e-borghi travel magazine: n. 11 - febbraio 2020

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UNESCO SPECIA

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Rivista digitale di viaggi, borghi e turismo slow

UNESCO, ITALIA SUL PODIO: Val di Noto Palazzolo Acreide Necropoli etrusche di Cerveteri e Tarquinia

Anno 2 Numero 11 Edizione gratuita

Bobbio,

Medioevo in diretta

Vigoleno,

piccolo mondo antico

Parco Nazionale dell’arcipelago di La Maddalena Parco Geominerario, Storico e Ambientale della Sardegna

www.e-borghitravel.com



NATURALE

perché fatto solo con carne di maiale italiano, sale marino e l’aria di San Daniele.

SINCERO

perché non ha segreti, solo un ambiente intatto e magie naturali; terre alte, le Alpi, l’Adriatico e il vento.

…UNICO

perché più che un Prosciutto è una cultura.

Il segreto del San Daniele è San Daniele w w w. p r o s c i u t t o s a n d a n i e l e . i t


HAPPINESS IS A JOURNEY.

bit.fieramilano.it


9 - 11 FEBBRAIO FEBRUARY 2020 FIERAMILANOCITY | MICO


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Modica, Val di Noto Andrii Shnaider/Shutterstock.com


® e-borghi travel 11 • 2020 www.e-borghitravel.com Publisher Giusi Spina direzione@3scomunicazione.com Coordinamento editoriale Luciana Francesca Rebonato coordinamento@e-borghi.com Art director Ivan Pisoni grafica@e-borghi.com Segreteria di redazione Simona Poerio segreteria@e-borghi.com Hanno collaborato a questo numero Antonella Andretta, Alessandra Boiardi, Simona PK Daviddi, Enrico Barbini, Luca Sartori, Nicoletta Toffano, Carola Traverso Saibante, Valentina Schenone Revisione Bozze Luca Sartori Promozione e Pubblicità 3S Comunicazione – Milano Cosimo Pareschi pareschi@e-borghi.com Redazione 3S Comunicazione Corso Buenos Aires, 92, 20124 Milano info@3scomunicazione.com tel. 0287071950 – fax 0287071968 L’uso del nostro sito o della nostra rivista digitale è soggetta ai seguenti termini: Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di www.e-borghitravel.com può essere riprodotta, memorizzata in un sistema di recupero o trasmessa, in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronica, meccanica, fotocopia, registrazione o altro, senza previa autorizzazione scritta da parte di 3S Comunicazione. Nonostante l’accurata verifica delle informazioni contenute in questo numero, la 3S Comunicazione non può accettare responsabilità per errori od omissioni. Le opinioni espresse dai contributori non sono necessariamente quelle di 3S Comunicazione. Salvo diversa indicazione, il copyright del contributo individuale è quello dei contributori. È stato fatto ogni sforzo per rintracciare i titolari di copyright delle immagini, laddove non scattate dai nostri fotografi. Ci scusiamo in anticipo per eventuali omissioni e saremo lieti di inserire l’eventuale specifica in ogni pubblicazione successiva. © 2020 e-borghi

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Marchio di qualità turistico ambientale per l’entroterra del Touring Club Italiano



ditoriale

eLuciana Francesca Rebonato facebook.com/lfrancesca.rebonato

2020.

Un nuovo anno, iniziato con i migliori auspici della numerologia. Il numero zero, infatti, è simbolo di rinascita, di riflessioni sul presente e sul futuro e indica una “nuova partenza” con rinnovati propositi. Il numero venti, dal suo canto, simboleggia la condivisione in un’ottica ampia e in divenire: esattamente lo spirito che anima il primo compleanno di e-borghi travel. In questo anno trascorso insieme abbiamo viaggiato molto a ogni latitudine e longitudine del Belpaese - e oltreconfine - proponendovi, per ogni pubblicazione, un magazine tematico: dalla montagna al cinema passando per benessere, mare, paesaggi, gusto, artigianato e molti altri ancora. E visto che ogni viaggio rappresenta un arricchimento interiore, abbiamo fatto tesoro dell’esperienza così delle vostre numerose richieste: da questo assioma è nato il nuovo concept di e-borghi travel, che pur mantenendo gli approfondimenti a tema per ogni numero, si arricchisce di contenuti, approfondimenti e rubriche sul turismo a tutto tondo. Iniziamo, quindi, con lo “Speciale Unesco”, in omaggio alla medaglia d’oro italiana sul podio del Patrimonio dell’Umanità con un focus sulle Necropoli etrusche di Cerveteri e Tarquinia – con Velia Spurinna a introdurre gli etruschi - e sui borghi barocchi della Val di Noto, in primis Palazzolo Acreide: virtuosismi d’arte secenteschi e pietra calcarea che vira dall’oro al rosa in coreografie antiche. Animato dalla cronaca del presente, invece, è il Parco nazionale dell’arcipelago di La Maddalena: una galassia di isole e mare spettinati dal maestrale mentre storia e archeologia industriale costellano il Parco geominerario, storico e ambientale della Sardegna, annoverato nei geo-parchi dell’Unesco. Medioevo in diretta e in provincia di Piacenza per due borghi, uno più intrigante dell’altro: Bobbio, con l’originale profilo del ponte Gobbo - legato alla leggenda di San Colombano nel suo scontro con Satana - e Vigoleno, borgo storico fortificato con un maniero e imponenti mura merlate, percorse in parte da un panoramico camminamento di ronda, sulle quali spicca la mole del mastio. Scatti di un’Italia dal sapore antico e sulle coordinate del turismo slow, che abbraccia territori da salvaguardare anche in un’ottica di sostenibilità ambientale. Un impegno collettivo, quest’ultimo, che nel contesto internazionale ha visto l’Assemblea generale delle Nazioni Unite proclamare il 2020 “Anno internazionale della salute delle piante”. Un ulteriore passo in avanti per arrivare all’auspicata e - ora più che mai – necessaria coscienza green. Luciana Francesca Rebonato coordinatore editoriale


Sommario Val di Noto

Palazzolo Acreide

Cerveteri e Tarquinia

Bobbio

Vigoleno

Parco Arcipelago La Maddalena

Parco Geominerario Sardegna

Carnevale di Ronciglione


Svolta Green

Quando l’Unesco diventa Dop

Villa Sandi

Oltreconfine: Vietnam

Bit Milano 2020

Vacanze Fuori Posto

Leggende

CuriositĂ

In copertina: Valle dei templi, Agrigento Alfio Finocchiaro/Shutterstock.com


Val di Noto, meraviglia barocca e non solo

Noto trabantos/Shutterstock.com


Carola Traverso Saibante


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a pietra “black and white” dei palazzi che scontorna l’azzurro profondo del cielo, i “colori pintati” sulle ceramiche, il cioccolato granuloso, la terra schietta, il mare che buca in trasparenza e il vulcano che non ti lascia mai, i dolci ipnotici e i pomodorini odorosi. Si chiama Val di Noto, terra di tardo barocco siciliano e di bellezze custodite dall’Unesco. Ma chi sa cosa è veramente? Il Vallo di Noto era l’intero triangolo sud-orientale della Trinacria, ossia l’area siciliana che punta verso Malta e poi le coste libiche e che compren-

Noto vvoe/Shutterstock.com

deva le provincie di Ragusa, Siracusa e parte di quelle di Catania, Enna e Caltanissetta. Anno 1693: un terremoto rade al suolo i maggiori centri urbani. La ricostruzione è maestosa: dalle macerie sboccia quel Barocco siciliano che costituisce l’ultima prodigiosa fioritura del Barocco europeo. Oggi 8 località sono sotto l’ala dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura. Non solo arte e architettura ma cibo, natura, esperienze a 360 gradi: visitatele subito!


Modica Pi_Kei/Shutterstock.com

mRGB/Shutterstock.com pio 3/Shutterstock

GagliardiPhotography/Shutterstock.com


Pinne ai piedi, bicchiere in mano e occhio alle sirene

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artiamo dal borgo che dà il nome al tutto: a metà strada tra Siracusa e Ragusa, Noto, “Capitale del Barocco”. Incarnato da Palazzo Nicolaci, con i riccioli di pietra dei leoni umanizzati, le sirene, le sfingi, gli angeli, gli ippogrifi e i cavalli alati che sorreggono le balconate dal ferro ricurvo e l’opulenza di un edificio iconico di uno stile. Dovete scegliere quando andare? Sempre, meglio ancora la terza domenica di maggio, per il saluto alla primavera, ossia l’Infiorata: il centro storico è tappezzato da mosai-

ci floreali profumati e iper-scenografici, ispirati ogni anno a temi diversi, espressione della tradizionale festa barocca. Se fa abbastanza caldo, inforcate la maschera e non perdetevi uno snorkeling nella vicina Riserva di Vendicari, partendo dalla caletta sabbiosa di Calamosche. Sappiate poi che sul mare, proprio di fianco a Noto, c’è Avola. In Val di Noto, dove i Greci diffusero l’allevamento delle viti con impianti “ad alberello”, si possono organizzare eccellenti tour delle cantine.

Palazzo Nicolaci Stepniak/Shutterstock.com


L’Infiorata durante la primavera barocca Banet/Shutterstock.com

Calamosche Andrea Izzotti/Shutterstock.com


Laghetti di Cavagrande, Avola bepsy/Shutterstock.com



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Borgo del Carato Antonella Andretta

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orgo del Carato è più di un agriturismo di lusso immerso nel verde, non lontano da Siracusa e da Noto: è un vero e proprio country resort dove il tempo sembra essersi fermato e dove il bello e il buono sono declinati in forme rispettose del luogo e della sua storia. Nato come masseria fortificata di

antiche origini (si parla del Medioevo e di un feudo nobiliare), il piccolo borgo è stato riportato a nuova vita a partire dal 2011 quando un coraggioso avvocato siciliano, Luigi Crispino, insieme alle sue figlie Anna e Lelia, ha creduto che quei muri consumati dal tempo ma ricchi di grande fascino e poten-


ziale potessero trasformarsi in ciò che sono ora: un buen retiro circondato da ulivi e da carrubi (da cui il nome) nel mezzo della campagna siciliana. Inaugurato nel 2014, Borgo del Carato dispone di 20 alloggi di varia tipo-

logia (standard, superior, junior suite, suite e country house) ricavati da strutture originariamente occupate dai contadini e dai pastori, dotati ora di tutti i comfort e arredati in uno stile che rispecchia le tradizioni e i colori


locali. I vari edifici sono raccolti intorno a una corte che funge da baricentro, trasformata in un luogo magico e romantico che di volta in volta può essere intimo e silenzioso oppure vivacissimo e molto animato, soprattutto quando ospita eventi, ricevimenti e ban-

chetti di nozze (all’interno del borgo si trova anche una piccola cappella settecentesca di grande pregio dove è possibile celebrare il rito). A proposito di banchetti: la ristorazione è stata impostata con criteri ben precisi che prevedono solo alimenti a chilometro 0 e che


privilegiano le tradizioni e le coltivazioni locali, con menù tipici a base di carne, pesce e verdure. Il borgo è anche un posto ideale per rilassarsi tra un tuffo nella bella piscina d’acqua salata, una passeggiata a cavallo o una mattinata trascorsa nell’area benessere con i suoi massaggi, bagno turco, sauna e docce emozionali. Ma sarà sufficiente passeggiare per il giardino o lasciarsi incantare dal fuoco acceso che brucia nel salone all’ingresso e che sembra invitare all’ascolto di storie del passato per lasciarsi ammaliare da questo luogo di pace e riposo.


Capo Passero Petra Nowack/Shutterstock.com

Sicilia, Africa e Montalbano

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a Avola ci spingiamo ancora più a sud, verso il lembo estremo della Sicilia, dell’Italia e dell’Europa: Capo Passero. Ci si arriva passando in mezzo a chilometri e chilometri di rossi pomodori: è la patria del Pachino. A Capo Passero il mare è caraibico, i tramonti africani. Altra tappa obbligatoria è Scicli, monumentale città barocca e nello stesso tempo borgo incastonato nella roccia carsica di cui pare una fioritura incantata. Tra i suoi palazzi storici, il più noto oggi è senz’altro quello del Municipio, in quanto set cinematografico del

Commissariato di Vigata (Porto Empedocle) di Montalbano. Parlare del Commissario di Camilleri ci scatena un “pititto lupigno”: è ora di fare una pausa per assaggiare un paio di specialità locali. Intanto il famoso Caciocavallo ragusano, che sta alla Sicilia come il Grana sta alla Pianura Padana. Poi ci facciamo portare a Palazzolo Acreide, borgo tra i più belli d’Italia, barocco Unesco Doc, dove dopo aver visitato Palazzo Caruso, che vanta la balconata più lunga al mondo, ci sediamo a tavola per gustare i cavatieddi e la salsiccia locale.


Chiesa di San Bartolomeo, Scicli Paolo Tralli/Shutterstock.com

Un balcone a Palazzolo Acreide cristina pietraperzia/Shutterstock.com


Modica Paolo Tralli /Shutterstock.com

I piatti di Caltagirone Lorena Tempera/Shutterstock.com


Dolce vagare

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er il dolce andiamo a Modica, dove nel mese di settembre si producono i “lolli”, dolcetti a base di mosto. E soprattutto dove, tutto l’anno, si lavora “a freddo” il famoso cioccolato, che è il più simile a quello che preparavano le antiche civiltà mesoamericane e nello stesso tempo è il primo prodotto italiano Igp ad avere il “passaporto digitale“, per garantirne autenticità e tracciabilità. Cannella, vaniglia, agrumi, peperoncino, vino, zenzero: provate tutti gli aromi. Il punto è: ma dove mangiare tutto questo ben di Dio? Ma negli sgargianti piatti di ceramica di Caltagirone,

Ragusa vista dai Monti Iblei Em Campos /Shutterstock.com

naturalmente! Questo borgo, con la sua scenografica scalinata lunga 103 metri decorata con le maioliche policrome isolane, è una vera gioia per gli occhi. Dopo il cibo, un po’ di moto! Perché non organizzare una bella gita, per esempio tra le mega-sugherete della Riserva naturale Bosco di Santo Pietro, che si estende su un grande altopiano sabbioso a 20 chilometri da Caltagirone? O andando verso Ragusa, tra le vallate dei Monti Iblei, che qui si chiamano ”cave” e sono dei veri scrigni naturalistici. Affidatevi a un’associazione di guide escursioniste, come Kalura.


