Selezione di Sapori | 2021 05

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I L M A G A Z I N E D I VA L S A N A SET | OTT 2021


EDITORIALE

Estate per noi significa innanzitutto alpeggio. E l’emozione che ci regala la montagna traspare tutta dall’articolo di Giorgia, dedicato proprio ai formaggi d’alpeggio. Estate è anche tempo di grigliate e barbecue, per cui abbiamo chiesto a Sara di dedicare “L’intervista al macellaio” ai tagli da griglia. Ma è anche la stagione per eccellenza della frutta: ecco quindi le ricette di Anna Maria dedicate alle percoche e l’articolo di Gianluca sulla Fragolina di Ribera e Sciacca di Scyavuru. Estate è voglia di leggerezza, di non pensare a niente, di staccare la spina. E’ il momento in cui ricarare le batterie per poi ripartire carichi di energie e progetti in autunno.

SELEZIONE DI SAPORI: Il magazine di Valsana Team editoriale: Giorgia Barbaresco, Giulia Bassetto, Giulia Basso, Vittorio Castellani, Alessandro De Conto, Enrico De Conto, Matteo De Santi, Gianluca Di Lello, Danilo Gasparini, Martina Iseppon, Sara Mazzucco, Anna Maria Pellegrino Direttore: Giulia Basso In copertina: Karl Bernardi Foto di Beatrice Mancini Editore: Valsana srl Via degli Olmi, 16 - Godega di Sant’Urbano TV Registrazione Tribunale di Treviso n. 2422 del 28/04/2017

Un progetto, però, ve lo vogliamo già anticipare, non possiamo resistere: stiamo lavorando da qualche mese con Borgoluce a una nuova linea di pasta. Vi proponiamo una sorta di test di mercato: una pasta di grano duro Senatore Cappelli a coltivazione biodinamica. Un unico campo, un unico formato di pasta, in quantità limitata. E una pasta di farro, anche in questo caso solo un formato, stessa coltivazione e stessa lavorazione. I vostri feedback saranno preziosi, per decidere quanto spazio dedicare alla coltivazione di grano e farro il prossimo anno. Ci siamo innamorati subito di questo progetto, perchè crediamo che dare valore alle piccole produzioni significhi anche saper accettare e apprezzare i limiti di produzione, e avere la pazienza di aspettare, magari anche un anno, se il prodotto vale l’attesa. Ma questo ce lo direte voi... Martina Iseppon


SOMMARIO SETTEMBRE | OTTOBRE 2021

Viaggio in Alto Adige

PER FARE UNO SPECK...

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Intervista doppia

PESCA NEL PROFONDO BLU

Il momento migliore per

I FORMAGGI D’ALPEGGIO 10

Dietro le quinte

L’EVASIONE DEGLI ORDINI

Abbinamenti a 4 mani

RIPOSATO & VERSATILE 14

Il mondo a tavola

LA CUCINA TURCO BALCANICA

Novità a catalogo Chiedilo al macellaio Spreco alimentare

12

16

BORGOLUCE | MARCOLIN | PONTE VECCHIO 18 LA GRIGLIATA

08

22

COSA SUCCEDE PRIMA?

24

L’Italia è servita

LA RIBOLLITA TOSCANA

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Il prodotto dimenticato

CONFETTURA DI FRAGOLINA

28

Lacucinadiqb

LE PESCHE PERCOCHE

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viaggio in alto adige

PER FARE UNO SPECK... CI VUOLE KARL BERNARDI Alessandro De Conto Responsabile Commerciale

Un piacevole ritorno da Karl Bernardi per riscoprire come viene prodotto il suo speck e per portare con noi un po’ della sua energia travolgente 4 minuti di lettura

Intitolerei così questo articolo, con un gioco di parole, parafrasando la canzone di Sergio Endrigo “Ci vuole un fiore”. Perché forte è il legame tra lo speck e l’uomo che lo ha caratterizzato e personalizzato, forte e diretta la ricaduta sul prodotto finito delle scelte di filiera che fa un produttore, così come è forte in natura il legame tra un seme e il frutto che esso genera.

SPECK BERNARDI Uno dei migliori speck artigianali dell’Alto Adige, prodotto con carne fresca di suini di provenienza tedesca. Al taglio la fetta si presenta di un bel colore rosato, con la giusta proporzione di grasso; la forma è tendenzialmente squadrata. Il sapore è equilibrato e non troppo sapido. Delicate anche l’affumicatura e la speziatura cod 81050 | peso 5 kg circa cod 81052 | a metà

L’accoglienza è stata di prim’ordine: Karl ci raduna in cerchio nella piazzetta antistante l’enoteca e ci dà il benvenuto raccontandoci velocemente la sua idea di speck e le tre cose principali su cui ha lavorato negli ultimi anni. In primis la materia prima, che proviene da allevamenti tedeschi, su cui viene posta un’attenzione importante sia in merito alla freschezza della carne (controllandone il Ph al ricevimento), sia verso metodi di allevamento che non devono essere intensivi, e infine la macellazione, che deve seguire un codice etico.

Siamo abituati a raccontarvi le storie dei produttori, ma quando scriviamo di Karl Bernardi non è facile moderare emotività e suggestione. Ci conosciamo da anni, In seconda battuta la forma del prodotto forse più di venti, le nostre aziende sono finito: Karl ci ricorda come abbia modificato cresciute insieme e il taglio della coscia e di le chiacchierate sono conseguenza l’aspetto sempre belle dense, e finale dello speck nel Forte è il legame tra diverse sono le cose da corso degli anni grazie raccontare. E così dopo lo speck e l’uomo che ai feedback ricevuti il grande immobilismo dai clienti, in modo da lo ha caratterizzato e causato dai vari permettere al cliente lockdown abbiamo personalizzato, forte e stesso di avere meno ripreso a fine maggio diretta la ricaduta sul irregolarità, meno con le visite ai produttori rifilature, e quindi meno prodotto finito delle scelte di un po’ più lontani e tra i scarto e più superficie primi a esser visitati c’è filiera che fa un produttore di taglio. stato anche Karl. Infine l’affumicatura, Siamo andati a trovarlo processo decisivo per Brunico (BZ) un sabato mattina, insieme a definire la cifra qualitativa di uno speck. tutta la rete vendita, con l’obiettivo primario Ebbene Karl ha scoperto che l’affumicatura di riprendere contatto sicuramente con non doveva essere un processo unico e l’artigiano, ma anche con il suo prodotto continuo e quindi invasivo, bensì doveva principale, lo Speck. Sentivamo il bisogno trovare il modo di lasciare il tempo al prodotto di rinsaldare la consapevolezza dei nostri di assorbire il fumo lentamente e così ha venditori più esperti verso un prodotto “brevettato” un metodo a cicli di riposo e assolutamente diverso e di prima fascia, ma affumicatura con legni locali. Qui però non anche di farlo conoscere alle nuove leve. posso raccontarvi nulla di più.

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Proverò piuttosto a dirvi come è andata la seconda parte della visita, quando siamo stati accompagnati all’interno dei locali di stagionatura, prima, e di produzione, poi. Lo speck riposa insieme ad altri salumi all’interno di un vecchio mulino, adiacente al corso del fiume Rienza, restaurato nel rispetto degli stili e dei tempi passati. La vicinanza al fiume, si badi bene, non è casuale: garantisce il giusto mix tra umidità e corrente d’aria che tanto bene fa all’asciugatura di un salume. Asciugatura lenta, graduale, che non deve mai diventare essiccazione forzata. Lo Speck di Bernardi si differenzia anche per questo, per una stagionatura sempre superiore ai 7 mesi, necessaria per eliminare l’umidità della carne, ma anche per garantire digeribilità e finezza organolettica.

È suggestivo entrare da un lato della costruzione in queste celle di stagionatura tutte nere, quasi a ricordare il fumo, dal soffitto alto e appena raffrescate, e dall’altro vedere i vecchi uffici del mulino e anche i locali di soggiorno dei mugnai con la sempre affascinante stube. È proprio all’interno di queste celle che viene scattata la foto di copertina di Karl in mezzo alle sue creature. Credo la copertina possa raccontare meglio di quanto faccia questo articolo il carisma e l’energia di quest’uomo. Mitico davvero. E infine tra corridoi e scale successive ci spostiamo nel laboratorio di produzione, sottostante l’enoteca. Qui si ricevono le cosce di suino in osso (a volte anche le mezzene) che dopo esser state disossate vengono parate ad hoc ed entrano nella fase di salatura e conciatura.

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Karl Bernardi è uno dei produttori storici con cui collaboriamo. Un uomo carismatico e pieno d’energia che guida la sua azienda nell’instancabile ricerca di soluzioni innovative.


PANCETTA AFFUMICATA BERNARDI Pancetta salata e speziata con la stessa concia utilizzata per lo speck. Si presenta piuttosto bassa perché privata delle cartilagini, riducendo al minimo lo scarto. Il sapore è dolce, con un delicato sentore di affumicato

Si tratta di una salatura a secco che dura circa 4 settimane e si trasforma in salamoia a causa della fuoriuscita naturale dell’umidità contenuta nella carne. Le cosce vengono rivoltate all’interno delle vasche una volta a settimana in modo da prendere sale e sapori in modo omogeneo. Viene fatta contemporaneamente la concia del prodotto con cumino, coriandolo, pepe e soprattutto ginepro, oltre a un pizzico di nitrito. Successivamente arriva il momento dell’affumicatura in un forno apposito, dove si alternano dolcemente fasi di fumo freddo e di riposo della carne, per una durata totale del processo che si avvicina al giorno intero.

cod 80404 | peso 2 kg circa

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La coscia acquisisce una colorazione bruna ed è pronta ad avviarsi alla fase di maturazione che non durerà mai meno di 7 mesi complessivamente. Mesi necessari affinché la carne possa completare il processo di maturazione, acquisire una fibra asciutta e un sapore fine ed elegante, e trovare quell’equilibrio tra grasso e magro indispensabile per aver un prodotto sopraffino. Negli ultimi anni si fa sempre più fatica a trovare speck che abbiano almeno un dito di grasso tra carne e cotenna (si parla di rapporto ideale 3:1 tra magro e grasso), e persino con lo speck di Karl abbiamo passato periodi difficili su questo fronte. Tuttavia da diversi mesi anche questo problema è stato


risolto e lo speck ritratto in queste foto può essere considerato rappresentativo della qualità di Bernardi.

SPECK COTTO BERNARDI Speck cotto e leggermente affumicato. La materia prima è la stessa dello speck classico, mentre la lavorazione è simile a quella di un prosciutto cotto. Il sapore è dolce, con una leggera nota di affumicato

La visita si conclude alla grande, con un pranzo organizzato all’aperto a base di insalata di patate e würstel, una carrellata di salumi della casa, la zuppa di gulasch e una gran bella compagnia! Dopo il caffè ci rimettiamo in viaggio e ci portiamo nel cuore una rinnovata conferma: dietro a un grande prodotto c’è sempre un grande produttore! Reportage fotografico di Beatrice Mancini

cod 81054 | peso 3,5 kg circa

PROSCIUTTO COTTO AFFUMICATO ALLE ERBE Prosciutto cotto aromatizzato con erbe e leggermente affumicato, prodotto con cosce di suini nazionali o esteri. Il sapore è dolce, con leggere note di affumicato e sentori di erbe cod 81070 | peso 3,5 kg circa cod 81071 | 1,6 kg circa | a metà

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intervista doppia

Giulia Basso giornalista collaboratrice de Il Piccolo di Trieste

Jorge e Juan Yurrita

Tuccio Testa

PESCA NEL PROFONDO BLU Del Cantabrico o del Mediterraneo? Bianco o rosso, il tonno è il re del mare 3 minuti di lettura

Da cinque generazioni la famiglia Yurrita produce Acciughe Cantabriche e Tonno Bonito. E’ la più antica azienda conserviera dei Paesi Baschi, fondata nel 1867 nel luogo di residenza della famiglia, “Casa Mauleon”, a Mutriku (Guipúzcoa), piccolo paese di pescatori sul Mar Cantabrico. Inizialmente era dedita alla produzione e vendita di pesce in salamoia e salato, che lavorava nel seminterrato della casa e distribuiva nel resto della Spagna. L’azienda, che oggi ha una rete di clienti in più di 60 paesi al mondo e circa un centinaio di dipendenti, si caratterizza per l’approccio artigianale alla lavorazione del pesce. Mentre le Acciughe Cantabriche sono la loro produzione originaria, solo più di recente Yurrita Group ha acquistato anche uno stabilimento per la lavorazione del Bonito del Norte, il famoso tonno alalunga pescato nel Mar Cantabrico nella stagione estiva. All’interno della fabbrica operano principalmente donne, più avvezze al minuzioso lavoro di pulizia e confezionamento, mentre gli uomini si occupano della pesca in mare aperto. Il tonno è pescato all’amo, come da tradizione, nel rispetto di tutte le norme per una gestione sostenibile della pesca. Il taglio e il confezionamento avviene manualmente, con un’attenzione certosina a ogni tassello della filiera, dall’acquisto del pesce da pescatori locali noti alla commercializzazione dei prodotti. Oltre ai classici tranci tonno bianco Mar Cantabrico di Tonno Bonito del Norte, che si caratterizza per il suo colore bianco SPAGNA e la consistenza morbida, Yurrita Paesi Baschi pesca sostenibile propone anche la ventresca di Juan e Jorge Yurrita Tonno Bonito, la parte più pregiata, collocata sul ventre del pesce.

