editoriale
DONNE VINCENTI DI ALICE PEDRAZZI
“Impossibile è la definizione di un avvenimento fino al momento prima che succeda”. Lo scrittore napoletano Erri De Luca, lo spiega così, e bene, in uno dei suoi ultimi libri. Ma noi, gente di basket e di sport, lo viviamo sulla pelle da sempre, l’impossibile che diventa possibile. Lo abbiamo visto materializzarsi, ad esempio, in tutte le gare vinte dai tanti Davide che hanno battuto i Golia sui parquet di tutto il mondo. È il campo, maestro supremo, ad avercelo insegnato. E non importa quale parte del rettangolo di gioco si occupi, sul parquet con la palla in mano, in panchina a dirigere le operazioni o correndo su e giù col fischietto in bocca: il suo insegnamento vale per chiunque lo calchi, con la consapevolezza che lo sport non è solo agonismo e fatica fisica. È allenamento alla vita. Quella vera. Quella che a volte brucia più dei muscoli stremati da fatica e tensione. Ecco perché non siamo stupiti, ma orgogliosi, di aver fornito alla lotta per eccellenza di questo ultimo affannoso anno, quella al Covid-19, alcune delle nostre donne migliori. Donne di sport e di vita. Donne che hanno imparato ad essere vincenti sul campo, andando avanti quando sono stanche morte, quando il fiato brucia nel petto, prima di uscire ed ogni singolo muscolo trema, prima di contrarsi ancora una volta. Hanno imparato sul parquet la solidarietà verso la compagna (che nella lotta al Covid-19 è il malato da assistere, un altro come me, perché nessuno – come abbiamo ben compreso in questi mesi – può considerarsi al riparo dal virus) e sempre sul campo hanno imparato il rispetto, ma non il timore, per l’avversario, anche per quello più insidioso come il virus, appunto. E’ dunque l’orgoglio a farci parlare, come in molti hanno fatto in questi giorni da sempre contraddistinti dai bilanci di fine anno, della storia di Federica Giudice, l’ala ventenne della PF Umbertide (A2), tarantina di nascita, umbra d’adozione, studentessa di scienze infermieristiche all’Università di Perugia e da mesi in campo anche in corsia, con il tirocinio al Centro Ictus di Città di Castello, che con naturalezza e fierezza dice: “Dietro entrambe le divise, quella da giocatrice e quella da infermiera, c’è un grande senso di responsabilità”. O di quella di Lucia Morsiani, 28 anni, bandiera dell’E-Work Faenza e infermiera a Cesena che, per talento e qualità probabilmente starebbe bene anche al piano superiore dell’A1, ma che ha deciso di usare tutte le energie di cui è dotata per correre dal campo alle corsie incessantemente. Una andata e ritorno senza sosta, sempre con lo stesso obiettivo: vincere, in campo contro le avversarie, in ospedale contro il Covid-19. O ancora quella di Silvia Marziali, che sul campo ci sta da tempo – e con autorità – arbitrando ai massimi livelli nazionali ed europei e nella lotta al Covid-19 è in primissima linea, da medico, in servizio in un ospedale della sua città, Fermo, al 118 della Capitale e lavorando anche per il Ministero della Salute a Civitavecchia. Con orgoglio, si diceva, parliamo di loro, ma non con stupore. Perché noi le conosciamo le “donne del basket”. E sappiamo che se sul campo hanno imparato a non tremare, a fare quel centimetro in più che fa la differenza, certamente lo sanno fare anche quando la vita, quella vera, chiama. Come ora.
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