Castello di Donnafugata Giuseppe Elio Cammarata/Shutterstock.com

Fontana della Ninfa Zizza luigi nifosi/Shutterstock.com


L’altra Sicilia e il seno perduto

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d eccoci infine a Ragusa, “l’altra Sicilia”, quella storicamente ricca. È la “città dei ponti“ e dei 100 pozzi. A 500 metri sul livello del mare, davanzale della catena collinare dei Monti Iblei, nel mese di ottobre ospita Ibla Buskers, il festival di mangiafuoco, giocolieri, trapezisti e altri artisti di strada. Il Castello di Donnafugata è una sontuosa dimora a una quindicina di chilometri dal centro cittadino, che vale la pena visitare: gelato di gelso in mano, avventuratevi nel

labirinto dentro il suo parco. Avviso: controllate giorni e orari di apertura. Fine di questo viaggio tra le otto città Patrimonio dell’Umanità. È rimasta fuori dal nostro tour la splendida Catania col suo vulcano, il suo elefante e i suoi borghi etnei. E Militello in Val di Catania, con la sua fontana della Ninfa Zizza, dal cui seno sgorgò per la prima volta, nel 1607, l’acqua potabile nel borgo. Niente da fare, se non le valigie per tornare al più presto in Val di Noto!


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Cattedrale di Catania Napa/Shutterstock.com



Luca Sartori

twitter.com/LucaSartoriIT


Palazzolo Acreide, suggestioni barocche

Diego Barucco/Shutterstock.com


Giambattista Lazazzera/Shutterstock

È

l’incantevole scenario dei monti Iblei, ad accogliere Palazzolo Acreide. Situato nell’entroterra siracusano, dista pochi chilometri da Ortigia, Modica, Avola e Noto, ma anche dalla costellazione di borghi montani quali Buccheri, Cassaro, Buscemi, Ferla, Canicattini, Pantalica e Sortino. Tutelato dall’Unesco e appartenente al club dei borghi più belli d’Italia, Palazzolo Acreide unisce i silenzi e gli incantevoli scorci dei suoi pittoreschi vicoli medievali e la ricchezza delle sue ar-

chitetture a una particolare vivacità culturale. Il borgo garantisce un’offerta turistica che lo rende meta di scoperta e visita lungo tutto l’arco dell’anno, il tutto unito ai ritmi naturali della vita che ne contraddistinguono la quotidianità. Giunto secondo al concorso della Rai “Il borgo dei borghi 2019” alle spalle del centro piacentino di Bobbio, Palazzolo Acreide è una meta che sa stupire e incantare, dove il turista trova storia, bellezza, cultura, tradizione e tanta buona tavola.



Angelo Giampiccolo/Shutterstock


L’antica Akrai

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ntica colonia siracusana, Palazzolo Acreide è terra abitata fin dalle ere più antiche. La sua storia passa attraverso i greci, i siculi e i corinzi siracusani che in corrispondenza di un colle dalle pareti inespugnabili fondarono tra il 664 e il 663 a.C. la colonia di Akrai, esempio dell’espansione territoriale dei siracusani nel ricco entroterra ibleo nonché importante centro di scambi commerciali e sviluppo culturale. L’antica Akrai passò poi sotto la dominazione romana, per essere poi annessa all’impero bi-

zantino, mantenendo comunque la sua importanza culturale nell’orbita di Siracusa. La storia più recente vede l’influenza sul territorio di arabi e normanni. Nel XVI secolo Palazzolo conta 5mila abitanti ed è uno dei centri agricoli più ricchi della Sicilia, poi il terremoto del 1693 ha temporaneamente cambiato la sua storia in vista di una successiva e importante rinascita architettonica, sociale e culturale, che ha regalato al borgo nuovi straordinari tesori che ancora oggi la rendono meta imperdibile della zona.



Giambattista Lazazzera/Shutterstock.com


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Agriturismo La Mela di Venere Luca Sartori

È

la campagna incontaminata siciliana la protagonista indiscussa dell’agriturismo ”La Mela di Venere” di Palazzolo Acreide, nelle terre del bellissimo borgo delle terre iblee, a pochi chilometri dalla storica Siracusa, dai principali siti artistici del profondo sud della Sicilia, da Noto ad Avola, da Ragusa a

Modica, da Scicli a Ortigia. Bioagriturismo che è anche a due passi da importanti luoghi d’interesse paesaggistico e naturalistico come la Riserva Naturale di Pantalica, l’Oasi Faunistica di Vendicari, la Riserva Naturale di Cavagrande e lo splendido litorale bagnato da un mare incantevole. Una struttura che


sorge tra melograni, ulivi, piante di noci ed essenze mediterranee, una location che garantisce una vacanza in totale relax in una zona appartata dove godersi la pace e perdersi, con lo sguardo, in orizzonti lontani. 38 ettari di terreno dove pace e natura, biocompatibilità e wellness s’incontrano, dove tutto avviene nel rispetto dell’ambiente, dove trionfa la filosofia del biologico e del prodotto a chilometro zero. Ed è nel totale rispetto del paesaggio che il bioagriturismo ”La Mela di Venere” utilizza energia solare e le sue camere, ricche di tutti i comfort, sono di diverse dimensioni e tipologie - soddisfacendo le differenti esigenze degli ospiti -, mentre l’arredamento in stile moderno co-


niuga la tradizione e la modernitĂ nel totale rispetto della natura. Alla colazione, preparata con prodotti freschi dello stesso agriturismo o di alcuni produttori locali, ricca di dolci fatti in casa, marmellate biologiche, salumi e formaggi del posto, si uniscono i


pranzi e le cene preparati con i prodotti stagionali dell’orto, dell’azienda biologica e di alcune aziende locali. Buona tavola, relax e tanto movimento all’aria aperta in un bioagriturismo che offre una nuovissima piscina alla quale si unisce la possibilità di utilizzare le mountain bike, divertirsi sul campo da bocce in terra battuta e usufruire del parco giochi per bambini.


Giambattista Lazazzera/Shutterstock

Itinerari settecenteschi

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su piazza del Popolo che si trova uno dei tesori del barocco siciliano, la chiesa di San Sebastiano, dalla scenografica gradinata e il grandioso interno a tre navate. Sempre sulla piazza sorge il palazzo del Comune con decorazioni Liberty, mentre su corso Vittorio Emanuele c’è il barocco palazzo Judica, risalente al 1790. Da vedere anche palazzo Pizzo, esempio di dimora borghese, seguito da numerose chiese tra cui quella dell’Immacolata - dalla bella facciata barocca e che custodisce una statua in marmo bianco di Carrara della seconda parte

del ‘400 di Francesco Laurana -, la chiesa di San Michele Arcangelo del 1693 - con la bella torre campanaria esagonale e l’interno a tre navate con colonne di pietra bianca -, la chiesa Madre - dall’interno riccamente decorato -, la barocca basilica di San Paolo e la chiesa dell’Annunziata, altro gioiello barocco, per la quale fu commissionata ad Antonello da Messina l’Annunciazione custodita al Museo Bellomo di Siracusa. E poi tanti palazzi settecenteschi tra cui il palazzo Lombardo-Cafici, palazzo Ferla di Tristaino e palazzo Zocco.


Giambattista Lazazzera/Shutterstock



luigi nifosi/Shutterstock.com


Antichi tesori

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a meraviglia di Palazzolo Acreide è nelle sue piazze, lungo le sue vie e tra i suoi vicoli, con tesori architettonici, chiese e palazzi ricchi di storia e decori. La ricchezza storica e culturale di questo borgo dell’entroterra siciliano è anche nella sua area archeologica, che custodisce i resti dell’antica Akrai, il teatro greco costruito intorno al II secolo a.C. durante il regno di Ierone II. Nei pressi del teatro vi sono i resti del tempio di Afrodite ed è visibile l’asse viario principale, il

decumano, dalla pavimentazione lavica. Particolarmente ricco anche il patrimonio museale del borgo, con la Casa Museo Antonio Uccello, museo etnoantropologico tra i più belli, il Museo Archeologico G. Judica, che ospita oltre 2mila pezzi tra cui sculture, vasi, anfore e ceramiche provenienti dalle campagne di scavo sul sito di Akrai, il Museo dei Viaggiatori di Sicilia, che custodisce libri antichi, carte geografiche e accurate illustrazioni, e il Museo dell’Informatica funzionante.




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PaoloCerto/Shutterstock.com


Eventi e sapori

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toria, arte e cultura ma anche buona tavola. A Palazzolo Acreide ci s’incanta davanti alle meraviglie architettoniche e della tavola. Trattorie, osterie, ristoranti e pasticcerie propongono piatti tipici e sapori di un tempo, tramandati di generazione in generazione. L’agricoltura locale offre una vasta varietà di produzioni, mentre il prodotto tipico locale e indiscussa regina della tavola è la salsiccia tradizionale, recentemente dichiarata presidio slow food. Agli eventi di antica

tradizione popolare nel paese vi sono le feste in onore dei santi: San Paolo, San Michele, l’Addolorata, San Sebastiano, l’Immacolata, mentre gli appuntamenti della Santa Pasqua e del Carnevale si uniscono alle iniziative culturali dell’attiva amministrazione locale, orientata a un turismo slow, autentico ed esperienziale, in un progetto chiamato “terre d’eccellenza” che consente a chi vuole scoprire il borgo di scegliere l’esperienza più congeniale: barocca, archeologica oppure slow.



San Sebastiano Paolo Gallo



San Paolo Paolo Gallo


Palazzolo Acreide

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Giambattista Lazazzera/Shutterstock.com

COMUNE DI PALAZZOLO ACREIDE Siracusa, Sicilia Abitanti: 8808 Altitudine: 670 m s.l.m. Superficie: 87,54 km² Santo Patrono: San Paolo Apostolo 29/6 Siracusa

I Borghi più belli d’Italia

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PALERMO



Carola Traverso Saibante


Cerveteri e Tarquinia, etruschi e Unesco

Andrea Rustichelli/Shutterstock.com



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hi era Velia Spurinna? Capelli castani raccolti in un’acconciatura scenografica, profilo scolpito dal naso in stile greco, labbra sensuali, spalle scoperte... Una ragazza di città. Nata più di 2300 anni fa. Italiana. O meglio, etrusca. Vissuta nell’unica civiltà urbana esistita nel territorio a forma di stivale in epoca pre-romana. Che noi cittadini odierni placidamente ignoriamo, anche se abbiamo delle testimonianze formidabili sotto il naso, un affascinante libro di storia antica edificato e dipinto: Cerveteri – in provincia di Roma - e Tarquinia – provincia di Viterbo -,

entrambe sotto l’egida dell’Unesco. Da dove venivano gli etruschi? Mistero. In due continenti – Europa e Asia – non si trova minima traccia di altra cultura pari a quella e la loro lingua, attestata da oltre 13mila iscrizioni, farebbe parte di un’ipotetica “famiglia linguistica tirrenica”. Una civiltà morta e sepolta da due millenni e mezzo, che proprio grazie alle sue sepolture possiamo conoscere nella sua quotidianità. Velia, nota in tutto il mondo come “la fanciulla velca”, ne è straordinaria testimonial, ritratta in eterno nella Tomba dell’Orco.

HETIZIA/Shutterstock.com


Tra i rioni di Cerveteri

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trade, piazze, quartieri. Una città? No, un cimitero. A immagine e somiglianza della città. È Cerveteri, con le sue migliaia di tombe organizzate in un piano urbanistico che riproduce fedelmente gli edifici - al tempo - abitati e dalle caratteristiche che variano in base all’epoca di costruzione e allo status della famiglia a cui appartenevano. Come la Tomba dei Rilievi e le sue 13 nicchie funerarie matrimoniali, che si trova nella necropoli più famosa, la Banditaccia. Cuscini rossi, stucchi decorativi e tutti quegli oggetti

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di uso quotidiano che ci offrono uno spaccato perfetto della vita di una famiglia benestante lì vissuta nel IV-III secolo a.C., periodo dell’ellenizzazione etrusca. Non solo: le installazioni multimediali all’interno degli otto monumenti più significativi ci permettono davvero di essere etruschi per qualche ora! Proiezioni audiovisive, effetti sonori e luminosi, ricostruzioni virtuali ci immergono negli arredi, negli ornamenti, nei banchetti, nella vita commerciale piuttosto che religiosa di quella società raffinata ed evoluta.


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Tarquinia, borgo millenario

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la “capitale etrusca”, considerata epicentro di quella civiltà che una volta viveva nell’odierna Toscana, nell’Umbria occidentale e nel Lazio settentrionale: una delle 12 città-stato in cui erano organizzati i 12 popoli federati che chiamiamo etruschi. Meraviglioso borgo che oggi mostra spiccate caratteristiche medievali, le sue origini risalgono al X secolo a.C.. Come quasi tutti i principali centri del territorio dell’Etruria, venne fondato su un colle in prossimità del mare. Una vista mozzafiato e una necropoli, quella di Monterozzi,

che con i suoi affreschi ci offre una finestra straordinaria sulla storia. Insieme alla Banditaccia – e Cerveteri, ovviamente -, è sotto la protezione dell’Unesco dal 2004. Sono in tutto 600 sepolcri scavati nella roccia – il complesso più esteso che si conosca – e delle 200 tombe dipinte, la più antica risale al VII secolo a.C.. Ne scegliamo una per tutte: quella della Caccia e della Pesca, che oltre alle “fotografie” dei proprietari e una scena di caccia e pesca è famosa per il dipinto che ritrae una danza dionisiaca in un bosco sacro.


leoks/Shutterstock

Foto dal Museo Nazionale Etrusco di Tarquinia francesco cepolina/Shutterstock.com

Con le ali sopra gli zoccoli

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mmaginavate che fino al VI secolo a.C. esistesse in Italia centrale una razza autoctona di cavalli che volavano? Se non l’avete mai saputo, è perché in effetti non sono mai esistiti! Se non l’avete mai immaginato, è perché non avete mai visto i “cavalli alati di Tarchna”, una delle più importanti acropoli – acropoli, non necropoli! - dell’intero territorio dell’Etruria. Sul suo punto più alto sorgeva L’Ara della Regina, tempio sacro dove sono stati trovati reperti dal

valore inestimabile, tra cui la lastra da 1.15 per 1.25 metri, datata tra il 500 e il 400 a.C. che era posta sul suo frontone: quella dei Cavalli Alati. Disintegrata in 100 pezzi, il magistrale lavoro di restauro ce l’ha restituita in tutto il suo splendore. Oggi si trova al Museo Nazionale Etrusco di Tarquinia. Usciti da lì, potete pensare a una pausa in natura: non avranno le ali, ma i cavalli vi possono davvero portare a spasso per la bella Maremma laziale.



