno contribuito a creare l’Unione e dall’Italia è venuta 50 anni fa l’idea di equiparare i titoli e sostenere i viaggi di studio degli studenti e dei docenti. Ricordiamolo: “mamma Erasmus” è la pedagogista Sofia Corradi, una che ha scritto un pezzo di storia e ci ha fatto sentire l’orgoglio di essere Europei. I tempi sono cambiati: oggi la UE è vista come un gruppo di potere non democratico, che intralcia le politiche nazionali, succhia soldi ai Paesi poveri e li regala ai 4
Paesi ricchi. Bene, invece di brontolare si deve cambiare marcia: ai populisti che vogliono sfasciare tutto dobbiamo opporre gli ideali dei padri fondatori. Diciamolo, non erano brutte idee. Anzi, a vedere bene, erano proprio belle. Tornando a Erasmus: noi di sinistra abbiamo bisogno di ritrovare i nostri simboli. Erasmus è uno di quelli, è il simbolo della cultura senza barriere, è un simbolo “internazionale”. Però Erasmus non protegge abbastanza le fasce di reddito svantaggiate, non è (ancora) un ascensore sociale; serve molta più energia e servono più risorse. Ci possiamo fidare della Von Der Leyen? Mah, stiamo a vedere. Intanto, ricordiamoci che è stata eletta grazie al sostegno della Sinistra Europea e che non potrà così facilmente rimangiarsi le cose che ha detto di fronte al Parlamento. https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/speech_19_4230
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Inchiesta
Se settanta milioni vi sembran pochi di Umberto DE GIOVANNANGELI
Vademecum per gli “smemorati” gialloverdi al Governo. E per quanti si abbeverano nella putrida acqua di una narrazione odiosa quanto falsa: quella del “siamo invasi”, “ci rubano il lavoro”, “vadano da un’altra parte”. Se fosse uno Stato, sarebbe tra i più popolati al mondo. Più grande dell’Italia. Lo “Stato dei rifugiati”. Nel 2018 il numero di persone in fuga da guerre, persecuzioni e conflitti ha superato i settanta milioni. Si tratta, rivela il rapporto annuale dell’Unhcr Global Trends 2018, del livello più alto registrato dall’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati, in quasi settant’anni di attività. In questo momento sono quindi quasi 70,8 milioni le persone in fuga: l’agenzia Onu segnala che tale cifra corrisponde al doppio di quella di vent’anni fa. Ed è stimata per difetto, considerato che la crisi in Ve6
nezuela in particolare è attualmente riflessa da questo dato solo parzialmente. In tutto, circa quattro milioni di venezuelani, secondo i dati dei paesi che li hanno accolti, hanno lasciato il paese. La cifra di 70,8 milioni registrata dal rapporto Global Trends è composta da tre gruppi principali. Il primo è quello dei rifugiati, il cui numero nel 2018 ha raggiunto 25,9 milioni su scala mondiale, 500.000 in più del 2017. Inclusi in tale dato sono i 5,5 milioni di rifugiati palestinesi che ricadono sotto il mandato dell’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi Unrwa. Complessivamente, oltre i due terzi (67 per cento) di tutti i rifugiati su scala mondiale provenivano da cinque soli paesi: Repubblica Araba di Siria (6,7 milioni), Afghanistan (2,7), Sud Sudan (2,3), Myanmar (1,1), Somalia (0,9). Il secondo gruppo è composto dai richiedenti asilo, il cui numero alla fine del 2018 era di 3,5 milioni nel mondo. Infine, il gruppo più numeroso, con 41,3 milioni di persone, è quello che include gli sfollati in aree interne al proprio paese di origine. 37.000 persone al giorno sono dunque costrette a fuggire dalle proprie case: il sedici per cento dei rifugiati sono stati accolti in paesi sviluppati ma un terzo della popolazione (6,7 milioni) si trovava nei paesi meno sviluppati. Nel 2018 però anche 2,9 milioni di persone hanno fatto ritorno alla loro casa, anche se i reinsediamenti nei paesi terzi sono stati solamente 92.400. Tra i nuovi richiedenti asilo il numero più elevato è rappresentato dai venezuelani: 341.800. I paesi ad alto reddito accolgono solo 2,7 rifugiati ogni 1000 abitanti. I paesi a reddito medio e medio basso accolgono 5,8 rifugiati ogni 1000 abitanti. I paesi più poveri accolgono un terzo di tutti i rifugiati su scala mondiale. Tra i rifugiati 62.600 hanno acquisito una nuova cittadinanza per naturalizzazione. La metà dei rifugiati sono minori, una percentuale in aumento rispetto al 41 per cento del 2009. Di questi 138.600 sono minori soli, separati dalle famiglie e non accompagnati, che hanno presentato domanda di asilo individualmente. Carlotta Sami, portavoce di Unhcr Italia, ha spiegato che: “La crescita complessiva del 7