Tonno Bonito del Norte 1867

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tracciabilità

1840 La famiglia Testa è SICILIA una storica stirpe di pescatori del borgo Mar Mediterraneo tonno rosso marinaro di Ognina, Tuccio Testa una delle zone più caratteristiche di Catania artigiani del mare Catania. “Dalle testimonianze che ci sono state tramandate non siamo riusciti ad andare più a ritroso del 1840, ma le origini potrebbero essere precedenti”, spiega Tuccio Testa, appartenente all’ultima generazione dei Testa e Ceo dell’azienda. La loro sede legale sta in una viuzza dirimpetto al porto cui è stato dato il nome della famiglia. “In via Testa, mi raccontava mio nonno, erano in 14 figli che vivevano tutti assieme spiega il Ceo -. Oggi l’ultima generazione dei Testa, io, Nino e Giuseppe, porta avanti la tradizione senza dimenticare l’innovazione: come “artigiani del mare”, siamo stati noi ad affacciarci al mondo delle conserve. Io sono il più anziano a livello lavorativo, perché ho iniziato a pescare a 16 anni e proprio per questo conosco tutte le singole fasi del nostro lavoro. Un mestiere piuttosto faticoso, che però è il massimo per chi, come me, ama andare per mare”. Il loro tonno rosso, che catturano nel Canale di Sicilia con le navi Atlante e Futura, è adorato dai giapponesi, che lo acquistano in gran quantità per utilizzarlo come “re del sushi”, anche grazie alla preziosa componente di grasso di qualità che i Testa ottengono con il loro sistema di ingrasso del pesce. Gode di tracciabilità massima: l’etichetta con cui viene accompagnato racconta tutta la sua storia, dal mare fino al ristorante. A valorizzarlo ancor di più negli ultimi anni ci ha pensato lo chef due stelle Michelin Ciccio Sultano, che ha curato una linea di prodotti e sughi ad hoc e che inventa sempre nuove ricette con il tonno rosso come protagonista.


“Abbiamo intervistato Juan Yurrita e Tuccio Testa, per capire le differenze tra i due tonni” TONNO BONITO DEL NORTE

FILETTI DI TONNO ROSSO IN OLIO DI GIRASOLE BIOLOGICO

cod 93687 | peso 190 g (anche in latta da 1850 g)

cod 94196 | peso 190 g

1) Nome del prodotto?

Bonito del Norte.

Tonno Rosso.

2) Origine della materia prima?

Pescato nel Mar Cantabrico, a nord della Spagna.

Mare Mediterraneo, Canale di Sicilia.

3) Caratteristiche della tonno?

Tonni della specie Thunnus Alalunga di pezzatura Carne tendente al rosso, con un’alta tra gli 8 e i 12 chili. La carne si presenta bianca percentuale di grasso di elevata qualità. all’esterno con sfumature rosate tra le fasce muscolari e un equilibrato contenuto di grasso.

4) Come viene pescato?

Uno a uno, con il tradizionale metodo “a canna”.

Con reti a circuizione. Una volta catturato viene trasferito in vasche di crescita, dove lo nutriamo per circa due mesi con sgombri certificati.

5) Come è regolamentata la pesca?

E’ certificata con il sigillo di sostenibilità MSC, che garantisce un pescato con un impatto minimo sull’ambiente e in quantità che consentano la rigenerazione della specie. È una pesca stagionale che si svolge nei mesi di luglio e agosto.

L’ente europeo preposto, ICCAT, fissa una quota massima annuale ogni triennio. Abbiamo un permesso di pesca speciale che va dal 25 maggio al primo luglio e, comunque, al raggiungimento delle quote dobbiamo rientrare in porto.

6) Come avviene l’abbattimento?

Il tonno viene lavorato e confezionato da fresco: lo In enormi “navi piscina” poste accanto alle gabbie stesso giorno in cui entra in porto lo portiamo allo d’ingrasso. Entro 15 minuti dalla cattura, il pesce stabilimento per la lavorazione. viene inserito in potenti abbattitori che portano la carne a -60 gradi.

7) E la pulizia e il taglio?

Appena entrato nello stabilimento tagliamo la testa e separiamo la ventresca, che è la parte più pregiata del Bonito del Norte, dal tronco, che cuociamo. Una volta cotto separiamo i 4 lombi ed eliminiamo manualmente pelle e lische, infine tagliamo anche i lombi per il confezionamento.

8) Come avviene la cottura?

E’ una cottura lunga e a bassa temperatura che A vapore, per mantenere il sapore e la permette alla carne di mantenere una buona consistenza della materia prima. struttura e di preservare il sapore originario.

9) Come viene conservato?

In olio d’oliva.

Per noi il condimento non è liquido di governo, ma parte integrante del prodotto. Abbiamo due linee: nella prima usiamo olio biologico di semi di girasole spremuto a freddo; nella seconda olio extravergine d’oliva Igp di Sicilia.

10) Come viene confezionato?

In modo artigianale, in lattine o vasetti di vetro.

In modo artigianale: i filetti vengono tagliati ad altezza vaso, quindi viene aggiunto l’olio, il prodotto viene sterilizzato, messo sottovuoto ed etichettato.

11) Perchè è diverso dagli altri?

Crediamo che il confezionamento del pesce fresco Per l’alta percentuale di grasso di qualità che differenzi la qualità del nostro prodotto, oltre al contiene. sapore delicato e alla consistenza morbida e tenera.

12) Consigli per la conservazione?

Una volta aperto va conservato in frigorifero, Ogni conserva dà il massimo subito, appena coperto di olio d’oliva. aperta. Ma il prodotto si può consumare entro tre giorni dall’apertura.

13) Qualche ricetta da suggerire?

Ottimo come tapas, arricchito con peperoni dolci Si può preparare un finger con un tocchetto di arrostiti e polpa di pomodoro. tonno, una scorzetta di limone o arancia di Sicilia e un’emulsione preparata con due parti dell’olio in cui è contenuto il tonno e una di latte di soia.

Prima dell’abbattimento si provvede a tagliare la testa e la coda del pesce. Poi i filetti vengono perfezionati in stabilimento, prima di essere invasati.


il momento migliore per...

I FORMAGGI D’ALPEGGIO Un patrimonio che non possiamo perdere: l’Alpeggio ci regala emozioni sempre nuove e il momento migliore per farsi travolgere è proprio ora! Giorgia Barbaresco Responsabile Qualità

4 minuti di lettura

IL MOMENTO E’ ORA Finalmente è arrivato il tempo di parlarvi del periodo che preferisco, quello che sento più nelle mie corde, siamo alla fine dell’estate e quindi questo è il momento migliore per assaggiare i formaggi d’alpeggio, sia quelli preparati durante questa estate sia quelli dello scorso anno! Il pascolo è una gioia per gli animali che hanno il permesso di muoversi liberamente e scegliere l’erba migliore; il fatto di essere in un ambiente naturale e di mangiare principalmente erba fa stare al meglio la vacca che ci restituisce un ottimo latte, più ricco di grassi buoni e sicuramente più ricco di aromi. L’alpeggio mi fa pensare a un uomo che cammina sulla fune… è questione di equilibrio!

ASIAGO PRESSATO DOP - PRODOTTO DELLA MONTAGNA Particolare selezione di Asiago Pressato prodotto a 1100m con latte vaccino intero proveniente da vacche che pascolano nell’altopiano cod 30810 | peso 14 kg (disponibile anche 1/4)

QUANDO E’ fondamentale portare la mandria al pascolo al momento giusto, se è troppo presto non c’è l’erba sufficiente, ma se è troppo tardi, soprattutto ad altitudini poco elevate, gli animali trovano un’erba troppo matura e tendono a rifiutarla, obbligando così il malghese a ricorrere a integrazioni con mangimi. E’ molto importante conoscere il proprio alpeggio e avere l’esperienza necessaria. QUANTO Dev’esserci il giusto rapporto fra superficie e numero di capi, troppi animali infatti rischiano di rovinare il pascolo, sia per il calpestamento sia per la quantità eccessiva di deiezioni. Per questo sarebbe opportuno creare una sorta di turnazione del pascolo e non lasciare totalmente libere le vacche di scegliere dove pascolare. COME Grazie al mio lavoro ho avuto la possibilità di imparare che esistono diverse modalità di alpeggio e lavorazione del latte. Innanzitutto, il latte può essere lavorato direttamente in alpeggio oppure solo la mungitura può essere fatta in alta

FONTINA VALDOSTANA DOP 1600-2600 m

quota e la trasformazione effettuata a valle. L’alpeggio può essere fatto lasciando che gli animali pascolino per tutta l’estate nelle aree circostanti la malga (tipologia molto diffusa in Veneto e Friuli Venezia Giulia) oppure prevedendo una turnazione del pascolo: in alcuni casi si hanno 2 malghe e gli animali restano a una certa altitudine per un mese e poi si spostano più in alto, in altri casi ogni 15 giorni circa animali e malgaro salgono sempre più su alla ricerca di erba sempre fresca, portandosi dietro tutto il necessario per la trasformazione del latte (es. Storico Ribelle). Le vacche, come sapete, vengono munte due volte al giorno, una alla mattina e una alla sera. La mungitura in malga viene fatta a mano o con una mungitrice; sono rari i casi in cui è disponibile una stanza dedicata, più spesso è il malghese che si sposta da un animale all’altro per mungere. La mungitura richiede davvero molto tempo e spesso la stessa persona deve poi trasformare il latte; e per alcuni formaggi la lavorazione viene fatta ogni volta che si munge. Si fa presto a fare i conti di quanto intensa possa essere una giornata in malga: sveglia prima che sorga il sole, piccola pausa pomeridiana e poi si prosegue fino alle 22 quando le vacche sono di nuovo in stalla, al riparo. PERCHÉ “Perché lo faccio?” è una domanda che probabilmente il malghese si fa all’inizio di ogni stagione. Sinceramente non gli saprei dare una risposta, anche perché spesso il suo impegno e il suo lavoro non vengono compresi e al formaggio che produce non viene riconosciuto il giusto valore. Ma se assaggiate un formaggio d’alpeggio il perché lo scoprite da soli, è assolutamente impareggiabile. Rispetto all’alimentazione invernale, quando le vacche si nutrono di fieno e cereali o insilati, quella estiva a base di erba migliora le STORICO RIBELLE 1400-2000 m

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condizioni del microbiota del rumine e questo ha un effetto positivo sulla composizione del latte. Alcuni studi hanno messo in evidenza come durante l’alpeggio il latte sia caratterizzato da una flora costituita principalmente da batteri desiderati per le loro buone proprietà casearie e dalla presenza di batteri probiotici che stimolano il sistema immunitario. Un altro aspetto assolutamente da sottolineare è come cambia la composizione in acidi grassi; aumentano gli insaturi nel latte di bovini alimentati con erba e fieno, migliora il rapporto tra omega 6 e omega 3 ed è presente un importante acido monoinsaturo, l’acido vaccenico, che può ridurre i fattori di rischio connessi a obesità e diabete. Insomma, il latte e i formaggi d’alpeggio ci offrono molto di più che un gusto migliore! UNA GIORNATA IN MALGA Tuttavia, nonostante tutti questi aspetti positivi, la vita in malga non è affatto facile. Ci sono malghe che si possono raggiungere in auto e altre solo a piedi, altitudini differenti, mungiture differenti, mandrie più o meno grandi, ma è pur sempre faticoso e a volte le risorse e le persone non sono sufficienti, soprattutto quando una parte della mandria deve restare a valle. Ogni anno chi pratica l’alpeggio si trova a fare delle valutazioni, in primavera o in autunno deve decidere cosa fare. È toccato anche a Ponte Vecchio e la loro malga sul Monte Cesen ha rischiato di non essere aperta quest’anno: se decidessero di non monticare l’anno prossimo sarebbe davvero una grossa perdita per il nostro territorio.

FORMAI DE MUT DELL’ALTA VALLE BREMBENA DOP 1300-2500 m

Nel tempo c’è stata sicuramente un’evoluzione, un cambiamento importante, perché nei decenni passati la produzione di latte nella malga era legata alla presenza di mandrie formate da bovine provenienti da stalle diverse. In fase avanzata di produzione lattifera, le bovine avevano partorito nell’inverno o in primavera BAGOSS DI BAGOLINO 1750-2000 m

e venivano monticate gravide, di conseguenza il latte aveva elevate percentuali di grasso e proteine e la produzione tipica della malga era il burro, poi la ricotta e un formaggio destinato a essere consumato nel periodo invernale. In Trentino è ancora così, alcuni caseifici (come quello di Primiero) danno la possibilità ai propri conferitori di mandare le vacche in alpeggio, con un malghese che le accudisce, così loro possono rimanere a valle e praticare lo sfalcio dell’erba, ottenendo prati puliti che tengono lontani animali indesiderati, e fieno per l’inverno. IL NOSTRO IMPEGNO Oggi le malghe non sono più così numerose, le mandrie generalmente sono di un solo proprietario, il burro è molto raro e il formaggio spesso viene venduto fresco direttamente in alpeggio. Tutto questo è comprensibile perché riduce il lavoro e aumenta il guadagno, ma purtroppo ci toglie la possibilità di “conservare” la diversità delle produzioni e di preservare i formaggi tradizionali. Per salvare questo patrimonio ce la mettiamo tutta, acquistiamo il prodotto giovane e lo lasciamo stagionare in montagna, ci facciamo appartare del prodotto programmando i ritiri, sosteniamo i produttori garantendo il giusto prezzo e cerchiamo di sensibilizzare il più possibile il cliente. Facciamo la nostra parte per sostenere le produzioni d’alpeggio, sono un patrimonio che non possiamo perdere. Ci regalano esperienze sempre nuove, e se durante la degustazione chiudete gli occhi e vi concentrate sulle sensazioni, vi accorgerete di quanta complessità si possa trovare in un pezzo di formaggio d’alpeggio: magari è imperfetto, magari non è bello, ma di sicuro è onesto, ricco di aromi e se siete stati in malga vi ricondurrà esattamente lì, con i campanacci, i profumi tipici dell’alpeggio e i colori dei prati in estate.