Carciofi alla romana Elena.Katkova/Shutterstock


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Non solo d’archeologia vive l’uomo

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utta questa ricchezza di storia si trova, infatti, in una zona prodiga anche di tesori naturali: esplorate - magari in mountain bike, questa volta - i Monti della Tolfa e le loro oasi d’acqua dolce. O ancora: la Riserva Naturale Saline di Tarquinia, con i suoi fenicotteri rosa e i cavalieri d’Italia, i gabbiani corallini e gli aironi cenerini. La Tuscia - l’Etruria per i romani - è poi terra ricca di borghi tutti da scoprire. Cosa manca? L’enogastronomia, ovvio. Grossa, tonda e di

un bellissimo verde-viola, vedrete la “mammola” dipinta persino nelle tombe di Monterozzi, dato che pare siano stati proprio gli etruschi a coltivare per prima questa variazione del cardo selvatico, ossia il carciofo, e in particolare quello romanesco. “Alla romana”, alla “giudia” o ripieni che siano, non perdetevi la leccornia, e innaffiatela con abbondante Cerveteri Doc, un vino che ne fa letteralmente di tutti i colori! Un brindisi a Velia Spurinna!

Luciano B. Aiello/Shutterstock


Alessandra Boiardi twitter.com/aleboiardi


il borgo dell’incanto

Matteo Sala/Shutterstock.com



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ase in sassi e palazzi signorili, viuzze strette, un borgo cresciuto attorno al monastero dove assaporare ancora il fascino del Medioevo. E poi i panorami disegnati dalla natura e, tutto attorno, una vallata che respira il mare della vicina Liguria e regala scorci indimenticabili. Siamo a Bobbio, che sorge in una posizione privilegiata sulla sponda sinistra del fiume Trebbia, in provincia di Piacenza. Un luogo ricco di storia, della quale è stato protagonista: Bobbio sin dal 1014 si fregia del titolo di città, grazie alla bolla imperiale che

emanò Federico II per divenire nell’Alto Medioevo un’importante sede della cultura religiosa, punto di riferimento in Italia anche per l’arte, la cultura e la scienza. Un tuffo nel passato più autentico: è quello che una visita al borgo promette, ma non solo. I dintorni, ricchi di natura, offrono spunti per una giornata all’aria aperta, anche per i più sportivi, e il fiume, segnato dall’insolito profilo del ponte Gobbo, d’estate si trasforma in un’oasi di relax sulle sue sponde, perfette per un bagno di sole e un ristoro nelle fresche acque fluviali.


I custodi del sapere

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a storia di Bobbio è ricca di fascino. I suoi fasti maggiori furono quelli dell’Alto Medioevo, quando Bobbio – siamo tra l’VIII e l’XI secolo – si distinse per la sua celebre abbazia, fondata nel 614 dal monaco irlandese San Colombano. Il suo museo oggi è ospitato nel monastero, proprio dove un tempo aveva sede il prestigioso scriptorium dove venivano copiati i testi del sapere. Oggi si possono ammirare reperti della prima era cristiana fino al sedicesimo secolo: un

vero tuffo nel passato la cui esperienza è arricchita da postazioni multimediali per conoscere da vicino la vita monastica e l’affascinante arte amanuense. Attorno all’abbazia, tutti i monumenti più illustri di Bobbio perpetuano la magia di trovarsi in un luogo lontano dal tempo: la Cattedrale di Santa Maria Assunta, l’Abbazia di San Colombano con il sepolcro del santo e il bellissimo mosaico pavimentale, e poi, a dominare dall’alto, il Castello Malaspina.


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Curiosità, leggende e magie

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he le atmosfere medievali regalino un fascino inimitabile a Bobbio è cosa indiscussa. Ma il borgo è anche un centro vivace dove concedersi un po’ di quelli che possiamo definire piaceri moderni. Una passeggiata in centro è sempre occasione per il tipico “struscio” e anche per fermarsi in uno dei locali semplicemente per guardarsi attorno in maniera curiosa e godersi l’atmosfera. Con la stessa curiosità, scoprire Bobbio non può prescindere dal percorrere quel ponte Gobbo che ne è uno dei simboli e

che riporta, ancora una volta, al mistero medievale: sul suo suggestivo profilo irregolare si sprecano le leggende che vogliono come protagonisti proprio San Colombano e il diavolo in persona, come quella secondo la quale Satana contattò il santo promettendogli di costruire il ponte in una notte in cambio della prima anima che lo avrebbe attraversato: il santo gli mandò un povero cagnolino, che fece infuriare il diavolo al punto da sferrare al ponte un calcio tale da renderlo storto.



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Vacanze attive tra natura, storia e arte

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l di sotto del Ponte Gobbo, le acque del Trebbia scorrono placide. Un tuffo in un fiume limpido non è un’esperienza che si può provare ovunque, e come detto, d’estate è meglio non perdersela. Ma il fiume è decisamente per quattro stagioni soprattutto per chi ama l’adrenalina del rafting e l’emozione della canoa. I dintorni, poi, sono una fonte inesauribile di attività ideali per praticare attività sportive a diversi livelli, perfette per emozionarsi tra le suggestioni della natura e della storia. Come sul tragitto, tra i tanti,

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che ripercorre tratti dell’antica strada che collegava Bobbio ai mansi dei monaci di San Colombano, sul quale si incontra anche l’antico borgo di Brugnello e la sua tipica chiesetta. Walking e trekking in val Trebbia, ma anche percorsi di mountain bike, passeggiate a cavallo e, per i più spericolati, emozioni in deltaplano. D’inverno, sul complesso sciistico del Monte Penice si può anche sciare da dicembre a marzo. E sapevate che lo scrittore Ernest Hemingway definì la Val Trebbia, e quindi anche Bobbio, “la valle più bella del mondo”?


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Bar Trattoria La Scaparina, Bobbio

L’emozione è a tavola

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oteva mancare a Bobbio l’occasione di concedersi i piaceri del palato? La premessa è che assaggiare i piatti della tradizione in questo borgo significa intraprendere un viaggio nel viaggio. Questo per la sua posizione, luogo privilegiato di incontro, sulla tavola, di tante contaminazioni: piemontese, ligure, lombarda e inevitabilmente emiliana. Oltre a quelli imperdibili della tipica cucina piacentina, ovviamente, i piatti più autentici che ancora una volta riportano al passato, come i maccheroni alla bobbiese: sono fatti ancora oggi

a mano con il ferro da calza, da gustare con un ottimo sugo di stracotto. Se vi capita di fermarvi in una panetteria, poi, non dimenticate di chiedere le tipiche ciambelline salate e il tradizionale croccante nella classica forma a cestino. Se poi anche il vostro palato ama osare, abbandonatevi al piacere di uno dei piatti principe della tradizione gastronomica del luogo: la lumaca in umido. Siamo nei luoghi della Strada dei Vini e dei Sapori dei Colli Piacentini, dove la buona cucina e il buon bere è prima di tutto cultura.


Bar Trattoria La Scaparina, Bobbio


Come in un film

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l calendario degli eventi culturali di Bobbio è ricco durante tutto l’anno: feste, convegni, proiezioni cinematografiche animano il borgo. E sono in particolare gli eventi musicali a dare prestigio a questo luogo d’incanto. Ce n’è per tutti i gusti, dai concerti di musica classica alle note effervescenti delle melodie popolari. Particolare lustro è dato dalla Rassegna di musica irlandese, conosciuta come “Irlanda in musica”, una kermesse che coinvolge anche gli appassionati di storia, arte e cultura. E poi il cinema: il

regista Marco Bellocchio ha scelto Bobbio come sede per la Scuola della Fondazione Fare Cinema, centro di alta formazione cinematografica da lui presieduto, e del Bobbio Film Festival, che ha già portato in questo straordinario centro i nomi di celebri protagonisti del cinema italiano più apprezzato, come Mario Monicelli, Marco Tullio Giordana, Corrado Guzzanti, Sergio Rubini, Carlo Verdone, Francesca Comencini, Stefania Sandrelli, Giorgio Diritti, Claudia Cardinale, solo per citarne alcuni.



Bobbio

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COMUNE BOBBIO

BOLOGNA

Piacenza, Emilia-Romagna Abitanti: 3.589 Altitudine: 272 m s.l.m. Superficie 106,53 kmq Santo Patrono: San Colombano - 23/11 I Borghi più belli d’Italia

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Piacenza



Alessandra Boiardi twitter.com/aleboiardi

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L’incantesimo di

Vigoleno, un tuffo nel Medioevo


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ome uno scrigno raro custodisce gelosamente i suoi preziosi, così Vigoleno racchiude i suoi pregiati tesori tra le sue mura medievali. Il borgo fortificato è conservato perfettamente ed è questa sua autenticità la sua maggiore attrattiva, capace di trasformare una visita in questo luogo, una frazione del comune piacentino di Vernasca, in un vero incantesimo. La magia è quella regalata dalla sensazione di viaggiare nel tempo, attraverso i secoli, per approdare indietro fino all’epoca dei cavalieri e delle dame, in atmosfere dall’allure epica, ma molto radicate nella storia di questo luogo,

Allai, Sardegna leoks/Shutterstock.com spanishcastlemagic/Shutterstock

con le sue mura merlate e il panoramico camminamento di ronda, il mastio quadrangolare e poi, una volta superate le mura, tutto il borgo da scoprire. Il castello e la chiesa di San Giorgio, innanzitutto, ma anche l’oratorio, ovvero la cappella gentilizia degli Scotti, conosciuta anche per essere stata adibita a ospedale per i pellegrini della vicina via Francigena e poi la fontana cinquecentesca, testimone impassibile dello scorrere del tempo. Si trova in una bella piazzetta tra i bastioni merlati, unico ampio spazio tra edifici che delineano stretti passaggi fra i quali perdersi.


Bosco Verticale, Milano alecamera90/Shutterstock


Dai cavalieri agli artisti: la vita al castello

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n borgo fortificato e il suo castello: così Vigoleno ci restituisce la sua identità di complesso difensivo adagiato tra le colline piacentine. Il castello appartenne per secoli a una sola famiglia, i banchieri e mercanti piacentini Scotti, e questo ha certamente contribuito alla sua ottima conservazione. Nel 1921 venne però acquistato dalla duchessa Ruspoli de Gramont, che amava circondarsi dei più apprezzati artisti e intellettuali dell’epoca. Fino al 1935 il borgo venne così frequentato – e i più anziani ancora si ricordano le tante feste della duchessa – dal maestro surrealista Max Ernst, dall’ecclettico Jean Cocte-

au, dal nostro Gabriele D’Annunzio e da tanti altri. Tra essi, anche l’inarrivabile Anna Pavlova e il suo compagno, il pittore russo Alexandre Jakovleff, il cui prezioso lascito è il circolo di affreschi che si può ammirare ancora oggi nel minuscolo teatro di soli 12 posti – uno dei più piccoli d’Europa e una preziosità del castello – che al tempo della duchessa veniva animato dalle performance dei suoi talentuosi ospiti. Oggi il castello è privato, ma il teatrino, insieme a tutto il piano nobile, apre a visite guidate tutto l’anno la domenica pomeriggio, e da aprile a ottobre anche il sabato.


Una cantina con pannelli solari in Valtellina AerialVision_it/Shutterstock

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Luca Sartori

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Hotel Castello di Vigoleno


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l’incanto del Medioevo, a rendere il Castello di Vigoleno una delle location più intriganti d’Emilia: la struttura, infatti, affonda le sue antiche origini in epoca romana. Appartenuto tra il ‘300 e i primi del ‘900 alla famiglia Scotti, è stato nel 1622 la sede letterale e culturale del Ducato. Venduto dagli Scotti, il castello è passato, nel corso del XX secolo, di famiglia in famiglia, giungendo ai nostri giorni in perfetto stato di conservazione dopo fedeli interventi di ristrutturazione storica. Dalle camere dell’hotel al ristorante è un susseguirsi d’ambienti che regalano l’emozione e il profumo d’un tempo, quello segnato dalle gesta di dame e cavalieri. Ed è ricca l’offerta dell’hotel che propone differenti tipologie di soggiorno: alle suite situate all’interno del corpo centrale della struttura si uniscono quelle ricavate all’interno delle ex torrette di guardia così come l’appartamento all’interno del corpo centrale, il tutto in un


tripudio di accostamenti di tessuti, arredi e colori. Raffinatezza, comfort ed eleganza contraddistinguono le suite all’interno del corpo centrale, ognuna personalizzata con diverse tonalità di colori e tessuti, mentre Lancillotto, Ginevra e Degli Artisti sono i nomi delle tre suite Superior ricavate nelle ex torrette di guardia, su due o tre piani, che godono tutte di uno splendido panorama. Dall’appartamento all’interno del corpo centrale del Castello, inoltre, si scorge la distesa di colline che fa da cornice all’antico maniero ma anche il meglio dell’interno, tra cui la piazza e la fontana del borgo. Scenari d’incanto, comfort e relax ma anche tanta buona cucina al Ristorante San Giorgio: piatti di una volta e sapori del territorio in


ambienti di grande suggestione per cene di gala e eventi a tema. I salumi del territorio con la giardiniera, la spalla cotta di San Secondo con torta fritta, la pappardella al cacao con ragĂš di cinghiale, la pancia di maiale fumĂŠe con frutti rossi sono solo una piccola parte delle prelibatezze che propone il ristorante.





Suggestioni romaniche: la chiesa di San Giorgio

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e l’incanto di Vigoleno è quello di un balzo sorprendente nel tempo, questa sensazione si moltiplica in tutto il borgo. Ma c’è un luogo che forse più di altri non ha perso l’incanto delle sue origini ed è la chiesa di San Giorgio, tra le più suggestive del territorio piacentino. Questa piccola basilica sembra fare da guardia alla piazzetta con al centro la fontana ed è proprio il suo aspetto severo a incuriosire il visitatore. La curiosità poi si trasforma in stupore una volta varcata la soglia, per-

ché l’interno – austero e in penombra – è un vero tuffo in un’altra dimensione. Un lavoro di restauro nei decenni passati l’ha riportata al suo stile romanico originale, dopo che nei secoli aveva subito diversi rimaneggiamenti soprattutto tra i periodi del Rinascimento e del Barocco. Entrando ci si può aggirare tra i pilastri decorati con preziosi capitelli zoomorfici e si può anche ammirare un ciclo di affreschi targo-gotici, dopo essersi soffermati a dare uno sguardo alle sculture della facciata.