numero di persone costrette alla fuga è continuata a una rapidità maggiore di quella con cui si trovano soluzioni in loro favore. La soluzione migliore è rappresentata dalla possibilità di fare ritorno nel proprio paese volontariamente, in condizioni sicure e dignitose. Altre soluzioni prevedono l’integrazione nella comunità di accoglienza o il reinsediamento in un paese terzo. Tuttavia, nel 2018 solo 92.400 rifugiati sono stati reinsediati, meno del sette per cento di quanti sono in attesa. Circa 593.800 rifugiati hanno potuto fare ritorno nel proprio paese, mentre 62.600 hanno acquisito una nuova cittadinanza per naturalizzazione. La migrazione è un fenomeno prevalentemente urbano: è più probabile che un rifugiato viva in paese o in città (61 per cento), piuttosto che in aree rurali o in un campo rifugiati. Nel 2018 sono state presentate 1,7 milioni di nuove domande di asilo nel mondo. Gli Stati Uniti d’America sono stati il paese che ha ricevuto il maggior numero di nuove domande individuali (254.300), seguito da Perù (192.500), Germania (161.900), Francia (114.500) e Turchia (83.800). Nel 2018, il numero più elevato di nuove domande d’asilo è stato presentato da venezuelani (341.800). Lo scorso anno, per il quinto anno consecutivo, la Turchia ha accolto il numero più elevato di rifugiati a livello mondiale, con 3,7 milioni di persone. Seguono Pakistan (1,4 milioni), Uganda (1,2 milioni), Sudan (1,1 milioni), Germania (1,1 milioni). Il Libano ha continuato ad accogliere il numero più elevato di rifugiati in proporzione alla propria popolazione, con un rapporto di un rifugiato ogni sei persone. Giordania (uno su quattordici) e Turchia (uno su 22) seguivano rispettivamente al secondo e al terzo posto. In Italia, dove vivono 130.000 rifugiati (non riempirebbero nemmeno il Circo Massimo), il rapporto è di tre rifugiati ogni mille abitanti. “Se da un lato il linguaggio utilizzato per parlare di rifugiati e migranti tende spesso a dividere, dall’altro, allo stesso tempo, stiamo assistendo a manifestazioni di generosità e solidarietà, specialmente da parte di quelle stesse comunità che accolgono un numero elevato di 8
rifugiati".
"Stiamo inoltre assistendo a un coinvolgimento senza precedenti di nuovi attori, fra cui quelli impegnati per lo sviluppo, le aziende private e i singoli individui, che non soltanto riflette, ma mette anche in pratica lo spirito del Global Compact sui Rifugiati”, rimarca Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Giulia Capitani, policy advisor su migrazione e asilo di Oxfam Italia, sottolinea che: “Per l’ennesima volta, un triste record è stato superato. Ma dietro a questi numeri ci sono persone che vivono storie drammatiche, fatte di viaggi lunghissimi e molto pericolosi, durante i quali subiscono spesso torture e abusi indicibili, come i tanti che arrivano ancora oggi in Libia. Viaggi che non avrebbero mai voluto intraprendere se non vi fossero stati costretti per salvare la propria vita o quella dei propri figli, se non fossero stati privati dei più basilari diritti fondamentali e della possibilità di condurre una vita dignitosa”. E continua: “Il paradosso, ancora oggi, è che sono i paesi più poveri del mondo o quelli in via di sviluppo ad accogliere il maggior numero di rifugiati, come nel caso delle più gravi crisi umanitarie originate dai conflitti che dilaniano l’Africa sub sahariana. Emblematico il caso dell’Uganda, che si fa carico da sola di oltre 800mila rifugiati in fuga dalla guerra 9
in Sud Sudan; o quello della crisi siriana, dove buona parte dei rifugiati è accolta da paesi come Libano e Giordania da oltre otto anni. È proprio in queste aree del mondo che dovrebbe arrivare un immediato e maggior aiuto economico da parte dei paesi ricchi, offrendo la possibilità di reinsediamento ai rifugiati più vulnerabili. In questa direzione, il Global Refugee Forum in programma a dicembre a Ginevra sarà l’occasione, coinvolgendo direttamente i Paesi ospitanti, per mettere in campo azioni concrete ed efficaci. Un’opportunità che non può essere sprecata ancora una volta”.