VEZZENA DI LAVARONE 1470-1730 m

MONTE CESEN 1570 m ASIAGO MALGA VERDE 1100 m


dietro le quinte

L'EVASIONE DEGLI ORDINI Sincronizzare arrivi e partenze su tanti articoli freschissimi e gestire velocemente un numero importante di ordini sono le principali criticità del processo di evasione

Martina Iseppon Responsabile Marketing

4 minuti di lettura

220 numero medio di ordini evasi ogni giorno

6.980 kg spediti in media ogni giorno

Quando raccontiamo cosa fa Valsana parliamo molto spesso di selezione, di qualità, di comunicazione, di prodotti e produttori. Tendiamo sempre a lasciare in secondo piano la logistica, intesa come l'insieme di processi di movimentazione della merce dall'ingresso nel nostro magazzino fino all'uscita e alla consegna presso il cliente. In realtà però anche questo aspetto del nostro lavoro ha una complessità importante, che merita di essere raccontata. Due sono le principali criticità che rendono estremamente complessa la logistica da noi: •

la gestione di tantissimi articoli con una vita molto breve: 500 referenze con una shelflife inferiore a 30 giorni, di cui 120 prodotti con meno di due settimane di vita all'arrivo;

la velocità di evasione: la preparazione degli ordini avviene immediatamente prima della spedizione, proprio per cercare di garantire la migliore shelflife possibile; per questo il reparto prelievo-imballo è spesso sotto pressione, a causa dei tempi compressi.

Stiamo lavorando su diversi fronti per ottimizzare i tempi di gestione con l'obiettivo di far lavorare meglio i nostri ragazzi, nel frattempo vi raccontiamo come funziona tutto il processo.

☛ PRE-IMPEGNO 1

925 numero di colli spediti in media ogni giorno

Tutti gli ordini che riceviamo dai clienti, via telefono, mail o whatsapp vengono inseriti manualmente dal nostro ufficio commerciale nel gestionale. Sempre nello stesso gestionale vengono accodati invece automaticamente gli ordini inviati via tablet dai nostri agenti o direttamente via web dai clienti che utilizzano la nostra app di riordino shop.valsana.it. Gli ordini restano quindi nel gestionale fino a circa mezza giornata prima del momento previsto per la spedizione, intesa come carico dei nostri mezzi o consegna dei colli ai vettori. VALSANA | 12

Ogni mattina vengono quindi preparati gli ordini in partenza dopo pranzo, mentre il pomeriggio vengono preparati gli ordini in partenza il mattino successivo. Il primo processo è una sorta di pre-impegno, che verifica la disponibilità dei prodotti a magazzino e invia all'agente di riferimento una mail con l'indicazione dei prodotti non disponibili a magazzino e per i quali non è nemmeno previsto un arrivo dal fornitore. Le righe ordine disponibili vengono invece inviate al nostro WMS (Warehouse Management System) ossia il software che gestisce tutta la movimentazione delle referenze a magazzino.

☛ EVASIONE 2

Il Responsabile di Produzione, Roberto Armellin, con l'aiuto del suo vice, Vincenzo Alberghini, organizza e gestisce l'evasione degli ordini, un processo che fa principalmente due cose: •

impegna per ciascuna riga ordine uno specifico lotto/scadenza, secondo la logica FIFO (first in first out), per riuscire a far uscire correttamente i prodotti in ordine di shelflife e garantire la rotazione delle scorte;

crea le "missioni di prelievo", ossia le liste dei prodotti da prelevare per ciascun cliente, secondo una sequenza stabilita, che vengono assegnate a uno o più operatori.

La gestione delle evasioni è un processo critico, perchè deve garantire che gli ordini vengano preparati nei tempi previsti per la spedizione, monitorando continualmente l'arrivo di nuovi ordini, aggiunte o sostituzioni durante la fase di preparazione e coordinandosi con il reparto accettazione per i prodotti "in urgenza", il cui arrivo è previsto nella stessa giornata della partenza. Burrate, mozzarelle e altri freschissimi arrivano infatti spesso in mattinata e alle 12 sono già in consegna: ciò richiede un'estrema


velocità di gestione sia del carico della merce in ingresso che dell'evasione delle righe "in urgenza".

☛ PRELIEVO 3

Una volta che gli ordini sono stati evasi, gli operatori che si occupano di prelevare la merce - Andrea Cais e Alessio Salvador, ma anche gli stessi Vincenzo e Roberto - si ritrovano sul terminalino le diverse "liste di prodotti", ossia le missioni di prelievo assegnate loro. La missione di prelievo può essere mono-cliente se l'ordine ha un volume importante, oppure multi-cliente, se le righe ordine non sono molte e risulta pertanto più efficiente prelevare più ordini assieme. In entrambi i casi, nel momento in cui viene effettuato il prelievo, l'operatore sa esattamente cosa sta prelevando per chi, cosa che ci permette di gestire eventuali commenti sul prodotto e di personalizzare il più possibile il servizio. Il prelievo viene eseguito con un carrello commissionatore con diversi scomparti, tutti identificati da un codice a barre: ogni scomparto viene assegnato a un unico cliente, in modo da mantenere separati i diversi ordini anche in caso di prelievo multi-cliente. Quando sceglie una missione di prelievo l'operatore deve innanzitutto abbinare il carrello al cliente (o ai clienti), dopo di che gli vengono proposti gli articoli da prelevare, in base a una sequenza che ottimizza il giro di raccolta. Per ciascun articolo viene evidenziato il posto dove si trova lo specifico lotto-scadenza da prelevare, il numero di pezzi e il cliente a cui è destinato.

☛ 4 IMBALLO Una volta completato il giro di raccolta, i prelevatori lasciano i carrelli in baia di spedizione, dove vengono gestiti dai colleghi che si occupano dell'imballo: gli "storici" Claudio Dal Cin e Sergio Signorello, assieme a Fulvio Ferracin, Francesco Villa, Alex Dall'Arche e Mario Antoniazzi. L'imballo viene gestito a coppie: un operatore conferma a video il numero di pezzi e il peso dei prodotti prelevati, mentre l'altro si occupa di comporre i colli, secondo le indicazioni stabilite dal nostro ufficio qualità. Per molti ordini spediti all'estero viene predisposta anche una packing list, la cui gestione è affidata quasi sempre a Sergio: in questo caso la costruzione dei colli avviene in modo puntuale, dichiarando esattamente quali e quanti prodotti vengono messi in ciascun collo. I colli vengono preparati per giro di consegna e quando il pallet è completo viene portato nella cella di spedizione, dove rimane fino al momento del carico sui nostri mezzi o della consegna al trasportatore. Vi abbiamo raccontato come funziona a grandi linee il processo di evasione degli ordini, evidenziando le principali criticità. Stiamo comunque lavorando sull'organizzazione, con l'obiettivo di evadere gli ordini in modo più efficiente, con meno sbagli. I vostri commenti sono quindi benvenuti, così come la vostra comprensione in caso di errori!

I nostri ragazzi del reparto "Prelievo-Imballo" E' un reparto spesso sotto pressione, compresso tra i tempi di arrivo dei prodotti e la gestione di ordini e aggiunte last minute. La sfida? Lavorare con qualità, nonostante la velocità.


ti n e m a n i Abb piatto nel

abbinamenti a 4 mani

RIPOSATO & VERSATILE Formaggio a pasta dura, gessata, friabile, prodotto con lavorazione a latte “riposato”. Dalla scuola casara piemontese, eccovi sul palcoscenico il Castelrosso, conosciuto anche come “Toma Brusca” 3 minuti di lettura

PERA Non abbiamo bisogno del contadino per farci dire quanto è buona la pera col formaggio, ma in questo caso ve la propongo un po’ più intrigante: posizionate qualche fetta regolare di pera su una teglia da forno e adagiate qualche scaglia di Castelrosso sopra. Macinata di pepe fresco, tocco di miele e via a grigliare in forno. Le note erbacea e di yogurt del Castelrosso stanno meravigliosamente con quelle calde e dolci che la pera tira fuori quando scaldata e infine il pepe dona la parte aromatica che mancava. Se voleste indugiare anche con una fetta di guanciale o lardo, verrei a fare aperitivo da voi!

ti n e am n i b Ab calice nel

CASTELROSSO

LANGHE NEBBIOLO DOC Piemonte

Formaggio piemontese prodotto dal Caseificio Rosso con latte intero pastorizzato di vacche di razza Pezzata Rossa d’Oropa lasciato acidificare prima della coagulazione.

Il Castelrosso selezionato da Valsana ha una stagionatura minima di 60 giorni, giocato sull’acidità, su di una pasta gessosa e su un’aromaticità non ancora troppo spinta. Cercherei in primis l’abbinamento con un Langhe Nebbiolo, in modo da non sovrastare il formaggio con strutture troppo importanti. Non è difficile trovare versioni che affinano solo in acciaio e dal tenore alcolico non elevato, che divertimento!

La crosta è rugosa, con colorazione che va dal grigio al marrone a volte caratterizzata da muffe di colore giallo. La pasta è di colore bianco o paglierino a seconda della stagionatura. La consistenza leggermente granulosa diventa più morbida e cremosa con il progredire della stagionatura. Dolce, talvolta leggermente sapido, con importanti sentori di erbe e frutta tostata, si distinguono le note di cantina e di fungo. codice 31041 | peso 3 kg circa

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Parlare del formaggio Castelrosso può portarci verso varie declinazioni di tradizioni casare e culinarie, quindi a molte maniere di intenderlo. Per me due parole semplici che lo identificano per questo articolo sono: riposato e versatile. Riposato perché viene prodotto con una lavorazione che comporta l’acidificazione del latte per qualche ora in modo da aumentarne l’intensità a livello di gusto e carica batterica. Inoltre, il Castelrosso è versatile: pensando ai possibili abbinamenti e usi mi sono trovato davanti a un gran numero di scelte, tutte valide, fino quindi a dirmi che la qualità sta proprio nella capacità di poterne fare praticamente ciò che volete. Io vi suggerisco alcune proposte di stagione ma qualcosina anche per i futuri freddi.

Matteo De Santi Export Manager

ANCORA UN PO’ D’ESTATE

AAAH, LA PASTA

FONDUTA BRUSCA

Finchè ce n’è approfittiamone. Giornate calde che ci spingono verso la costa oppure in montagna per rinfrescarci creano opportunità di ricette estive e anche l’occasione di suggerire l’aggiunta di Castelrosso a scaglie nelle vostre insalate o preparazioni fredde. La sua consistenza friabile è molto interessante per questo tipo di preparazioni, sia per le note di frutta secca che per il suo contributo di gusto che rimane meno sapido e meno umido rispetto a una classica feta.

Chi rifiuta la pasta ha qualcosa da nascondere. Lo dicevano di chi beve solo acqua, ma per me vale anche per la pasta. Essendo il Castelrosso un formaggio che ricorda un po’ il Castelmagno poteva essere facile pensarlo in versione risotto, però questa volta avevo a disposizione un po’ di crema di porcini di Del Santo così ho creato una salsa, solo porcini e Castelrosso, zero sale. I profumi di bosco vanno a braccetto col gusto lattico fresco del Castelrosso, e nonostante pensiate che la carica erbacea sia già soddisfatta col formaggio, il mio tocco finale è stato una grattugiata della scorza di lime. Provare per credere.

Rimanendo su toni più autunnali, vi consiglio di provare il Castelrosso in versione fondue. Cuocendolo a bagnomaria e aiutandovi semplicemente con del latte, in circa pari quantità rispetto al formaggio, otterrete una bella crema che si presterà per qualsiasi crostino vogliate, anche con della polenta fritta ad esempio. Si adatta molto bene a diversi tipi di verdura, quindi lasciate le vostre preparazioni un po’ indietro di sale e completatele con questa crema.

Suggestione artistica: Mural – Jackson Pollock, 1943 Partiamo per un viaggio fatto di acidità, complessità aromatica e stratificazione delle consistenze, signore e signori: il Castelrosso e le bevande alcoliche!

Enrico De Conto Ufficio Acquisti

ROMAGNA SANGIOVESE DOC

BEAUJOLAIS VILLAGE

BELGIAN STRONG ALE

Emilia Romagna

Francia

Stile belga

Non ditemi che non conoscete il Sangiovese di Romagna! Soffre un po’ del nome dei vicini di regione, ma è un vino che dà tantissime soddisfazioni. Abbinatelo al Castelrosso, anche qui troverete note di frutta, spezie, tabacco, il tutto accompagnato da una bocca con un tannino levigato e un’acidità presente. Il formaggio ha bisogno di essere accompagnato, non sovrastato, credo questo vino lo rispetti in pieno.