Andar per sentieri, con la luna piena

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igoleno non smette di stupire nemmeno fuori dalle sue mura fortificate. I dintorni, infatti, offrono più di una sorpresa, oltre a mostrare un paesaggio naturale tra prati e boschi dove fare riposare lo sguardo. E chi di riposo non vuol sentire parlare, ma è piuttosto alla ricerca di un’esperienza dinamica, può avventurarsi sul suggestivo percorso che in otto chilometri di crinale appenninico porta da Vigoleno a Vernasca. Vigoleno domina dall’alto la valle del fiume Stirone, che con il suo parco naturale, il Parco Regionale dello Stirone e del Piacenziano, permette di trascorrere una

bella giornata sui suoi percorsi immersi nella natura, tra le pareti ricche di fossili del fiume. Ce ne sono diversi tra cui scegliere, anche se una delle esperienze più suggestive resta la camminata notturna, proprio sul sentiero da Vigoleno a Vernasca, che viene organizzato il primo venerdì o sabato di luna piena a giugno. La ‘Notte dei Briganti’ è un evento molto atteso che attira ogni anno circa duemila partecipanti, e il nostro consiglio è quello di affrettarsi a iscriversi, perché nonostante accolga molte persone, è un evento a numero chiuso.


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Dop e Doc: il gusto della tradizione

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igoleno è un borgo tutto da scoprire, anche attraverso i prodotti del suo territorio. Le dolci colline che circondano il borgo verso la Val d’Arda sono zone rinomate per la produzione di vino Doc. Così, quando vi sedete a tavola dopo una visita al borgo non dimenticate – oltre al Monterosso Val d’Arda, il Malvasia dolce e secco e l'Ortrugo - di gustare il Colli Piacentini vin santo di Vigoleno: si tratta di un Doc a produzione limitata (se

ne producono solo 2.500 bottiglie l’anno) che trovate solo qui. Scegliete le piccole botteghe e i ristoranti dove assaporare le prelibatezze del luogo: la torta fritta o gnocco fritto (come qui chiamano “chisulèn”) da accompagnare alla coppa, al salame e alla pancetta, tutti e tre salumi Dop. Nel borgo, si trova anche la sede dell’associazione produttori Vin Santo di Vigoleno Doc, a cui aderiscono dieci cantine, con la piccola enoteca.


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Taverna al Castello di Vigoleno Luca Sartori

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ittorio Gassman e Paolo Villaggio, Carlo Verdone e Heather Parisi, poi Luca Barbareschi, Dario Fo e Vittorio Sgarbi, Veronica Lario e Antonio Lubrano, Arnaldo Colasanti e Alberto Angela sono solo alcuni dei nomi più importanti che sono transitati nel ristorante “Taverna al Castello” di Vigoleno, apprezzandone la cucina. Il ristorante è situato nel cuore dei colli piacentini, nello splendido scenario dell’antico borgo di Vigoleno, autentico gioiello architettonico, straordinario complesso fortificato di notevole interesse storico che nei secoli si è mantenuto praticamente intatto. Complesso medievale che ha conquistato la notorietà grazie alla duchessa Maria de Gramont, che lo restaurò accogliendovi importanti uomini quali poeti, scrittori e atto-


ri, tra cui il maestro del surrealismo Max Ernst, il genio multiforme Jean Cocteau, la diva del cinema Mary Pikford, la scrittrice Elsa Maxwell, il pianista Arthur Rubinstein e Gabriele D’Annunzio. E’ proprio nel cortile di questa meraviglia

architettonica delle terre d’Emilia che sorge la Taverna al Castello, tra i ristoranti più apprezzati della zona, ideale per banchetti e cerimonie ma anche per una semplice e romantica cenetta o in compagnia di un gruppo d’amici. Immer-



so nelle atmosfere medievali e incorniciato da mura merlate che dominano splendidi scenari collinari, il ristorante propone la tipica cucina casalinga emiliana con una ricca offerta di deliziose specialità. Dai “pisarei e fasò” ai gigli alle ortiche, dai bocconcini ai funghi all’asinella stufata, dal cinghiale con polenta alla frittata di porcini, dal cinghiale alla cacciatora con po-

lenta al guanciale al Gutturnio, e poi i vini locali come il Gutturnio Colli Piacentini e il Gutturnio Riserva, poi il Vin Santo di Vigoleno, vino passito prodotto esclusivamente nella zona, dove è stata riconosciuta la Doc più piccola d’Italia. Poi ancora salumi della zona, tra cui il culatello di Zibello, il salame tipo Felino, il prosciutto crudo di Parma, la coppa e la pancetta piacentina.


Vigoleno

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COMUNE VERNASCA

BOLOGNA

Piacenza, Emilia-Romagna Abitanti: 7 Altitudine: 350 m s.l.m. Santo Patrono: San Giorgio I Borghi più belli d’Italia

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Piacenza


Un arcipelago

di meraviglie


Simona PK Daviddi

facebook.com/simona.pk.daviddi


La Maddalena: un arcipelago da sogno

Candeo Mirko Ugo


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irca sessanta tra isole, isolotti e scogli formano il primo Parco Geominerario Storico e Ambientale del mondo, ma anche il primo parco nazionale della Sardegna, protetto sin dal 1994; nel 2017 Legambiente e il Touring Club hanno assegnato all’area cinque vele per qualità delle acque di balneazione ed efficienza dei servizi. Al di là dei riconoscimenti e dei numeri, il Parco Nazionale dell’Arcipelago della Maddalena affascina per il suo mix unico di acque cristalline dalle cromie incredibili – turchese, verde smeraldo, celeste e azzurro intenso si susseguono di cala in cala sorprendendo a

Mirko Ugo

ogni colpo d’occhio –, soffici spiagge da sogno, rocce granitiche dalle sfumature rosate, scenografici porticcioli e distese di profumata macchia mediterranea, dove ginepro, mirto, erica, euforbia e lentisco scandiscono il paesaggio. A “completare” l’affresco, non si può non menzionare la grande ricchezza faunistica, soprattutto marina: non è raro, infatti, avvistare delfini e tartarughe marine (le splendide Caretta caretta), ma anche capodogli e balenottere. Infine, gli amanti del birdwatching potranno assistere, dalle isole dell’arcipelago, al passaggio degli uccelli migratori.


Mirko Ugo


La Maddalena: dove la natura si intreccia con la storia

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’isola dedicata a Maria Maddalena che dà il nome a tutto l’arcipelago da sola merita un viaggio e lo si intuisce già arrivando al pittoresco porticciolo dello straordinario borgo marinaro, che accoglie i visitatori con i suoi vicoli lastricati, abbelliti da palazzi settecenteschi e dalla chiesa omonima, nonché dalle testimonianze del passato militare, come il Museo Navale Nino Lamboglia – a causa della sua posizione strategica, sia Napoleone Bonaparte sia l’ammiraglio Nelson tentarono di conquistare

l’isola –. Ma è la natura, selvaggia e rigogliosa, che incastona spiagge scenografiche – scandite da cale e calette da scoprire senza fretta – a sedurre i visitatori. Dal fiordo di Cala Francese alla bellissima Cala Spalmatore, con le sue rocce rosate e la sabbia color crema; dalla meravigliosa Punta Tegge, lambita da un mare smeraldino, a Bassa Trinità – imperdibile con il suo paesaggio di dune bianche e cale di granito plasmate dal vento – La Maddalena è davvero un susseguirsi di sorprese in grado di ammaliare i cinque sensi.


Cala Francese Elisa Locci/Shutterstock.com

Punta Tegge Anibal Trejo/Shutterstock.com


Mirko Ugo



Mirko Ugo

Mirko Ugo


Caprera: tra trekking e passeggiate

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amosa (anche) per il prestigioso Centro Velico, la splendida isola di Caprera è in realtà la meta ideale per gli amanti di trekking e passeggiate: nel 2011, infatti, sono stati ripristinati gli antichi sentieri – risalenti alla fine dell’800 e nati spesso con finalità militari – che la attraversavano e oggi gli escursionisti possono scegliere tra 16 itinerari differenti di diversi gradi di difficoltà (sul sito del parco, www.lamaddalenapark. it, è scaricabile la carta topografica, mentre per i più tecnologici, un’app gratuita è disponibile

per i diversi device). Tra i percorsi più scenografici meritano sicuramente un cenno il numero 7, che si inerpica fino alle cime granitiche del monte Tejalone regalando panorami mozzafiato su La Maddalena, il blu infinito del mare e le Bocche di Bonifacio; e il numero 11, che percorre una mulattiera militare bordata di ginestra, ginepro, mirto e corbezzolo fino alla fortificazione di Candeo, una suggestiva batteria militare antinave edificata agli inizi del ‘900 e immersa in una natura profumatissima e incontaminata.


Pawel Szczepanski/Shutterstock.com

Tomba di Garibaldi Gianluigi Becciu/Shutterstock.com

Echi garibaldini

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are incantevole e natura strepitosa – e quindi la possibilità di praticare tutti gli sport marini e molti di quelli terrestri, trekking ed escursionismo in primis – si arricchiscono a Caprera di pennellate di storia, legate indissolubilmente al nome di Giuseppe Garibaldi: l’Eroe dei Due Mondi, infatti, ha trascorso sull’isola gli ultimi 26 anni della sua avventurosa vita e da qui, precisamente dalla Casa Bianca – una costruzione semplice e rustica con reminiscenze latinoamericane dove Garibaldi si trasferì dopo la morte della moglie Anita –, progettò le sue imprese; in un’atmosfera

d’altri tempi, nelle otto stanze della Casa Bianca sono esposti cimeli preziosi – tra i quali un acciarino donato a Garibaldi da Meucci – mentre gli ambienti sono lasciati come si trovavano al momento della morte del grande eroe (un orologio a parete accanto al letto ne segna addirittura ancora l’ora esatta, le 18.21 del 2 giugno 1882). Anche Cala Garibaldi, bellissima baia di rocce chiare e macchia mediterranea, dalla sabbia dorata e dai fondali color smeraldo cristallini e trasparenti, riecheggia dei passi del grande eroe che amava, infatti, ormeggiare qui le sue barche.


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Le isole minori: gioielli marini

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e ognuna delle innumerevoli isolette – alcune poco più che scogli affioranti dalle acque turchesi – dell’arcipelago di La Maddalena rappresenta un gioiello a sé, ce ne sono alcune che meritano un cenno speciale per la preziosità dei propri ecosistemi e per la bellezza unica che le contraddistingue. Non possiamo non iniziare il nostro elenco con una star di fama internazionale, tanto delicata e minacciata dal turismo di massa quanto sorprendente: stiamo parlando di Budelli e della sua famosissima spiaggia rosa, preda in passato di turisti senza scrupoli tanto che oggi è vietato il calpestio dell’arenile, che si può comunque ammirare dal selvaggio retrospiaggia, raggiungibile con due sentieri. Anche l’aspra e granitica Spargi – terza isola dell’arcipelago per estensione – è un paradiso incontaminato, con spiagge da favola e un entroterra quasi inaccessibile, ricoperto da ginepri, corbezzoli e lentischi. Gli amanti del birdwatching, inoltre,

devono puntare cannocchiali e macchine fotografiche sulla vicina “sorella minore”, Spargiotto, dove nidificano alcune specie rare come il marangone dal ciuffo, il gabbiano corso e la berta maggiore. Santo Stefano, infine, quarta isola per estensione, con il suo territorio collinare, unisce alla natura, ancora una volta, la storia: non solo per le tracce del recente passato come base militare americana, non solo per il settecentesco Forte San Giorgio – noto anche come Forte di Napoleone perché è da qui che il generale corso bombardò La Maddalena – ma anche per la curiosa cava di granito all’interno della quale è visibile il colossale busto incompiuto di Costanzo Ciano, padre del gerarca fascista Galeazzo. Da scoprire anche le isole di Razzoli e Santa Maria: la prima colpisce per la maestosità della sua scogliera e per le forme delle sue rocce, la seconda vanta una bellissima spiaggia, Cala S.Maria, una delle più grandi dell’arcipelago.

Spiaggia Rosa Mirko Ugo


Spargi Mirko Ugo

Marangoni dal Ciuffo Mirko Ugo


Isolotti Paduleddi Mirko Ugo



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Ristorante La Scogliera Luca Sartori

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no straordinario luogo d’incontro, di magia e buona tavola. È questo e molto altro ancora il prestigioso ristorante La Scogliera dell’isola La Maddalena. Autentica perla della Costa Smeralda, nella zona nord-est dell’isola, a due passi da Caprera - l’isola di Garibaldi -, è un magnifico luogo

d’incontro dove il trionfo dei profumi e dei sapori si fonde con un tripudio d’emozioni visive e olfattive. Incastonato tra le sculture granitiche di Porto Massimo, accarezzato dalle acque color smeraldo e con i tavoli lambiti dalle sabbie bianche e rosa della spiaggia, il ristorante La Scogliera di Andrea


Orecchioni - “Cicerone” per gli amici -, ha ospitato e continua a ospitare il meglio del jet-set internazionale. Dalle star della musica internazionale ai numerosi attori di fama internazionale alle più grandi stelle dello sport, tutti hanno goduto del

panorama mozzafiato del ristorante e dell’alta cucina di quello che è un punto di riferimento, a pranzo, per il jet-set che frequenta la Costa Smeralda e la Corsica. Autentica alternativa all’eleganza talvolta troppo formale dei locali alla moda, La

Scogliera la si può considerare uno tra i luoghi d’incontro più esclusivi della Sardegna e sicuramente il più originale della Costa Smeralda, location ideale per celebrare convention, meeting, feste, riunioni d’affari, ma anche per una cena a

lume di candela o tra amici. Sono i profumi inebrianti della vegetazione che fa da cornice al locale a esaltare i sapori della cucina dove si servono aragoste e gamberoni del golfo e dove il fresco pescato dell’arcipelago - con orate, spigole e cer-


nie - è l’assoluto protagonista della tavola che si avvale anche di un’accurata proposta di prodotti della terra, primizie e carni provenienti da selezionati produttori del territorio. La fregola sarda all’astice, i tagliolini all’aragosta, l’ombrina in salsa

d’arance e il maialino sardo con riduzione al mirto sono solo alcune delle specialità del ristorante, il tutto annaffiato dai prestigiosi vini della fornita cantina. La Scogliera è un’esperienza totale: un viaggio indimenticabile per i cinque sensi.