Un’opportunità e un impegno che si nutre anche di gesti simbolici. Come una coperta termica da esporre fuori dal proprio balcone di casa o dovunque si voglia. È il gesto simbolico, scelto dalla campagna #IoAccolgo, promossa da 47 organizzazioni e attori della società civile italiana, tra cui Oxfam, per chiedere ai cittadini italiani di testimoniare la propria solidarietà a chi attraversa il Mediterraneo in cerca di salvezza, in occasione della Giornata mondiale del rifugiato del 20 giugno scorso. Un oggetto simbolico indossato da uomini, donne e bambini, lasciati troppo spesso in stallo nel Mediterraneo negli ultimi mesi, ogni volta che una nave delle poche organizzazioni umanitarie rimaste a compiere soccorso li salva e cerca di condurli in porto sicuro. Dramma che ha continuato a ripetersi, anche in questi 10
giorni, con i migranti a bordo della Sea Watch 3. Secondo Capitani: “Mentre il Governo italiano ha appena approvato un decreto legge che si accanisce ulteriormente contro chi cerca di effettuare salvataggi in mare, nel Mediterraneo si registra una crescita esponenziale del tasso di mortalità rispetto all’anno scorso: una vittima ogni sei migranti che tentano la traversata, contro uno su trenta registrate nel 2018. Si tratta di persone che muoiono spesso nel silenzio dell’opinione pubblica, mentre si continua a non tener conto che la Libia, come più volte ribadito dalle Nazioni Unite e dalla pronuncia del Consiglio d’Europa, non può esser considerato un porto sicuro. E termina: “Allo stesso tempo, non si arresta l’azione di smantellamento del sistema d'accoglienza italiano, in assenza del quale non si garantirà per nulla maggiore sicurezza. Per questo abbiamo aderito alla campagna #IoAccolgo, che chiede al Governo italiano e agli stati europei una diversa politica di accoglienza, il ripristino immediato di una missione di ricerca e soccorso nel Mediterraneo, l’adozione di un sistema di equa ridistribuzione dei richiedenti asilo tra i vari paesi europei. Facciamo appello a tutti i cittadini a testimoniare domani che una diversa politica di gestione del fenomeno migratorio è doverosa e possibile”. Un universo plurale, una solidarietà che cresce dal basso. Una buona notizia. Del Comitato promotore della campagna #IoAccolgo fanno parte: A Buon Diritto, ACLI, ActionAid, AOI, ARCI, ASGI, Casa della Carità, CEFA, Centro Astalli, CGIL, CIAC, CIAI, CIR, CNCA, Comunità di Sant’Egidio, CONGGI, Ero Straniero, EuropAsilo, Federazione Chiese Evangeliche in Italia – FCEI, FOCSIV, Fondazione Finanza Etica, Fondazione Migrantes, Gruppo Abele, ICS Trieste, INTERSOS, Legambiente, LINK-coordinamento universitario, Lunaria, Medici Senza Frontiere, NAIM (National Association Intercultural Mediators), Oxfam, Rainbow4Africa, ReCoSol, Refugees Welcome Italia, Rete della Conoscenza, Rete Studenti Medi, SaltaMuri, Save the Children Italia, UIL, Unione degli studenti, Unione degli universitari, UNIRE. 11
Esteri/Regno Unito
Boris Brexit di Antonella GOLINELLI
Ieri sera quando ho lasciato Londra alle nove, la vita scorreva tranquilla come sempre. La gente camminava, i manager tessevano rapporti e concludevano affari bevendo, i turisti ocaravano. I conservatori hanno eletto Boris Johnson con 92.153 voti contro i 46.656 di Jeremy Hunt. Voto per posta riservato agli iscritti, non certo ai passanti. Oggi riceverĂ l'incarico da Her Majesty e si trasferirĂ al numero 10 di Downing Street. Sgombriamo il campo da equivoci. Gli inglesi, i cittadini inglesi, vogliono andarsene. Non capiscono l'Europa e il principio base di vincoli di bilancio. Non capiscono perchĂŠ economie ferme non investano in consumi interni.
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Si pongono la domanda “se non pagano la gente che lavora come potranno vivere, consumare?” tradotto: se alla gente non dai un salario decente come può fare anche solo la spesa? Sono anche un po' stufi gli imprenditori di non riuscire a programmare acquisti e investimenti causa l'incertezza della situazione. Detto questo, non pensate che il biondo scapigliato eletto sia solo un personaggio pittoresco. Viene da una famiglia dell'alta borghesia, ha alle spalle grandi scuole, tipo Eaton. Sa bene da dove viene e come viene. Ha riferimenti certi, economici intendo. Ha un forte legame con gli USA, forse perché nato a New York. Non sarà un caso il sostegno di Trump immagino. L'obiettivo primario è uscire il 31 ottobre, temo ad ogni costo. Peccato che grazie alla sua fronda, tesa alla conquista del potere, si siano buttati al vento due anni. Del resto per alcuni gli accordi hanno valori diversi a seconda di chi li firma.
