Il gioco che guarisce. Teoria e pratiche di psicoterapia con bambini e adolescenti

Page 1

Violet Oaklander

Violet Oaklander, classe 1927, è una psicoterapeuta specializzata in infanzia e adolescenza, la fondatrice della Gestalt applicata all’età evolutiva. Ha svolto per 35 anni la libera professione a Santa Barbara (California) e per 27 anni ha insegnato il suo metodo a professionisti di tutto il mondo. Ha fondato e diretto il centro di terapia per bambini e adolescenti a Hermosa Beach, California, e dal 2003 la fondazione che porta il suo nome a Los Angeles. Dal 1973 è membro del Gestalt Therapy Institute di Los Angeles. È stata insignita del “lifetime achievement” dall’associazione americana Play Therapy. Autrice di numerosi articoli e capitoli, ha pubblicato Il gioco che guarisce per la prima volta nel 1978. Il libro ha avuto un’ampia risonanza internazionale ed è stato tradotto da allora in 16 lingue. Nel 2006 è uscito il suo secondo libro, Il tesoro nascosto, tradotto ad oggi in 7 lingue.

copertina disegno Fabio Magnasciutti InIn copertina disegno di di Fabio Magnasciutti

IL GIOCO CHE GUARISCE Teoria e pratiche di psicoterapia con bambini e adolescenti

IL GIOCO CHE GUARISCE

Il bambino si sviluppa attraverso l’esperire. La consapevolezza di sé infatti è così strettamente legata al fare esperienza che non può esistere l’una senza l’altra e viceversa. Allo stesso modo, via via che in terapia il bambino sperimenta i suoi sensi, il suo corpo, le sue emozioni e il modo in cui può usare l’intelletto, riacquista una sana posizione verso la vita. Amare i bambini, stabilire con loro un rapporto di accettazione e di fiducia, conoscere qualcosa del loro sviluppo, di come crescono e apprendono, comprendere i contenuti importanti che corrispondono a particolari livelli di età, sono i presupposti di base necessari per chiunque lavori con i bambini. Le innumerevoli tecniche descritte dall’autrice in queste pagine servono a dare al bambino esperienze sensoriali, corporee, emozionali, intellettive e verbali e aprono all’immaginazione dell’adulto (sia esso psicoterapeuta, insegnante, educatore o semplicemente genitore) un’infinita gamma di possibilità creative per comprendere i bambini e aiutarli a superare le loro difficoltà. L’obiettivo di questo approccio nella psicoterapia è quello di aiutare il bambino a prendere consapevolezza di se stesso e della sua esistenza nel suo mondo. Ogni terapeuta troverà il proprio modo di raggiungere quel delicato equilibrio esistente fra il dirigere e guidare la seduta da una parte e, dall’altra, seguire le direttive del bambino. Chi lavora con i bambini utilizza molte tecniche creative, espressive e di gioco, ma talvolta questo lavoro viene mal compreso e visto come un “solo giocare”, invece rappresenta la principale forma di contatto possibile tra l’adulto e il bambino. Un libro realistico, facile, pratico, che può diventare una finestra aperta sul bambino che è in voi e con voi.

ISBN 978-88-6153-830-6

Euro25,00 25,00(I.i.) (I.i.) Euro

edizionilalameridiana meridiana edizioni pp a a r r t t e e nn z z e e


Violet Oaklander

IL GIOCO CHE GUARISCE Teoria e pratiche di psicoterapia con bambini e adolescenti Prefazione all’edizione italiana di Giandomenico Bagatin


Indice

Prefazione all’edizione italiana di Giandomenico Bagatin ..................................9 Presentazione di Barry Stevens..........................13 Introduzione......................................................15 La fantasia .........................................................17 Disegno e fantasia..............................................27 Il mio modello di lavoro....................................47 Fare le cose .......................................................57 Storie, poesie e pupazzi ....................................69 L’esperienza sensoriale .....................................83 Recitare .............................................................99 La terapia del gioco ........................................115 Il processo terapeutico ...................................129 Problemi specifici di comportamento ...........145 Altre considerazioni .......................................197 Una nota personale .........................................219 Bibliografia......................................................223



Prefazione all’edizione italiana di Giandomenico Bagatin1

Scherzosamente chiamato in ambito internazionale The bible (La bibbia), Il gioco che guarisce di Violet Oaklander è uno dei capisaldi della psicologia e della pedagogia dell’età evolutiva nel mondo. Edito in originale la prima volta nel 1978, tradotto (per ora) in sedici lingue continua a essere la sintesi teorica, ma soprattutto pratica, dello straordinario lavoro della psicoterapeuta americana che ho avuto la fortuna di conoscere nel 2010 e che ancora oggi, a oltre 90 anni, assiste me e tutti i didatti del suo metodo con i suoi racconti e la sua esperienza. Nonostante siano passati oltre 40 anni dalla prima pubblicazione americana di Windows to Our Children (finestre sui nostri bambini, questo il titolo originale) questo testo è arrivato, oggi, a un’edizione italiana completamente nuova. E qui si conferma a una attenta rilettura un libro illuminato, straordinariamente attuale e di valore transculturale. Il modello Oaklander è in effetti oggi diffuso in tutti i continenti e in Italia vanta una comunità enorme, competente ed entusiasta. 1. Psicologo e psicoterapeuta, responsabile di Gestalt Play Therapy Italia.

Questo fatto ci risulta ancora più stupefacente pensando che il cuore di questo libro è nato dalla tesi di dottorato di Violet Oaklander. Ma non solo. Dalla pratica di aiuto ai bambini – dopo tanti anni di esperienza come insegnante di sostegno, dopo la sua conoscenza della Gestalt primariamente attraverso l’essere stata paziente di Jim Simkin all’Esalen Institute in California e durante la fine del suo training in Gestalt Therapy – Violet mette cuore e anima nel comprendere cosa fa di così tremendamente efficace per risolvere i problemi dei bambini e come può trasmetterlo. E in questo libro lo fa sotto la spinta di precise indicazioni da parte dell’originale editore americano: “Non metterci teoria, alla gente non interessa”. Nonostante queste indicazioni la teoria ne Il gioco che guarisce c’è eccome. Ma c’è soprattutto pratica. Violet racconta la sua esperienza: cosa ha funzionato, facendoci partecipare a sedute e sedute con i suoi bambini. Cosa ha capito, mentre ci racconta come ha integrato contributi di tantissimi altri autori di altrettanti approcci, rendendo la Gestalt Play Therapy di fatto un approccio integrato e integrabile. Ci racconta le tecniche, le idee, gli spunti di lavoro: moltissimi. Quando la stessa autrice chiama scherzosamente questo testo un libro di cucina, di “ricette”, lo fa a ragion veduta. Il gioco che guarisce è soprattutto “What to do with kids”: cosa fare con i bambini per aiutarli. E in questo funziona magnificamente. Ma è anche molto di più. Violet Oaklander non è stata una scrittrice particolarmente prolifica: il cuore del suo insegnamento è avvenuto principalmente attraverso i corsi esperienziali. Il suo training internazionale per 27 anni ha formato terapeuti provenienti da ogni parte del mondo. E nonostante la recente pubblicazione (finalmente!) in lingua italiana del suo secondo libro Il tesoro nascosto, che spiega più nel dettaglio la parte teorica del suo lavoro, Il gioco che guarisce resta un testo insostituibile. I motivi sono principalmente tre. IL GIOCO CHE GUARISCE

9


Il primo è che è una miniera di idee per chiunque lavori con i bambini, ma anche per i genitori. Le idee di Violet derivano dall’esperienza reale del suo essere stata terapeuta, insegnante, mamma, genitore e paziente/cliente. Il secondo motivo è che è uno di quei libri dove ci si può sedere insieme all’autrice nella stanza di terapia e vivere l’esperienza con lei. Ci troviamo racconti di sedute, esempi, possibilità diverse di esplorare e far esplorare aspetti diversi della mente e del cuore dei bambini. Il modello Oaklander è per certi aspetti quello che chiamiamo una teoria induttiva, cioè un modello di intervento che deriva dalla pratica clinica. Il terzo motivo è che prevede la possibilità di aiutare i bambini a rinforzarsi e a gestire le loro difficoltà anche senza la possibilità di agire sul sistema di appartenenza, sia esso familiare, sociale, culturale o anche quando questa possibilità è molto ridotta. La clinica dimostra che agire con i sistemi aiuta tantissimo, ma possiamo aiutare i bambini anche quando i sistemi sono scarsamente di supporto. I bambini hanno un potenziale di autosostegno, difesa e guarigione che se adeguatamente sostenuto può far fronte a vissuti ed esperienze apparentemente insormontabili, e anche questo spirito di fiducia nel potenziale dei bambini traspare da ogni pagina del libro che hai tra le mani. Voglio infine sottolinearti un ultimo aspetto che rende questo volume un must-read per chi si occupa di bambini e adolescenti. Ti sottolineo questo aspetto come lettore di questa nuova edizione perché è forse l’aspetto che personalmente amo di più, perché è quello che ha avuto il maggior potere trasformativo su di me e l’effetto miracoloso di favorire la costruzione di realtà comunitarie collaborative e amorevoli nel mondo, tra le quali Gestalt Play Therapy Italia (www.gestaltplaytherapy.it) che ho il piacere di coordinare e alla quale ti invito a unirti. Il gioco che guarisce è un libro onesto. All’inizio di questo libro Violet ci racconta che 10

Violet Oaklander

quando una bambina le ha chiesto come mai era riuscita a farla stare meglio lei risponde “in realtà non lo so con esattezza”. Anche nei suoi racconti personali la terapeuta americana ha un atteggiamento simile. Molto spesso conclude le sue coinvolgenti narrazioni raccontando di genitori e bambini che stanno meglio in poco tempo e le chiedono: “Ma cosa diavolo hai fatto?”. E le sue risposte sono spesso: “Niente”, “Non lo so, ho solo…”. In ciò risiede un elemento di umiltà e onestà straordinario. La terapia psicologica con i bambini è difficile. Ed è difficile per una serie di ragioni. I bambini solitamente non chiedono di andare in terapia, ci vengono portati. Non ci sono passe-partout terapeutici, strategie e domande o protocolli che è possibile usare rigidamente passando la palla al cliente. Due armi fondamentali degli psicoterapeuti, specie quelli meno esperti e meno esperienziali, sono la spiegazione e le domande. Queste due armi sono sopravvalutate in generale anche con gli adulti (specie la prima) e con i bambini sono raramente utili. La terapia non può essere noiosa, lunghissima o eccessivamente frustrante. E per quanto possiamo essere in gamba e fiduciosi nel potenziale di autosostegno di un bambino spesso i sistemi di appartenenza hanno un potere di gran lunga superiore a quello degli operatori d’aiuto. Abbiamo meno potere di quello che ci piacerebbe avere. Di frequente nei libri di psicologia e di psicoterapia, in particolare gli aneddoti clinici, i successi e l’aderenza ai protocolli vengono aggiustati e modificati per sostenere una tesi o un modello. Ne Il gioco che guarisce ti troverai a leggere: Guardando il disegno di Susan schiacciato su una parte del foglio avrei potuto dire a me stessa: “Ah, questa bambina è ovviamente costretta e compressa. Ha paura e si tiene fermamente chiusa, o è sbilanciata in qualche modo […] queste affermazioni potrebbero essere vere […] ma quello che so è che la sua affermazione [che la parte bianca del disegno sulla sinistra fosse lo spazio per le cose che il


futuro aveva da offrirle] insieme alla sua voce e alla sua faccia quando lo diceva, hanno mostrato ottimismo, speranza e apertura alla vita.