Rimaniamo sui vini divertenti e andiamo in Francia, in una zona dove, a detta di qualcuno, si fanno vini a base Gamay da far cadere le mascelle. Gourmand direbbero i cugini d’oltralpe, vino giocato sull’acidità e sull’esplosività degli aromi, mi intriga pensare all’abbinamento con le note di fungo che spesso caratterizzano il Castelrosso. Non sottovalutate mai questo vitigno, a bottiglia coperta ne ho sentiti dire: “Pinot nero, Borgogna?” (me compreso)

L’estate se ne sta andando, ma noi resistiamo, e gli aperitivi all’aperto vogliamo continuare a farli. L’abbinamento con la Belgian Strong Ale l’ho pensato perché, nonostante il tenore alcolico non sia sottovalutabile, viene ben mascherato dai sentori di fiori bianchi e frutta a polpa gialla. La gessosità della pasta del formaggio sarà ben controbilanciata dalla percepibile morbidezza della birra.

ALTRO IN CANTINA?

Potete anche provare l’accoppiata con un bianco del sud Italia, magari un Grillo siciliano, morbido e dal tenore alcolico non eccessivo. In generale comunque cercherei un vino dotato di buona morbidezza, dal tannino non aggressivo e con buona complessità aromatica.


il mondo a tavola

LA CUCINA TURCO BALCANICA, TRA ORIENTE E OCCIDENTE Vittorio Castellani giornalista “gastronomade” www.ilgastronomade.com

Le “colonne greche” di maiale grigliato del gyros segnano l’inizio dell’Europa dal lato del Mediterraneo. Sul versante opposto del Bosforo, lo spiedone verticale rotante di doner kebab traccia il confine con l’Asia e il limite di espansione verso l’Occidente cristiano del mondo islamico 3 minuti di lettura

ALL’ESTREMITÀ MEDITERRANEO

ORIENTALE

DEL

MAR

Il nostro viaggio nelle tradizioni gastronomiche e nelle cucine del Mediterraneo si conclude con questa ultima tappa, all’estremità orientale del Mare Nostrum, punto di congiunzione fra due continenti. E’ in quest’area del Mediterraneo che, nel corso dei secoli, si sono incontrate e mescolate alcune tra le culture gastronomiche delle più antiche civiltà, dalla greca a quella fenicia passando per la persiana, dall’antica Roma alle invasioni mongole, prima dell’avvento dell’Impero Ottomano. Qui, più che in ogni altro angolo del “Continente liquido”, avvennero alcuni degli scambi più significativi che fondarono l’identità della cucina mediterranea. Molti degli ingredienti e dei piatti che ancora oggi usiamo e cuciniamo, infatti, hanno avuto origine nella Mezzaluna fertile, in Mesopotamia, per diventare nel tempo un patrimonio condiviso e diffuso, pur nelle sue molteplici declinazioni e sfaccettature. VALSANA | 16

L’EREDITÀ DI GENGIS KHAN... Difficilmente troverete scritto in qualche libro di storia del cibo che la cucina mediterranea ha ereditato anche tradizioni che sono arrivate a noi per merito di Gengis Khan e delle sue tribù, eppure è così. Volete un esempio? Eccolo servito: la tartara, la celeberrima “battuta” al coltello di carne bovina, che ci ricorda proprio nell’etimo l’origine centroasiatica di questa delizia. Per rendersene conto basta visitare una delle tante macellerie d’Istanbul, dove si preparano ancora oggi specialità come il çiğ köfte, la deliziosa carne battuta sul ceppo di legno con due mannaie, insaporita con aromi e spezie, che ci riporta alle origini tatare della tartare. Per non parlare dei ravioli manti, dumplings di farina di grano farciti di carne, serviti con salsa di yogurt, anch’essi di origine mongola. Popoli nomadi e guerrieri, i Mongoli usavano gli strumenti della guerra per cucinare. Gli elmi, ripuliti e sistemati tra le pietre su un braciere, si trasformavano in hot pot per preparare le zuppe, la marmitta mongola. Gli scudi metallici, posizionati sulle braci in posizione convessa servivano per cucinare i pani, come si fa ancora oggi in Anatolia con il gözleme, mentre dal lato convesso erano perfetti per saltare e stufare, come un wok cinese.


Financo le lame delle spade diventavano lunghi spiedi, per grigliare su braci ardenti bocconcini di carni marinate (shish kebab) o mix di carni tritate (adana kebab). ... E QUELLA TURCO-OTTOMANA Dalla dissoluzione dell’Impero Mongolo nascerà la stirpe turca di origine uraloaltaica che, conquistando sempre nuovi territori, getterà le fondamenta dell’Impero Ottomano. Nell’epoca di massima espansione la dimora dei sultani, il Topkapi, si trasformerà in una forma embrionale di Università di Scienze Gastronomiche, raccogliendo nella sua biblioteca una quantità sconfinata di documenti e ricettari culinari. I turchi porteranno con sé un concetto simile a quello cinese di cucina imperiale, sviluppando la cucina di Palazzo o Saray cuisine. Per rendere sempre più ricchi i banchetti dei sultani, l’arte del ricevere a palazzo saprà fare tesoro di tutti i migliori ingredienti e cibi dell’Impero. Come per gli imperatori cinesi, anche il banchetto ottomano o mezé prevede l’utilizzo di quelle che potremmo definire oggi come le DOCG e le IGP dei territori occupati dell’epoca. La figura dello chef di palazzo assumerà un ruolo rilevante per garantire circa 30.000 pasti al giorno, indispensabili per l’intensa attività diplomatica.

Nel tentativo di prevenire l’avvelenamento dei sultani attraverso il cibo, si svilupperanno tecniche ispettive gusto-olfattive che ritroveremo nell’analisi sensoriale moderna del vino. Istanbul diventerà così un polo d’eccellenza gastronomica: dalla cucina turca si svilupperà quella ottomana, che si arricchirà col tempo di tutti gli apporti in termini d’ingredienti, tecniche, piatti dei territori e dei popoli sottomessi: greci, slavi, levantini, persiani, romani e di tutte le minoranze: kurdi, armeni, circassi... FINO ALLE COSTE DELL’ITALIA L’infittirsi degli scambi commerciali con le Repubbliche Marinare farà dono a Venezia del khave o caffé, ad Amalfi, pare, del kashcaval, ovvero del formaggio (kash in persiano) della città di Kavala (oggi in Macedonia), a Genova della salsa di noci per condire i pansotti liguri, secondo alcuni una rivisitazione della salsa tarator. Molte delle specialità del banchetto dei sultani diventeranno patrimonio diffuso di tutto il Mediterraneo orientale, dal Sud dell’ex Jugoslavia fino al Nord Africa, passando per il Medio-Oriente. Viaggiando in tutti questi Paesi è ben identificabile quel fil rouge che lega i piatti e l’arte del ricevere di questo spicchio di Mediterraneo “GourMed”, considerato tra le migliori forme espressive delle diverse cucine mediterranee.

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novità a catalogo

BORGOLUCE: LA PASTA DELLA BIODIVERSITÀ Alessandro De Conto Responsabile Commerciale

Compiamo un altro passo importante nel mondo della pasta, insieme a Borgoluce come compagno di viaggio 4 minuti di lettura

IL PROGETTO Come vi avevamo preannunciato, eccoci con un nuovo progetto nell’ambito della pasta secca. Anche questa volta abbiamo deciso di portarlo avanti con un partner con cui lavoriamo già da tempo: Borgoluce.

I capisaldi del biodinamico L’agricoltura biodinamica ha l’obiettivo di migliorare il suolo e produrre piante e alimenti sani. Ecco i punti fondamentali: 1. Utilizzo dei preparati e delle tecniche biodinamiche; 2. Seguire la rotazione delle colture; 3. Rispettare la biodiversità; 4. Utilizzare esclusivamente concimi biodinamici; 5. Accrescere la fertilità della terra e del suolo.

Si tratta di un progetto pilota, quasi un test di mercato, che avrà una forte componente di stagionalità e numeri limitati, e che ci permetterà di capire quali indicazioni di semina dare all’azienda agricola per la campagna di raccolta del 2022. In epoca di disponibilità “illimitate” e “spreco alimentare” pensiamo si debba trovare il coraggio di fare con ciò che si ha a disposizione e noi avremo poco più di 1000 kg di pasta. Si tratta di un programma nuovo: Borgoluce ha alle spalle soli due anni di semina orientata alla produzione di pasta. Parliamo nello specifico di Farro Dicoccum e Grano Senatore Cappelli, e le quantità sono ancora limitate così come ancor prima sono limitati gli ettari dedicati a questi cereali. E’ un progetto sicuramente ambizioso, in primis perché le coltivazioni cerealicole avvengono in regime biodinamico e in secondo luogo perché la pasta viene prodotta da Marco Bigolin del Mulino Terre Vive di Rossano Veneto (VI), con criterio e senza lasciar nulla al caso, esclusivamente con materia prima Borgoluce. I CEREALI Forse son partito troppo all’arrembaggio... ripercorriamo quindi all’indietro la filiera e partiamo dal campo. Borgoluce ha dedicato ai seminativi, nel 2021, circa 15 ettari di

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terreno circostanti la sede di Susegana (TV), tra questi sono stati coltivati il Grano duro Senatore Cappelli, il Farro Dicoccum e il Mais Biancoperla. I principi di coltivazione si rifanno al metodo agricolo biodinamico, ossia “un biologico che pensa di più al futuro”, che coltiva cioè non solo la pianta, ma anche la fertilità biologica del suolo. La conversione al biodinamico non è nuova da Borgoluce, ma è già realtà anche per la parte di viticoltura che ha dato alla luce un paio di vini biologici. Ma torniamo ai cereali: il Farro e il Grano duro sono cereali autunno-vernini dal lungo ciclo vegetativo, questo significa che si semina in autunno e il seme inizia la germinazione, poi nella stagione fredda va in dormienza e al risveglio primaverile ricaccia (produce ancora germogli) e accestisce (fa un cespo di steli), richiedendo così un basso investimento di semina (circa 120 kg di seme/ha). SENATORE CAPPELLI Il Senatore Cappelli si caratterizza per un fusto alto anche 180 cm, una spiga compatta dal caratteristico e unico baffo nero che lo rende riconoscibile sul campo anche ai non esperti. Era la varietà di frumento più diffusa in Italia nella prima metà del Novecento, e rappresentava l’alternativa ai “grani antichi” meno produttivi. Poi il boom economico del secondo dopo guerra, l’arrivo dei concimi e la richiesta di rese più elevate e precoci ne soppiantarono l’uso. Solo negli ultimi 15 anni si è ridato valore a questa varietà, pregiata sia per un contenuto


di glutine inferiore ad altri grani (e quindi maggior digeribilità), sia per l’aromaticità che trasferisce al prodotto finito e anche per l’elevato contenuto antiossidanti, principalmente flavonoidi. FARRO DICOCCUM Il Farro Dicoccum appartiene sempre alla famiglia dei frumenti, ha un contenuto di glutine più basso rispetto al grano duro, ma maggior quantità di sali minerali. E’ una pianta piuttosto rustica, resistente e di origine antichissima. I valori nutrizionali del farro sono sovrapponibili a quelli del grano duro ma, rispetto a questo, il farro risulta maggiormente digeribile e presenta un minor indice glicemico. Ragioni come quest’ultime lo hanno reso molto appetibile per i consumatori degli anni 2000.

FILIERA... PASSO PASSO Borgoluce ha deciso di investire con gradualità su queste due varietà creando una linea di pasta secca, prodotta esclusivamente con il raccolto proveniente dai loro campi, ed è quest’attenzione alla filiera che ci interessa e vogliamo continuare a valorizzare. A inizio giugno siamo stati da loro per imparare e conoscere qualcosa di più sulla filiera della pasta. E’ proprio in quell’occasione che abbiamo incontrato e interagito non solo con chi coltiva il grano, ma anche con chi lo trasforma, ovvero Marco Bigolin. Da subito abbiamo percepito l’importanza attribuita alla diversità di un frumento coltivato in territorio veneto, rispetto alla stessa varietà coltivata in regioni più calde, e la grande voglia di preservare la vitalità del chicco.

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Facciamo chiarezza

RICACCIARE

ACCESTIRE

Produzione di nuove gemme a partire dal germoglio della pianta, alla ripresa vegetativa

Arricchimento di steli nella parte basale del fusto, tanto da formare un cespo


RIGATONI DI FARRO DICOCCO SEMINTEGRALE Rugatoni prodotti con Farro Dicoccum coltivato da Borgoluce con metodo biodinamico, molito e lavorato dal Mulino Terre Vive di Rossano Veneto. cod 98420 | peso 500 g in box da 8 sacchetti

Ritengo di poter dire che questo è il grande filo conduttore all’interno della loro filiera: il rispetto per la vitalità del terreno diventa rispetto per la vitalità del chicco, prima raccolto e poi trasformato. Un legame terra-alimento a cui Marco tiene molto e che sottolinea molto spesso. LA LAVORAZIONE DEI CEREALI Una volta mietuto a fine giugno/inizio luglio, il periodo ideale affinché il chicco raggiunga un’umidità inferiore al 14%, il grano viene trasferito al mulino dove viene spazzolato e sanificato prima di essere conservato in grandi sacchi in attesa degli ordini di lavorazione della pasta. La macinatura viene fatta a pietra, per non surriscaldare le farine e conservare le proprietà del grano. Una volta ottenuta la semola viene aggiunta solamente VALSANA | 20

normalissima acqua di acquedotto vitalizzata (prima di uscire dal rubinetto passa attraverso un filtro Biovital). L’impasto ottenuto viene poi passato in trafila di bronzo che dona porosità e rugosità alla pasta, e infine essiccato. LA CURA NELL'ESSICCAZIONE L'essiccazione è una della grandi discriminanti di questo prodotto: potremmo parafrasare “dimmi come essicchi e ti dirò che pasta fai”. Marco sceglie la via lenta: essiccando a 38°C per circa 40 ore conserva maggiormente le proprietà nutritive originarie e ottiene una pasta dal colore semi-integrale e “morbida”. Più si sale con la temperatura, più gli amidi diventano duri e vetrosi e più si denaturano le vitamine del cereale.