Restano sul tavolo tutti i problemi, a partire dal confine irlandese. Vedremo come evolve. Anche la crisi irachena è un bel problemino da risolvere. Chissà se Hunt resterà al suo posto? Perché collateralmente si vanno dimettendo ministri, esattamente come capitò alla May coi ministri che facevano riferimento all'area dura e pura di Johnson. È pur vero che i ministri si 13
trovano, ma questo è un indice dei termini della guerra interna al partito conservatore. Dice il biondissimo che vuole battere i laburisti. Son convinta. Solo che a votare a breve non ci vuole andare nessuno, i tories hanno preso una tranvata imponente alle europee, cui hanno dovuto partecipare, e crescono in maniera esponenziale i verdi e i libdem, per non parlare di Farage.
Comunque, anyway, qui il mondo non è ancora crollato. Vi terrò informati.
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Politica
La sinistra e le elezioni prossime venture di Aldo AVALLONE
Le elezioni politiche sono dietro l’angolo o la legislatura arriverà alla sua scadenza naturale? Una domanda da cento milioni di euro, la cui risposta, oggi, è legata a molteplici fattori. L’ultimo sondaggio SWG del 22 luglio rivela che, rispetto alla settimana precedente, la Lega guadagna uno 0,1 per cento e va al 37,8 per cento. Ancor più positivo il trend del Movimento Cinquestelle, che sale di mezzo punto percentuale e va al 18,5 per cento. Tre punti sopra il M5s c'è il Partito democratico, che mezzo punto lo perde. Lo scontro tra gli alleati di governo non penalizza nessuno dei due: la Lega resta abbondantemente il primo partito, e il M5s è in crescita per la terza settimana consecutiva. Forza Italia e Fratelli d’Italia si attestano di poco sopra il 6 per cento mentre sono pressoché ininfluenti le percentuali degli altri 15
piccoli partiti. Questi dati confermano la luna di miele della maggioranza degli italiani con i due partiti di governo e soprattutto con la Lega di Salvini che non accusa nessuna difficoltĂ nonostante i rumor del rublogate e il sempre maggiore isolamento in Europa.
Ritornando alla domanda iniziale, non è dato sapere se il governo proseguirà la sua pur perigliosa navigazione o se Salvini deciderà di far saltare il banco andando a raccogliere il premio che gli verrebbe da elezioni anticipate da tenersi, probabilmente, nella primavera prossima. Ma comunque vadano le cose, appare assolutamente necessario confrontarsi su quello che le forze di sinistra dovranno fare nei prossimi mesi, da ora. E sia ben chiaro che non sarà sufficiente limitarsi a criticare le politiche del governo e mettere in evidenza le contraddizioni che lo caratterizzano. Finora non ha dato i frutti sperati e i sondaggi lo confermano. Il 4 marzo 2018 ha rappresentato una vera debacle per il PD e per tutte quelle forze 16
che si richiamano ai valori progressisti. L’esperienza Renzi, per fortuna, è tramontata e il neo segretario Zingaretti, tra alti e bassi, sta provando a ripartire su basi nuove ma ancora alquanto confuse. Anche l’esperienza di Leu è da ritenersi fallimentare: il risultato delle urne non ha premiato un’operazione percepita dalla base come di vertice, lontana dai territori e con fini meramente elettorali. Tutto intorno
ruota la solita pletora di partitini, ognuno con le proprie singolarità alla ricerca disperata di una sistemazione che regali loro un minimo di visibilità politica. Labour Italia non è un partito, è un’associazione del terzo settore che nel suo programma si propone espressamente di riunire le diverse anime della sinistra italiana in un progetto laburista che ha come proprio fulcro il lavoro. Sia se si andrà al voto nella primavera prossima oppure tra quattro anni, noi crediamo che la sinistra debba proporsi unita per contrastare la pericolosa deriva di destra che sta inquinando il Paese. I laburisti italiani hanno un loro programma ben articolato consultabile sul sito dell’associazione. Ma non abbiamo ovviamente la pretesa di imporlo a nessuno. Lega e Cinquestelle hanno vinto le ultime elezioni con due parole d’ordine: ri17
