TRAKS MAGAZINE #33

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Numero 33 - maggio 2020

PIERPAOLO LAURIOLA il potenziale della musica IVAN FRANCERSO BALLERINI

SAN DIEGO

ELEVIOLE?

UBBA BOND


sommario 4 Pierpaolo Lauriola 10 Ivan Ballerini 14 San Diego 18 Dettori & Moretti 22 Ubba Bond 26 Eleviole? 30 Zero Portrait 34 kmfrommyills 38 Il Tipo di Jesi 42 oZZo 46 Iron Mais 50 Silek Questa non è una testata giornalistica poiché viene aggiornata senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62/2001. Qualora l’uso di un’immagine violasse diritti d’autore, lo si comunichi a info@musictraks.com e provvederemo alla rimozione immediata

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PIERPAOLO LAURIOLA il potenziale della musica Giunto al suo terzo album, il cantautore presenta la sua nuova fatica discografica “Canzoni scritte sui muri”, in uscita il prossimo 13 maggio. Attivo sulla scena musicale da ormai trent’anni, con questo album parla di trasformazione e di certezze, raccontate con passione e voglia di sperimentare

Di Chiara Orsetti Il tuo nuovo album si intitola “Canzoni scritte sui muri”, e fa pensare immediatamente a muri che creano divisioni e musica che, nonostante tutto, unisce. Che cosa rappresenta per te essere un cantautore in un momento storico così delicato? Che potenziale ha la musica?

La musica ha un potenziale enorme; essere un cantautore mi dà la possibilità di esprimermi con linguaggi diversi. Puoi mettere insieme musica e testo, ed essere un interprete di quel tutt’uno. A oggi è difficile analizzare il ruolo della musica e in particolare del cantautore in un momento inaspettato


come questo; quando ne saremo fuori, a distanza di tempo, verranno a galla le riflessioni metabolizzate in questi mesi. Il primo singolo estratto è Scudo e riparo, amaro e coraggioso flusso che fa sentire allo stesso tempo protetti e amareggiati. Che sensazioni hai provato scrivendola? In chi, o in che cosa, riesci a specchiarti? Scriverla è stato emozionante. La musica l’ho scritta da solo nel mio studio e ho seguito il mio istin-to. Il testo l’ho composto insieme a Sergio Salamone. Erano anni che ci rincorrevamo e questa volta è stata quella giusta. Abbiamo prima parlato a lungo. Successivamente ci siamo mandati via mail tutte le idee a cui abbiamo lavorato. Scrivere questa canzone per me è stato catartico. Ho pensato a tutte quelle persone che hanno bisogno di affetto, di protezione. Ho pensato che sono fortunato ad avere questa protezione da parte di chi mi vuole bene. I miei punti di riferimento sono tutti quelli che affrontano la vita spendendosi per gli altri. Sono questi i valori che



mi affascinano e in cui mi rispecchio. Sei impegnato da anni in progetti umanitari e sociali. In questi mesi di blocco totale i problemi che incontreremo avranno connotati diversi rispetto a quelli che abbiamo lasciato. Hai già in mente qualche nuovo progetto a cui dedicarti? Sì, vorrei realizzare nuove iniziative. Non credo, come ho letto da qualche parte che la pandemia ci renderà migliori di prima, ma spero che non venga meno il senso di solidarietà: come ha detto Papa Francesco, siamo tutti sulla stessa barca. Penso che dovremo ripartire ciascuno dal nostro piccolo, e guardarci anche intorno, partendo ciascuno dal proprio quartiere. Sono diventato da poco padre e non nascondo che mi sento vicino alle problematiche dell’infanzia. Sei sulla scena musicale da trent’anni: com’è è cambiato il modo di fare musica nel corso della tua esperienza? C’è qualche costante che porti con te fin dall’inizio della tua carriera?

Se penso a come è cambiato il modo di fare musica non posso che pensare ai sistemi con cui si catturano le idee oggi. Quando ho iniziato a fare musica era il 1991 e i miei demo li costruivo con il multitraccia Yamaha MD4. Registravo tutti gli strumenti e poi condividevo le mie incisioni con gli altri della band. Oggi utilizzo il computer. Per lo più lavoro su Logic Pro X e Ableton per i pezzi con più elettronica. Negli ultimi dieci anni mi sono appassionato molto anche alla chitarra acustica oltre che a quella elettrica. Il device con cui si ascolta musica oggi per antonomasia è lo smartphone, molto diverso dai vinili con cui sono cresciuto, che imponevano all’ascoltatore un tempo di attenzione maggiore, si ascoltava tutto l’album leggendo i testi, invece di saltellare da una playlist all’altra (di questo ho una certa nostalgia). La costante in questi anni è stata la scrittura; quando arriva la sera metto nero su bianco le mie sensazioni che poi nel tempo rimaneggio; da quegli appunti nasceranno i testi delle canzoni. 7


Una delle tracce che mi ha emozionata di più è Ti reggo al ballo le mani. Emozionante la storia, vibrante la musica. Ci racconti la storia di questo brano? Sono contento che ti sia arrivata. Per me è stata una prova di coraggio, un piacevole schiaffo. Ti reggo al ballo le mani è il pezzo più vicino alle sonorità di Fabrizio De André, con una melodia che ri-corda Disamistade. Il protagonista è un uomo solo in una stanza d’attesa che immagina il suo perso-nale ballo con la mamma. Con questo ballo le chiede perdono per tutto il tempo in cui è stato assente. Parliamo di influenze: si riconosce l’influenza dei grandi cantautori, ma con aspetti molto lontani dalle sonorità a cui ci hanno abituati. Quali sono i tuoi riferimenti musicali? In Canzoni scritte sui muri interagiscono tra loro lo stile italiano di autori quali Ivano Fossati, Fabrizio De André, Paolo Conte, e dei grandi maestri come Leonard


Cohen, Bob Dylan, Johnny Cash a cui si aggiungono le suggestioni degli ascolti più recenti come Bon Iver, Radiohead e Sufjan Stevens. La musica che ora sembra andare per la maggiore funziona un po’ come un mordi e fuggi. Canzoni che impari in fretta e che, altrettanto in fretta, finiscono nel dimenticatoio. La tua scelta di comporre un album come Canzoni scritte sui muri si contrappone, chiedendo espressamente pazienza e attenzione, è stato un gesto coraggioso o semplice necessità espressiva? Avendo ascoltato per anni molti dischi pensati come un concept e come un progetto unico, indipendente da ogni singola traccia che le componeva, mi viene naturale pensare a questo tipo di progettualità. È stata una mia necessità narrativa. Chiara Orsetti