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Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna, antiche miniere


Luca Sartori

twitter.com/LucaSartoriIT

Buggerru R. Rizzo


Miniera di Rosas (Narcao) S. Sernagiotto


Miniera di Masua e Isolotto di Pan di Zucchero G. Alvito

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uello Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna è un parco dalle molteplici caratteristiche ambientali, geologiche e biologiche: un percorso nella storia dell’attività mineraria che ha profondamente segnato quella della regione, modellandone il paesaggio e la cultura delle popolazioni minerarie. Un universo nel quale il visitatore, tra straordinarie testimonianze di archeologia industriale, mondi sotterranei, villaggi operai, pozzi di estrazione, migliaia di chilo-

metri di gallerie, impianti industriali, antiche ferrovie, archivi documentali e la memoria di generazioni di minatori, vive il parco nella sua essenza di autentico giacimento culturale. Accanto all’opera dell’uomo c’è la meraviglia della natura: falesie e faraglioni sul mare, distese di sabbia, foreste e cavità carsiche. Un percorso tra 8mila anni di storia mineraria, 3.800 chilometri quadrati di superficie e gli 87 comuni che lo rendono uno dei parchi nazionali più estesi ed eterogenei.


Giacimenti e cave

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ono 8 le aree geografiche di valore geominerario, storico, culturale e ambientale del Parco Geominerario della Sardegna. Quella del Monte Arci, il primo distretto estrattivo della Sardegna, quella di Orani, Guzzurra e Sos Enattos, con giacimenti di talco, granito e marmo nella prima, di piombo, zinco e argento negli altri due; poi l’area di Funtana Raminosa, con l’importante miniera di rame, quella che unisce Argentiera, Nurra e Gallura, con l’antica miniera di rame di Calabona, a sud di Alghero, l’Argentiera della Nurra, nota sin dal tempo dei Romani per

Miniera di Ingurtosu (Arbus) castello della direzione G. Alvito

le vene d’argento, e le numerose cave di granito in Gallura. C’è poi l’area di Sarrabus e Gerrei, dove vi sono importanti testimonianze di archeologia industriale e la zona che unisce Arburese e Guspinese, con i centri minerari dismessi di Montevecchio e Ingurtosu, Bau Gennamari e Perd’e Pibera, le terre dell’Iglesiente, dove alle miniere si uniscono importanti emergenze architettoniche dell’era nuragica, e il Sulcis, che unisce alle testimonianze legate all’attività mineraria un incantevole patrimonio ambientale e paesaggistico.


Cala Domestica (Iglesias) G. Alvito


Grotta di Santa Barbara (Miniera di San Giovanni, Iglesias) S. Sernagiotto



Miniera di Planu Sartu galleria Henry S. Sernagiotto

Miniere e sentieri

È

un universo da scoprire, quello del Parco Geominerario della Sardegna. Le varie aree del parco propongono numerosi percorsi tra siti minerari, culturali, geologici e naturali attraverso sentieri, itinerari e musei. Tante le miniere visitabili tra cui quella di Sos Enattos nel comune di Lula, quella di Funtana Raminosa a Gadoni, le miniere di San Giovanni e Monteponi a Iglesias, quelle di Malfidano e Planu Sartu a Buggerru, quella di Montevecchio a Guspini e Arbus, e, tra quelle del Sulcis, la miniera di Rosas a Narcao e quella di Serbariu a Carbonia. Tra i musei vi è

quello dell’Ossidiana a Pau, il GeoMuseo Monte Arci a Masullas, quello Etnografico “Sa Domu de is Ainas” di Armungia, il Museo Archeologico Industriale di Su Suergiu per l’antimonio, e tra le emergenze architettoniche, il castello di Acquafredda a Siliqua, la Fortezza punica di Monte Sirai a Carbonia e il Castello Orguglioso a Silius. Tra gli itinerari e i sentieri di scoperta delle varie aree vi sono paesaggi tra mare ed entroterra tra cui quello che unisce Carbonia, l’Isola di Sant’Antioco e l’Isola di San Pietro, i sentieri dell’Ossidiana e quello delle Miniere della Barbagia.


Miniera di Planu Sartu (Buggerru) G. Alvito

Grande Miniera di Montevecchio - Direzione sala blu S. Sernagiotto


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Interno di Porto Flavia e Isolotto Pan di Zucchero S. Sernagiotto



Ronciglione, il paese del carnevale


Enrico Barbini

enricobarbini.com


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’origine del Carnevale è incerta. Viene fatta risalire ai Saturnali e ai Lupercali, le antiche feste agresti con riti propiziatori in uso tra i Romani che dedicavano questo periodo a “Febris”, dio dei morti originariamente chiamato dagli Etruschi“Februus”, da cui deriva il nome del mese di febbraio. Secondo studi antropologici, le maschere altro non sono che rappresentazioni di morti o creature degli inferi o dei mondi sotterranei. Lo stesso termine maschera deriverebbe dal longobardo maska, che indicava l’anima del defunto. Espiazione,

purificazione e rinascita coincidevano infatti con la fine dell’inverno e con la ripresa dei lavori nei campi per le nuove semine. Nei secoli, con il cristianesimo, divenne un periodo di “sfogo” concesso al popolo prima dei rigori della Quaresima. “Carnem levare”, appunto! In altre parole, il periodo immediatamente precedente a quello di digiuno e astinenza in cui si toglieva “la carne”. In un documento del 1590 si legge che «...Il carnevale non è altro che un grande salasso, una terapia necessaria al corpo sociale...».



Ronciglione, rotondus cilio

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n provincia di Viterbo, a circa 50 chilometri a nord di Roma e ad appena due chilometri dal lago di Vico, si distende Ronciglione, anche noto come “il paese del Carnevale”. Un comune di quasi 9mila abitanti, il cui originario abitato risale al XI secolo e, con caratteristica comune a molti paesi della Tuscia, costruito sopra un grosso sperone tufaceo che un tempo ben si prestava alla difesa e osservazione del territorio circostante. Proprio da questo massiccio tufaceo di forma tondeggiante, rotondus cilio - “rotondo ciglione”

-, secondo l’ipotesi più attendibile, ha origine il toponimo della cittadina: Ronciglione. Il piccolo centro nei monti Cimini, già territorio dell’antico Stato Pontificio, ha una documentata e ultrasecolare tradizione carnevalesca che si rifà a quella barocca romana. Quella di Ronciglione è da sempre la manifestazione in maschera di riferimento per l’intero territorio della Tuscia e nel corso della sua evoluzione la sua fama ha valicato i confini locali, tanto che da alcuni anni il carnevale è annoverato tra i dieci più importanti d’Italia.




Folklore da storia

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el 2018, il carnevale di Ronciglione ha ottenuto anche il riconoscimento del Ministero per i beni e le attività culturali che lo ha inserito, con proprio decreto, nell’elenco dei “Carnevali storici italiani”, unico della regione Lazio. Un carnevale, quello di Ronciglione, che ha una fortissima connotazione popolare e nel quale carri allegorici, costumi e allestimenti sono realizzati artigianalmente da sarte e maestranze locali. Per l’occasione, molte case e spazi privati, nei mesi precedenti il carnevale, si trasformano in laboratori artigianali nei quali tessuti e paillette si mescolano a odori e attività domestiche quotidiane. L’intera

manifestazione è particolarmente attesa e sentita da cittadini e turisti che prendono posto ai lati del percorso che si snoda tra le vie rinascimentali del borgo per ammirare i carri allegorici e i gruppi mascherati che danno vita al tradizionale “Grandioso Corso di Gala”, istituzione delle domeniche di questo carnevale. È il trionfo di costumi ricchi ed eleganti oppure di maschere scanzonate e grottesche in un tourbillon di coriandoli, colori, allegria, bande folkloristiche e saltarelli (girotondi in musica) a cui partecipa spesso anche il pubblico che diventa a sua volta protagonista e non solo semplice spettatore.




Allegoria e allegria

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a il carnevale di Ronciglione non è solo il “Corso di gala” con carri e mascherate come avviene nella maggior parte dei centri italiani. Nell’ultima settimana del carnevale, quella cosiddetta “grassa” e che richiama moltissimi spettatori, ogni giornata a Ronciglione è caratterizzata da una serie di differenti manifestazioni allegoriche, gastronomiche e dai riferimenti storici, come la celebre cavalcata degli Ussari. Di quest’ultima, la tradizione narra che alla fine del ‘700, durante la permanenza in pa-

ese delle truppe francesi lì stanziate a difesa dello Stato Pontificio, un capitano degli Ussari, nel periodo di carnevale, per pavoneggiarsi agli occhi di una dama della quale si era innamorato, cavalcò più volte - alla testa di un drappello dei suoi soldati - lungo la salita principale del centro abitato. Questa singolare parata viene proposta tutti gli anni da figuranti con uniformi d’epoca, all’inizio delle manifestazioni, riscuotendo grande successo dal pubblico assiepato dietro le transenne.






Naso Rosso, ironia e Bacco

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onostante i cambiamenti sociali e di relazione che coinvolgono soprattutto le giovani generazioni, il carnevale di Ronciglione ha alcune tipicità che sembrano non risentire di tali mutamenti. E così, ad esempio, si inizia con il giovedì grasso dedicato proprio ai bambini che fin dalla tenera età sfilano in gruppi organizzati a tema, accompagnati spesso non solo da qualche genitore, ma anche dalle maestre delle classi che frequentano. Il sabato è invece dedicato alla gastronomia

con prodotti del territorio e della cucina contadina tradizionale. Al pubblico vengono offerti fagioli in umido, polenta e fregnacce, una sorta di crêpe arrotolata e condita con zucchero, pecorino e cannella. Il tutto rigorosamente in maschera! Ma il clou, sotto questo punto di vista, si raggiunge il lunedì di carnevale, quando la giornata è appannaggio della maschera tradizionale ronciglionese: Naso Rosso! Un buontempone dalla battuta pronta, ironico, irriverente e “adoratore di Bacco”...




Maccheroni e ragù

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na maschera insolita ed enigmatica che il lunedì di carnevale di ogni anno (dal 1900) diventa la maschera di tutti i ronciglionesi e dà vita a quel singolare rituale detto “la pitalata”. Vestiti con un bianco camicione e berretto da notte, i Nasi Rossi calano come un esercito sulla piazza, cantano un inno al vino, rincorrono gli spettatori, salgono con scale sui balconi, entrano nelle case per offrire sadicamente i maccheroni (rigatoni, n.d.r.) che tengono ben caldi in un vaso da notte... Una singolare figura di ubriacone che sale dal mondo sotterraneo delle cantine per portare abbondanza di cibo...»

(Prof. Luciano Mariti – già ordinario di Discipline dello spettacolo alla Sapienza di Roma). In realtà è opportuno precisare che i pitali (vasi da notte) sono delle ceramiche decorate, nuove e fatte appositamente per i “Nasi Rossi” da maestri ceramisti del centro Italia che dell’originario vaso sanitario riproducono le fattezze per suscitare beffardamente un’iniziale repulsione a chi non conosce questa tradizione. Sono riempiti con pastasciutta riccamente condita di ragù di carne e spolverati con abbondante parmigiano e pecorino, per essere poi offerti, ancora ben caldi, ai presenti nella piazza principale del paese.






Musica e saltarelli

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erso sera, dopo le manifestazioni da programma, la banda cittadina intrattiene ancora il pubblico con musica dal vivo per il già citato saltarello cui, senza distinzioni di età e sesso, partecipano - festanti e con spirito di condivisione - i presenti in piazza. Questo è uno dei momenti di partecipazione collettiva cui difficilmente si sottraggono anche i turisti che liberano la loro energia con allegria e spensieratezza. Il tutto termina la sera del martedì grasso con un singolare fune-

rale del Re Carnevale il cui fantoccio, dopo aver percorso le vie cittadine accompagnato da un corteo provvisto di fiaccole - a cui tutti possono partecipare -, viene appeso a una mongolfiera gonfiata in piazza a fiamma viva e lasciata volare libera in cielo. L’antica tradizione agreste interpreta il volo alto e regolare della mongolfiera come buon auspicio di prosperità per i futuri raccolti. Confidando anche in un pronto ritorno del re folle e burlone!


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Svolta green

Eugenio Marongiu/Shutterstock


Luca Sartori

twitter.com/LucaSartoriIT


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in atto una metamorfosi culturale. Una nuova coscienza green si sta diffondendo sempre di più in Italia, in Europa e nel mondo. È una svolta epocale. Un passaggio obbligato per salvare il pianeta, per le generazioni che verranno ma anche per noi. In pochi decenni, infatti, molti dei danni saranno irreparabili, quanto perduto drammaticamente irrecuperabile. Il pianeta sta dando importanti segnali di sofferenza; il riscaldamento globale, l’effetto serra, i grandi

Allai, Sardegna spanishcastlemagic/Shutterstock

squilibri meteorologici, che sempre più spesso portano a eventi atmosferici dalle conseguenze catastrofiche, trovano sempre più spazio negli ambienti della politica, sugli organi d’informazione e sui social network. La strada è lunga e difficile, ma quella imboccata sembra essere quella giusta, c’è da salvare il mondo. Sempre più realtà nei cinque continenti, infatti, hanno scelto la strada green, mettendo in atto una serie di politiche e azioni ecosostenibili.