spettivamente abolizione della legge Fornero e reddito di cittadinanza. A oltre un anno dall’insediamento del governo, la Fornero è ancora legge e il reddito di cittadinanza ha raggiunto una platea minima di aventi diritto, per di più non elargendo, nella larghissima maggioranza dei casi, i 780 euro promessi. Noi crediamo che il fronte progressista in vista delle prossime elezioni debba individuare due temi forti da portare aventi con la massima energia. Due proposte che potrebbero riguardare i diritti dei lavoratori (ad esempio l’abolizione dei contratti giornalieri, il ripristino dell’art. 18 e cosi via) e un grande piano di edilizia pubblica (da sempre il settore dell’edilizia è trainante per lo sviluppo economico) per la messa in sicurezza dei tanti edifici ancora non in regola con le norme antisismiche. Sono solo due esempi cui si possono sovrapporre tranquillamente altri temi come l’ambiente, il welfare, l’istruzione e la sanità pubblica. È necessario però che si rivolgano e interessino chiaramente le fasce più deboli della popolazione perché non si dovrà mai più sentir dire che la sinistra sia portavoce degli interessi delle banche e della finanza internazionale. Le risorse necessarie andranno recuperate attraverso un contributo di solidarietà da parte dei redditi più alti che potremo anche non definire “patrimoniale” per non urtare la suscettibilità di qualcuno. Su questi due punti occorrerà la massima convergenza e una grande campagna di comunicazione perché il messaggio giunga chiaro e forte a tutti i cittadini. Noi Laburisti, fin da ora, impegneremo tutte le nostre energie affinché si possa giungere a un fronte unitario che si riconosca nei valori comuni dell’eguaglianza, della giustizia sociale, dell’accoglienza, della solidarietà. Riteniamo che solo così si possa sconfiggere la destra ora al governo nel nostro Paese. 18
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Inchiesta
Arma Locale – Capitolo tre Il ritorno dello Sviluppo sostenibile di Fabio CHIAVOLINI
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La collaborazione pubblico/privato per creare una nuova rete di sicurezza La voglia di fare sistema e la ricerca di obiettivi comuni per riprendere la via di uno sviluppo sostenibile sono una relativa novità sul piano nazionale ma una realtà diffusa a livello locale. Quello che serve è una nuova rete di sicurezza per le imprese territoriali, una concertazione che coinvolga tutti gli attori e i territori: servono organismi per favorire, a livello territoriale e in modo democratico, la concentrazione di risorse, la concertazione degli obiettivi e la governance necessaria a raggiungerli. Il modello dell’Holding Territoriale, in conformità a soluzioni simili adottate nel resto dell’Europa, ma nel rispetto della “diversità italiana”, prevede la creazione di una “rete di sicurezza” i cui nodi sono costituiti dai diversi attori economici, politici e sociali presenti sul territorio, a oggi non ancora organicamente collaborativi. Creando Holding Territoriali nei diversi territori si potrà innescare lo sviluppo sostenibile, costituire “griglie” locali e una reattiva rete nazionale di sicurezza in grado di attenuare crisi economiche e combattere vecchie e nuove povertà. L’Holding Territoriale, in altre parole, serve a creare in tempo utile (economicamente e socialmente) strumenti che servano a informare di sé il Territorio e a consentirgli l’innesco dello sviluppo sostenibile. Il modello, come vedremo in seguito, valorizza il patrimonio del territorio fornendo strumenti formali alla comunità locale per preservare la sua identità, valorizzarla e competere globalmente. L’Holding Territoriale, nascendo sul territorio come espressione della comunità locale, è un modo per "coprire il vuoto" nel fondamentale coordinamento tra risorse
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e competenze pubbliche e private: tale coordinamento è vitale per gestire la complessità. Il modello, come vedremo, è applicabile a vari territori e a varie situazioni perché produce valore economico non disgiunto da quello sociale. La sfida odierna riguarda la capacità di gestire la complessità. La globalizzazione ha portato a un mercato fluido, veloce, di difficile previsione: per mantenere/ aumentare/riconquistare competitività sul mercato globale, alle economie sono richieste infrastrutture stabili e resistenti ai cambiamenti. Per questi motivi è grande il bisogno di attrarre investimenti in progetti di pubblico interesse e di conciliare l'aspetto privatistico dei progetti con quello pubblico. L’Holding Territoriale può essere considerata la “personificazione” della comunità locale o, meglio, il luogo dove gli attori impegnano capitali (e non solamente in termini economici ma anche sociali: all’Holding è conferito anche il “capitale sociale”).