IVAN FRANCESCO BALLERINI

Si intitola “Cavallo Pazzo” l’esordio discografico del cantautore toscano. Dieci brani inediti in un concept album in cui si narra la storia del leggendario capo indiano


Ci vuoi raccontare chi sei? Chi sono? E chi lo sa. Forse un cane reincarnato nel corpo di un uomo.... scherzi a parte. Sono un musicista. Nel 2019, stanco di suonare canzoni di altri autori, seppur bellissime, mi sono messo a scrivere cose mie. Ăˆ iniziato tutto come un gioco, una sfida con


ti, alcuni son stati scartati, tutto incentrato sugli indiani d’America. Bestiale.... Domanda ovvia: perché un album intero sulle storie dei nativi americani? Non c’è un motivo vero e proprio. Son partito scrivendo “Cavallo Pazzo”... poi via via, i brani sono venuti fuori da soli. Alla fine mi son trovato tra le mani cinque-sei brani tutti sui nativi americani e allora ho deciso, anzi abbiamo deciso assieme ad Alberto Checcacci, di fare un album su un unico argomento, un concept, come si suol dire. Che cosa ti ha colpito in particolare della storia di Cavallo Pazzo? Tutto... il suo senso di libertà, il suo essere indomabile. È morto a soli 39 anni ed è, e sarà sempre, un personaggio mitologico. Lui non nasce con indole guerriera. Lo diventa a seguito di alcuni lutti che lo colpiscono direttamente. Poi la sua diversità rispetto agli

me stesso per capire cosa sarei stato in grado di produrre. Poi senza accorgermene, mi sono trovato in mano un album di dodici inedi12


altri.... aveva i capelli ricci e non lisci, castani e non neri.... unico. Chi sono i tuoi artisti di riferimento? Se si ascolta Cavallo pazzo è piuttosto semplice intuire. Fabrizio De André primo tra tutti, Francesco De Gregori, Guccini. Ma anche Claudio Baglioni. Do più importanza al testo che alla musica. La musica per me arriva un attimo dopo il messaggio che si vuole lanciare. Inutile avere musiche fantastiche e testi vuoti.... oggi se ne sentono tante di canzoni così. Il mio è un album semplice, interamente partorito in due.... io, scrittore di testi e musiche, Alberto Checcacci arrangiatore. So che sei al lavoro su un nuovo disco. Ci puoi anticipare come sarà? Alcuni mi hanno chiesto se ci sarebbe stato un Cavallo pazzo parte due.... ahahahah, no assolutamente. Quello che stiamo portando a termine è un album di canzoni attuali. A canzoni d’amore si intrecciano storie di vita, massaggi per i giovani, e un brano dedicato a mia figlia Eleonora. Pur trattando

argomenti completamente diversi da cavallo pazzo, sotto certi aspetti gli somiglia. Insomma si sente che chi compone è sempre lo stesso individuo. Quello che mi preme evidenziare è che la famiglia sta crescendo. Al mio fianco oltre Alberto Checcacci, che è colui che cura ogni dettaglio degli arrangiamenti e a Nedo Baglioni, fotografo e regista, si è aggiunta Monica Barghini, corista e cantante di un mio brano e il bravissimo violinista Alessandro Golini che vol suo violino e la sua sensibilità ha “dipinto” alcuni miei brani e...... basta altrimenti vi dico tutto.

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SAN DIEGO

Un album “estivo”, dal titolo molto curioso, cioè “ù” e un nuovo featuring con lo Sgargabonzi: tre anni dopo “Disco”, un nuovo lavoro per il cantautore


Be’ partirei dal curioso titolo. Perché “ù”? Perché “ù” è l’unica lettera rimasta dopo aver cancellato tutti i ti-



toli papabili sul foglio di testo, il classico errore invece di premere “invio” sulla tastiera, e lo ritenevo molto emblematico come concetto, oltretutto è una vocale che ricorre spesso nel disco. Trovo che il tuo disco sia particolarmente “estivo”. In questa condizione particolare pensi che potrebbe cambiare la percezione di chi ascolta o può servire da consolazione? In base a quello che mi stanno dicendo per molti funge da proiezione verso ambienti e sensazioni marittime, quindi direi che sì, può essere anche consolatorio al limite. “Rinascente” è un po’ il manifesto del disco. Da cosa avevi bisogno di rinascere? Per me ha vari significati, come un po’ tutte le canzoni. Rinascere per un nuovo disco o una fase successiva della vita, per me qualsiasi cosa va affrontata come una rinascita. Hai fatto un altro featuring con lo Sgargabonzi. Qual è la sua caratteristica decisiva nello scegliere di lavorare con lui?

Perché mi piace moltissimo come scrive, la scelta accurata di ogni singola parola, la sua capacità di creare microcosmi letterari, e tra noi c’è una sincera amicizia e reciproca stima. Quali saranno i tuoi passi successivi? Sto scrivendo cose nuove e sono già proiettato verso l’immediato futuro, mi sento fiducioso.

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BEPPE DETTORI & RAOUL MORETTI “(In)Canto Rituale” è un disco che si snoda tra innovazione e la matrice identitaria tradizionale, in omaggio a Maria Carta Vorrei sapere come nasce il progetto e l’omaggio a Maria Carta DETTORI: Nasce grazie a Giovannino Porcheddu di UNDAS Edizioni Musicali e Federico Canu del Tangerine Sa Pedrache. Abbiamo “fermato” qualche nostro live in alcune registrazioni. Nel 2019 18

c’è stata la ricorrenza dei 25 anni dalla scomparsa di Maria Carta e, come a dar seguito a qualcosa già accennato nel nostro precedente disco, abbiamo deciso di dedicarci proprio a un intero omaggio a questa grandissima artista. MORETTI: Alcune rivisitazioni