Bosco Verticale, Milano alecamera90/Shutterstock


La svolta green italiana

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nche le grandi aziende sono protagoniste della svolta green italiana: gran parte degli imprenditori di casa nostra ha infatti messo in atto una serie di politiche e azioni concretamente ecosostenibili. E’ nelle aziende, che si traduce lo sforzo della classe imprenditoriale per contenere le emissioni inquinanti. Crociata ambientale che si sta concretizzando a tutti i livelli in numerose realtà italiane, dove i comportamenti “green” sono molteplici e si traducono in una serie d’investimenti, dall’innovazione dei macchinari all’installazione di pannelli solari o altri dispositivi per generare energia pulita, alle più semplici azioni come la raccolta differenziata in ufficio e l’abbassamento dei termosifoni. Numerose buone iniziative che si traducono in fatti concreti per

il pianeta e tanti vantaggi per le aziende e il territorio dove operano, tra un risparmio economico sul medio e lungo termine e una crescita della reputazione delle stesse aziende ma anche del territorio dove queste ultime agiscono. L’economia verde si sta rivelando anche una chiave straordinaria di rigenerazione del Made in Italy nel mondo. La salvaguardia, il rispetto e la valorizzazione dei nostri territori non può che passare anche attraverso l’impegno sociale e ambientale delle nostre aziende più virtuose. Solo con l’affermazione di un nuovo modello di sviluppo turistico fondato sui valori della qualità, dell’innovazione e dell’ambiente il nostro Paese potrà continuare a recitare un ruolo di primissimo piano sul palcoscenico turistico mondiale.


Una cantina con pannelli solari in Valtellina AerialVision_it/Shutterstock

MikeDotta/Shutterstock


Virtuosismi green

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ra le aziende italiane virtuose in tema ambientale c’è la Sanpellegrino, gruppo leader nel settore delle bevande, che lavora da anni con l’obiettivo della salvaguardia delle risorse idriche attraverso progetti e attività rivolte alla valorizzazione delle stesse, alla tutela dell’ambiente e alla promozione della cultura dell’acqua. Nella missione green di

Sanpellegrino ci sono la progettazione delle fonti e dell’ecosistema circostante, la valorizzazione dei territori in cui opera, la tutela dell’ambiente attraverso politiche di risparmio energetico, una logistica ecosostenibile sia nei processi produttivi sia in quelli distributivi e la promozione delle attività educative sul corretto utilizzo dell’acqua.




Acqua Sanpellegrino

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a Sanpellegrino è un’eccellenza mondiale. Con sede a Milano, l’azienda Sanpellegrino S.p.A. detiene più marchi fra cui S. Pellegrino, Acqua Panna e Sanpellegrino Sparkling Fruit Beverages, brand internazionali dell’azienda presenti in oltre 150 paesi del mondo attraverso distributori sparsi nei cinque continenti. Manifesto dello stile italiano nel mondo, i prodotti dei marchi della Sanpellegrino S.p.A. sono una sintesi di piacere, salute e benessere di un’azienda che, sempre al passo con i tempi, ha scelto da tempo un approccio di

massima riduzione del footprint ambientale per continuare a essere in tutto e per tutto un modello. Azienda leader nel settore delle bevande in Italia con la sua gamma di acque minerali, aperitivi non alcolici, bevande e tè freddi, in qualità di produttore di acque minerali il marchio Sanpellegrino S.p.A. continua a essere impegnato a valorizzare sempre più questo bene primario per il pianeta, lavorando in modo responsabile per far sì che tale fondamentale risorsa abbia un futuro certo e soprattutto sicuro.

monticello/Shutterstock


La prestigiosa Acqua Panna

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ra i prodotti dell’azienda c’è l’Acqua Panna, che con le sue bottiglie dal disegno raffinato trova spazio da anni sulle migliori tavole di tutto il mondo raffigurando la bellezza - nota e apprezzata in ogni angolo del pianeta della terra dove sgorga, quella Toscana elegante e raffinata che fu regno della nobile Famiglia de’ Medici. L’Acqua Panna è un’acqua che, negli anni, i palati più fini hanno imparato a riconoscere e apprezzare. Un’acqua minerale naturale oligominerale che, nel tempo, è dive-

nuta un’autentica ambasciatrice del cibo gourmet, espressione di eccellenza toscana e italiana. Dal gusto morbido e vellutato, Acqua Panna dà un tangibile senso di freschezza, ha la rara capacità di esaltare anche i sapori più delicati ed è ottima in abbinamento con i piatti più raffinati. Un’acqua che oltre a dissetare orchestra tutta una serie di sensazioni percettibili attraverso naso e bocca, favorendo la scoperta dei sapori.



leoks/Shutterstock

La fonte nel Mugello

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la Toscana, celebre in tutto il mondo per i suoi paesaggi unici e meravigliosi - e per la creatività della sua gente - la terra dove nasce l’Acqua Panna. Per la precisione, è nell’Appennino Toscano, nel Mugello, che sgorga Acqua Panna, in quella che era una riserva di caccia dei Medici estesa su 1.300 ettari di grande valenza naturalistica e che il Gruppo Sanpellegrino si è impegnato a proteggere e conservare. Un terri-

torio rigoglioso dove le colline si rincorrono in uno straordinario susseguirsi di conifere, faggi e castagni secolari e dove vive una ricca fauna selvatica: fagiani, pernici, lepri e molti ungulati tra cui cervi, daini e caprioli. Qui intenso e continuo è l’impegno profuso con l’obiettivo di salvaguardare le fonti e difendere la naturale bellezza della riserva, al fine di mantenere intatto l’habitat naturale di un patrimonio unico.


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Villa Panna a Scarperia

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ll’origine proprietà dei Medici, Villa Panna sorge nei pressi di Scarperia, frazione del comune di Scarperia e San Piero, a una quarantina di chilometri da Firenze. Nel 1564, in un “bando di proprietà” della Famiglia de’ Medici, la macchia di Panna vien nominata come proprio territorio di caccia e da allora la riserva resta sostanzialmente incontaminata; precedentemente sono sempre i Medici a commissionare al famoso architetto Michelozzo la trasformazione della cascina in una lussuosa villa immersa in orti e giardini. Il nome pare derivasse dalla colorazione dell’in-

tonaco: color panna, appunto. La villa divenne poi proprietà dei marchesi Torrigiani che la ammodernarono in stile romantico con un bel parco all’inglese, un laghetto, statue e decorazioni. Furono proprio i Torrigiani i primi a utilizzare la vicina sorgente come stabilimento per l’acqua minerale, imbottigliata manualmente e portata nella vicina Firenze con i cavalli, pronta per essere etichettata e venduta in damigiane. La villa rappresenta la storia e le origini di una fonte che continua a essere simbolo di eccellenza e naturalezza di un marchio ormai senza tempo.



Carola Traverso Saibante

Quando l’Unesco diventa Dop

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Quando l’Unesco diventa Dop

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i corsa. Questo viaggio, per una volta, è di corsa, perché tra ortaggi e centri storici, monumenti e ricette, archeologia e mozzarelle, il Belpaese è generoso e si ha voglia di assaggiare il più possibile. Patrimoni materiali e immateriali, a partire proprio dalla Dieta Mediterranea, riconosciuta ufficialmente Patrimonio Culturale dell’Umanità con la sua pasta al pomodoro, il basilico, l’olio di oliva. Per il basilico è facile: corriamo in Liguria, dove c’è quello di Prà, il cru del basilico genovese, che dalle sue vescicolette emana un aroma in-

tenso e inimitabile, zero mentolato. Per l’olio scegliamo la Toscana. Il borgo di Monteriggioni, porta del Medioevo in provincia di Siena, il cui centro storico è “sponsored by Unesco”, è la sede dell’associazione Nazionale Città dell’Olio, che promuove la cultura, il turismo e i territori dell’olio italiano. Tra gli Evo protetti dalla regione, assaggiamo quello del vigoroso olivo Quercetano, che un tempo aveva addirittura valore di moneta negli scambi commerciali tra i suoi produttori versiliesi e gli arabi. Un olio in via d’estinzione, sotto le ali di Slow Food.

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Quando l’Unesco diventa Dop Paolo Paradiso/Shutterstock.com


A tutta Campania P

izza! Non bisogna essere “in dolce attesa” per avere le voglie. Ogni cittadino italiano sa a cosa mi riferisco! “L’Arte dei Pizzaiuoli Napoletani” è diventata Patrimonio Immateriale dell’Umanità nel dicembre 2017. Curiosiamo tra i due ingredienti più iconici di questo amore nazionale: pomodoro e mozzarella. Il Disciplinare della pizza napoletana indica il pomodoro pelato San Marzano quale ideale. Ebbene, a lui è riconducibile il pomodoro pelato di Napoli, Prodotto Agroalimentare Tradizionale che arriva

dall’Agro nocerino-sarnese, quel territorio a metà strada tra Salerno e Napoli dove si trova proprio il borgo di San Marzano sul Sarno, patria dell’omonimo frutto che lì oramai si coltiva solo a uso famigliare (il grosso della produzione è pugliese). In zona si coltiva anche la cipolla bianca di Pompei (la cui area archeologica è ovviamente marchiata Unesco), perfetta per insaporire la nostra pizza. E a proposito di mozzarella campana, conoscete quella “co’ a mortedda” (nella mortella)?

Quando l’Unesco diventa Dop

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Formaggi mon amour L

a “mortedda” è il mirto, sempreverde ben diffuso tra i pascoli del Cilento, che i pastori utilizzavano per conservare la “mozzarella stracciata” – di forma oblunga, quasi piatta. Un formaggio a pasta filata squisito, da gustare immediatamente dopo averlo scartato dal suo involucro di mirto: ne conserva ancora l’impronta delle foglie e, soprattutto, l’aroma! Si mangia di solito come antipasto, servito con pomodori, olive e condito con… olio extravergine, naturalmente! Già che

siamo passati ai formaggi, scopriamo la deliziosa formaggella della Val Camonica. Perché? Perché l’arte rupestre delle rocce che si trovano in questa valle delle Alpi centrali, in Lombardia, fu il primo sito tricolore a essere riconosciuto Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, nel 1979. Lì si produce questa piccola formaggella montana, di latte crudo vaccino a pasta semidura. Ha una stagionatura breve e non è molto aromatico; si abbina a vini bianchi di bassa gradazione alcolica.


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Quando l’Unesco diventa Dop

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Quando l’Unesco diventa Dop

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La Marmilla lorenza62/Shutterstock.com

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he non è il caso della Malvasia secca di Sardegna: bianco, sì, ma di gradi ne fa 13! Quella di Cagliari è la Doc; la sua versione più antica viene dalla Marmilla, regione storica del centro-sud isolano. “Qui sono stati ritrovati utensili per la vinificazione risalenti al 1700 a.C., epoca pre-nuragica, tra cui etichette e tappi di sughero e cera per commercializzare le bottiglie e piattini da sommelier!” – racconta Roberta, alle redini della Cantina Lilliu, che con la sua agricoltura sinergica in aridocoltura ha ripreso a produrre in loco il

vino con tale uva dalle note di mandorla. E che straordinario monumento protetto dall’Unesco si trova nella Marmilla? Nientemeno che il nuraghe di Barumini. Chiudiamo con un dolce delle feste, il siciliano Buccellato, ciambella di frolla farcita con fichi secchi, uva passa, mandorle, scorze d’arancia e altri ingredienti che variano a seconda delle zone. E noi come zona scegliamo Piazza Armerina, incantevole borgo medievale conosciuto nel mondo per i Mosaici della Villa Romana del Casale. Un monumento Unesco Dop.

Quando l’Unesco diventa Dop

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Vino & dessert


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Villa Sandi Alessandra Boiardi


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na famiglia legata da generazioni al mondo del vino si è fatta custode di una preziosa tradizione territoriale: i Moretti Polegato da oltre vent’anni aprono le porte di Villa Sandi, svelando ai visitatori le sue suggestive cantine sotterranee del ‘700, in un percorso coinvolgente per tutti gli amanti del vino, ma non solo. Le suggestioni del percorso appassionano tutti conducendo tra storia, arte e paesaggi

direttamente nel cuore della secentesca villa e alla scoperta dell’azienda vitivinicola, che proprio nella villa ha la sua sede. Siamo a Crocetta del Montello, in provincia di Treviso, un territorio conosciuto ai tempi dello splendore della Repubblica veneta come “Il giardino di Venezia” e il cui fascino non si è perso nei secoli, tanto da rappresentare ancora oggi una meta inedita e ricca di fascino.


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ella sua moderna interpretazione, Villa Sandi fa rivivere l’antico ruolo delle ville venete, capace di immergere il visitatore nell’atmosfera delle residenze estive delle famiglie nobili e della ricca borghesia mercantile, al contempo luoghi di governo delle vaste proprietà terriere da cui erano circondate. Sono circa 20mila gli appassionati che ogni anno visitano la villa e le sue suggestive cantine. Tutto attorno i vigneti, che da secoli disegnano il paesaggio delle colline trevigiane. Qui, tra le zone pianeggianti del Prosecco Doc fino ai morbidi colli asolani e agli erti pendii delle colline di Valdob-

biadene, si estendono le tenute di Villa Sandi, per culminare nello speciale Cru del Cartizze, dove la passione e la tenacia hanno guidato le generazioni nella coltivazione della vite anche nei luoghi più impervi. Proprio da questo vigneto nasce il Cartizze “La Rivetta” Villa Sandi: felicissime e irripetibili condizioni consentono la produzione di un Cartizze dalle caratteristiche uniche, premiato con i “Tre Bicchieri” del Gambero Rosso. Al di sotto della villa, nelle cantine, affinano le bottiglie dello spumante Metodo Classico Opere Trevigiane, mentre nelle barricaie maturano i grandi rossi Corpore e Filio.


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ertificata” Biodiversity Friend”, Villa Sandi è attenta all’ambiente e alla salvaguardia della biodiversità nella cura del vigneto, attraverso l’uso di energie rinnovabili e l’attenzione alle risorse idriche. Con la stessa filosofia ha realizzato un percorso fitness in uno dei vigneti “Biodiversity Friend” dell’azienda, a Crocetta del Montello: una vera palestra all’aperto, aperta a tutti liberamente. Il percorso tra le suggestioni di Villa Sandi non sarebbe completo senza scoprire il territorio anche attraverso le gioie della tavola

e dei suoi prodotti. Naturalmente si parte dal prestigio del vino: nelle Botteghe del Vino di Crocetta del Montello e di Valdobbiadene le degustazioni sono guidate da personale preparato e accogliente. Un viaggio sensoriale che trova degna conclusione alla tavola della Locanda Sandi, a Valdobbiadene, dove vengono serviti i piatti della tradizione gastronomica della campagna veneta, una questione di stile che contraddistingue anche le sei camere che la locanda riserva ai suoi ospiti, tutte arredate diversamente, ma conservando stile e atmosfera della locanda di campagna di inizio ‘900.


