3.3 Le economie di sfruttamento
L'Africa, come già detto nei paragrafi precedenti, non sfuggì a nessuno dei limiti lasciati dalla decolonizzazione e come riporta Valsecchi (2005) la scarsità dei mezzi effettivi a disposizione del nuovo apparato di potere, l'andamento negativo dei termini di scambio fra i prodotti scambiati dall'Africa e quelli acquistati causarono uno stato di crisi generalizzata, indebitamento, povertà di massa e vuoto di potere: screditando i nuovi governi africani e innescando problemi cronici di stabilità. Ad esempio, la mancanza di entrate legate dal rapporto fra il governo e la popolazione, di difficile formazione - come ad esempio la riscossione erariale - hanno portato gli Stati a concentrarsi sul mantenere più che altro il controllo della capitale e su aree strategiche come le aree ricche di giacimenti petroliferi e minerari14. Dunque, sia per propri limiti che per reale impossibilità strumentale, la leadership dei paesi africani ha rinunciato ad ogni reale tentativo di incentivare la nascita di un'economia di produzione, limitandosi allo sfruttamento delle ricchezze del suolo, proseguendo il modello di sfruttamento ereditato dal colonialismo. Si può notare come l'Africa si basa tutt’ora su questo modello di sfruttamento delle materie prime: si calcola che in media il 90% delle esportazioni dei paesi africani siano proprio materie prime15 e dove non si sfruttano le risorse minerarie o forestali si fa affidamento sui cosiddetti cash crops, ovvero caffè, tè, cacao, cotone, olio di palma e altro. Il lavoro, in questo sistema di sfruttamento, viene pagato pochissimo, mentre le materie prime sono direttamente inviate fuori dal continente senza corrispettivo e il surplus economico. In altre parole, le rendite vengono trasformate in valuta e anch'esse trasportate all'estero e anche quella piccola parte che non fugge all'estero, insieme alle merci vendute, si perde in tanti rivoli, necessari al mantenimento dei network di potere. Dunque, chi trae godimento da questo sistema rimane comunque una ristretta cerchia di uomini politici e militari. È noto, anzi, come spesso i coltivatori africani, dediti ad un'agricoltura di sussistenza, vengano allontanati per far posto a enormi piantagioni monoculturali. In sostanza, si coltiva, si raccoglie e si vende al mercato internazionale, 14
Si può notare come gli Stati abbiano offerto un'estrema resistenza quando perdevano il controllo di province ricche di materie prime, seppur culturalmente o religiosamente molto diverse dal resto dello Stato. Emblematico è il caso del Sudan il quale ha a lungo osteggiato l'indipendenza del Sudan del Sud, territorio culturalmente e religiosamente molto diverso dal nord ma molto ricco di giacimenti petroliferi. Mentre, quest'ultimo paese riuscì a dichiarare la propria indipendenza soltanto nel Luglio del 2011, dopo svariati anni di lotte; già gli inglesi provarono a dividere questi paesi nel 1947, fallendo. Al contrario, il Darfour, territorio molto più omogeneo al resto del paese, ma povero, la guerra civile prosegue dal 2003 ed è da sempre stata ignorata dal governo di Khartoum, il quale si è limitato ad appoggiare i Janjwid, ribelli filogovernativi, per fermare l'avanzata dei ribelli. 15
Tranfo, L., 1995. Africa: la transizione tra sfruttamento e indifferenza, Bologna, EMI, p. 49.
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