è tratto il titolo del disco. Non è certo la prima collaborazione Dettori-Moretti. Non vi è venuta la tentazione di coinvolgere altri musicisti per questo progetto? DETTORI: Un progetto con un sound ben definito e scarno per nostra scelta, dettata anche da un’esigenza mera di mercato, che, per assurdo, nella sua crisi, ha generato tutto questo… Ma comunque nella solidità di questo duo abbiamo certamente provato ad inserire altri strumenti e con ottimi risultati. MORETTI: In realtà la nostra collaborazione nacque all’interno di un quartetto che negli anni è andato a scalare. Siamo rimasti per un periodo in trio con Manuel Rossi Cabizza, che abbiamo comunque ospitato in due brani del precedente lavoro. Ora volevamo arrivare all’essenza del nostro sound, un incontro tra voce, chitarra e arpa, ed il loro utilizzo con

di brani che erano nel repertorio di Maria Carta erano già presenti nel repertorio di Beppe da qualche anno, e poi sono entrati a far parte del nostro progetto del 2019 “S’Incantu e sas cordas”. Stimolati anche dalla Fondazione Maria Carta abbiamo sviluppato gli arrangiamenti ed aggiunto altre due pietre miliari come “Stata Mater” e “No Potho Reposare” . A completamento, abbiamo musicato la poesia “Ombre” che apre il libro di Maria Carta, Canto Rituale, da cui 19


forte. Ci sono dei rischi all’orizzonte? DETTORI: Sì è una nicchia molto solida, e gode di stima in tutto il mondo e questo è una ricchezza che va sostenuta. Però il decadimento della cultura è un grande

tecniche provenienti dalla tradizione e dalla contemporaneità. Al contrario di altre tradizioni regionali, a uno sguardo totalmente esterno mi sembra che la musica sarda goda ancora di estimatori e sia ancora piuttosto 20


campanello d’allarme che sta ancora suonando e ci ha resi assuefatti a quel disturbo sonoro tipico dell’allarme. Le tecnologie e le proiezioni continue di felicità fittizie hanno soppiantato la bellezza dell’arte e della cultura, uccidendo anche la nostra identità. MORETTI: Il mio approccio da continentale adottato dall’isola è proprio quello di un estimatore. Oltre al fascino dalla musica che nasce in questa terra, mi colpisce quanta cultura e con quanta forza e identità si esprime… I suoi riti arcaici, la musicalità della sua lingua e tanto altro. Come si vive l’isolamento dovuto al virus in una terra che l’isolamento lo conosce già piuttosto bene? DETTORI: Per alcuni, come me, non e’ cambiato molto, devo essere sincero. Immagino però la sofferenza grande che c’è ovunque si guardi. Speriamo finisca presto. Soltanto questo… MORETTI: L’anno scorso sono uscito con un lavoro solista dal titolo “IsolaMenti” che oggi mi sembra quasi profetico. Era frut-

to di un percorso personale in cui c’era l’isola come metafora. Non un luogo di esilio ma un luogo di contemplazione verso il tutto. Ora il mio augurio è che questo sia un periodo di contemplazione, di sottrazione per arrivare all’essenza e da li ripartire verso una nuova direzione. Quali saranno i prossimi progetti? DETTORI: Guarire… risanare la mente e lo spirito… sognare… amare e continuare a farlo con una determinazione d’acciaio. E se fosse ancora possibile vorrei suonare e cantare nei concerti, piccoli e grandi, con il pubblico che si diverte… e noi, a nostra volta, che andiamo ai concerti di amici e colleghi, una festa di rinascita globale… vivere! MORETTI: Tornare a suonare dal vivo, incontrare la gente, viaggiare e condividere i nostri progetti. Il musicista è nato per suonare dal vivo, in quella magia dell’incontro con il pubblico che ogni sera si rinnova. Il nostro mestiere vive di questo. Tutto il resto è “industria”, è un fattore marginale. 21


ELEVIOLE?

Un nuovo video, tutto al femminile, che chiude l’avventura del disco “Dove non si tocca” e che si prepara, in qualche modo, a “uscire”: la cantautrice milanese pubblica “Dieci gocce” e pensa al futuro


Hai realizzato il video di “Dieci gocce” in un contesto che non prevedeva la quarantena... Che effetto fa ora pubblicare un video che trasmette la voglia di “uscire”? Questo voleva essere un videoclip sulla femminilità e sulle sue sfumature. L’ho girato in inverno e avevo pensato di farlo uscire l’8 marzo. Poi l’emergenza sanitaria ha rimescolato le carte e il video è



diventato una piccola celebrazione di quella che è l’attesa della normalità. Penso trasmetta un messaggio positivo ma non banale, in questo momento dove siamo soverchiati di arcobaleni e di positività un po’ forzata penso che la sua leggerezza non possa che farci bene. E’ anche il primo video che ti vede nei panni della regista. Come ti sei sentita dietro la macchina da presa? È stato molto bello. Era un po’ che questa cosa mi ronzava in testa e ho preferito fare questo esperimento su una mia canzone. Ho sempre tante idee e pochi mezzi per realizzarle e mi sono scontrata con una serie di problematiche “tecniche” a cui non ero assolutamente pronta. Devo ringraziare Claudio del Monte con cui ho lavorato su altri video, che si è occupato del montaggio e mi ha dato un supporto tecnico fondamentale per arrivare in fondo e per tirare fuori 4 minuti da circa 300! Chi sono le attrici del tuo clip? Sono tutte mie amiche, e anche per questo è stato così bello lavo-

rare insieme, c’è stata da subito fiducia reciproca e voglia di giocare. Ciascuna di noi ha lavorato sulle proprie resistenze e insicurezze, me compresa, e ognuna di loro mi ha insegnato cos’è la bellezza. Sono veramente molto grata per questo. “Dieci gocce” conclude il viaggio di “Dove non si tocca”, il tuo primo album da solista. E parlo di “viaggio” non a caso, visto che l’hai anche accompagnato con un road movie. Sei soddisfatta del percorso che hai fatto e quali consapevolezze porterai nel prossimo disco? Se mi guardo indietro è stato un percorso piuttosto denso. Penso di essere riuscita a fare un lavoro sul femminile con un focus ben preciso: dallo straordinario all’ordinario, a far diventare la normalità e il quotidiano cose da proteggere e custodire. Sono molto felice di questo disco e l’unica certezza che ho è che porterò con me la voglia di continuare a compiere delle piccole/grandi imprese affinché la mia musica continui a essere “sostanza”. 25


UBBA BOND

“Mangiasabbiaâ€? è il nuovo album del duo, portatore di una dedica importante e sentita, tra pensieri sulla quarantena e scelte di dischi da ascoltare piuttosto significative e particolari