E poi Violet aggiunge che avrebbe potuto, anziché fare quello che ha fatto, fare altre tre o quattro manovre terapeutiche, e che probabilmente sarebbero state utili a rinforzare il sé di Susan. Questi passaggi mostrano una Violet Oaklander che discute possibilità, propone spunti, si mette in discussione nel suo stesso libro, e ci mostra una dedizione e una passione per la ricerca e la sperimentazione che non può che essere contagiosa. In altri termini oltre a predicare una relazione paritaria con i bambini, rispetto, sincerità, accettazione amorevole per se stessi e per l’altro, accoglienza per tutte le emozioni, Violet Oaklander ha scritto un libro in aderenza totale a questi principi e con lo stesso atteggiamento trasparente con cui faceva terapia. Un atteggiamento che ti porta a credere, leggendola, che lo faccia per condividere il suo lavoro e mettere a disposizione, con generosità, degli strumenti piuttosto che per convincerti della bontà delle sue tesi. E nel fare questo ci risulta credibile, tridimensionale, umana e una persona della quale fidarsi e dalla quale imparare davvero. In questo senso l’onestà di questo volume è contagiosa. È stato uno dei primi libri al mondo sulla psicoterapia dell’età evolutiva a rispondere esaustivamente alla domanda terapeutica: “Cosa fare in concreto con i bambini per aiutarli?” ponendo domande oltre che risposte (moltissime), usando episodi autobiografici con commovente apertura, e spunti di altri teorici dell’età evolutiva. Ma nonostante questo Violet non ha voluto vendere il rimedio magico a tutti i mali, il modello migliore degli altri o la verità con la V maiuscola. “I don’t fix kids”, scrive. Non aggiusto bambini, li aiuto a stare meglio con loro stessi. Ma è tantissimo. Violet porta in dote al lettore un pacchetto di

strumenti e una visione del mondo del bambino eccezionalmente efficace con la semplicità dei grandi terapeuti, ma affascina e fa’ venir voglia di entrare più in contatto con le sue creazioni e la sua visione anziché studiare e passare avanti. E dalle pagine di questo libro traspare anche uno spirito di accettazione, amore e libertà che ci invita ad avvicinarci alla visione umanistica del bambino per essere connessi e partecipi a un cambiamento profondo della psicoterapia e dell’educazione, dalla cura del sintomo al supporto dello sviluppo del pieno potenziale degli esseri umani. Non potrei essere più felice per il fatto che ti trovi tra le mani la nuova edizione di quest’opera. Il gioco che guarisce è una pietra miliare e spero di cuore che potrà rappresentare, come è stato per me, l’inizio di un modo nuovo, efficace, amorevole e soddisfacente di affrontare il delicatissimo compito di fare in modo che i bambini crescano al massimo delle loro potenzialità. Di pari importanza, ti auguro che questo ti possa avvicinare di più alla gioia e alla meraviglia di fare questo lavoro e condividere questo spazio di cuore con i bambini e i ragazzi. Gioia che traspare a ogni pagina di questo manuale insostituibile. Buona lettura.

IL GIOCO CHE GUARISCE

11


Presentazione di Barry Stevens

Quando lessi il manoscritto di questo libro, pensai: “Può interessare chiunque, chiunque abbia a che fare con i bambini”. Non feci caso al fatto che il mio “chiunque” escludesse qualcuno. Mentre leggevamo ad alta voce le bozze per un confronto con il manoscritto, Summer, 7 anni, entrò nella stanza. Cominciò a fare disegni con i pastelli. Non si agitò e non si mosse in continuazione, come faceva di solito; non chiese a sua madre quando sarebbe andata a casa. Rimase tranquilla, ascoltando il libro che veniva letto ad alta voce. Più tardi disse che le era piaciuto. Una parte sostanziale di questo libro consiste nei racconti di bambini che parlano di se stessi, con la sincerità resa possibile da Violet Oaklander. A chi dovrebbe interessare di più se non a un altro bambino? Eppure, quando mi chiedevo a chi potesse interessare, vedevo solo adulti: terapeuti, insegnanti, genitori. Non vi includevo coloro che rappresentano l’argomento del libro. Violet dimostra come questa sia una causa prima di molte delle difficoltà in cui incorrono i bambini. Noi adulti li escludiamo spesso dall’informazione e dall’espressione, lasciandoli nella confusione. Fermatevi un momento a ricordare la vostra infanzia e gli sforzi per comprendere il mondo adulto... Violet ne ha un chiaro ricordo e questo costituisce una parte importante della sua conoscenza e della

sua comprensione dei bambini. Lei possiede tutte le credenziali ufficiali, ma le sue esperienze con i bambini e i ricordi della propria infanzia sono di gran lunga più importanti. È su questo che si basa la sua singolare comprensione di “come si sono confusi”. Alcuni adulti non si sono mai ritrovati. Per essi, questo libro può essere l’inizio di una scoperta di sé: un recuperare parti di se stessi che erano state abbandonate nell’infanzia. Violet dice di non avere creato nessuno dei metodi che usa. Ma il modo in cui li usa è altamente originale e creativo, una Gestalt duttile, viva: “Vado dove l’osservazione e l’intuito mi portano, sentendomi libera di cambiare direzione in qualunque momento”. Tutti i suoi sensi sono impegnati allorché si muove con i bambini alla riscoperta del loro sperimentare. Non prova disagio per i suoi errori, ne cita qualcuno e dice: “Credo che non si possono commettere errori se si ha buona volontà e ci si astiene da interpretazioni e giudizi”. (Molti di noi hanno buona volontà; pochi si astengono dai giudizi o addirittura si accorgono di interpretare.) Violet parla con i bambini in modo semplice, diretto – nel modo in cui vorremmo che qualcuno ci parlasse sempre, ma che raramente incontriamo, perfino negli amici e nei parenti. “Mi lancio in un’articolata spiegazione... e alla fine dico ‘Debby, in realtà non lo so con certezza.’’’. “Parlammo un po’ della sua solitudine e poi le dissi qualcosa della mia.” Questo libro può diventare una finestra aperta sul bambino che è in voi e con voi. Barry Stevens Giugno 1978

IL GIOCO CHE GUARISCE

13


Introduzione

– Debby (9 anni): Come fai a far stare meglio la gente? – Cosa vuoi dire? (naturalmente sto prendendo tempo). – Debby: Be’, quando la gente viene da te sta meglio. Cosa fai per farla stare meglio? È difficile?. – È come se volessi dirmi che forse stai meglio. – Debby: (annuendo energicamente) Sì! Ora sto meglio. Come mai?. Mi lancio in un’articolata spiegazione sul fare in modo che la gente parli delle sue emozioni, come ho fatto con lei e, alla fine, dico: “Debby, in realtà proprio non lo so con certezza”. *** Ho scritto queste cose più di dieci anni fa e da allora ho passato un sacco di tempo a cercare di rispondere alla domanda di Debby. Oggi onestamente non posso dire di non sapere che cosa fa star meglio la gente, dato che sono più vicina alla risposta di quanto lo fossi allora. Ho un’idea molto più chiara del processo terapeutico con i bambini e come, con le giuste esperienze, l’organismo trova e percorre la via della crescita e del benessere. In questi dieci anni sono stata in contatto letteralmente con centinaia di bambini e famiglie, e

probabilmente con migliaia di persone che lavorano con bambini in tutte le parti del mondo. Tutte queste persone mi hanno insegnato qualcosa e mi hanno aiutato a rispondere alla domanda di Debby. Questo libro ha viaggiato anche più di me, e dalle migliaia di lettere che ho ricevuto – alcune delle più toccanti che io abbia mai letto – io so che questo libro ha raggiunto lo scopo da me sperato. Mi sento privilegiata per aver trovato un modo concreto di aiutare i bambini ad attraversare i momenti difficili della loro vita. Il mondo non è stato tenero con i bambini in questi ultimi dieci anni. Ciò che trovo molto incoraggiante è la maggiore consapevolezza verso i loro bisogni. Ho scritto questo libro per condividere le mie esperienze con chi si rende conto di tali bisogni e cerca di aiutare i bambini a crescere forti nonostante i traumi che possono aver subito. Dieci anni sono tanti. Quando rileggo il mio libro sono ancora in sintonia con quel che ho scritto dieci anni fa. Tuttavia, sono perfettamente consapevole, per ogni pagina, di voler dire di più. Sono stata arricchita da tanti, tanti altri bambini, con cui ho avuto esperienze incredibili; ho allargato le mie tecniche qui descritte e ne ho sviluppate di nuove e meravigliose. Mi hanno entusiasmato nuovi concetti, e alcuni dei vecchi li ho rielaborati. Ho trovato molte nuove risorse – e adesso le insegno – che mi aiutano nel nostro lavoro. C’era da aspettarsi tutto questo. Mi piace il fatto che più invecchio, più continuo ad allargare i miei confini. Forse ci sarà un giorno in cui vorrò racchiudere questi nuovi apprendimenti in un nuovo libro. Nel frattempo, spero che questo vecchio continuerà a crescere e a ispirare.

IL GIOCO CHE GUARISCE

15


La fantasia

Fra un minuto chiederò a tutti voi di chiudere gli occhi e vi porterò con l’immaginazione a una gita di fantasia. Quando avremo finito, aprirete gli occhi e disegnerete quel che vedrete alla fine di questo viaggio. Ora mettetevi più comodi che potete, chiudete gli occhi e prendete posto: entrate in quello che chiamo “il vostro spazio”. Voi occupate sempre questo spazio in questa stanza e ovunque voi siate, ma normalmente non ci fate caso. Con gli occhi chiusi, potete avere la percezione di questo spazio – dove si trova il vostro corpo e l’aria che vi circonda. È bello trovarsi lì, perché è il vostro posto. Notate cosa succede nel vostro corpo, se ci sono tensioni da qualche parte. Non cercate di rilassarle. Limitatevi a notarle, percorrendo il corpo dalla testa ai piedi. Come state respirando? Fate respiri profondi oppure piccoli e affrettati? Ora vorrei che faceste un paio di respiri molto profondi. Fate uscire l’aria con un suono. Aaaah. OK. Adesso vi racconterò una storiella e vi porterò a una gita di fantasia. Immaginate ciò che vi dico e vedete come vi sentite mentre lo fate, se vi piace fare questa gita oppure no. Se incontrate posti che non vi piacciono, non dovete andarci per forza. Limitatevi ad ascoltare la mia voce, seguite se volete, e vediamo cosa succede. Immaginate di camminare nel bosco. Ci sono alberi tutt’attorno e gli uccelli cantano. Il sole penetra attraverso gli alberi e c’è ombra. È molto bello passeggiare in questo bosco. Ci sono dei fiorellini, fiori selvatici, lungo il margine. Voi state camminando per il sentiero. Ci sono rocce ai lati del sentiero e di tanto in tanto vedete sgattaiolare un animaletto, forse un coniglio. Continuate a camminare e presto notate che il sentiero si fa ripido e che state salendo. State scalando una montagna. Quando arrivate

in cima alla montagna, vi sedete a riposare su una grande roccia. Vi guardate attorno. Il sole splende; gli uccelli volano intorno. Dall’altra parte, al di là di una vallata, c’è un’altra montagna e lassù c’è una grotta e voi vorreste essere su quella montagna. Notate che gli uccelli volano in quella direzione e voi vorreste essere un uccello. A un tratto, poiché questa è una fantasia e può succedere qualunque cosa, vi accorgete che vi siete tramutati in un uccello! Provate a muovere le ali: potete volare davvero. Così spiccate il volo e senza difficoltà volate dall’altra parte. (Pausa per dare il tempo di volare). Atterrate su una roccia e istantaneamente ritornate voi stessi. Salite fra le rocce alla ricerca di un ingresso alla grotta e vedete una porta piccola piccola. Vi abbassate per aprirla ed entrate nella grotta. Dentro c’è tanto spazio da poter stare in piedi. Osservando le pareti della grotta, d’un tratto notate un passaggio, un corridoio. Lo percorrete e presto vi accorgete che ci sono tantissime porte, ognuna con su scritto un nome. All’improvviso, arrivate a una porta con su scritto il vostro nome. Rimanete lì, di fronte alla vostra porta, e pensate che presto l’aprirete e la oltrepasserete. Voi sapete che quello sarà il vostro posto. Forse un posto che ricordate, un posto che state per conoscere ora, uno che sognate, uno che nemmeno vi piace, un posto che non avete mai visto, un posto chiuso o all’aperto. Non lo saprete finché non aprirete quella porta. Ma qualunque esso sia, sarà il vostro posto. Così, girate la maniglia ed entrate. Guardatevi attorno! Siete sorpresi? Guardatelo bene. Se non lo vedete, inventatene uno adesso. Vedete cosa c’è, dove si trova, se è al chiuso oppure fuori. Chi c’è? Ci sono persone, persone conosciute o sconosciute? Ci sono animali? O non c’è nessuno? Come vi sentite in questo posto? Fateci caso. State bene o non tanto bene? Guardatevi attorno, muovetevi nel vostro posto. (Pausa) Quando sarete pronti, aprirete gli occhi e vi ritroverete in questa stanza. Quando avrete aperto gli occhi, prendete carta e pastelli o penne a feltro o pastelli a olio e disegnate il vostro posto. Vi prego di non parlare nel frattempo. Se dovete dire qualcosa, parlate sottovoce. Se non avete i colori adatti per il vostro posto, venite pure a prendere in silenzio quello che vi serve o prendetelo in prestito da qualcun altro. Disegnate il vostro posto come meglio potete. O, se volete, potete disegnare le vostre emozioni che il posto vi dà, usando colori, forme e IL GIOCO CHE GUARISCE