LE REFERENZE

Da Borgoluce la valorizzazione della biodiversità si traduce in attenzione, cura e rispetto delle risorse naturali: la scelta della produzione biodinamica testimonia questa profonda sensibilità.

Saranno due le referenze disponibili: i Fusilli Senatore Cappelli e i Rigatoni di Farro, come detto le quantità sono limitate a un migliaio di chilogrammi complessivi, ma ci permetteranno di dare un orientamento di semina per la prossima campagna al produttore. Uno sforzo sicuramente importante per tutti, che non abbiamo mai messo in campo (è proprio il caso di dirlo), ma che il progetto di Borgoluce merita. Siamo ansiosi di cominciare la vendita, ma anche di raccogliere i vostri pareri sul progetto: non esitate a farceli avere anche attraverso il vostro agente di riferimento. Buona Pasta a tutti!

FUSILLI DI GRANO DURO ‘‘SENATORE CAPPELLI’’ Fusilli prodotti con la pregiata varietà di grano duro “Senatore Cappelli” macinato a pietra; l’impasto è trafilato a bronzo e essiccato lentamente cod 98421 | peso 500 g in box da 8 sacchetti

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novità a catalogo

GASTRONOMIA MARCOLIN

NOVITÀ

Alessandro De Conto Responsabile Commerciale

Due nuove referenze dei fratelli Marcolin che ci fanno respirare per un istante la brezza marina di fine estate 1 minuto di lettura

LA COLLABORAZIONE Celebriamo il primo anno di collaborazione con la Gastronomia Marcolin di Padova con due novità. Si tratta di due prodotti ittici di gastronomia: un grande classico come l’Insalata di Mare, e i Gamberi in Saor, cavallo di battaglia della famiglia.

INSALATA DI MARE Un mix di seppie, totani, mazzancolle e verdure condito con prezzemolo e limone. I sapori sono freschi, delicati bilanciati e ben distinti cod 95861 | peso 1 kg

GAMBERI IN SAOR Gamberi preparati con la tradizionale ricetta del saor veneziano e caratterizzati da un gradevole gioco di consistenze e sapori cod 95864 | peso 250 g cod 95863 | peso 1 kg

Da tempo attendavamo che l’azienda completasse gli studi di shelf-life sui due prodotti citati per poterli presentare e integrare a un assortimento già ricco di specialità gastronomiche come il Baccalà alla Vicentina, il Mantecato, il Condito, le Sarde in Saor e l’Insalata Russa. L’INSALATA DI MARE Ma cominciamo dall’Insalata di Mare, a base di seppie, totani, mazzancolle, misto di verdure, prezzemolo e limone. Un mix delicatissimo e fresco, in cui emergono distintamente i sapori dei diversi ingredienti e si crea un bilanciamento di sapori dove l’acidità è assolutamente minima. Nonostante la presenza di un pizzico di conservante, la scadenza alla produzione è di 20 giorni.

Per questo motivo avremo in rotazione a magazzino solo il formato da 1kg. I GAMBERI IN SAOR I Gamberi in Saor invece hanno in sé una combinazione di innovazione e tradizione. La tradizione è rappresentata dal “saor”, mentre l’innovazione dalla presenza dei gamberi (mazzancolle nello specifico). La preparazione esprime un sapore dolce e stuzzicante, in un gioco di consistenze tra il compatto del gambero e il morbido della cipolla. In questo caso la durata vita è maggiore e pari a quella degli altri prodotti Marcolin, ossia 30 giorni alla produzione. Disponibile in due formati, da 1 kg e da 250 g. Queste due preparazioni gastronomiche sono vendute da anni, e con successo, nella bottega di famiglia sotto il Salone a Padova e ci auguriamo che possano essere interessanti anche per arricchire la varietà della vostra offerta.


PONTE VECCHIO Attesi ritorni e nuovi incontri: Ponte Vecchio torna in malga per l’estate ma ci regala anche una piccola sorpresa 1 minuto di lettura

IL RITORNO DEL MONTE CESEN Sono appena arrivate le prime forme di Monte Cesen, il formaggio di malga dell’azienda agricola Ponte Vecchio. Hanno appena compiuto 60 giorni le prime forme prodotte a giugno, non sono ancora nel pieno della loro maturazione, tuttavia già ben rappresentano le caratteristiche di base di una produzione estiva d’alpeggio: pasta di colore giallo paglierino, occhiatura irregolare (piuttosto abbondante quest’anno) e profumi di erba fresca, frutta fermentata e burro cotto. Più passeranno le settimane più miglioreranno. L’ ALPEGGIO DEL 2021 Quest’anno il Monte Cesen è l’unico formaggio di malga che Ponte Vecchio ha deciso di produrre e commercializzare, mentre i formaggi restanti che siamo abituati a ricevere “fatti in quota” quest’estate sono prodotti a valle nell’azienda agricola di Vidor. È una realtà sicuramente difficile da accettare, ma che ci deve far comprendere come la monticazione delle malghe non sia un’operazione di routine che accade tutti gli anni, bensì una situazione che

NOVITÀ

impone all’allevatore e/o al produttore, oggi più che mai, l’urgenza di un’analisi costi-benefici. Ponte Vecchio ha deciso di salire in malga solo con metà della mandria per quest’estate e questo ci garantirà una quantità di Monte Cesen maggiore rispetto agli anni precedenti. LA NEW ENTRY Nel frattempo siamo felici di presentarvi una nuova referenza, la Fumicotta. Il nome dice tutto: si tratta di una piccola ricotta affumicata fatta con siero e latte dell’azienda e affumicata con legno di faggio nell’affumicatoio da poco avviato. Dopo la produzione della ricotta fresca si attendono 4-5 giorni affinché si asciughi ed elimini parte del siero in eccesso, si inizia quindi il processo di lenta affumicatura che dura 3 giorni. Il sapore è piacevole, così dolce che a tratti la ricotta sembra zuccherata. Delicata e raffinata, l’affumicatura non prevarica mai la dolcezza: una grande ricotta da usare non solo in cucina, ma anche per dare varietà a un tagliere: non sfigurerebbe per niente!

FUMICOTTA Una piccola ricotta prodotta in Veneto con siero e latte vaccino, leggermente affumicata con legno di faggio cod 30291 | peso 200 g circa

MONTE CESEN Formaggio a latte crudo ottenuto da vacche di razza Bruna, prodotto in alpeggio nella Malga Mariech sul Monte Cesen cod 30284 | peso 3 kg circa


chiedilo al macellaio

LA GRIGLIATA Sara Mazzucco Ufficio Qualità

Fiorentina, Costata, Cube Roll o Picanha? I tagli di prima qualità di Corte Scaligera, diverse modalità di cottura, una compagnia di amici... e la grigliata è servita! 4 minuti di lettura

Qualche idea Per una grigliata perfetta la parola d'ordine è varietà. Ecco alcune proposte alternative, da provare con cottura indiretta (meglio se roasting), ideali per accompagnare la carne: Cipolla di Tropea condita con un mix di zucchero, paprika, pepe nero, peperoncino, aglio in polvere, curcuma, olio evo e un cucchiaino di miele. Pomodoro datterino con pepe, olio evo, tabasco, sale, salsa Worcestershire e sciroppo d'acero. Patata di Bologna o Bernadette precedentemente lessata e condita con olio evo, sale, burro, aglio e cipolla in polvere, pepe, curcuma, prezzemolo e maggiorana.

L’estate, con i suoi profumi e i suoi fiori, sta colorando le nostre giornate. E quest’anno più che mai sentiamo il desiderio di tornare alla normalità cogliendo al volo ogni occasione per stare insieme. Uno degli aspetti più belli della stagione calda è ritrovarsi per una grigliata tra amici. E chi meglio di Corte Scaligera può fornirci una materia prima all'altezza? I TAGLI DA GRIGLIA Partiamo subito con quella che può essere definita la regina: la Fiorentina. In questo taglio il filetto si fonde con il controfiletto per dare vita a una bistecca con osso pregiata e succulenta. La fiorentina si ottiene dalla lombata 3 coste (sezione della lombata 8 coste), dopo essere stata separata dalla coscia. Possiede un osso a forma di T costituito per metà da una vertebra (la parte più allungata) che divide il filetto dal controfiletto. Nei paesi anglosassoni infatti questo taglio viene definito “T-Bone Steak” che letteralmente significa “osso a T”. Volendo fare un’ulteriore distinzione possiamo parlare di Fiorentine “Porterhouse” e “T-bone” dove la differenza risiede nella grandezza del

filetto: nelle prime il filetto è più grande perché è in posizione più arretrata sulla lombata rispetto alle T-Bone, le quali quindi hanno un filetto più piccolo. Le Porterhouse godono di maggior prestigio poiché da un animale solitamente si possono ricavare meno pezzi rispetto alle T-Bone. Le fiorentine di Limousine allevate da Corte Scaligera hanno una grana fine e una fibra elegante che le rendono particolarmente tenere. Il grasso presente, così come il colore, è determinato dalla rigida e controllata alimentazione a cui sono sottoposte le bovine durante la fase di finissaggio. La tenerezza della carne dipende anche dalla fase di raffreddamento che avviene in modo graduale da +37 °C a +4 °C, evitando shock termici che influirebbero negativamente sulla succosità della carne una volta cotta. Un altro taglio particolamente indicato per la griglia è la Costata con osso che viene ricavata dal 5 coste (sezione della lombata 8 coste). Da sempre in competizione con la fiorentina, ciò che la differenzia da quest’ultima è l’assenza del filetto e dell’osso a forma di T.

FIORENTINA DI BOVINO ADULTO SCOTTONA

COSTATA DI BOVINO ADULTO SCOTTONA

CUBE ROLL DI BOVINO ADULTO SCOTTONA

CODONE DI BOVINO ADULTO SCOTTONA

cod 84704 | peso 1,2 kg circa in box da 10 pezzi

cod 84705 | peso 500 g circa in box da 10 pezzi

cod 84710 | peso 3,5 kg circa (disponibile anche porzionato in fette da 300 gr l'una | cod. 84720)

cod 84707 | peso 1,5 kg

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In breve L’osso presente nelle costate è più grande e rotondeggiante poiché le nervature anteriori devono sostenere le sollecitazioni della movimentazione dell’animale. Un’altra differenza rispetto alla fiorentina riguarda la marezzatura, maggiore quella nella costata, pur mantenendo lo stesso grasso superficiale. Per questo, una volta cotta, conserva una consistenza morbida e setosa. Altro taglio perfetto per le grigliate è il Cube roll, di prima scelta e gustosissimo. È ricavato dalla costata 5 coste e viene definito "il cuore della costata". È un pezzo eccellente per tagliate alla griglia poiché è ben rifilato di tutto il grasso in eccesso e per questo motivo acquista un valore nettamente maggiore sia in termini nutrizionali che economici. La particolarità di questa Cube roll è il delicato gusto dato da una marezzatura non eccessiva: durante la cottura, i sottili strati di grasso si sciolgono conferendo un sapore inconfondibile e un'incredibile tenerezza al taglio. L’assenza dell’osso lo rende molto versatile: ideale alla griglia o al barbecue, accontenta grandi e piccini. Lo potete trovare disponibile sia intero che in comode porzioni da circa 300 g. Ultimo, ma non per importanza, il Codone: taglio di carne tipico nella preparazione del Churrasco (la tradizionale grigliata brasiliana), che corrisponde alla Picanha. È la parte finale della sottofesa o fesa lunga e ha una particolare forma a triangolo. Uno dei due lati è ricoperto da un dolce e leggero strato di grasso che arricchisce il sapore e dona una tenerezza straordinaria. Ottimo intero per la cottura indiretta su barbecue oppure a fette (come una bistecca pregiata) per la cottura diretta su griglia. (vedere le differenze dei tagli nelle immagini a pag. 22)

LA REAZIONE DI MAILLARD Qualsiasi sia il taglio prescelto, il segreto per una grigliata spettacolare risiede in buona parte in quella che è considerata una delle reazioni chimiche più importanti della cucina: la reazione di Maillard (dal nome del suo scopritore Louis Camille Maillard). Quello che avviene è un processo chimico dove gli zuccheri reagiscono con gli amminoacidi (mattoncini che costituiscono le proteine). Grazie a successive trasformazioni si creano centinaia di molecole tra cui alcuni composti che conferiscono il tanto amato e conosciuto sapore di "carne alla griglia" e le melanoidine che danno la tipica colorazione brunastra. La carne quindi si cuoce perfettamente all’esterno, formando la classica e invitante crosticina, e mantenendo l’interno morbido e succoso.