Questo disco ha una dedica importante. Se per voi va bene partirei da qui. Sì, abbiamo scelto di dedicarlo a una persona per noi importante che in poco tempo ha saputo conquistarci, seminando perle di genialità nella stesura condivisa delle parti di fiati che sono uno degli elementi fondanti di questo disco. Si chiamava Daniel Cau e la sua recente ed improvvisa scomparsa ci ha trovato completamente impreparati e ci ha lasciato scossi e increduli. Ci è sembrato quindi doveroso ricordarlo per sottolineare, celebrare e lodare le qualità di una persona che in vita ha saputo vivere di musica, con la musica, nella musica. Grazie Daniel. Mi incuriosisce molto il titolo e vorrei sapere su quali basi poggia questo disco. Si riferisce e risuona in una parte del testo di un brano intitolato “Su milioni di auto”. La frase in oggetto è “la solita vecchia storia di quando hai sete di deserto e inizi a bere sabbia” ed è stata scritta da Max Guidetti, altro amico e collaboratore che ha prestato la voce in due brani del disco. La frase suona

ovvia e assurda allo stesso tempo: la sete di deserto (quello stesso deserto in cui la sete sembra ovvia) ti porta a bere sabbia (assurdo). Da qui il mangiare sabbia che, ancora per un assurdo contrasto, rappresenta un’azione senza dubbio più corretta: la sabbia si mangia, non si beve. Senonchè il mangiare sabbia non è altro che l’azione del mare, quindi dell’acqua che potresti bere, ma non puoi perché l’acqua di mare è essa stessa intrisa di una forma, seppur speciale, di sabbia (il sale). Quindi rimani a guardare e ad ascoltare la musica, incantato dalle sirene che ti attirano in un mondo acquatico, friabile come infiniti granelli di sabbia. Non a caso, l’acqua è il denominatore comune di molti brani del disco. Lavorate un po’ con le porte girevoli rispetto ai collaboratori: scrivete pensando a chi potrebbe intervenire oppure prima arriva il collaboratore e poi la canzone? In realtà, nonostante tutti si facciano la fatidica domanda, a nessuno interessa sapere se sia nato prima l’uovo o la gallina. Il filo d’erba si piega a causa del vento


o il vento soffia pur di accompagnarne l’inchino? L’ordine (in cui accadono le cose) è un concetto sopravvalutato, almeno quanto il concetto di tempo. Potete scegliere tre dischi usciti di recente che vi piacciono particolarmente? Il primo che ci viene in mente è Milano posto di merda dei Giallorenzo: loro sono giovani e scazzati, ma nella direzione giusta (alla Pavement per capirci) e con una scrittura di qualità...e poi sono

ragazzi che sanno suonare, insomma sono una boccata di aria fresca in un panorama asfittico come quello della musica italiana. Vedremo come continueranno, ma di sicuro hanno iniziato sganciando una bombetta. Per gli altri due titoli invece dobbiamo andare indietro di qualche anno (con il vostro permesso). Appartengono a due artisti che amiamo molto, il primo è Francesco De Leo, uno dei pochissimi veri talenti usciti allo scoperto negli ultimi anni. 28


usciremo da questa curiosa e paradossale situazione? Per dirla alla Bennato “ne usciremo in fila per tre”: un modo semplice per dire che (purtroppo) procederemo in maniera ordinata e organizzata dall’alto, verso quella che sembra essere l’uscita, sperando che lo sia. Questo per mettere l’accento su varie cose, includendo il fatto che non riusciamo a vedere una via di uscita nello “smart working” applicato allo spettacolo dal vivo, come se fosse possibile farlo a distanza. Per vivere un’esperienza “LIVE” è necessario scambiare fluidi corporei e contagiarsi di sudore e lacrime, non ci si può limitare a fare dei video (anche se ci stiamo divertendo a farne). Quindi, mettendo al fuoco molta calma e una manciata di buon senso, accettando di aspettare che i tempi maturino e che ci sia di nuovo uno spazio da riempire e a cui destinare vita vera, cerchiamo di “scarrocciare” per goderci in seguito quello che ci viene più naturale fare: suonare. Non sappiamo quando, ma sappiamo che succederà.

Di Fra (che salutiamo, avendoci fatto due dischi insieme) scegliamo Antologia della cameretta non perché non amiamo anche i dischi “ufficiali” dell’Officina Della Camomilla (tutti bellissimi), ma perchè è all’interno di quel quintuplo disco (!) di demo registrate in casa che è possibile ammirare la purezza della sua visione artistica. Un vero gioiello. Infine non possiamo non nominare Edda, ovvero l’artista che, secondo noi, ha lasciato un segno indelebile sulla musica degli ultimi 10 anni. Edda è pura potenza emotiva, sia su disco che dal vivo (in solo o con la sua formidabile band) ed è un vero peccato che un artista di questo spessore non abbia un riscontro di pubblico adeguato, a discapito di tanti fenomeni indie-pop buoni al massimo per qualche like su Facebook o una diretta Instagram. Di Edda amiamo tutto, ma scegliamo Odio i vivi perché contiene Anna. Un artista di un altro livello, un alieno, un dono. Siete stati costretti a spostare l’uscita del disco e presumo ad annullare i live. Come ritenete che 29


ZERO PORTRAIT

Misterioso e mascherato, dopo un’intensa attività da dj, varie collaborazioni e produzioni con differenti moniker, firma il suo primo lavoro discografico in uscita l’8 maggio 2020 per Antistandard Records. “Pulp”

Il tuo attuale moniker fa riferimento alla negazione dell’immagine che mai come in questi anni ha “colpito” anche i personaggi del pop e dei generi contigui.