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L’Holding Territoriale: dal government alla governance Facciamo solo un accenno al problema della governance. Negli ultimi anni si assiste ad una moltiplicazione e differenziazione dei livelli di governo: verso l’alto (con il processo di sovra-nazionalizzazione) e verso il basso (con la devoluzione di poteri e competenze a livelli di governo subordinati a quello nazionale – regioni, province, enti locali). Abbiamo, quindi, una molteplicità di livelli che interagiscono tra loro e richiedono a loro volta funzioni di coordinamento. Pertanto, la concertazione e l’apertura non riguardano esclusivamente i rapporti tra pubblico e privato ma, anche, i rapporti tra i diversi livelli delle istituzioni pubbliche. Nell’Holding Territoriale ritroviamo un coordinamento di una molteplicità di livelli di governo, pubblici e privati, che interagiscono nel Territorio con obiettivi determinati. Le interazioni sono basate sul riconoscimento dell’interdipendenza reciproca, poiché nessun attore pubblico o privato, singolarmente preso, ha le conoscenze e le risorse necessarie per affrontare da solo problemi complessi e diversi. La governance dell’Holding Territoriale si pone come una soluzione alla complessità, tanto più necessaria quanto più il sistema politico ed economico si va configurando come una rete fluida ed aperta di attori che agiscono a differenti livelli di governo e cui manca una “legittimazione” – non formale e politica ma operativa. Il modello dell’Holding Territoriale può essere letto come un sistema di continua negoziazione tra i diversi livelli di governo coinvolti, pubblici e privati, che vede coinvolte sempre le competenze adeguate al problema. In previsione delle “reti economiche sociali” sono fondamentali le reti che si consolidano tra una varietà di attori diversi (segmenti della pubblica amministrazione, 23
lavoratori, cittadini, interessi organizzati, imprese, attori no profit, ecc.) attorno ad un ambito di policy o, anche e semplicemente, ad una questione specifica. Si tratta di meccanismi innovativi, alternativi alla gerarchia, su cui si deve costruire la nuova governance territoriale. Rhodes, associando il concetto di governance a “reti inter-organizzative autoreferenziali”, ne individua le principali caratteristiche in: - interdipendenza tra le organizzazioni; - rilevante grado di indipendenza della rete dallo Stato centrale; - continua interazione tra i membri della rete, dovuta alla necessità di scambiare le risorse e negoziare gli obiettivi da raggiungere; - possibilità di descrivere tali interazioni come “giochi”, basati sul riconoscimento di fiducia e attendibilità reciproca e sull’accettazione di regole di comportamento negoziate e accettate da tutti i membri della rete. La partecipazione attiva dei diversi attori all’interno della rete di rapporti che si forma intorno e dentro ad una Holding Territoriale porta a modificare con maggiore incisività la loro logica di azione, predisponendoli ad un “gioco cooperativo”. La logica di cooperazione stabile che s’instaura aumenta la motivazione e l’interesse dei diversi attori coinvolti al raggiungimento di soluzioni e risultati soddisfacenti per la politica economica oggetto della rete, anche a scapito delle proprie posizioni e interessi iniziali. In altre parole, in virtù della partecipazione all’Holding Territoriale si verifica, da parte di ciascun attore, una parziale ridefinizione dei propri obiettivi favorendo, così, il veloce raggiungimento di soluzioni comuni. 24
Government
Governance
Attori
Pochi e omogenei (politici e amministrativi)
Molti e differenziati (politici, amministrativi, economici, sociali)
Struttura del governo
-Gerarchica -Consolidata
-Decentrata e frammentata -Fluida
Legittimazione politica
- Democratico – rappresentativa
-Democratico – diretta -Influenza diretta degli interessi
Rapporto fra la politica -Fondato su rappresentane gli interessi economici e za, pressione e scambio sociali
-Fondato sulla rappresentanza -Inclusione diretta nella definizione delle politiche
Gestione amministrativa
-Burocratica
-Post – burocratica, con gradi variabili di orientamento al mercato
Azione pubblica
-Routinizzata -Simile fra i diversi settori -Indisponibile all’innovazione
-Innovativa e differenziata
Rapporto con il governo statale
-Controllo gerarchico -Dipendenza fiscale
-Decentramento delle funzioni amministrative
Tabella uno: caratteristiche del government e della governance a confronto 25
