l'opinione
Morlicchio: «La pandemia ha accresciuto le disuguaglianze» Tra le priorità della lotta alla povertà, oltre ad una riforma del reddito di cittadinanza, dovrebbero rientrare la riduzione della dispersione scolastica e il recupero dei divari di apprendimento, amplificati dalla Dad; un piano straordinario per l'occupazione giovanile e femminile a bassa scolarità e la perequazione territoriale nell'offerta di asili nido Enrica Morlicchio professoressa ordinaria di Sociologia Economica nel Dipartimento di Scienze Sociali dell'Università Federico II di Napoli
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rofessoressa, l’emergenza coronavirus ha ampliato le povertà tradizionali, o ne ha create anche di nuove? Il Paese, in termini assoluti, è diventato più povero? Per valutare quanto è successo dobbiamo tener conto di due fenomeni di segno opposto. La riduzione della povertà assoluta, conseguente all’introduzione del reddito di cittadinanza, che ha comportato per la prima volta un investimento economico notevole nella lotta alla povertà, e l’aumento della povertà conseguente al blocco delle attività durante la pandemia. Sicuramente alle figure più tradizionali di poveri se ne sono aggiunte delle altre, provenienti dal ceto medio. Bisognerà vedere se per quest’ultime si tratterà solo di un transito nell’area della povertà, o gli effetti della pandemia saranno più duraturi e contenuti solo in parte dai cosiddetti “ristori”, le misure a favore di chi era in difficoltà. Per rispondere alla seconda parte della sua domanda, è cioè se il Paese è diventato più povero, possiamo dire che non tutti sono stati colpiti allo stesso modo. Secondo una sti-
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ma della Banca d’Italia le famiglie del quinto più basso della distribuzione del reddito hanno subito una riduzione due volte più ampia di quella subita dalle famiglie del quinto più elevato, cioè delle famiglie più ricche. La pandemia ha accresciuto le disuguaglianze in un Paese già fortemente disuguale come il nostro. La pandemia ha svelato molte verità nascoste, o quasi, del nostro Paese: un sistema sanitario fragile, un sistema scolastico negletto, asimmetrie e iniquità sociali e geografiche. Chi ha pagato il prezzo più alto della crisi finora in relazione all’età e chi, invece, in relazione allo status occupazionale? In termini anagrafici sicuramente i grandi anziani, per il costo di vite umane, e i minori e gli adolescenti per la riduzione delle occasioni di socialità a scuola e nel tempo libero. In termini occupazionali le principali vittime sono state le donne, perché occupate nei settori più colpiti dal blocco delle attività economiche e con contratti a scadenza che non sono stati rinnovati. Nei primi nove mesi del 2020 si sono persi 94mila posti di
di Raffaella Venerando
lavoro femminili, cioè più di quelli creati dal 2008 al 2019 che erano pari a 89mila. Le disparità di genere saranno amplificate? Il lavoro a distanza ha messo in evidenza come in Italia esistono ancora gravi problemi di conciliazione lavoro-famiglia. Per fortuna sono problemi sempre più condivisi nelle giovani coppie, ma le donne sono quelle che stanno pagando il prezzo più alto. Non è il numero di figli in sé che tiene le donne lontano dal mercato del lavoro, ma la qualità ed entità dell’offerta di servizi. Non a caso nei paesi come Spagna, Italia, Grecia e Malta dove il tasso di fecondità è inferiore a 1,4 figli per donna, il tasso di occupazione femminile è inferiore al 60%; mentre nei paesi scandinavi, nel Regno Unito e nei paesi baltici il tasso di fecondità è superiore a 1,7 e lo è anche il tasso di occupazione (più del 70%, con punte superiori all’80% come in Svezia). L’Italia poi è anche il paese che ha il più forte divario tra figli desiderati e figli realmente avuti, un indicatore che si chiama appunto