Che cosa rappresenta la tua denominazione Zero Portrait? Da che ho memoria nella mia infanzia ho sempre ascoltato la musica in radio e guardato i vi-


deo musicali su Mtv cercando i programmi che trasmettessero la musica che mi faceva fantasticare mondi lontani dalla quotidianità. All’epoca era la musica che mi ricordava i videogiochi e i fumetti, e che mi rimandavano mondi cyberpunk o distese californiane con quei suoi elettronici che, nella mia fantasia, venivano direttamente dal futuro. Questi ascolti creavano in me un’aspettativa sui musicisti, immaginando che facessero una vita diversa da quella di noi altri e mi sono sempre chiesto quale fosse il loro volto. Questo desiderio ha mantenuto vivo in me quell’attenzione alla ricerca della musica con la fantasia di un bambino che provava ad andare oltre dell’ascoltato. Il passaggio negli anni è stato che i dj/produttori e beatmaker sono passati da essere autentici sconosciuti dietro alle macchine a superstar, con volti sovraesposti, interviste fatte trite e ritrite. L’occasione di mostrare l’autenticità artistica è diventata mezzo di propaganda di uno stile di vita consumistico e orientato a fare sponsor più che parlare da

esseri umani a esseri umani. Forse abbiamo barattato la piacevolezza del desiderio con la mercificazione ossessiva quasi pornografica dell’atto creativo. Per cui credo, almeno per me ha funzionato, di voler ripristinare una parte di quel “mistero” creativo, non esponendomi, anche se in realtà si tratta di mera protezione del mio me più autentico, lasciando che la musica sia da colonna sonora e che non parli necessariamente di me ma che, come un’opera cinematografica, ti trasporti in mondi diversi del quotidiano. Il nome pertanto dovrebbe essere Portrait, ovvero ritratto di un’idea, di un luogo geografico o meta. L’aggiunta dello Zero è dovuta in quanto in passato ho avuto altri progetti sotto diversi moniker e, alla giovane soddisfazione di sapere di aver totalizzato 1k di listens, mi è stato rimandato da gente più dentro di me nel mondo della musica che 1k ad oggi (all’epoca) corrisponde(va) a Zero. Ho fatto quindi risorsa di questa “delusione”. Per cui voglio concedermi la possibilità di iniziare sempre da zero ogni cosa


che farò in questo percorso d’artigianato musicale. Non c’è dunque connessione diretta tra i due, Zero Portrait è cacofonico, è dissonante, difficile da scrivere. Per cui mi piace... Nel tuo disco si viaggia senza distinzione di genere, quasi da un estremo all’altro. Come ti immagini il tuo “ascoltatore medio”? Se dovessi fare un’analisi che osserva i canoni stilistici della struttura di ogni brano potrebbero in effetti risultare fatti da mani diverse. Ma non è così, Pulp è come un viaggio, con relativi vissuti, quello che senza dubbio li accomuna, e che ha un filo comune, per me che li ho creati, è la ritmica e la percussione, poco lineare. Li ho immaginati come colonne sonore di un’unica opera che si può consumare in un club in cui ogni traccia diventa colonna sonora di quanto succede tra le persone che sono il centro di tutto, gli attori principali senza dei quali tutto “sto casino” non avrebbe senso. Il mio ascoltatore medio credo quindi che possa essere senza dubbio una persona curiosa che segue un filo 32

personale nella scoperta delle cose che va aldilà del seminato, dove ogni cosa non è al suo posto perché ognuno può scegliere il posto dove inserirla. Vorrei sapere come nasce “Fauna” e la collaborazione con Agronomist Con Agro ci siamo conosciuti anni fa a un evento legato al mondo del design e della grafica, mettevano i dischi due nostri amici. Lui indossava il giubbotto del suo gruppo Smania Uagliuns, gruppo rap che io seguivo. In quella circostanza non l’ho riconosciuto per cui gli ho fatto i props sia per il giubbotto che per i gusti musicali. Insomma ci siamo conosciuti casualmente. Entrambi fuori luogo dagli ambienti hype ci siamo confrontati su molti aspetti, e ci siamo trovati sulla stessa lunghezza d’onda oltre che sui contenuti, sui modi che avevamo e abbiamo di scegliere la musica che ci piace, le letture, le persone e le situazioni in cui c’inseriamo. Alla fine abbiamo sentito che quel modo di leggere le cose doveva diventare musica e abbiamo iniziato a


vederci praticamente quasi quotidianamente da un capo all’altro di Roma per provare a unire le nostre competenze. L’idea di Fauna è stata proposta da me, lui è stato capace di coglierne l’essenza intenzionale, senza che io gliela spiegassi ed è venuto quello che sapete. Fauna è un brano che esprime, e in un certo qual modo è, il manifesto di Pulp e di quello che entrambi cerchiamo di portare avanti umanamente nelle nostre professioni e nella musica, si parla di quelle faune fuori da quella visione sovraesposta, ma dei margini di chi non ha modo o voglia di esporsi ma ha un mondo da esprimere e il semplice fatto che i loro mezzi non gli concedano voce non rende la loro voce meno interessante. E noi siamo e stiamo con loro. Attualmente siamo e saremo in collaborazioni per altri progetti. Tre nomi che ti piacciono particolarmente della musica contemporanea italiana di qualunque genere Per contemporanei intendo che ho ascoltato o che sono usciti con qualcosa nelle ultime settimane.

Direi Agronomist/Smania Uagliuns (e tutte le sue camaleontiche forme) forse l’artista rap che è capace ad oggi di declinare le sue intenzioni artistiche senza cadere nella trappola di genere musicali. Nasty Boy, storico produttore house, che ha creato questo progetto parallelo Future Jazz Ensemble, la prima forma, che io conosca, di Jazz in Italia fatto con strumenti elettronici che non sia il classico crossover acerbo, bensì un vero disco jazz in piena regola. Infine il terzo nome è La Musica del Sud Italia, da cui proviene secondo me il 70% della migliore musica italiana contemporanea. Per citare qualcuno, dalla scuola pugliese, il duo Jok Troonz & K9, e da Napoli, città-stato che ha un mondo culturale vero, cito Yodaman, la Niňa e i Fuera.

