Artemedica n.11

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Le crisi biografiche nei giovani brani tratti da Crisi biografiche, QF 24, Editrice Novalis

Walter Reed Army Medical Center, foto di Sgt. Sara Wood, © Photo courtesy of US Army

ARTEMEDICA•ANTROPOSOFIA OGGI•NEWSLETTER TRIMESTRALE•NUMERO UNDICI•AUTUNNO 2008

“Una vita senza crisi non è vita - sostiene Ulrich Meier, sacerdote della Comunità dei cristiani - Di fatto nessuna vita umana è così sterile da non finire, prima o poi, in crisi. Ogni crisi cela in sé anche l’opportunità di ricominciare da capo. Ci sono tanti tipi di crisi biografiche, esse dipendono dal momento scatenante, ma soprattutto dalla reazione soggettiva dell’interessato e da ciò che fa o non fa della propria crisi.”

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L’esperienza della guerra Anna Prouse, responsabile della ricostruzione in Iraq Sono seduta nella sala d’attesa del Walter Reed Army Medical Center, l’ospedale militare alle porte di Washington DC dove vengono ricoverati i soldati feriti in Iraq. Specializzazione: amputazione degli arti! Appese su un lato della sala d’attesa otto gigantografie di “personalità” in alta uniforme. Non leggo i loro nomi. Non m’interessa sapere chi sono. Non è per questi Generali che sono qui. È per tutti quei soldati che, vittime di qualche sogno, hanno ora la vita rovinata. […] Il mio sguardo viene calamitato da un ragazzo di chiare origini ispaniche che ride e scherza. I suoi schiamazzi, mentre tenta di stare in bilico col busto su un pallone, assomigliano a quelli di un bambino appena sceso dalle montagne russe. […] “Mi chiamo Mandy, sono Messicano e ho 24 anni - il suo inglese è perfetto, la sua voce è infantile - Ero di pattuglia a Sadr City quando il mio veicolo è incappato in un ordigno esplosivo.” Sadr City! Il solo nome mi fa rabbrividire. Mandy se ne accorge. Ha sentito che sono stata in Iraq. “È per proteggere voi che pattugliavamo quel luogo. Sadr City non è poi così lontana dalla Zona Verde. Da lì, come da altre zone a ridosso della Green Zone, sarebbe stato facile lanciarvi missili.”

“Fatico a ricordare il giorno in cui ciò non è avvenuto” ribatto. “Certo. Se però non ci fossimo stati noi a disturbarli, prima o poi avrebbero colpito nel segno.” Rimango senza parole, anche se non è certo intenzione di Mandy quella di farmi sentire in colpa. “A ognuno il suo compito - prosegue - Tu avevi il tuo, io quello di tenerti in vita. E poi sono fiero del mio ruolo laggiù. In quanto Sergente avevo un gruppetto di ragazzi di cui occuparmi. Sono contento che quello colpito non sia stato uno dei miei.” Non commento. So quanto lo spirito di gruppo conti in Iraq. L’ho provato sulla mia pelle. “Mi telefonano una volta alla settimana. Mi mancano. E io manco loro. Non sono mai stato così fiero di appartenere a un gruppo come lo sono stato in Iraq. E poi ora sono cittadino americano. Pochi giorni dopo l’amputazione si è presentato un signore. Ho dovuto apporre qualche firma qua e là.Tutto qui. Non ho dovuto fare altro. È successo così in fretta.” Stento a credere a ciò che sento. “Hai perso le gambe, Mandy! Non è un prezzo sufficientemente alto?”

tutto mi aspettavo fuorché di trovare ragazzi pronti a guardare avanti con ottimismo a un destino che, un bel giorno, ha deciso di voltare loro le spalle “Si, ma adesso ho un lavoro in una compagnia telefonica in California, voglio iscrivermi a Berkley e rimettermi a studiare. Ho una vita davanti a me… - ride - Adoro Laura Pausini e vorrei tanto incontrare il Papa. Sono cattolico e la mia fede mi ha aiutato.” Mandy ha deciso di prendere la vita alla giornata. Il primo passo è quello di uscire da Walter Reed al più presto e di cominciare a lavorare. “Ho promesso che ce l’avrei fatta entro un mese. Dicono sia impossibile. Ma ho bisogno di prefiggermi delle scadenze.

Abbraccio Mandy. Sono confusa. Tutto mi aspettavo fuorché di trovare ragazzi pronti a guardare avanti con ottimismo a un destino che, un bel giorno, ha deciso di voltare loro le spalle. […] Steve Cozzi è a capo del dipartimento di psichiatria. […] “Mi parli dei ragazzi ricoverati qui. E di quelli che combattono in Iraq…” chiedo. “La prima cosa che devono capire è che il cervello va ripulito, come qualsiasi arma o veicolo da combattimento. Tutte le sere i soldati controllano lo stato del loro fucile; altrettanto devono fare col proprio cervello per esaminarne lo stato di salute. […] Non vi è nulla di male nel chiedere aiuto quando situazioni di stress rischiano di mettere a repentaglio la propria psiche. È compito degli psichiatri far comprendere ai soldati che gran parte delle reazioni sono normali: essere irascibili, soffrire d’insonnia, sobbalzare al minimo rumore, smettere di mangiare, piangere. Chiedere supporto per affrontare le difficoltà non è debolezza. Anzi.” Disorientamento totale Aileen Steinweg, 23 anni Il fondo l’ho percorso tra i 14 e i 16 anni. Anche prima ho vissuto delle crisi che hanno contribuito poi a provocare la mia “immensa crisi”, ma il vero fondo l’ho toccato nei due anni vissuti a Colonia. Durante l’infanzia ho traslocato spesso e catalogo i periodi della mia vita in base ai luoghi in cui abitavo. […] Traslocammo, quindi, per necessità a Colonia e là per me è crollato tutto. Da quel momento non ho più voluto vivere. Ho tentato un suicidio dopo l’altro. [In città] per un verso c’era la limitazione della libertà di movimento dovuta alla vita in appartamento, per altro verso c’era la continua paura di mia madre. A questo va aggiunto che non riuscivo a far fronte alle molte impressioni che mi piombavano addosso in città; non riuscivo ad elaborarle tutte. Ciò scatenava in me dei sentimenti che non sapevo gestire. Interiormente ero continuamente inondata. […]


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