La reazione di Maillard avviene se la temperatura è compresa tra +140 e +180°C, se la somministrazione del calore è intensa e veloce e se la materia prima è ben asciutta. È importante che la carne venga tamponata accuratamente per rimuovere l’umidità residua. In caso contrario, una volta sulla griglia, bisognerebbe attendere che eventuali residui di liquido evaporino, causando un abbassamento della temperatura e un allungamento eccessivo dei tempi di cottura, rischiando che la carne si bruci all’esterno e rimanga cruda all’interno. SCEGLI LA COTTURA Dopo aver individuato il taglio di carne che fa per voi, è altrettanto importante saper scegliere la cottura più idonea: modalità, tempi e temperature sono fondamentali per rispettare e esaltare al meglio la materia prima.

→ Cottura diretta (Direct Grilling): se pensiamo

alla cottura diretta subito ci balza in mente la classica grigliata all’italiana: la carne viene posizionata sulla griglia in corrispondenza delle braci e la cottura avviene, quindi, sia per irraggiamento diretto del calore sia per conduzione della griglia, normalmente in acciaio o ghisa. l tratti distintivi di questa cottura sono le “grill marks”, ovvero le scenografiche righe scure, dovute alla cauterizzazione violenta della carne ad alte temperature (>200°C). Questa cottura è ideale per la fiorentina, la costata e il cuberoll porzionato.

Cottura indiretta (Indirect Grilling): questo tipo di cottura può essere effettuata con un barbecue. È necessario dividere l’area di cottura in 2 zone: in una le braci accese mentre nell’altra la carne da cuocere. Chiudendo il coperchio si crea un sistema chiuso dove il calore, grazie a dei principi fisici, circola all’interno della camera di cottura cuocendo la carne dolcemente per convezione. Questa tecnica richiede tempi più lunghi rispetto alla cottura diretta ma permette di cucinare grandi pezzi di carne mantenendone la naturale succulenza. Uno dei metodi di cottura indiretta più conosciuti è il Roasting in cui la temperatura del barbecue oscilla tra i +120 e +200°C. È preferibile utilizzarla per i tagli di carne di grande pezzatura come il codone o il cube roll intero, che con il loro grasso intramuscolare mantengono la succulenza anche per cotture di alcune ore. Possono essere utilizzate wood chips, piccole scaglie di legno che formano un fumo rapido e mediamente intenso, o wood chunks, pezzi di legno abbastanza grossi che creano un fumo più duraturo e quindi ideali per pezzi di carne di dimensioni importanti.

Cottura diretta o su griglia

> 200°C

Cottura 120 indiretta 200°C o barbecue

• Fiorentina • Costata • Cuberoll porzionato

• Codone • Cuberoll intero


spreco alimentare

COSA SUCCEDE PRIMA? Voltiamo per un attimo lo sguardo a monte per chiederci come i nostri produttori combattono lo spreco Giulia Bassetto Marketing e Comunicazione

3 minuti di lettura

E Valsana cosa fa? Anche in Valsana ci stiamo impegnando in prima linea per ridurre lo spreco, che per noi consiste essenzialmente nella gestione dei prodotti a fine vita. Le strategie che stiamo adottando sono: · le svendite: un sistema che intercetta i prodotti vicini alla scadenza, proposti con un taglio prezzo; · le donazioni: i prodotti in scadenza ma con una vita minima al di sotto del limite prestabilito per legge non sono più idonei alla vendita, quindi li doniamo al Convento dei Frati Cappuccini di Conegliano che gestisce la mensa dei poveri; · un progetto interno: oltre una certa data (indicativamente 1 giorno dalla scadenza) i prodotti non possono essere nemmeno donati perciò vengono destinati, a turno, a uno dei nostri collaboratori, che definiamo simpaticamente "il fortunato della settimana".

Nel primo appuntamento di questa rubrica abbiamo raccontato il problema dello spreco alimentare a livello globale, riportando qualche dato anche su quella che è la realtà italiana. Nel secondo appuntamento, invece, abbiamo approfondito le opportunità che può fornire l'app Too Good To Go per chi ha un'attività o un ristorante. E adesso? Ora facciamo un passo indietro per vedere cosa accade prima che i prodotti arrivino in Valsana. IL PUNTO IN BREVE Secondo il report 2019 sul cibo e l'agricoltura redatto dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO), il 30% del cibo prodotto ogni anno non viene consumato. Di questo circa la metà è considerata perdita alimentare che avviene nella prima parte della filiera, tra la coltivazione e la distribuzione del cibo, mentre il resto è spreco alimentare a carico di vendita al dettaglio e consumo casalingo. A pensarci bene, se i numeri ci rivelano che spreco e perdita hanno lo stesso peso, è evidente che non possiamo scaricare la responsabilità della riduzione dello spreco totale solo sui consumatori finali invitandoli a compiere sempre le solite belle azioni, come comprare la frutta anche se ammaccata, i prodotti in scadenza e via dicendo. Metà dell'impegno spetta a chi sta prima dell'ultimo pezzetto di filiera. Eccoci quindi con qualche ragionamento. PERDITA ALIMENTARE: NORD E SUD DEL MONDO In generale le cause possono essere davvero moltissime: errati tempi di raccolta, limiti nelle tecnologie agricole, inadeguati metodi di stoccaggio, processi di produzione poco efficienti e obsoleti, produzioni in eccesso, incapacità di garantire un trasporto in condizioni ottimali. Potremmo aggiungere VALSANA | 26

anche questioni più complesse, come la sconvenienza economica di concludere alcune produzioni, come il famosissimo caso degli agrumi lasciati sugli alberi: casi che tanto ci hanno indignato, ma che dimostrano quanto possano essere varie le cause da cui derivano perdite alimentari. Chiamiamo in causa sempre il report FAO che ha sintetizzato la situazione molto bene. Ad esempio, suddividendo il mondo in macro regioni (fig. 1), quella che registra più perdite di cibo è l'Asia Centrale e Meridionale. La medaglia d'argento tocca a noi, Nord America ed Europa. Probabilmente non ve lo aspettavate, ma per ora proseguiamo. Terzo posto all'Africa Sub Sahariana. Un bel mix no? Questo è un primo elemento su cui ragionare: regioni con livelli di benessere così diverso si combattono i primi posti in questa classifica. Il perché lo racconta in modo approfondito il report (se conoscete un po' l'inglese e avete del tempo a disposizione, vi consiglio di sfogliarlo!): nelle regioni più povere la perdita di cibo avviene nelle primissime fasi della filiera, a causa di condizioni meteo avverse, di epidemie, di incapacità di gestione degli insetti infestanti o per l'impossibilità di stoccare il cibo in maniera adeguata. Si giunge a una gravità tale per cui molte persone non hanno affatto accesso al cibo. Nelle regioni più avanzate, invece, ci sono molte tecnologie a disposizione che permettono di andare oltre ai problemi che tanto scuotono le zone più povere, ma ci si scontra con altri giganti: i canoni estetici richiesti dal mercato, la ricerca di scadenze lunghe o l'esagerazione nelle produzioni sono solo alcune delle cause della perdita di cibo. Disgregando i numeri della prima tabella in quantità fisiche e valore economico (fig. 2) si comprende meglio perché regioni così


FIGURE 3

FOOD LOSS FROM POST-HARVEST TO DISTRIBUTION IN 2016, PERCENTAGES GLOBALLY AND BY REGION

WORLD AUSTRALIA AND NEW ZEALAND CENTRAL AND SOUTHERN ASIA EASTERN AND SOUTH-EASTERN ASIA LATIN AMERICA AND THE CARIBBEAN

OCEANIA (EXCLUDING AUSTRALIA AND NEW ZEALAND) SUB-SAHARAN AFRICA

COSA SUCCEDE A MONTE DI VALSANA E i produttori che conoscete e che vi raccontiamo in questi magazine, come reagiscono? Ce lo siamo chiesti e glielo abbiamo chiesto sottoponendo loro un questionario che in pochissimi giorni ha raccolto ben 39 risposte. Siamo molto soddisfatti dell'accoglienza che ha ricevuto l'iniziativa, perché dimostra l'apertura all'argomento (nonostante il questionario sia stato inviato ad agosto, quando il tempo libero viene dedicato al relax e non certo ai questionari!). Le risposte che abbiamo ricevuto arrivano sia da produttori molto piccoli sia da realtà più strutturate, ed evidenziano che per l'85% il tema della perdita alimentare non è nuovo e ha già mosso delle riflessioni all'interno dell'ambiente aziendale. Tanto che nella stessa percentuale hanno dichiarato di aver già adottato delle strategie per limitare il problema dello spreco, o di volerle implementare a breve. Le iniziative principali consistono in appoggio a enti benefici, maggiore formazione del personale per evitare eventuali sprechi derivanti da disattenzioni o mancanza di informazioni, l'individuazione di nuovi modi per reimmettere in produzione ciò che altrimenti sarebbe buttato e dentro "altro" una miscellanea di proposte come svendite, individuazione di nuovi fornitori per l'acquisto di materia prima di migliore qualità o rimodulazione della programmazione di acquisti e produzione (fig. 3).

WESTERN ASIA AND NORTHERN AFRICA

0

5

10

15

20

BOX 4

(CONTINUED)

PERCENTAGE OF FOOD LOSS

25

NOTE: Percentage of food loss refers to the physical quantity lost for different commodities divided by the amount produced. An economic weight is used to aggregate percentages at regional or commodity group levels, so that higher-value commodities carry more weight in loss estimation than lower-value ones. SOURCE: FAO, 201912

FOOD LOSS PERCENTAGES IN DIFFERENT METRICS, 2016

Physical quantities (with economic value)

CENTRAL AND SOUTHERN ASIA

Calories

Of the two SDG 12.3.1 sub-indicators – FAO’s FLI and UN Environment's FWI – the work on developing the FLI and estimating food loss percentages is the most advanced. FAO’s FLI has led to the first global estimate released in 2019 that 13.8 percent of food produced in 2016 was lost from the farm up to, but excluding, the retail stage.12 At the regional level, estimates range from 5–6 percent in Australia and New Zealand to 20–21 percent in Central and Southern Asia (Figure 3). In terms of food groups, roots, tubers and oil-bearing crops report the highest level of loss, followed by fruits and

Indicators 12.3.1a and 12.3.1b are under the custodianship of two United Nations (UN) SOUTH-EASTERN ASIA agencies,EASTERN the AND Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO) and the United Nations Environment Programme LATIN AMERICA AND THE CARIBBEAN (UN Environment). These two agencies are working together to develop methodologies for the sub-indicators, with NORTHERN AMERICA AND EUROPE FAO leading on the Food Loss Index (FLI) and UN Environment on the Food Waste Index (FWI), OCEANIA AND NEW ZEALAND) given(EXCLUDING theirAUSTRALIA respective expertise and mandates in these areas. The work of the agencies aims to SUB-SAHARAN AFRICA provide the global community with solid estimates WESTERN ASIA AND NORTHERN AFRICA

Physical quantities

of both food losses and food waste and improve the underlying data for the estimates and causes of food loss and waste through more accurate surveying across commodity groups, value chains and countries.

post-har vest loss) along production and supply WORLD Target 12.3 is measured chains. Progress towards by Indicator 12.3.1, which has been split into two sub-indicators: the Food Loss Index (12.3.1a) AUSTRALIA AND NEW ZEALAND and the Food Waste Index (12.3.1b).10, 11

| 8 | 0

5

10

15

20

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PERCENTAGE

SOURCE: FAO, 201912

INIZIATIVE CONTRO LO SPRECO INTRAPRESE IN AZIENDA

INIZIATIVE CONTRO LO SPRECO IN AZIENDA food system’s elements (environment, people,

and refer to the economic, cultural and political environment of the food system under which actors operate, and thus inf luence food loss and waste. This distinction is particularly relevant for policy. As the indirect drivers condition the decision-making process of individual actors along the supply chain, they may ser ve as an entr y point for policies and inter ventions aimed at reducing food loss and waste.

E se da un lato abbiamo dei produttori molto virtuosi (80%) che confessano di aver raramente a che fare con dei surplus produttivi grazie a previsioni oculate, dall'altro ci troviamo con una fotografia un po' più variegata per ciò che riguarda gli scarti alimentari. E qui facciamo una premessa: ogni attività produttiva sviluppa degli scarti, e questo non deve sorprendere. L'obiettivo è quello di ridurre questi scarti al minimo. Secondo i risultati del questionario gli scarti sono costituiti da residui di produzione o da selezione della materia prima, prodotti che hanno terminato la lavorazione ma non sono adatti alla vendita e prodotti resi. Di conseguenza è evidente che questi scarti/sprechi avvengono quasi totalmente (97%) durante le fasi precedenti al trasporto. Analizzando le cause a monte degli scarti scopriamo che per l'84% si tratta di esigenze produttive e solo in piccola parte di esigenze estetiche imposte o di qualità inadeguata delle forniture. Venendo al sistema di gestione degli scarti, la maggior parte dei produttori li riutilizza in produzione o li rivende a terzi, mentre per un 25% lo scarto viene gestito come rifiuto da smaltire. C'è da dire che alcuni scarti non sono considerati alimenti perché non commestibili, ma questo distinguo e le successive riflessioni le lasciamo ai produttori. Così come il nostro grazie per aver voluto rispondere alle nostre domande.

