VerdEtà 79 - Aprile 2021

Page 32

IL RACCONTO

POST FATA RESURGO ELINA MEDEA Rimasi immobile fra la polvere della banchina mentre il treno riprendeva sbuffando la sua corsa verso paesi ancora più a sud. Ero senza fiato, lo stomaco serrato, le mani tremanti che stringevano l’unica valigia che mi ero trascinata dietro. “Sei tornata al punto di partenza” mi pungolò una vocina maligna, occupante indesiderata di qualche angolo della mia testa. “Ti sbagli” la rimbeccai. “Sono qui per mettere a posto le cose, per correggere il percorso…” Il primo passo fu quello più duro, poi mi avviai veloce verso l’uscita e sbucai sullo stradone assolato e deserto che divideva in due le campagne. L’aria era immobile e il frinire delle cicale tanto intenso da sovrastare per un attimo ogni pensiero, il cielo blu cobalto privo di nuvole e i filari di grano dorato che crescevano silenziosi e si estendevano per miglia in ogni direzione. “Il tempo non esiste” pensai con un nodo in gola, avviandomi lungo lo stesso sterrato che vent’anni prima mi ero lasciata alle spalle senza voltarmi. Il sole era cocente, il soprabito troppo pesante e a ogni passo affondavo coi tacchi per metà nel terreno pietroso. Mi fermai dopo poche centinaia di metri e piantai la valigia al centro della strada, cercando di ricompormi. La aprii e ne soppesai il contenuto cercando di deglutire il nodo che tentava di soffocarmi da quando ero scesa da quel treno. Le mie cose, almeno quelle che mi ero portata dietro dalla vita precedente, scappata da un matrimonio che mi aveva depersonalizzata, resa dipendente e schiava, ridotta all’ombra di me stessa, mi apparvero in tutta la loro miseria. Avevo ammucchiato delle camicette e dei jeans, forse due gonne e un paio di Nike, svuotato la beauty coi trucchi fra gli slip e infilato 200 euro fra le pagine di un libro. Fissai per qualche istante 32 | VERDETÁ n° 79

quella che d’un tratto ai miei occhi divenne robaccia, solamente un impiccio, e scossi la testa disgustata. «Non mi serve niente di tutto questo» mormorai alla strada che mi si srotolava davanti potente, vasta, libera. Come risposta le cicale frinirono più forte, io respirai a fondo e finalmente mi calmai. Tutto quello che non doveva essere, non era più. Avevo mollato la presa, liberato i fantasmi e compreso che non avevo vissuto altro che illusioni. Il silenzio delle notti senza sonno, dei giorni trascorsi a fissare in lontananza il profilo di una fontana, domandandomi se lasciarmi affogare in poche dita d’acqua avrebbe potuto in qualche modo lenire il dolore insopportabile che mi dilaniava, erano finiti. Senza perdere altro tempo, tirai fuori dalla valigia le scarpette da ginnastica e mi liberai di quelle laccate, lasciandole cadere fra la polvere; sfilai anche il soprabito e mi assicurai le banconote nel reggiseno. Abbandonai tutto in mezzo alla strada e mi sentii subito più leggera. Il paese che sorgeva oltre i filari di grano distava parecchio, ma io non avevo fretta. Ero ansiosa di raggiungerlo, tuttavia sapevo che il percorso da compiere valeva quanto la meta e da quel momento in poi ne assaporai ogni passo: divenne il mio pellegrinaggio. Avevo lasciato cadere la valigia e poco più avanti mi sfilai gli orecchini e la collana, e così l’orologio, e mentre quelle cianfrusaglie senza valore cadevano fra le pietre, immaginai di strapparmi dalle carni decine di chiodi, di vomitarne a fiotti, tutti i chiodi che negli anni avevo ingurgitato senza capire, fino a quando l’aria era diventata rovente nei polmoni, insopportabile dentro, ogni ricordo distorto, ogni illusione, paura, dubbio, ogni immane sforzo di comprensione che avevo compiuto e che mi era rimasto conficcato dentro


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.