La contemporanea riduzione dell’influenza dello Stato centrale e l’aumento dell’interdipendenza degli attori, governativi e non, nell’affrontare i problemi economici e sociali, rappresenta un diverso modo di essere dello Stato che si traduce in un nuovo processo di governo basato sul decentramento istituzionale/funzionale e sul riconoscimento della negoziazione e della contrattualizzazione come criterio fondamentale per la regolazione dei rapporti tra le parti. La governance, quindi, si caratterizza come un “processo di elaborazione, determinazione, realizzazione ed implementazione di azioni di politica economica e sociale condotte secondo criteri di concertazione e di partenariato tra soggetti pubblici, privati, del terzo settore e della società civile”. Tale processo presuppone due diverse forme di coordinamento tra gli attori sociali coinvolti: quello tra attori istituzionali e quello tra autorità pubbliche e stakeholders territoriali. Il coordinamento tra attori istituzionali assume due diverse forme: - una di carattere orizzontale, in altre parole tra soggetti di pari livello ma che operano in differenti aree territoriali o in ambiti di competenza eterogenei; - una di carattere verticale, cioè tra autorità che esercitano i propri poteri su scale territoriali di diversa ampiezza. Il coordinamento orizzontale presuppone che, su scala territoriale, prevalga uno stile di lavoro ispirato alla collaborazione tra amministratori pubblici, strutture private e cittadini. Inoltre, implica un atteggiamento di collaborazione su scala interlocale. Il coordinamento tra le autorità pubbliche, gli operatori economici e gli stakeholders territoriali – vale a dire l’associazionismo e la società civile – si può realizzare solo attraverso un modello di azione che valorizzi il ruolo degli stakeholders e, quindi, attraverso tutti quei meccanismi prima citati che favoriscono la democratiz26
zazione dell’azione di governance economica ed amministrativa, mediante l’acquisizione del preventivo consenso dei cittadini, il rendere responsabile gli stessi ed il miglioramento della qualità dei provvedimenti e dell’attuazione delle decisioni adottate. In sostanza, ricorriamo alla concezione di governance dell’Holding Territoriale per designare una ricerca di “buongoverno” di diversi livelli di governo, orientata verso procedimenti di decisione caratterizzati da un maggior grado di coinvolgimento e partecipazione. Alla fine di quest’accenno appare opportuno cercare di compiere una prima sistematizzazione del concetto di governance dell’Holding Territoriale, individuandone le caratteristiche distintive: - partecipazione: di attori pubblici e privati; - negoziazione: gli attori devono concordare scopi e mezzi degli interventi con gli stakeholders locali; - coordinamento: nel loro operato, al fine di ottimizzare i risultati, gli attori devono collaborare fattivamente per il raggiungimento degli obiettivi, travalicando i limiti di una gestione gerarchica ed adottando nuovi modelli ed approcci che consentano una più rapida ed efficace soluzione dei problemi; - responsabilità: gli attori devono definire con chiarezza i ruoli all’interno dei processi, in modo che sia sempre possibile individuare il soggetto da cui dipende la decisione e/o l’azione; - trasparenza: gli attori devono essere “permeabili”, cioè conoscibili agli stakeholders; - coerenza: i progetti devono essere coerenti – cioè non in contraddizione tra di loro – e di facile comprensione; 27
- efficacia ed efficienza: gli attori devono adottare criteri e strumenti che consentano di dare conto del loro lavoro sia sotto il profilo del raggiungimento dei risultati, sia sotto quello dell’uso corretto del denaro (pubblico e privato) e della riduzione del consumo del territorio. L’Holding, dunque, a livello territoriale costituisce un nuovo modello di sviluppo, alternativo a quel politico-burocratico – basato sulla centralità dell’autorità pubblica statale, sull’isolamento e sull’omogeneità delle istituzioni di governo pubblico, sulla sovranità e superiorità dell’autorità pubblica, sull’importanza preminente degli aspetti profittuali – che esprime l’esigenza di allargare il consenso sociale attraverso l’introduzione di meccanismi e prassi che rendano effettiva la partecipazione di tutti gli attori all’azione pubblica, in un contesto di trasparenza amministrativa che attribuisce chiaramente la responsabilità delle decisioni e delle azioni ai vari attori coinvolti, in modo da migliorarne l’efficacia, l’efficienza e la coerenza. Ambiti di applicazione dell’Holding Territoriale
L’Holding Territoriale è uno strumento di valorizzazione e costruzione del capitale sociale. Rispetto al tasso di sviluppo del territorio ed al sistema produttivo, quattro sono i casi possibili: 28