THE STATE OF FOOD AND AGRICULTURE 2019

NORTHERN AMERICA AND EUROPE

SE U S S I E H T G N I M A R F – E T S AW D N A S S OL D O O F 1 R E T P A H C

diverse si contendano i primi posti: nelle regioni povere viene sprecato molto cibo ma di scarso valore; mentre nelle regioni più ricche viene perduto meno cibo in termini di quantità assolute, ma si tratta di cibo processato, di qualità e dall'alto valore economico. Due situazioni molto diverse ma ugualmente allarmanti.

inputs, processes, infrastructures, institutions, etc.) and activities relating to the food supply chain interact. Examples of how food loss and waste may occur through a combination of direct causes and indirect drivers can be found across the various stages of the food supply chain (Figure 5). Chapter 2 contains a more evidence-based, in-depth discussion of the behaviour of producers, retailers and consumers and the determinants of food loss and waste.

Beneficienza 32%

Altro 36%

The direct causes and indirect drivers of food loss and waste are the results of how well the | 15 |

Nuova vita 9%

Formazione 23%

LE CAUSE DEGLI SCARTI EVIDENZIATE DAI PRODUTTORI

Esigenze produttive

33

Esigenze estetiche

6

Qualità forniture

6

Altro

4

Adeguamenti strutturali

0

Processi e tecnologie

0


l’italia è servita

LA RIBOLLITA TOSCANA Di necessità virtù: la cucina degli avanzi Danilo Gasparini docente di Storia dell’agricoltura e dell’alimentazione all’Università di Padova

La cucina povera Il riuso in cucina è un’antica tradizione popolare, tipica di una cucina povera, dei contadini e delle classi subalterne che “creavano” ricette con ingredienti che noi oggi definiamo semplici e genuini, legati in realtà per necessità alla stagionalità e alla disponibilità di risorse. Si potrebbe dire che lo slogan che guidava questa cucina, parafrasando un noto canto politico, era: “Avanzi popolo”. A questa cucina Olindo Guerrini dedica un gustoso volume: L’arte di utilizzare gli avanzi della mensa. E risparmiare con gusto, uscito postumo nel 1918 sotto il nome di Lorenzo Stecchetti, ma i suoi erano avanzi di cucine ricche. Petronilla, alias Amalia Moretti, insegnerà alle massaie italiane questa cucina durante l’autarchia fascista. Jack Goody, antropologo inglese, ricorda che la cucina è fatta di ingredienti ma anche di riti e di espedienti finalizzati, soprattutto nel passato, a fronteggiare la scarsità e massimizzare le risorse, aspetti coessenziali, il cui intrecciarsi va studiato nella concretezza dei processi storici. Nel passato, gli ingredienti della cucina popolare, o “povera” come oggi si definisce, erano quelli che si trovavano per lo più nell’orto di casa. La pentola di rame era al centro dell’universo alimentare contadino, posta sul fuoco del camino, dove dell’acqua calda era pronta ad accogliere quanto si portava dall’orto e dalla campagna. Nel pentolone le donne cuocevano di tutto: zuppe di legumi, minestre di verdure selvatiche e granaglie che con il pane costituivano i piatti ordinari, spesso frutto della combinazione di quanto era avanzato dai pasti precedenti.

3 minuti di lettura

Il pane raffermo Tra gli ingredienti base di sicuro c’erano pane, acqua… e sale. Sicuro è una parola grossa: “Pane vecchio fa buona casa” si diceva, oppure “Il pane di ieri è buono domani”. È con il pane di ieri, dell’altro ieri e dell’altro ieri ancora che si farà buono domani: basterà arricchirlo, accomodarlo di gusto, riutilizzandolo in ricette nuove e gustose. Ne La Regola del Maestro, un’antica regola monastica dell’Italia centro-meridionale risalente al VI secolo, una disposizione riguarda le micae panis, le briciole del pane, che alla fine del pasto rimangono sulla tavola. Ai monaci si raccomandava di non gettarle via ma di raccoglierle e conservarle con cura in un barattolo di vetro pulito e asciutto, così da poterle riutilizzare al sabato per farne una torta, con l’aggiunta di uova e farina, da consumare tutti insieme, accompagnandola con una coppa di bevanda calda, dopo aver reso grazie al divino. A questo proposito Massimo Montanari, nel libro “Il sugo della storia,” ci racconta come, in Belgio, sia possibile ordinare un piatto che in lingua francese è chiamato pain perdu, “pane perduto”, una vera e propria leccornia preparata con pane raffermo, “ravvivato” con uova sbattute, farina, zucchero e un poco di burro. Questo piatto, che a ben guardare presenta dei corrispettivi anche in Italia e in Spagna e che somiglia non troppo lontanamente alla torta di briciole dei monaci, in lingua fiamminga è detto gewinnen brood e cioè “pane guadagnato”.

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.. e le sue ricette L’universo delle ricette a base di pane raffermo, avanzato, è vasto: dalla panzanella alla ciaudella abruzzese e lucana, dalle acquecotte ai pani cunzati sardi e alle numerose varianti delle panade. Uno di questi piatti, assai noto, che prevede l’uso di pane raffermo, è di sicuro la Ribollita, una zuppa semi-solida preparata con pane raffermo, cavolo nero e fagioli, diffusa in particolare nella Piana di Pisa e nei territori di Firenze e Arezzo. Il nome evoca in modo chiaro prima una fase di preparazione del piatto e una seconda “cottura”, quindi un gesto di cucina, una ribollita per consumarla i giorni seguenti. Il nome lo si deve forse alla fantasia e all’estro di qualche cuoco. In realtà si tratta di una zuppa che ha nel pane e nel cavolo nero gli ingredienti principali. Ne dà conto già Giovanni Del Turco, (15771647), compositore di madrigali e cultore di gastronomia presso la corte di Cosimo II de’ Medici, autore del libro di ricette Epulario e segreti vari. Trattati di cucina toscana nella Firenze seicentesca. Descrive una minestra che ha tutto il sapore di essere la prima codificazione scritta della ribollita. Eccola:

Prendi due o tre cipolle grosse e nettale dalla prima scorza et così intere mettetele in una pignatta d’aqqua che non sia piena affatto, acciò poi vi si possa mettere il cavolo et in quella pignatta metti come si è detto le cipolle, olio et sale e lasciale cuocere bene et una ora avanti a desinare vi metterei a cuocere il cavolo et poi si mandi in tavola con fette di pane sotto.


La Ricetta

Zuppa toscana di magro alla contadina Pellegrino Artusi “La Scienza in cucina e l’arte del mangiar bene” a cura di Piero Camporesi( 15a ed. 1911), Torino 1970, p. 92 Pane bruno raffermo, di pasta molle, grammi 400. Fagiuoli bianchi, grammi 300. Olio, grammi 150. Acqua, litri due. Cavolo cappuccio o verzotto, mezza palla di mezzana grandezza. Cavolo nero, altrettante in volume ed anche più. Un mazzo di bietola e un poco di pepolino. Una patata. Alcune cotenne di carnesecca o di prosciutto tagliate a striscie. «Questa zuppa che, per modestia, si fa dare l’epiteto di contadina, sono persuaso che sarà gradita da tutti, anche dai signori, se fatta con la dovuta attenzione. Mettete i fagiuoli al fuoco con l’acqua suddetta unendovi le cotenne. Già saprete che i fagiuoli vanno messi ad acqua diaccia e se restano in secco vi si aggiunge acqua calda. Mentre bollono fate un battuto con un quarto di una grossa cipolla e due spicchi d’aglio, due pezzi di sedano lunghi un palmo e un buon pizzico di prezzemolo. Tritatelo fine, mettetelo al fuoco con l’olio soprindicato e quando avrà preso colore versate nel medesimo gli erbaggi tagliati all’ingrosso, prima i cavoli, poi la bietola e la patata tagliata a tocchetti. Conditeli con sale e pepe e poi aggiungete sugo di pomodoro o conserva, e se nel bollire restassero alquanto asciutti bagnateli con la broda dei fagiuoli. Quando questi saranno cotti gettatene una quarta parte, lasciati interi, fra gli erbaggi unendovi le cotenne; gli altri passateli dallo staccio e scioglieteli nella broda, versando anche questa nel vaso dove sono gli erbaggi. Mescolate, fate bollire ancora un poco e versate ogni cosa nella zuppiera ove avrete già collocato il pane tagliato a fette sottili e copritela per servirla dopo una ventina di minuti. Questa quantità può bastare per sei persone; è buona calda e meglio diaccia.»

La Ribollita Nel corso dei secoli la preparazione della Ribollita si è affinata a tal punto da diventare una vera e propria ricetta. Pellegrino Artusi la propone come “zuppa toscana di magro dei contadini”. Di essa esistono infinite versioni. Poiché si tratta di un piatto “spontaneo” ogni famiglia era depositaria di una sua personale ricetta. Ancora oggi ognuno la cucina a modo suo e, sebbene esistano tante varianti di Ribollita, sono da considerarsi tutte vere.

Il Prodotto

Gli ingredienti

L’Artusi

Come tutte le ricette contadine non è facile identificarne con precisione ingredienti e quantità da utilizzare nella preparazione: nel passato, infatti, molto dipendeva da ciò di cui si disponeva più che dal gusto personale. La costante è rappresentata da alcuni ingredienti la cui presenza, nelle varie ricette, sembra mantenersi inalterata: il cavolo nero riccio di Toscana, i fagioli e il pane sciocco o sciapo. A questo proposito, va detto che è necessario che:

Riportiamo qui la ricetta codificata da Pellegrino Artusi nel libro “La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene“.

• il cavolo nero abbia preso “i ghiaccio”, cioè che sia passato da una o più gelate invernali che ne abbiano ammorbidito le foglie;

FAGIOLI CANNELLINI AL NATURALE

• i fagioli, che rivestono un ruolo molto importante, siano i cannellini, ovviamente secchi e messi in ammollo la sera prima;

codice 96206 | 6 x 300 g

• il pane sia senza sale, raffermo e cotto a legna non tanto per il sapore, quanto per la sua consistenza.

Come molte delle ricette riportate nel ricettario, anch’essa è il prodotto della rielaborazione borghese delle tradizioni provenienti dalla campagna che Artusi, in parte, raccolse percorrendo di persona l’Italia e, in parte, poté conoscere indirettamente grazie al fitto rapporto di corrispondenza postale che intratteneva con i suoi tanti lettori. Come sempre poi c’è la corsa alla rivendicazione dell’originalità, della tipicità… Ma forse, per chiudere, vale la pena di ricordare che se è vero che “Se non è zuppa è sempre pan bagnato” … non è però “Una minestra riscaldata”.


il prodotto dimenticato

CONFETTURA DI FRAGOLINA DI SCIACCA E RIBERA Gianluca Di Lello Export Manager

In Sicilia ci sono agrumeti che fanno ombra a piccole fragoline, fresche e profumatissime: un “capriccio” di madre natura perfetto per una confettura 3 minuti di lettura

Mentre scrivo questo articolo chiudo gli occhi e mi trasporto sulla costa agrigentina, sognando un po’ riesco quasi a percepire il caldo di primavera, la terra che scotta, il fruscio della brezza marina e l’odore, la fragranza degli agrumeti. Date le temperature, mi immagino all’aria aperta, nelle campagne di Sciacca e Ribera, a condividere l’ombra creata dagli aranci, limoni e peschi con i piccoli frutti rossi e dolci che vengono coltivati ai loro piedi: le fragoline di Sciacca e Ribera. STORIA Il prodotto dimenticato che riscopriamo oggi è la confettura di Fragolina di Sciacca e Ribera, risultato della trasformazione di una fragola molto piccola, simile a quella di bosco. Si narra che la presenza di questa pianta in Sicilia derivi dalle piantine portate dai reduci di ritorno dalla Grande Guerra; i soldati siciliani raccolsero la pianta dai sottoboschi delle alpi Friulane e Trentine e le reimpiantarono nelle vigorose campagne siciliane.

QUALE PIANTA? La fragolina, botanicamente classificata come “Fragaria Vesca”, è una pianta erbacea spontantea e perenne appartentente alla famiglia delle rosacee.

LA COLTURA La coltivazione risulta essere ardua e impegnativa per via della delicatezza della pianta e del frutto. Credetemi, parliamo di un prodotto rarissimo e unico nel suo genere, un “capriccio” di madre natura come lo definisce Antonino, responsabile produzione dell’azienda Scyavuru. Durante la nostra breve ma intensa telefonata mi ha trasmesso la passione che prova per questo prodotto raccontandomi le difficoltà e la fatica che gli agricoltori affrontano per portare a casa il raccolto. L’impegno di Scyavuru nella valorizzazione del prodotto inizia dall’acquisto della materia prima, garantendo un prezzo fisso che remuneri adeguatamente i pochi e coraggiosi agricoltori che continuano a coltivare il piccolo frutto rosso. La coltivazione e la raccolta avvengono interamente a mano e dal momento della raccolta le fragoline devono essere utilizzate o consumate entro e non oltre le 16 ore:

per questo motivo vengono portate in azienda e immediatamente abbattute. L’abbattimento permette di conservare e lavorare agevolmente il piccolo frutto delicato. L’AZIENDA Come avrete intuito, ci troviamo in Sicilia, nella provincia di Agrigento, dove l’azienda agricola Scyavuru produce confetture, gelatine e creme ottenute da sola materia prima locale. Scyavuru nasce dalla cooperazione di tre aziende agricole che da generazioni si dedicano alla produzione di frutta e hanno deciso di trasformare e valorizzare le materie prodotte nei terreni di loro proprietà. Il nome dell’azienda, che in siciliano significa odore, fragranza, ci aiuta a immaginare l’importanza e il rispetto dato alla materia prima utilizzata per realizzare prodotti più o meno profumati a seconda del tipo di frutto. IL PROCESSO Per la produzione della confettura di Fragolina di Sciacca e Ribera vengono impiegate le sapienti mani delle donne dell’azienda per una cura minuziosa nei singoli passaggi. Le produzioni vengono eseguite solo dopo aver ricevuto un ordine dal cliente, mi racconta Antonino, perché si tratta di un prodotto fotolabile, che si ossida se esposto per troppo tempo alla luce. La cottura avviene a bassa temperatura, a circa 90 gradi e a cielo aperto: viene utilizzato un pentolone senza coperchio che non è a contatto diretto con la fiamma e gli elementi aggiunti sono tutti naturali ossia zucchero, farina di semi di carrube e limone. Una volta invasettata, la confettura viene pastorizzata e spedita. Antonino afferma: “Noi facciamo ben poco, la bontà del prodotto è determinata dall’alta qualità della materia prima e nonostante non guadagniamo molto dalla vendita del prodotto continuiamo a produrla perché crediamo fermamente nell’unicità della fragolina di Sciacca e Ribera e nel suo prestigio ”.