17


linee. Decidete se mettervi in questo posto, dove e come – come figura o colore o come simbolo. Non è necessario che dal disegno io capisca tutto del vostro posto; avrete la possibilità di spiegarmelo. Credete a ciò che avete visto aprendo la porta, anche se non vi piace. Avete circa 10 minuti. Quando vi sentite pronti, potete incominciare.

Una fantasia come questa va raccontata con voce da fantasia, lentamente, con molte pause, per dare ai bambini l’opportunità di “fare” le cose che diciamo loro di fare. Spesso io stessa chiudo gli occhi e percorro la fantasia mentre la racconto. Ho usato questo tipo di disegno-fantasia con singoli bambini così pure nelle sedute di gruppo e con una vasta gamma di età, dai 7 anni circa fino all’età adulta. Ecco alcuni “posti” di bambini e qualche esempio di come lavoro.

Linda, 13 anni, disegnò una stanza da letto con un letto, un tavolo, una sedia, tre cani sul pavimento e il quadro di un cane sul muro. Il disegno era molto ordinato e aveva tanti spazi vuoti. Linda descrisse il disegno. Poiché faceva parte di un gruppo, gli altri bambini le facevano domande del tipo: “A cosa serve questo?” e lei rispondeva. Chiesi a Linda di scegliere una parte del disegno che le sarebbe piaciuto far finta di essere. Scelse il cane del quadro sul muro. Le chiesi di parlare come il cane di quel quadro, dicendo chi era e cosa stava facendo. Linda 18

Violet Oaklander

descrisse se stessa: “Sono un quadro appeso qui al muro”. Le chiesi come si sentisse a stare lassù. – Linda: Mi sento solo, molto solo. Non mi piace vedere quei cani che giocano. – Parla a questi cani quaggiù e diglielo. – Linda: Non mi piace stare qui a vedervi giocare. Vorrei venire giù e unirmi a voi. – Linda, la ragazza, si sente mai in questo modo, come il cane del quadro? – Linda: Sì! Quel cane sono proprio io. Me ne sto sempre al di fuori. – Vorrei sapere se ti senti così anche qui, ora. – Linda: Sì, mi sento così anche qui. Ma forse ora non tanto. – Cosa stai facendo per non sentirti così ora? – Linda: (con voce molto pensierosa) Be’, sto facendo qualcosa. Perlomeno non sto qui seduta a fare solo il cane del quadro sul muro. Chiesi a Linda una frase da scrivere sul suo disegno e che meglio lo sintetizzasse. “Vorrei venire giù dal muro e unirmi agli altri.” Chiedo spesso ai bambini di dirmi una frase da scrivere sul disegno e le loro frasi spesso riassumono molto succintamente la loro situazione nella vita. Il mio obiettivo era proprio quello di offrire a Linda un modo per diventare più consapevole della sua situazione, per potersene appropriare. A una maggiore consapevolezza segue la possibilità del cambiamento. In questo lavoro, Linda non solo diede voce ai suoi sentimenti di solitudine e di isolamento, ma permise a se stessa di sperimentare qualcosa di diverso, di unirsi agli altri. Inoltre, credo che in lei si sia fatta strada l’idea di potersi prendere la responsabilità della sua vita, di poter fare qualcosa per vincere la sua solitudine. Tommy, 8 anni, fece un disegno del Bambino Gesù, Maria e i Re Magi (era quasi Natale). Dopo che ebbe descritto il suo disegno, gli chiesi di stendersi sui cuscini e di fare il Bambi-


no. Con molte risatine, lo fece. Gli altri bambini avrebbero fatto i Re Magi e io la Madonna. Improvvisammo tutti una scenetta in cui si portavano doni e si parlava di questo splendido bambino. L’enfasi entusiastica della mia recitazione costituì un buon modello da seguire per gli altri bambini. Tommy diventò molto calmo. Via via che si abbandonava sui cuscini, il corpo rilassato e il viso sorridente e sereno davano prova di un completo godimento del momento. Gli chiesi se gli piaceva fare il bambino. Disse che gli piaceva moltissimo poiché sentiva l’attenzione degli altri su di sé. – Ti piace davvero attirare l’attenzione? – Tommy: Sì! – Ti piacerebbe averne più di quanta non ne hai di solito? – Tommy: Sì! Tommy mi chiese di scrivere come frase: “Mi piace essere al centro dell’attenzione e ricevere regali e così sono felice”. Nelle sedute precedenti, Tommy doveva scegliere fra lo stare in gruppo e aspettare in un’altra stanza, a causa del suo comportamento molto turbolento. Spesso sceglieva di andare nell’altra stanza, poiché sentiva di “non potersi controllare”. Per il resto di questa seduta, Tommy partecipò e ascoltò gli altri bambini e non fu turbolento in alcun modo. Rimase calmo e rilassato (questo bambino era stato diagnosticato come “iperattivo”) e le domande e i commenti che fece agli altri bambini sui loro disegni furono sensibili e perspicaci. In qualche modo Tommy era sempre riuscito ad attirare l’attenzione degli altri con la sua iperattività. Il tipo di esperienza fatta in questa particolare seduta fu molto importante per lui; da quel momento in poi, la sua iperattività si ridusse sensibilmente e Tommy attirò l’attenzione su di sé con l’amabile saggezza che riuscì a dimostrare nel nostro gruppo.

In una seduta individuale con me, Jeff, 12 anni, disegnò un castello con le facce di Paperino e Topolino che facevano capolino dalle finestre. Chiamò questo posto Disneyland. Me lo descrisse, dicendomi quanto amasse Disneyland. Gli chiesi una frase da scrivere sul disegno e che riassumesse il suo posto e le sue emozioni verso di esso. Dettò: “Il mio posto è Disneyland perché MI DIVERTO e mi piacciono i personaggi. Là tutto è felice”.

Focalizzai l’attenzione sull’enfasi di “MI DIVERTO” e sulle parole “Là tutto è felice”. Parlammo un po’ di Disneyland e dei suoi personaggi, poi gli chiesi di parlarmi di quella parte della sua vita che non era molto divertente. Lo fece senza difficoltà, contrariamente alla sua precedente IL GIOCO CHE GUARISCE

19


resistenza a entrare in una qualunque area spiacevole della sua vita. Lisa, 13 anni, disegnò una scena del deserto, suo tema tipico nel disegno e nel lavoro con la vaschetta di sabbia. Lisa era affidata a una famiglia, era stata classificata come “pre-deviante” dalle autorità competenti, era altamente turbolenta a scuola, non aveva amici, non andava d’accordo con gli altri bambini di casa e in genere caratterizzava se stessa come “dura” nel parlare, nei modi e nell’abbigliamento. Niente la scalfiva. In quella seduta, disegnò il suo deserto, un serpente e una buca. Dopo che ebbe descritto il disegno le chiesi di fare il serpente, di dargli voce come a un pupazzo e di descrivere la sua vita da serpente.

– Lisa: Sono un serpente, sono lungo e scuro, vivo qui nel deserto, cerco del cibo e poi torno nella mia tana. – È tutto qui quello che fai? Cosa fai per divertirti? – Lisa: Niente. Qui non c’è nessuno con cui giocare. – Come ci si sente? – Lisa: Molto soli. – Lisa, ti senti mai come quel serpente? – Lisa: Sì, sono sola. 20

Violet Oaklander

Lisa perse così il suo atteggiamento da “dura” e cominciò a piangere. Parlammo un po’ della sua solitudine e le confidai qualcosa della mia. Un ragazzo di 14 anni, Glenn, disegnò un gruppo di musica rock chiamato “La Gente”. La sua frase fu: “Una fantasia a cui ho temporaneamente rinunciato, in un certo senso”. Per la prima volta, dopo parecchie settimane di terapia, il ragazzo era in grado di ammettere, o era disposto a farlo, di provare interesse verso qualcosa. Le sue parole “temporaneamente, in un certo senso” mi dissero che qualcosa dentro di lui stava aprendosi alla possibilità che, dopo tutto, avrebbe potuto fare qualcosa nella vita. In passato, le nostre sedute erano state piene della sua disperazione; adesso cominciavamo a esplorare la sua speranza.

Spesso i bambini disegnano posti che sono esattamente l’opposto dei loro sentimenti attuali. Sono frequenti le scene di fantasia con castelli e principesse, cavalieri e stupendi eremi di montagna. Aiutare i bambini a parlare delle emozioni rappresentate da queste scene apre la porta all’espressione delle loro emozioni opposte. Qualche volta chiederò a un bambino di “disegnare un posto bello della tua infanzia o un posto che sai che è bello, vero o inventato”. Di nuovo, come nell’esercizio della fantasia della


grotta, chiederò ai bambini di chiudere gli occhi e di entrare nel loro spazio. Un ragazzo di 13 anni disegnò una scena tratta dai suoi 7 anni. Io scrissi sul disegno sotto sua dettatura: “Questo fu quando avevo 7 anni. Vivevamo nell’Ohio. Papà era appena tornato dal Vietnam. Ero felice. Ma poi cominciò a costringermi a dirgli tutto quello che facevo. Mia madre mi lasciava fare tutto quando lui era via. Lui non mi lascia in pace. I miei fratelli si stanno arrampicando sull’albero. Vorrei che cadessero e si rompessero un braccio. Mi piaceva l’Ohio”. Poi, a bassissima voce, cominciò a parlare del suo volere essere libero “solo per le piccole cose”. Questo bambino si muoveva in continuazione ed era considerato iperattivo. Non riusciva realmente a stare seduto a lungo in un posto e si muoveva in continuazione durante gli incontri di gruppo. Ma quando ebbe finito di parlare, si mise disteso e si addormentò. Nelle sedute successive guardammo il suo disegno e le frasi – che avevo scritto esattamente come le aveva dettate – e parlammo di alcuni suoi sentimenti ambivalenti, il suo fare la spola fra il passato dei ricordi dell’Ohio e il presente della sua vita attuale. Una parte sostanziale di questo libro riguarda l’uso della fantasia. Con la fantasia possiamo divertirci con il bambino e possiamo anche scoprire qual è il suo modo di procedere. Di solito il modo in cui il bambino fa le cose e si muove nel suo mondo fantastico è uguale al modo in cui si muove nella vita. Attraverso la fantasia, possiamo penetrare nel regno interiore del suo essere. Possiamo portare alla luce ciò che è nascosto o evitato e possiamo anche scoprire dalla sua prospettiva cosa sta succedendo nella vita del bambino. Per queste ragioni, incoraggiamo la fantasia e la usiamo come strumento terapeutico. Ricordo un periodo della mia vita in cui la fantasia mi fu di grande aiuto. All’età di 5 anni mi ustionai e dovetti stare in ospedale per diversi