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IL TIPO DI JESI

Tommaso Sampaolesi cambia in parte il sound e pubblica “Yeah Yeah Jesi!!”, nuovo disco in cui stempera un po’ l’atteggiamento nei confronti della provincia marchigiana


Cambio sonoro e di atmosfere per il tuo nuovo lavoro. A cosa è dovuto? Avevo voglia di sperimentare e azzardare un po’ per trovare un sound più elettronico rispetto al primo disco. In aggiunta c’è da dire che dopo Pranzo Rock in Via Trieste ho passato molto più tempo sul synth rispetto alla chitarra e questo sicuramente ha influito sulle scelte artistiche di Yeah Yeah Jesi!! Per quanto riguarda i testi


non lo definirei “romantico”: che cosa vuoi simboleggiare? Mi dà l’idea che sia un po’ un cuore elettronico, “romantico a comando”, che rispecchia abbastanza

ho voluto prendermi un po’ meno sul serio e le atmosfere del disco rispecchiano questa ricerca di un maggiore senso di leggerezza. C’è un cuore in copertina ma 36


particolare della, ma anche alla, tua città? Spero che l’emergenza finisca presto e che ognuno di noi possa tornare a sentirsi libero di vivere la propria vita. Mi auguro che questa esperienza ci lasci e ci insegni qualcosa soprattutto sul modo di rapportarci alle altre persone ma anche sul modo in cui decidiamo di vivere le nostre vite. Probabilmente c’era anche bisogno di fermarsi un attimo perché la frenesia di questa società di certo non ci faceva bene. Mi dispiace che questa occasione di nuova consapevolezza sia dovuta accadere a spese di tante vite e a costo di tanti disagi, soprattutto per chi è impegnato in prima linea al contenimento dell’emergenza.

il sound e le atmosfere del disco. La copertina sta a significare che dentro questo disco c’è il mio cuore e la base tramite cui ci ho potuto imprimere le mie emozioni è l’elettronica. Mi incuriosisce La notte invece di dormire suona: come nasce? Questa è la canzone romantica del disco e si attacca un po’ al brano Tione, la nebbia, le montagne, tu contenuto nel primo album. È una canzone d’amore che racconta i primi passi di avvicinamento tra due persone chiuse al riparo del loro rifugio sicuro. Mi sono immaginato una scena notturna in cui l’uomo suona una dolce confessione d’amore e promessa di protezione alla sua amata. Tre nomi contemporanei italiani che ti piacciono particolarmente? Giovanni Truppi su tutti, poi La Rappresentante di Lista e Calcutta. Le Marche sono state fra le regioni più colpite dal coronavirus e tu sei legato alla tua terra fin dal nome d’arte. Che cosa ti senti di dire in questo momento così 37


oZZo

A partire dal singolo “Hello”, sono mille i progetti per il musicista e dj ex adepto della scena hardcore milanese Come nasce il progetto oZZo? Nasce intorno al 2018 dopo una mia separazione dal mondo musicale di circa un anno dopo lo scioglimento degli Audrey (metalcore band ultima mia fiamma). Veterano della scena hardcore milanese di metà anni 90 ho militato come chitarrista in progetti come PHP, Mellowtoy per chiudere per l’appunto con gli Audrey. Un po’ per nostalgia e un po’ per terapeutico rifiuto della vecchia scena nasce quasi per scherzo il progetto oZZo che per l’appunto prende il nome dal mio stesso nickname. Doveva essere una toccata e fuga, mi volevo regalare la scrittura di un singolo (Nothing but you) lontano dai canoni e dalle imposizioni di genere che il mio passato mi costringeva ad avere. Poi in realtà ci ho

preso gusto e ho scritto insieme a Alessio Corrado alla voce e Jacopo Festa alla produzione in studio, #pastislost il mio primo ep datato aprile 2018. Sei tracce di elettronica e rock senza timori reverenziali; ero riuscito a scrivere dei pezzi che non seguivano le leggi del genere in cui mi si etichettava, suono come si suol dire quello che mi piace. Dall’ep sempre per scherzo inizio a giocare ma un po’ più seriamente con la parte elettronica della mia nuova avventura e da li a poco senza accorgermene faccio i primi passi verso il mondo dei producer/dj; nascono cosi a breve i remix di Crazy (smilax records), Change, Choices (tutti brani presenti nel mio ep ma stravolti in chiave “dance” elettrica, fino ad arrivare a Hello, uscita lo scorso


28 febbraio. Vorrei sapere qualcosa sulla genesi dell’ultimo singolo, Hello Hello, appunto. Hai presente quando si dice le congiunzioni astrali? In questo momento di stallo dovuto al lockdown e incognite sul futuro mi giro indietro al 2019 e sorrido. E’ successo tutto velocemente, ho iniziato a collaborare con 7skies dj producer noto ai più come artefice dei successi di Tiesto, KHSMR, Nervo e via dicendo; insomma non proprio l’ultimo arrivato al quale avevo chiesto un supporto per il mix e il mastering di Hello e la sua versione remix. Scatta quello che in gergo si dice stima a pelle reciproca, lui ci mette del suo anche nella produzione delle due versioni dei brani e io nel frattempo inizio una collaborazione come musicista per la sua Standalone-music registrando dapprima dei loop di chitarra per il primo sound pack per il vst Getlow e poi proseguo con la registrazione di sample di chitarre elettriche, (grazie a Lamina gtr e


nero gtr per la partnership) acustiche e classiche per il secodo gtr pack uscito poco prima della release di Hello. La versione di Hello sancisce un altro passo di avvicinamento del mio vecchio suono al mondo dell’elettronica. Uso massiccio di synth e loop, ma non ho abbandonato le chitarre heheh. Poi dopo il mio viaggio a New york dello scorso ottobre stringo dei buoni rapporti con l’etichetta indipendente (italiana) beatsound di Beppe Stanco che mi prende sottobraccio e mi pubblica i brani e segue la promozione. Ritorno alle origini, di nuovo “indipendente”. Il video della canzone è molto forte e d’impatto... La regia del video è stata come sempre affidata a Helena Gudkova (cameragirlhelena) mia compagna di video e visual fin dai tempi degli Audrey. Ho totale fiducia in lei e so che sa leggere bene nella mia testa senza bisogno di perdere tempo in chiacchiere. L’idea della sceneggiatura quindi è un mix della mia, embrionale e molto semplice, con gli innesti geniali 40

della regista per rendere la confusione e dicotomia che regna nel mio cervello diciamo un po piu fruibile. La storia apparentemente banale esprime il concetto del: “nella vita siamo il risultato delle nostre scelte e da quelle spesso dipende la nostra storia”. Ho voluto inserire come protagonista Elisa, la mia nipotina che ai tempi delle riprese aveva 2 anni e attraverso lei abbiamo raccontato le paure e i ricordi di una bambina che cresce e fa i conti col suo essere e diventare donna. Il fatto che ci siano dei riferimenti più o meno espliciti a mondi come Madonna (Frozen) e a film come Dal tramonto all’alba o spunti alla 30 seconds to mars, fa parte della mia deformazione professionale (art director e fotografo) che cerca sempre di posizionare un prodotto anche sul mercato e renderlo appetibile Ci vuoi spiegare perché i singoli escono affiancati dal remix? No non sono un megalomane anche se ci sono tutti gli elementi per pensarlo. Per me la musica è sempre stata una questione solo ed esclusivamente di linguaggio