5 cose da ricordare su questo prodotto 1. PRODUTTORE L’azienda agricola Scyavuru è un laboratorio di gusti e sapori a filiera completa. Nasce in Sicilia, a Ribera, da un’idea di Rosario Tortorici e Antonino Tornambè che unisce tre produttori di frutta da tre generazioni, legati dalla parentela e dalla passione per l’agricoltura.

CONFETTURA DI FRAGOLINA DI SCIACCA E RIBERA 2. STAGIONALITÀ Le fragoline iniziano a maturare da inizio aprile e continuano a farlo fino a fine maggio, tutti i giorni bisogna raccogliere, chinandosi, i frutti maturi per non rischiare che vadano a male.

Presidio Slow Food, prodotto in Sicilia solo con fragoline di Sciacca e Ribera. La confettura si presenta di colore rosso violaceo e dalla consistenza omogenea; al palato è dolce e leggermente citrica, con gusto tipico di fragolina. cod 92893 | 220 g

3. GEOGRAFIA

4. CURIOSITÀ

5. IN CUCINA

Il territorio in cui vengono prodotte le fragoline di Sciacca e Ribera è compreso tra i due comuni della denominazione di questo frutto. La posizione geografica, il clima favorevole e la presenza costante di acqua, assicurata dai fiumi Verdura, Magazzolo e Platani, hanno reso molto fertili le terre del territorio di Ribera, anticamente detto Allava.

Negli ultimi anni la competizione tra le varietà di fragole rifiorenti ha praticamente annullato il concetto di primizia e ha ridotto i giardini di fragole di Ribera e Sciacca dai circa 200 ettari degli anni Settanta ai 15 ettari odierni, proprio per questo motivo è stato istituito un Presidio Slow Food per salvaguardare questa piccola produzione.

Pensando alla dolcezza e al profumo di questo frutto non posso che immaginare un dolce. Vi propongo allora di utilizzare la confettura come topping. Formate una pallina di ricotta di bufala come se fosse un gelato e ponetela in una coppetta, condite con un cucchiaio di confettura e concludete con una parte croccante, granella di mandorla. Il risultato sarà un dessert fresco, profumato e piacevole al palato.

VALSANA | 31


la cucina di qb

LE PESCHE PERCOCHE: DALLA CINA CON AMORE “I ricordi, anche quelli amari, diventano dolci come pesche quando invecchiano.” Anna Maria Pellegrino Cuoca e foodblogger

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UN PO’ DI STORIA

Preparando il menù di questo mese otterrete certamente amore e bellezza, come accadde a Nellie Melba, la leggendaria cantante d’opera australiana che rubò ad Auguste Escoffier il cuore e anche il dessert: la famosissima Pesca Melba, a lei dedicata. Dall’antipasto al dessert, quindi, proposte sfiziose e stuzzicanti, per salutare l’estate e accogliere l’autunno. Buon appetito!

Chi, oramai, non associa un ramo di fiori di pesco con un’emozione legata alla Cina e all’Oriente? In effetti l’albero del pesco è conosciuto da più di 5000 anni in Cina, dove cresceva spontaneamente su tutto il territorio. Le pesche venivano consumate non solo per la loro bontà ma perché si riteneva fossero dei potenti talismani contro demoni, spiriti maligni e la corruzione del corpo causata dal tempo. Il pesco dalla Cina arrivò nel Mediterraneo attraversando il Mar Caspio e la Persia (da cui prese il nome latino), la Siria e l’Egitto, facendo bella mostra di sé a Roma nel I secolo d.C., dove all’inizio fu guardato con sospetto, soprattutto da Plinio e da Galeno. Per l’alto costo, la facilità con cui deperiva ma soprattutto per quella lieve peluria che lo ricopriva. Il vostro adorato nipotino ha le guance di pesca? Mica per caso: in Egitto il pesco venne consacrato ad Arpocrate, dio del silenzio e dell’infanzia (un ossimoro, lo so). OCCHIO ALLA POLPA Le pesche sono davvero tantissime: si può riconoscere almeno un centinaio di varietà. La prima classificazione viene fatta in relazione alla specie di appartenenza e al tipo di prodotto fornito, per cui si distinguono in: pesche da consumo fresco (bianche e gialle); nettarine da consumo fresco (bianche e gialle, con buccia glabra); percoche (considerate frutto da industria). Le pesche gialle e bianche, rispetto alle nettarine, sono più dolci e profumate, mentre le seconde, meno dolci, si conservano più a lungo, mantenendo sapore e dolcezza. Le pesche percoche, invece, sono molto resistenti, amate dall’industria conserviera in quanto dalla polpa soda, che si mantiene anche se immersa nello sciroppo e che si stacca facilmente dall’osso. La successiva classificazione, la più diffusa, è quella che divide le pesche in base al colore della VALSANA | 32

polpa: a pasta gialla e soda o a pasta bianca e bianco-rosata. Altra distinzione interessante avviene in base all’epoca di maturazione, da precocissima (maggio) a tardiva (settembre). Le varietà più diffuse si chiamano Federica, Romea, Tirrenia, Villa Giulia, Texana, Adriatica, Babygold, Carson, Andross e Jungermann. Infine la Percoca giallona di Siano è una varietà della quale la Campania ha ottenuto il riconoscimento come Prodotto Tradizionale: la troverete quasi sempre in brocche di ceramica, immersa nel vino bianco o rosso. FACCIAMOCI UNA PESCA Un frutto scarsamente acido e particolarmente zuccherino, morbido e saporito non poteva che essere adorato dallo stomaco. Inoltre è molto nutriente: ricco di zuccheri solubili, carboidrati disponibili, calcio, fosforo e magnesio. Vitamine ne abbiamo? Certo! A, C, PP e alcune della famiglia B. Come se non bastasse la pesca è ricca di fibra insolubile che dà un senso di sazietà molto elevato, per cui viene spesso integrata nelle diete, magari per concludere un pasto poco saziante. Decisamente poco calorica (25 Kcal ogni 100 g), energetica, diuretica, rinfrescante, anche un pelino lassativa e coadiuvante della digestione. Con le foglie possiamo prepararci delle tisane ipotensive e con i fiori pozioni rilassanti.

NOBLESSE OBLIGE La bellezza e l’eleganza della pesca l’han fatta diventare un “oggetto” di culto: poeti, pittori e scultori di ogni epoca hanno raccontato amore, bellezza, fedeltà e immortalità attraverso il frutto del pesco. Agli inizi del 1900, se non vi dedicavano un dessert a base di pesca non eravate nessuno: alla principessa Alessandra, moglie di Edoardo VII ne fu dedicato uno con Kirsch e marasche, non molto dissimile da quello ideato in onore dell’imperatrice Eugenia, il quale era ulteriormente decorato con fragole di bosco e servito con zabaione allo champagne.


GAZPACHO DI PESCHE AL TIMO I peperoni, come i fidanzanti, qualche volta ritornano. Per ovviare a tutto ciò basta sostituire gli ortaggi caratterizzati dalla solanacea con un frutto, la pesche, che si abbina benissimo ai formaggi erborinati e di capra. PORTATA: antipasto, vegetariano DOSI per 4 persone DIFFICOLTÀ: minima PREPARAZIONE: 20’ più il riposo COTTURA: 1’ INGREDIENTI

OL SCIUR BLU DI CAPRA codice 21208 | peso 2 kg ca

1 kg di pesche percoche mature 30 g di mollica di pane al latte (o pan brioche) 2 cucchiai di aceto di mele 2 cucchiai di olio evo foglioline e rametti di timo fresco 50 g di zucchero di canna zefiro pepe nero lungo del Bengala 80/100 g di Ol Sciur Blu di Capra

PROCEDIMENTO Sciogli lo zucchero in un pentolino con un cucchiaio d’acqua, portalo a bollore e metti da parte. Fai raffreddare completamente oppure abbatti in positivo. Sbollenta le pesche per 30 secondi, elimina la pelle e i noccioli, cubetta la polpa, trasferiscila in un contenitore di vetro con l’aceto e il pane sbriciolato. Fai macerare in frigo per 6 ore. Trasferisci il tutto nel mixer e frulla per qualche minuto aggiungendo l’olio a filo emulsionando, e un paio di cucchiai d’acqua, se necessario. Aggiungi le foglioline di timo e conserva in frigo fino al momento del servizio. Servi in ciotoline singole sbriciolando il formaggio, decora con altre foglioline di timo e profuma con una macinata di pepe del Bengala.


QUASI UNA NIZZARDA Salade niçoise o insalata nizzarda è un piatto a base di verdura fresca originario di Nizza e della Costa Azzurra, composto inizialmente da pomodori, acciughe e olio d’oliva, arricchitosi nel tempo con uova sode e altre verdure di stagione. Nella costiera ligure il piatto, caratterizzato da fagiolini e patate lessati, prende il nome di Condiglione. La nostra proposta si differenzia ulteriormente con le pesche percoche e il riso Ermes, servito a parte come carboidrato croccante.

RISO ERMES INTEGRALE codice 93822 | peso 1 kg

PORTATA: secondo piatto DOSI per 4 persone DIFFICOLTÀ: minima PREPARAZIONE: 20’ COTTURA: 10’ INGREDIENTI 4 pesche percoche 4 uova bio 200 g di fagiolini 100 g di pomodorini datterini 200 g di riso Ermes cotto a vapore Olive Kalamata Denocciolate, a gusto Capperi di Racale al Sale Marino, a gusto foglie di basilico fresco olio evo sale in fiocchi pepe nero macinato al momento

PROCEDIMENTO Trasferisci le uova in un pentolino con acqua fredda e conta 6 minuti dal momento del bollore. Raffreddale, sbucciale e tagliale in quattro quarti. Sbollenta i fagiolini in acqua leggermente salata: trasferiscili in una terrina e condiscili con olio evo. Sciacqua i capperi e mescolali alle olive. Sbuccia le pesche e tagliale a spicchi. Taglia a spicchi i pomodorini. Componi il piatto dividendo in singole ciotole gli ingredienti partendo dai fagiolini e seguendo con olive e capperi, uova, pomodorini, pesche ed infine le foglie di basilico: regola di gusto con il sale ed il pepe e servi con un filo di olio evo.

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Accompagna l’insalata con il riso cotto a vapore appena condito.


CLAFOUTIS DI PESCHE AL PORTO Un dessert francese, semplice quanto famoso, che nasce per avvolgere le ciliegie in un morbido impasto simile a quello delle crêpes: un passaggio in forno e voilà. La nostra proposta vede un po’ di yogurt di capra nell’impasto, quel pizzico di acidità che renderà la sequenza di cucchiaiate ancora più golosa, e una breve marinatura nel Porto. Importante: tutti gli ingredienti devono essere a temperatura ambiente. PORTATA: dessert DOSI per 4 persone DIFFICOLTÀ: minima PREPARAZIONE: 20’ COTTURA: 40’ INGREDIENTI 1 kg di pesche percoche 100 g di zucchero zefiro, anche di canna se gradito 50 g di farina Petra 5 2 uova bio e 2 tuorli 250 g di Yogurt intero di Capra Chiuro 30 g di mandorle a lamelle 30 ml di Porto qualche cucchiaio di latte, se necessario Beurre de Baratte Demi-sel e farina per lo stampo rotondo, 24-26 cm zucchero a velo per il servizio

PROCEDIMENTO Sbollenta le pesche, raffreddale sotto l’acqua fredda oppure abbattile in positivo, elimina la buccia, elimina il nocciolo e tagliale a fette piuttosto spesse: lasciale macerare in una terrina con il Porto. In una ciotola lavora lo zucchero con le uova, aggiungi la farina setacciata, lo yogurt a filo, reso un po’ più fluido da qualche cucchiaio di latte, e mescola fino a ottenere una pastella liscia e senza grumi.

YOGURT INTERO DI CAPRA CHIURO codice 21522 | peso 150 g

Distribuisci le pesche, anche sovrapponendole, sullo stampo imburrato e infarinato, copri con la pastella e termina con le mandorle a lamelle. Cuoci nel forno già caldo, 180° statico, per circa 40 minuti: il dolce deve rimanere un po’ morbido. Sforna il clafoutis, lascialo raffreddare e servilo spolverato di zucchero a velo.


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