mesi. Poiché non c’era ancora la penicillina, non mi permettevano di giocare con alcun genere di giocattoli per paura delle infezioni (questo lo so adesso; nessuno me lo disse allora). Inoltre, le visite erano molto limitate e io trascorrevo ore ed ore distesa sul letto, senza nessuno con cui parlare e niente con cui giocare. Sono riuscita a sopravvivere a questo dramma immergendomi nella fantasia. Mi raccontavo infinite storie, e mi coinvolgevo tantissimo in ogni trama. I genitori mi chiedono spesso di chiarire bene la distinzione fra fantasia e bugia. Altri sono preoccupati del fatto che i loro figli sembrano perdersi in un mondo fantastico. La bugia è segno che qualcosa non va per il bambino. Più che una fantasia, è una modalità di comportamento, benché a volte le due cose coincidano. I bambini dicono bugie perché hanno paura di prendere posizione su se stessi, di guardare la realtà così com’è. Spesso sono immersi nella paura, nel dubbio, in un’immagine di sé povera, nel senso di colpa. Sono incapaci di far fronte al mondo reale che li circonda e quindi ricorrono a un comportamento difensivo, agendo in maniera opposta a come realmente si sentono. Spesso sono costretti dai genitori a mentire. Questi possono essere troppo severi e incoerenti, nutrire aspettative troppo difficili da soddisfare per il bambino o non essere in grado di accettare il bambino per quello che è. Allora il bambino è costretto a mentire, come forma di auto-conservazione. Quando un bambino mente, spesso crede a se stesso. Intreccia una fantasia intorno al comportamento che per lui è accettabile. La fantasia diventa un mezzo attraverso cui esprimere quelle cose che ha difficoltà ad ammettere. Io prendo sul serio le fantasie di un bambino, come espressione delle sue emozioni. Così come gli altri, in genere, non ascoltano, non capiscono o non accettano le sue emozioni, nemmeno lui lo fa. Lui non si accetta. Deve ricorrere alla fantasia e, successivamente, alla bugia. Dunque, IL GIOCO CHE GUARISCE

21


anche qui è necessario cominciare a entrare in sintonia con le sue emozioni piuttosto che con il suo comportamento, cominciare a conoscerlo, sentirlo, capirlo e accettarlo. Le emozioni del bambino sono la sua vera anima. Riflettendogli le sue stesse emozioni, anche lui comincerà a conoscerle e accettarle. Solo allora si potrà vedere realisticamente la bugia per quello che è: un comportamento di cui il bambino si serve per sopravvivere. I bambini costruiscono un mondo fantastico perché trovano difficile vivere nel loro mondo reale. Quando lavoro con uno di loro, lo incoraggio a raccontarmi, e perfino a elaborare, le sue immagini e le sue idee di fantasia, cosicché io possa capire il suo mondo interiore. I bambini hanno un sacco di fantasie su cose mai realmente accadute. Per loro sono molto reali e sono spesso tenute nascoste, e per questo sono all’origine di comportamenti totalmente inspiegabili. Queste fantasie spesso suscitano emozioni di paura e di ansia; bisogna portarle alla luce perché siano elaborate e concluse. Ci sono molti tipi diversi di materiale per fantasia. Il gioco di immaginazione dei bambini è una forma di fantasia che si può estendere fino alla drammatizzazione improvvisata con i bambini più grandi. Un’altra forma di fantasia è il racconto di una storia, in tutte le sue forme: parlata, scritta, con le marionette, con il pannello di flanella. Anche la poesia è fantasia, immagine, simbolo. Si possono fare lunghe fantasie guidate e altre brevi con finale aperto. Le fantasie guidate si fanno in genere con gli occhi chiusi, ma si possono fare anche fantasie a occhi aperti. Talvolta esprimiamo fantasia attraverso il disegno o l’argilla. A volte i bambini hanno una certa resistenza a chiudere gli occhi. Alcuni si spaventano perché con gli occhi chiusi sentono di perdere il controllo. Se protestano, dico: “Prova a farlo e sbircia liberamente ogni volta che ne senti la necessità”. Di solito, dopo un paio di volte in 22

Violet Oaklander

cui hanno scoperto che non è successo nulla di terribile, i bambini chiudono gli occhi. Qualche volta è utile anche farli sdraiare a pancia in giù, mentre io racconto la fantasia. Alcuni proprio non possono o non vogliono lasciarsi guidare nella fantasia. Alcuni sono riluttanti, altri sono tirati e contratti. Alcuni all’inizio pensano che sia una cosa stupida. Per quei bambini che hanno difficoltà a “entrare” in una fantasia, è opportuno cominciare con una a occhi aperti. Ecco un esempio, tratto da un libro di Richard de Millie: Questo gioco si chiama Gli animali. Cominceremo con un topolino e vedremo cosa possiamo fare. Immaginiamo che ci sia un topolino da qualche parte nella stanza. Dove vorreste metterlo? / Va bene, mettetelo seduto e fategli fare ciao / Fatelo diventare verde / Cambiategli colore di nuovo / Ancora / Mettetelo all’impiedi sulle mani / Fatelo correre verso il muro / Fatelo correre su per il muro / Fatelo sedere sottosopra sul soffitto / Giratelo sul fianco destro e mettetelo lassù in un angolo / Mettete un altro topo in un altro angolo / Mettete un topo in ciascuno dei due angoli lassù / Mettete un topo nei quattro angoli qua sotto / Ci sono tutti? fateli diventare gialli / Fategli dire “ciao” tutti in coro / Fategli dire “Come state?” / Fategli promettere che resteranno negli angoli a guardare la fine del gioco.

Dopo aver fatto quest’esercizio con un gruppo di undicenni e dodicenni, una ragazzina osservò: “Non posso più entrare in questa stanza senza controllare i miei topi”. Un altro utile “rompi-ghiaccio” per le fantasie è chiedere ai bambini di chiudere gli occhi e immaginare di stare in piedi nel soggiorno (o in una qualunque stanza) di casa loro e guardarsi attorno. Se riescono a fare questo, dico loro che non avranno problemi con le fantasie. La tecnica dello Scarabocchio, descritta più avanti, è un altro utile metodo per aiutare i bambini a prepararsi per il lavoro di fantasia. Dopo che i bambini hanno fatto esperienza


delle fantasie a occhi aperti, preferisco cominciare tutte le fantasie successive con un esercizio di meditazione a occhi chiusi, come descritto all’inizio della Fantasia della grotta. Le fantasie guidate possono essere molto brevi. Ariel Malek, una mia collega, le costruisce da sé. Possiede un’eccellente serie di brevi fantasie guidate. Per gentile concessione, eccone una che io stessa ho usato:

la. Io mi chiamo Jill. Quando tira il vento, mi scompiglia le piume”.

Immaginate di notare qualcosa di buffo sulla vostra schiena. All’improvviso, vi accorgete che vi stanno crescendo le ali! Come vi sentite con queste ali sul dorso? Provate a muoverle e vedete come vi sentite... Ora guardatevi allo specchio e sbattete le ali... Ora, immaginate di salire su una collina con queste nuove ali sul dorso. Quando arrivate in cima, aprite le vostre nuove ali e libratevi nell’aria... Cosa vedete in volo? Che sensazione vi dà poter volare nell’aria? Vedete altri animali o altre persone? Ora immaginate che state per atterrare. Quando atterrerete, le ali svaniranno e voi sarete tornati in questa stanza.

John, 6 anni, disegnò se stesso mentre volava dritto verso una roccia nera. Disse: “Ho fatto qualcosa. Ho fatto un sole e una roccia. Io ho un casco. Allora metto la testa in questo modo, così me la fracasso sulla roccia. E mi verrà la nausea. Vai, Superman!”. – Vorresti poter volare? – John: Oh no, no, no. – Senti di avere fracassato molto nella tua vita? – John: Sì! – Sua sorella (presente nella stanza): Si mette sempre nei pasticci. – John: Ah sì! – Dimmi in che modo ti metti nei pasticci. (John cominciò a raccontarmi dei suoi guai). Jill, 6 anni, disse del suo disegno: “Io sono una persona brutta. Sto salendo su per la montagna. Mi sono fatta i piedi come quelli degli uccelli. Sto per volare via dalla montagna. Nei miei sogni vorrei essere un uccello gigante e portare in gita l’intera scuola. Abbiamo 150 bambini nella scuo-

– Ti senti mai una persona brutta, Jill? – Jill: Sì! Ad alcuni ragazzi non piaccio perché pensano che sono brutta. Questo mi fa stare male. – A volte vorresti fare qualcosa di meraviglioso per tutti quelli della tua scuola per piacere a tutti IL GIOCO CHE GUARISCE

23


i bambini? – Jill: Oh, sì, come nella mia storia.

Una delle mie fantasie preferite si chiama La lotta.

Così parlammo un po’ del suo sentirsi esclusa e rifiutata dai bambini della scuola. Non aveva amici ma prima non sembrava averne consapevolezza.

Scrivi una storia su una barchetta che si trova in mezzo a una grande tempesta. Il vento è spietato e le onde colpiscono ripetutamente la barchetta. Prova a immaginare di essere tu la barchetta e spiega come ti senti. Usa dei paragoni nella tua storia per spiegare come ci si sente a ESSERE una barchetta nel mezzo di una grande tempesta. Il vento urla e mugola mentre cerca di affondare la barchetta. La barca si difende lottando. Pensa a una qualche forma di lotta nel mondo animale simile alla situazione barca-tempesta. Scrivila qui.

Cindy, 8 anni, disse del suo disegno: “Sono volata via dalla montagna e ora guardo i fiori e l’erba verde e le mie ali sono argentate. Mi chiamo Cindy. Vorrei essere una strega buona e così potrei volare a casa anziché camminare”. – Parlami delle streghe. – Cindy: Be’, ci sono streghe buone e streghe cattive. Le streghe cattive fanno cose cattive. Le streghe buone sono buone e naturalmente tutte quante possono volare sulle scope. – Sei mai stata una strega cattiva? – Cindy: Be’, mia madre pensa di sì! – La tua vita è sempre piena di fiori e di cose belle? – Cindy: No! Solo qualche volta. Io e Cindy parlammo un po’ del fatto che era convinta di essere giudicata cattiva da sua madre. Karen, 12 anni, disegnò una magnifica farfalla. Disse: “Le mie ali sono molto carine. Volo sull’acqua e sulle montagne insieme con gli uccelli verso un nuovo pianeta verde e luminoso”. In lontananza c’era un piccolo cerchio verde attorniato da linee gialle che creavano l’effetto di un’energia proveniente dal pianeta. – Dimmi un po’ del tuo nuovo pianeta. – Karen: È un bel posto. Tutto è nuovo e verde e non ci sono persone cattive. – Ci sono persone cattive nella tua vita? – Karen: Sembra che il mondo sia pieno di persone cattive. Le pareva che ce ne fossero molte nella sua vita. Continuammo a confrontare il mondo con il suo pianeta e Karen espresse i suoi sentimenti. 24

Violet Oaklander

Descrivi perché questa lotta animale somiglia alla situazione barca-tempesta. Immagina di essere la barchetta. Dì cosa devono fare le diverse parti del tuo corpo per combattere contro la tempesta. In che modo le diverse parti del tuo corpo ti dicono se vinci o se perdi la battaglia? All’improvviso il vento sferra l’ultimo attacco; poi muore. La barca ha vinto! Quali esperienze di vita reale hai avuto che somiglino al vento che muore e alla barchetta vincitrice? Immagina di essere la piccola imbarcazione che ha appena sconfitto la tempesta. Come ti senti nei riguardi della tempesta? Immagina di essere la grande tempesta che non sa nemmeno affondare una piccola imbarcazione. Come ti senti nei riguardi della barca?