e genere. La musica è espressione del proprio stato d’animo e del momento in cui sono state scritte; la formula che io chiamo “formula oZZo” prevede per le uscite dei singoli sempre i tre elementi – Pezzo originale – remix – video - perché credo che sia la sintesi del mio progetto intero. Dopo che finisco la stesura e l’arrangiamento del brano mi chiedo sempre come sarebbe se lo dovessi portare oltre che live anche durante un mio dj set; come potrei far convivere il brano con pezzi di Aoki o 7skies per l’appunto o CID o Chali e quindi come dicevo prima scatta la necessità di cambiare linguaggio e portarlo sui temi della “dancefloor” sempre mista al mio animo noir, ma più “smuovi sedere”. Questa schizofrenia artistica mi permette anche durante i dj set di portare slot di 30 minuti circa di soli miei brani che non è male per chi come me fino a poco tempo fa componeva musica punk e ha ancora nel cuore i Bad Religion. Quali i tuoi prossimi progetti? Prima di entrare in questa fase di stallo, più fisico che artistico,

stavo preparando il live show cercando di non parlare piu di oZZo e oZZo dj poiché la dicotomia è nata più per necessità di comunicazione italiana che altro. Lo show si compone di momenti live suonati (chitarra voce batteria) con stacchi alla consolle con la batteria e momenti di Djset puro. Non potendo prevedere quando, ma soprattutto come potrò portarlo in giro sto preparando la sua trasposizione live probabilmete streaming dal mio quartier generale (#kspacemilano) e ne ho fatto uno showreel demo di 20min. Sto anche scrivendo i follow up di Hello e soprattutto lavorando come producer a vari progetti al di fuori di oZZo come i Wolftheory e suonando in streaming con la neonata crew House of NoLo che sarebbe dovuto essere il format per la presentazione di Hello nei piccoli club ma che la contingenza non me lo ha permesso, per il momento. Vi aspetto per ora nei canali social e sulle piattaforme stream ma non dispero che presto potremo incontrare come si diceva una volta, sotto il palco. 41


KMFROMMYILLS Nell’ultimo singolo del duo, “The garden in_side” si concretizzano le molteplici influenze che caratterizzano la musica di Caterina e Manuel

Partirei dal raccontare chi siete e il motivo del vostro nome Ciao a tutti e grazie dell’opportunità di raccontarci. Il nome nasce poco dopo l’incontro personale ed artistico tra me (Manuel) e Caterina. Riflette, in parte, la mia passione per i giochi di parole e gli acronimi. Quando ci siamo incontrati abbiamo speso molto tempo in un luogo bucolico, distante kilometri dalla densità urbana, in pratica, campi, fossi, colline, uccelli notturni e cani da pastore. Proveniamo entrambi da esperienze musicali pregresse che hanno contribuito a farci crescere sia dal punto di vista umano che ar-



tistico e soprattutto, hanno mosso in noi il desiderio di sperimentare in questo progetto (composto da due persone) territori musicali che non avevamo ancora esplorato. Ridurre l’organico, aumenta le libertà e le responsabilità, quando si vuole condividere l’etica e l’este-

tica di quello che si produce. Come nasce The garden in_side, il vostro ultimo singolo e video? The garden in_side nasce prima come musica. Il testo è stato totalmente ispirato dalla musica, la melodia della voce si è generata spontaneamente dall’ascolto. Parte 44


dei brani del progetto (e questo in particolare) indagano la possibilità della dimensione domestica, intesa come rifugio, spazio concreto ma anche dimensione interiore, luogo in cui poter coltivare la creatività, ed elaborare ciò che poi restituirai al mondo. Riguardo al referente del giardino interno, esso non è una pura idealizzazione, ma corrisponde alla realtà delle cose, in quanto, nella casa in cui viviamo, piante e fiori occupano spazio preponderante e godono di importante attenzione (insieme ai felini). Il video è stato completamente realizzato da Martina Prosperi aka IWRYN, un’artista visiva con la quale siamo molto in sintonia e con cui abbiamo collabo-

rato anche per la realizzazione del video del singolo precedente. Esistono numerose convergenze tra la visione del mondo di Martina e la nostra, è stato quindi molto naturale affidarle il compito di costruire un “visivo” per The garden in_side. Quello che le abbiamo chiesto, era di lavorare in totale libertà, lasciandosi ispirare dall’ascolto della canzone. E’ molto stimolante pensare che qualcuno stia traducendo, in un altro codice, ispirazioni che tu stesso hai cercato di tradurre in musica e parole. La nostra collaborazione, infatti, è in divenire e non si esaurisce con questi due video. Quali sono i vostri punti di riferimento artistici e musicali? Tutta la musica che abbiamo ascoltato, ascoltiamo e ascolteremo, molta letteratura, il teatro, la performing art, l’arte visiva, il cinema. L’umano. L’animale. La fisica. La metafisica. Se vibra, ispira. Quali sono i vostri prossimi progetti? Il n°10 di Downing Street, il disco, continuare a fare ciò che amiamo.

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IRON MAIS

“Woodcock” è il nuovo album della band “rurale”, con un inedito e molte riletture, alcune delle quali decisamente sorprendenti Partiamo dalle radici: mi raccontate come nasce “Woodcock”? Woodcock, come tutti gli altri album, nasce per dare energia, buon umore e fibra a chi sceglie di ascoltarci; siamo rimasti fedeli alla nostra linea , le nostre interpretazioni diventano come sempre dei veri e propri nuovi pezzi renden-



ma anche punk e qualche scelta decisamente pop... Veniamo tutti da estrazioni e background musicali diversi, classica, stoner, psychobilly, folk, rock, hardcore eccetera eccetera e quindi nei nostri album cerchiamo di omaggiare oltre che gli ar-

do quasi irriconoscibili le versioni originali, il tutto sempre accompagnato da inediti,in questo caso “Sole” che rappresenta chi siamo e cosa pensiamo sempre con un po’ di sarcasmo e ironia. Come avete scelto i brani di cui fare la cover? C’è molto metallo 48


chi scegliereste per un duetto ora? Scegliere un artista con questa parata di nomi storici sarebbe impossibile, potremmo però fare contenti tutti con un bel concerto insieme ai Clash, ai Van Halen o in un’altra vita con Michael Jackson, perché no?! Siete famosi per la voglia di sorridere e le esibizioni dal vivo. Pare che questo periodo ce le abbia tolte entrambe. Come state vivendo la quarantena? Noi siamo un gruppo che vale e dà molto dal vivo e questa situazione non può che farci male, come penso ai tanti musicisti nel mondo nella nostra stessa situazione... Viviamo un periodo che passerà alla storia, in questo momento di incertezze ci è consentito soltanto aspettare come tutti il ritorno della normalità anche nel campo della musica. Ovviamente in questo periodo ci dedicheremo a qualche diretta on line o collaborazione a distanza, a scrivere e suonare ma soprattutto a restare pronti per ricominciare ancora più carichi e forti di prima.

