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Presunzione distribuzione degli utili extracontabili ai soci in ristretta base partecipativa Per un migliore rapporto contribuente - Amministrazione Finanziaria, sarebbe utile un deciso ed esaustivo intervento del Legislatore per fare chiarezza su di una materia tanto controversa
Giovanni Di Filippo dottore commercialista giovanni@studiodifilippo.it
S
econdo un consolidato orientamento giurisprudenziale, a seguito di una verifica tributaria, il maggior reddito accertato ad una società di capitali a ristretta base proprietaria comporta l’ulteriore emissione di avviso di accertamento in capo ai soci relativamente alla parte di reddito (extra contabile) loro imputabile in ragione della quota di partecipazione al capitale sociale da ciascuno detenuta, in quanto presunti percettori di reddito di capitale. È noto che tale modus operandi non trae origine da un impianto normativo ben definito, ma da una prassi maturata esclusivamente in sede giurisprudenziale, secondo cui, operando una sorta di equiparazione tra società di persone e società di capitali a ristretta base partecipativa, è ritenuto legittimo assoggettare a tassazione i maggiori utili extra-bilancio non
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dichiarati e accertati nei confronti della società direttamente in capo ai soci, presumendo che tali utili occulti fossero loro distribuiti. Secondo tale consolidato orientamento della Corte di Cassazione, il presupposto in base al quale sia legittimo presumere che vengano distribuiti ai soci gli utili “in nero” accertati alla società di capitali a ristretta base azionaria, è ravvisabile proprio nell’esiguità del numero dei compartecipi, nel vincolo di solidarietà tra loro, nella possibilità che ciascuno ha di conoscere gli affari societari, nel reciproco controllo. La ridotta compagine sociale, quindi, rappresenta a tutti gli effetti la chiave di volta che consente all’Amministrazione Finanziaria di presumere la distribuzione di utili ai soci e di ribaltare su di loro l’onere di dimostrare in giudizio il contrario, ovviamente mediante la nota probatio diabolica. In genere,
l’impianto giurisprudenziale sopra delineato, che trova fondamento nei casi in cui il maggior reddito societario accertato derivi dall’accertamento di ricavi occulti non dichiarati o dall’accertata presenza di costi fittizi o inesistenti, rappresenta un contesto in cui al comportamento adottato, in taluni casi fraudolento, potrebbe affiancarsi il concetto di complicità sopra indicato. Stessa considerazione, a parere dello scrivente, non può però essere condivisa nell’ipotesi in cui la presunzione di distribuzione ai soci di utili extracontabili da parte di società a ristretta base partecipativa si applica se il maggior reddito accertato alla società tragga origine non da ricavi occultati o costi fittizi, ma nell’ipotesi di costi indeducibili, così come recita una recentissima pronuncia della Suprema Corte, secondo cui: «…i costi costituiscono un elemento rile-