Ci sono molti modi di usare questa fantasia. Per me il più efficace è quello di chiedere semplicemente al bambino di immaginare con gli occhi chiusi di essere una piccola imbarcazione nel bel mezzo di una grande tempesta. Dico qualcosa circa le onde e il vento e la lotta. Chiedo al bambino di essere la barca, di prendere consapevolezza di come si sente a essere questa barca, cosa succede adesso, cosa succede dopo. Poi gli chiederò di fare un disegno di se stesso come barca in mezzo alla tempesta. Regolarmente viene fuori molto materiale sulla posizione del bambino nel suo mondo e su come affronta le forze esterne.


Un altro esercizio ha come protagonista Un ragno. Una bella fotografia a tutta pagina raffigurante una tela di ragno viene accompagnata dall’invito di fare un ragno che cerca di tessere la propria tela in un giorno di pioggia e di tempesta. Usai questa idea in un gruppo di bambini per cominciare una storia a staffetta. Cominciai dicendo: “C’era una volta un ragno che cercava di costruire la tela in un giorno di pioggia e di tempesta. E allora...”. E a turno ogni bambino aggiunse qualcosa alla storia. Dopo che la storia fu finita, chiesi ai bambini di disegnare i loro pensieri sul ragno che costruiva la tela. Un bambino, dell’età di 9 anni, dettò mentre scrivevo sul retro del suo disegno: “Mi chiamo Irving. Ho una tela con un sacco di buchi a causa della pioggia e la pioggia la rende di colori diversi. Perché la gente ci mette del gesso, sulla tela e sulla casa. Diventa blu. Il recinto diventa di tanti colori diversi. Sto bene con gli altri perché mi hanno fatto la tela di colori diversi”. Nel corso del lavoro che svolgemmo insieme sul suo disegno, mi disse di sentirsi molto contento: da un po’ di tempo, per lui le cose andavano bene.

Al contrario, una ragazzina di 11 anni dettò: “Sono arrabbiatissima. Non posso farmi la tela per colpa di questo tempo triste e piovoso. Sento proprio di non poter riuscire nel mio obiettivo. Mi sento uno sfacelo totale. Per quanto ci provi, non riesco a costruire la mia tela. Ma sono decisa e non cederò”. Con molta prontezza si riappropriò del suo senso di fallimento e lo comunicò a noi del gruppo. Ogni disegno e ogni storia erano diversi, illuminanti e toccanti. Alcuni avevano punte di umorismo, come quella di un bambino di 10 anni che disse: “Se non smette di piovere entro pochi minuti, mi prendo la tela e me ne vado a casa”. In un altro gruppo chiesi ai bambini di chiudere gli occhi e immaginare di essere un ragno e di condividere ad alta voce l’esperienza di essere un ragno che costruisce la tela sotto la pioggia. “Sono un ragno. Non vivo in nessun posto. Mi piace stare in giro. Ho tantissimi amici, ma oggi volevo stare solo, senza nessuno attorno.” “Sono un ragno. Mi piace arrampicarmi sui fiori. Mi piace vedere i fiori e gli uccelli. Non sto tanto bene sotto questa pioggia.” “Sono una vedova nera che morde un ragazzo.” “Stavo facendo una passeggiata. Cercavo di arrampicarmi su un fiore ma non ce l’ho fatta fino in cima e sono caduto.”

Nell’esercizio di Un palloncino che vola via. Una ragazzina disegnò un palloncino che volava su IL GIOCO CHE GUARISCE

25


una città e disse: “Mi piace qua fuori, è divertente”. Poi aggiunse: “Mia mamma se la prende sempre con me, ma io voglio essere libera come un palloncino”. Un’altra ragazzina fece un disegno simile dicendo: “Sono lontana da casa mia e per me è OK”. Molte tecniche artistiche si prestano all’uso della fantasia partendo dalla realtà. La tecnica del cordoncino e Le figure di farfalle sono forme interessanti sul genere delle macchie d’inchiostro. Ho chiesto ai bambini di dare dei titoli a queste figure, dirmi cosa vedono, inventare una storia sulla forma o l’oggetto che vedono. Si possono trovare le istruzioni per creare queste figure, insieme con altre buone idee, nei libri per le attività dei bambini in età prescolare. È davvero un peccato che molti bambini smettano di fare cose creative a quell’età. Una delle mie esperienze più riuscite di fantasia artistica è la pittura a goccia, eseguita con vernice per macchine, che può essere acquistata nei negozi specializzati e nei colorifici. Ecco come si fa. In primo luogo, serve un posto in cui è ammesso il disordine. È meglio coprire bene il pavimento con fogli di giornale. Si fanno gocciolare un paio di cucchiaiate di vernice bianca su un pezzo di masonite di 13×18 cm, se non più grande, per pitturarlo di bianco. Su questa superficie bianca, il bambino fa gocciolare un altro colore e gira la tavola, facendogli seguire il suo percorso. Poi si usa un altro colore e via di seguito. La vernice per auto secca molto velocemente su una superficie appiccicosa: un vantaggio in questo tipo di pittura. I colori non si mischiano come quelli ad acqua e il risultato è brillante, bello e nitido. Una volta ultimata la nostra creazione, la tiriamo su e ci scostiamo a guardarla. I bambini danno dei nomi alle loro splendide opere e raccontano meravigliose storie su di esse. Una di queste opere sembrava una grotta dai colori brillanti. Chiesi al suo creatore di entrare nella grotta e 26

Violet Oaklander

dirci cosa vedeva, com’era, cosa succedeva. Quest’attività è talmente gratificante che perfino i bambini più iperattivi o “incontrollabili” la eseguono senza problemi. Molti non hanno mai creato tanta bellezza in vita loro né provato tanta soddisfazione.


Il mio modello di lavoro

Vi sono un’infinità di tecniche specifiche per aiutare i bambini a esprimere le emozioni attraverso l’uso del disegno e della pittura. A parte quello che io e i bambini decidiamo di fare a ogni seduta, il mio scopo di base non cambia. Il mio obiettivo è quello di aiutare il bambino a prendere consapevolezza di se stesso e della sua esistenza nel suo mondo. Ogni terapeuta troverà il proprio modo di raggiungere quel delicato equilibrio esistente fra il dirigere e guidare la seduta da una parte e, dall’altra, seguire le direttive del bambino. I suggerimenti qui esposti hanno il solo scopo di illustrarvi le infinite possibilità esistenti e liberare il vostro processo creativo. Non vanno dunque eseguiti meccanicamente. Il processo di lavoro con il bambino è dolce, fluido, un evento fisiologico. Ogni seduta è un delicato fondersi tra ciò che accade dentro voi terapeuti e ciò che succede all’interno del bambino. Si può usare l’immagine in un’infinità di modi, per molti e svariati scopi e a livelli differenti. L’atto del disegnare, senza alcun tipo di intervento da parte del terapeuta, è una potente espressione del sé e aiuta a stabilire la propria identità, oltre che a offrire un canale di espressione alle emozioni. Partendo da queste premesse, il processo terapeutico si può evolvere nei seguenti modi:

1. Far condividere al bambino l’esperienza del disegnare. Ciò che prova accostandosi al compito ed eseguendolo, il modo in cui si è approcciato, come lo ha continuato, il suo processo. Questa è una condivisione del sé. 2. Far condividere al bambino il disegno in sé, attraverso una descrizione fatta a suo modo. Questa è un’ulteriore condivisione del sé. 3. A un livello più profondo, facilitare un’aggiuntiva auto-esplorazione nel bambino chiedendogli di elaborare le parti del disegno, di renderne alcune più chiare, più ovvie, di descrivere le sagome, le forme, i colori, le rappresentazioni, gli oggetti, le persone. 4. Chiedergli di descrivere il disegno come se questo fosse il bambino e parlando in prima persona: “Io sono questo disegno; ho delle linee rosse su di me e un quadrato blu nel mezzo”. 5. Scegliere una parte specifica del disegno con cui identificare il bambino: “Fa’ il quadrato blu e descriviti ancora: come sei, che funzione hai, ecc.”. 6. Se necessario, porre al bambino delle domande per aiutare il processo: “Cosa fai?”, “Chi ti usa?”, “A chi sei più vicino?”. Tali domande saranno prodotte dalla vostra capacità di “entrare” nel disegno con il bambino e aprirvi ai tanti modi possibili di esistere, funzionare e relazionarsi. 7. Focalizzare ulteriormente l’attenzione del bambino e affinare la sua consapevolezza con l’enfatizzazione e l’esagerazione di una o più parti del disegno; incoraggiare il bambino ad approfondire quanto più è possibile una parte specifica, soprattutto se percepite energia ed eccitazione in voi stessi o nel bambino o se si manifesta un’assenza straordinaria di energia e di eccitazione. Spesso le domande aiutano. “Dove sta andando?”, “Cosa sta pensando questo cerchio?”, “Cos’ha intenzione di fare?”, IL GIOCO CHE GUARISCE

47


“Cosa gli succederà?”, e così via di seguito. Se il bambino risponde: “Non lo so”, non mollate; passate a un’altra parte del disegno, fate un’altra domanda, date voi la risposta e chiedete al bambino se è così o no. 8. Far creare al bambino un dialogo fra due parti del disegno, due punti in contatto o in opposizione (come la strada e l’automobile, la linea attorno al quadrato, il lato felice e il lato triste). 9. Invitare il bambino a porre attenzione ai colori. Spesso, mentre il bambino è con gli occhi chiusi, suggerisco: “Pensa ai colori che userai. Cosa significano per te i colori vivaci? E quelli scuri? Userai colori vivaci o colori spenti, chiari o scuri?”. Una bambina disegnò i suoi problemi con colori scuri e le cose belle con colori brillanti e chiari e c’era pure una differenza nella pressione che esercitava con i pastelli a cera a seconda del colore che usava. Potrei dire: “Questo sembra più scuro degli altri” per incoraggiare l’espressione; oppure: “Sembra che tu abbia premuto parecchio qui”. Voglio che il bambino sia il più consapevole possibile delle sue azioni, anche se non ha voglia di parlarne. Porre attenzione ai segnali offerti dal tono di voce, la postura del corpo, l’espressione facciale e corporea, la respirazione, il silenzio. Il silenzio può significare censura, riflessione, ricordi, repressione, ansia, paura o consapevolezza di qualcosa. Usate questi indizi per agevolare il flusso del vostro lavoro. Ecco un esempio di come cogliere un segnale del corpo sia stato il solo, più importante fattore risolutivo di una situazione difficile. Cindy, età 5 anni, mi era stata portata per disturbi del sonno. Nella prima seduta le chiesi di disegnare la sua famiglia e lei disegnò volentieri se stessa, sua madre e sua sorella. Sapevo che i genitori erano divorziati e che la bambi48