1. territori con alto tasso di sviluppo e monocultura produttiva: in questi contesti, l’Holding Territoriale è uno strumento di razionalizzazione ed indirizzo, fornendo aiuto nella definizione degli assi strategici per lo sviluppo della diversificazione; 2. territori con alto tasso di sviluppo e produzioni diversificate: in questi contesti, l’Holding Territoriale concorre a razionalizzare il sistema offrendo strumenti di governance alla comunità locale; 3. territori con basso tasso di sviluppo e monocultura produttiva: in questo caso, l’Holding Territoriale contribuisce a razionalizzare e potenziare la monocultura produttiva (solo in seguito al potenziamento della monocultura si potrà pensare alla diversificazione); 4. territori con basso tasso di sviluppo e produzioni diversificate: il ruolo dell’Holding Territoriale è, in questo caso, di coordinamento, focalizzazione e supporto ai temi produttivi più sostenibili per quel tipo di territorio. Fondamentale (e comune ai quattro casi) è che l’Holding Territoriale diventi lo strumento all'interno del quale si decidono strategicamente i progetti che devono essere portati avanti e, come tale, sia portata a gestire il territorio in termini di sostenibilità, in un’ottica di diversificazione di lungo periodo. Produzione Monocultura produttiva Produzioni diversificate Territorio Alto Holding Territoriale strumento per la ra- Holding Territoriale strumentasso di sviluppo zionalizzazione e l’orientamento alla di- to per la razionalizzazione e il versificazione potenziamento della business community locale
Basso Holding Territoriale strumento per la ra- Holding Territoriale strumentasso di sviluppo zionalizzazione della monocultura produt- to per la generazione di stratetiva gie
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Opinioni
Giuseppe Conte, l’outsider, ovvero il brutto anatroccolo diventato cigno - pag. 31 di Aldo AVALLONE La Risposta del Direttore - pag. 33 di Fabio CHIAVOLINI
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Opinioni
Giuseppe Conte l'outsider, ovvero il brutto anatroccolo diventato cigno di Gennaro PEZZELLA
Non aveva avuto un grande esordio sembrava un burattino in mano a due consumati burattinai, Salvini e Di Maio che gli passavano foglietti con ordini precisi. Eppure pian piano ha saputo risalire la china, ha stretto un patto di ferro con Mattarella, che ha intravisto in lui doti di gran mediatore, si è fatto conoscere a Strasburgo, non ha reagito alle provocazioni, ha portato il suo stile sobrio e misurato in Europa. Poliglotta, ha stretto amicizia personale con Macron, ma anche con la Merkel. Si è fatto apprezzare da Junker che ne ha tessute pubbliche lodi. Poco a poco, è diventato il contraltare naturale a Salvini che, intanto, incappava nell'affaire Savoini. Ma il suo capolavoro è stato quello di far votare ai Grillini, contro il volere di Salvini, come presidente della Commissione europea la candidata della Merkel, eletta per soli nove voti di scarto. Chapeau a questo novello Richelieu, l'Europa dovrà dargli ancora più credito, cal31
mierando lo spread e magari concedendo un commissario di valore ai Cinquestelle. Dopo l’elezione dell’Ursula von der Leyen, Salvini dalla fredda Finlandia ha gridato come un cinghiale ferito, ma ormai “les jeux sont faits”. È nata una nuova stella sul proscenio della politica; scommetto che sentiremo sempre più parlar bene di lui. In sostanza si svela come vero anti Salvini.
Credo che anche il Pd di Zingaretti guardi a lui come possibile cerniera del nuovo centro sinistra anti Salvini e anti Meloni e, tutto sommato, non dispiace nemmeno a Berlusconi, che ha votato anche lui la Von der Leyen. Solo Renzi continua a ringhiare, come Salvini, ma l'affare Consip e lo scandalo CSM potrebbero essere pronti a farlo scomparire dalla scena politica. 32
Opinioni
La risposta del Direttore di Aldo AVALLONE, Direttore Responsabile de l’Unità Laburista
Pubblichiamo volentieri l’opinione di Gennaro Pezzella che ci fornisce un ritratto del primo ministro Conte guardato sotto una luce del tutto particolare. Riconosciamo al premier, che opera in una posizione politica scomoda, innegabili doti di diplomazia che è costretto a mettere in atto di continuo per permettere al proprio esecutivo di sopravvivere. Riteniamo, altresì, che un governo nato da un “contratto” sottoscritto da due forze politiche, entrambe lontane dagli ideali e dai valori della sinistra, non possa fare il bene del Paese. Il nostro giudizio è negativo senza se e senza ma. Non è questa la sede per redigere l’elenco dei provvedimenti adottati e di quelli che sono nel programma di governo, che vanno in senso contrario agli interessi dei lavoratori e dei ceti sociali più deboli. Dall’autonomia regionale differenziata alla flat tax. Le politiche sull’immigrazione, pienamente condivise sia da Lega sia dal Movimento 5Stelle, non sono che la ciliegina sulla torta. Ebbene, Giuseppe Conte è a pieno titolo il primo ministro di questo governo e ne porta sulle spalle la responsabilità politica.
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Non pensiamo che l’eleganza e la conoscenza delle lingue siano sufficienti a fare di lui un buon primo ministro.
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