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Nicoletta Toffano

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Oltreconfine: Oltreconfine:Vietnam Francia

Limpido, cristallino Vietnam


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o sono una goccia di pioggia che cade, cade nel pozzo, cade nel roseto. Io sono una goccia di pioggia che cade, cade sul palazzo, cade nella risaia”. In questo “Ca Dao” (poesia spontanea tradizionale vietnamita di autori ignoti) è rappresentata la simbiosi del popolo vietnamita con la natura e rimanda a un’immagine nitida di un paese dove paesaggi mozzafiato, borghi e territori sono stati riconosciuti dall’Unesco come patrimonio dell’Umanità. E inseguendo questi luoghi la nostra prima goccia di pioggia cade proprio al centro del Vietnam, sulla città antica di Hội An, magnifico borgo

Kobps2/Shutterstock.com

marinaro commerciale situato sull’estuario del fiume Thu Bon. Conosciuta come “la città delle lanterne”, per via dello spettacolo serale fatto da infinite lampade colorate di seta e bambù accese (realizzate e vendute ovunque ad Hội An), è un insediamento di oltre mille edifici in legno intarsiati, costruiti nel periodo di massimo splendore della città, tra il XV e il XIX secolo, quando giapponesi e cinesi, olandesi e indiani vi si insediarono. Splendido il ponte costruito in pietra e legno dalla comunità giapponese per collegare il proprio quartiere a quello cinese sulla riva opposta.


Oltreconfine: Vietnam

Ekkapong Pipatkajornchai /Shutterstock.com


Parco Nazionale di Phong Nha-Ke Bang Travelbee Photography/Shutterstock.com

La goccia nel pozzo di Phong Nha-Ke Bang

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o sono una goccia di pioggia che cade nel pozzo”, forse quello del piccolo borgo di Phong Nha, nella provincia centrale di Quảng Bình, nel complesso di montagne carsiche tra le più antiche dell’Asia: un insediamento rurale collegato ai vicini villaggi da strade sterrate che si snodano tra le risaie, dove si incontrano i bufali d’acqua e ci si può fermare in minuscoli pub ad assaggiare la specialità locale: il polletto vietnamita alla griglia con salsa di arachidi e birra fresca. È questa l’immagine di un Vietnam arcaico, oggi in rapido cambiamento a causa della crescente notorietà assunta dal Parco Nazionale

di Phong Nha-Ke Bang, dal 2003 dichiarato patrimonio Unesco. Si tratta di una formazione di oltre 70 chilometri di sviluppo ipogeo, di 300 meravigliose grotte costellate da stalattiti e stalagmiti, di corsi d’acqua sotterranei e di cascate dove trovano vita specie biologiche rare come il geco Lygosoma boehmei. Ma soprattutto è qui custodita, nelle viscere della terra, la Son Doong, la più grande grotta conosciuta al mondo, la cui sezione raggiunge 250 metri d’altezza e 200 di larghezza; si può visitare con escursioni di più giorni, pernottando in tenda su una spiaggia ipogea.


Oltreconfine: Vietnam

Son Doong Kid315/Shutterstock.com


Son Doong Kid315/Shutterstock.com


Oltreconfine: Vietnam


Santuario Mỹ Sơn Balate Dorin/Shutterstock.com

“Nước mắm” (salsa di pesce) Vietnam Stock Images/Shutterstock.com


Oltreconfine: Vietnam

La goccia nel roseto di Mỹ Sơn

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o sono una goccia di pioggia che cade nel roseto”. E colme di decori floreali dovevano essere le torri e i manufatti di Mỹ Sơn, località situata su un altopiano tra i monti del Danang e lungo il fiume Thu Bon, avvolta dal verde tropicale. L’Unesco ha incluso nel suo patrimonio questo meraviglioso centro di culto induista e capitale politica nel Vietnam Meridionale del regno Champa, durato dal VII al XV secolo. Le prime costruzioni in legno sono scomparse ma, seppure danneggiate tra gli Anni ‘60 e ‘70 dalla guerra, al suo interno troviamo 11 gruppi monumentali in sei stili diversi appartenenti alle

Mì quảng Ricardo Iturra/Shutterstock.com

diverse epoche e influenze storiche, religiose e culturali. Mỹ Sơn è anche il punto di partenza per scoprire tanti borghi dove sopravvivono tradizioni artigianali antiche: a Cẩm Nê Mat vengono tessuti a mano tappeti di alta qualità; a Tuy Loan da 500 anni si produce la carta di riso alimentare che accompagna il “mì quảng” (piatto nazionale a base di spaghetti di riso, di vegetali e di carne cotti in un brodo aromatizzato alla curcuma), a Nam, sulla foce del Cu Đêc i pescatori sono invece dediti alla lavorazione della “nước mắm” (salsa di pesce) ingrediente immancabile della cucina vietnamita.


Santuario Mỹ Sơn Balate Dorin/Shutterstock.com


Oltreconfine: Vietnam


L’interno del teatro nella città reale di Hue Cristian Zamfir/Shutterstock.com

La goccia sui palazzi di Huế

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o sono una goccia di pioggia che cade sul palazzo”. Siamo a Huế, ultima capitale di un Vietnam feudale sviluppato intorno all’anno Mille; nuovamente capitale del Vietnam del Sud, dal 1744 al 1945, sotto la dinastia Nguyen. Qui il patrimonio Unesco include gli storici manufatti della Cittadella: un complesso fortificato con bastioni e torri, tra queste la Torre della Bandiera, il pennone più alto del Vietnam. Al centro si trova la Città Purpurea Proibita, l’area esclusiva dell’imperatore e delle sue concubine, ancor oggi affascinante, seppur gravemente danneggiata dai bombardamenti, dove visi-

tare la sala di lettura imperiale e il teatro reale. Intorno a Huế si trovano anche le tombe della dinastia Nguyen, e la meravigliosa pagoda Thien Mu con la torre di sette piani, dove ogni livello è consacrato a un “manushi-Buddha” ovvero un Buddha nella sua forma umana. Il cuore di vita popolare di Huế è però il Dong Ba Market, il mercato più tipico e originale dell’intero Vietnam fatto di colori e profumi così diversi da quelli a cui siamo di solito abituati: carni esotiche, verdure tropicali, pesci orientali, spezie, tessuti dalle fantasie locali, street food vietnamita e dolci tipici a base di fagioli mung.


Oltreconfine: Vietnam

Arco nei giardini della cittĂ imperiale di Hue Cristian Zamfir/Shutterstock.com

Pagoda Thien Mu Balate Dorin/Shutterstock.com



Oltreconfine: Vietnam

Palazzo Imperiale a Huáşż Cristian Zamfir/Shutterstock.com


Complesso Trang An Balate Dorin/Shutterstock.com


Oltreconfine: Vietnam

Tam Coc Francky38/Shutterstock.com

La goccia nella risaia di Ninh Binh

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o sono una goccia di pioggia che cade nella risaia”, una delle tante che costellano la provincia settentrionale di Ninh Binh. Un territorio di cime ripide e di morbide valli, di laghi e di corsi d’acqua gentilmente solcati dai “sampan” (le piatte piroghe fluviali dalla prua tronca) su cui si affaccia la foresta tropicale: un ecosistema unico e ricco di 600 specie di piante e di 200 specie di animali. È questo lo splendido scenario in cui si aprono le grotte di Trang An: cavità lungo i fiumi, spesso interconnesse, alcune delle quali occupate dall’uomo sin dalla preistoria. Risalgono invece all’anno Mille, immerse

nella foresta alle falde del monte Ngu Nhac, le rovine di Hoa Lu, antichissima capitale ricca di pagode e di luoghi sacri. Questo quadro del delta del Sông Hồng, il fiume Rosso, rappresenta il Vietnam più autentico e proprio per la sua ricchezza paesaggistica e culturale rientra tra i patrimoni dell’Umanità. Tam Coc è qui il centro principale che presenta ancora molti tratti del borgo originale: per le sue strade sono gli stessi carri trainati dai buoi, usati dai contadini, che vengono attrezzati per portare in giro turisti, mentre di sera si riempe di vita tra i suoni e le danze tradizionali proposte da mille localini.


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Oltreconfine: Vietnam

Sul fiume nella provincia di Ninh Binh Eo naya/Shutterstock.com


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Antonella Andretta

facebook.com/antonella.andretta

Giro del mondo in BitMilano 2020 Milano e il turismo: binomio ad alto potenziale



Giro del mondo in BitMilano 2020

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ilano infatti non solo è l’unica città italiana presente nella top 20 delle più visitate del mondo (al 16° posto con 9,10 milioni di visitatori nel 2018), ma è anche sede della manifestazione più importante del settore. Stiamo parlando di BitMilano, che dal 9 all’11 febbraio porterà a Fieramilanocity il meglio del turismo nazionale e internazionale, proposto con una formula che la rende ancora più innovativa e ricca di spunti. BitMilano, infatti, giunta alla sua quarantesima edizione, è l’unico appuntamento dedicato sia agli operatori

di settore sia al pubblico (al quale è riservata la prima giornata di apertura, quella di domenica 9 febbraio, biglietti 5 euro online e 7 in fiera, ingressi presso le réception Teodorico e Colleoni di viale Scarampo, metrò Lotto-Fieramilanocity). La fiera è stata inoltre divisa in aree tematiche: tra le altre, I Love Wedding, con tutti i servizi per coppie alla ricerca della destinazione perfetta, BeTech, con focus sul digitale, la tecnologia e le startup del settore e Bit4Job, dedicato invece a chi sta cercando lavoro nel settore turistico. Ma alla Bit, tradizio-


Giro del mondo in BitMilano 2020

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vera frontiera del turismo contemporaneo. Molto interessanti, infine, i convegni che si svolgeranno durante le varie giornate con più di 70 incontri su 4 temi in particolare: formazione, tecnologia, hot topic e turismo enogastronomico, con il nuovo Rapporto sul Turismo Enogastronomico e il XXIII Rapporto sul Turismo Italiano, promosso dall’Iriss (Istituto di Ricerca su Innovazione e Servizi per lo Sviluppo) e dal Cnr (Consiglio Nazionale delle Ricerche).

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nalmente, si va anche per farsi un giro del mondo girando tra gli espositori, lasciandosi trasportare da suggestioni e sensazioni, raccogliendo idee per i prossimi viaggi, scoprendo servizi, alberghi, compagnie di trasporti e soprattutto i nuovi trend. Come ad esempio la sostenibilità ambientale e sociale che sarà sempre più presente tra le parole chiave del viaggiatore attento. Importante anche la tecnologia, soprattutto nell’ottica di servizi in chiave local e di accesso alle “esperienze”,

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f o t o R o l a n d o P. G u e r z o n i

VENERDÌ 11 OTTOBRE I ORE 20 DOMENICA 13 OTTOBRE I ORE 15,30

DOMENICA 15 DICEMBRE I ORE 17

Modena

FUORI ABBONAMENTO

Luciano

Prima esecuzione

Claude Debussy

Alberto Cara

FUORI ABBONAMENTO

Giacomo Puccini

LA BOHÈME Direttore Aldo Sisillo Regia Leo Nucci

Coproduzione Fondazione Teatro Comunale di Modena Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Pergolesi Spontini Allestimento in coproduzione con Opéra de Marseille

NUOVO ALLESTIMENTO

VENERDÌ 25 OTTOBRE I ORE 20 I TURNO A DOMENICA 27 OTTOBRE I ORE 15,30 I TURNO B MARTEDÌ 29 OTTOBRE I ORE 20 FUORI ABBONAMENTO

Giacomo Puccini

TOSCA Direttore Matteo Beltrami

Regia Joseph Franconi Lee da un’idea di Alberto Fassini

Coproduzione Fondazione Teatro Regio di Parma Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Teatro Comunale di Modena Allestimento della Fondazione Teatro Regio di Parma

LA NOTTE DI NATALE

Favola musicale in un atto su libretto di Stefano Simone Pintor liberamente tratta dall’omonimo racconto di Nikolaj Vasil’evič Gogol’

Direttore Diego Ceretta Regia Stefano Simone Pintor Coproduzione Teatro dell’Opera Giocosa di Savona Fondazione Teatro Comunale di Modena

NUOVO ALLESTIMENTO

VENERDÌ 14 FEBBRAIO I ORE 20 I TURNO A DOMENICA 16 FEBBRAIO I ORE 15.30 I TURNO B

Giuseppe Verdi

FALSTAFF Direttore Jordi Bernàcer Regia Leonardo Lidi

Coproduzione Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Teatro Comunale di Modena, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia

NUOVO ALLESTIMENTO

MERCOLEDÌ 27 NOVEMBRE I ORE 20 I TURNO A VENERDÌ 29 NOVEMBRE I ORE 20 FUORI ABBONAMENTO DOMENICA 1 DICEMBRE I ORE 15.30 I TURNO B

VENERDÌ 13 MARZO I ORE 20 I TURNO A DOMENICA 15 MARZO I ORE 15.30 I TURNO B

RIGOLETTO Direttore David Crescenzi

TURANDOT Direttore Valerio Galli

Giuseppe Verdi

Regia Fabio Sparvoli

Coproduzione Fondazione Teatro Comunale di Modena Fondazione Teatro Comunale di Ferrara, Azienda Teatro del Giglio

NUOVO ALLESTIMENTO

fondatori

VENERDÌ 3 APRILE I ORE 20 I TURNO A DOMENICA 5 APRILE I ORE 15.30 I TURNO B

Giacomo Puccini

Regia Giuseppe Frigeni

Coproduzione Fondazione Teatro Regio di Parma Fondazione Teatro Comunale di Modena, Fondazione Teatri di Piacenza Allestimento della Fondazione Teatro Comunale di Modena

PELLÉAS ET MÉLISANDE Direttore Marco Angius Regia Renaud Doucet

Coproduzione Fondazione Teatro Regio di Parma, Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Teatro Comunale di Modena

NUOVO ALLESTIMENTO

VENERDÌ 8 MAGGIO I ORE 20 I TURNO A DOMENICA 10 MAGGIO I ORE 15,30 I TURNO B

Prima assoluta in coproduzione con l’Altro Suono festival 2020 Luigi Cinque (Italia) Valentin Ruckebier (Austria) Jasmina Mitrusic Djeric (Serbia)

CROSSOPERA Otherness, Fear and Discovery

Opera in tre episodi su libretto di Sandro Cappelletto, Valentin Ruckebier e Jasmina Mitrusic Djeric Progetto vincitore del bando di cooperazione internazionale “Europa Creativa”

Direttore Mikica Jevtic Regia Gregor Horres

Ensemble del progetto CrossOpera: Modena, Linz, Novi Sad Cast “giovani interpreti” del progetto CrossOpera: Modena, Linz, Novi Sad Coproduzione Fondazione Teatro Comunale di Modena Landestheater di Linz, Serbian National Theatre di Novi Sad

Gli abbonamenti alla Stagione lirica 2019 - 2020 sono in vendita: da sabato 7 a venerdì 20 settembre per gli abbonati alla Stagione precedente, da martedì 24 settembre anche per i nuovi abbonati. Biglietteria del Teatro Comunale Corso Canalgrande 85 ı Modena ı telefono 059 2033010 ı fax 059 203 3011 biglietteria@teatrocomunalemodena.it ı Acquisto telefonico: 059 2033010 ı Informazioni: www.teatrocomunalemodena.it La direzione si riserva di apportare ai programmi eventuali modifiche che si rendessero necessarie per cause di forza maggiore.

i m m a g i n e c o o rd i n a t a : w w w. a v e n i d a . i t

2019.2020

TEATRO COMUNALE LUCIANO PAVAROTTI


Antonella Andretta

facebook.com/antonella.andretta

E Z N A VAC

o t s o P i Fuor La miniera, il Santo Graal e il paese fantasma S

e, sfogliando la rivista, siete arrivati fino a qui, significa che avete giĂ posato gli occhi su vari siti Unesco

i quali, grazie alla speciale cura (anche mediatica) cui sono sottoposti, sono universalmente noti.