Violet Oaklander

na vedeva il padre regolarmente. Le diedi un altro foglio di carta dicendole: “So che tuo papà non vive con te, però anche lui fa parte della tua famiglia. Vuoi disegnarlo qui?”. Per un attimo, il panico si dipinse sul suo volto e altrettanto rapidamente scomparve. Ma io colsi quell’espressione fugace e dolcemente dissi: “Hai paura di qualcosa se ti chiedo di farlo”. A bassissima voce rispose: “Be’, Jill vive con lui”. Così risposi: “Che ne dici allora di disegnare papà e Jill su quest’altro foglio?”. Cindy sorrise felice e si mise al lavoro. (Fu quasi come se avesse avuto bisogno del mio permesso.) A Cindy piaceva Jill (fu quanto emerse dai dialoghi con le figure della famiglia), ma non a sua madre. Questa bambina di 5 anni si era fatta carico dei sentimenti della madre e per questo aveva avuto paura di includere Jill nel suo primo disegno. Quando dissi: “Credo che alla mamma non piaccia molto Jill”, lei annuì e mi lanciò una timida occhiata di intesa. Con il consenso di Cindy, chiesi alla madre di raggiungerci dalla sala d’aspetto. Le dissi che a causa dei suoi sentimenti negativi verso Jill, Cindy non si sentiva autorizzata a vivere i propri sentimenti positivi verso la stessa persona; che era necessario che aiutasse Cindy a imparare che ognuno può avere i propri sentimenti e che erano leciti i suoi, positivi, verso Jill, anche se lei non piaceva alla madre. Con questa nuova consapevolezza la madre di Cindy smise di imporre i suoi sentimenti alla figlia e non ci fu bisogno di altre sedute. Una chiusura rapida, basata su un piccolo segnale del corpo. 11. Lavorando sull’identificazione, aiutare il bambino a “riappropriarsi” di quanto è stato detto sul disegno o su parti di esso. Potrei chiedere: “Ti senti mai in questo modo?”, “Ti capita mai di farlo?”, “In


qualche modo si adatta alla tua vita?”, “C’è qualcosa che hai detto, quando facevi la parte del cespuglio di rose, che potrebbe valere per te come persona?”, e così via. Domande come queste si possono formulare in molti modi. Io le pongo con attenzione e molto dolcemente. Non sempre i bambini devono “riappropriarsi” delle cose. A volte i bambini si chiudono e sono molto spaventati. A volte non sono pronti. Talvolta è sufficiente che emerga qualcosa dal disegno, anche se essi non lo riconoscono per se stessi. È probabile che possano dire che ho già sentito ciò che avevano da dire; o che hanno espresso a suo tempo quel che volevano o che avevano bisogno di esprimere, a modo loro. 12. Mettere da parte il disegno e lavorare sulle situazioni di vita del bambino e sulle Gestalt aperte che emergono dal disegno. Talvolta ci si arriva direttamente dalla domanda: “Questo si adatta alla tua vita?”, a cui il bambino assocerà spontaneamente qualcosa della sua esistenza. Oppure il bambino potrà farsi improvvisamente silenzioso o un’espressione potrà attraversargli il volto. Potrei chiedergli: “Cos’è successo?”, e di solito il bambino comincia a parlare di qualcosa, della sua vita attuale o passata, che si ricollega in qualche modo alla sua situazione di vita presente (a volte invece il bambino risponde: “Niente”). 13. Far attenzione alle parti mancanti e agli spazi vuoti nei disegni, e lavorarci. 14. Seguire il flusso di figura del bambino oppure il mio, laddove trovo interesse, eccitazione ed energia. Talvolta lavoro con ciò che è evidente e talvolta con l’opposto di ciò che è evidente. Il bambino che disegnò Disneyland nella fantasia della grotta sottolineava il piacere e il divertimento che gli suscitava quel luogo. Seguendo l’opposto di quanto faceva figura per lui, dissi: “Credo che nella tua vita non ci sia molto piacere né divertimento”. Di solito lavoro innanzitutto con quello che

viene facile o agevole al bambino, prima di andare alle cose più difficili e scomode. Ritengo che se si parla delle cose più facili, i bambini sono poi più disponibili a trattare argomenti più critici. Se chiedo loro di dipingere le emozioni tristi da una parte e quelle felici dall’altra, i bambini trovano spesso difficoltà a condividere le emozioni tristi finché non hanno condiviso le emozioni, più sicure, di felicità. Comunque non è sempre così. A volte i bambini che trattengono molta rabbia avranno bisogno di farla uscire prima che possano venir fuori le emozioni positive. Posso scegliere di trattare ciò che per me fa figura. Mentre sono con il bambino mi può capitare di provare una certa forma di tristezza o di disagio. Oppure posso rimanere colpita dalla postura che assume il bambino mentre parla e decidere quindi di soffermarmici. Quando vedo bambini che manifestano in qualche modo dei disturbi, so che qualcosa non funziona nell’equilibrio naturale e nel flusso dell’intero organismo, della persona. Fare terapia si può definire come un tornare indietro per individuare e riattivare la funzione fuori posto. Il normale sviluppo e la crescita di un bambino sono parte essenziale del mio modello di lavoro. Il neonato è in stretto contatto con i suoi sensi: si crogiola nella sua nuova consapevolezza di odori, suoni, luci, colori, visi, sapori e sensazioni tattili. Si manifesta nella sua sensualità e in essa fiorisce. Presto diventa consapevole del proprio corpo e apprende di poter toccare, raggiungere, afferrare e buttare per terra. Muove le gambe, le braccia, il corpo e scopre il controllo e la padronanza. Man mano che il corpo e i sensi raggiungono nuove vette di consapevolezza, lo stesso accade alle emozioni. Il neonato non fa alcuno sforzo per nascondere le emozioni; anzi, le esprime pienamente. Quando un bambino è arrabbiato, noi lo sappiamo. Quando è felice, lo sappiamo. Sappiamo quando è ferito o spaventato, quando è tranquillo o beato. Il neonato ha già scoperto che quei suoni IL GIOCO CHE GUARISCE

49


che aveva sentito, e che poi aveva riprodotto da sé, avevano un significato; che potrebbe cominciare a comunicare verbalmente con gli altri per rendere noti i suoi bisogni: prima tramite suoni, poi con le parole e infine con le frasi. Via via che il suo intelletto si sviluppa, il neonato comincia a esprimere curiosità, pensieri, idee. Nel frattempo i sensi e le sensazioni fisiche raggiungono livelli di sviluppo sempre più sofisticati. Il bambino non ha problemi di autostima finora; si limita semplicemente a essere. In ogni senso, è un essere esistenziale. Nel bambino, lo sviluppo sano e ininterrotto dei sensi, del corpo, delle emozioni e dell’intelletto è alla base del suo senso del sé. Un forte senso del sé porta a un buon contatto con il proprio ambiente e le persone che ne fanno parte. Presto i bambini imparano che la vita non è perfetta, che viviamo in un mondo caotico, un mondo di contraddizioni e dicotomie. In più, i genitori che tirano su i figli hanno le loro difficoltà personali con cui misurarsi. I bambini imparano ad arrangiarsi e compensare. Molti se la cavano bene a vivere, crescere e imparare. Molti no. Secondo me molti bambini classificati come bisognosi di aiuto hanno una cosa in comune: un indebolimento delle funzioni di contatto. Gli strumenti del contatto sono guardare, parlare, toccare, ascoltare, muoversi, odorare e gustare. I bambini problematici sono incapaci di fare buon uso di una o più funzioni di contatto nelle loro relazioni con gli adulti della loro vita, con gli altri bambini o con l’ambiente in genere. Il modo in cui usiamo le nostre funzioni di contatto costituisce la prova della nostra forza o della nostra debolezza. Poiché un forte senso del sé predispone a un buon contatto, non c’è da stupirsi se quasi la totalità dei bambini che vedo in terapia non ha molta considerazione di sé, malgrado possano fare di tutto per non farlo trapelare. I bambini piccoli non danno la colpa dei loro problemi ai genitori o al mondo esterno. 50

Violet Oaklander

Piuttosto, credono di essere cattivi, di avere fatto qualcosa di sbagliato, di non essere abbastanza belli o brillanti. Eppure, a un qualche livello, c’è una fortissima volontà di sopravvivenza, la volontà di spuntarla. C’è ancora qualcosa del neonato puro dei primordi. In qualche modo i bambini si auto-proteggono. Alcuni si ritraggono per non essere feriti. Alcuni inventano fantasie per divertirsi e rendersi la vita più facile e vivibile. Alcuni sono tutti gioco-casa-scuola (poiché è tutto collegato) come se niente fosse e lasciano fuori dalla porta tutto ciò che è doloroso. Alcuni si auto-proteggono trovando il modo di emergere; questi bambini attirano molta attenzione, il che spesso tende a rinforzare proprio quel comportamento che gli adulti detestano. I bambini fanno quello che possono per riuscire, per sopravvivere. La loro è una spinta verso la crescita. Nonostante le lacune e le interruzioni nel funzionamento naturale, essi sceglieranno un qualche comportamento che li aiuti a venirne a capo. Potranno comportarsi in maniera aggressiva, ostile, rabbiosa, iperattiva. Potranno chiudersi in un mondo di loro invenzione. Potrebbero parlare il meno possibile o non parlare affatto. Potrebbero cominciare ad avere paura di tutto e di tutti o di qualcosa in particolare che tocca la loro vita e le persone che ne fanno parte. Potrebbero diventare eccezionalmente “buoni” e compiacenti, in maniera eccessiva. Potrebbero attaccarsi morbosamente agli adulti della loro vita. Possono bagnare il letto, farsi la cacca addosso, avere l’asma, allergie, tic, mal di pancia, mal di testa, incidenti. Non ci sono limiti a ciò che un bambino può fare nel tentativo di soddisfare i suoi bisogni. Con l’adolescenza, questi comportamenti possono diventare più marcati oppure sfociare in altri, quali la seduzione e la promiscuità oppure l’uso eccessivo di alcol e altre droghe. Dietro questi tentativi di arrangiarsi ci sono sempre dei bisogni insoddisfatti che sfociano nella perdita del


senso del sé. A volte il bambino agisce sulla base di idee che non gli appartengono, non sono legittimamente sue. Spesso i bambini crescono credendo a tutto quello che sentono dire sul proprio conto, inghiottendo per intero informazioni errate. Ad esempio, una bambina può credere di essere stupida perché il padre, in un momento di rabbia, frustrato, l’ha chiamata stupida. Può cogliere un tacito messaggio di fondo, del tipo “sei imbranata” perché i genitori ridono ogni volta che le cadono oggetti dalle mani o perché sono continuamente impazienti di fronte ai suoi laboriosi tentativi di fare le cose. I bambini spesso assumono le caratteristiche e le descrizioni che hanno raccolto dagli altri e le mettono in pratica. Allora il mio compito di terapeuta è quello di aiutare il bambino a separare se stesso da queste valutazioni esterne e dai concetti errati di sé e aiutarlo a riscoprire il suo essere. Quindi, ogni qualvolta lavoro con un bambino, un adolescente o anche un adulto, so che sarà necessario tornare indietro e ricordare, riguadagnare, rinnovare e rafforzare qualcosa che una volta esisteva nel neonato, ma che ora sembra smarrito. Via via che si risvegliano i sensi e che l’individuo comincia a riconoscere il proprio corpo, potrà riconoscere, accettare ed esprimere le emozioni perdute. Apprenderà che può fare delle scelte e verbalizzare le sue richieste ed esigenze, i pensieri e le idee. Imparando a conoscersi e ad accettare se stesso nella sua diversità da voi, l’individuo entrerà in contatto con voi e voi ve ne accorgerete. Tutto questo è possibile tanto a 3 quanto a 83 anni. Io lavoro per costruire il senso del sé del bambino, rafforzarne le funzioni del contatto e rinnovare il contatto con i suoi sensi, il corpo, le emozioni e l’uso dell’intelletto. Nel frattempo, spesso decadono le condotte e i sintomi che usava per un’espressione e una crescita impropria, senza che il bambino si renda pienamente conto del cambiamento in atto. La sua consape-

volezza viene così indirizzata nuovamente a una sana considerazione delle proprie funzioni del contatto e del proprio organismo, dunque verso condotte più soddisfacenti. Il bambino si sviluppa attraverso l’esperire. La consapevolezza è così strettamente legata al fare esperienza che non c’è l’una senza l’altra e viceversa. Allo stesso modo, via via che in terapia il bambino sperimenta i suoi sensi, il suo corpo, le sue emozioni e il modo in cui può usare l’intelletto, riacquista una sana posizione verso la vita. Lascio fare quindi al bambino tutta l’esperienza possibile, laddove ne ha più bisogno. E quando posso, lo incoraggio a prendere consapevolezza del suo processo esperienziale. Quando chiedo a un bambino di darmi una frase da scrivere sul suo disegno, che riassuma la sua situazione, questa è una dichiarazione della sua consapevolezza. Quando chiedo: “Ti senti mai così?”, riguardo a una rosa che, caduta dal cespuglio, sta morendo oppure: “Questo si adatta alla tua vita?” a proposito della storia di un orso in cerca della vera mamma orsa, sto cercando consapevolezza esplicita. Di sicuro, questa consapevolezza facilita il cambiamento. Man mano che si sviluppa la consapevolezza del bambino, noi possiamo incominciare a esaminare le opzioni e le scelte possibili, possiamo sperimentare nuovi modi di essere oppure occuparci delle paure che il bambino ha nascosto per impedirsi di fare nuove scelte che possano migliorare la sua esistenza. In un paio di episodi, raccontati in questo libro, dico: “Non so davvero cosa sia successo”. So per certo che il bambino ha sperimentato qualcosa insieme a me e che, dopo, si è sentito meglio, spesso senza alcuna dichiarazione esplicita di comprensione o di consapevolezza. Una volta con una bambina feci un neonato d’argilla, le dissi che quella era lei e feci finta di farle il bagnetto. La bambina ne fu felice e soddisfatta e quella sera espresse alla madre il desiderio di cominciare a fare la doccia. (La bambina in passato si era rifiutata di fare il bagno e la doccia.) IL GIOCO CHE GUARISCE