tisti anche solo i brani che abbiamo amato e amiamo tuttora sempre e rigorosamente con il “Cock” duro! Mi raccontate qualcosa dell’inedito, Sole? I nostri pezzi nascono dalla voglia di esprimere sentimenti, pareri e pensieri, di solito i nostri brani sono sempre ironicamente pungenti e nel caso di Sole anche di protesta verso quelle persone che perdono tempo vivendo infelici, invidiose e insoddisfatte invece di agire, passare ai fatti e poi permettersi di riposarsi e prendere il sole, appunto da quí il titolo. Con una cover che avete fatto in passato avete duettato con l’artista originale (Corona). Potendo sceglierne una da “Woodcock”, 49


SILEK

Si chiama “Carnival” il nuovo album del rapper proveniente da Padova: più omogeneo e compatto, è soprattutto “il primo disco di Simone” Ci vuoi raccontare chi è Silek? Silek è lo pseudonimo di Simone, un ragazzino che si è appassionato al rap e a tutta la cultura hip hop da molto piccolo e nella metà degli anni ‘90 ha voluto farne parte in maniera attiva. Prima

del rap c’era tanta altra musica, e dal rap in poi altra ancora per cui la contaminazione con altri generi, sia per musica che scrittura ha colorato e cambiato molto la connotazione di quello che faccio rispetto al rap nella sua versione più



ortodossa. Per dieci anni ho fatto parte di Dozhens, la prima realtà nata a Padova, poi diventato quasi un laboratorio di sperimentazione e crossover fra generi inventandosi fra i primi il rap sulla musica elettronica già all’inizio dei 2000. Chiusa l’esperienza di gruppo dopo 10 anni di live e tre album, ho continuato la stessa ricerca da solo. Tanti altri live, vari album solisti, pause, esperienze e collaborazioni negli States fino a qui oggi. Negli anni mi sono appropriato di una scrittura sempre più personale, ho imparato a produrmi la musica da solo. La mia è una ricerca che porta a una modalità comunicativa fatta a strati, non facile, ma è una scelta, così come un flow personale, complesso che continuo a rivedere ed evolvere. Magari domani Silek sarà solo musica... o solo scrittura... o un progetto multimediale interattivo... vedremo. Si parla di maschere con “Carnival”: mi racconti con quali sentimenti hai approcciato il lavoro sul disco? Volevo fosse il primo disco di Si-

mone. Lasciare il personaggio per far parlare la persona, toccando le parti più intime, lasciando fluire le emozioni senza imbarazzi. Non ci sono temi sociali, come di solito era per la mia composizione, non ci sono teoremi e visioni o messaggi, c’è la mia parte emotiva più profonda, nuda, difficile da scrivere perché smuove cose che sono in fondo. L’ho scritto composto e registrato in tre mesi esatti e ci sono tutte le esperienze, le emotività i passaggi di questo periodo, è stato davvero intenso e mi ha portato a scrivere ogni giorno in maniera continua e fluida. In Carnival ci sono bui profondi ma c’è anche la luce, c’è il far pace con pezzi della mia vita, ci sono le mie paure e le mie speranze. La sera mi sedevo e scrivevo e dopo un’ora avevo la bozza del brano con tanto di ritornello. Mandavo.in giro su whatsapp i provini annoiando tutti quelli che si sentivano di sopportarmi e tiravo le somme. Poi smussavo. Benché tu sia abituato a spaziare tra i generi mi sembra che in questo caso tu abbia scelto un 52


ascoltare artisti della mia generazione ancora in giro, sono stati ottimi maestri ma che sento non appartenermi più. Fra i più attuali, anche se a loro volta di lungo percorso, ascolto e apprezzo molto Noyz Narcos, Salmo, Marracash, Primo Brown (RIP), Mezzo Sangue, ma anche qualcuno di più giovane ancora che si muove in altri territori. Che cosa pensi della situazione attuale l’hai spiegato bene in “Quarantema”... Che cosa farai “all’uscita”? Qualsiasi cosa io dica verrà confutata e resa merda dalle due grosse fazioni che vedo andare a crearsi, future contro no future, negazionismo contro fine del mondo. Credo che ne usciremo, ma una parte di noi è in preda al panico, credo che subire la paura sia il rischio più dannoso del virus stesso che va amministrato con responsabilità, ma presto o tardi passerà. Il problema è se rimane la paura. All’uscita farò quello che ho sempre fatto: cercare di costruire cose positive, solo che per un periodo lo farò con la mascherina.

vestito sonoro molto omogeneo e compatto. Da cosa nasce questa scelta? Volevo avesse delle tinte precise, ho scelto una palette e vi sono rimasto coerente, l’idea è che fosse un ascolto esattamente dentro quella stanza, con quegli odori e quei suoni. E’ un disco hip hop attuale, non vintage o nostalgico, ha bpm molto bassi, utili a darmi elasticità nella stesura del rap. Credo sia stato davvero il progetto più fluido e veloce del mio percorso, togli mix e periodo covid dopo tre mesi scarsi dall’idea di fare un nuovo progetto (dopo il precedente uscito a settembre) era tutto registrato con sette brani e pronto a uscire. Ho aggiunto solo la bonus track Quarantema composta e registrata a casa da me per ovvi motivi di cronaca. Nel totale quattro produzioni sono mie, tre di Nevo, una di Skinny. Chi sono i tuoi punti di riferimento nell’hip hop italiano? Vengo dall’ascolto di tutto il rap anni ‘90, per Sangue Misto e LouX sono stati i mentori che ancora mi godo, oggi però non riesco più ad 53



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