Michal Poracky/Shutterstock.com


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“Il Castello“ ledmark/Shutterstock.com

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ammirarlo lungo la strada che da Arbus porta a Piscinas (altro luogo straordinario, spiaggia chilometrica con dune di sabbia che arrivano fino al mare). Da vedere, poco distante rispetto al castello, la laveria Brassey, chiusa negli anni ‘60, i cui resti svettano imponenti e malinconici, il tutto immerso in uno spettacolare scenario naturalistico, dove i resti di archeologia mineraria sono stati inglobati dalla natura selvaggia di questa zona. Chi volesse approfondire cosa fossero le miniere e la vita che vi si conduceva, può recarsi anche a Montevecchio, un borgo a otto chilometri da Arbus, dove il parco minerario è aperto alle visite ed è organizzato

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A

questi luoghi celeberrimi abbiamo pensato di contrapporre alcuni posti poco conosciuti, lontani dalle luci della ribalta, un po’ defilati insomma, ma che vale la pena di visitare. Perché alla fine, lo scopo di un viaggio, è pur sempre quello di stupirci. A proposito di stupore, cosa c’è di più insolito di una dimora in perfetto stile bavarese collocata nel cuore della Sardegna? Siamo a Ingurtosu, frazione di Arbus (provincia Sud Sardegna), un piccolo villaggio minerario oggi praticamente disabitato. In questa dimora, detta “Il Castello”, abitavano i dirigenti tedeschi della miniera. Il palazzo non è visitabile ma vale la pena di fermarsi per

Spiaggia di Pistis, Arbus Alessio Orru/Shutterstock.com


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Acerenza e la sua Cattedrale Miti74/Shutterstock

come un vero e proprio “museo diffuso” (il sito è molto vasto e suddiviso in vari percorsi). Particolarmente emozionante, la visita alla galleria sotterranea Anglosarda (dove si accede muniti di caschetti e torce) per comprendere, almeno in minima parte, cosa significa lavorare in miniera. Dalla Sardegna alla Basilicata per arrivare in un altro luogo semisconosciuto ai più, Acerenza in provincia di Potenza, dove scoprire che il Sacro Graal potrebbe essere nascosto nella cattedrale di questa piccola cittadina (ben distante, in tutti i sensi, dalla Petra di Indiana Jones e dell’Unesco!). Pare infatti che il fondatore dei Templari, tale Ugo dei Pagani,

fosse nato proprio qui vicino e che sia stato proprio lui a nascondere il Graal nella cattedrale (decisamente sovradimensionata rispetto al paese). La leggenda, ricca di spunti interessanti, parla di una finestra murata all’interno della chiesa dove si troverebbe, ben nascosta, la reliquia: un bel mistero e un ottimo pretesto per una visita a questo borgo medievale arroccato in cima a un colle, tra i più suggestivi della zona. E se vi piacciono le leggende, vi consigliamo un altro sito estremamente interessante, non certo sconosciuto, ma neppure noto quanto meriterebbe: l’Abbazia di San Galgano, a una trentina di chilometri da Siena. Qui

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Abbazia di San Galgano Nick_Agile/Shutterstock

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noti, è il lago di Resia, in provincia di Bolzano. Il lago è artificiale e serve una diga idroelettrica. Per realizzarlo, all’inizio degli anni ‘50, è stato allagato il fondovalle: l’acqua ha sommerso non solo Resia ma anche l’antico borgo di Curon, i cui edifici furono rasi al suolo ma del quale rimane, ben visibile, solo l’antico campanile del ‘300 che spunta dall’acqua. La visione è davvero straniante e, per quanto il paese sia stato ricostruito poco distante, è come se nell’aria e sulle sponde del lago fosse rimasto qualcosa della vita di un tempo, il fantasma di ciò che fu. Per chi volesse saperne di più, la vicenda è ricordata nel bel romanzo “Resto qui” di Marco Balzano.

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la meraviglia è duplice: da una parte la grande abbazia gotica, totalmente priva del tetto, al cui interno volano gli uccelli e crescono sparuti ciuffi di cicoria, che lascia letteralmente senza parole, tanto è sorprendente; dall’altra il piccolo eremo di Monte Siepi, che vanta una cappella affrescata da Ambrogio Lorenzetti e che si trova a breve distanza dall’abbazia (la passeggiata è molto piacevole, all’ombra degli alberi di questo angolo di campagna Toscana). Qui san Galgano si ritirò in eremitaggio e, come segno di nuova vita di pace, conficcò la sua spada in una roccia dove tutt’ora si trova. Altro che Re Artù, insomma. Ultima tappa di questo tour alla ricerca di luoghi insoliti e poco

Lago di Resia Vadym Lavra/Shutterstock.com



Ivan Pisoni

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Leggende sui Patrimoni dell’UmanitĂ

Pascal/Shutterstock.com


Leggende sui Patrimoni dell’Umanità Gruppo del Rosengarten (Catinaccio) PMW89/Shutterstock.com

La leggenda di re Laurino e dei cieli rosa delle Dolomiti L

aurino era il re di un popolo di nani che scavavano nelle montagne alla ricerca di metalli preziosi e cristalli ed era in possesso di due oggetti magici: una cintura che gli dava la forza di 12 uomini e una cappa che lo rendeva invisibile. Un giorno il sovrano dell’Adige decise di invitare tutti i nobili del circondario per festeggiare il matrimonio della bellissima figlia Similde. Invitò tutti i nobili, ma non Laurino. Indispet-

tito, il re dei nani decise di parteciparvi come ospite invisibile. Cappa magica indossata, il nano partecipò ai festeggiamenti. Durante un torneo cavalleresco, vide Similde e, colpito dalla sua bellezza, se ne innamorò perdutamente all’istante. Tra lo stupore generale, re Laurino caricò Similde in groppa al suo cavallo e fuggì di gran lena. Immediatamente i combattenti del torneo si misero all’inseguimento e bloccarono


imprigionarono e distrussero i suoi oggetti magici. Colmo di rabbia verso il Giardino delle Rose (o Rosengarten**) che lo aveva tradito, re Laurino lanciò una tremenda maledizione: né di giorno, né di notte alcun occhio umano avrebbe potuto più ammirarlo. Ma Laurino non tenne contro del tramonto e dell’alba e da allora il Catinaccio** vanta tramonti e albe di un rosa mozzafiato e ineguagliabile.

*Le Dolomiti sono Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco dal 2009 ** Il Rosengarten o Catinaccio è un massiccio delle Dolomiti situato tra la valle di Tires, la val d’Ega e la val di Fassa nel Parco naturale dello Sciliar.

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Leggende sui Patrimoni dell’Umanità

re Laurino nei pressi del Giardino delle Rose. Sceso da cavallo, Laurino indossò la cintura che gli dava la forza di 12 uomini e iniziò il combattimento. Resosi conto che, anche con tutta la sua forza, stava per soccombere, il re dei nani indossò la sua cappa che rende invisibili e iniziò a saltellare tra le rose convinto di non essere visto ma i combattenti, intuendo il suo movimento grazie all’ondeggiare delle piante, lo


Leggende sui Patrimoni dell’Umanità

La leggenda della location dove venne costruito Castel del Monte S

e da Indiana Jones abbiamo imparato che «Non seguiamo mappe di tesori nascosti e la X non indica, mai, il punto dove scavare» [cit.], esiste una leggenda sulla costruzione del “già avvolto tra diversi misteri”: Castel del Monte, uno dei più importanti ed enigmatici castelli d’Italia che possiamo visitare nei pressi di Andria, in Puglia e che forse ci dimostra il contrario della famosa citazione del “professore-archeologo” dei film di George Lucas. Patrimonio dell’Umanità, Castel del Monte, splendido esempio di architettura medievale e reggia di Federico II, vanta una lista di misteri, simbolismi ed esoterismi di cui magari parleremo in un’altra storia. Oggi vorremmo

Vladimir Sazonov/Shutterstock.com

andare alla ricerca del perché fu costruito proprio lì dove lo troviamo. Vogliamo forse trovare la famosa X. Un’antica leggenda (proprio in stile “Indiana”) narra di un tempio al cui interno c’era una statua sul cui capo era iscritta la frase «Il mio capo è di bronzo ma a levar del sole a calendi di maggio sarà d’oro». La leggenda continua raccontando di un saraceno che un giorno risolse il mistero dietro l’arcana frase e, il primo giorno di maggio, al sorgere del sole, iniziò a scavare nel punto esatto dove cadeva l’ombra della statua, riportando alla luce un ricco e antico tesoro con il quale, conclude la leggenda, fu costruito il castello. Beh, proprio roba da Indiana Jones, no?


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GoneWithTheWind/Shutterstock.com

E

ra proprio un grande, Teodorico, quel re degli Ostrogoti che, nato in Pannonia verso il 454, conquistò Ravenna nel 493 contro Odoacre ponendo fine all’Impero Romano d’Occidente, assumendo il governo d’Italia con il titolo di dominus e rendendo la città capitale dell’Impero Romano d’Oriente. Una delle sue più grandi imprese fu la costruzione del proprio mausoleo, nel 520 - Patrimonio dell’Umanità -, che doveva servire non solo come mausoleo dopo la sua morte, ma come luogo di riparo da una certa... predizione!? Il mausoleo di Teodorico, infatti, ha una particolarità: la cupola è composta da un unico blocco di calcare

del peso di 230 tonnellate e dal diametro di 10 metri. Non è ben chiaro come abbiano fatto a porre tale cupola là sopra ma sembra che la ragione dietro tale bizzarìa sia proprio una predizione. Si narra che quando Teodorico era ancora in vita gli fu predetto che sarebbe morto a causa di un fulmine. Per scongiurare tale destino, il “grande” fece costruire un luogo dove poteva essere al sicuro in caso di pioggia o temporali. Ironia della sorte, un giorno del 526, quando Teodorico era sotto la sua mastodontica cupola “protettiva” e durante un giorno di pioggia, un fulmine la colpì, creando una crepa e “fulminando” il dominus. Beh... Che dire?

Leggende sui Patrimoni dell’Umanità

La leggenda del mausoleo di Teodorico il Grande



Ivan Pisoni

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lo sapevate che...

Jose Angel Astor Rocha/Shutterstock.com


lo sapevate che... curiosità sull’Italia da Unesco

L

’Italia è campionessa Unesco! Con ben 55 beni culturali tutelati, l’Italia domina la classifica dell’Unesco anche se ultimamente la medaglia è ex aequo con la Cina, che vanta lo stesso numero di siti. La vetta della classifica dell’Unesco è comunque tutta europea con Spagna, Francia e Germania che vantano oltre 40 siti ciascuno.

Sassi, Matera canadastock/Shutterstock.com

L

’Unesco non protegge solo siti culturali o naturali, ma anche elementi culturali immateriali. Un patrimonio culturale immateriale è l’insieme di tradizioni e linguaggio, arti dello spettacolo, eventi festivi, artigianato e pratiche agricole tradizionali che sono espressioni “viventi” dell’identità delle popolazioni che in esse si riconoscono.

Camo24/Shutterstock.com

T

ra i patrimoni culturali immateriali protetti dall’Unesco in Italia vantiamo: la pizza, l’Opera dei Pupi siciliani, il Canto a Tenore Sardo, il saper fare liutaio a Cremona, la dieta mediterranea, le Feste delle Grandi Macchine a Spalla (La Festa dei Gigli di Nola, la Varia di Palmi, la Faradda dei Candelieri di Sassari, il trasporto della Macchina di Santa Rosa a Viterbo), la vite ad Alberobello di Pantelleria, la Falconeria e l’arte dei muretti a secco.

BlackMac/Shutterstock.com


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L

’Italia vanta anche siti enogastronomici protetti dall’Unesco. Oltre alla tanto amata pizza e alla gustosa dieta mediterranea, tra i patrimoni del Belpaese protetti dall’Unesco vi sono anche le Colline del Prosecco e la zona della Langhe del Roero e del Monferrato.

Le Langhe StevanZZ/Shutterstock.com

Lino Banfi Matteo Chinellato/Shutterstock.com

E

siste una mappa mondiale dei siti culturali, naturali e in pericolo protetti dall’Unesco... Ed è interattiva! La mappa è consultabile da https://whc. unesco.org/en/interactive-map/ e in vendita in formato cartaceo in inglese, francese e spagnolo in formato 78 centimetri per 50 centimetri. La mappa è accompagnata da un potente motore di ricerca e per ogni sito offre approfondimenti, descrizioni e fotografie. Un’ottima scusa per curiosare tra i patrimoni dell’Umanità e conoscerli meglio.

whc.unesco.org/en/interactive-map/

lo sapevate che... curiosità sull’Italia da Unesco

L

ino Banfi è l’attuale reppresentante Unesco per l’Italia. Il comico, che è anche ambasciatore dell’Unicef, ha dichiarato in un’intervista che se lo facessero parlare, lui combatterebbe per rendere la figura del nonno “patrimonio protetto dell’Umanità”.



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