51


Se questa bambina avesse detto: “Sono consapevole del fatto che vorrei tanto che mi si trattasse ancora come una neonata, ora che c’è il fratellino, e che non farò il bagno finché qualcuno non lo riconosce”, probabilmente saprei cos’è successo. In realtà, so soltanto di averle offerto un’esperienza per lei appagante, che le ha consentito di sentirsi abbastanza sicura da fare un altro piccolo passo verso la crescita. Chi mi ha seguito in questo discorso potrebbe dire: “OK, sono disposto a fare una prova. Cosa faccio dopo?”. L’importante è il come. Come costruire il senso del sé di un bambino, come irrobustire le sue funzioni del contatto, come rinnovare il suo contatto con i sensi, col corpo, con le emozioni e la mente? Come aiutarlo a esperire i suoi sensi, il suo corpo, le sue emozioni, l’uso dell’intelletto? La risposta a queste domande può suonare molto semplicistica, ma ho il dovere di avvertirvi che questo libro non vuole essere un manuale di riparazione. Penso al mio lavoro nelle scuole, che svolgo allo scopo di aiutare i bambini a superare le difficoltà di apprendimento. Da parte dei ricercatori è stato fatto un buon lavoro di descrizione dei problemi che molti bambini presentano nelle aree della percezione. Alcuni hanno difficoltà nell’articolazione figura-sfondo e non sono in grado di selezionare una lettera o una parola in mezzo a tante. Altri hanno dei problemi di orientamento visivo per cui non riescono a distinguere le “b” dalle “d” o “was” da “saw”. Sono stati inventati giochi ed esercizi meravigliosi per aiutare a correggere queste deficienze e sostenere il bambino nelle aree più deboli. Passiamo dunque molte ore con il bambino, aiutandolo a identificare i blocchi rossi in una gamma di colori e a distinguere i quadrati dai triangoli e dai cerchi, in modo da migliorare la sua percezione figura-sfondo. Il bambino diventa abbastanza capace dopo molta pratica, ma spesso ancora non sa leggere. Non è così semplice. 52

Violet Oaklander

Migliorare i sensi non significa che non appena il bambino saprà distinguere tra morbido e ruvido oppure tra note alte e note basse, allora starà improvvisamente meglio con se stesso e cambierà comportamento. I bambini sono creature complicate e in essi accadono molte cose in contemporanea. Per esempio, a un bambino viene dato del colore per la pittura manuale, perché sperimenti e migliori la sensibilità tattile. La fluidità del colore e la sensazione di sensualità che ne deriva, così come il puro godimento dell’attività, aprono il bambino alla condivisione di profondi sentimenti e questo lo porta a parlare di alcuni problemi della sua vita, il che a sua volta conduce a una discussione sulle sue possibilità di risolvere quel problema. Oppure potrebbe non accadere nulla di tutto questo. Può darsi che dipinga in silenzio per tutta la durata della seduta. O forse potrebbe rifiutare la sola idea di dipingere manualmente perché lo trova infantile. Il terapeuta deve mantenersi strettamente in sintonia con il bambino man mano che questi risponde all’attività, in modo da riconoscere le oscillazioni del suo processo. Il terapeuta deve mantenersi in stretto contatto con il bambino per sapere quando parlare e quando restare in silenzio. In altre pagine di questo libro, offro molti esempi di tecniche che servono a dare al bambino esperienze sensoriali, corporee, emozionali, intellettuali e verbali. Queste idee dovrebbero aprire all’immaginazione del terapeuta un’infinita gamma di possibilità creative. Lavorando con un bambino, non mi è molto difficile decidere qual è la tecnica che ci vuole. Man mano che imparo a conoscere il bambino, tutti i conti tornano. Spesso è lui stesso che manifesta ciò di cui ha bisogno, proprio con l’attività che sceglie. E talvolta resistendo tenacemente a un’attività, mostra proprio di averne bisogno! Devo dire di nutrire a volte qualche preoccupazione circa il ruolo dell’intervento terapeutico sui bambini. Mi chiedo se il risultato del mio


lavoro – cioè il loro nuovo comportamento – non sia spesso contraddittorio rispetto al loro milieu culturale e alle loro aspettative. Oppure mi chiedo: sto limitando il loro modo gioioso di crescere e la loro auto-determinazione, per aiutarli ad adattarsi a una situazione inumana, nascondendo i problemi come polvere sotto il tappeto? Devo continuamente ricordare a me stessa che il mio compito è di aiutare i bambini a sentirsi forti dentro, aiutarli a vedere il mondo che li circonda per ciò che è realmente. Voglio che essi sappiano di poter decidere come vivere nel loro mondo, come reagirvi, come manipolarlo. Ma non posso arbitrariamente scegliere per loro. Posso solo contribuire a dare loro la forza di fare le scelte che vogliono fare e a capire quando non c’è scelta. Crescendo, diventando più forti e vedendo se stessi più chiaramente in relazione al mondo, potranno forse prendere la decisione di cambiare le strutture sociali che impediscono loro di operare il tipo di scelta desiderata. Ci sono certi presupposti di base, necessari per chiunque lavori con i bambini: bisogna amarli, stabilire con loro un rapporto di accettazione di fiducia, conoscere qualcosa del loro sviluppo, di come crescono e apprendono, comprendere i contenuti importanti che corrispondono a particolari livelli di età. Bisognerebbe avere dimestichezza con i diversi disturbi dell’apprendimento che colpiscono i bambini, e che non solo intralciano il loro processo di apprendimento, ma spesso causano disturbi collaterali. Ritengo che bisognerebbe avere l’abilità di essere direttivi senza essere invadenti, dolci e gentili senza essere passivi o non direttivi. Ritengo che chiunque lavori coi bambini debba conoscere le dinamiche del sistema familiare ed essere a conoscenza degli influssi ambientali sul bambino – casa, scuola, altre istituzioni di cui può far parte. Si dovrebbero avere cognizioni circa le aspettative culturali riposte nel bambino. Si dovrebbe essere fermamente convinti che ogni bambino è una persona unica, meritevole e con

dei diritti umani. Si dovrebbe avere familiarità con l’uso di buone tecniche di base di counseling, come l’ascolto riflettente, le tecniche di comunicazione e di problem solving. Credo che sia essenziale essere aperti e onesti con il bambino. E avere senso dell’umorismo perché venga fuori il bambino giocherellone ed espressivo che è in noi. Vorrei rivolgermi a tutti quei terapeuti che non vogliono lavorare con i bambini. I bambini hanno bisogno di alleati. Spero che i terapeuti che credono al valore dell’uomo e all’uguaglianza tra gli esseri umani comincino a capire che rifiutando i bambini come clienti, essi creano una separazione che perpetua l’inferiorità dei giovani. I bambini meritano di più. L’approccio che presento è una forma di autogestione. Ritengo che in nessun modo si possano commettere errori se si ha buona volontà e ci si astiene da giudizi e interpretazioni – se si accetta il bambino con riguardo e rispetto. Con queste premesse, si può fare contatto con qualunque bambino e dargli un aiuto efficace. Mantenendovi entro questi ampi confini, non potrete sbagliare. I bambini si apriranno solo nella misura in cui si sentiranno abbastanza sicuri per farlo. I genitori possono usare le tecniche qui descritte per scoprire chi sono i loro figli e aiutarli a scoprire chi sono i loro genitori. Gli insegnanti hanno riferito risultati strabilianti dopo aver provato alcune di queste tecniche. Si può rimanere nell’ambito del generico o ci si può addentrare nei problemi, tutto dipende dall’esercizio e dalle proprie abilità. In quasi tutte le classi nelle quali ho insegnato, qualcuno ha sollevato la questione delle controindicazioni, o meglio delle cose che sarebbe meglio non fare con un bambino. A parte i no più ovvi, che sono direttamente all’opposto dei sì (no ai giudizi ecc.), ho molto poco da dire sull’argomento. Non mi riesce di pensare a una regola generale che vada bene indistintamente per tutti i bambini. Non dirò: “Non IL GIOCO CHE GUARISCE

53


usate la pittura digitale con i bambini iperattivi”, dato che io la uso e con risultati eccellenti. È vero, però, che alcuni bambini iperattivi potrebbero non rispondere a quest’attività. Ma in genere i bambini lasciano intendere se qualcosa non va bene per loro. Si deve entrare in sintonia con il bambino, rispettarne le difese e procedere con delicatezza. Alcuni dicono: “Di certo non userò la fantasia con un bambino che vive esclusivamente in un mondo immaginario”. Sì, io la userei. Parto dal suo livello, qualunque esso sia. Voglio entrare in contatto con lui e forse è necessario farlo attraverso la sicurezza che gli dà la fantasia. Verrà il momento in cui lo riporterò dolcemente alla realtà e, se sarà pronto, mi seguirà. Se non lo sarà, non mi seguirà. Io non costringo mai un bambino a fare o dire qualcosa contro il suo volere. Cerco di evitare le interpretazioni, per questo verifico con lui le mie ipotesi ed intuizioni. Se non si dimostra interessato a rispondere, va bene lo stesso. Non insisto perché si “riappropri” di qualcosa se invece sente di tenere i suoi contenuti al sicuro. Cerco anche di non fare cose che mi danno disagio o che non mi piacciono. Se proprio non mi va di giocare a dama, suggerirò un’alternativa che sia di mio gradimento.

Altre idee per fantasie e disegni La lista che segue contiene molte idee, motivazioni, istruzioni e tecniche da me usate per portare alla luce le emozioni del bambino per mezzo del disegno e della fantasia. Molte si prestano anche alla pittura, all’argilla, alla scrittura, al movimento del corpo e ad altri mezzi. Ma questa lista non vuole in nessun modo essere esaustiva; piuttosto, vuole dare un’idea generale del tipo di attività che ho svolto con i bambini, che ho svolto io stessa, che ho letto da qualche parte, di 54

Violet Oaklander

cui ho sentito parlare, su cui ho riflettuto oppure che ho in mente di usare. Il campo delle idee è vasto quanto l’immaginazione. Alcune di queste idee sono descritte più dettagliatamente in altre parti del libro. Presentate al bambino una vasta gamma di materiale da scegliere – carta di ogni formato (la carta da stampa va bene), penne a feltro, pastelli a cera, pastelli a olio, matite colorate, pennarelli a punta grossa, matite. Ai bambini piacciono anche i piccoli strumenti. Qualche volta usate un timer da cucina, un cronometro, una clessidra, contatori come quello in uso nel golf, un registratore di cassa, delle biglie, ecc. Potreste dire: “Ora osserveremo questo fiore per un minuto. Il cronometro segnerà lo scadere del tempo e allora vi chiederò di disegnare non il fiore, ma ciò che avete provato mentre lo guardavate oppure alla scadenza del minuto”. “Visualizza il tuo mondo con colori, linee, forme, simboli. Visualizza il tuo mondo così come vorresti che fosse.” “Fa’ degli esercizi respiratori; disegna come ti senti adesso.” “Disegna: cosa fai quando ti arrabbi; come vorresti essere; cosa ti fa arrabbiare; un posto che ti fa paura; qualcosa che ti fa paura; l’ultima volta che hai pianto; un posto che ti rende felice; cosa senti in questo momento.” “Disegna te stesso: come sei (come pensi di essere), come vorresti essere, da grande, da vecchio, com’eri quando eri piccolo (a un’età specifica oppure no).” “Ricorda un periodo o una scena: un momento in cui ti sentivi molto vivo. Un periodo di cui ti rammenti; la prima cosa che ti viene in mente. Una scena di famiglia. La tua cena preferita. Un periodo della tua infanzia. Un sogno.” “Disegna: dove vorresti essere. Un luogo ideale. Un posto che prediligi oppure che non ti piace. Il periodo che preferisci oppure quello che detesti. La cosa peggiore che puoi pensare.” “Guarda quest’oggetto per due minuti” (usate


un fiore, una foglia, una conchiglia, un quadro o altro.) “Disegna le tue emozioni”. (Programmate il timer. Usate anche un brano musicale.) “Disegna la tua famiglia oggi; la tua famiglia in simboli, come animali, come macchie di colore; tutti i membri della tua famiglia, ciascuno mentre fa qualcosa: la parte di te che ti piace di più, quella che ti piace di meno; il tuo sé interno, il tuo sé esterno; come vedi te stesso; come gli altri ti vedono (secondo te); come vorresti che ti vedessero; una persona che ti piace, che detesti, che ammiri, di cui sei geloso. Il tuo mostro; il tuo demone.” “Disegna come attiri l’attenzione; come ottieni quello che vuoi da persone diverse; cosa fai quando ti senti depresso, triste, ferito, geloso, solo, ecc. La tua solitudine; una sensazione di solitudine; quando ti senti o ti sei sentito solo. Un animale immaginario. Disegna una cosa che ti dà molto fastidio di una persona presente, di una persona cara, di te stesso, del mondo. La tua giornata, la tua settimana, la tua vita attuale, il tuo passato, il tuo presente, il tuo futuro.” “Disegna linee felici, linee morbide, tristi, arrabbiate, impaurite, ecc.” (Accompagnare il disegno con l’emissione di suoni e con movimenti del corpo.) “Con la mano destra o con la sinistra.” Mentre lavorate, chiedete al bambino di fare dei disegni in sequenza che illustrino come si sente adesso oppure quel sentimento enfatizzato o questa parte del disegno, ecc. “Disegna ciò che stai descrivendo o ciò che fai fatica a descrivere e usa colori, forme, linee.” “Disegna in risposta a una storia, una fantasia, una poesia, un brano musicale.” “Disegna le polarità: debole/forte; felice/triste; mi piace/non mi piace; buono/cattivo; positivo/ negativo; arrabbiato/calmo; responsabile/folle; serio/sciocco; sentimenti buoni/sentimenti cattivi; quando sei estroverso/quando ti senti chiuso; amore/odio; gioia/tristezza; fiducia/diffidenza; separati/insieme; aperto/chiuso; solo/non solo; coraggioso/impaurito; la migliore parte di te/la

peggiore parte di te, ecc.” “Disegna quando eri piccolo, adolescente, disegna te stesso adulto” (per gli adulti tre immagini di sé.) “Un posto immaginario. Il tuo problema più urgente. Un dolore fisico – il tuo mal di testa, il tuo mal di schiena, la tua sensazione di stanchezza.” “Fa’ uno scarabocchio – trova una figura. Fa’ un segno – completalo.” Arte prescolare: tecnica del cordoncino, delle macchie di colore (tipo Rorschach), pittura manuale, vernice per automobili (come descritto precedentemente nel Capitolo “Fantasia”). Disegnate il ritratto del bambino e poi fategli commentare il disegno. “Formate due gruppi pari, dove ognuno disegni l’altro. Disegnate qualcosa con un compagno. Concordate un tema: essere derisi, essere messi in ridicolo, essere scelti per ultimi, essere stuzzicati, ecc.” “Disegna una mappa topografica della tua vita: mostra i posti belli, le strade difficili, gli ostacoli. Mostra dove sei stato e dove vuoi andare. Disegna situazioni specifiche ed esperienze (come ci si sente quando si fa la pipì a letto).” Un gruppo, una famiglia o un gruppo che simula una situazione familiare può decidere un tema e fare un disegno insieme (mantenere il contatto col processo e l’interazione): dove mi trovo adesso nella mia vita. Da dove vengo. Dov’ero prima. Dove voglio andare. Cosa mi impedisce di arrivarci (blocchi, ostacoli); cosa mi serve per arrivarci. “Un tempo ero... ma ora...” “Fate un disegno a giro, in cui a turno ognuno aggiunga qualcosa.” “Disegna come ti sentivi ieri, come ti senti oggi, ora, come ti sentirai domani. Essere egoisti, stupidi, folli, brutti, meschini. Disegna qualcosa che vuoi. Come ottieni quello che vuoi. Un segreto. Essere soli. Stare con gli altri; essere seri, essere sciocchi.” “Fa’ un disegno su di te, esagerando la tua immagine. Fa’ semplicemente muovere la mano sul IL GIOCO CHE GUARISCE

55


foglio e obbediscile.” “Di’ una parola tutta d’un fiato, che gli altri disegneranno rapidamente: amore, odio, bellezza, nervosismo, libertà, carità, ecc.” “Come ti senti come donna / uomo / bambino / adulto / ragazzo / ragazza. Come pensi che saresti se appartenessi al sesso opposto.” Disegnate la sagoma del bambino su un grande foglio di carta e fate parlare il bambino alla sua immagine. “Disegna l’immagine del tuo corpo con colori, forme, linee. A occhi chiusi, immagina di avere te stesso davanti a te.” “Disegna te stesso come un animale e inserisciti in un ambiente; l’immagine di tua madre/tuo padre con colori, linee, forme.” “Va’ con la mente a quando eri molto piccolo e disegna qualcosa che ti rendeva molto felice, ti eccitava, ti faceva stare bene, qualcosa che hai avuto, qualcosa che hai fatto, qualcuno che hai conosciuto, qualcosa che ti ha reso triste, ecc. Disegnalo come se tu avessi quell’età.” “Disegna qualcosa che desideravi accadesse quand’eri piccolo.” Via via che il bambino parla e viene fuori qualcosa, chiedetegli di farne un disegno: un dolore fisico, un inconveniente, una sensazione, ecc. “Disegna un animale immaginario. Diventa quell’animale – cosa potrebbe fare?” In un gruppo fate incontrare due animali. “Disegna un animale o due e scrivi (o detta) tre parole per descriverne ognuno. Ora fa’ quest’animale e parla di te.” “Disegna cosa non ti piace di ciò che faccio e io farò lo stesso. Disegna qualcosa che ti preoccupa. Disegna tre desideri.” Fate in modo che il bambino vi dica cosa disegnare man mano che disegnate. “Toccati il viso, poi disegnalo.” “Immagina di avere oggi il potere di fare qualsiasi cosa nel mondo. Disegna cosa faresti. Se fossi magico, dove vorresti essere?” “Disegna un regalo che ti piacerebbe ricevere e 56

Violet Oaklander

uno che ti piacerebbe fare. A chi lo faresti? chi lo farebbe a te?” “Disegna qualcosa che vorresti non fare. Qualcosa per cui ti senti in colpa. O il senso di colpa. Il tuo potere. Qualcosa di cui vorresti liberarti.” Si possono usare molte altre cose come soggetti per disegni. Sono molte le fantasie, le storie, i suoni, i movimenti, le immagini che si prestano ai disegni. Potete anche abbinare il disegno alla poesia e alla scrittura. Fate usare ai bambini i colori, le linee, le forme, le curve; tratti leggeri, tratti marcati, tratti brevi e lunghi; colori vivaci, colori chiari, colori scuri e spenti; simboli, adesivi. Fate lavorare rapidamente i ragazzi. Se notate un modello, uno schema che si ripete, fatene sperimentare l’opposto.


Violet Oaklander

Violet Oaklander, classe 1927, è una psicoterapeuta specializzata in infanzia e adolescenza, la fondatrice della Gestalt applicata all’età evolutiva. Ha svolto per 35 anni la libera professione a Santa Barbara (California) e per 27 anni ha insegnato il suo metodo a professionisti di tutto il mondo. Ha fondato e diretto il centro di terapia per bambini e adolescenti a Hermosa Beach, California, e dal 2003 la fondazione che porta il suo nome a Los Angeles. Dal 1973 è membro del Gestalt Therapy Institute di Los Angeles. È stata insignita del “lifetime achievement” dall’associazione americana Play Therapy. Autrice di numerosi articoli e capitoli, ha pubblicato Il gioco che guarisce per la prima volta nel 1978. Il libro ha avuto un’ampia risonanza internazionale ed è stato tradotto da allora in 16 lingue. Nel 2006 è uscito il suo secondo libro, Il tesoro nascosto, tradotto ad oggi in 7 lingue.

copertina disegno Fabio Magnasciutti InIn copertina disegno di di Fabio Magnasciutti

IL GIOCO CHE GUARISCE Teoria e pratiche di psicoterapia con bambini e adolescenti

IL GIOCO CHE GUARISCE

Il bambino si sviluppa attraverso l’esperire. La consapevolezza di sé infatti è così strettamente legata al fare esperienza che non può esistere l’una senza l’altra e viceversa. Allo stesso modo, via via che in terapia il bambino sperimenta i suoi sensi, il suo corpo, le sue emozioni e il modo in cui può usare l’intelletto, riacquista una sana posizione verso la vita. Amare i bambini, stabilire con loro un rapporto di accettazione e di fiducia, conoscere qualcosa del loro sviluppo, di come crescono e apprendono, comprendere i contenuti importanti che corrispondono a particolari livelli di età, sono i presupposti di base necessari per chiunque lavori con i bambini. Le innumerevoli tecniche descritte dall’autrice in queste pagine servono a dare al bambino esperienze sensoriali, corporee, emozionali, intellettive e verbali e aprono all’immaginazione dell’adulto (sia esso psicoterapeuta, insegnante, educatore o semplicemente genitore) un’infinita gamma di possibilità creative per comprendere i bambini e aiutarli a superare le loro difficoltà. L’obiettivo di questo approccio nella psicoterapia è quello di aiutare il bambino a prendere consapevolezza di se stesso e della sua esistenza nel suo mondo. Ogni terapeuta troverà il proprio modo di raggiungere quel delicato equilibrio esistente fra il dirigere e guidare la seduta da una parte e, dall’altra, seguire le direttive del bambino. Chi lavora con i bambini utilizza molte tecniche creative, espressive e di gioco, ma talvolta questo lavoro viene mal compreso e visto come un “solo giocare”, invece rappresenta la principale forma di contatto possibile tra l’adulto e il bambino. Un libro realistico, facile, pratico, che può diventare una finestra aperta sul bambino che è in voi e con voi.

ISBN 978-88-6153-830-6

Euro25,00 25,00(I.i.) (I.i.) Euro

edizionilalameridiana meridiana edizioni pp a a r r t t e e nn z z e e


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.